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Indice
Viaggio intorno alla Bibbia, 3
L’ebraismo, 9
L’islam, 13
L’induismo, 18
Il buddhismo, 23
Le religioni cinesi, 25
Il confucianesimo, 25
Il taoismo, 27
Lo shintoismo, 29
I nuovi movimenti religiosi, 30
Coordinamento redazionale: Lia Ferrara
Coordinamento tecnico: Francesco Stacchino
Progetto grafico e videoimpaginazione: Gianni Roasio
Copertina: Gianni Roasio
© 2003 by SEI - Società Editrice Internazionale - Torino
www.seieditrice.com
Prima edizione: febbraio 2003
Ristampe:
1 2 3 4
2003
2004
5 6
2005
7
8 9 10
2006
2007
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02/80.95.06.
Vincenzo Bona S.r.L. - Torino
3
Viaggio intorno alla Bibbia
La Bibbia, libro sacro per ebrei
e cristiani
Sia la religione ebraica sia quella cristiana sono religioni rivelate, cioè religioni che trovano il loro
fondamento nel fatto che Dio si è manifestato direttamente all’uomo. Sia per gli ebrei sia per i cristiani
questa rivelazione ha espressione scritta nella Bibbia,
il libro sacro in cui è racchiusa la Parola che Dio ha
rivolto agli uomini nel corso della loro storia.
Il contenuto e la divisione della Bibbia
La parola Bibbia deriva dal greco ta biblia e significa
“libri”: la Bibbia è infatti formata da molti libri:
potremmo dire che si tratta di una biblioteca intera.
Gli scritti che la compongono sono molto differenti tra loro e sono raggruppati in due grandi raccolte: l’Antico Testamento (d’ora in poi A.T.), che
comprende la storia e la riflessione religiosa del
popolo ebraico; il Nuovo Testamento (d’ora in poi
N.T.), che narra l’attuazione della Redenzione di
Gesù il Cristo e ne riferisce il Suo insegnamento,
collegandolo alla storia delle origini cristiane.
L’antica e la nuova Alleanza
La parola “testamento”, dal latino testamentum, corrisponde alla parola ebraica berith, che significa “alleanza”, “patto”. Pertanto la Bibbia è l’insieme dei
libri che parlano dell’Alleanza che Dio ha stretto
con Israele (antica Alleanza) e che ha compiuto in
Gesù (nuova Alleanza).
Per i cristiani tra A.T. e N.T. non vi è interruzione,
ma continuità e relazione tra passato, presente, futuro, ad indicare le successive tappe del piano salvifico
di Dio, sia dal punto di vista storico sia teologico.
La Bibbia viene anche chiamata “Scrittura” o “Sacre
Scritture”, per significare la Parola di Dio messa per
iscritto e quindi la sacralità del testo.
Il canone della Bibbia
La prima parte della Bibbia, l’A.T., è comune ad
ebrei e cristiani, seppure con alcune varianti. Gli
ebrei (seguiti dai protestanti) riconoscono solamente i libri scritti in ebraico, che sono 39. Diremo che
essi si attengono al canone ebraico o palestinese,
che fu fissato verso la fine del I secolo d.C.
I cattolici, invece, considerano ispirati altri sette libri,
scritti in greco, detti “deuterocanonici”, cioè entrati
solo in un secondo tempo nel canone.
Per canone, dal greco kànon, “misura”, intendiamo
l’elenco dei libri che sono stati riconosciuti dai credenti come autentica Parola di Dio, cioè ispirati.
Il canone cattolico (ma anche quello ortodosso),
Pagina del Libro dei Proverbi, manoscritto del
(New Haven, Yale University).
XV
secolo
già riscontrabile nei primi secoli della Chiesa, è
stato definitivamente fissato nel Concilio di Trento
nel 1546 e comprende 46 libri per l’ A.T. e 27 per
il N.T. Il N. T. è invece identico per tutti i cristiani.
La Bibbia greca
Il canone cattolico segue per l’A.T. il cosiddetto
canone greco o alessandrino, dalla comunità di
Alessandria d’Egitto, una delle più importanti sviluppatesi nel corso del III secolo a.C., durante la diaspora. Gli ebrei di Alessandria avevano incominciato a tradurre in greco le Scritture, perché ormai più
nessuno degli esuli parlava l’ebraico. Secondo una
leggenda, la traduzione venne affidata dal re d’Egitto,Tolomeo Lagos, a 70 saggi che, in 70 giorni, pur
lavorando separati gli uni dagli altri, produssero un
testo identico, parola per parola. La versione greca
dell’A.T. è nota come Septuaginta.
I libri esclusi dal canone vengono detti apocrifi.
Con il termine apocrifo, che deriva dal greco apòkrypos, “nascosto”, vengono comunemente indicati i
libri di contenuto affine a quelli biblici, ma considerati non ispirati. Abbiamo sia libri apocrifi dell’A.T.
sia nel N.T.
Le lingue della Bibbia
Le lingue originarie in cui fu scritto l’A.T. sono l’ebraico, il greco e l’ aramaico, una lingua simile all’ebraico, usata per il commercio e per le relazioni
politiche dell’antico Oriente, e ancora parlata al
tempo di Gesù.
Il N.T. fu scritto invece in greco.
4
Viaggio intorno alla Bibbia
La trasmissione orale e la redazione scritta
La stesura dell’ A.T. non è legata a un solo autore né
tanto meno circoscritta a un breve periodo di tempo: riguarda un arco di tempo di quasi un migliaio
di anni (i testi più antichi risalgono infatti a oltre
1000 anni prima di Cristo, i più recenti al I secolo
a.C.), preceduto da un periodo in cui le tradizioni
religiose venivano tramandate oralmente.
Anche il testo del N.T. si sviluppò per tappe successive, passando da una versione orale a una scritta, in
un arco di tempo che va dalla predicazione di Gesù
al I secolo d.C.
La trasmissione del testo biblico
nel corso dei secoli
Il valore riconosciuto dalla fede ai libri biblici come
Parola di Dio fece sì che quando questi vennero
fissati definitivamente furono soggetti a due fenomeni: da un lato vennero continuamente usati,
quindi trascritti e trasmessi; dall’altro vi fu un forte
controllo per rimanere fedeli al testo originale.
La Bibbia, Parola di Dio e parola umana
La Bibbia non è solo un semplice testo religioso.
Esso, infatti, oltreché come libro di meditazione religiosa e di preghiera, è allo stesso tempo un’opera
letteraria, poetica, e una fonte di documentazione
storica. Questa complessità deriva dal fatto che la
Bibbia ha un duplice fondamento: un’origine divina
e un carattere umano.
I generi letterari della Bibbia
Nella Bibbia sono presenti diversi generi letterari.
Per generi letterari intendiamo le varie forme o
maniere usate comunemente dagli uomini di un’epoca e di una certa regione per comunicare per via
scritta un discorso che ha certe finalità precise e
determinati argomenti come suo contenuto.
Esistono generi specifici per scrivere di poesia, per
narrare una storia, per trasmettere degli insegnamenti, per formulare una preghiera e così via. Pertanto,
per riuscire a capire e interpretare ciò che un autore
ha voluto comunicare, è fondamentale individuare il
genere letterario che egli usa, e tener presenti l’epoca
e il luogo in cui egli ha scritto. Infatti l’opera ha caratteristiche esteriori (lingua, stile, mezzi espressivi) simili a quelle delle altre opere del suo tempo e adatte a
trattare un tipo specifico di argomento.
L’interpretazione della Chiesa
Per leggere correttamente il testo biblico occorre
dunque saperlo interpretare. Secondo la religione
cattolica, la giusta interpretazione della Bibbia spetta al Magistero della Chiesa.
Il Magistero (dal latino magisterium,“insegnamento”)
è l’insegnamento esercitato dalla Chiesa stessa per
permettere agli uomini una piena comprensione
della fede in Cristo.
Secondo il Magistero solo la Chiesa, con la sua tradizione di fede, può interpretare correttamente la
Bibbia.
L’ispirazione divina e gli agiografi
Quando diciamo che la Bibbia è un libro di ispirazione divina, intendiamo che l’iniziativa della sua
stesura è partita direttamente da Dio e dalla sua
volontà. Ma, per rendere comprensibile la sua Parola,
Dio ha scelto degli uomini cui far giungere la sua
ispirazione. Tramite l’ispirazione tali uomini, detti
agiografi, hanno avuto l’intelligenza di comprendere e tradurre per il resto dell’umanità l’intendimento divino. Per mezzo di costoro, insomma, la
Parola divina ha acquistato le caratteristiche formali
della parola umana, per poter essere compresa da
tutti.
Agiografo deriva dal greco hàghios, “santo” e grapho,
“scrivo”: sono coloro che di fatto hanno redatto
(sono infatti detti anche “redattori”) il testo biblico.
Le traduzioni della Bibbia
Moltissime furono nel tempo le traduzioni del testo
biblico nelle varie lingue nazionali. Come abbiamo
ricordato, già nel III secolo a.C. l’A.T. venne tradotto in greco per gli ebrei residenti fuori della
Palestina. Questo testo venne utilizzato dai primi
cristiani e poi unito al N.T.
San Girolamo nel IV secolo d.C. tradusse sia l’A.T. sia
il N.T. in latino, dando luogo alla Vulgata, la versione più diffusa e utilizzata nel mondo.
Seguirono le traduzioni nazionali. In Italia si diffusero la Bibbia Diodati tra i protestanti (1607) e tra i
cattolici la Bibbia Martini (1781), tradotta dalla
Vulgata.
Nel 1971 la Conferenza Episcopale Italiana ha prodotto la traduzione italiana ufficiale, La Sacra Bibbia,
attualmente in fase di revisione.
Le diversità stilistiche della Bibbia
La Bibbia, dunque, è il risultato della cooperazione
guidata dell’uomo con Dio, per cui in essa si trovano tracce divine e tracce umane inscindibili. Bisogna
tener presente che ogni autore biblico ha scritto per
la gente del suo popolo e del suo tempo, il che giustifica la grande varietà di stili e di toni in essa
riscontrabili.
Come si cita un brano biblico
I titoli dei libri della Bibbia, che in genere corrispondono alle prime parole con cui comincia il
testo, vengono abitualmente citati in modo convenzionalmente abbreviato. Tutti i libri della Bibbia
sono divisi in capitoli e versetti.
Quando si citano brani della Bibbia si usano le regole che seguono:
Viaggio intorno alla Bibbia
sua Alleanza con Dio; Levitico: un insieme di
leggi religiose; Numeri: il cammino del popolo ebraico sino all’arrivo alla Terra Promessa;
Deuteronomio: un codice di leggi civili e religiose raccolto in tre grandi discorsi di Mosè;
• i Libri storici, 16 libri che presentano momenti
particolari della storia del popolo ebraico;
• i Libri poetici e sapienziali, 7 libri che educano
il popolo a vivere con saggezza nei confronti di
Dio e dei propri simili;
• i Libri profetici, 18 libri che raccolgono gli scritti dei profeti maggiori e minori.
La Comunità ebraica propone una suddivisione che
corrisponde solo in parte a quella cattolica:
– i 5 libri della “Legge Mosaica” (la Torah), un
insieme di norme e prescrizioni morali e legali
che guida il popolo al rispetto dell’Alleanza;
– i “Profeti”, 21 libri che raccolgono le tradizioni
storiche del popolo ebraico e dei grandi profeti
ebrei;
– gli “Scritti”, 13 libri di vario genere, composti per
insegnare al popolo la sapienza degli antichi, per
offrire buoni esempi di vita, per raccogliere preghiere o canti liturgici.
• Il primo numero indica il numero del capitolo.
(Gn 22 = Genesi capitolo 22);
• il numero che segue la virgola indica il numero del
versetto (Gn 22, 3 = Genesi, capitolo 22, versetto 3);
• il trattino (-) dopo il numero del versetto rimanda
ai versetti compresi tra i due numeri citati (Gn
22,3-13 = Genesi, capitolo 22, dal versetto 3 al
versetto 13);
• il punto dopo il versetto rimanda ai singoli versetti indicati (Gn 22, 3.13 = Genesi, capitolo 22, versetto 3 e versetto 13);
• il trattino (-) rimanda inoltre a un gruppo di capitoli (Gn 22, 3-25,11 = Genesi dal capitolo 22, versetto 3, al capitolo 25 fino al versetto11).
L’Antico Testamento
Abbiamo ricordato che nella Bibbia cristiano-cattolica i libri dell’A.T. ritenuti ispirati sono 46 e sono
così suddivisi:
• il Pentateuco: sono i primi 5 libri (che nella
Bibbia ebraica sono raggruppati sotto il nome di
Torah, la Legge) e cioè Genesi: i racconti delle origini e la storia dei patriarchi; Esodo: la storia della
liberazione del popolo ebraico dall’Egitto e della
ANTICO TESTAMENTO
LIBRI
LIBRI PROFETICI
PROFETICI
MACCABEI II
ESTER
MALACHIA
MACCABEI I
A
GIUDITT
NEEMIA
CRONACHE
NAUM
GIONA
C
AGGEO
SOFONIA
MICHEA
ABACU
ABDIA
DANIELE
OSEA
IELE
EZECH
BARUC
ISAIA
GEREMIA
CANTICO DEI
CANTICI
SIRACIDE
SAPIENZA
QOÈLET
PROVERBI
SALMI
AZIONI
LAMENT
AMOS
ELE
GIOBBE
CRONACHE
LIBRI
LIBRI STORICI
GIO
LIBRI
LIBRI SAPIENZIALI
SAPIENZIALI
ZACCARIA
TOBIA
ESDRA
RE II
RUT
RE I
GIOSUÈ
D
GIUDICI
NOM
RO
EUTE
NUMERI
LEVITICO
ESODO
GENESI
IO
I
ELE
I
EI
EL
U
SAM
U
SAM
LIBRI
LIBRI DELLA
DELLA LEGGE
LEGGE
(PENTATEUCO)
(PENTATEUCO)
5
Viaggio intorno alla Bibbia
Il canone del N.T. comprende:
- quattro Vangeli: Matteo, Marco, Luca, Giovanni;
- gli Atti degli apostoli;
- le Lettere;
- l’Apocalisse.
La formazione dell’A.T.
Come abbiamo ricordato i libri sacri dell’A.T. si
consolidarono attraverso successivi rimaneggiamenti, aggiunte, interpretazioni, fusioni con altri testi.
I momenti salienti di stesura dell’A.T. furono tre:
– il primo fu durante il regno di re Salomone (X
secolo a.C.), il quale comprese che per consolidare il suo Regno avrebbe dovuto favorire il formarsi di una cultura omogenea nel suo popolo,
recentemente giunto all’unità politica e amministrativa. Vennero stilate le prime redazioni delle
storie delle varie tribù, collegate tra loro da un filo
comune e cominciò così la storiografia ufficiale
del Regno unitario;
– il secondo momento fu durante il regno di Giosia,
re di Giuda (VII secolo a.C.), il quale si trovò ad
accogliere nel suo territorio i profughi del Regno
del Nord e a tentare di amalgamare le due culture
e le rispettive tradizioni;
– il terzo, infine, fu il periodo in cui Esdra e Neemia
(V secolo a.C.) lavorarono alla redazione definitiva
del Pentateuco e di tutta la Bibbia, ovvero degli
scritti esistenti fino a quel momento.
Cronologia degli scritti del N.T.
40 d.C. 1-2 Tessalonicesi
50
1-2 Corinti
Filippesi
Romani
Galati
Giacomo
60
1 Pietro
Colossesi
Efesini
Filemone
Tito
VANGELO DI MARCO
70
1-2 Timoteo
Ebrei
80
VANGELO DI MATTEO
VANGELO DI LUCA
Atti degli apostoli
Giuda
2 Pietro
90
VANGELO DI GIOVANNI
100
1-2-3 Giovanni
Apocalisse
Il Nuovo Testamento
Il N.T. è quella parte della Bibbia considerata sacra
dai cristiani, ma non riconosciuta dagli ebrei, in
quanto annuncia e parla di Gesù come Figlio di Dio
e Messia.
LETTERE
LETTERE EE APOCALISSE
APOCALISSE
II
III
I
GIOVANNI
GIOVANNI
VAN
N
I
APOCALISSE
COLOSSESI
AI
TITO
A
TIMOTEO
A
II
TIMOTEO
I
ONE
FILEM
A
AI TESSALONICESI
AI
AI TESSALONICESI
FILIPPESI
EFESINI
AGLI
GALATI
CORINZI
AI
CORINZI
II
GIO
RE
I
EB
LI
AG
II
I
A
LETTERE
LETTERE DI
DI PAOLO
PAOLO
GIUDA
PIETRO
I
GIACOMO
PIETRO
VANGELI
VANGELI EE ATTI
ATTI
AI
ROMANI
AI
ATT
I
GIOVAN
NI
LUCA
MARCO
MATTEO
NUOVO TESTAMENTO
AI
6
Viaggio intorno alla Bibbia
Vangelo predicato e Vangelo scritto
Il N.T. venne scritto in un arco di tempo di circa
cinquant’anni, in un periodo immediatamente successivo alla Resurrezione, e fu preceduto da un
periodo di trasmissione orale della Parola di Gesù.
