Indice Viaggio intorno alla Bibbia, 3 L’ebraismo, 9 L’islam, 13 L’induismo, 18 Il buddhismo, 23 Le religioni cinesi, 25 Il confucianesimo, 25 Il taoismo, 27 Lo shintoismo, 29 I nuovi movimenti religiosi, 30 Coordinamento redazionale: Lia Ferrara Coordinamento tecnico: Francesco Stacchino Progetto grafico e videoimpaginazione: Gianni Roasio Copertina: Gianni Roasio © 2003 by SEI - Società Editrice Internazionale - Torino www.seieditrice.com Prima edizione: febbraio 2003 Ristampe: 1 2 3 4 2003 2004 5 6 2005 7 8 9 10 2006 2007 Nei casi in cui non è stato possibile comunicare con gli aventi diritto, l’Editore ha notificato all’Ufficio della proprietà letteraria artistica e scientifica che l’importo del compenso è a loro disposizione, contestualmente al deposito dell’opera previsto dall’art. 105 della legge 22 aprile 1941, n. 633. Tutti i diritti sono riservati. 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Il contenuto e la divisione della Bibbia La parola Bibbia deriva dal greco ta biblia e significa “libri”: la Bibbia è infatti formata da molti libri: potremmo dire che si tratta di una biblioteca intera. Gli scritti che la compongono sono molto differenti tra loro e sono raggruppati in due grandi raccolte: l’Antico Testamento (d’ora in poi A.T.), che comprende la storia e la riflessione religiosa del popolo ebraico; il Nuovo Testamento (d’ora in poi N.T.), che narra l’attuazione della Redenzione di Gesù il Cristo e ne riferisce il Suo insegnamento, collegandolo alla storia delle origini cristiane. L’antica e la nuova Alleanza La parola “testamento”, dal latino testamentum, corrisponde alla parola ebraica berith, che significa “alleanza”, “patto”. Pertanto la Bibbia è l’insieme dei libri che parlano dell’Alleanza che Dio ha stretto con Israele (antica Alleanza) e che ha compiuto in Gesù (nuova Alleanza). Per i cristiani tra A.T. e N.T. non vi è interruzione, ma continuità e relazione tra passato, presente, futuro, ad indicare le successive tappe del piano salvifico di Dio, sia dal punto di vista storico sia teologico. La Bibbia viene anche chiamata “Scrittura” o “Sacre Scritture”, per significare la Parola di Dio messa per iscritto e quindi la sacralità del testo. Il canone della Bibbia La prima parte della Bibbia, l’A.T., è comune ad ebrei e cristiani, seppure con alcune varianti. Gli ebrei (seguiti dai protestanti) riconoscono solamente i libri scritti in ebraico, che sono 39. Diremo che essi si attengono al canone ebraico o palestinese, che fu fissato verso la fine del I secolo d.C. I cattolici, invece, considerano ispirati altri sette libri, scritti in greco, detti “deuterocanonici”, cioè entrati solo in un secondo tempo nel canone. Per canone, dal greco kànon, “misura”, intendiamo l’elenco dei libri che sono stati riconosciuti dai credenti come autentica Parola di Dio, cioè ispirati. Il canone cattolico (ma anche quello ortodosso), Pagina del Libro dei Proverbi, manoscritto del (New Haven, Yale University). XV secolo già riscontrabile nei primi secoli della Chiesa, è stato definitivamente fissato nel Concilio di Trento nel 1546 e comprende 46 libri per l’ A.T. e 27 per il N.T. Il N. T. è invece identico per tutti i cristiani. La Bibbia greca Il canone cattolico segue per l’A.T. il cosiddetto canone greco o alessandrino, dalla comunità di Alessandria d’Egitto, una delle più importanti sviluppatesi nel corso del III secolo a.C., durante la diaspora. Gli ebrei di Alessandria avevano incominciato a tradurre in greco le Scritture, perché ormai più nessuno degli esuli parlava l’ebraico. Secondo una leggenda, la traduzione venne affidata dal re d’Egitto,Tolomeo Lagos, a 70 saggi che, in 70 giorni, pur lavorando separati gli uni dagli altri, produssero un testo identico, parola per parola. La versione greca dell’A.T. è nota come Septuaginta. I libri esclusi dal canone vengono detti apocrifi. Con il termine apocrifo, che deriva dal greco apòkrypos, “nascosto”, vengono comunemente indicati i libri di contenuto affine a quelli biblici, ma considerati non ispirati. Abbiamo sia libri apocrifi dell’A.T. sia nel N.T. Le lingue della Bibbia Le lingue originarie in cui fu scritto l’A.T. sono l’ebraico, il greco e l’ aramaico, una lingua simile all’ebraico, usata per il commercio e per le relazioni politiche dell’antico Oriente, e ancora parlata al tempo di Gesù. Il N.T. fu scritto invece in greco. 4 Viaggio intorno alla Bibbia La trasmissione orale e la redazione scritta La stesura dell’ A.T. non è legata a un solo autore né tanto meno circoscritta a un breve periodo di tempo: riguarda un arco di tempo di quasi un migliaio di anni (i testi più antichi risalgono infatti a oltre 1000 anni prima di Cristo, i più recenti al I secolo a.C.), preceduto da un periodo in cui le tradizioni religiose venivano tramandate oralmente. Anche il testo del N.T. si sviluppò per tappe successive, passando da una versione orale a una scritta, in un arco di tempo che va dalla predicazione di Gesù al I secolo d.C. La trasmissione del testo biblico nel corso dei secoli Il valore riconosciuto dalla fede ai libri biblici come Parola di Dio fece sì che quando questi vennero fissati definitivamente furono soggetti a due fenomeni: da un lato vennero continuamente usati, quindi trascritti e trasmessi; dall’altro vi fu un forte controllo per rimanere fedeli al testo originale. La Bibbia, Parola di Dio e parola umana La Bibbia non è solo un semplice testo religioso. Esso, infatti, oltreché come libro di meditazione religiosa e di preghiera, è allo stesso tempo un’opera letteraria, poetica, e una fonte di documentazione storica. Questa complessità deriva dal fatto che la Bibbia ha un duplice fondamento: un’origine divina e un carattere umano. I generi letterari della Bibbia Nella Bibbia sono presenti diversi generi letterari. Per generi letterari intendiamo le varie forme o maniere usate comunemente dagli uomini di un’epoca e di una certa regione per comunicare per via scritta un discorso che ha certe finalità precise e determinati argomenti come suo contenuto. Esistono generi specifici per scrivere di poesia, per narrare una storia, per trasmettere degli insegnamenti, per formulare una preghiera e così via. Pertanto, per riuscire a capire e interpretare ciò che un autore ha voluto comunicare, è fondamentale individuare il genere letterario che egli usa, e tener presenti l’epoca e il luogo in cui egli ha scritto. Infatti l’opera ha caratteristiche esteriori (lingua, stile, mezzi espressivi) simili a quelle delle altre opere del suo tempo e adatte a trattare un tipo specifico di argomento. L’interpretazione della Chiesa Per leggere correttamente il testo biblico occorre dunque saperlo interpretare. Secondo la religione cattolica, la giusta interpretazione della Bibbia spetta al Magistero della Chiesa. Il Magistero (dal latino magisterium,“insegnamento”) è l’insegnamento esercitato dalla Chiesa stessa per permettere agli uomini una piena comprensione della fede in Cristo. Secondo il Magistero solo la Chiesa, con la sua tradizione di fede, può interpretare correttamente la Bibbia. L’ispirazione divina e gli agiografi Quando diciamo che la Bibbia è un libro di ispirazione divina, intendiamo che l’iniziativa della sua stesura è partita direttamente da Dio e dalla sua volontà. Ma, per rendere comprensibile la sua Parola, Dio ha scelto degli uomini cui far giungere la sua ispirazione. Tramite l’ispirazione tali uomini, detti agiografi, hanno avuto l’intelligenza di comprendere e tradurre per il resto dell’umanità l’intendimento divino. Per mezzo di costoro, insomma, la Parola divina ha acquistato le caratteristiche formali della parola umana, per poter essere compresa da tutti. Agiografo deriva dal greco hàghios, “santo” e grapho, “scrivo”: sono coloro che di fatto hanno redatto (sono infatti detti anche “redattori”) il testo biblico. Le traduzioni della Bibbia Moltissime furono nel tempo le traduzioni del testo biblico nelle varie lingue nazionali. Come abbiamo ricordato, già nel III secolo a.C. l’A.T. venne tradotto in greco per gli ebrei residenti fuori della Palestina. Questo testo venne utilizzato dai primi cristiani e poi unito al N.T. San Girolamo nel IV secolo d.C. tradusse sia l’A.T. sia il N.T. in latino, dando luogo alla Vulgata, la versione più diffusa e utilizzata nel mondo. Seguirono le traduzioni nazionali. In Italia si diffusero la Bibbia Diodati tra i protestanti (1607) e tra i cattolici la Bibbia Martini (1781), tradotta dalla Vulgata. Nel 1971 la Conferenza Episcopale Italiana ha prodotto la traduzione italiana ufficiale, La Sacra Bibbia, attualmente in fase di revisione. Le diversità stilistiche della Bibbia La Bibbia, dunque, è il risultato della cooperazione guidata dell’uomo con Dio, per cui in essa si trovano tracce divine e tracce umane inscindibili. Bisogna tener presente che ogni autore biblico ha scritto per la gente del suo popolo e del suo tempo, il che giustifica la grande varietà di stili e di toni in essa riscontrabili. Come si cita un brano biblico I titoli dei libri della Bibbia, che in genere corrispondono alle prime parole con cui comincia il testo, vengono abitualmente citati in modo convenzionalmente abbreviato. Tutti i libri della Bibbia sono divisi in capitoli e versetti. Quando si citano brani della Bibbia si usano le regole che seguono: Viaggio intorno alla Bibbia sua Alleanza con Dio; Levitico: un insieme di leggi religiose; Numeri: il cammino del popolo ebraico sino all’arrivo alla Terra Promessa; Deuteronomio: un codice di leggi civili e religiose raccolto in tre grandi discorsi di Mosè; • i Libri storici, 16 libri che presentano momenti particolari della storia del popolo ebraico; • i Libri poetici e sapienziali, 7 libri che educano il popolo a vivere con saggezza nei confronti di Dio e dei propri simili; • i Libri profetici, 18 libri che raccolgono gli scritti dei profeti maggiori e minori. La Comunità ebraica propone una suddivisione che corrisponde solo in parte a quella cattolica: – i 5 libri della “Legge Mosaica” (la Torah), un insieme di norme e prescrizioni morali e legali che guida il popolo al rispetto dell’Alleanza; – i “Profeti”, 21 libri che raccolgono le tradizioni storiche del popolo ebraico e dei grandi profeti ebrei; – gli “Scritti”, 13 libri di vario genere, composti per insegnare al popolo la sapienza degli antichi, per offrire buoni esempi di vita, per raccogliere preghiere o canti liturgici. • Il primo numero indica il numero del capitolo. (Gn 22 = Genesi capitolo 22); • il numero che segue la virgola indica il numero del versetto (Gn 22, 3 = Genesi, capitolo 22, versetto 3); • il trattino (-) dopo il numero del versetto rimanda ai versetti compresi tra i due numeri citati (Gn 22,3-13 = Genesi, capitolo 22, dal versetto 3 al versetto 13); • il punto dopo il versetto rimanda ai singoli versetti indicati (Gn 22, 3.13 = Genesi, capitolo 22, versetto 3 e versetto 13); • il trattino (-) rimanda inoltre a un gruppo di capitoli (Gn 22, 3-25,11 = Genesi dal capitolo 22, versetto 3, al capitolo 25 fino al versetto11). L’Antico Testamento Abbiamo ricordato che nella Bibbia cristiano-cattolica i libri dell’A.T. ritenuti ispirati sono 46 e sono così suddivisi: • il Pentateuco: sono i primi 5 libri (che nella Bibbia ebraica sono raggruppati sotto il nome di Torah, la Legge) e cioè Genesi: i racconti delle origini e la storia dei patriarchi; Esodo: la storia della liberazione del popolo ebraico dall’Egitto e della ANTICO TESTAMENTO LIBRI LIBRI PROFETICI PROFETICI MACCABEI II ESTER MALACHIA MACCABEI I A GIUDITT NEEMIA CRONACHE NAUM GIONA C AGGEO SOFONIA MICHEA ABACU ABDIA DANIELE OSEA IELE EZECH BARUC ISAIA GEREMIA CANTICO DEI CANTICI SIRACIDE SAPIENZA QOÈLET PROVERBI SALMI AZIONI LAMENT AMOS ELE GIOBBE CRONACHE LIBRI LIBRI STORICI GIO LIBRI LIBRI SAPIENZIALI SAPIENZIALI ZACCARIA TOBIA ESDRA RE II RUT RE I GIOSUÈ D GIUDICI NOM RO EUTE NUMERI LEVITICO ESODO GENESI IO I ELE I EI EL U SAM U SAM LIBRI LIBRI DELLA DELLA LEGGE LEGGE (PENTATEUCO) (PENTATEUCO) 5 Viaggio intorno alla Bibbia Il canone del N.T. comprende: - quattro Vangeli: Matteo, Marco, Luca, Giovanni; - gli Atti degli apostoli; - le Lettere; - l’Apocalisse. La formazione dell’A.T. Come abbiamo ricordato i libri sacri dell’A.T. si consolidarono attraverso successivi rimaneggiamenti, aggiunte, interpretazioni, fusioni con altri testi. I momenti salienti di stesura dell’A.T. furono tre: – il primo fu durante il regno di re Salomone (X secolo a.C.), il quale comprese che per consolidare il suo Regno avrebbe dovuto favorire il formarsi di una cultura omogenea nel suo popolo, recentemente giunto all’unità politica e amministrativa. Vennero stilate le prime redazioni delle storie delle varie tribù, collegate tra loro da un filo comune e cominciò così la storiografia ufficiale del Regno unitario; – il secondo momento fu durante il regno di Giosia, re di Giuda (VII secolo a.C.), il quale si trovò ad accogliere nel suo territorio i profughi del Regno del Nord e a tentare di amalgamare le due culture e le rispettive tradizioni; – il terzo, infine, fu il periodo in cui Esdra e Neemia (V secolo a.C.) lavorarono alla redazione definitiva del Pentateuco e di tutta la Bibbia, ovvero degli scritti esistenti fino a quel momento. Cronologia degli scritti del N.T. 40 d.C. 1-2 Tessalonicesi 50 1-2 Corinti Filippesi Romani Galati Giacomo 60 1 Pietro Colossesi Efesini Filemone Tito VANGELO DI MARCO 70 1-2 Timoteo Ebrei 80 VANGELO DI MATTEO VANGELO DI LUCA Atti degli apostoli Giuda 2 Pietro 90 VANGELO DI GIOVANNI 100 1-2-3 Giovanni Apocalisse Il Nuovo Testamento Il N.T. è quella parte della Bibbia considerata sacra dai cristiani, ma non riconosciuta dagli ebrei, in quanto annuncia e parla di Gesù come Figlio di Dio e Messia. LETTERE LETTERE EE APOCALISSE APOCALISSE II III I GIOVANNI GIOVANNI VAN N I APOCALISSE COLOSSESI AI TITO A TIMOTEO A II TIMOTEO I ONE FILEM A AI TESSALONICESI AI AI TESSALONICESI FILIPPESI EFESINI AGLI GALATI CORINZI AI CORINZI II GIO RE I EB LI AG II I A LETTERE LETTERE DI DI PAOLO PAOLO GIUDA PIETRO I GIACOMO PIETRO VANGELI VANGELI EE ATTI ATTI AI ROMANI AI ATT I GIOVAN NI LUCA MARCO MATTEO NUOVO TESTAMENTO AI 6 Viaggio intorno alla Bibbia Vangelo predicato e Vangelo scritto Il N.T. venne scritto in un arco di tempo di circa cinquant’anni, in un periodo immediatamente successivo alla Resurrezione, e fu preceduto da un periodo di trasmissione orale della Parola di Gesù. Gesù non scrisse nulla, né chiese agli apostoli di scrivere il suo messaggio, bensì li esortò a predicare il suo Vangelo. La parolaVangelo è di origine greca e significa “lieto annuncio”, “buona notizia”, “notizia di gioia e di salvezza”. Venne usata per indicare il messaggio di Gesù, secondo il quale la salvezza attesa da Israele era vicina. Occorre per chiarezza distinguere tra Vangelo di Gesù,Vangelo su Gesù e Vangelo della Rivelazione. • Il Vangelo di Gesù è il messaggio che Gesù di Nazareth predicò annunciando il Regno di Dio; • il Vangelo su Gesù è il messaggio che è stato predicato dagli apostoli ovvero l’annuncio della Resurrezione di Gesù, del fatto che Gesù è il Messia Figlio di Dio, delle sue parole e delle sue azioni; • il Vangelo della Rivelazione è Gesù stesso, in quanto in Gesù, Dio stesso che si rivela, annuncia a tutti gli uomini la salvezza. In quel tempo, come abbiamo ricordato, si usava molto la memoria e poco la parola scritta. I maestri spirituali quando insegnavano usavano mezzi pedagogici che facilitavano la memorizzazione: ritmo, ripetizioni, rime, similitudini… Anche Gesù, esprimendosi in aramaico, con frasi brevi, molto ritmate, ricche di immagini, facili da ricordare, fece sì che gli apostoli memorizzassero gran parte delle parole da lui pronunciate. Dopo la morte di Gesù gli apostoli, scossi dall’avvenimento pasquale e dalle apparizioni del Maestro, guidati dallo Spirito Santo, su mandato di Gesù stesso cominciarono ad annunciare la Buona Notizia: è il Vangelo predicato, prima in aramaico, poi ben presto in greco. Via via che il tempo passava e i testimoni oculari scomparivano, divenne sempre più forte la necessità di mettere per iscritto l’insegnamento orale degli apostoli, affinché gli elementi fondamentali della fede cristiana non subissero, anche involontariamente, modifiche e manipolazioni. Inoltre, poiché l’apostolo testimone e fondatore della comunità non poteva essere sempre presente, in risposta a bisogni concreti e chiarimenti, venivano inviate lettere (o, con termine greco, epistole) con lo scopo di esplicitare ulteriormente o approfondire l’annuncio kerigmatico, ovvero il messaggio pasquale, la Resurrezione di Gesù come punto di partenza fondamentale della predicazione cristiana. Kerygma in greco significa annuncio: è la proclamazione solenne di un fatto. Nel nostro caso il fatto annunciato dagli apostoli è la morte e Resurrezione di Gesù e il suo significato di salvezza per tutti gli uomini. 