LUNEDÌ 17 GIUGNO 2013 CRONACHE 17 IL GIORNO - Il Resto del Carlino - LA NAZIONE A Firenze economisti e antropologi rivelano i segreti delle filiere artigiane Pino Di Blasio · FIRENZE SONO i genomi del marchio Toscana, filamenti del Dna di una regione, eccellenze su cui poggiano decine di migliaia di imprese, centinaia di migliaia di occupati e miliardi di euro di fatturati. Li hanno ribattezzati «Benedetti toscani», ribaltando Malaparte e studiando quelle sei filiere con le lenti degli antropologi, molto più sofisticate di quelle degli economisti. Su cuoio, tessuto, vino, marmo, paglia e sigaro toscano la ricerca commissionata da Manifatture Sigaro Toscano del gruppo Maccaferri, ed elaborata dalla cattedra di Antropologia culturale dell’università di Firenze, sarà il fulcro del convegno di oggi a Palazzo Capponi di Firenze, con il vicepresidente nazionale di Confindustria Gaetano Maccaferri, il docente di economia e gestione delle imprese Stefano Micelli e i professori di antropologia Pietro Clemente e Elena Maria Giusti. «Le filiere si potrebbero moltiplicare - spiega il professor Pietro Clemente, coordinatore della ricerca le abbiamo circoscritte per evidenziare il tessuto connettivo che le unisce. Il rapporto con il passato e la tradizione, il permanere di certe pratiche manuali, l’uso dell’olfatto e dell’occhio nella capacità di ordinare un prodotto. Tratti antichi “ IL PROFESSOR CLEMENTE I tratti connettivi sono la tradizione e la produzione manuale. Sono capaci anche di piegare l’informatica alle loro esigenze che sono però la molla per conquistare i mercati, che sono capaci di piegare anche le tecnologie informatiche alla produzione artigianale. Per questo sono diventate icone internazionali e hanno dato ancora più forza a quel marchio noto in tutto il mondo che è la Toscana». PER il professor Clemente la tesi di Gramsci sulla «Toscana che si nutre solo della boria dei ricordi passati» è radicalmente contraddetta dalla forza autorigenerante delle filiere. «Saranno gli economisti a spiegare la capacità degli artigiani toscani di penetrare nei mercati internazionali - ma resta cruciale studiare come la forza, ad esempio, del vino o del cuoio, si sia tradotta anche nell’esportazione di tecnologie per tutelare l’ambiente. Oggi il distretto della concia di Santa Croce vende al mondo anche impianti che bonificano le zone produttive. Per sperare nel futuro va studiata la forza intrinseca di queste filiere, distretti che hanno superato anche anni di crisi». IL PRESIDENTE di Manifatture IL BOOM DEL SIGARO Maccaferri, presidente delle Manifatture: «Il mondo stregato dallo stortignaccolo» Sigaro Toscano, Gaetano Maccaferri, è ancora più esplicito. «Nell’immaginario degli stranieri lo stile italiano è associato all’eleganza, qualità, creatività, arte; un buon vivere che ha radici nella cultura materiale dei territori, nelle tradizioni, nei saperi tramandati tra le generazioni. Ci siamo rivolti agli antropologi per cercare di invididuare in modo scientifico le origini dello stile italiano. Grazie a questa ricerca, si comprende come il profondo legame con il territorio faccia del brand una identità territoriale, con una caratteristica importante: la non replicabilità, elemento base del successo dei prodotti di alta qualità». Maccaferri applica il concetto ai suoi sigari, a partire dallo «stortignaccolo», una ricetta che non cambia da due secoli, fatto con tabacco Kentucky e acqua. Nato nel 1815 nelle Manifatture di Firenze il sigaro toscano è stato prodotto fino al 2004 dai Monopoli di Stato, poi è passato al colosso angloamericano Bat, per tornare in mani italiane due anni dopo. «Nel 2012 - rivela il presidente Maccaferri - grazie alla tradizione siamo arrivati a 12 milioni di sigari venduti nel mondo». ➔ Cuoio, marmo e vino nel Dna toscano La storia aiuta a conquistare i mercati I DISTRETTI Sei eccellenze Dal marmo di Carrara alla paglia di Firenze dal cuoio di Santa Croce al vino del Chianti la ricerca ha indagato su sei aree particolari Metodi di studio L’indagine si è basata su interviste e studi sui tanti saperi artigiani, cercando di notare differenze e somiglianze Il convegno Oggi a Palazzo Capponi l’incontro con i docenti che hanno curato lo studio sulle filiere produttive «alla ricerca delle origini dello stile italiano» TRADIZIONE NATA A SIGNA NEL ’700. FATTURATO DA 100 MILIONI Tanto di cappello al distretto di paglia · FIRENZE UNA TRADIZIONE nata a Signa nel Settecento e che in quest’aria continua ad avere il proprio fulcro. La lavorazione della paglia per realizzare il pregiato cappello fiorentino rappresenta un settore di nicchia e di grande pregio del manifatturiero toscano. Vede protagoniste una cinquantina di aziende distribuite fra Firenze, Signa, Campi Bisenzio e Poggio a Caiano, alle quali si aggiungono le ditte che lavorano per conto terzi e le lavoranti a domicilio. Il fatturato è stimato intorno ai 100 milioni di euro e gli addetti del settore sono circa 400. La lavorazione della paglia per realizzare il pregiato cappello «fiorentino» è legata all’imprenditore bolognese Domenico Michelacci che si trasferì a Signa nel 1714, dando vita a una fiorente industria. Fu lui a intuire che il grano poteva essere coltivato non solo per fare farina, ma anche per produrre ricchezza in modo diverso, realizzando manufatti che avrebbero garantito il «pane» a un numero maggiore di persone. Fu una piccola rivoluzione. Da allora, il cappello di paglia ha alternato enormi fortune alla crisi del secondo dopoguerra. Infine, il rilancio. «Negli ultimi anni il setto- re ha registrato una ripresa – spiega Giuseppe Grevi, presidente del Consorzio “Il Cappello di Firenze”, che riunisce una quindicina di aziende – perché l’alta moda ha riscoperto il cappello di paglia. Attualmente risentiamo della crisi nazionale, ma stanno crescendo le esportazioni verso Cina, Turchia e Corea». Lisa Ciardi •