Gesù non scrisse nulla, né chiese agli apostoli di scrivere il suo messaggio, bensì li esortò a predicare il
suo Vangelo.
La parolaVangelo è di origine greca e significa “lieto
annuncio”, “buona notizia”, “notizia di gioia e di
salvezza”. Venne usata per indicare il messaggio di
Gesù, secondo il quale la salvezza attesa da Israele era
vicina.
Occorre per chiarezza distinguere tra Vangelo di
Gesù,Vangelo su Gesù e Vangelo della Rivelazione.
• Il Vangelo di Gesù è il messaggio che Gesù di
Nazareth predicò annunciando il Regno di Dio;
• il Vangelo su Gesù è il messaggio che è stato predicato dagli apostoli ovvero l’annuncio della
Resurrezione di Gesù, del fatto che Gesù è il
Messia Figlio di Dio, delle sue parole e delle sue
azioni;
• il Vangelo della Rivelazione è Gesù stesso, in
quanto in Gesù, Dio stesso che si rivela, annuncia
a tutti gli uomini la salvezza.
In quel tempo, come abbiamo ricordato, si usava
molto la memoria e poco la parola scritta. I maestri
spirituali quando insegnavano usavano mezzi pedagogici che facilitavano la memorizzazione: ritmo,
ripetizioni, rime, similitudini… Anche Gesù, esprimendosi in aramaico, con frasi brevi, molto ritmate,
ricche di immagini, facili da ricordare, fece sì che gli
apostoli memorizzassero gran parte delle parole da
lui pronunciate.
Dopo la morte di Gesù gli apostoli, scossi dall’avvenimento pasquale e dalle apparizioni del Maestro, guidati
dallo Spirito Santo, su mandato di Gesù stesso cominciarono ad annunciare la Buona Notizia: è il Vangelo
predicato, prima in aramaico, poi ben presto in greco.
Via via che il tempo passava e i testimoni oculari
scomparivano, divenne sempre più forte la necessità
di mettere per iscritto l’insegnamento orale degli
apostoli, affinché gli elementi fondamentali della
fede cristiana non subissero, anche involontariamente, modifiche e manipolazioni.
Inoltre, poiché l’apostolo testimone e fondatore della comunità non poteva essere sempre presente, in
risposta a bisogni concreti e chiarimenti, venivano
inviate lettere (o, con termine greco, epistole) con lo
scopo di esplicitare ulteriormente o approfondire
l’annuncio kerigmatico, ovvero il messaggio pasquale, la Resurrezione di Gesù come punto di partenza fondamentale della predicazione cristiana.
Kerygma in greco significa annuncio: è la proclamazione solenne di un fatto. Nel nostro caso il fatto
annunciato dagli apostoli è la morte e Resurrezione di Gesù e il suo significato di salvezza per tutti gli uomini.
7
La formazione dei Vangeli
Nell’elaborazione dei loro scritti, gli evangelisti si
rifecero alle testimonianze sulla vita di Gesù: sia
quelle tramandate oralmente, sia quelle raccolte in
forma scritta e anonima, senza indicazione dell’autore. Si trattava 1) delle più antiche fonti kerigmatiche, contenenti il racconto della passione-morteResurrezione; 2) di narrazioni contenenti la raccolta dei miracoli; 3) dei cosiddetti “lòghia”, cioè i detti
e le massime più memorabili di Gesù.
Marco scrisse per primo il suo Vangelo, intorno al
65 d.C. circa, rifacendosi alla predicazione di Pietro
e alle raccolte precedenti. Seguirono Matteo e Luca,
che utilizzarono entrambi il testo di Marco, unitamente a un’altra fonte comune, la fonte Q (dal tedesco Quelle, fonte).
Giovanni scrisse molto più tardi il suoVangelo e rielaborò il materiale in modo autonomo.
Jacob Jordaens, I quattro evangelisti, secolo
(Parigi, Museo del Louvre).
XVII
I Vangeli sinottici
I Vangeli di Marco, Matteo e Luca sono detti sinottici (da “sinossi”, termine che deriva dal greco
sýnopsis che significa “sguardo d’insieme”), in quanto, se si confrontano tra loro mettendoli in colonne
diverse, ma nella stessa pagina, si possono cogliere le
molteplici affinità e i frequenti parallelismi, dovuti al
fatto che gli autori dei Vangeli sinottici usarono tradizioni orali e fonti scritte comuni.Tuttavia un’analisi più attenta rivela che ogni evangelista rielaborò i
dati in modo originale e secondo le esigenze della
comunità cui era rivolto lo scritto.
8
Viaggio intorno alla Bibbia
La storicità dei Vangeli
IVangeli sono libri storici, in quanto riportano testimonianze attendibili su un fatto storico: la vita e la
predicazione di Gesù.
Tuttavia non possono essere considerati fonti storiche
vere e proprie, in quanto la loro finalità non è quella
di offrire un quadro completo e fedele della vita di
Gesù e dei suoi tempi, bensì quella di mettere in risalto gli episodi dell’esperienza vissuta dalla Chiesa delle
origini, della Pasqua di Cristo, volti a dimostrare che
la presenza di Cristo risorto continua nel presente,
non è un semplice fatto concluso in un’epoca storica,
ma continua a verificarsi nella sua Chiesa.
I Vangeli sono insomma una testimonianza di fede.
Perciò se, da un lato, è possibile compiere una ricerca sul Gesù storico presente nei Vangeli, d’altro lato
la testimonianza evangelica si propone la finalità di
far comprendere ai lettori il mistero di Cristo, Figlio
di Dio, e di condurre il lettore all’adesione nella
fede: “Queste cose sono state scritte perché crediate che
Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate vita nel suo nome” (Gv 20,31).
I quattro Vangeli
Ogni evangelista rivela un approccio personale nel
presentare la figura di Gesù. OgniVangelo ha una sua
struttura, un suo progetto e una sua visione teologica, cioè un modo specifico di interpretare la persona e l’opera di Gesù.
Il Vangelo di Matteo
Matteo, uno dei dodici apostoli, faceva parte di una
comunità di cristiani provenienti dall’ebraismo. Ciò
spiega perché nel suo testo viene dato ampio spazio
alle parole di Gesù, attraverso cinque solenni discorsi; nel contempo vi è un’attenzione particolare a
collegare la figura e l’insegnamento di Gesù all’A.T.
La stesura definitiva del suo Vangelo viene fatta risalire all’80 d.C. circa e comprende 28 capitoli.
Il Vangelo di Marco
Marco fu discepolo e interprete di Pietro e scrisse il
suoVangelo probabilmente a Roma, per pagani convertiti. Nel suo testo il lettore viene avviato su un
itinerario che procede dall’oscurità verso la piena
rivelazione.
Gesù è presentato come un uomo, che però compie
atti sorprendenti di liberazione dal male nei confronti di coloro che sono malati sia fisicamente sia
spiritualmente. A metà del suo cammino Gesù è
riconosciuto da Pietro come il “Cristo”, cioè il
Messia.
Questo Messia non viene presentato come un trionfatore bensì come uno sconfitto, ma è proprio nella
passione, morte e Resurrezione che si scopre il
segreto ultimo di Gesù e i discepoli arrivano alla
piena professione di fede.
IlVangelo di Marco, composto di 16 capitoli, è il più
breve dei quattro.
Il Vangelo di Luca
Luca, collaboratore di Paolo di Tarso, possedeva una
notevole cultura greca e giudaica. Scrisse il suo
Vangelo intorno all’80 d.C. ed è indicato anche
come l’autore del libro degli Atti degli apostoli.
I destinatari del suo scritto sono tutti i cristiani provenienti dal mondo pagano.
Al centro del racconto di Luca vi è un lungo viaggio che conduce a Gerusalemme, partendo dalle
origini di Cristo e dalla sua predicazione nella regione settentrionale della Galilea sino alla morte e alla
gloria prima dell’ascensione in cielo.
Nel viaggio verso Gerusalemme Luca tratta i temi
che ai suoi occhi meglio raffigurano il volto di
Cristo: l’amore, la gioia, la povertà, lo Spirito Santo,
la preghiera, la vigilanza.
Il Vangelo di Luca è composto di 24 capitoli.
Il Vangelo di Giovanni
Giovanni è identificato dalla tradizione con l’apostolo e la data di redazione definitiva dello scritto
viene fatta risalire alla fine del I secolo, ad opera della
comunità che riconosceva in lui il suo fondatore.
Il testo è molto elaborato e complesso, ricco di simboli ed è destinato a tutti i cristiani che vogliono
conoscere meglio il messaggio di Gesù.
Il Vangelo di Giovanni è composto di 21 capitoli, e
si apre con un celebre Prologo, un inno che esalta
Cristo come Parola,Verbo divino, entrato però nella
“carne” dell’umanità.
Gli altri scritti del N.T.
Gli altri testi del N.T. nacquero per esigenze successive alla morte di Gesù e su richiesta della comunità
cristiana.
Gli Atti degli apostoli
Il libro degli Atti degli apostoli può essere definito
“…un grande affresco della vita missionaria della Chiesa
delle origini tratteggiato dall’evangelista Luca” (Ravasi).
Fu composto intorno all’80 d.C. L’autore descrive la
nascita della Chiesa e il suo sviluppo, guidato dallo
Spirito Santo, e racconta come il Vangelo, predicato
da Pietro, dagli altri testimoni e soprattutto da Paolo,
raggiunse Roma, la capitale dell’Impero, attraversando l’intera area del Mediterraneo.
Le lettere degli apostoli
Si tratta di una serie di lettere indirizzate dagli apostoli ad alcune comunità cristiane. Comprendono:
• il complesso delle Lettere di Paolo: sono 13 scritti contrassegnati in modo esplicito dal nome dell’apostolo Paolo ed un quattordicesimo che è a sé
stante, la Lettera agli ebrei. Questa venne attribuita
L’ebraismo
a Paolo sin dal II secolo, ma in realtà oggi è considerata nettamente distinta dall’epistolario paolino.
• Nelle lettere di Paolo sono contenute ampie riflessioni teologiche su Gesù Cristo e sulla Scrittura e
vengono trattate tematiche d’ordine pratico e di
ordine teorico che le prime comunità cristiane si
trovavano a dover affrontare nei contatti con il
mondo ebraico e il mondo pagano;
• le Lettere cattoliche, 7 lettere composte tra il 60
e il 100 d.C., attribuite agli apostoli Giacomo,
Pietro, Giovanni e Giuda, e definite “cattoliche”
cioè “universali” dalla tradizione, che le ha considerate dirette a tutta la cristianità.
9
L’Apocalisse
Il testo, attribuito a Giovanni, è l’ultimo libro della
Bibbia e venne scritto intorno alla fine del I secolo
d.C. È indirizzato alle Chiese dell’Asia Minore, colte
nel loro travagliato itinerario terreno, ma prospetta il
loro destino glorioso, raffigurato dalla Gerusalemme
celeste, la città della speranza e dell’incontro pieno
con Cristo.
Il libro è scritto utilizzando un linguaggio letterario
costellato di simboli gloriosi e terribili e questo ha
fatto sì che nel tempo il suo messaggio di speranza
venisse equivocato o non compreso.
L’ebraismo
Origini e diffusione
L’ebraismo è il complesso della cultura e della religione del popolo ebraico. Con il termine giudaismo
si intende invece la religione ebraica posteriore alla
distruzione del Tempio di Gerusalemme e propria
della diaspora.
In seguito alla diaspora gli ebrei si diffusero in Asia,
in Europa e in America.
Dal 70 d.C. fino al 1948, la storia degli ebrei è quella di un popolo che è unito dalla stessa fede, dalla
stessa legge e dallo stesso culto, ma senza una patria.
Nel 1948, per decisione dell’ONU, venne ristabilito
lo stato d’Israele e gli ebrei poterono tornare in una
loro patria. Già dai primi giorni della proclamazione del nuovo Stato, si svilupparono tensioni e contese con i popoli vicini (arabi e palestinesi).
Nonostante Israele abbia realizzato il sogno degli antichi ebrei (quello di avere una patria), la loro diaspora non è ancora finita.
Attualmente il numero degli ebrei è di 16 milioni,
distribuiti in 105 paesi, di cui 4 milioni vivono in
Israele.
La divinità
Gli ebrei credono in un unico Dio (YHWH), che è
il creatore e il signore dell’universo, è l’essere trascendente che non si può contemplare faccia a faccia, e la cui realtà sfugge all’uomo.
Essi credono che Dio abbia un rapporto speciale, di
Alleanza, con il popolo ebraico.
La parola “Alleanza” significa solenne accordo: la
Bibbia narra che 4000 anni fa Dio ha stretto con
Abramo e i suoi discendenti un reciproco impegno
di fedeltà.YHWH non tradirà mai il suo popolo e il
popolo si impegna a rispettare il patto di Alleanza
attraverso l’obbedienza alla legge.
La menorah, candelabro a sette bracci, è uno dei simboli
più importanti dell’ebraismo.
Gli ebrei credono che YHWH abbia parlato per
mezzo dei Profeti e che verrà l’età messianica come
tempo di pace e di giustizia.
Le credenze fondamentali
Le verità di fede dell’ebraismo possono essere così
schematizzate:
• fede in un solo Dio Creatore e Signore dell’universo, che affida all’uomo il mondo, perché sia felice
nella comunione con Lui. Fede nel perdono di Dio,
che toglie il peccato (fonte e origine di ogni male);
10
L’ebraismo
• fede nell’Alleanza di Dio con il suo popolo, in vista
di un futuro di salvezza nei tempi messianici;
• fede in tutto ciò che è scritto nella Legge (la
Torah);
• fede in un futuro messianico nel quale regneranno
pace, giustizia e abbondanza di ogni bene.
Una sintesi della dottrina ebraica è contenuta nella professione di fede elaborata dal filosofo ebreo
Maimonide (1135-1204). Comprende i seguenti
punti:
1. “Io credo con fede completa che il Creatore
Benedetto ha creato e governa tutte le creature;
Egli solo fece, fa e farà ogni cosa.
2. Io credo con fede completa che il Creatore
Benedetto è unico e che non vi è altra unicità
che la Sua: Egli solo è il nostro Dio, fu, è e sarà.
3. Io credo con fede completa che il Signore non
ha corpo, né possiede gli attributi del corpo, né
alcuna forma.
4. Io credo con fede completa che il Creatore è il
primo e l’ultimo.
5. Io credo con fede completa che il Creatore è
l’unico che si deve pregare e a nessun altro devono essere rivolte le nostre preghiere.
6. Io credo con fede completa che tutte le parole
dei profeti siano vere.
7. Io credo con fede completa che la profezia di
Mosè nostro maestro – su di lui sia pace – è vera.
Egli era il capo dei profeti per coloro che lo
hanno preceduto e per coloro che lo hanno
seguito.
8. Io credo con fede completa che la Torah che noi
possediamo è stata data a Mosè.
9. Io credo con fede completa che questa Torah
non sarà cambiata e non vi sarà più un’altra Torah
da parte del Creatore Benedetto.
10. Io credo con fede completa che il Creatore
conosce tutte le opere dell’uomo e tutti i suoi
pensieri.
11. Io credo con fede completa che il Creatore
ricompenserà coloro che seguono i suoi precetti e punirà coloro che li trasgrediscono.
12. Io credo con fede completa nella venuta del
Messia e per quanto egli ritardi, io l’attenderò
ogni giorno.
13. Io credo con fede completa che vi sarà la resurrezione dei morti quando piacerà al Signore.”
I libri sacri
Il libro sacro degli ebrei è scritto in ebraico e si intitola “Bibbia”. È lo stesso nome del testo sacro dei cristiani e, come abbiamo visto, coincide con i libri della
prima parte della Bibbia cristiana (denominata Antico
Testamento e corrispondente a 24 libri in quanto
sono esclusi Tobia, Giuditta, 1 e 2 Maccabei, Sapienza, Siracide, Baruch e alcune sezioni di Ester e di
Daniele).
La Bibbia ebraica è anche chiamata Tanach, sulla base
delle iniziali (T, N, K) dei tre corpi di testi che lo
compongono: Torah (Legge), Nebi’im (Profeti) e
Ketubim (Scritti).