7 La formazione dei Vangeli Nell’elaborazione dei loro scritti, gli evangelisti si rifecero alle testimonianze sulla vita di Gesù: sia quelle tramandate oralmente, sia quelle raccolte in forma scritta e anonima, senza indicazione dell’autore. Si trattava 1) delle più antiche fonti kerigmatiche, contenenti il racconto della passione-morteResurrezione; 2) di narrazioni contenenti la raccolta dei miracoli; 3) dei cosiddetti “lòghia”, cioè i detti e le massime più memorabili di Gesù. Marco scrisse per primo il suo Vangelo, intorno al 65 d.C. circa, rifacendosi alla predicazione di Pietro e alle raccolte precedenti. Seguirono Matteo e Luca, che utilizzarono entrambi il testo di Marco, unitamente a un’altra fonte comune, la fonte Q (dal tedesco Quelle, fonte). Giovanni scrisse molto più tardi il suoVangelo e rielaborò il materiale in modo autonomo. Jacob Jordaens, I quattro evangelisti, secolo (Parigi, Museo del Louvre). XVII I Vangeli sinottici I Vangeli di Marco, Matteo e Luca sono detti sinottici (da “sinossi”, termine che deriva dal greco sýnopsis che significa “sguardo d’insieme”), in quanto, se si confrontano tra loro mettendoli in colonne diverse, ma nella stessa pagina, si possono cogliere le molteplici affinità e i frequenti parallelismi, dovuti al fatto che gli autori dei Vangeli sinottici usarono tradizioni orali e fonti scritte comuni.Tuttavia un’analisi più attenta rivela che ogni evangelista rielaborò i dati in modo originale e secondo le esigenze della comunità cui era rivolto lo scritto. 8 Viaggio intorno alla Bibbia La storicità dei Vangeli IVangeli sono libri storici, in quanto riportano testimonianze attendibili su un fatto storico: la vita e la predicazione di Gesù. Tuttavia non possono essere considerati fonti storiche vere e proprie, in quanto la loro finalità non è quella di offrire un quadro completo e fedele della vita di Gesù e dei suoi tempi, bensì quella di mettere in risalto gli episodi dell’esperienza vissuta dalla Chiesa delle origini, della Pasqua di Cristo, volti a dimostrare che la presenza di Cristo risorto continua nel presente, non è un semplice fatto concluso in un’epoca storica, ma continua a verificarsi nella sua Chiesa. I Vangeli sono insomma una testimonianza di fede. Perciò se, da un lato, è possibile compiere una ricerca sul Gesù storico presente nei Vangeli, d’altro lato la testimonianza evangelica si propone la finalità di far comprendere ai lettori il mistero di Cristo, Figlio di Dio, e di condurre il lettore all’adesione nella fede: “Queste cose sono state scritte perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate vita nel suo nome” (Gv 20,31). I quattro Vangeli Ogni evangelista rivela un approccio personale nel presentare la figura di Gesù. OgniVangelo ha una sua struttura, un suo progetto e una sua visione teologica, cioè un modo specifico di interpretare la persona e l’opera di Gesù. Il Vangelo di Matteo Matteo, uno dei dodici apostoli, faceva parte di una comunità di cristiani provenienti dall’ebraismo. Ciò spiega perché nel suo testo viene dato ampio spazio alle parole di Gesù, attraverso cinque solenni discorsi; nel contempo vi è un’attenzione particolare a collegare la figura e l’insegnamento di Gesù all’A.T. La stesura definitiva del suo Vangelo viene fatta risalire all’80 d.C. circa e comprende 28 capitoli. Il Vangelo di Marco Marco fu discepolo e interprete di Pietro e scrisse il suoVangelo probabilmente a Roma, per pagani convertiti. Nel suo testo il lettore viene avviato su un itinerario che procede dall’oscurità verso la piena rivelazione. Gesù è presentato come un uomo, che però compie atti sorprendenti di liberazione dal male nei confronti di coloro che sono malati sia fisicamente sia spiritualmente. A metà del suo cammino Gesù è riconosciuto da Pietro come il “Cristo”, cioè il Messia. Questo Messia non viene presentato come un trionfatore bensì come uno sconfitto, ma è proprio nella passione, morte e Resurrezione che si scopre il segreto ultimo di Gesù e i discepoli arrivano alla piena professione di fede. IlVangelo di Marco, composto di 16 capitoli, è il più breve dei quattro. Il Vangelo di Luca Luca, collaboratore di Paolo di Tarso, possedeva una notevole cultura greca e giudaica. Scrisse il suo Vangelo intorno all’80 d.C. ed è indicato anche come l’autore del libro degli Atti degli apostoli. I destinatari del suo scritto sono tutti i cristiani provenienti dal mondo pagano. Al centro del racconto di Luca vi è un lungo viaggio che conduce a Gerusalemme, partendo dalle origini di Cristo e dalla sua predicazione nella regione settentrionale della Galilea sino alla morte e alla gloria prima dell’ascensione in cielo. Nel viaggio verso Gerusalemme Luca tratta i temi che ai suoi occhi meglio raffigurano il volto di Cristo: l’amore, la gioia, la povertà, lo Spirito Santo, la preghiera, la vigilanza. Il Vangelo di Luca è composto di 24 capitoli. Il Vangelo di Giovanni Giovanni è identificato dalla tradizione con l’apostolo e la data di redazione definitiva dello scritto viene fatta risalire alla fine del I secolo, ad opera della comunità che riconosceva in lui il suo fondatore. Il testo è molto elaborato e complesso, ricco di simboli ed è destinato a tutti i cristiani che vogliono conoscere meglio il messaggio di Gesù. Il Vangelo di Giovanni è composto di 21 capitoli, e si apre con un celebre Prologo, un inno che esalta Cristo come Parola,Verbo divino, entrato però nella “carne” dell’umanità. Gli altri scritti del N.T. Gli altri testi del N.T. nacquero per esigenze successive alla morte di Gesù e su richiesta della comunità cristiana. Gli Atti degli apostoli Il libro degli Atti degli apostoli può essere definito “…un grande affresco della vita missionaria della Chiesa delle origini tratteggiato dall’evangelista Luca” (Ravasi). Fu composto intorno all’80 d.C. L’autore descrive la nascita della Chiesa e il suo sviluppo, guidato dallo Spirito Santo, e racconta come il Vangelo, predicato da Pietro, dagli altri testimoni e soprattutto da Paolo, raggiunse Roma, la capitale dell’Impero, attraversando l’intera area del Mediterraneo. Le lettere degli apostoli Si tratta di una serie di lettere indirizzate dagli apostoli ad alcune comunità cristiane. Comprendono: • il complesso delle Lettere di Paolo: sono 13 scritti contrassegnati in modo esplicito dal nome dell’apostolo Paolo ed un quattordicesimo che è a sé stante, la Lettera agli ebrei. Questa venne attribuita L’ebraismo a Paolo sin dal II secolo, ma in realtà oggi è considerata nettamente distinta dall’epistolario paolino. • Nelle lettere di Paolo sono contenute ampie riflessioni teologiche su Gesù Cristo e sulla Scrittura e vengono trattate tematiche d’ordine pratico e di ordine teorico che le prime comunità cristiane si trovavano a dover affrontare nei contatti con il mondo ebraico e il mondo pagano; • le Lettere cattoliche, 7 lettere composte tra il 60 e il 100 d.C., attribuite agli apostoli Giacomo, Pietro, Giovanni e Giuda, e definite “cattoliche” cioè “universali” dalla tradizione, che le ha considerate dirette a tutta la cristianità. 9 L’Apocalisse Il testo, attribuito a Giovanni, è l’ultimo libro della Bibbia e venne scritto intorno alla fine del I secolo d.C. È indirizzato alle Chiese dell’Asia Minore, colte nel loro travagliato itinerario terreno, ma prospetta il loro destino glorioso, raffigurato dalla Gerusalemme celeste, la città della speranza e dell’incontro pieno con Cristo. Il libro è scritto utilizzando un linguaggio letterario costellato di simboli gloriosi e terribili e questo ha fatto sì che nel tempo il suo messaggio di speranza venisse equivocato o non compreso. L’ebraismo Origini e diffusione L’ebraismo è il complesso della cultura e della religione del popolo ebraico. Con il termine giudaismo si intende invece la religione ebraica posteriore alla distruzione del Tempio di Gerusalemme e propria della diaspora. In seguito alla diaspora gli ebrei si diffusero in Asia, in Europa e in America. Dal 70 d.C. fino al 1948, la storia degli ebrei è quella di un popolo che è unito dalla stessa fede, dalla stessa legge e dallo stesso culto, ma senza una patria. Nel 1948, per decisione dell’ONU, venne ristabilito lo stato d’Israele e gli ebrei poterono tornare in una loro patria. Già dai primi giorni della proclamazione del nuovo Stato, si svilupparono tensioni e contese con i popoli vicini (arabi e palestinesi). Nonostante Israele abbia realizzato il sogno degli antichi ebrei (quello di avere una patria), la loro diaspora non è ancora finita. Attualmente il numero degli ebrei è di 16 milioni, distribuiti in 105 paesi, di cui 4 milioni vivono in Israele. La divinità Gli ebrei credono in un unico Dio (YHWH), che è il creatore e il signore dell’universo, è l’essere trascendente che non si può contemplare faccia a faccia, e la cui realtà sfugge all’uomo. Essi credono che Dio abbia un rapporto speciale, di Alleanza, con il popolo ebraico. La parola “Alleanza” significa solenne accordo: la Bibbia narra che 4000 anni fa Dio ha stretto con Abramo e i suoi discendenti un reciproco impegno di fedeltà.YHWH non tradirà mai il suo popolo e il popolo si impegna a rispettare il patto di Alleanza attraverso l’obbedienza alla legge. La menorah, candelabro a sette bracci, è uno dei simboli più importanti dell’ebraismo. Gli ebrei credono che YHWH abbia parlato per mezzo dei Profeti e che verrà l’età messianica come tempo di pace e di giustizia. Le credenze fondamentali Le verità di fede dell’ebraismo possono essere così schematizzate: • fede in un solo Dio Creatore e Signore dell’universo, che affida all’uomo il mondo, perché sia felice nella comunione con Lui. Fede nel perdono di Dio, che toglie il peccato (fonte e origine di ogni male); 10 L’ebraismo • fede nell’Alleanza di Dio con il suo popolo, in vista di un futuro di salvezza nei tempi messianici; • fede in tutto ciò che è scritto nella Legge (la Torah); • fede in un futuro messianico nel quale regneranno pace, giustizia e abbondanza di ogni bene. Una sintesi della dottrina ebraica è contenuta nella professione di fede elaborata dal filosofo ebreo Maimonide (1135-1204). Comprende i seguenti punti: 1. “Io credo con fede completa che il Creatore Benedetto ha creato e governa tutte le creature; Egli solo fece, fa e farà ogni cosa. 2. Io credo con fede completa che il Creatore Benedetto è unico e che non vi è altra unicità che la Sua: Egli solo è il nostro Dio, fu, è e sarà. 3. Io credo con fede completa che il Signore non ha corpo, né possiede gli attributi del corpo, né alcuna forma. 4. Io credo con fede completa che il Creatore è il primo e l’ultimo. 5. Io credo con fede completa che il Creatore è l’unico che si deve pregare e a nessun altro devono essere rivolte le nostre preghiere. 6. Io credo con fede completa che tutte le parole dei profeti siano vere. 7. Io credo con fede completa che la profezia di Mosè nostro maestro – su di lui sia pace – è vera. Egli era il capo dei profeti per coloro che lo hanno preceduto e per coloro che lo hanno seguito. 8. Io credo con fede completa che la Torah che noi possediamo è stata data a Mosè. 9. Io credo con fede completa che questa Torah non sarà cambiata e non vi sarà più un’altra Torah da parte del Creatore Benedetto. 10. Io credo con fede completa che il Creatore conosce tutte le opere dell’uomo e tutti i suoi pensieri. 11. Io credo con fede completa che il Creatore ricompenserà coloro che seguono i suoi precetti e punirà coloro che li trasgrediscono. 12. Io credo con fede completa nella venuta del Messia e per quanto egli ritardi, io l’attenderò ogni giorno. 13. Io credo con fede completa che vi sarà la resurrezione dei morti quando piacerà al Signore.” I libri sacri Il libro sacro degli ebrei è scritto in ebraico e si intitola “Bibbia”. È lo stesso nome del testo sacro dei cristiani e, come abbiamo visto, coincide con i libri della prima parte della Bibbia cristiana (denominata Antico Testamento e corrispondente a 24 libri in quanto sono esclusi Tobia, Giuditta, 1 e 2 Maccabei, Sapienza, Siracide, Baruch e alcune sezioni di Ester e di Daniele). La Bibbia ebraica è anche chiamata Tanach, sulla base delle iniziali (T, N, K) dei tre corpi di testi che lo compongono: Torah (Legge), Nebi’im (Profeti) e Ketubim (Scritti). La parte più importante è la Torah che comprende i cinque libri che contengono l’insegnamento di Mosè: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio. Nella Bibbia cristiana questi stessi libri sono denominati Pentateuco. Gli ebrei ortodossi credono che questi libri siano stati dati direttamente da Dio a Mosè. La vita morale La morale ebraica è quella dell’Alleanza: si ritrova fondamentalmente nella Legge (Torah) ed è riassunta nel Decalogo (10 Comandamenti). Il sentimento di dipendenza dell’uomo verso Dio è l’elemento chiave della coscienza ebraica. Una serie di doveri aiutano l’individuo a elevarsi, a riconoscere la volontà di Dio. Nei giorni feriali, come nei festivi, nei riti come nelle cerimonie famigliari, l’ebreo matura una serie di atteggiamenti che contribuiscono ad alimentare in lui il senso del divino, la presenza dell’Assoluto in lui e attorno a lui. La Mezuzah (piccolo astuccio attaccato allo stipite della porta e contenente una sottile pergamena in cui sono tracciati i più importanti principi quali l’unità di Dio, l’amore del Signore verso l’umanità, i doveri che si hanno verso la famiglia) richiama giornalmente il dovere dello studio della Torah e la fedeltà a certe pratiche (quali l’osservanza rituale del sabato e delle celebrazioni festive, la recita delle benedizioni per testimoniare che l’uomo vive in un universo animato dall’eterna presenza del Creatore, la precettistica delle norme alimentari). L’alimentazione Nella cucina ebraica non sono semplicemente seguite delle consuetudini, ma applicate delle vere e proprie regole. Kasher è il termine che le definisce nel loro complesso (letteralmente significa “puro”). Carne: si possono mangiare solo mammiferi che hanno lo zoccolo e l’unghia divisa in due e che ruminano, il che esclude, ad esempio, i maiali. La carne deve essere macellata, da parte di persona esperta e autorizzata dalle autorità rabbiniche, mediante l’uso di un coltello affilatissimo, secondo un procedimento che comporta la morte istantanea e il totale dissanguamento dell’animale. Latticini: non si possono mangiare contemporaneamente con la carne. Volatili: non sono permessi gli uccelli rapaci e quelli notturni. Pesci: solo quelli con pinne e squame. L’ebraismo Frutta e verdura: non ci sono limitazioni o divieti. Cibi simbolici: sono preparati per il Seder di Pesach, il pasto rituale di Pasqua (Seder significa “ordine”). Si tratta di erbe amare che simboleggiano l’amarezza della schiavitù in Egitto, di erbe verdi associate alla primavera, di un uovo che rappresenta la vita che si rinnova, di un cosciotto d’agnello, di acqua salata che ricorda le lacrime degli israeliti e di una mistura di mele, noci, cinnamomo e vino come ricordo dell’argilla con cui gli ebrei schiavi d’Egitto costruivano piramidi e silos. L’insegnamento della Torah La Torah è una guida, un insegnamento, che include la legge di vita degli ebrei. Vi sono 613 comandamenti, dei quali 248 sono positivi e 365 negativi. Rispettandoli, gli ebrei dicono “sì” al volere di Dio. Le leggi secondo gli ebrei non devono essere spiegate, ma sono la proclamazione di un codice d’amore, un modo visibile per accettare che Dio ha scelto Israele per essere una comunità santa. I comandamenti contengono leggi rituali, norme igieniche e comandi etici. Tra le 613 leggi ci sono i Dieci Comandamenti che, scritti su tavolette poste nell’arca dell’Alleanza costruita ai tempi di Mosè, erano custoditi nel tempio di Gerusalemme da Salomone nel X sec. a.C. e poi distrutto nel V sec. a.C. dai babilonesi. La Torah scritta non può trattare ogni situazione della vita. L’applicazione e il senso della Torah nel corso dei secoli vennero trasmessi perlopiù oralmente. Si ebbe così la Torah “she be’al peh” (la Torah che procede dalla bocca), divenuta la base dello studio ebraico e fu raccolta nel II sec. dal rabbino Judah ha-Nasi, nella Mishnah, ovvero “ciò che viene imparato più volte”. La Mishnah divenne a sua volta la base per il Talmud babilonese del VI sec. d.C. Si tratta di un’opera così estesa che furono scritti numerosi manuali e riassunti per aiutare i lettori ad orientarvisi. Per comprendere l’importanza del Talmud e il suo influsso sul popolo si devono considerare i principi ispiratori: la convinzione che esista una legge orale accanto a quella scritta e che la santità, ideale di vita per ognuno, si raggiunga attraverso l’osservanza dei divini precetti (mitzvot). Il rispetto di queste leggi giunse ad essere considerato un dovere religioso, e gli ebrei rimasero una comunità distinta da tutti gli altri popoli proprio grazie alla pratica di tali rituali. La Torah è tradizionalmente scritta su rotoli, i quali sono custoditi nella sinagoga in un armadio chiamato “arca”. Quando non sono usati, i rotoli della Torah sono arrotolati e coperti. Solitamente sulla sommità dei contenitori dei rotoli si trovano corone chiamate Keter Torah (corona della Legge) che sono il simbolo della sovranità della Legge nella vita ebraica. 11 Il culto e i luoghi religiosi L’istituzione della sinagoga, il centro ebraico del culto e dell’istruzione nella Torah, risale al VI sec. a.C., al tempo dell’esilio babilonese. Dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme nel 70 d.C., numerosi rituali del culto tradizionali del Tempio furono incorporati nel culto presso la sinagoga. Mattino, pomeriggio e sera le cerimonie che si svolgono nella sinagoga corrispondono a quelli che erano gli orari dei sacrifici del Tempio. La preghiera tuttavia può aver luogo in ogni momento e in ogni luogo, anche se in tutto il mondo ebraico la sinagoga è divenuta luogo di culto e di studio. Nella sinagoga, infatti, si tengono lezioni, si trovano gli uffici comunitari e i servizi per la comunità. Gli edifici sono costruiti rivolti verso la città di Gerusalemme, luogo sacro per la religione ebraica, e l’armadio a muro sulla parete più lontana rispetto all’ingresso, contenente i rotoli della legge, è chiamato “arca”. Nelle sinagoghe non si trovano quadri o statue, in osservanza al comandamento che vieta di farsi immagini, possibile oggetto di idolatria. Nella parte centrale si trova il baldacchino sotto il quale si svolgono i riti. Il punto più importante della sinagoga è l’armadio sacro dove sono custoditi i rotoli della Torah. Questi rotoli sono rigorosamente in pergamena e scritti a mano. Davanti all’armadio, pende una lampada perpetua che rievoca simbolicamente la funzione dell’antica lampada che ardeva perennemente nel Santuario e che rappresentava la luce spirituale della Torah. L’interno del Tempio con le suppellettili per il culto (miniatura del XV secolo). 12 L’ebraismo La preghiera La preghiera è molto importante nella religione ebraica. La liturgia è descritta come “servizio del cuore”. Include lo Shema Israel (la dichiarazione di fede dell’ebraismo: “Ascolta, Israele, il Signore è nostro Dio, il Signore è uno solo”) e l’Amidah (una serie di benedizioni che usano la formula “Benedetto sei Tu o Dio, re dell’universo”). Tradizionalmente nell’ebraismo gli uomini e le donne pregano divisi: le donne stanno nel matroneo. Questo non avviene più oggi nell’ebraismo riformato. Alle donne non è richiesto il servizio quotidiano. Gli uomini hanno l’obbligo di pregare a capo coperto, ma, in genere, fanno così anche le donne. Nei giorni feriali, per le preghiere del mattino, gli uomini solitamente mettono i filatteri sulla fronte e sul braccio sinistro, che è accanto al cuore: sono piccole capsule che contengono versetti della Torah, scritti su pergamena. La preghiera si tiene alla sera, al mattino e al pomeriggio. Il momento più profondo della preghiera ebraica è durante la festa del sabato, giorno di riposo totale e di astensione da qualsiasi lavoro. Il sabato comincia al venerdì sera con il tramonto del sole. Nelle case si consuma un pasto, come rito religioso, in cui il padre benedice il vino e spezza il pane del sabato. Nelle funzioni del sabato ha un’importanza particolare la lettura della Torah. Le persone sacre La celebrazione del culto nella sinagoga può essere officiata da qualsiasi maschio ebreo adulto, purché capace di leggere e comprendere il testo ebraico. Il rabbino non ha la funzione di un sacerdote, ma è un maestro che ha l’autorità per guidare la comunità cui è a capo. Non solo esercita mansioni religiose come predicazione, matrimoni, funerali, ufficio pastorale, istruzione, ma dirime anche le questioni della legge religiosa. Gli addetti della sinagoga sono il rabbino (il capo e l’insegnante in materia di religione), il cantore (il capo delle cerimonie) e l’inserviente. Le cerimonie liturgiche possono essere anche guidate da membri laici della comunità. Una cerimonia completa non può avere luogo senza un minian, ovvero un gruppo minimo di dieci uomini adulti. Le feste religiose Il calendario festivo ebraico è luni-solare, nel senso che in esso l’anno solare costituisce la grande unità di tempo e tuttavia si articola secondo le evoluzioni della luna. Tutte le feste cominciano la sera del giorno precedente e continuano sino alla sera successiva. Il calendario ebraico annuale è costellato da un certo numero di celebrazioni festive d’origine diversa che si sono imposte in epoche diverse della storia. Una prima categoria comprende le tre feste bibliche considerate propriamente maggiori: la Pasqua (Pesach), la Pentecoste (Shavuot) e la Festa delle Capanne (Sukkoth), note anche come feste di pellegrinaggio e con in comune il tema della gioia alla presenza di Dio. La celebrazione della Pesach dura sette giorni (otto giorni nella diaspora) dal 15 al 22 Nisan. Si tratta originariamente di una festa agricolopastorale primaverile relativa alla celebrazione della nascita, della ricrescita e del primo raccolto di cereali, che in seguito venne collegata al ricordo di determinati eventi della storia della salvezza ebraica. La festa di Pasqua si rifà all’uso dei popoli nomadi di offrire in primavera il sacrificio di un giovane animale maschio del gregge, di spargere il sangue sui pali della tenda per allontanare così l’influsso degli spiriti cattivi e di mangiare la carne arrostita bruciando gli avanzi ed è nelle sue origini da associare a riti di transizione. Nel suo significato storico la Pesach è divenuta la festa della liberazione dalla schiavitù d’Egitto; un’unica festa memoriale da celebrare di anno in anno (Es 13,8-10) il cui significato spirituale è che Dio è il Redentore. Il momento culminante e caratteristico della Pasqua è il banchetto pasquale o Seder. Le sue origini risalgono al rito dell’agnello pasquale che veniva ucciso nel Tempio il pomeriggio della vigilia e mangiato cerimoniosamente in casa la sera della prima notte della festività. Momento centrale della serata, caratterizzato dalla partecipazione attiva di tutti i presenti, è la lettura di un libro chiamato Haggadah sel Pesach (la cui compilazione definitiva risale al V sec. d.C.) in cui si parla dell’uscita dall’Egitto, non in modo sistematico bensì alternando racconti, commenti ed interpretazioni rabbiniche, acrostici e canti, filastrocche e benedizioni. Durante il Seder è tradizione bere i quattro bicchieri della redenzione, dall’Esodo (prima del pasto) al Messia (dopo il pasto). È tradizione lasciare un posto vuoto a tavola e mettere da parte un bicchiere di vino per il profeta Elia, di cui si attende la venuta in qualità di annunciatore dell’era messianica. Sul vassoio al centro della tavola vi sono il pane azzimo, in ricordo della fretta della partenza, le erbe amare, in ricordo dell’amarezza della schiavitù, l’impasto di frutta (charoset) che simboleggia il fango con cui gli schiavi ebrei erano obbligati a fabbricare mattoni, la zampa dell’agnello, in ricordo del sacrificio dell’agnello, l’uovo che simboleggia i cambiamenti della sorte umana, la rinascita a una nuova vita. L’islam Si registrano come celebrazione a parte la Convocazione d’autunno con l’anno nuovo (Ro’sh ha-shanah) e il giorno del Grande perdono (Jom haKippurim). Vi sono poi celebrazioni secondarie come la festa della Dedicazione (Hannukkah) e la festa di Ester (Purim) oltre a diversi giorni di digiuno, alcuni dei quali evocano le grandi catastrofi del passato. La maggior parte delle feste minori nel tempo sono diventate popolari e alcune sono celebrate più di altre maggiori. La gioia festiva si esprime tradizionalmente banchettando con carne e bevande, acquistando nuovi abiti per le donne e rispondendo generosamente alle richieste di carità. 13 L’idea della morte e dell’aldilà Le rappresentazioni della vita dopo la morte erano poco sviluppate nell’ebraismo antico, com’è dimostrato dal fatto che per le azioni buone o cattive non si prospetta una retribuzione nell’aldilà, bensì un premio o una punizione per i discendenti. I morti vegetano all’interno della terra, negli inferi. Più tardi, probabilmente dopo l’esilio e con qualche influsso persiano, sorse la credenza in una resurrezione della carne alla fine del mondo e in un giudizio universale, per cui i buoni saranno compensati con la vita eterna, e i cattivi con la “vergogna” e con l’“orrore eterno”. L’islam Islam (cioè “dedizione a Dio”) è la denominazione scelta da Muhammad (noto in Occidente come Maometto) per la religione da lui predicata. Indica il sistema di credenze e di riti basati sul Corano. Gli aderenti a questa religione si chiamano musulmani, da muslim, colui che abbraccia l’islam e lo segue fedelmente: è “il sottomesso”. Oggi si può considerare l’islam come una religione universale: oltre un miliardo sono infatti i musulmani nel mondo. Le comunità più numerose si trovano nel sub-continente indiano (Pakistan, India e Bangladesh), nell’Africa sub-sahariana, nel Vicino e nel Medio Oriente. La presenza di islamici nell’ex URSS e nei Paesi Balcanici è significativa; mentre in America e in Europa è in costante aumento. In Italia è la seconda religione dopo il cattolicesimo. L’islam è al tempo stesso religione e comunità temporale, una comunità che riunisce da un lato i rapporti del credente con Dio, dall’altro i rapporti dei credenti tra loro, su livelli di morale, di sociologia e di politica. L’islam come religione e comunità è internazionale e tende ad assorbire le differenze etnico-sociali. Il termine per indicare questo concetto di popolo e nazione, di “coloro che vogliono vivere insieme” è umma (letteralmente “comunità”). Il fondatore Figlio di Abdallah e di Amina, Muhammad (“colui che è lodato”) nacque verso il 570 d.C. alla Mecca, da un ramo collaterale e impoverito della nobile famiglia dei Quraishiti. Rimasto orfano ben presto, dovette lavorare come pastore, finché fu assunto dalla ricca vedova Khadigiah come cammelliere e poi come capo delle sue carovane commerciali; più tardi, venticinquenne, egli sposò la vedova, più vecchia di lui di quindici anni. Muhammad avrebbe potuto condurre la vita di un ricco commerciante, se la sua esistenza non fosse stata cambiata radicalmente a causa di una serie di visioni avute in una grotta della Mecca. Grazie a queste visioni, in cui, secondo la tradizione, gli si presentò l’arcangelo Gabriele, egli si convinse di essere stato eletto come “profeta” degli arabi, per annunciare l’unicità di Allah, che era una delle divinità venerate in un ambiente politeista, in cui vigevano i culti più svariati (molto diffusa era la litolatria, cioè il culto delle pietre ritenute sacre). A poco a poco gli si raccolsero intorno anche alcune personalità influenti; però l’opposizione della maggior parte dei cittadini della Mecca contro di lui era così forte, che egli decise di lasciare la città natale e di trasferirsi a Yathrib, l’attuale Medina (che significa appunto “città del Profeta”). Questo trasferimento (egira) ebbe luogo il 15-16 luglio dell’anno 622 d. C. e costituisce l’inizio del computo cronologico islamico. A Medina, Muhammad divenne in breve tempo una delle persone più influenti della città e il più eminente uomo politico e capo militare. Nel 630 conquistò la Mecca con il suo esercito: seppe sfruttare la vittoria alternando severità e mitezza e diventò il capo supremo di uno stato teocratico, cui aderirono, in numero sempre crescente, altre tribù arabe. Morì l’8 giugno 632. L’espansione dell’islam continuò dopo la morte del Profeta: grazie ai suoi successori, i califfi, l’islam si diffuse fino all’India e all’Indonesia, in Africa e poi, attraverso la Spagna, in Europa, dove l’avanzata fu fermata dal re franco Carlo Martello nel 732 a Poitiers, in Francia. Nell’est europeo attraverso l’impero ottomano l’espansione arrivò fino a Kiev, in Ucraina (1683). L’importanza storica di Muhammad consiste soprattutto nell’aver unificato le tribù arabe rimaste in 14 L’islam ombra fino ad allora, avviandole a grandi imprese, soprattutto di carattere militare. Fondando la religione musulmana, egli non solo diede al popolo un eccezionale impulso politico, ma lo innalzò anche a un livello spirituale più alto sostituendo con un monoteismo assoluto le varie forme di idolatria prima esistenti. Le correnti Dopo la morte di Muhammad l’islam si divise in due correnti principali che differiscono tra di loro per alcune sfumature delle convinzioni teologiche e politiche: • i sunniti, che derivano il loro nome dalla sunna, la tradizione del Profeta riconosciuta dalle principali scuole giuridiche; • gli sciiti, gli appartenenti, cioè, alla shia, partito di Alì, il genero del Profeta, riconosciuto come suo unico legittimo successore. Vi è poi il gruppo minoritario dei karajiti, che rappresentano una corrente assai rigorista. Alla corrente mistica appartengono i sufi, la cui spiritualità si caratterizza per la ricerca dell’amore puro e disinteressato. La divinità Allah è considerato l’unico Dio, creatore del mondo e dell’uomo. Egli è venerato con 99 “nomi belli”, ognuno dei quali esprime un aspetto della sua personalità (per esempio Rivelatore, Sostegno, Giudice, l’Eternamente Saggio, l’Eternamente Compassionevole). L’islam insegna che esiste un centesimo nome che non è mai stato rivelato: Dio supera ogni conoscenza umana. L’uomo è lo Abd Allah, il servo, lo schiavo, il dipendente dalla divinità. Il mondo ultraterreno è popolato da angeli, dei quali il più importante è Gabriele, spiriti (ginn), demoni che però non intaccano l’unicità di Dio, cui si oppone Iblis (satana), come forza del male. I testi sacri: Corano e Hadith Il testo sacro dell’islam è il Corano, un’opera redatta in prosa rimata araba, divisa in 114 capitoli (surah), ordinati in modo che dopo una breve surah iniziale i singoli pezzi si succedono in ordine decrescente secondo la loro lunghezza: la seconda surah conta 286 versi, mentre le ultime contengono soltanto pochi versi. Le surah più interessanti, dato il loro contenuto religioso, sono quelle scritte alla Mecca ed essendo le più brevi compaiono alla fine del testo. Secondo la concezione dei musulmani, il Corano (la parola significa “lettura”) contiene le rivelazioni ricevute dal Profeta direttamente da Dio o per mezzo dell’angelo Gabriele. Il contenuto del Corano è comunque assai vario.Accanto alle lodi a Dio, dettate da un profondo sentimento religioso, e alle vivaci descrizioni della sua unicità, grandezza e misericordia, ci sono impressionanti descrizioni del giudizio universale, delle bellezze del paradiso e dei tormenti infernali. In molti passi si accosta a leggende ebraiche e cristiane, spesso rielaborate, perché il Profeta, che probabilmente non sapeva né leggere né scrivere, non disponeva di testi biblici, e gli erano giunti all’orecchio solo resoconti orali. Grande spazio occupano nel Corano le disposizioni sul culto, sulla vita sociale, e osservazioni su vicende che riguardano il Profeta stesso. Poiché per il suo contenuto il Corano era incompleto come manuale di legge religiosa e civile, per soddisfare tutte le esigenze legate al cambiare dei tempi e a un numero sempre più elevato di aderenti alla religione islamica, si ricorse all’autorevole tradizione, alla sunnah (propriamente “norma), come legge per la vita culturale e sociale. Questi resoconti sulle parole e azioni del Profeta e dei suoi primi discepoli, che rappresentano il modello e la guida per il pensiero e l’opera di tutti i musulmani, sono chiamati Hadith. Si presentano in una serie di raccolte. Anche se molte delle parole attribuite al Profeta non possono certo risalire a lui, esse sono tuttavia caratteristiche e preziose come espressione del genuino sentimento musulmano. Le credenze fondamentali Muhammad insegnò che gli articoli della fede islamica sono sei: 1. credere in Allah, uno, unico, il quale non ha compartecipi nella sua qualità divina, a nessun titolo; 2. credere nell’esistenza degli angeli, come creature di Allah e senza alcun titolo per ricevere culto e non con il potere di fare grazie; 3. credere nella provenienza divina dei testi originari dei libri indicati nel Corano come provenienti da Allah (i fogli di Abramo, la Torah, i Salmi, il Vangelo, il Corano) di cui tuttavia solamente il Corano contiene il testo integrale, incontaminato da manipolazione umana della parola di Allah; 4. credere nella missione apostolico-profetica affidata a Muhammad, avente come destinatari tutti gli uomini, e nei messaggeri di Allah inviati prima di lui, tra i quali hanno posizioni di rilievo Adamo, Noè, Abramo, Ismaele, Isacco, Giacobbe, Mosè, Salomone, Davide, Gesù, Giovanni; 5. credere nell’esistenza di una vita futura, nella quale, dopo il giorno del giudizio, ogni uomo, in relazione alla sua vita terrena, sarà introdotto nel luogo dell’eterna beatitudine o nel luogo dell’eterno tormento. Se la vita terrena sarà stata vissuta in obbedienza ad Allah, si apriranno le porte del paradiso, mentre se la vita terrena sarà stata carat- L’islam terizzata dalla disobbedienza, si spalancheranno le porte dell’inferno; 6. credere nella provenienza dal decreto divino sia del bene sia del male. Nulla accade per caso, per fortuna o sfortuna, ma tutto ha origine dalla volontà di Allah. Culto e luoghi sacri Muhammad ha detto: “L’islam si fonda su cinque pilastri”. 1. La testimonianza (Shahadah) Si rende pronunciando la frase: “Attesto che non c’è divinità tranne Allah e attesto che Muhammad è l’Apostolo di Allah”. La testimonianza, o professione di fede, per i musulmani è l’impegno di non avere come padrone altri che Allah e di non prendere, come maestro di vita e come modello di comportamento, altri che il Profeta Muhammad. 2. La preghiera (Salah) La preghiera è considerata la colonna portante dell’islam. Le preghiere quotidiane del musulmano sono cinque ed egli le deve eseguire in condizioni di purezza rituale, nel tempo prescritto per ciascuna di esse, vestito in maniera appropriata e rivolto in direzione della Mecca. Tempi di preghiera sono: l’alba, il mezzogiorno, il pomeriggio, il tramonto e la notte. La preghiera si svolge secondo un rituale, costituito da una serie di posizioni e movimenti del corpo, accompagnati da recitazioni. La purezza rituale si ottiene mediante le abluzioni di alcune parti del corpo. Il venerdì si chiama “giorno della congregazione” e in esso si svolge, nel tempo della preghiera del mezzogiorno, la preghiera congregazionale della comunità dei credenti, che vivono in una località. Colui che dirige la preghiera congregazionale si chiama imam e uno degli elementi essenziali di essa è il sermone, che in arabo si chiama al-khutba. La chiamata alla preghiera viene fatta a voce (alazàn) da colui che chiama alla preghiera (al-muezzin) dall’alto del minareto (al-ma’zanah). 3. L’imposta coranica (Zakkat) Il denaro, l’oro e l’argento, le merci, i prodotti agricoli, i gioielli, producono a carico del loro proprietario un debito d’imposta coranica pari al 2,50% del loro valore. Sono previsti tributi anche per il bestiame e i terreni, nonché per il tesoro nascosto e per le miniere. L’imposta si chiama coranica poiché i destinatari di essa sono indicati nel Corano. Essi sono: i poveri, i bisognosi, gli esattori dell’imposta, i convertiti all’islam che a causa della loro con- 15 versione abbiano subito pregiudizi patrimoniali, i prigionieri, i debitori, i viandanti, la causa di Allah. 4. Il digiuno di Ramadan (Sawn) Il mese di Ramadan è il nono mese dell’anno lunare e in tutti i giorni che lo formano (29 o 30) i musulmani devono astenersi da cibo, bevande, rapporti coniugali e dall’introdurre nel corpo qualsiasi sostanza, nell’arco del tempo che va dalla preghiera dell’alba alla preghiera del tramonto. Il mese del digiuno è anche un mese di esercizi spirituali, che il musulmano pratica per una sempre crescente elevazione dell’anima nell’adorazione di Allah ed è il mese in cui, secondo i musulmani, è stato fatto scendere il Corano “guida per gli uomini, spiegazione della guida e criterio per il discernimento del bene dal male”, nella “notte del destino”. Il digiuno e la veglia notturna di preghiera ogni giorno e ogni notte nel mese di Ramadan procurano, secondo la fede musulmana, a chi li esegua con fede sincera e per amore di Allah, il perdono di tutti i peccati. 5. Il pellegrinaggio (Hajj) Il pellegrinaggio è un complesso di riti, che si svolge ogni anno nel territorio sacro della Mecca, al quale ogni musulmano, quando ne abbia la possibilità, è tenuto a partecipare, almeno una volta nella vita. I riti del pellegrinaggio sono: – la circumambulazione della Kà’bah (al-tawwàf). La Kà’bah o Pietra Nera è il centro spirituale dell’islam. Si tratta di un grosso pezzo di meteorite nero, non rimuovibile, considerata “casa di tutti gli dei”. Si trova alla Mecca e intorno vi fu costruito La Kà’bah circondata da pellegrini. 16 L’islam un santuario dedicato ad Allah. Originariamente era un centro di culto pagano e venne da Maometto riconsacrato al culto in un solo Dio; – la preghiera alla stazione di Abramo (maqàm Ibrahìm); – la corsa tra la montagnola di Safa e quella di Marwa (al-sa’y); – la sosta nella piana di ‘Arafah (uqùf’àrafah); – la lapidazione di Satana (al-ràmy); – il sacrificio della vittima consacrata (al-nàhr). Il pellegrinaggio è una grande adunanza annuale dei musulmani provenienti da tutte le parti del mondo e simboleggia l’unità della comunità islamica e del genere umano. Il pellegrinaggio si esegue negli ultimi tre mesi dell’anno lunare e i riti fondamentali si svolgono nei giorni 9 (la sosta in ‘Arafah) e 10 (il giorno del sacrificio) dell’ultimo mese dell’anno lunare. Vi è anche un “piccolo pellegrinaggio”, chiamato al-‘ùmrah, che può essere eseguito in qualsiasi periodo dell’anno e che consiste in una circumambulazione della Ka’bah e in una corsa tra Safa e Marwa. Il regime alimentare Il regime alimentare islamico si fonda sui precetti e sui divieti contenuti nel Corano e nella Sunna. È permesso il consumo di vegetali e di pesci, mentre è proibito il consumo di anfibi, carnivori, rapaci, suini domestici e selvatici (porco, cinghiale) e derivati dalla loro macellazione, sangue, carne di animali macellati con modalità diverse da quelle della macellazione islamica, o morti per malattia o per sbranamento. La macellazione islamica (al-zàbh) consiste nella recisione della gola (scannamento) della bestia, eseguita con una lama affilatissima. È lecito solo il consumo della carne di bestiame macellato secondo il rito islamico. Sono proibite tutte le sostanze, solide o liquide, che producono alterazione dello stato di coscienza, anche in piccole dosi. Sono, quindi, proibite le droghe e le bevande alcoliche, perché ritenute devastanti nelle loro conseguenze, sia sulla salute di chi le consuma, sia sulle relazioni sociali. I luoghi di culto La moschea è un edificio in cui si svolgono le pratiche religiose dell’islam e specialmente la preghiera congregazionale. Fu lo stesso Profeta a fondare la prima moschea a Medina. Dalla sua primitiva forma, quella di ampio cortile recinto, con piccole costruzioni in legno addossate al muro, di cui quelle poste verso la Mecca destinate al culto, e le altre ad abitazione, ben presto la moschea, oltre ad essere sede di attività religiosa, diventò anche centro di vita sociale, politica e militare della comunità musulmana. Nei primi tempi dell’espansione islamica, la pianta schematica di una moschea è composta di un grande cortile di forma rettangolare in cui, al centro, sorge una fontana, destinata alle abluzioni dei fedeli. Intorno al cortile corre un porticato semplice o multiplo, coperto con un tetto o con una caratteristica serie di cupolette. Sul lato del rettangolo perpendicolare alla direzione in cui si trova La Mecca c’è una nicchia, chiamata in arabo almihràb, che indica la direzione della preghiera (al-qìblah). Alla destra della “nicchia direzionale” (al-mihràb), molto rialzato dal pavimento, c’è un elemento di arredo della moschea, chiamato al-minbar e costituito da una scala che porta ad un podio con un sedile, da cui il predicatore della preghiera congregazionale del venerdì predica ai fedeli. Ogni moschea, poi, ha uno o più minareti. In tempi successivi la moschea si caratterizza con la forma di una grande sala delle preghiere, ricoperta a tetto, a volta, a cupola e, qualche volta, il muro esterno di recinzione è fortificato per la difesa dei fedeli, in caso di attacco nemico. Le moschee di maggiore splendore furono quella di Solimano il Magnifico a Istambul e quella di Selim ad Adrianopoli. La parola italiana minareto deriva dall’arabo al-manàrah, cioè “faro”. La caratteristica torre della moschea, avente presso la sommità una terrazza sporgente, da cui il muezzin invita i fedeli alla preghiera, si chiama al-ma’zanah, cioè luogo in cui viene fatto al-azàn (la chiamata alla preghiera). L’aniconismo islamico L’arte islamica delle moschee è caratterizzata dall’assenza di rappresentazioni raffigurative di creature viventi. Questa caratteristica si chiama aniconismo (dal greco α “non” e eikòn, “immagine”). Il rifiuto della rappresentazione figurativa di uomini e animali ha la sua radice nell’insegnamento di Muhammad, secondo il quale le rappresentazioni figurative antropomorfe e zoomorfe sono state e sono il punto di partenza di ogni culto idolatrico e l’ordigno più micidiale prodotto da satana per indirizzare il sentimento religioso dell’uomo verso altri anziché verso Allah. È per questo che mai un musulmano potrebbe realizzare opere di pittura e di scultura, aventi per oggetto creature viventi. Il sentimento religioso islamico, da cui nasce il rifiuto del figurativo antropomorfo e zoomorfo, fa sì che il fedele musulmano esprima in senso “decorativo e ornamentale” la sua sensibilità artistica. Nascono così le decorazioni dette “arabeschi”, nei quali il sentimento estetico musulmano ha realizzato opere di straordinaria bellezza. L’islam Gli arabeschi sono intrecci di elementi vegetali stilizzati (fiori, foglie), oppure motivi geometrici, oppure combinazioni armoniche di elementi vegetali e geometrici, oppure, ancora, intrecci di motivi vegetali, geometrici e calligrafici. Frequenti sono anche i calligrammi, cioè “belle scritture”, principalmente di versetti del Corano o di insegnamenti di Muhammad, in uno dei numerosi stili grafici dell’alfabeto della lingua araba. Persone sacre Gli incaricati di portare al mondo il messaggio celeste si chiamano con due nomi: nabi e rasul. Il nabi ha portato un messaggio, ma non un libro, viceversa il rasul ha portato il messaggio accompagnato da un libro celeste. Vengono riconosciuti come profeti unitamente ai profeti dell’Antico Testamento: Mosè, Davide, Gesù Cristo e Muhammad. Il profeta, per l’Islam, è uno che ricorda alla gente le verità eterne e Muhammad è l’inviato per eccellenza, l’agente umano incaricato di portare il messaggio divino. L’islam non possiede una gerarchia ecclesiastica. La celebrazione del servizio divino è affidata a un membro della comunità considerato idoneo per la sua saggezza oppure a un imam (modello o capo) designato dalla comunità. È usanza che celebri matrimoni e sepolture, diriga la comunità locale, dispensi i suoi consigli, ricordi la legge e i costumi islamici (sharia). Un muezzin chiama alla preghiera nella moschea. 