La parte più importante è la Torah che comprende i
cinque libri che contengono l’insegnamento di Mosè: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio.
Nella Bibbia cristiana questi stessi libri sono denominati Pentateuco.
Gli ebrei ortodossi credono che questi libri siano
stati dati direttamente da Dio a Mosè.
La vita morale
La morale ebraica è quella dell’Alleanza: si ritrova
fondamentalmente nella Legge (Torah) ed è riassunta nel Decalogo (10 Comandamenti). Il sentimento
di dipendenza dell’uomo verso Dio è l’elemento
chiave della coscienza ebraica.
Una serie di doveri aiutano l’individuo a elevarsi, a
riconoscere la volontà di Dio.
Nei giorni feriali, come nei festivi, nei riti come nelle
cerimonie famigliari, l’ebreo matura una serie di atteggiamenti che contribuiscono ad alimentare in lui il senso
del divino, la presenza dell’Assoluto in lui e attorno a lui.
La Mezuzah (piccolo astuccio attaccato allo stipite
della porta e contenente una sottile pergamena in
cui sono tracciati i più importanti principi quali l’unità di Dio, l’amore del Signore verso l’umanità, i
doveri che si hanno verso la famiglia) richiama
giornalmente il dovere dello studio della Torah e la
fedeltà a certe pratiche (quali l’osservanza rituale del
sabato e delle celebrazioni festive, la recita delle
benedizioni per testimoniare che l’uomo vive in un
universo animato dall’eterna presenza del Creatore,
la precettistica delle norme alimentari).
L’alimentazione
Nella cucina ebraica non sono semplicemente seguite delle consuetudini, ma applicate delle vere e
proprie regole. Kasher è il termine che le definisce
nel loro complesso (letteralmente significa “puro”).
Carne: si possono mangiare solo mammiferi che
hanno lo zoccolo e l’unghia divisa in due e che
ruminano, il che esclude, ad esempio, i maiali.
La carne deve essere macellata, da parte di persona
esperta e autorizzata dalle autorità rabbiniche, mediante l’uso di un coltello affilatissimo, secondo un
procedimento che comporta la morte istantanea e il
totale dissanguamento dell’animale.
Latticini: non si possono mangiare contemporaneamente con la carne.
Volatili: non sono permessi gli uccelli rapaci e quelli notturni.
Pesci: solo quelli con pinne e squame.
L’ebraismo
Frutta e verdura: non ci sono limitazioni o divieti.
Cibi simbolici: sono preparati per il Seder di Pesach, il
pasto rituale di Pasqua (Seder significa “ordine”). Si tratta di erbe amare che simboleggiano l’amarezza della
schiavitù in Egitto, di erbe verdi associate alla primavera, di un uovo che rappresenta la vita che si rinnova, di
un cosciotto d’agnello, di acqua salata che ricorda le
lacrime degli israeliti e di una mistura di mele, noci,
cinnamomo e vino come ricordo dell’argilla con cui
gli ebrei schiavi d’Egitto costruivano piramidi e silos.
L’insegnamento della Torah
La Torah è una guida, un insegnamento, che include
la legge di vita degli ebrei.
Vi sono 613 comandamenti, dei quali 248 sono
positivi e 365 negativi. Rispettandoli, gli ebrei dicono “sì” al volere di Dio. Le leggi secondo gli ebrei
non devono essere spiegate, ma sono la proclamazione di un codice d’amore, un modo visibile per
accettare che Dio ha scelto Israele per essere una
comunità santa.
I comandamenti contengono leggi rituali, norme
igieniche e comandi etici.
Tra le 613 leggi ci sono i Dieci Comandamenti che,
scritti su tavolette poste nell’arca dell’Alleanza costruita ai tempi di Mosè, erano custoditi nel tempio
di Gerusalemme da Salomone nel X sec. a.C. e poi
distrutto nel V sec. a.C. dai babilonesi.
La Torah scritta non può trattare ogni situazione della
vita. L’applicazione e il senso della Torah nel corso dei
secoli vennero trasmessi perlopiù oralmente. Si ebbe
così la Torah “she be’al peh” (la Torah che procede dalla
bocca), divenuta la base dello studio ebraico e fu raccolta nel II sec. dal rabbino Judah ha-Nasi, nella
Mishnah, ovvero “ciò che viene imparato più volte”.
La Mishnah divenne a sua volta la base per il Talmud
babilonese del VI sec. d.C. Si tratta di un’opera così
estesa che furono scritti numerosi manuali e riassunti per aiutare i lettori ad orientarvisi.
Per comprendere l’importanza del Talmud e il suo
influsso sul popolo si devono considerare i principi
ispiratori: la convinzione che esista una legge orale
accanto a quella scritta e che la santità, ideale di vita
per ognuno, si raggiunga attraverso l’osservanza dei
divini precetti (mitzvot).
Il rispetto di queste leggi giunse ad essere considerato un dovere religioso, e gli ebrei rimasero una
comunità distinta da tutti gli altri popoli proprio
grazie alla pratica di tali rituali.
La Torah è tradizionalmente scritta su rotoli, i quali
sono custoditi nella sinagoga in un armadio chiamato “arca”. Quando non sono usati, i rotoli della Torah
sono arrotolati e coperti. Solitamente sulla sommità
dei contenitori dei rotoli si trovano corone chiamate Keter Torah (corona della Legge) che sono il simbolo della sovranità della Legge nella vita ebraica.
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Il culto e i luoghi religiosi
L’istituzione della sinagoga, il centro ebraico del
culto e dell’istruzione nella Torah, risale al VI sec.
a.C., al tempo dell’esilio babilonese. Dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme nel 70 d.C.,
numerosi rituali del culto tradizionali del Tempio
furono incorporati nel culto presso la sinagoga.
Mattino, pomeriggio e sera le cerimonie che si svolgono nella sinagoga corrispondono a quelli che
erano gli orari dei sacrifici del Tempio.
La preghiera tuttavia può aver luogo in ogni
momento e in ogni luogo, anche se in tutto il mondo ebraico la sinagoga è divenuta luogo di culto e di
studio.
Nella sinagoga, infatti, si tengono lezioni, si trovano
gli uffici comunitari e i servizi per la comunità.
Gli edifici sono costruiti rivolti verso la città di
Gerusalemme, luogo sacro per la religione ebraica, e
l’armadio a muro sulla parete più lontana rispetto
all’ingresso, contenente i rotoli della legge, è chiamato “arca”.
Nelle sinagoghe non si trovano quadri o statue, in
osservanza al comandamento che vieta di farsi immagini, possibile oggetto di idolatria.
Nella parte centrale si trova il baldacchino sotto il
quale si svolgono i riti.
Il punto più importante della sinagoga è l’armadio
sacro dove sono custoditi i rotoli della Torah. Questi
rotoli sono rigorosamente in pergamena e scritti a
mano.
Davanti all’armadio, pende una lampada perpetua
che rievoca simbolicamente la funzione dell’antica
lampada che ardeva perennemente nel Santuario e
che rappresentava la luce spirituale della Torah.
L’interno del Tempio con le suppellettili per il culto
(miniatura del XV secolo).
12
L’ebraismo
La preghiera
La preghiera è molto importante nella religione
ebraica.
La liturgia è descritta come “servizio del cuore”.
Include lo Shema Israel (la dichiarazione di fede dell’ebraismo: “Ascolta, Israele, il Signore è nostro Dio,
il Signore è uno solo”) e l’Amidah (una serie di
benedizioni che usano la formula “Benedetto sei Tu
o Dio, re dell’universo”).
Tradizionalmente nell’ebraismo gli uomini e le donne pregano divisi: le donne stanno nel matroneo.
Questo non avviene più oggi nell’ebraismo riformato. Alle donne non è richiesto il servizio quotidiano. Gli uomini hanno l’obbligo di pregare a capo
coperto, ma, in genere, fanno così anche le donne.
Nei giorni feriali, per le preghiere del mattino, gli
uomini solitamente mettono i filatteri sulla fronte e
sul braccio sinistro, che è accanto al cuore: sono piccole capsule che contengono versetti della Torah,
scritti su pergamena. La preghiera si tiene alla sera, al
mattino e al pomeriggio.
Il momento più profondo della preghiera ebraica è
durante la festa del sabato, giorno di riposo totale e
di astensione da qualsiasi lavoro.
Il sabato comincia al venerdì sera con il tramonto
del sole. Nelle case si consuma un pasto, come rito
religioso, in cui il padre benedice il vino e spezza il
pane del sabato.
Nelle funzioni del sabato ha un’importanza particolare la lettura della Torah.
Le persone sacre
La celebrazione del culto nella sinagoga può essere
officiata da qualsiasi maschio ebreo adulto, purché
capace di leggere e comprendere il testo ebraico.
Il rabbino non ha la funzione di un sacerdote, ma è
un maestro che ha l’autorità per guidare la comunità
cui è a capo. Non solo esercita mansioni religiose
come predicazione, matrimoni, funerali, ufficio pastorale, istruzione, ma dirime anche le questioni della
legge religiosa.
Gli addetti della sinagoga sono il rabbino (il capo e
l’insegnante in materia di religione), il cantore (il
capo delle cerimonie) e l’inserviente.
Le cerimonie liturgiche possono essere anche guidate da membri laici della comunità.
Una cerimonia completa non può avere luogo senza
un minian, ovvero un gruppo minimo di dieci uomini adulti.
Le feste religiose
Il calendario festivo ebraico è luni-solare, nel senso
che in esso l’anno solare costituisce la grande unità
di tempo e tuttavia si articola secondo le evoluzioni della luna.
Tutte le feste cominciano la sera del giorno precedente e continuano sino alla sera successiva.
Il calendario ebraico annuale è costellato da un certo
numero di celebrazioni festive d’origine diversa che si
sono imposte in epoche diverse della storia. Una
prima categoria comprende le tre feste bibliche considerate propriamente maggiori: la Pasqua (Pesach),
la Pentecoste (Shavuot) e la Festa delle Capanne
(Sukkoth), note anche come feste di pellegrinaggio e
con in comune il tema della gioia alla presenza di Dio.
La celebrazione della Pesach dura sette giorni (otto
giorni nella diaspora) dal 15 al 22 Nisan.
Si tratta originariamente di una festa agricolopastorale primaverile relativa alla celebrazione della
nascita, della ricrescita e del primo raccolto di cereali, che in seguito venne collegata al ricordo di
determinati eventi della storia della salvezza ebraica.
La festa di Pasqua si rifà all’uso dei popoli nomadi
di offrire in primavera il sacrificio di un giovane
animale maschio del gregge, di spargere il sangue sui
pali della tenda per allontanare così l’influsso degli
spiriti cattivi e di mangiare la carne arrostita bruciando gli avanzi ed è nelle sue origini da associare
a riti di transizione.
Nel suo significato storico la Pesach è divenuta la
festa della liberazione dalla schiavitù d’Egitto; un’unica festa memoriale da celebrare di anno in anno
(Es 13,8-10) il cui significato spirituale è che Dio è
il Redentore.
Il momento culminante e caratteristico della Pasqua
è il banchetto pasquale o Seder. Le sue origini risalgono al rito dell’agnello pasquale che veniva ucciso
nel Tempio il pomeriggio della vigilia e mangiato
cerimoniosamente in casa la sera della prima notte
della festività.
Momento centrale della serata, caratterizzato dalla
partecipazione attiva di tutti i presenti, è la lettura di
un libro chiamato Haggadah sel Pesach (la cui compilazione definitiva risale al V sec. d.C.) in cui si
parla dell’uscita dall’Egitto, non in modo sistematico bensì alternando racconti, commenti ed interpretazioni rabbiniche, acrostici e canti, filastrocche e
benedizioni.
Durante il Seder è tradizione bere i quattro bicchieri della redenzione, dall’Esodo (prima del pasto) al
Messia (dopo il pasto). È tradizione lasciare un
posto vuoto a tavola e mettere da parte un bicchiere di vino per il profeta Elia, di cui si attende la
venuta in qualità di annunciatore dell’era messianica. Sul vassoio al centro della tavola vi sono il pane
azzimo, in ricordo della fretta della partenza, le erbe
amare, in ricordo dell’amarezza della schiavitù, l’impasto di frutta (charoset) che simboleggia il fango con
cui gli schiavi ebrei erano obbligati a fabbricare mattoni, la zampa dell’agnello, in ricordo del sacrificio
dell’agnello, l’uovo che simboleggia i cambiamenti
della sorte umana, la rinascita a una nuova vita.
L’islam
Si registrano come celebrazione a parte la Convocazione d’autunno con l’anno nuovo (Ro’sh ha-shanah) e il giorno del Grande perdono (Jom haKippurim).
Vi sono poi celebrazioni secondarie come la festa della
Dedicazione (Hannukkah) e la festa di Ester (Purim)
oltre a diversi giorni di digiuno, alcuni dei quali evocano le grandi catastrofi del passato. La maggior parte
delle feste minori nel tempo sono diventate popolari
e alcune sono celebrate più di altre maggiori. La gioia
festiva si esprime tradizionalmente banchettando con
carne e bevande, acquistando nuovi abiti per le donne
e rispondendo generosamente alle richieste di carità.
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L’idea della morte e dell’aldilà
Le rappresentazioni della vita dopo la morte erano
poco sviluppate nell’ebraismo antico, com’è dimostrato dal fatto che per le azioni buone o cattive non
si prospetta una retribuzione nell’aldilà, bensì un
premio o una punizione per i discendenti. I morti
vegetano all’interno della terra, negli inferi. Più
tardi, probabilmente dopo l’esilio e con qualche
influsso persiano, sorse la credenza in una resurrezione della carne alla fine del mondo e in un giudizio universale, per cui i buoni saranno compensati
con la vita eterna, e i cattivi con la “vergogna” e con
l’“orrore eterno”.
L’islam
Islam (cioè “dedizione a Dio”) è la denominazione
scelta da Muhammad (noto in Occidente come
Maometto) per la religione da lui predicata. Indica il
sistema di credenze e di riti basati sul Corano.
Gli aderenti a questa religione si chiamano musulmani, da muslim, colui che abbraccia l’islam e lo
segue fedelmente: è “il sottomesso”.
Oggi si può considerare l’islam come una religione
universale: oltre un miliardo sono infatti i musulmani nel mondo. Le comunità più numerose si trovano
nel sub-continente indiano (Pakistan, India e Bangladesh), nell’Africa sub-sahariana, nel Vicino e nel
Medio Oriente. La presenza di islamici nell’ex URSS
e nei Paesi Balcanici è significativa; mentre in
America e in Europa è in costante aumento. In Italia
è la seconda religione dopo il cattolicesimo.
L’islam è al tempo stesso religione e comunità temporale, una comunità che riunisce da un lato i rapporti del credente con Dio, dall’altro i rapporti dei
credenti tra loro, su livelli di morale, di sociologia e
di politica. L’islam come religione e comunità è
internazionale e tende ad assorbire le differenze
etnico-sociali. Il termine per indicare questo concetto di popolo e nazione, di “coloro che vogliono
vivere insieme” è umma (letteralmente “comunità”).
Il fondatore
Figlio di Abdallah e di Amina, Muhammad (“colui
che è lodato”) nacque verso il 570 d.C. alla Mecca,
da un ramo collaterale e impoverito della nobile
famiglia dei Quraishiti. Rimasto orfano ben presto,
dovette lavorare come pastore, finché fu assunto dalla
ricca vedova Khadigiah come cammelliere e poi
come capo delle sue carovane commerciali; più
tardi, venticinquenne, egli sposò la vedova, più vecchia di lui di quindici anni.
Muhammad avrebbe potuto condurre la vita di un
ricco commerciante, se la sua esistenza non fosse
stata cambiata radicalmente a causa di una serie di
visioni avute in una grotta della Mecca. Grazie a
queste visioni, in cui, secondo la tradizione, gli si
presentò l’arcangelo Gabriele, egli si convinse di
essere stato eletto come “profeta” degli arabi, per
annunciare l’unicità di Allah, che era una delle divinità venerate in un ambiente politeista, in cui vigevano i culti più svariati (molto diffusa era la litolatria, cioè il culto delle pietre ritenute sacre).
A poco a poco gli si raccolsero intorno anche alcune personalità influenti; però l’opposizione della
maggior parte dei cittadini della Mecca contro di lui
era così forte, che egli decise di lasciare la città natale e di trasferirsi a Yathrib, l’attuale Medina (che
significa appunto “città del Profeta”).