17 I conoscitori del Corano e della legge islamica si chiamano ulema e, sebbene non formino un vero e proprio stato ecclesiastico, esercitano tuttavia una grande influenza, soprattutto attraverso i loro pareri. Feste religiose Il calendario religioso islamico comprende diversi giorni festivi e celebrazioni, nell’osservanza di precise indicazioni presenti nel Corano o in commemorazione di alcuni episodi della vita di Muhammad, dei suoi compagni e anche dei profeti più importanti. Due feste hanno una riconosciuta superiorità ufficiale ed effettiva su tutte le altre e sono considerate di precetto: quella di ‘Id al-adha e quella di ‘Id al-Fitr. Comune ad entrambe le ricorrenze è la grande preghiera comunitaria, con la quale comincia la giornata festiva, che si tiene nel luogo di riunione più importante di ogni città islamica, all’aperto o nella moschea principale. In quell’occasione ognuno indossa abiti nuovi e puliti e partecipa con tutta la famiglia alla preghiera comune. Questo momento di riunione collettiva è seguito da visite ad amici e parenti, da scambi di doni e da riunioni per pranzo e cena, nelle quali di solito si radunano molte persone. ‘Id al-adha (Festa del sacrificio) il 10 del mese di Dhul-Hijja (ultimo mese dell’anno lunare) durante il “grande Pellegrinaggio”. In concomitanza con essa tutti i musulmani che possono permetterselo, anche quelli che non partecipano al pellegrinaggio, in altre parti del mondo dell’islam, comprano un capro o un agnello e lo offrono in sacrificio, in ricordo di Abramo, cui fu concesso di offrire un animale in dono a Dio, al posto di suo figlio Ismaele. Viene celebrata la suprema sottomissione di Abramo alla volontà di Dio, come anche la generosità di Dio verso il fedele. ‘Id al-Fitr (Festa dell’interruzione del digiuno) è anche detta “Piccola Festa” (‘Id al saghir) ed è celebrata il primo giorno del mese di Shawwàl (il decimo mese dell’anno lunare). Il digiuno (sawn) viene rotto all’alba del primo giorno successivo a quello del mese di Ramadan, di solito con un pasto frugale a base di datteri e acqua. Il significato religioso del Ramadan è la sottomissione a Dio, l’abitudine alla privazione, la forgiatura del carattere. Durante questo mese, la sera le moschee sono aperte e i fedeli possono recarvisi per pregare e recitare il Corano. La festa della fine del digiuno è un momento di gioia e di allegria, nel quale le persone si congratulano le une con le altre per aver avuto la forza di sopportare il disagio della prolungata privazione di cibo. È una festa di famiglia che dura tre giorni, con la consumazione del montone, visite familiari e clima di festa sociale. 18 L’induismo L’idea della morte e dell’aldilà Quando un musulmano muore, la prima notte dopo la sua inumazione gli angeli Munkar e Nakir esaminano la sua vita, ma il morto deve poi aspettare fino alla resurrezione e al giudizio universale prima che sia deciso il suo destino eterno. Solo i combattenti per la fede che morirono come martiri, entrano subito dopo la morte in paradiso. Dopo il giudizio universale alla fine dei tempi, vi sarà la resurrezione dei morti e secondo il giudizio divino i buoni andranno in paradiso passando su un ponte sottile come il filo di un rasoio, mentre i malvagi scivoleranno su di esso e cadranno nell’inferno. Il paradiso è descritto come un giardino ombroso, percorso da freschi corsi d’acqua, dove sono a disposizione ricchi cibi, bevande, vesti. L’induismo Le origini dell’induismo Induismo è il nome che gli arabi diedero all’insieme di credenze e comportamenti religiosi delle popolazioni della regione dell’Indo. Questo insieme di credenze del sub-continente indiano si è sviluppato a partire dal 1800-1500 a.C. senza un vero fondatore, arricchendosi nel tempo di nuove intuizioni e dottrine che non negavano o non contraddicevano ciò che era stato affermato in precedenza. L’induismo si è evoluto sia attraverso nuovi sviluppi che hanno avuto origine all’interno della tradizione, sia per interazione e adattamento rispetto alle altre tradizioni e agli altri culti che furono in seguito assimilati nel patrimonio indù dall’esterno. Questi due processi di evoluzione e di assimilazione hanno prodotto un’enorme varietà di sistemi, dottrine e pratiche religiose. La Trimurti. Le divinità principali L’induismo è contemporaneamente una religione monoteista, panteista e politeista. • L’aspetto monoteista è sottolineato dal fatto che non vi è infatti alcuna difficoltà per gli indù nel definire l’assoluto (brahman) come unico, inconoscibile, misterioso, trascendente. Brahman è in ogni luogo e in ogni cosa.Anche l’uomo ha dentro di sé l’assoluto, infatti l’uomo è atman (anima) cioè contiene in sé un principio divino. Brahman è il Signore che crea, conserva, distrugge il mondo con la sua potenza (Sakti). • È presente un diffuso panteismo poiché ogni aspetto della natura e del cosmo è impregnato della presenza divina e quindi tutte le manifestazioni della vita sociale e individuale sono collegate con il sacro. • Innumerevoli infine sono le potenze soprannaturali cui si tributa un culto: per questo possiamo parlare di politeismo. Vengono attribuiti un nome e un aspetto diversi a ogni manifestazione e a ogni caratteristica dell’assoluto. La Madre Terra, certe montagne (Kailas, Himalaya), pietre dalle forme curiose, determinati fiumi (Gange, Jamuna), alcune piante (fichi, arbusti di tulsi) e animali (scimmie, coccodrilli, serpenti e soprattutto la vacca che nessuno può uccidere) sono ritenuti sacri. Al vertice del pantheon vi sono le tre divinità principali: Brahma, Vishnu, Shiva che sono spesso riuniti in una triade (Trimurti). Brahma simboleggia la creazione, Vishnu la conservazione, Shiva la distruzione del mondo. Brahma è l’artefice del mondo, cavalca un’oca e la sua sposa è Sarasvati, dea della sapienza; egli non attira particolarmente il sentimento religioso indù, come dimostra l’esiguo numero di santuari a lui dedicati. Vishnu e Shiva sono invece le due maggiori divinità degli indù: Vishnu è rappresentato mentre regge con le sue quattro braccia il disco, il loto, la conchiglia e la clava e cavalca la sua aquila Garuda. Altre raffigurazioni lo mostrano disteso sul “serpente del mondo” e spesso gli è accanto la moglie Lakmi, dea della bellezza e della felicità. L’induismo Shiva rappresenta l’aspetto dinamico dell’esistenza. È raffigurato con una o cinque teste, come un asceta cosparso di cenere bianca o con una collana fatta di teschi umani. Nelle quattro mani regge emblemi come il tridente, l’arco, il tamburo. È il dio della vita e della morte, crea e distrugge. Si occupa del lato oscuro dell’universo: la distruzione, la sofferenza e la morte. Distruggendo le cose create, permette allo spirito di emergere in tutta la sua potenza. È venerato dagli asceti (yogi) che cercano di acquistare poteri mistici mediante il digiuno e la meditazione e per i quali simboleggia la morte dei desideri materiali. Shiva è il liberatore del ciclo della nascita e della morte. È un dio buono e compassionevole per i suoi seguaci. Parvati, sua sposa, è venerata come la madre divina. È la forza della natura e la matrice dell’universo da cui sorge ogni vita. È anche venerata con i nomi di Durga o Kali. Si tratta di una divinità dalle caratteristiche contrapposte: da un lato è la temibile nemica dei demoni a cui un tempo si offrivano sacrifici umani per placarla; dall’altro è esaltata come la buona madre che dà nutrimento ai viventi. Le credenze fondamentali Le credenze e le pratiche dell’induismo sono molto diverse tra loro ma alcune di esse sono condivise. Per esempio l’idea della reincarnazione è unanimemente accettata: per l’indù ogni azione, buona o cattiva, ha un riflesso sull’avvenire. Quest’idea si fonda su alcune convinzioni proprie di tutto l’induismo, che potremmo riassumere così: • l’atman (anima) è l’essenza fondamentale e immutabile di ogni essere vivente, la scintilla di universale (brahaman) presente in ogni individuo; • tutto il resto è solo apparenza (maya), illusione: anche la storia dell’umanità è solo apparenza, un cerchio infinito in cui tutto si ripete eternamente; • l’uomo è legato al ciclo del tempo e delle eterne rinascite (samsara) e ciò che determina la reincarnazione è il karma ovvero la retribuzione automatica delle azioni nella vita successiva; • la vita di ogni uomo è regolata, come il cosmo, dall’eterna legge del dharma (destino) con il quale è necessario armonizzarsi sia a livello individuale sia universale; • è interesse dell’uomo, e suo compito, cercare di salire sempre più in alto nella vicenda delle reincarnazioni, cioè l’uomo deve tentare di reincarnarsi ogni volta in una forma di vita superiore alla precedente, sino al raggiungimento della liberazione dal samsara (moksa). La condizione futura di vita dipende, quindi, dall’uomo stesso, che, essendo responsabile delle sue azioni, accumula meriti e demeriti e determina la reincarnazione del suo atman in una condizione più alta o più bassa nella scala gerarchica dei modi di esistenza, ossia nel sistema delle caste. 19 Le caste La società indù è tuttora organizzata in caste (varna, colore), un sistema rigido e separatista, abolito ufficialmente nel 1947, ma che continua a persistere e conferisce un forte senso di appartenenza e in alcuni casi costituisce una rete di sostegno sociale. Ogni casta ha un ruolo specifico: i brahmana, gli ksatriya, i vaishya, i shudra, rispettivamente, bramini o sacerdoti il cui colore è il bianco, governanti o guerrieri il cui colore è il rosso, il popolo il cui colore è il giallo, servitori il cui colore è il nero. Al loro interno le caste si suddividono in sottogruppi e il passaggio da una casta all’altra è estremamente difficile perché l’individuo eredita la sua casta di nascita. Ogni casta ha le sue regole e le sue tradizioni, regimi alimentari, professioni e mestieri riservati. Tra le caste più basse vi sono ancora molti milioni di “intoccabili” (paria), ritenuti impuri perché praticano mestieri “impuri”, come la pulizia delle strade, delle latrine o la rimozione dalle strade delle persone e degli animali morti. A loro volta sono suddivisi in sottocaste e rimangono enormemente sfavoriti dal punto di vista economico, pur non essendo più sottoposti a umiliazioni degradanti come in passato. La vita morale La vita morale è tutta tesa al raggiungimento della liberazione del ciclo delle rinascite, attraverso la rinuncia di tutto ciò che è materiale e di tutti gli istinti. Il cammino ideale di ogni uomo è articolato in quattro stadi della vita: lo studente, che vive con il maestro, lavora per lui, pratica assoluta obbedienza e castità e apprende l’insegnamento del Veda; il padre di famiglia, in cui conosce l’esperienza dell’amore e della sessualità con il matrimonio, il valore dei beni materiali e della vita famigliare nel rispetto della tradizione, celebrando i riti indù; l’asceta domestico, in cui da solo o con la moglie, quando i figli sono ormai adulti, ha come attività principale la meditazione del Veda; infine il pellegrino errante o sanayasin, in cui vive staccato completamente dal mondo e in solitudine, nutrendosi di elemosine e proteso al conseguimento della liberazione. Le vie per raggiungere il divino L’induismo riconosce più vie per comprendere e avvicinare il divino e raggiungere così la liberazione: la via dell’azione (karma), la via della devozione (bhakti), la via della conoscenza e dell’intuizione (jnana). La via dell’azione insegna che il compimento di azioni buone neutralizza il karma negativo e privilegia l’impegno nella comunità e il progresso spirituale personale; la via della devozione prevede che i suoi seguaci venerino uno degli dei (abitualmente Krishna, Rama o Shiva), rinuncino a ogni volontà personale in cambio della protezione accor- 20 L’induismo data dalla divinità e facciano della propria vita un sacrificio di amore a quel dio; infine la via della conoscenza o dell’intuizione privilegia l’esperienza personale e lo studio dei testi sacri unitamente alla guida di un guru (maestro spirituale). È detto yogin (che pratica lo yoga) colui che guida i propri sensi e i propri pensieri in vista del raggiungimento dell’assoluto. Lo yoga è una disciplina psicofisica, un sistema educativo mediante il quale si ottiene il controllo del corpo e delle energie vitali. Il suo fine è il raggiungimento della pace interiore, della conoscenza suprema e della liberazione dai legami materiali per raggiungere l’unione tra l’atman (l’anima individuale) e il brahman (l’anima universale). Le tre vie insieme sono note come marga, ossia “la strada”. Non è importante che siano praticate tutte e tre in una sola vita, ma che sia intrapresa la via più appropriata per la vita che si sta vivendo: questo è il dharma (il destino) individuale. I luoghi sacri Le più antiche testimonianze di costruzioni sacre risalgono al IV-V secolo a.C. Da quell’epoca in poi vennero via via costruiti templi sempre più grandi e complessi (specialmente nel sud dell’India) che si trasformarono in vere e proprie città sacre. L’immagine divina è il segno della presenza della divinità e di fronte ad essa il devoto si prostra al suolo, toccando con la fronte la terra e tenendo il corpo completamente disteso. Per compiere gli atti di culto occorre un supporto che di solito consiste in un idolo (murti) nel quale si invoca preventivamente la presenza divina. Molto diffusa è la pratica del pellegrinaggio ai luoghi santi, che sono i templi e i guadi sacri dei grandi fiumi come il Gange, dove un’abluzione compiuta correttamente viene considerata in grado di eliminare tutti i peccati. I principali luoghi santi sono frequentati da persone provenienti da ogni parte dell’India che affrontano, spesso a piedi, lunghissimi percorsi, impiegando mesi per giungere a compiere le loro abluzioni e il loro voto in un momento ritenuto particolarmente propizio.Vi sono sedi di pellegrinaggio locali e regionali, oltre a centri panindiani (cioè propri di tutta l’India). Benares e Gaya sono particolarmente indicate per la salvezza dell’anima, per l’assoluzione da peccati e per fare offerte agli antenati. Il culto Il culto indù (puja) può essere di tre tipi: il culto nei templi, il culto domestico, il culto congregazionale. Il culto nel tempio I sacerdoti del tempio servono la divinità trattandola come un sovrano o come un ospite d’onore. Svolgono un servizio che comincia prima dell’alba: Il simbolo sacro dell’OM, parola santa alla base di tutte le preghiere indù. la divinità viene svegliata, lavata, nutrita, viene onorata, viene fatta riposare, viene unta, decorata e infine ritirata per la notte. Il programma è accompagnato da varie cerimonie, come il far ondeggiare le lampade, il suono delle campane, l’esecuzione di musica, di inni, di preghiere, le offerte di fiori, di frutta, di grano, di cibo, d’incenso e da altre forme di culto. Nei giorni festivi, per esempio, si svolgono cerimonie e processioni che attirano molte persone. Il culto domestico Non è ritenuto obbligatorio andare al tempio, purché si veneri comunque la divinità: il culto domestico viene seguito in molte famiglie (ma raramente con la complessità di quello del tempio) e nella maggior parte delle case si trova un’area dedicata a questo scopo, che viene mantenuta in uno stato di “purezza rituale”. Può variare nelle dimensioni, da una piccola nicchia nella cucina (in quanto la cucina è un’“area focale” nella famiglia indù dal punto di vista rituale e la cottura e il consumo del cibo sono considerati atti rituali in se stessi), con un apparato di utensili sacrificali collocati su un apposito piano elevato, sino a una stanza separata dalla casa, a seconda della disponibilità economica della famiglia. Qui la divinità d’elezione della famiglia viene rappresentata da un’immagine e da alcuni simboli. Di solito è la donna che cura la divinità ed esegue i vari rituali che comprendono una serie di “atti di servizio” quotidiani, come offerte di fiori o di frutti, riso, incenso, pasta di legno di sandalo, latte e acqua. Accanto all’immagine viene posta abitualmente una lampada accesa con burro raffinato. Il culto congregazionale o comunitario I devoti spesso si riuniscono insieme per praticare cerimonie con l’esecuzione di inni in cui i canti, la musica, il ritmo e l’atmosfera di fervente devozione possono produrre un effetto suggestivo e praticare la bhakti cioè l’adorazione della divinità. Un tipo diverso di rito comunitario è la recitazione di un libro della scrittura.Vengono incaricati sacerdoti e viene invitato il pubblico. Ogni testo specifica esattamente quali benefici deriveranno agli ascoltatori e agli organizzatori della cerimonia. In alcuni casi i pellegrinaggi determinano veri e propri raduni di massa, specialmente in alcuni luoghi che rivestono un’importanza panindiana e la festa religiosa si sovrappone alla pratica del pellegri- L’induismo 21 di yantra è il mandala (cerchio), usato soprattutto dai buddisti, che presenta un disegno assai complesso, costituito da uno o più cerchi concentrici delimitati da una cornice esterna e racchiudenti a loro volta un quadrato con quattro porte detto vimana (palazzo, città sacra), diviso in due triangoli dalle diagonali. All’interno di ogni triangolo e al centro dell’intero mandala si trova un cerchio contenente una figura divina. Una complessa simbologia suggerisce analogie tra microcosmo, cioè l’individualità psicofisica, e macrocosmo, cioè l’universo. Il mandala è sia immagine dell’universo sia strumento di concentrazione yogica e di riunificazione con l’assoluto. Il Taj Mahal, uno dei più importanti luoghi sacri moghul (Agra, India, 1632-1643). naggio, dando luogo a manifestazioni di incredibile imponenza. Tra esse la più importante è il kumbhamela che ricorre ogni 12 anni nelle quattro città sante di Hardwar, Ujjain, Nasik, e Allahabad dove, secondo il mito, sarebbero cadute le quattro gocce del nettare dell’immortalità perse nella battaglia tra demoni e dei. Il momento culminante è ad Allahbad in cui folle impressionanti di pellegrini si bagnano in massa nella confluenza dei fiumi Gange e Yamuna ai quali si aggiunge misteriosamente anche la divina Sarasvati. Tra le grandi manifestazioni religiose vi sono inoltre grandi processioni, a volte accompagnate da imponenti parate di elefanti. I simboli del culto Come simboli del culto vengono talvolta usati disegni geometrici, chiamati yantra e mandala, che possono essere simboli mistici molto complessi o semplici disegni eseguiti sul pavimento con differenti polveri colorate. Gli yantra sono strumenti di controllo delle energie psichiche, usati per la meditazione e consistono in disegni geometrici stilizzati che possono essere tracciati su stoffa, carta, pelle, legno, pietra, metallo o semplicemente creati sul suolo con polveri di diversa composizione o sulla sabbia. Un particolare tipo Le persone sacre La casta sacerdotale ereditaria degli indù è costituita dai bramini, ma poiché il numero degli appartenenti a questa casta è molto elevato, solo una piccola parte di costoro esercitano effettivamente le funzioni di ministri del tempio o di maestri religiosi (guru), mentre la maggior parte pratica le più svariate professioni laiche. L’istituzione del guru è molto sentita dalla gente: ogni villaggio e ogni quartiere delle città ha una persona ritenuta da tutti particolarmente saggia, alla quale ci si rivolge abitualmente per consigli di ogni sorta. Se la santità del guru è riconosciuta per unanime consenso, la sua parola viene ad assumere lo stesso valore dei testi sacri ed è considerata atto meritorio la completa sottomissione a lui. Il maestro è quindi una figura ancora indispensabile nella religiosità indù contemporanea, perché capace di condurre il discepolo a dio e perché è colui attraverso il quale dio si rivela, al punto che lo si sostituisce al culto delle immagini sacre. Egli consacra il discepolo, gli trasferisce la propria energia vitale e gli dona un mantra, cioè una formula particolare di preghiera. Si occupano della cura delle anime anche i monaci dei diversi ordini, che vivono nei monasteri, e gli asceti (sadhu, sannyasi) che si spostano per tutta l’India, vivendo di elemosine, e che sono tenuti in alta considerazione dal popolo. Le feste religiose Gli indù misurano tradizionalmente lo scorrere del tempo sulla base di un complesso calendario lunare e alcuni giorni del mese lunare sono considerati particolarmente santi, come quelli di luna nuova e di luna piena, che spesso coincidono con le grandi feste del calendario indù. Tra le principali feste ricordiamo quella di vasantapancami dedicata al culto di Sarasvati, la dea della parola, della cultura e delle arti, rappresentata nell’atto di suonare un liuto. Nella sua festa i devoti portano abiti color giallo vivo, simbolo di regalità e di clima primaverile. 22 L’induismo Nel periodo di febbraio-marzo ricorrono due importanti festività: la prima è quella della “notte di Shiva”(siva-ratri) che si celebra nel quattordicesimo giorno di luna calante. È preceduta da festeggiamenti che durano quindici giorni e da un digiuno obbligatorio. La seconda festa importante di questo periodo è quella di Holi, celebrata nei giorni che precedono la luna piena: è una sorta di allegro carnevale di primavera, caratterizzato da rumorose processioni, dal risuonare di tamburi e cembali e dall’usanza di spruzzarsi addosso reciprocamente acqua colorata. Un’altra festa è quella di Rama-navami, che viene celebrata il nono giorno del mese di Caitra (marzoaprile), in cui si commemora solennemente la nascita di Rama e migliaia di persone accorrono nei suoi templi e si organizzano processioni con i suoi idoli. Nel mese Sravana (luglio-agosto) si colloca la festa naga-pancami celebrata in onore del mitico serpente Sesa o Ananta. In tale giorno viene praticato il digiuno e vengono venerati i cobra eseguendo i riti in onore delle sacre immagini presenti nei templi o anche nelle campagne, in forma di stele scolpite ai piedi dei grandi alberi. I giorni dei compleanni non solo delle divinità ma anche di saggi e santi mitici e storici di ogni tempo sono occasione di feste religiose. Solenne è la festa del compleanno di Krishna, l’ottavo giorno di Bhadra (agosto-settembre). In autunno si celebra una grande festa in onore di Durga, la sposa di Shiva. Per questa solennità l’adorazione della dea è accompagnata dalla sacra rappresentazione del mito di Rama. L’immagine della dea, ogni volta appositamente costruita, viene abbandonata nelle acque di un fiume e nel decimo giorno vengono erette tre colossali effigi di demoni con riferimento alle lotte descritte nel Ramayana che, imbottite di esplosivo, vengono ridotte in cenere. Tra ottobre e novembre viene festeggiata la festa popolare di Divali, che significa “fila di lucerne” e allude alla luce come simbolo del bene e della vittoria sulle forze del male simboleggiate dalle tenebre. I libri sacri Al vertice della letteratura religiosa indù è il Veda (sapienza) redatto in sanscrito, antica lingua del ceppo indoeuropeo. Non si tratta di un libro sacro come la Bibbia o il Corano, bensì di un poderoso corpus di opere, formatosi in tempi diversi. Si divide in quattro raccolte: Rigveda (inni agli dei), Samaveda (canti sacrificali), Yajurveda (formule sacrificali) e Atharvaveda (canti magici). A queste quattro opere principali, le cui parti più antiche risalgono al 1250 a.C., si aggiungono numerosi Brahmana (testi sacrifi- cali) e i trattati filosofici delle Upanishad, risalenti all’800 a.C. circa. L’intero complesso dei Veda è ritenuto una rivelazione. La parte più antica, il Rigveda, contiene inni ai diversi dei, che dovevano essere invocati durante il banchetto sacrificale. L’Atharvaveda contiene formule magiche di svariati tipi, rivolte a scopi terreni, mentre nelle Upanishad, la ricerca di un essere divino che sta dietro alla varietà dei fenomeni diventa il tema principale. Oggi i Veda non possiedono più molta importanza per la religione viva: la maggior parte degli indù preferisce far riferimento alle opere della tradizione sacra redatte da alcuni santi come Vyasa, Valmiki, Manu. A questi scritti appartengono due grandi epopee: il Mahabharata e il Ramayana. Il primo narra in versi in sanscrito, la storia delle lotte fra le due tribù dei Kuru e dei Pandu e contiene molte poesie, tra le quali la più celebre è la Bhagavadgita (canto del Sublime). Il Sublime è il dio Vishnu che appare sotto le sembianze terrene di Krishna e che sul campo di battaglia impartisce all’eroe Arjuna, prima delle grandi lotte descritte nell’epopea, insegnamenti filosofici sulla natura di Dio, del mondo e dell’anima. In quest’opera si trovano rappresentate le vie di salvezza ritenute possibili secondo gli indù: la via della conoscenza che consiste nella rinuncia al mondo, e la via dell’azione disinteressata, conforme al dovere nell’amore di Dio. Il Ramayana (vita di Rama) narra in ventiquattromila strofe in sanscrito le vicende dell’eroico principe Rama. I Purana (antichi racconti) hanno contenuto mitologico e narrano la creazione del mondo, ma riportano anche azioni cultuali e dottrine di sapienza. Il Purana più conosciuto è il Bhagavata che esercitò un grande influsso soprattutto per le sue leggende su Krishna. L’idea della morte e dell’aldilà Quando un uomo muore, la sua anima, formata da un corpo sottile e invisibile, passa a una nuova esistenza; se non la raggiunge subito deve errare come fantasma e placare la sua fame con le offerte funebri che portano i parenti. Il ciclo delle rinascite sulla terra può essere interrotto in occasione di azioni particolarmente cattive, da un soggiorno negli inferi che può durare millenni, mentre il giusto, come ricompensa delle sue azioni, può ottenere un soggiorno in un mondo celeste. La condizione di coloro che si sono liberati dai vincoli della reincarnazione è rappresentata in diversi modi: come un soggiorno permanente in un mondo ultraterreno alla presenza di Dio, come uno stato in cui l’anima individuale è isolata da ogni cosa terrena, come la totale scomparsa di ogni elemento individuale e il trapasso nello Spirito universale. Il buddhismo 23 Il buddhismo Il buddhismo (o “sentiero dell’essere superiore”) è una religione che propone una peculiare via di liberazione, più filosofico-psicologica che religiosa, sviluppatasi nell’alveo dell’induismo. Con i suoi 300 e più milioni di seguaci, comprese tutte le correnti, è predominante in Asia ed è oggi diffuso in gran parte del mondo occidentale. Le origini e il fondatore Il fondatore e maestro è Siddharta Gautama detto Shakyamuni,“l’Illuminato” vissuto tra il VI e il V secolo a.C. nel nord-est dell’India a Kapilavatthu nell’Himalaya presso l’attuale confine indo-nepalese.Di origini principesche, dopo una giovinezza dorata e protetta, e dopo essersi sposato e aver avuto un figlio, uscito dal suo palazzo, ebbe quattro incontri: con un vecchio, con un malato, con un corteo funebre e con un asceta mendicante. Questi aspetti della realtà della vita lo impressionarono profondamente e generarono in lui una crisi e la presa di coscienza della realtà, della sofferenza e dell’illusione del vivere. Desideroso di conoscere le cause del dolore presente nel mondo, e desideroso di trovare uno stato di felicità duraturo, a circa trent’anni abbandonò i privilegi della sua casta per condurre vita da asceta alla ricerca di una soluzione all’enigma della vita. Insoddisfatto delle risposte di altri maestri, dopo digiuni estenuanti, capì che avrebbe ottenuto la conoscenza della salvezza solo nella meditazione personale, lontano dagli estremi dei piaceri eccessivi e dalla mortificazione ascetica. A 35 anni, dopo 49 giorni di meditazione, ai piedi di un albero di pipal (fico) raggiunse l’illuminazione, divenendo così il Buddha (il “Risvegliato”). Ebbe dunque inizio la seconda parte della sua vita in cui, dopo una scelta di isolamento, decise di rivelare al mondo i suoi insegnamenti e mise in moto la “ruota della dottrina” predicando e guadagnando alla sua“buona legge”molti adepti, monaci, monache ed aderenti laici di ambo i sessi.Trascorse la vita predicando e mendicando e viaggiando a piedi per tutta l’India nord-orientale. Morì nella città di Kusinara all’età di 80 anni. Diffusa dai suoi discepoli, la dottrina del Buddha si diffuse in tutta l’India, ma poiché gli insegnamenti del maestro venivano trasmessi dapprima solo oralmente e tramandati dai monaci di diverse regioni nei loro dialetti locali, si formarono ben presto scuole con differenti interpretazioni. Le divinità Non è adorata una divinità in particolare: infatti il Buddha non ha mai risposto alla domanda sull’esi- Il Buddha in meditazione, nella posizione cosiddetta “del loto” (secolo V a.C.). stenza di Dio, in quanto non pertinente al raggiungimento della liberazione. Non vi è neppure l’idea di un’anima immortale, né il concetto di beatitudine o castigo eterni. L’unica potenza che tutto governa è, per i buddhisti, la legge universale eterna che si rivela nella legge del compenso di tutte le azioni. Le credenze fondamentali Per buddhità si intende lo stato di purificazione completa della mente dai cosiddetti “difetti secondari” (ignoranza, odio, attaccamento ai beni materiali) fino a scoprire la sua natura pura e immacolata. L’essenza dell’insegnamento del Buddha è stato così espresso da un suo discepolo:“astenersi da ciò che è negativo, fare il bene, purificare la propria mente”. Per tutta la vita il Buddha cercò di far comprendere ai suoi discepoli che non era importante la sua persona , ma la sua dottrina, il dharma, che, rivelando la “vera via e la vera natura”, ha come meta di porre fine alle sofferenze e al ciclo delle rinascite. Si ottiene così uno stato di totale realizzazione che è detto nirvana. Vivere nel nirvana significa aver raggiunto una beatitudine totale, l’esperienza del “supremo risveglio”. La dottrina di Buddha è basata su quattro nobili verità: 1. La prima è la Verità della sofferenza. Vi è la presa di coscienza del disagio esistenziale determinato dalla consapevolezza che tutto ciò che compone la realtà è transitorio e legato alla concatenazione causa-effetto e quindi fonte di dolore. 