Questo trasferimento (egira) ebbe luogo il 15-16
luglio dell’anno 622 d. C. e costituisce l’inizio del
computo cronologico islamico. A Medina, Muhammad divenne in breve tempo una delle persone più
influenti della città e il più eminente uomo politico
e capo militare. Nel 630 conquistò la Mecca con il
suo esercito: seppe sfruttare la vittoria alternando
severità e mitezza e diventò il capo supremo di uno
stato teocratico, cui aderirono, in numero sempre
crescente, altre tribù arabe. Morì l’8 giugno 632.
L’espansione dell’islam continuò dopo la morte del
Profeta: grazie ai suoi successori, i califfi, l’islam si
diffuse fino all’India e all’Indonesia, in Africa e poi,
attraverso la Spagna, in Europa, dove l’avanzata fu
fermata dal re franco Carlo Martello nel 732 a
Poitiers, in Francia. Nell’est europeo attraverso l’impero ottomano l’espansione arrivò fino a Kiev, in
Ucraina (1683).
L’importanza storica di Muhammad consiste soprattutto nell’aver unificato le tribù arabe rimaste in
14
L’islam
ombra fino ad allora, avviandole a grandi imprese,
soprattutto di carattere militare. Fondando la religione musulmana, egli non solo diede al popolo un
eccezionale impulso politico, ma lo innalzò anche a
un livello spirituale più alto sostituendo con un
monoteismo assoluto le varie forme di idolatria
prima esistenti.
Le correnti
Dopo la morte di Muhammad l’islam si divise in
due correnti principali che differiscono tra di loro
per alcune sfumature delle convinzioni teologiche e
politiche:
• i sunniti, che derivano il loro nome dalla sunna, la
tradizione del Profeta riconosciuta dalle principali
scuole giuridiche;
• gli sciiti, gli appartenenti, cioè, alla shia, partito di
Alì, il genero del Profeta, riconosciuto come suo
unico legittimo successore.
Vi è poi il gruppo minoritario dei karajiti, che rappresentano una corrente assai rigorista.
Alla corrente mistica appartengono i sufi, la cui spiritualità si caratterizza per la ricerca dell’amore puro
e disinteressato.
La divinità
Allah è considerato l’unico Dio, creatore del mondo
e dell’uomo. Egli è venerato con 99 “nomi belli”,
ognuno dei quali esprime un aspetto della sua personalità (per esempio Rivelatore, Sostegno, Giudice,
l’Eternamente Saggio, l’Eternamente Compassionevole). L’islam insegna che esiste un centesimo
nome che non è mai stato rivelato: Dio supera ogni
conoscenza umana. L’uomo è lo Abd Allah, il servo,
lo schiavo, il dipendente dalla divinità.
Il mondo ultraterreno è popolato da angeli, dei quali
il più importante è Gabriele, spiriti (ginn), demoni
che però non intaccano l’unicità di Dio, cui si oppone Iblis (satana), come forza del male.
I testi sacri: Corano e Hadith
Il testo sacro dell’islam è il Corano, un’opera redatta
in prosa rimata araba, divisa in 114 capitoli (surah),
ordinati in modo che dopo una breve surah iniziale
i singoli pezzi si succedono in ordine decrescente
secondo la loro lunghezza: la seconda surah conta
286 versi, mentre le ultime contengono soltanto
pochi versi. Le surah più interessanti, dato il loro
contenuto religioso, sono quelle scritte alla Mecca
ed essendo le più brevi compaiono alla fine del testo.
Secondo la concezione dei musulmani, il Corano (la
parola significa “lettura”) contiene le rivelazioni
ricevute dal Profeta direttamente da Dio o per
mezzo dell’angelo Gabriele. Il contenuto del Corano è comunque assai vario.Accanto alle lodi a Dio,
dettate da un profondo sentimento religioso, e alle
vivaci descrizioni della sua unicità, grandezza e
misericordia, ci sono impressionanti descrizioni del
giudizio universale, delle bellezze del paradiso e dei
tormenti infernali.
In molti passi si accosta a leggende ebraiche e cristiane, spesso rielaborate, perché il Profeta, che probabilmente non sapeva né leggere né scrivere, non
disponeva di testi biblici, e gli erano giunti all’orecchio solo resoconti orali.
Grande spazio occupano nel Corano le disposizioni
sul culto, sulla vita sociale, e osservazioni su vicende
che riguardano il Profeta stesso.
Poiché per il suo contenuto il Corano era incompleto come manuale di legge religiosa e civile, per
soddisfare tutte le esigenze legate al cambiare dei
tempi e a un numero sempre più elevato di aderenti alla religione islamica, si ricorse all’autorevole tradizione, alla sunnah (propriamente “norma), come
legge per la vita culturale e sociale. Questi resoconti sulle parole e azioni del Profeta e dei suoi primi
discepoli, che rappresentano il modello e la guida
per il pensiero e l’opera di tutti i musulmani, sono
chiamati Hadith. Si presentano in una serie di raccolte. Anche se molte delle parole attribuite al Profeta non possono certo risalire a lui, esse sono tuttavia caratteristiche e preziose come espressione del
genuino sentimento musulmano.
Le credenze fondamentali
Muhammad insegnò che gli articoli della fede islamica sono sei:
1. credere in Allah, uno, unico, il quale non ha compartecipi nella sua qualità divina, a nessun titolo;
2. credere nell’esistenza degli angeli, come creature
di Allah e senza alcun titolo per ricevere culto e
non con il potere di fare grazie;
3. credere nella provenienza divina dei testi originari dei libri indicati nel Corano come provenienti
da Allah (i fogli di Abramo, la Torah, i Salmi, il
Vangelo, il Corano) di cui tuttavia solamente il
Corano contiene il testo integrale, incontaminato
da manipolazione umana della parola di Allah;
4. credere nella missione apostolico-profetica affidata a Muhammad, avente come destinatari tutti gli
uomini, e nei messaggeri di Allah inviati prima di
lui, tra i quali hanno posizioni di rilievo Adamo,
Noè, Abramo, Ismaele, Isacco, Giacobbe, Mosè,
Salomone, Davide, Gesù, Giovanni;
5. credere nell’esistenza di una vita futura, nella quale, dopo il giorno del giudizio, ogni uomo, in relazione alla sua vita terrena, sarà introdotto nel
luogo dell’eterna beatitudine o nel luogo dell’eterno tormento. Se la vita terrena sarà stata vissuta in obbedienza ad Allah, si apriranno le porte del
paradiso, mentre se la vita terrena sarà stata carat-
L’islam
terizzata dalla disobbedienza, si spalancheranno le
porte dell’inferno;
6. credere nella provenienza dal decreto divino sia
del bene sia del male. Nulla accade per caso, per
fortuna o sfortuna, ma tutto ha origine dalla
volontà di Allah.
Culto e luoghi sacri
Muhammad ha detto: “L’islam si fonda su cinque
pilastri”.
1. La testimonianza (Shahadah)
Si rende pronunciando la frase: “Attesto che non c’è
divinità tranne Allah e attesto che Muhammad è
l’Apostolo di Allah”.
La testimonianza, o professione di fede, per i musulmani è l’impegno di non avere come padrone altri
che Allah e di non prendere, come maestro di vita e
come modello di comportamento, altri che il Profeta Muhammad.
2. La preghiera (Salah)
La preghiera è considerata la colonna portante dell’islam.
Le preghiere quotidiane del musulmano sono cinque ed egli le deve eseguire in condizioni di purezza rituale, nel tempo prescritto per ciascuna di esse,
vestito in maniera appropriata e rivolto in direzione
della Mecca.
Tempi di preghiera sono: l’alba, il mezzogiorno, il
pomeriggio, il tramonto e la notte.
La preghiera si svolge secondo un rituale, costituito
da una serie di posizioni e movimenti del corpo,
accompagnati da recitazioni.
La purezza rituale si ottiene mediante le abluzioni di
alcune parti del corpo.
Il venerdì si chiama “giorno della congregazione” e
in esso si svolge, nel tempo della preghiera del mezzogiorno, la preghiera congregazionale della comunità dei credenti, che vivono in una località. Colui
che dirige la preghiera congregazionale si chiama
imam e uno degli elementi essenziali di essa è il sermone, che in arabo si chiama al-khutba.
La chiamata alla preghiera viene fatta a voce (alazàn) da colui che chiama alla preghiera (al-muezzin)
dall’alto del minareto (al-ma’zanah).
3. L’imposta coranica (Zakkat)
Il denaro, l’oro e l’argento, le merci, i prodotti agricoli, i gioielli, producono a carico del loro proprietario un debito d’imposta coranica pari al 2,50% del
loro valore.
Sono previsti tributi anche per il bestiame e i terreni, nonché per il tesoro nascosto e per le miniere.
L’imposta si chiama coranica poiché i destinatari di
essa sono indicati nel Corano.
Essi sono: i poveri, i bisognosi, gli esattori dell’imposta, i convertiti all’islam che a causa della loro con-
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versione abbiano subito pregiudizi patrimoniali, i
prigionieri, i debitori, i viandanti, la causa di Allah.
4. Il digiuno di Ramadan (Sawn)
Il mese di Ramadan è il nono mese dell’anno lunare
e in tutti i giorni che lo formano (29 o 30) i musulmani devono astenersi da cibo, bevande, rapporti
coniugali e dall’introdurre nel corpo qualsiasi sostanza, nell’arco del tempo che va dalla preghiera
dell’alba alla preghiera del tramonto.
Il mese del digiuno è anche un mese di esercizi spirituali, che il musulmano pratica per una sempre
crescente elevazione dell’anima nell’adorazione di
Allah ed è il mese in cui, secondo i musulmani, è
stato fatto scendere il Corano “guida per gli uomini,
spiegazione della guida e criterio per il discernimento del
bene dal male”, nella “notte del destino”. Il digiuno e
la veglia notturna di preghiera ogni giorno e ogni
notte nel mese di Ramadan procurano, secondo la
fede musulmana, a chi li esegua con fede sincera e
per amore di Allah, il perdono di tutti i peccati.
5. Il pellegrinaggio (Hajj)
Il pellegrinaggio è un complesso di riti, che si svolge
ogni anno nel territorio sacro della Mecca, al quale
ogni musulmano, quando ne abbia la possibilità, è
tenuto a partecipare, almeno una volta nella vita.
I riti del pellegrinaggio sono:
– la circumambulazione della Kà’bah (al-tawwàf). La
Kà’bah o Pietra Nera è il centro spirituale dell’islam. Si tratta di un grosso pezzo di meteorite
nero, non rimuovibile, considerata “casa di tutti gli
dei”. Si trova alla Mecca e intorno vi fu costruito
La Kà’bah circondata da pellegrini.
16
L’islam
un santuario dedicato ad Allah. Originariamente
era un centro di culto pagano e venne da Maometto riconsacrato al culto in un solo Dio;
– la preghiera alla stazione di Abramo (maqàm
Ibrahìm);
– la corsa tra la montagnola di Safa e quella di
Marwa (al-sa’y);
– la sosta nella piana di ‘Arafah (uqùf’àrafah);
– la lapidazione di Satana (al-ràmy);
– il sacrificio della vittima consacrata (al-nàhr).
Il pellegrinaggio è una grande adunanza annuale dei
musulmani provenienti da tutte le parti del mondo e
simboleggia l’unità della comunità islamica e del
genere umano.
Il pellegrinaggio si esegue negli ultimi tre mesi dell’anno lunare e i riti fondamentali si svolgono nei
giorni 9 (la sosta in ‘Arafah) e 10 (il giorno del sacrificio) dell’ultimo mese dell’anno lunare.
Vi è anche un “piccolo pellegrinaggio”, chiamato
al-‘ùmrah, che può essere eseguito in qualsiasi periodo dell’anno e che consiste in una circumambulazione della Ka’bah e in una corsa tra Safa e Marwa.
Il regime alimentare
Il regime alimentare islamico si fonda sui precetti e
sui divieti contenuti nel Corano e nella Sunna.
È permesso il consumo di vegetali e di pesci, mentre è proibito il consumo di anfibi, carnivori, rapaci,
suini domestici e selvatici (porco, cinghiale) e derivati dalla loro macellazione, sangue, carne di animali macellati con modalità diverse da quelle della
macellazione islamica, o morti per malattia o per
sbranamento.
La macellazione islamica (al-zàbh) consiste nella
recisione della gola (scannamento) della bestia, eseguita con una lama affilatissima. È lecito solo il consumo della carne di bestiame macellato secondo il
rito islamico.
Sono proibite tutte le sostanze, solide o liquide, che
producono alterazione dello stato di coscienza, anche in piccole dosi. Sono, quindi, proibite le droghe
e le bevande alcoliche, perché ritenute devastanti
nelle loro conseguenze, sia sulla salute di chi le consuma, sia sulle relazioni sociali.
I luoghi di culto
La moschea è un edificio in cui si svolgono le pratiche religiose dell’islam e specialmente la preghiera
congregazionale. Fu lo stesso Profeta a fondare la
prima moschea a Medina. Dalla sua primitiva forma,
quella di ampio cortile recinto, con piccole costruzioni in legno addossate al muro, di cui quelle poste
verso la Mecca destinate al culto, e le altre ad abitazione, ben presto la moschea, oltre ad essere sede di
attività religiosa, diventò anche centro di vita sociale, politica e militare della comunità musulmana.
Nei primi tempi dell’espansione islamica, la pianta
schematica di una moschea è composta di un grande cortile di forma rettangolare in cui, al centro,
sorge una fontana, destinata alle abluzioni dei fedeli.
Intorno al cortile corre un porticato semplice o
multiplo, coperto con un tetto o con una caratteristica serie di cupolette.
Sul lato del rettangolo perpendicolare alla direzione
in cui si trova La Mecca c’è una nicchia, chiamata in
arabo almihràb, che indica la direzione della preghiera (al-qìblah). Alla destra della “nicchia direzionale”
(al-mihràb), molto rialzato dal pavimento, c’è un elemento di arredo della moschea, chiamato al-minbar e
costituito da una scala che porta ad un podio con un
sedile, da cui il predicatore della preghiera congregazionale del venerdì predica ai fedeli. Ogni moschea,
poi, ha uno o più minareti. In tempi successivi la
moschea si caratterizza con la forma di una grande
sala delle preghiere, ricoperta a tetto, a volta, a cupola e, qualche volta, il muro esterno di recinzione è
fortificato per la difesa dei fedeli, in caso di attacco
nemico.
Le moschee di maggiore splendore furono quella di
Solimano il Magnifico a Istambul e quella di Selim
ad Adrianopoli.
La parola italiana minareto deriva dall’arabo al-manàrah, cioè “faro”. La caratteristica torre della
moschea, avente presso la sommità una terrazza
sporgente, da cui il muezzin invita i fedeli alla preghiera, si chiama al-ma’zanah, cioè luogo in cui
viene fatto al-azàn (la chiamata alla preghiera).
L’aniconismo islamico
L’arte islamica delle moschee è caratterizzata dall’assenza di rappresentazioni raffigurative di creature
viventi.
Questa caratteristica si chiama aniconismo (dal
greco α “non” e eikòn, “immagine”).
Il rifiuto della rappresentazione figurativa di uomini
e animali ha la sua radice nell’insegnamento di
Muhammad, secondo il quale le rappresentazioni
figurative antropomorfe e zoomorfe sono state e
sono il punto di partenza di ogni culto idolatrico e
l’ordigno più micidiale prodotto da satana per indirizzare il sentimento religioso dell’uomo verso altri
anziché verso Allah.
È per questo che mai un musulmano potrebbe realizzare opere di pittura e di scultura, aventi per
oggetto creature viventi.
Il sentimento religioso islamico, da cui nasce il rifiuto del figurativo antropomorfo e zoomorfo, fa sì che
il fedele musulmano esprima in senso “decorativo e
ornamentale” la sua sensibilità artistica.
Nascono così le decorazioni dette “arabeschi”, nei
quali il sentimento estetico musulmano ha realizzato opere di straordinaria bellezza.
L’islam
Gli arabeschi sono intrecci di elementi vegetali stilizzati (fiori, foglie), oppure motivi geometrici,
oppure combinazioni armoniche di elementi vegetali e geometrici, oppure, ancora, intrecci di motivi
vegetali, geometrici e calligrafici.
Frequenti sono anche i calligrammi, cioè “belle
scritture”, principalmente di versetti del Corano o
di insegnamenti di Muhammad, in uno dei numerosi stili grafici dell’alfabeto della lingua araba.
Persone sacre
Gli incaricati di portare al mondo il messaggio celeste si chiamano con due nomi: nabi e rasul. Il nabi ha
portato un messaggio, ma non un libro, viceversa il
rasul ha portato il messaggio accompagnato da un
libro celeste.
Vengono riconosciuti come profeti unitamente ai
profeti dell’Antico Testamento: Mosè, Davide, Gesù
Cristo e Muhammad. Il profeta, per l’Islam, è uno
che ricorda alla gente le verità eterne e Muhammad
è l’inviato per eccellenza, l’agente umano incaricato
di portare il messaggio divino.
L’islam non possiede una gerarchia ecclesiastica. La
celebrazione del servizio divino è affidata a un
membro della comunità considerato idoneo per la
sua saggezza oppure a un imam (modello o capo)
designato dalla comunità. È usanza che celebri
matrimoni e sepolture, diriga la comunità locale,
dispensi i suoi consigli, ricordi la legge e i costumi
islamici (sharia).
Un muezzin chiama alla preghiera nella moschea.
17
I conoscitori del Corano e della legge islamica si
chiamano ulema e, sebbene non formino un vero e
proprio stato ecclesiastico, esercitano tuttavia una
grande influenza, soprattutto attraverso i loro pareri.
Feste religiose
Il calendario religioso islamico comprende diversi
giorni festivi e celebrazioni, nell’osservanza di precise indicazioni presenti nel Corano o in commemorazione di alcuni episodi della vita di Muhammad,
dei suoi compagni e anche dei profeti più importanti.
Due feste hanno una riconosciuta superiorità ufficiale ed effettiva su tutte le altre e sono considerate di
precetto: quella di ‘Id al-adha e quella di ‘Id al-Fitr.
Comune ad entrambe le ricorrenze è la grande preghiera comunitaria, con la quale comincia la giornata festiva, che si tiene nel luogo di riunione più
importante di ogni città islamica, all’aperto o nella
moschea principale. In quell’occasione ognuno
indossa abiti nuovi e puliti e partecipa con tutta la
famiglia alla preghiera comune. Questo momento di
riunione collettiva è seguito da visite ad amici e
parenti, da scambi di doni e da riunioni per pranzo e
cena, nelle quali di solito si radunano molte persone.
‘Id al-adha (Festa del sacrificio) il 10 del mese di
Dhul-Hijja (ultimo mese dell’anno lunare) durante il
“grande Pellegrinaggio”. In concomitanza con essa
tutti i musulmani che possono permetterselo, anche
quelli che non partecipano al pellegrinaggio, in altre
parti del mondo dell’islam, comprano un capro o un
agnello e lo offrono in sacrificio, in ricordo di
Abramo, cui fu concesso di offrire un animale in
dono a Dio, al posto di suo figlio Ismaele. Viene
celebrata la suprema sottomissione di Abramo alla
volontà di Dio, come anche la generosità di Dio
verso il fedele.
‘Id al-Fitr (Festa dell’interruzione del digiuno) è
anche detta “Piccola Festa” (‘Id al saghir) ed è celebrata il primo giorno del mese di Shawwàl (il decimo mese dell’anno lunare).
Il digiuno (sawn) viene rotto all’alba del primo
giorno successivo a quello del mese di Ramadan, di
solito con un pasto frugale a base di datteri e
acqua. Il significato religioso del Ramadan è la sottomissione a Dio, l’abitudine alla privazione, la forgiatura del carattere. Durante questo mese, la sera
le moschee sono aperte e i fedeli possono recarvisi per pregare e recitare il Corano. La festa della
fine del digiuno è un momento di gioia e di allegria, nel quale le persone si congratulano le une
con le altre per aver avuto la forza di sopportare il
disagio della prolungata privazione di cibo. È una
festa di famiglia che dura tre giorni, con la consumazione del montone, visite familiari e clima di
festa sociale.
18
L’induismo
L’idea della morte e dell’aldilà
Quando un musulmano muore, la prima notte dopo
la sua inumazione gli angeli Munkar e Nakir esaminano la sua vita, ma il morto deve poi aspettare fino
alla resurrezione e al giudizio universale prima che
sia deciso il suo destino eterno. Solo i combattenti
per la fede che morirono come martiri, entrano
subito dopo la morte in paradiso.
Dopo il giudizio universale alla fine dei tempi, vi
sarà la resurrezione dei morti e secondo il giudizio
divino i buoni andranno in paradiso passando su un
ponte sottile come il filo di un rasoio, mentre i malvagi scivoleranno su di esso e cadranno nell’inferno.
Il paradiso è descritto come un giardino ombroso,
percorso da freschi corsi d’acqua, dove sono a disposizione ricchi cibi, bevande, vesti.
L’induismo
Le origini dell’induismo
Induismo è il nome che gli arabi diedero all’insieme
di credenze e comportamenti religiosi delle popolazioni della regione dell’Indo.
Questo insieme di credenze del sub-continente
indiano si è sviluppato a partire dal 1800-1500 a.C.
senza un vero fondatore, arricchendosi nel tempo di
nuove intuizioni e dottrine che non negavano o non
contraddicevano ciò che era stato affermato in precedenza.
L’induismo si è evoluto sia attraverso nuovi sviluppi
che hanno avuto origine all’interno della tradizione,
sia per interazione e adattamento rispetto alle altre
tradizioni e agli altri culti che furono in seguito assimilati nel patrimonio indù dall’esterno.
Questi due processi di evoluzione e di assimilazione
hanno prodotto un’enorme varietà di sistemi, dottrine e pratiche religiose.
La Trimurti.
Le divinità principali
L’induismo è contemporaneamente una religione
monoteista, panteista e politeista.
• L’aspetto monoteista è sottolineato dal fatto che
non vi è infatti alcuna difficoltà per gli indù nel
definire l’assoluto (brahman) come unico, inconoscibile, misterioso, trascendente. Brahman è
in ogni luogo e in ogni cosa.Anche l’uomo ha dentro di sé l’assoluto, infatti l’uomo è atman (anima)
cioè contiene in sé un principio divino.
Brahman è il Signore che crea, conserva, distrugge
il mondo con la sua potenza (Sakti).
• È presente un diffuso panteismo poiché ogni
aspetto della natura e del cosmo è impregnato della
presenza divina e quindi tutte le manifestazioni
della vita sociale e individuale sono collegate con
il sacro.
• Innumerevoli infine sono le potenze soprannaturali cui si tributa un culto: per questo possiamo parlare di politeismo. Vengono attribuiti un nome e
un aspetto diversi a ogni manifestazione e a ogni
caratteristica dell’assoluto. La Madre Terra, certe
montagne (Kailas, Himalaya), pietre dalle forme
curiose, determinati fiumi (Gange, Jamuna), alcune
piante (fichi, arbusti di tulsi) e animali (scimmie,
coccodrilli, serpenti e soprattutto la vacca che nessuno può uccidere) sono ritenuti sacri.
Al vertice del pantheon vi sono le tre divinità
principali: Brahma, Vishnu, Shiva che sono spesso
riuniti in una triade (Trimurti). Brahma simboleggia
la creazione, Vishnu la conservazione, Shiva la distruzione del mondo.
Brahma è l’artefice del mondo, cavalca un’oca e la
sua sposa è Sarasvati, dea della sapienza; egli non attira particolarmente il sentimento religioso indù,
come dimostra l’esiguo numero di santuari a lui
dedicati.
Vishnu e Shiva sono invece le due maggiori divinità
degli indù: Vishnu è rappresentato mentre regge con
le sue quattro braccia il disco, il loto, la conchiglia e
la clava e cavalca la sua aquila Garuda. Altre raffigurazioni lo mostrano disteso sul “serpente del
mondo” e spesso gli è accanto la moglie Lakmi, dea
della bellezza e della felicità.
L’induismo
Shiva rappresenta l’aspetto dinamico dell’esistenza. È
raffigurato con una o cinque teste, come un asceta
cosparso di cenere bianca o con una collana fatta di
teschi umani. Nelle quattro mani regge emblemi
come il tridente, l’arco, il tamburo. È il dio della vita
e della morte, crea e distrugge. Si occupa del lato
oscuro dell’universo: la distruzione, la sofferenza e la
morte. Distruggendo le cose create, permette allo
spirito di emergere in tutta la sua potenza. È venerato dagli asceti (yogi) che cercano di acquistare poteri
mistici mediante il digiuno e la meditazione e per i
quali simboleggia la morte dei desideri materiali.
Shiva è il liberatore del ciclo della nascita e della
morte. È un dio buono e compassionevole per i suoi
seguaci. Parvati, sua sposa, è venerata come la madre
divina. È la forza della natura e la matrice dell’universo da cui sorge ogni vita. È anche venerata con i
nomi di Durga o Kali. Si tratta di una divinità dalle
caratteristiche contrapposte: da un lato è la temibile
nemica dei demoni a cui un tempo si offrivano
sacrifici umani per placarla; dall’altro è esaltata come
la buona madre che dà nutrimento ai viventi.
Le credenze fondamentali
Le credenze e le pratiche dell’induismo sono molto
diverse tra loro ma alcune di esse sono condivise. Per
esempio l’idea della reincarnazione è unanimemente accettata: per l’indù ogni azione, buona o cattiva, ha un riflesso sull’avvenire. Quest’idea si fonda
su alcune convinzioni proprie di tutto l’induismo,
che potremmo riassumere così:
• l’atman (anima) è l’essenza fondamentale e immutabile di ogni essere vivente, la scintilla di universale (brahaman) presente in ogni individuo;
• tutto il resto è solo apparenza (maya), illusione:
anche la storia dell’umanità è solo apparenza, un
cerchio infinito in cui tutto si ripete eternamente;
• l’uomo è legato al ciclo del tempo e delle eterne
rinascite (samsara) e ciò che determina la reincarnazione è il karma ovvero la retribuzione automatica delle azioni nella vita successiva;
• la vita di ogni uomo è regolata, come il cosmo, dall’eterna legge del dharma (destino) con il quale è
necessario armonizzarsi sia a livello individuale sia
universale;
• è interesse dell’uomo, e suo compito, cercare di
salire sempre più in alto nella vicenda delle reincarnazioni, cioè l’uomo deve tentare di reincarnarsi ogni volta in una forma di vita superiore alla
precedente, sino al raggiungimento della liberazione dal samsara (moksa).
La condizione futura di vita dipende, quindi, dall’uomo stesso, che, essendo responsabile delle sue
azioni, accumula meriti e demeriti e determina la
reincarnazione del suo atman in una condizione
più alta o più bassa nella scala gerarchica dei modi
di esistenza, ossia nel sistema delle caste.
19
Le caste
La società indù è tuttora organizzata in caste (varna,
colore), un sistema rigido e separatista, abolito ufficialmente nel 1947, ma che continua a persistere e
conferisce un forte senso di appartenenza e in alcuni casi costituisce una rete di sostegno sociale. Ogni
casta ha un ruolo specifico: i brahmana, gli ksatriya, i
vaishya, i shudra, rispettivamente, bramini o sacerdoti il cui colore è il bianco, governanti o guerrieri il cui colore è il rosso, il popolo il cui colore
è il giallo, servitori il cui colore è il nero. Al loro
interno le caste si suddividono in sottogruppi e il
passaggio da una casta all’altra è estremamente difficile perché l’individuo eredita la sua casta di nascita.
Ogni casta ha le sue regole e le sue tradizioni, regimi alimentari, professioni e mestieri riservati.
Tra le caste più basse vi sono ancora molti milioni di
“intoccabili” (paria), ritenuti impuri perché praticano mestieri “impuri”, come la pulizia delle strade,
delle latrine o la rimozione dalle strade delle persone e degli animali morti. A loro volta sono suddivisi
in sottocaste e rimangono enormemente sfavoriti
dal punto di vista economico, pur non essendo più
sottoposti a umiliazioni degradanti come in passato.
La vita morale
La vita morale è tutta tesa al raggiungimento della
liberazione del ciclo delle rinascite, attraverso la
rinuncia di tutto ciò che è materiale e di tutti gli istinti. Il cammino ideale di ogni uomo è articolato in
quattro stadi della vita: lo studente, che vive con
il maestro, lavora per lui, pratica assoluta obbedienza e
castità e apprende l’insegnamento del Veda; il padre
di famiglia, in cui conosce l’esperienza dell’amore e
della sessualità con il matrimonio, il valore dei beni
materiali e della vita famigliare nel rispetto della tradizione, celebrando i riti indù; l’asceta domestico,
in cui da solo o con la moglie, quando i figli sono
ormai adulti, ha come attività principale la meditazione del Veda; infine il pellegrino errante o sanayasin,
in cui vive staccato completamente dal mondo e in
solitudine, nutrendosi di elemosine e proteso al conseguimento della liberazione.
Le vie per raggiungere il divino
L’induismo riconosce più vie per comprendere e
avvicinare il divino e raggiungere così la liberazione:
la via dell’azione (karma), la via della devozione
(bhakti), la via della conoscenza e dell’intuizione
(jnana). La via dell’azione insegna che il compimento di azioni buone neutralizza il karma negativo
e privilegia l’impegno nella comunità e il progresso
spirituale personale; la via della devozione prevede che i suoi seguaci venerino uno degli dei (abitualmente Krishna, Rama o Shiva), rinuncino a ogni
volontà personale in cambio della protezione accor-
20
L’induismo
data dalla divinità e facciano della propria vita un
sacrificio di amore a quel dio; infine la via della
conoscenza o dell’intuizione privilegia l’esperienza personale e lo studio dei testi sacri unitamente alla guida di un guru (maestro spirituale). È detto
yogin (che pratica lo yoga) colui che guida i propri
sensi e i propri pensieri in vista del raggiungimento
dell’assoluto. Lo yoga è una disciplina psicofisica, un
sistema educativo mediante il quale si ottiene il controllo del corpo e delle energie vitali. Il suo fine è il
raggiungimento della pace interiore, della conoscenza suprema e della liberazione dai legami materiali
per raggiungere l’unione tra l’atman (l’anima individuale) e il brahman (l’anima universale).
Le tre vie insieme sono note come marga, ossia “la
strada”. Non è importante che siano praticate tutte
e tre in una sola vita, ma che sia intrapresa la via più
appropriata per la vita che si sta vivendo: questo è il
dharma (il destino) individuale.
I luoghi sacri
Le più antiche testimonianze di costruzioni sacre
risalgono al IV-V secolo a.C. Da quell’epoca in poi
vennero via via costruiti templi sempre più grandi
e complessi (specialmente nel sud dell’India) che si
trasformarono in vere e proprie città sacre.
L’immagine divina è il segno della presenza della
divinità e di fronte ad essa il devoto si prostra al
suolo, toccando con la fronte la terra e tenendo il
corpo completamente disteso. Per compiere gli atti
di culto occorre un supporto che di solito consiste
in un idolo (murti) nel quale si invoca preventivamente la presenza divina.
Molto diffusa è la pratica del pellegrinaggio ai luoghi santi, che sono i templi e i guadi sacri dei grandi fiumi come il Gange, dove un’abluzione compiuta
correttamente viene considerata in grado di eliminare tutti i peccati. I principali luoghi santi sono frequentati da persone provenienti da ogni parte
dell’India che affrontano, spesso a piedi, lunghissimi
percorsi, impiegando mesi per giungere a compiere le
loro abluzioni e il loro voto in un momento ritenuto
particolarmente propizio.Vi sono sedi di pellegrinaggio locali e regionali, oltre a centri panindiani (cioè
propri di tutta l’India). Benares e Gaya sono particolarmente indicate per la salvezza dell’anima, per l’assoluzione da peccati e per fare offerte agli antenati.
Il culto
Il culto indù (puja) può essere di tre tipi: il culto nei
templi, il culto domestico, il culto congregazionale.
Il culto nel tempio
I sacerdoti del tempio servono la divinità trattandola come un sovrano o come un ospite d’onore.
Svolgono un servizio che comincia prima dell’alba:
Il simbolo sacro dell’OM,
parola santa alla base di
tutte le preghiere indù.
la divinità viene svegliata, lavata, nutrita, viene onorata, viene fatta riposare, viene unta, decorata e infine
ritirata per la notte. Il programma è accompagnato
da varie cerimonie, come il far ondeggiare le lampade, il suono delle campane, l’esecuzione di musica,
di inni, di preghiere, le offerte di fiori, di frutta, di
grano, di cibo, d’incenso e da altre forme di culto.
Nei giorni festivi, per esempio, si svolgono cerimonie e processioni che attirano molte persone.
Il culto domestico
Non è ritenuto obbligatorio andare al tempio, purché si veneri comunque la divinità: il culto domestico viene seguito in molte famiglie (ma raramente
con la complessità di quello del tempio) e nella
maggior parte delle case si trova un’area dedicata a
questo scopo, che viene mantenuta in uno stato di
“purezza rituale”. Può variare nelle dimensioni, da
una piccola nicchia nella cucina (in quanto la cucina è un’“area focale” nella famiglia indù dal punto
di vista rituale e la cottura e il consumo del cibo
sono considerati atti rituali in se stessi), con un apparato di utensili sacrificali collocati su un apposito
piano elevato, sino a una stanza separata dalla casa, a
seconda della disponibilità economica della famiglia.