24 Il buddhismo 2. La seconda è la Verità dell’origine. L’origine del dolore è il desiderio intenso, che muove l’uomo a compiere azioni per ottenere ciò che egli crede sia piacevole, fonte di ricchezza e di prosperità, ma che mette in moto il ciclo delle rinascite. 3. La terza è la Verità della cessazione. L’eliminazione del desiderio permette di uscire dal dolore e di raggiungere il nirvana, che è un modo di essere, in cui si è estinto il desiderio ed è una sorta di stato di santità. Il santo è colui che “ha spezzato la maschera dell’Io e annientato le sue passioni” e che non necessita di successive reincarnazioni. 4. l’ultima è la Verità della via. Si persegue attraverso l’ottuplice sentiero approfondisce ambiti della morale, della concentrazione e della saggezza. Per raggiungere il nirvana è necessario avere credenze giuste, cioè capire e credere le quattro nobili verità; esercitare una giusta volontà, cioè liberarsi dal desiderio e dal dolore, agire con benevolenza per evitare di offendere; usare parole giuste cioè dire la verità, parlare con precisione e saggezza; praticare azioni giuste, cioè non rubare, non uccidere, non commettere adulterio; avere un corretto modo di vivere cioè dar prova di distacco e di disinteresse e rispettare gli altri; fare un giusto sforzo, cioè incoraggiare e sviluppare un pensiero centrato sul bene; infine praticare una giusta concentrazione, cioè praticare le tecniche di meditazione che permettono la realizzazione dell’ottuplice sentiero. Il culto e i luoghi sacri Il buddhismo attribuisce un culto particolare alle reliquie (quelle corporee di un bodhisattva, le reliquie d’uso, cioè usate in qualche modo dall’Illuminato e le reliquie simboliche che ricordano il Buddha). I santuari che contengono reliquie possono essere edifici molto grandi, spesso di valore storico, oppure costruzioni più piccole (addirittura esistono reliquiari portatili). Sono detti solitamente stupa oppure pagoda. Le pagode hanno spesso fama di grande sacralità e diventano centri di culto. Altri importanti oggetti di culto sono l’albero bodhi piantato di solito nei giardini dei monasteri e le immagini del Buddha. Tali immagini possono essere poste in ampie sale accanto alle pagode o in piccoli sacrari nelle case o nei posti di lavoro. Adorare un’immagine è considerato un atto meritorio e offrirle sostanze (come incenso, olio, candele, acqua, cibo, vestiti), mostrarle rispetto, pulendola o imbellendola, cantarle versi appropriati fanno acquisire meriti e benefici futuri che preparano a intraprendere la via dell’illuminazione. La meditazione è un elemento essenziale del culto per i laici, le monache e i monaci, in genere secon- do due tecniche, la prima delle quali consiste nel concentrare la mente su un oggetto o su una sensazione; la seconda su se stessi. Le persone sacre La cura delle anime è affidata ai monaci vestiti di giallo che, peregrinando o vivendo nei monasteri, osservano una completa castità, consumano il cibo mendicato (possono nutrirsi solo fino a mezzogiorno) e vivono in povertà. Possono infatti possedere solo una scodella per il cibo da chiedere in elemosina, un rasoio, un ago e pochi altri oggetti di prima necessità. I monaci osservano un codice di regole per evitare di cadere nelle tentazioni della vita quotidiana e si rifugiano nei tre gioielli, il Buddha, il dharma e la comunità monastica, la sangha. Esistono anche monasteri femminili e la maggior parte dei monaci e delle monache buddisti devono osservare il celibato, devono astenersi dal fare del male a qualunque creatura vivente, dal prendere ciò che non viene donato, dal fare cattivo uso dei sensi, dal tenere un linguaggio menzognero, dall’intossicarsi con alcool e droghe. Le principali festività Il buddhismo segue un calendario lunare e i giorni di luna piena vengono collegati con la vita del Buddha o con momenti storici particolarmente significativi. Le feste annuali variano in modo considerevole, sia localmente sia nazionalmente. Molto diffuse sono le feste connesse con le pratiche agricole (l’aratura, la semina), con particolari divinità o spiriti o con particolari località. Tre celebrazioni tipiche del Buddismo sono: • La festa del Capodanno, che cade nel mese di aprile e comprende la festa dell’acqua, nella quale si offrono recipienti di acqua fresca agli anziani che contraccambiano con una benedizione e viene gettata acqua sui passanti come simbolo di purificazione dal male che si è commesso durante l’anno. • Il Giorno di Buddha, che commemora tre eventi della sua vita: la nascita, l’illuminazione e la sua morte o entrata nel nirvana. La data non è la stessa per tutte le scuole buddiste. • Il Vassa o periodo delle piogge, dalla luna piena di luglio alla luna piena di ottobre. In questo periodo i monaci non possono viaggiare o stare fuori dal monastero e i laici non possono celebrare matrimoni né partecipare a forme di divertimento pubblico. Sono anche diffusi i pellegrinaggi di tipo locale. In India i quattro luoghi sacri meta di pellegrini celebrano i momenti salienti della vita del Buddha: dove nacque, dove raggiunse l’illuminazione, dove predicò il primo discorso e dove morì. In quest’ultimo posto, Kusinagara, si possono trovare stupa che con- Le religioni cinesi tengono una parte delle sue reliquie.Anche in Cina, in Sri Lanka e nell’isola di Ceylon vi sono circuiti di pellegrinaggio connessi o al Buddha o ad eventi importanti per la diffusione del buddhismo. I testi sacri Per parecchi secoli gli insegnamenti del Buddha vennero trasmessi oralmente dalla sangha, la comunità allargata dei monaci buddisti. Poi furono raccolti e raggruppati per iscritto intorno al I secolo a.C. in una lingua indiana, il pali. I testi sacri riconosciuti come autentici dal buddhismo sono raccolti in due canoni denominati in base alle scritture usate, pali e sanscrito. Il canone pali è chiamato Tipitaka (tre ceste di libri) ed è costituito da tre parti: Vinaja-pitaka (cesto della disciplina), Sutta-pitaka (esposizione della disciplina) e Adhidamma-pitaka (cesto filosofico). Il primo cesto contiene cinque raccolte di libri molto ampie; il secondo cesto è oltre il doppio e comprende tre libri di discorsi e altre raccolte; il cesto di filosofia termina la raccolta con il Pathan e i sei trattati della metafisica buddhista. Il canone sanscrito varia molto per suddivisioni e denominazioni da Stato a Stato. 25 L’idea della morte e dell’aldilà Secondo il buddhismo Hinayana l’ascesa, realizzabile solo da parte dei monaci attraverso una serie di gradi, dopo aver abolito l’odio, il desiderio e la vanità, porta alla condizione di santità, intesa come superiorità rispetto alle cose mondane e all’ingresso dopo la morte, nel nirvana. Nel buddhismo Mahayana viene recuperata anche l’esperienza di vita del laico e il fedele è orientato a diventare un bodhisattva che, sacrificandosi e rinunciando a se stesso, porta la salvezza a molti esseri viventi.A queste vie se ne affiancarono più facili come la venerazione del Buddha o la recitazione dei mantra e il compimento di determinate cerimonie sacre per giungere all’illuminazione. Il buddhismo crede nella reincarnazione in diverse specie di esistenza che può essere interrotta se il karma è particolarmente cattivo, con pene infernali di lunga durata oppure, se buono, con la dimora in un mondo divino. I cieli hanno una disposizione a piani sovrapposti a seconda del grado di perfezione, sebbene per il saggio questo non sia considerato un fine da raggiungere, poiché l’esistenza celeste è destinata a finire per ritornare ai dolori della terra. La liberazione finale dalle sofferenze e dalle passioni è garantita solo dal raggiungimento del nirvana. Le religioni cinesi La religione cinese è più un’entità culturale che teologica. Infatti in Cina il termine “religione” (tsungchiao) indica letteralmente una linea di insegnamenti. L’uomo cinese ne accetta tradizionalmente tre: il sistema etico confuciano per la vita pubblica, il sistema taoista per quanto riguarda i rituali e l’atteggiamento verso la natura, e le concezioni del buddhismo per quanto riguarda la salvezza e l’aldilà. Le tre dottrine sono i punti d’appoggio della fede e delle necessità religiose del mondo cinese, convivono e si armonizzano tra loro nella pratica religiosa e sociale. Il cerchio diviso in due metà che rappresentano due elementi contrapposti, lo yang (la luce, il sole, il cielo, l’elemento maschile) e lo yin (il buio, la terra, l’elemento femminile) costituisce il simbolo delle religioni della Cina ed è chiamato tao. Dalla fusione dei due elementi traggono origine la vita e l’armonia dell’intero universo. Il simbolo dello yin e dello yang. Il confucianesimo Le origini e il fondatore Questa religione conta circa 180 milioni di seguaci, di cui la maggior parte in Cina. Le sue origini risalgono a K’Ung-futsu (Confucio), vissuto dal 551 a.C. al 479 a.C. Confucio recuperò il patrimonio delle antiche religioni cinesi (in particolare l’Universismo) che riteneva l’armonia del cosmo basata sulle due forze contrapposte e complementari (lo yin e lo yang). 26 Le religioni cinesi Egli le ripropose come un sistema di regole morali, in grado di porre l’individuo in armonia con se stesso e con il cosmo e di porre rimedio alla decadenza politica e religiosa della Cina del suo tempo. Le divinità Nel confucianesimo sussistono molte divinità, ordinate gerarchicamente; ai vertici stanno il dio del Cielo, maestoso, onnipotente e onnipresente e quello della Terra. Agli imperatori era tributato culto divino e si riteneva fossero figli del Cielo. Anche a Confucio fu tributato culto divino dopo la sua morte.Vi sono poi dei associati a determinate località o a palazzi, porte e mura della capitale. Il numero degli dei e degli spiriti è infinito e nei boschi, sui monti e nelle acque esistono esseri considerati demoniaci da cui l’uomo deve guardarsi perché possono arrecargli danno. Per tenerli lontani, gli ingressi delle case sono protetti dai “muri degli spiriti”. Tra gli animali l’unicorno, la fenice, la tartaruga e il drago sono considerati esseri potenti. Il drago, a differenza di quasi tutte le mitologie occidentali, è considerato benefico, poiché apporta la pioggia. La rana è considerata un portafortuna e i contadini venerano anche molti alberi come dimora degli spiriti. Le credenze fondamentali Confucio propose il ritorno ai valori tradizionali e al culto degli antenati: egli riteneva infatti che per rinnovare l’impero fosse necessario partire da un buon governo, che a sua volta poteva realizzarsi solo rafforzando la vita familiare. Lo Stato venne da lui concepito come una grande famiglia, in cui i riti, il rispetto delle gerarchie, lo studio dei classici, l’esperienza degli antichi assicuravano la concordia dei cittadini sotto la guida dell’imperatore. L’intera vita morale della comunità deve essere dominata da principi morali e l’imperatore non solo deve possedere una conoscenza completa degli ammaestramenti contenuti nei testi sacri, ma deve esercitare in se stesso le virtù e vigilare sulla purezza della sacra dottrina. Come premio della sua condotta virtuosa riceve le cinque specie di felicità e le irradia sui sudditi: longevità, ricchezza, salute e contentezza, amore per la virtù e una fine beata. Qualora perda il trono, è a causa della sua imperfezione morale. Per avere una convivenza sociale armonica, Confucio raccomandò la pratica della virtù e diede molta importanza al retto comportamento (li), individuandone i principi fondamentali nel rispetto e nella venerazione per i genitori, per gli anziani e per gli antenati (cui si devono offrire sacrifici), per i principi e per l’imperatore che rappresenta il cielo. A seconda delle scelte morali che operano, gli uomini possono essere individui comuni, saggi o nobili. I saggi e i nobili, che possiedono autocontrollo, umanità e bontà, seguono il li armonizzando la propria vita con l’ordine generale e conformandosi alle regole del vivere sociale. Il culto e i luoghi sacri Due sono i culti fondamentali: quello del Cielo e quello della Terra. Il culto del Cielo prima della rivoluzione repubblicana del 1912 era celebrato quotidianamente dall’imperatore nel grande tempio del Cielo di Pechino. Il culto alla Terra comprendeva la venerazione di tutti gli elementi che ne fanno parte. È ampiamente diffuso il culto degli antenati, in cui si mescolano elementi confuciani, taoisti e buddhisti, collegato a un complesso rituale funebre, finalizzato a trasformare il defunto in antenato da venerare nella propria casa, dove vi è un altare nella sala centrale con gli spiriti protettori della famiglia sistemati al centro e il sacrario degli antenati posto a sinistra o sul lato occidentale. Talvolta le tavolette commemorative degli antenati vengono conservate, dietro compenso, in un santuario, in una pagoda o in un tempio buddhista. Confucio (disegno a china del XVIII secolo). I libri sacri I più antichi libri sacri pervenuti e le principali opere del confucianesimo sono definiti “libri canonici”. I Le religioni cinesi principali sono: Yi-Ching, il Libro delle mutazioni che tratta delle potenze ultraterrene e dei loro rapporti reciproci, risalente al 2950 a.C.; Shi-Ching, il Libro delle Odi, una raccolta di poesie dei secoli IX-VI a.C.; Shu-Ching, il Libro dei documenti, una raccolta di editti governativi, discorsi di carattere politico e didatti- 27 co risalente al IX-VII secolo a.C.; Ch’un-ts’tu, Primavera e Autunno, opera redatta probabilmente da Confucio stesso e riguardante la storia dello Stato Lu, sua patria d’origine; Li-chi, il Libro dei riti, una raccolta composta nel I secolo d.C. e comprendente diversi trattati sugli usi religiosi e sociali. Il taoismo Le origini e il fondatore Il taoismo è diffuso soprattutto in Cina, con circa 30 milioni di seguaci; ma si trovano minoranze praticanti anche in Vietnam e in Malaysia. Il suo nome deriva dal cinese Tao che significa “via, cammino” e non è una forza divina, ma semplicemente una forza naturale