Qui la divinità d’elezione della famiglia viene rappresentata da un’immagine e da alcuni simboli. Di
solito è la donna che cura la divinità ed esegue i vari
rituali che comprendono una serie di “atti di servizio” quotidiani, come offerte di fiori o di frutti, riso,
incenso, pasta di legno di sandalo, latte e acqua.
Accanto all’immagine viene posta abitualmente una
lampada accesa con burro raffinato.
Il culto congregazionale o comunitario
I devoti spesso si riuniscono insieme per praticare
cerimonie con l’esecuzione di inni in cui i canti, la
musica, il ritmo e l’atmosfera di fervente devozione
possono produrre un effetto suggestivo e praticare la
bhakti cioè l’adorazione della divinità.
Un tipo diverso di rito comunitario è la recitazione
di un libro della scrittura.Vengono incaricati sacerdoti e viene invitato il pubblico. Ogni testo specifica esattamente quali benefici deriveranno agli ascoltatori e agli organizzatori della cerimonia.
In alcuni casi i pellegrinaggi determinano veri e
propri raduni di massa, specialmente in alcuni luoghi che rivestono un’importanza panindiana e la
festa religiosa si sovrappone alla pratica del pellegri-
L’induismo
21
di yantra è il mandala (cerchio), usato soprattutto dai
buddisti, che presenta un disegno assai complesso,
costituito da uno o più cerchi concentrici delimitati da una cornice esterna e racchiudenti a loro volta
un quadrato con quattro porte detto vimana (palazzo, città sacra), diviso in due triangoli dalle diagonali. All’interno di ogni triangolo e al centro dell’intero mandala si trova un cerchio contenente una figura divina. Una complessa simbologia suggerisce analogie tra microcosmo, cioè l’individualità psicofisica,
e macrocosmo, cioè l’universo. Il mandala è sia
immagine dell’universo sia strumento di concentrazione yogica e di riunificazione con l’assoluto.
Il Taj Mahal, uno dei più importanti luoghi sacri moghul
(Agra, India, 1632-1643).
naggio, dando luogo a manifestazioni di incredibile
imponenza. Tra esse la più importante è il kumbhamela che ricorre ogni 12 anni nelle quattro città
sante di Hardwar, Ujjain, Nasik, e Allahabad dove,
secondo il mito, sarebbero cadute le quattro gocce
del nettare dell’immortalità perse nella battaglia tra
demoni e dei. Il momento culminante è ad Allahbad in cui folle impressionanti di pellegrini si
bagnano in massa nella confluenza dei fiumi Gange
e Yamuna ai quali si aggiunge misteriosamente
anche la divina Sarasvati.
Tra le grandi manifestazioni religiose vi sono inoltre grandi processioni, a volte accompagnate da
imponenti parate di elefanti.
I simboli del culto
Come simboli del culto vengono talvolta usati disegni geometrici, chiamati yantra e mandala, che possono essere simboli mistici molto complessi o semplici disegni eseguiti sul pavimento con differenti
polveri colorate.
Gli yantra sono strumenti di controllo delle energie
psichiche, usati per la meditazione e consistono in
disegni geometrici stilizzati che possono essere tracciati su stoffa, carta, pelle, legno, pietra, metallo o
semplicemente creati sul suolo con polveri di diversa composizione o sulla sabbia. Un particolare tipo
Le persone sacre
La casta sacerdotale ereditaria degli indù è costituita
dai bramini, ma poiché il numero degli appartenenti a questa casta è molto elevato, solo una piccola
parte di costoro esercitano effettivamente le funzioni di ministri del tempio o di maestri religiosi
(guru), mentre la maggior parte pratica le più svariate professioni laiche.
L’istituzione del guru è molto sentita dalla gente: ogni
villaggio e ogni quartiere delle città ha una persona
ritenuta da tutti particolarmente saggia, alla quale ci
si rivolge abitualmente per consigli di ogni sorta. Se
la santità del guru è riconosciuta per unanime consenso, la sua parola viene ad assumere lo stesso valore dei testi sacri ed è considerata atto meritorio la
completa sottomissione a lui. Il maestro è quindi una
figura ancora indispensabile nella religiosità indù
contemporanea, perché capace di condurre il discepolo a dio e perché è colui attraverso il quale dio si
rivela, al punto che lo si sostituisce al culto delle
immagini sacre. Egli consacra il discepolo, gli trasferisce la propria energia vitale e gli dona un mantra,
cioè una formula particolare di preghiera.
Si occupano della cura delle anime anche i monaci
dei diversi ordini, che vivono nei monasteri, e gli
asceti (sadhu, sannyasi) che si spostano per tutta
l’India, vivendo di elemosine, e che sono tenuti in
alta considerazione dal popolo.
Le feste religiose
Gli indù misurano tradizionalmente lo scorrere del
tempo sulla base di un complesso calendario lunare
e alcuni giorni del mese lunare sono considerati particolarmente santi, come quelli di luna nuova e di
luna piena, che spesso coincidono con le grandi feste
del calendario indù.
Tra le principali feste ricordiamo quella di vasantapancami dedicata al culto di Sarasvati, la dea della
parola, della cultura e delle arti, rappresentata nell’atto di suonare un liuto. Nella sua festa i devoti portano abiti color giallo vivo, simbolo di regalità e di
clima primaverile.
22
L’induismo
Nel periodo di febbraio-marzo ricorrono due
importanti festività: la prima è quella della “notte di
Shiva”(siva-ratri) che si celebra nel quattordicesimo
giorno di luna calante. È preceduta da festeggiamenti che durano quindici giorni e da un digiuno
obbligatorio. La seconda festa importante di questo
periodo è quella di Holi, celebrata nei giorni che
precedono la luna piena: è una sorta di allegro carnevale di primavera, caratterizzato da rumorose
processioni, dal risuonare di tamburi e cembali e
dall’usanza di spruzzarsi addosso reciprocamente
acqua colorata.
Un’altra festa è quella di Rama-navami, che viene
celebrata il nono giorno del mese di Caitra (marzoaprile), in cui si commemora solennemente la
nascita di Rama e migliaia di persone accorrono nei
suoi templi e si organizzano processioni con i suoi
idoli.
Nel mese Sravana (luglio-agosto) si colloca la festa
naga-pancami celebrata in onore del mitico serpente
Sesa o Ananta. In tale giorno viene praticato il
digiuno e vengono venerati i cobra eseguendo i riti
in onore delle sacre immagini presenti nei templi o
anche nelle campagne, in forma di stele scolpite ai
piedi dei grandi alberi.
I giorni dei compleanni non solo delle divinità ma
anche di saggi e santi mitici e storici di ogni tempo
sono occasione di feste religiose. Solenne è la festa
del compleanno di Krishna, l’ottavo giorno di
Bhadra (agosto-settembre).
In autunno si celebra una grande festa in onore di
Durga, la sposa di Shiva. Per questa solennità l’adorazione della dea è accompagnata dalla sacra rappresentazione del mito di Rama. L’immagine della dea,
ogni volta appositamente costruita, viene abbandonata nelle acque di un fiume e nel decimo giorno
vengono erette tre colossali effigi di demoni con
riferimento alle lotte descritte nel Ramayana che,
imbottite di esplosivo, vengono ridotte in cenere.
Tra ottobre e novembre viene festeggiata la festa
popolare di Divali, che significa “fila di lucerne”
e allude alla luce come simbolo del bene e della
vittoria sulle forze del male simboleggiate dalle
tenebre.
I libri sacri
Al vertice della letteratura religiosa indù è il Veda
(sapienza) redatto in sanscrito, antica lingua del
ceppo indoeuropeo. Non si tratta di un libro sacro
come la Bibbia o il Corano, bensì di un poderoso
corpus di opere, formatosi in tempi diversi. Si divide
in quattro raccolte: Rigveda (inni agli dei), Samaveda
(canti sacrificali), Yajurveda (formule sacrificali) e
Atharvaveda (canti magici). A queste quattro opere
principali, le cui parti più antiche risalgono al 1250
a.C., si aggiungono numerosi Brahmana (testi sacrifi-
cali) e i trattati filosofici delle Upanishad, risalenti
all’800 a.C. circa.
L’intero complesso dei Veda è ritenuto una rivelazione. La parte più antica, il Rigveda, contiene inni ai
diversi dei, che dovevano essere invocati durante il
banchetto sacrificale. L’Atharvaveda contiene formule magiche di svariati tipi, rivolte a scopi terreni,
mentre nelle Upanishad, la ricerca di un essere divino che sta dietro alla varietà dei fenomeni diventa il
tema principale.
Oggi i Veda non possiedono più molta importanza
per la religione viva: la maggior parte degli indù preferisce far riferimento alle opere della tradizione
sacra redatte da alcuni santi come Vyasa, Valmiki,
Manu. A questi scritti appartengono due grandi epopee: il Mahabharata e il Ramayana. Il primo narra in
versi in sanscrito, la storia delle lotte fra le due tribù
dei Kuru e dei Pandu e contiene molte poesie, tra le
quali la più celebre è la Bhagavadgita (canto del
Sublime). Il Sublime è il dio Vishnu che appare sotto
le sembianze terrene di Krishna e che sul campo di
battaglia impartisce all’eroe Arjuna, prima delle
grandi lotte descritte nell’epopea, insegnamenti filosofici sulla natura di Dio, del mondo e dell’anima. In
quest’opera si trovano rappresentate le vie di salvezza ritenute possibili secondo gli indù: la via della
conoscenza che consiste nella rinuncia al mondo, e
la via dell’azione disinteressata, conforme al dovere
nell’amore di Dio.
Il Ramayana (vita di Rama) narra in ventiquattromila strofe in sanscrito le vicende dell’eroico principe
Rama. I Purana (antichi racconti) hanno contenuto
mitologico e narrano la creazione del mondo, ma
riportano anche azioni cultuali e dottrine di sapienza. Il Purana più conosciuto è il Bhagavata che esercitò un grande influsso soprattutto per le sue leggende su Krishna.
L’idea della morte e dell’aldilà
Quando un uomo muore, la sua anima, formata da
un corpo sottile e invisibile, passa a una nuova esistenza; se non la raggiunge subito deve errare come
fantasma e placare la sua fame con le offerte funebri
che portano i parenti. Il ciclo delle rinascite sulla
terra può essere interrotto in occasione di azioni
particolarmente cattive, da un soggiorno negli inferi che può durare millenni, mentre il giusto, come
ricompensa delle sue azioni, può ottenere un soggiorno in un mondo celeste.
La condizione di coloro che si sono liberati dai vincoli della reincarnazione è rappresentata in diversi
modi: come un soggiorno permanente in un mondo
ultraterreno alla presenza di Dio, come uno stato in
cui l’anima individuale è isolata da ogni cosa terrena, come la totale scomparsa di ogni elemento individuale e il trapasso nello Spirito universale.
Il buddhismo
23
Il buddhismo
Il buddhismo (o “sentiero dell’essere superiore”) è
una religione che propone una peculiare via di liberazione, più filosofico-psicologica che religiosa, sviluppatasi nell’alveo dell’induismo.
Con i suoi 300 e più milioni di seguaci, comprese
tutte le correnti, è predominante in Asia ed è oggi
diffuso in gran parte del mondo occidentale.
Le origini e il fondatore
Il fondatore e maestro è Siddharta Gautama detto
Shakyamuni,“l’Illuminato” vissuto tra il VI e il V secolo
a.C. nel nord-est dell’India a Kapilavatthu
nell’Himalaya presso l’attuale confine indo-nepalese.Di
origini principesche, dopo una giovinezza dorata e
protetta, e dopo essersi sposato e aver avuto un figlio,
uscito dal suo palazzo, ebbe quattro incontri: con un
vecchio, con un malato, con un corteo funebre e con
un asceta mendicante. Questi aspetti della realtà della
vita lo impressionarono profondamente e generarono
in lui una crisi e la presa di coscienza della realtà, della
sofferenza e dell’illusione del vivere.
Desideroso di conoscere le cause del dolore presente nel mondo, e desideroso di trovare uno stato di
felicità duraturo, a circa trent’anni abbandonò i privilegi della sua casta per condurre vita da asceta alla
ricerca di una soluzione all’enigma della vita.
Insoddisfatto delle risposte di altri maestri, dopo
digiuni estenuanti, capì che avrebbe ottenuto la
conoscenza della salvezza solo nella meditazione personale, lontano dagli estremi dei piaceri
eccessivi e dalla mortificazione ascetica.
A 35 anni, dopo 49 giorni di meditazione, ai piedi di
un albero di pipal (fico) raggiunse l’illuminazione, divenendo così il Buddha (il “Risvegliato”). Ebbe dunque
inizio la seconda parte della sua vita in cui, dopo una
scelta di isolamento, decise di rivelare al mondo i suoi
insegnamenti e mise in moto la “ruota della dottrina”
predicando e guadagnando alla sua“buona legge”molti
adepti, monaci, monache ed aderenti laici di ambo i
sessi.Trascorse la vita predicando e mendicando e viaggiando a piedi per tutta l’India nord-orientale. Morì
nella città di Kusinara all’età di 80 anni.
Diffusa dai suoi discepoli, la dottrina del Buddha si
diffuse in tutta l’India, ma poiché gli insegnamenti
del maestro venivano trasmessi dapprima solo oralmente e tramandati dai monaci di diverse regioni
nei loro dialetti locali, si formarono ben presto scuole con differenti interpretazioni.
Le divinità
Non è adorata una divinità in particolare: infatti il
Buddha non ha mai risposto alla domanda sull’esi-
Il Buddha
in meditazione, nella
posizione cosiddetta
“del loto”
(secolo V a.C.).
stenza di Dio, in quanto non pertinente al raggiungimento della liberazione. Non vi è neppure l’idea
di un’anima immortale, né il concetto di beatitudine o castigo eterni.
L’unica potenza che tutto governa è, per i buddhisti,
la legge universale eterna che si rivela nella legge
del compenso di tutte le azioni.
Le credenze fondamentali
Per buddhità si intende lo stato di purificazione
completa della mente dai cosiddetti “difetti secondari” (ignoranza, odio, attaccamento ai beni materiali)
fino a scoprire la sua natura pura e immacolata.
L’essenza dell’insegnamento del Buddha è stato così
espresso da un suo discepolo:“astenersi da ciò che è
negativo, fare il bene, purificare la propria mente”.
Per tutta la vita il Buddha cercò di far comprendere
ai suoi discepoli che non era importante la sua persona , ma la sua dottrina, il dharma, che, rivelando la
“vera via e la vera natura”, ha come meta di porre
fine alle sofferenze e al ciclo delle rinascite. Si ottiene così uno stato di totale realizzazione che è detto
nirvana. Vivere nel nirvana significa aver raggiunto
una beatitudine totale, l’esperienza del “supremo
risveglio”.
La dottrina di Buddha è basata su quattro nobili
verità:
1. La prima è la Verità della sofferenza. Vi è la
presa di coscienza del disagio esistenziale determinato dalla consapevolezza che tutto ciò che compone la realtà è transitorio e legato alla concatenazione causa-effetto e quindi fonte di dolore.
24
Il buddhismo
2. La seconda è la Verità dell’origine. L’origine del
dolore è il desiderio intenso, che muove l’uomo a
compiere azioni per ottenere ciò che egli crede sia
piacevole, fonte di ricchezza e di prosperità, ma
che mette in moto il ciclo delle rinascite.
3. La terza è la Verità della cessazione. L’eliminazione del desiderio permette di uscire
dal dolore e di raggiungere il nirvana, che è un
modo di essere, in cui si è estinto il desiderio ed
è una sorta di stato di santità. Il santo è colui che
“ha spezzato la maschera dell’Io e annientato le
sue passioni” e che non necessita di successive
reincarnazioni.
4. l’ultima è la Verità della via. Si persegue attraverso l’ottuplice sentiero approfondisce ambiti
della morale, della concentrazione e della saggezza. Per raggiungere il nirvana è necessario avere
credenze giuste, cioè capire e credere le quattro
nobili verità; esercitare una giusta volontà,
cioè liberarsi dal desiderio e dal dolore, agire con
benevolenza per evitare di offendere; usare parole giuste cioè dire la verità, parlare con precisione e saggezza; praticare azioni giuste, cioè non
rubare, non uccidere, non commettere adulterio;
avere un corretto modo di vivere cioè dar
prova di distacco e di disinteresse e rispettare gli
altri; fare un giusto sforzo, cioè incoraggiare e
sviluppare un pensiero centrato sul bene;
infine praticare una giusta concentrazione,
cioè praticare le tecniche di meditazione che permettono la realizzazione dell’ottuplice sentiero.
Il culto e i luoghi sacri
Il buddhismo attribuisce un culto particolare alle
reliquie (quelle corporee di un bodhisattva, le reliquie
d’uso, cioè usate in qualche modo dall’Illuminato e
le reliquie simboliche che ricordano il Buddha). I
santuari che contengono reliquie possono essere
edifici molto grandi, spesso di valore storico, oppure
costruzioni più piccole (addirittura esistono reliquiari portatili). Sono detti solitamente stupa oppure pagoda. Le pagode hanno spesso fama di grande
sacralità e diventano centri di culto. Altri importanti oggetti di culto sono l’albero bodhi piantato di solito nei giardini dei monasteri e le immagini del
Buddha. Tali immagini possono essere poste in
ampie sale accanto alle pagode o in piccoli sacrari
nelle case o nei posti di lavoro. Adorare un’immagine è considerato un atto meritorio e offrirle sostanze (come incenso, olio, candele, acqua, cibo, vestiti),
mostrarle rispetto, pulendola o imbellendola, cantarle versi appropriati fanno acquisire meriti e benefici
futuri che preparano a intraprendere la via dell’illuminazione.
La meditazione è un elemento essenziale del culto
per i laici, le monache e i monaci, in genere secon-
do due tecniche, la prima delle quali consiste nel
concentrare la mente su un oggetto o su una sensazione; la seconda su se stessi.
Le persone sacre
La cura delle anime è affidata ai monaci vestiti di
giallo che, peregrinando o vivendo nei monasteri,
osservano una completa castità, consumano il cibo
mendicato (possono nutrirsi solo fino a mezzogiorno) e vivono in povertà. Possono infatti possedere
solo una scodella per il cibo da chiedere in elemosina, un rasoio, un ago e pochi altri oggetti di prima
necessità. I monaci osservano un codice di regole
per evitare di cadere nelle tentazioni della vita quotidiana e si rifugiano nei tre gioielli, il Buddha, il
dharma e la comunità monastica, la sangha.
Esistono anche monasteri femminili e la maggior
parte dei monaci e delle monache buddisti devono
osservare il celibato, devono astenersi dal fare del
male a qualunque creatura vivente, dal prendere ciò
che non viene donato, dal fare cattivo uso dei sensi,
dal tenere un linguaggio menzognero, dall’intossicarsi con alcool e droghe.
Le principali festività
Il buddhismo segue un calendario lunare e i giorni
di luna piena vengono collegati con la vita del
Buddha o con momenti storici particolarmente
significativi.
Le feste annuali variano in modo considerevole, sia
localmente sia nazionalmente. Molto diffuse sono le
feste connesse con le pratiche agricole (l’aratura, la
semina), con particolari divinità o spiriti o con particolari località. Tre celebrazioni tipiche del
Buddismo sono:
• La festa del Capodanno, che cade nel mese di aprile e comprende la festa dell’acqua, nella quale si
offrono recipienti di acqua fresca agli anziani che
contraccambiano con una benedizione e viene gettata acqua sui passanti come simbolo di purificazione dal male che si è commesso durante l’anno.
• Il Giorno di Buddha, che commemora tre eventi
della sua vita: la nascita, l’illuminazione e la sua
morte o entrata nel nirvana. La data non è la stessa
per tutte le scuole buddiste.
• Il Vassa o periodo delle piogge, dalla luna piena di
luglio alla luna piena di ottobre. In questo periodo i
monaci non possono viaggiare o stare fuori dal
monastero e i laici non possono celebrare matrimoni né partecipare a forme di divertimento pubblico.
Sono anche diffusi i pellegrinaggi di tipo locale. In
India i quattro luoghi sacri meta di pellegrini celebrano i momenti salienti della vita del Buddha: dove
nacque, dove raggiunse l’illuminazione, dove predicò il primo discorso e dove morì. In quest’ultimo
posto, Kusinagara, si possono trovare stupa che con-
Le religioni cinesi
tengono una parte delle sue reliquie.Anche in Cina,
in Sri Lanka e nell’isola di Ceylon vi sono circuiti di
pellegrinaggio connessi o al Buddha o ad eventi
importanti per la diffusione del buddhismo.
I testi sacri
Per parecchi secoli gli insegnamenti del Buddha
vennero trasmessi oralmente dalla sangha, la comunità allargata dei monaci buddisti. Poi furono raccolti e raggruppati per iscritto intorno al I secolo a.C.
in una lingua indiana, il pali.
I testi sacri riconosciuti come autentici dal buddhismo sono raccolti in due canoni denominati in base
alle scritture usate, pali e sanscrito.
Il canone pali è chiamato Tipitaka (tre ceste di libri)
ed è costituito da tre parti: Vinaja-pitaka (cesto della
disciplina), Sutta-pitaka (esposizione della disciplina) e
Adhidamma-pitaka (cesto filosofico).
Il primo cesto contiene cinque raccolte di libri
molto ampie; il secondo cesto è oltre il doppio e
comprende tre libri di discorsi e altre raccolte; il
cesto di filosofia termina la raccolta con il Pathan e i
sei trattati della metafisica buddhista.
Il canone sanscrito varia molto per suddivisioni e
denominazioni da Stato a Stato.
25
L’idea della morte e dell’aldilà
Secondo il buddhismo Hinayana l’ascesa, realizzabile
solo da parte dei monaci attraverso una serie di
gradi, dopo aver abolito l’odio, il desiderio e la
vanità, porta alla condizione di santità, intesa come
superiorità rispetto alle cose mondane e all’ingresso
dopo la morte, nel nirvana.
Nel buddhismo Mahayana viene recuperata anche l’esperienza di vita del laico e il fedele è orientato a diventare
un bodhisattva che, sacrificandosi e rinunciando a se stesso,
porta la salvezza a molti esseri viventi.A queste vie se ne
affiancarono più facili come la venerazione del Buddha
o la recitazione dei mantra e il compimento di determinate cerimonie sacre per giungere all’illuminazione.
Il buddhismo crede nella reincarnazione in diverse specie di esistenza che può essere interrotta se il
karma è particolarmente cattivo, con pene infernali
di lunga durata oppure, se buono, con la dimora in
un mondo divino. I cieli hanno una disposizione a
piani sovrapposti a seconda del grado di perfezione,
sebbene per il saggio questo non sia considerato un
fine da raggiungere, poiché l’esistenza celeste è
destinata a finire per ritornare ai dolori della terra.
La liberazione finale dalle sofferenze e dalle passioni
è garantita solo dal raggiungimento del nirvana.
Le religioni cinesi
La religione cinese è più un’entità culturale che teologica. Infatti in Cina il termine “religione” (tsungchiao) indica letteralmente una linea di insegnamenti.
L’uomo cinese ne accetta tradizionalmente tre: il
sistema etico confuciano per la vita pubblica, il sistema taoista per quanto riguarda i rituali e l’atteggiamento verso la natura, e le concezioni del buddhismo
per quanto riguarda la salvezza e l’aldilà. Le tre dottrine sono i punti d’appoggio della fede e delle
necessità religiose del mondo cinese, convivono e si
armonizzano tra loro nella pratica religiosa e sociale.
Il cerchio diviso in due metà che rappresentano due
elementi contrapposti, lo yang (la luce, il sole, il cielo,
l’elemento maschile) e lo yin (il buio, la terra, l’elemento femminile) costituisce il simbolo delle religioni della Cina ed è chiamato tao. Dalla fusione dei
due elementi traggono origine la vita e l’armonia
dell’intero universo.
Il simbolo
dello yin
e dello yang.
Il confucianesimo
Le origini e il fondatore
Questa religione conta circa 180 milioni di seguaci, di
cui la maggior parte in Cina. Le sue origini risalgono
a K’Ung-futsu (Confucio), vissuto dal 551 a.C. al 479
a.C. Confucio recuperò il patrimonio delle antiche
religioni cinesi (in particolare l’Universismo) che
riteneva l’armonia del cosmo basata sulle due forze
contrapposte e complementari (lo yin e lo yang).
26
Le religioni cinesi
Egli le ripropose come un sistema di regole morali,
in grado di porre l’individuo in armonia con se stesso e con il cosmo e di porre rimedio alla decadenza
politica e religiosa della Cina del suo tempo.
Le divinità
Nel confucianesimo sussistono molte divinità, ordinate gerarchicamente; ai vertici stanno il dio del
Cielo, maestoso, onnipotente e onnipresente e quello della Terra. Agli imperatori era tributato culto
divino e si riteneva fossero figli del Cielo. Anche a
Confucio fu tributato culto divino dopo la sua
morte.Vi sono poi dei associati a determinate località
o a palazzi, porte e mura della capitale. Il numero
degli dei e degli spiriti è infinito e nei boschi, sui
monti e nelle acque esistono esseri considerati
demoniaci da cui l’uomo deve guardarsi perché possono arrecargli danno. Per tenerli lontani, gli ingressi
delle case sono protetti dai “muri degli spiriti”.
Tra gli animali l’unicorno, la fenice, la tartaruga e il
drago sono considerati esseri potenti. Il drago, a differenza di quasi tutte le mitologie occidentali, è considerato benefico, poiché apporta la pioggia. La rana
è considerata un portafortuna e i contadini venerano
anche molti alberi come dimora degli spiriti.
Le credenze fondamentali
Confucio propose il ritorno ai valori tradizionali e al
culto degli antenati: egli riteneva infatti che per rinnovare l’impero fosse necessario partire da un buon
governo, che a sua volta poteva realizzarsi solo rafforzando la vita familiare. Lo Stato venne da lui concepito come una grande famiglia, in cui i riti, il rispetto delle gerarchie, lo studio dei classici, l’esperienza
degli antichi assicuravano la concordia dei cittadini
sotto la guida dell’imperatore.
L’intera vita morale della comunità deve essere dominata da principi morali e l’imperatore non solo deve
possedere una conoscenza completa degli ammaestramenti contenuti nei testi sacri, ma deve esercitare in
se stesso le virtù e vigilare sulla purezza della sacra
dottrina. Come premio della sua condotta virtuosa
riceve le cinque specie di felicità e le irradia sui sudditi: longevità, ricchezza, salute e contentezza, amore
per la virtù e una fine beata. Qualora perda il trono, è
a causa della sua imperfezione morale.
Per avere una convivenza sociale armonica, Confucio
raccomandò la pratica della virtù e diede molta
importanza al retto comportamento (li), individuandone i principi fondamentali nel rispetto e nella
venerazione per i genitori, per gli anziani e per gli
antenati (cui si devono offrire sacrifici), per i principi e per l’imperatore che rappresenta il cielo.
A seconda delle scelte morali che operano, gli uomini possono essere individui comuni, saggi o nobili. I
saggi e i nobili, che possiedono autocontrollo, umanità e bontà, seguono il li armonizzando la propria
vita con l’ordine generale e conformandosi alle regole del vivere sociale.
Il culto e i luoghi sacri
Due sono i culti fondamentali: quello del Cielo e
quello della Terra. Il culto del Cielo prima della rivoluzione repubblicana del 1912 era celebrato quotidianamente dall’imperatore nel grande tempio del Cielo
di Pechino. Il culto alla Terra comprendeva la venerazione di tutti gli elementi che ne fanno parte. È
ampiamente diffuso il culto degli antenati, in cui si
mescolano elementi confuciani, taoisti e buddhisti,
collegato a un complesso rituale funebre, finalizzato a
trasformare il defunto in antenato da venerare nella
propria casa, dove vi è un altare nella sala centrale con
gli spiriti protettori della famiglia sistemati al centro e
il sacrario degli antenati posto a sinistra o sul lato occidentale. Talvolta le tavolette commemorative degli
antenati vengono conservate, dietro compenso, in un
santuario, in una pagoda o in un tempio buddhista.
Confucio (disegno a china del
XVIII
secolo).
I libri sacri
I più antichi libri sacri pervenuti e le principali opere
del confucianesimo sono definiti “libri canonici”. I
Le religioni cinesi
principali sono: Yi-Ching, il Libro delle mutazioni che
tratta delle potenze ultraterrene e dei loro rapporti
reciproci, risalente al 2950 a.C.; Shi-Ching, il Libro
delle Odi, una raccolta di poesie dei secoli IX-VI a.C.;
Shu-Ching, il Libro dei documenti, una raccolta di editti governativi, discorsi di carattere politico e didatti-
27
co risalente al IX-VII secolo a.C.; Ch’un-ts’tu,
Primavera e Autunno, opera redatta probabilmente da
Confucio stesso e riguardante la storia dello Stato
Lu, sua patria d’origine; Li-chi, il Libro dei riti, una raccolta composta nel I secolo d.C. e comprendente
diversi trattati sugli usi religiosi e sociali.
Il taoismo
Le origini e il fondatore
Il taoismo è diffuso soprattutto in Cina, con circa 30
milioni di seguaci; ma si trovano minoranze praticanti anche in Vietnam e in Malaysia. Il suo nome deriva dal cinese Tao che significa “via, cammino” e non
è una forza divina, ma semplicemente una forza
naturale all’origine delle azioni universali.
Il fondatore del taoismo è Lao-Tsu (“antico maestro”), la cui figura è leggendaria. Nato, secondo la
tradizione, nel 604 a.C. da nobile famiglia in una
provincia del villaggio della provincia dell’Honan,
ricoprì la carica di archivista presso la corte imperiale a Lo-Yang e si ritirò poi in solitudine, morendo
intorno al 517 a.C.
Le divinità
Alla base di tutto vi è il Tao, l’unità di ogni esistenza
all’inizio del tempo, che ha dato origine ai due opposti: lo yang o lo yin. Dai due sono sorti il Primordiale
Nobile Celeste, signore del Cielo, quello che governa la Terra e quello che presiede l’Acqua e le rinascite. A livello macrocosmico ilTao dà origine al cielo, alla
terra, all’acqua; a livello microcosmico, alla testa, al
torace e al ventre (intelletto, amore, intuizione). A
livello spirituale il Tao è visto come ciò che continuamente genera, media e risiede all’interno dell’uomo.
Le divinità taoiste sono molte e legate ad ogni aspetto della vita. Gli dei più popolari sono quelli legati
all’infanzia, alla ricchezza e alla salute.Vi sono poi dei
demoni e viene anche attribuito il culto a otto esseri umani divenuti immortali grazie alla pratica della
virtù.
Le credenze fondamentali
La base della dottrina di Lao-Tsu è una mistica individualistica che porta ad estraniarsi dalle passioni e
immergersi nell’origine delle cose. Il saggio deve
sprofondare nell’origine del tutto e fare il bene in
modo inconscio e spontaneo. Finché persiste lo stato
d’innocenza in cui regna il Tao, le virtù ne sono effetti e il fare del saggio non è nient’altro che il “non
fare”, cioè agire spontaneamente con azioni corrispondenti alla natura. L’ideale politico di Lao-Tsu
Il paesaggio per il taoismo è rappresentazione dello spirito
(pittura del XVII secolo).
non è uno stato burocratico ben organizzato come
per Confucio, bensì un piccolo regno, in cui gli
uomini vivono semplicemente, disarmati e non
hanno contatti con altri paesi perché questo genera
solo insoddisfazione e guerre.
Il compito dell’umanità è di aiutare a mantenere l’armonia tra yang e yin. Questo equilibrio può infatti
essere distrutto dalla debolezza umana e le offerte e
le preghiere del rito taoista hanno lo scopo di riparare ai misfatti degli uomini che lo turbano.Vengono
praticate la meditazione e l’ascesi per liberarsi dalle
passioni e dai desideri.
28
Le religioni cinesi
Sono individuabili cinque proibizioni e dieci consigli. Le proibizioni sono l’uccisione degli esseri viventi, l’alcoolismo, l’ipocrisia, il furto, la dissolutezza.
I dieci consigli prevedono: l’ubbidire ai genitori, il
servire l’imperatore e il maestro, rispettare tutte le
creature, sopportare il male ricevuto, risolvere le
questioni e togliere l’odio, sacrificare i propri interessi per aiutare i poveri, liberare gli animali catturati e nutrire gli esseri viventi, scavare pozzi, piantare alberi, costruire ponti, rendersi utili ai propri
simili, recitare i libri taoisti e bruciare l’incenso per
onorarli.
Il culto e i luoghi sacri
Poiché grande importanza viene attribuita alla natura, alcuni luoghi naturali sono considerati sacri, come
isole o montagne.
Per i taoisti si contano cinque montagne sacre, di cui
la più famosa è il Thai-shan nello Shan-tung e innumerevoli centri disseminati per tutta la Cina, meta di
pellegrinaggi.
I templi, gestiti perlopiù da sacerdoti taoisti sotto la
direzione di un consiglio di laici e costruiti tramite
donazioni, sono il centro religioso del villaggio e servono non solo per i servizi religiosi, ma anche per le
fiere, per le rappresentazioni teatrali, per gli spettacoli di marionette e per i narratori di storie.
Le feste religiose
Il ciclo delle festività segue il calendario agricolo e le
feste sono frequenti nei periodi di riposo.
Il giorno del Capodanno lunare, o festa della primavera, si tiene un banchetto familiare in onore degli
antenati e dei membri della famiglia che vengono da
lontano. È la festa più importante e più celebrata: in
memoria degli antenati vengono posti sull’altare di
famiglia o sulla tavola cinque o sette bacchette per
mangiare, vino, tè e tazze di riso cotto. Poi viene servito un banchetto di sedici o ventiquattro portate,
accompagnato da canti di prosperità e di benedizione per il nuovo anno.Vengono indossati abiti nuovi e
i fuochi artificiali segnalano l’inizio del nuovo anno.
Il quindicesimo giorno del primo mese è la Festa
delle luci che viene celebrata con una processione di
lanterne e con una danza di draghi. Il terzo giorno
del terzo mese è la Festa della purificazione ed è legata
a una pulizia espiatoria delle tombe, con offerte di
cibo sulle tombe e successivamente con un pranzo
all’aperto sulle colline.
Il quinto giorno del quinto mese segna l’inizio dell’estate, celebrato con il consumo di focacce di riso,
con gare di barche fluviali a forma di drago e con
rituali di preservazione dalle malattie per i bambini e
di propiziazione della pioggia.
Nell’ottavo mese si celebra la Festa dell’autunno legata al raccolto.
Nel periodo invernale vengono celebrate feste relative alla nascita di eroi e di santi della religione popolare, come i santi protettori locali del suolo che vengono celebrate nel primo e nel quindicesimo giorno
di ogni mese
Le persone sacre
Tre tipi di funzionari assistono la gente dei villaggi
nella pratica dei riti di passaggio e nelle festività.
Sono i monaci buddhisti, i sacerdoti taoisti e i
medium o gli sciamani. Dai sacerdoti taoisti vengono
eseguiti rituali di guarigione e di benedizione e riti
di divinazione con i bastoncini (un certo numero di
bastoncini viene lanciato a caso in un contenitore e
l’esagramma corrispondente viene interpretato da un
monaco o una monaca del tempio) per scoprire il
proprio futuro o chiedere consigli per i problemi
familiari e per gli affari.
Il medium, l’oracolo, lo sciamano sono presenti specialmente nei centri non industrializzati. Secondo il
sistema religioso cinese svolgono ruoli di veggenti,
guaritori e giudici nei villaggi rispettivamente
cadendo in trance e venendo posseduti da un spirito,
diventandone i portavoce e viaggiando nell’aldilà, sia
negli inferi sia nei cieli, e combattendo con spiriti
malvagi e fantasmi.
I libri sacri
Lao-Tsu scrisse una breve opera, Tao-te-Ching (sulla
legge universale e sui suoi effetti); opere di carattere
mistico-poetico furono scritte nel IV secolo d.C. da
Yang Chu.
L’Idea della morte e dell’aldilà
Come il cosmo consta di due forze primordiali, lo
yang e lo yin, così anche l’anima dell’uomo è composta dallo yang individuale, che corrisponde all’anima, e da una forza vitale, materiale (kuei, demone).
Solo l’anima superiore sopravvive dopo la morte.
Dopo la morte si pensa che l’anima precipiti in basso
nei domini dello yin, dove si purga dei suoi peccati
e della sua oscurità, prima di salire al cielo. Durante
questo periodo può provocare malattie e altre calamità ai familiari, qualora questi non offrano offerte
di cibo e preghiere. Il medium o lo sciamano in
Cina , in Giappone, in Corea e nell’Asia sud orientale ha la funzione di mettere in comunicazione i
defunti con i vivi per capire le necessità dell’anima
non placata.
L’inferno viene rappresentato come un luogo con
nove stadi di punizione. Il denaro di carta, bruciato
in occasione dei funerali e di altri rituali, è simbolo
dei meriti dell’essere vivente i cui atti d’amore e le
cui offerte sono come banconote per l’inferno, e
hanno il potere di far salire l’anima del defunto alla
vita eterna.
Lo shintoismo
29
Lo shintoismo
Le origini e il fondatore
Lo shintoismo è l’unica religione che viene professata in una sola nazione, il Giappone e conta più di
60 milioni di aderenti. La parola shintoismo deriva
da: Shin (gli dei) To (via) e vuol dire “via degli dei”
o “culto agli dei”.
Lo shintoismo non ha fondatori e si rifà alle antiche
tradizioni del culto degli antenati e della natura e
rappresenta l’unità nazionale sotto la guida della
famiglia imperiale. Gli avvenimenti della seconda
guerra mondiale hanno ridimensionato il culto
all’imperatore.
Le divinità
Il numero di kami (cioè dei o spiriti) è infinitamente grande: si parla di 80 o 800 miriadi di kami. Al
vertice del pantheon vi è la dea solare Amaterasu che
regge i campi del cielo e il governo del mondo è
nelle mani di un consiglio di dei. Susano-wo è il dio
del mare e delle tempeste e protegge gli innamorati. Un dio pericoloso è quello del fuoco Atago e un
altro dio è Inari, legato al raccolto, il cui animale
sacro è la volpe. A queste divinità principali se ne
aggiungono molte altre che proteggono determinate località o strade, presiedono a diversi fenomeni
naturali o a mestieri e occupazioni.
Sono venerati anche i sovrani defunti.
Le credenze fondamentali
I kami, oggetto di venerazione, comprendono gli spiriti che favoriscono la produzione, la crescita, la fertilità, gli antenati, gli spiriti degli imperatori e degli
eroi. In ogni realtà naturale viene percepita la presenza del divino e la natura dell’uomo viene considerata essenzialmente buona. Il male viene messo in
relazione con spiriti malvagi, nei confronti dei quali
occorre compiere esorcismi e riti purificatori. Sono
praticate forme di animismo e di feticismo (ovvero
la venerazione di oggetti non fine a se stessa, ma collegata agli spiriti buoni o ai demoni che si pensa che
vi risiedano) e la venerazione di oggetti come rappresentazioni materiale della divinità.
l’attenzione del kami battendo le mani o suonando
una campana, in genere per propiziare il benessere
della famiglia e il buon raccolto. Nell’aula principale, nascosto agli sguardi da una cortina e racchiuso
in una scatola, vi è lo shintai, il corpo divino, cioè un
simbolo che rappresenta il dio (specchio, armi ecc.).
Caratteristica peculiare della cappella shinto è il torii,
un portale a giogo fatto generalmente di legno e
formato da due stipiti rotondi un po’ ravvicinati
verso l’alto, con due architravi, il più alto dei quali
sporge oltre i due stipiti portanti. I torii si trovano
talvolta sulla sponda dei laghi e indicano che quel
luogo è sacro.
Molti sono i monti sacri dedicati alle divinità, sede
di santuari e meta di pellegrinaggio. I pellegrini portano vesti bianche e cappelli di giunco.
Le feste religiose
La forma principale della festa shintoista è il maturi,
in cui i kami sono invocati durante le danze, la musica, i canti, le preghiere. Le feste sono perlopiù legate al raccolto e al ciclo della natura. Una delle più
grandi feste è quella dell’Anno Nuovo. Quel giorno
milioni di persone affollano i grandi santuari per
pregare i kami e chiedere le loro benedizioni per il
nuovo anno. Un’altra festa famosa è la festa dei ciliegi in fiore, all’inizio della primavera.
I libri sacri
In origine tutto veniva tramandato oralmente. Nell’VIII secolo d.C. si misero per iscritto le antiche tradizioni mitologiche e storiche, gli Annali giapponesi, poi le raccolte di rituali statali, i testi liturgici che
ancora oggi vengono usati come modello rituale
delle preghiere.
Le persone sacre
Le pratiche cultuali vengono svolte da sacerdoti che
quasi sempre hanno ereditato dai loro avi il loro ufficio. Durante le cerimonie portano un berretto nero,
un abito bianco e un bastone.
L’idea della morte e dell’aldilà
Il culto e i luoghi sacri
L’adorazione del kami si svolge mediante preghiere
rituali e l’offerta di dolci di riso e di sake (vino di
riso). Il culto si svolge in parte in casa e in parte in
santuari piccoli e grandi, mantenuti a spese pubbliche, costruiti in legno e abitualmente composti di
due aule, alle quali è collegata una sala di preghiera.
Davanti a questa prega il fedele, dopo aver attirato
Secondo le antiche tradizioni shintoiste i defunti
scendevano negli inferi e solo personalità eminenti
continuavano a vivere nascoste sulla terra o salivano
al cielo. Non vi è traccia di premio o castigo per le
azioni buone o cattive.
Come presso molti altri popoli, era diffusa l’idea che
gli avi proteggessero i discendenti. Secondo la concezione attuale ogni defunto diventa kami.
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I nuovi movimenti religiosi
I nuovi movimenti religiosi
Nel corso del tempo e della storia, all’interno di tutte
le grandi religioni o in opposizione ad esse, sono sorti
movimenti o correnti di pensiero aventi come scopo
quello di rispondere ai veri o presunti bisogni esistenziali dell’uomo, in modo ritenuto più esauriente
e immediato, rispetto alle religioni tradizionali.
L’epoca attuale è caratterizzata dall’esistenza di una
miriade di nuovi movimenti religiosi, alcuni dei
quali contano milioni di adepti, accanto ad altri
composti da poche decine di individui.Alcuni risultano strutturati in movimenti stabili e facilmente
rilevabili, altri sono di difficile classificazione poiché
in alcuni casi corrispondono a fenomeni temporanei, in quanto legati a figure carismatiche, in altri
casi si nascondono nell’anonimato.
Possono essere distinti in:
– nuovi movimenti religiosi di matrice cristiana,
quando in qualche modo si richiamano a elementi delle principali confessioni cristiane, talvolta
anche contrapponendosi ad esse (ad esempio i
Testimoni di Geova, i Mormoni);
– nuovi movimenti religiosi di matrice islamica,
quando gli elementi originari sono collegabili al
mondo religioso musulmano (ad esempio i
Baha’i’);
– nuovi movimenti religiosi di matrice orientale,
quando gli agganci o gli influssi originari sono
collegabili alle grandi religioni orientali (ad esempio gli Hare Krisnha, l’Associazione Soka Gakkai
International);
– nuovi movimenti religiosi del potenziale umano,
quando alla base vi è l’idea dell’autonomia radicale dell’uomo e quindi della sua presunta capacità
di salvarsi con le sue sole forze attraverso un processo conoscitivo di tipo iniziatico (ad esempio
Dianetics Chiesa di Scientology);
– nuovi movimenti religiosi di matrice tribale collegabili con le forme di religiosità primitiva tutt’oggi esistenti (la Santeria);
– gruppi e movimenti satanici;
– nuovi movimenti religiosi di matrice spiritica e di
natura magica legati a pratiche esoteriche, a forme
di occultismo, magia, culto della natura, forme di
neopaganesimo (ad esempio la Società Teosofica, il
Movimento Età dell’Acquario).
È difficile delineare tratti comuni poiché nell’insieme
rispondono in modo estremamente variegato ed originale alle richieste di salvezza spirituale e materiale
dell’uomo, facendo leva sulle sue incertezze, sui suoi
bisogni e sulle sue aspettative e proponendo perlopiù
una soluzione ritenuta efficace e alla portata di tutti.
Forte è il senso di appartenenza al gruppo, che diventa sinonimo di sicurezza, di fraternità, di forza.
Caratteristiche comuni
Sono individuabili alcuni aspetti abbastanza diffusi
all’interno dei nuovi movimenti religiosi:
– la presenza di un forte soggettivismo religioso e di
un isolamento rispetto alle pratiche ed ai contesti
religiosi tradizionali dell’ambiente in cui si vive,
che hanno momenti comunitari e valenze sociali;
– la graduale assenza di spirito critico e la progressiva accettazione acritica delle proposte del gruppo,
e pertanto la perdita di indipendenza e la mancanza di responsabilità personale (sebbene spesso sia
quest’ultimo aspetto una componente allettante
che fa proseliti);
– la ricerca di un benessere immediato legato all’appartenenza al gruppo e di riscontri positivi legati
alla salute ed allo stato d’animo;
Hare Krisnha.
I nuovi movimenti religiosi
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– l’idea di agire per la propria salvezza personale e
per quella degli altri;
– l’utilizzo di pratiche magiche ed esoteriche in un
universo fortemente dualistico (la lotta perenne tra
bene e male);
– l’idea che le dottrine tradizionali siano state superate da nuove rivelazioni, abbiano perso la loro
efficacia, siano ingannevoli.
che vengono da altri mondi a guidare l’umanità
verso la rigenerazione finale.
Elementi fondanti della New Age sono l’espansione
del piano di coscienza, l’attenzione al corpo e alle
medicine alternative, l’ecologia mistica, l’interesse
per le filosofie orientali, il rigetto delle Chiese ufficiali, la fede nella grande energia cosmica o
Vibrazione Universale che è Dio.
A titolo esemplificativo, poiché è impossibile, anche
brevemente citare i tratti principali di tutti i Nuovi
Movimenti Religiosi esistenti vengono presentati
alcuni aspetti della New Age o Età dell’Acquario e
della Società Teosofica secondo le sintesi riportate
dall’antropologa C. Gatto Trocchi nel suo libro I
nuovi movimenti religiosi.
La teosofia
Per teosofia si intende la dottrina della Società
Teosofica, fondata nel 1875 a New York da
Madame Blavatsky, che affermò di aver ricevuto
un’illuminazione attraverso un testo, scritto prima
della creazione del mondo, chiamato Le Stanze di
Dyzan.
La cosmologia teosofica è dualistica, cioè spirito e
materia si contrappongono. L’uomo iniziato ai
misteri è il solo che permette alla materia di ritornare alla Spirito. Il cosmo è ordinato secondo una
complessa gerarchia al cui vertice si trova il Logos
cosmico (Dio) che discende in altri sette logoi. La
terra ha percorso quattro dei sette stadi di materializzazione. L’umanità attuale è la quinta razza: le precedenti, imperfette o colpevoli sono state distrutte,
come la civiltà di Atlantide. L’anima umana è sottoposta al karma e deve reincarnarsi fino a raggiungere la coscienza del Logos cosmico con il quale deve
fondersi e divinizzarsi.
La teosofia promette lo sviluppo di facoltà paranormali: telepatia, preveggenza, guarigioni miracolose. L’uomo determina il proprio destino creandolo con il pensiero attraverso la meditazione. La
meditazione permette di ricevere e incanalare
verso la terra l’energia (o la luce) che deriva dai
maestri invisibili. La Società Teosofica interpreta la
figura di Gesù da un lato come un grande iniziato, reincarnazione di grandi maestri e portatore di
un messaggio esoterico che la Chiesa non ha mai
capito, da un altro lato come il Cristo, Logos eterno, realtà astratta.
La New Age
Con il termine “New Age” si indica un vasto ed eterogeneo movimento di ricerca “spirituale” fortemente intriso di magia che ritiene (impropriamente
secondo alcuni studiosi di astrologia) iniziata una
nuova era zodiacale legata all’acquario. La “nuova
era” vuole contrapporsi alla precedente (quella dei
pesci) dominata da razionalità, conformismo, paura,
dolore, fanatismo,violenza, valorizzando l’emotività,
l’espressività del corpo, l’energia della mente-spirito
che può creare il destino di ognuno, la visione magica del mondo.
La New Age trova sempre nuovi adepti e gode di
una vasta diffusione. Essa mescola nei suoi innumerevoli gruppi credenze diverse che vanno dall’esistenza di esseri fantastici alla fede in un Cristo
cosmico (che anima tutto l’universo con un’energia
sottile), dalla legge del karma alla presenza di maestri
Matrimonio Moon.
I sincretismi religiosi
I nuovi movimenti religiosi che proliferano nelle
società occidentali e anche quelli presenti in antiche
comunità, come ad esempio quelle afro-americane,
sono perlopiù forme di sincretismo religioso. Il termine sincretismo indica la fusione o combinazione di molteplici elementi, dottrinali, culturali, mitologici, credenze religiose, presi da sistemi filosofici,
psicologici, cosmologici, astrologici, religiosi, esoterici, occultistici ecc. È presente lo sforzo di conciliare tutte le opinioni e le credenze in una nuova
sintesi. Ogni religione sincretista si presenta come
chiamata a sostituire tutte le religioni che l’hanno
preceduta, di cui essa sarebbe la sintesi e l’ultima
parola. La New Age è un esempio di sincretismo
religioso.
Cod. 83230
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