all’origine delle azioni universali. Il fondatore del taoismo è Lao-Tsu (“antico maestro”), la cui figura è leggendaria. Nato, secondo la tradizione, nel 604 a.C. da nobile famiglia in una provincia del villaggio della provincia dell’Honan, ricoprì la carica di archivista presso la corte imperiale a Lo-Yang e si ritirò poi in solitudine, morendo intorno al 517 a.C. Le divinità Alla base di tutto vi è il Tao, l’unità di ogni esistenza all’inizio del tempo, che ha dato origine ai due opposti: lo yang o lo yin. Dai due sono sorti il Primordiale Nobile Celeste, signore del Cielo, quello che governa la Terra e quello che presiede l’Acqua e le rinascite. A livello macrocosmico ilTao dà origine al cielo, alla terra, all’acqua; a livello microcosmico, alla testa, al torace e al ventre (intelletto, amore, intuizione). A livello spirituale il Tao è visto come ciò che continuamente genera, media e risiede all’interno dell’uomo. Le divinità taoiste sono molte e legate ad ogni aspetto della vita. Gli dei più popolari sono quelli legati all’infanzia, alla ricchezza e alla salute.Vi sono poi dei demoni e viene anche attribuito il culto a otto esseri umani divenuti immortali grazie alla pratica della virtù. Le credenze fondamentali La base della dottrina di Lao-Tsu è una mistica individualistica che porta ad estraniarsi dalle passioni e immergersi nell’origine delle cose. Il saggio deve sprofondare nell’origine del tutto e fare il bene in modo inconscio e spontaneo. Finché persiste lo stato d’innocenza in cui regna il Tao, le virtù ne sono effetti e il fare del saggio non è nient’altro che il “non fare”, cioè agire spontaneamente con azioni corrispondenti alla natura. L’ideale politico di Lao-Tsu Il paesaggio per il taoismo è rappresentazione dello spirito (pittura del XVII secolo). non è uno stato burocratico ben organizzato come per Confucio, bensì un piccolo regno, in cui gli uomini vivono semplicemente, disarmati e non hanno contatti con altri paesi perché questo genera solo insoddisfazione e guerre. Il compito dell’umanità è di aiutare a mantenere l’armonia tra yang e yin. Questo equilibrio può infatti essere distrutto dalla debolezza umana e le offerte e le preghiere del rito taoista hanno lo scopo di riparare ai misfatti degli uomini che lo turbano.Vengono praticate la meditazione e l’ascesi per liberarsi dalle passioni e dai desideri. 28 Le religioni cinesi Sono individuabili cinque proibizioni e dieci consigli. Le proibizioni sono l’uccisione degli esseri viventi, l’alcoolismo, l’ipocrisia, il furto, la dissolutezza. I dieci consigli prevedono: l’ubbidire ai genitori, il servire l’imperatore e il maestro, rispettare tutte le creature, sopportare il male ricevuto, risolvere le questioni e togliere l’odio, sacrificare i propri interessi per aiutare i poveri, liberare gli animali catturati e nutrire gli esseri viventi, scavare pozzi, piantare alberi, costruire ponti, rendersi utili ai propri simili, recitare i libri taoisti e bruciare l’incenso per onorarli. Il culto e i luoghi sacri Poiché grande importanza viene attribuita alla natura, alcuni luoghi naturali sono considerati sacri, come isole o montagne. Per i taoisti si contano cinque montagne sacre, di cui la più famosa è il Thai-shan nello Shan-tung e innumerevoli centri disseminati per tutta la Cina, meta di pellegrinaggi. I templi, gestiti perlopiù da sacerdoti taoisti sotto la direzione di un consiglio di laici e costruiti tramite donazioni, sono il centro religioso del villaggio e servono non solo per i servizi religiosi, ma anche per le fiere, per le rappresentazioni teatrali, per gli spettacoli di marionette e per i narratori di storie. Le feste religiose Il ciclo delle festività segue il calendario agricolo e le feste sono frequenti nei periodi di riposo. Il giorno del Capodanno lunare, o festa della primavera, si tiene un banchetto familiare in onore degli antenati e dei membri della famiglia che vengono da lontano. È la festa più importante e più celebrata: in memoria degli antenati vengono posti sull’altare di famiglia o sulla tavola cinque o sette bacchette per mangiare, vino, tè e tazze di riso cotto. Poi viene servito un banchetto di sedici o ventiquattro portate, accompagnato da canti di prosperità e di benedizione per il nuovo anno.Vengono indossati abiti nuovi e i fuochi artificiali segnalano l’inizio del nuovo anno. Il quindicesimo giorno del primo mese è la Festa delle luci che viene celebrata con una processione di lanterne e con una danza di draghi. Il terzo giorno del terzo mese è la Festa della purificazione ed è legata a una pulizia espiatoria delle tombe, con offerte di cibo sulle tombe e successivamente con un pranzo all’aperto sulle colline. Il quinto giorno del quinto mese segna l’inizio dell’estate, celebrato con il consumo di focacce di riso, con gare di barche fluviali a forma di drago e con rituali di preservazione dalle malattie per i bambini e di propiziazione della pioggia. Nell’ottavo mese si celebra la Festa dell’autunno legata al raccolto. Nel periodo invernale vengono celebrate feste relative alla nascita di eroi e di santi della religione popolare, come i santi protettori locali del suolo che vengono celebrate nel primo e nel quindicesimo giorno di ogni mese Le persone sacre Tre tipi di funzionari assistono la gente dei villaggi nella pratica dei riti di passaggio e nelle festività. Sono i monaci buddhisti, i sacerdoti taoisti e i medium o gli sciamani. Dai sacerdoti taoisti vengono eseguiti rituali di guarigione e di benedizione e riti di divinazione con i bastoncini (un certo numero di bastoncini viene lanciato a caso in un contenitore e l’esagramma corrispondente viene interpretato da un monaco o una monaca del tempio) per scoprire il proprio futuro o chiedere consigli per i problemi familiari e per gli affari. Il medium, l’oracolo, lo sciamano sono presenti specialmente nei centri non industrializzati. Secondo il sistema religioso cinese svolgono ruoli di veggenti, guaritori e giudici nei villaggi rispettivamente cadendo in trance e venendo posseduti da un spirito, diventandone i portavoce e viaggiando nell’aldilà, sia negli inferi sia nei cieli, e combattendo con spiriti malvagi e fantasmi. I libri sacri Lao-Tsu scrisse una breve opera, Tao-te-Ching (sulla legge universale e sui suoi effetti); opere di carattere mistico-poetico furono scritte nel IV secolo d.C. da Yang Chu. L’Idea della morte e dell’aldilà Come il cosmo consta di due forze primordiali, lo yang e lo yin, così anche l’anima dell’uomo è composta dallo yang individuale, che corrisponde all’anima, e da una forza vitale, materiale (kuei, demone). Solo l’anima superiore sopravvive dopo la morte. Dopo la morte si pensa che l’anima precipiti in basso nei domini dello yin, dove si purga dei suoi peccati e della sua oscurità, prima di salire al cielo. Durante questo periodo può provocare malattie e altre calamità ai familiari, qualora questi non offrano offerte di cibo e preghiere. Il medium o lo sciamano in Cina , in Giappone, in Corea e nell’Asia sud orientale ha la funzione di mettere in comunicazione i defunti con i vivi per capire le necessità dell’anima non placata. L’inferno viene rappresentato come un luogo con nove stadi di punizione. Il denaro di carta, bruciato in occasione dei funerali e di altri rituali, è simbolo dei meriti dell’essere vivente i cui atti d’amore e le cui offerte sono come banconote per l’inferno, e hanno il potere di far salire l’anima del defunto alla vita eterna. Lo shintoismo 29 Lo shintoismo Le origini e il fondatore Lo shintoismo è l’unica religione che viene professata in una sola nazione, il Giappone e conta più di 60 milioni di aderenti. La parola shintoismo deriva da: Shin (gli dei) To (via) e vuol dire “via degli dei” o “culto agli dei”. Lo shintoismo non ha fondatori e si rifà alle antiche tradizioni del culto degli antenati e della natura e rappresenta l’unità nazionale sotto la guida della famiglia imperiale. Gli avvenimenti della seconda guerra mondiale hanno ridimensionato il culto all’imperatore. Le divinità Il numero di kami (cioè dei o spiriti) è infinitamente grande: si parla di 80 o 800 miriadi di kami. Al vertice del pantheon vi è la dea solare Amaterasu che regge i campi del cielo e il governo del mondo è nelle mani di un consiglio di dei. Susano-wo è il dio del mare e delle tempeste e protegge gli innamorati. Un dio pericoloso è quello del fuoco Atago e un altro dio è Inari, legato al raccolto, il cui animale sacro è la volpe. A queste divinità principali se ne aggiungono molte altre che proteggono determinate località o strade, presiedono a diversi fenomeni naturali o a mestieri e occupazioni. Sono venerati anche i sovrani defunti. Le credenze fondamentali I kami, oggetto di venerazione, comprendono gli spiriti che favoriscono la produzione, la crescita, la fertilità, gli antenati, gli spiriti degli imperatori e degli eroi. In ogni realtà naturale viene percepita la presenza del divino e la natura dell’uomo viene considerata essenzialmente buona. Il male viene messo in relazione con spiriti malvagi, nei confronti dei quali occorre compiere esorcismi e riti purificatori. Sono praticate forme di animismo e di feticismo (ovvero la venerazione di oggetti non fine a se stessa, ma collegata agli spiriti buoni o ai demoni che si pensa che vi risiedano) e la venerazione di oggetti come rappresentazioni materiale della divinità. l’attenzione del kami battendo le mani o suonando una campana, in genere per propiziare il benessere della famiglia e il buon raccolto. Nell’aula principale, nascosto agli sguardi da una cortina e racchiuso in una scatola, vi è lo shintai, il corpo divino, cioè un simbolo che rappresenta il dio (specchio, armi ecc.). Caratteristica peculiare della cappella shinto è il torii, un portale a giogo fatto generalmente di legno e formato da due stipiti rotondi un po’ ravvicinati verso l’alto, con due architravi, il più alto dei quali sporge oltre i due stipiti portanti. I torii si trovano talvolta sulla sponda dei laghi e indicano che quel luogo è sacro. Molti sono i monti sacri dedicati alle divinità, sede di santuari e meta di pellegrinaggio. I pellegrini portano vesti bianche e cappelli di giunco. Le feste religiose La forma principale della festa shintoista è il maturi, in cui i kami sono invocati durante le danze, la musica, i canti, le preghiere. Le feste sono perlopiù legate al raccolto e al ciclo della natura. Una delle più grandi feste è quella dell’Anno Nuovo. Quel giorno milioni di persone affollano i grandi santuari per pregare i kami e chiedere le loro benedizioni per il nuovo anno. Un’altra festa famosa è la festa dei ciliegi in fiore, all’inizio della primavera. I libri sacri In origine tutto veniva tramandato oralmente. Nell’VIII secolo d.C. si misero per iscritto le antiche tradizioni mitologiche e storiche, gli Annali giapponesi, poi le raccolte di rituali statali, i testi liturgici che ancora oggi vengono usati come modello rituale delle preghiere. Le persone sacre Le pratiche cultuali vengono svolte da sacerdoti che quasi sempre hanno ereditato dai loro avi il loro ufficio. Durante le cerimonie portano un berretto nero, un abito bianco e un bastone. L’idea della morte e dell’aldilà Il culto e i luoghi sacri L’adorazione del kami si svolge mediante preghiere rituali e l’offerta di dolci di riso e di sake (vino di riso). Il culto si svolge in parte in casa e in parte in santuari piccoli e grandi, mantenuti a spese pubbliche, costruiti in legno e abitualmente composti di due aule, alle quali è collegata una sala di preghiera. Davanti a questa prega il fedele, dopo aver attirato Secondo le antiche tradizioni shintoiste i defunti scendevano negli inferi e solo personalità eminenti continuavano a vivere nascoste sulla terra o salivano al cielo. Non vi è traccia di premio o castigo per le azioni buone o cattive. Come presso molti altri popoli, era diffusa l’idea che gli avi proteggessero i discendenti. Secondo la concezione attuale ogni defunto diventa kami. 30 I nuovi movimenti religiosi I nuovi movimenti religiosi Nel corso del tempo e della storia, all’interno di tutte le grandi religioni o in opposizione ad esse, sono sorti movimenti o correnti di pensiero aventi come scopo quello di rispondere ai veri o presunti bisogni esistenziali dell’uomo, in modo ritenuto più esauriente e immediato, rispetto alle religioni tradizionali. L’epoca attuale è caratterizzata dall’esistenza di una miriade di nuovi movimenti religiosi, alcuni dei quali contano milioni di adepti, accanto ad altri composti da poche decine di individui.Alcuni risultano strutturati in movimenti stabili e facilmente rilevabili, altri sono di difficile classificazione poiché in alcuni casi corrispondono a fenomeni temporanei, in quanto legati a figure carismatiche, in altri casi si nascondono nell’anonimato. Possono essere distinti in: – nuovi movimenti religiosi di matrice cristiana, quando in qualche modo si richiamano a elementi delle principali confessioni cristiane, talvolta anche contrapponendosi ad esse (ad esempio i Testimoni di Geova, i Mormoni); – nuovi movimenti religiosi di matrice islamica, quando gli elementi originari sono collegabili al mondo religioso musulmano (ad esempio i Baha’i’); – nuovi movimenti religiosi di matrice orientale, quando gli agganci o gli influssi originari sono collegabili alle grandi religioni orientali (ad esempio gli Hare Krisnha, l’Associazione Soka Gakkai International); – nuovi movimenti religiosi del potenziale umano, quando alla base vi è l’idea dell’autonomia radicale dell’uomo e quindi della sua presunta capacità di salvarsi con le sue sole forze attraverso un processo conoscitivo di tipo iniziatico (ad esempio Dianetics Chiesa di Scientology); – nuovi movimenti religiosi di matrice tribale collegabili con le forme di religiosità primitiva tutt’oggi esistenti (la Santeria); – gruppi e movimenti satanici; – nuovi movimenti religiosi di matrice spiritica e di natura magica legati a pratiche esoteriche, a forme di occultismo, magia, culto della natura, forme di neopaganesimo (ad esempio la Società Teosofica, il Movimento Età dell’Acquario). È difficile delineare tratti comuni poiché nell’insieme rispondono in modo estremamente variegato ed originale alle richieste di salvezza spirituale e materiale dell’uomo, facendo leva sulle sue incertezze, sui suoi bisogni e sulle sue aspettative e proponendo perlopiù una soluzione ritenuta efficace e alla portata di tutti. Forte è il senso di appartenenza al gruppo, che diventa sinonimo di sicurezza, di fraternità, di forza. Caratteristiche comuni Sono individuabili alcuni aspetti abbastanza diffusi all’interno dei nuovi movimenti religiosi: – la presenza di un forte soggettivismo religioso e di un isolamento rispetto alle pratiche ed ai contesti religiosi tradizionali dell’ambiente in cui si vive, che hanno momenti comunitari e valenze sociali; – la graduale assenza di spirito critico e la progressiva accettazione acritica delle proposte del gruppo, e pertanto la perdita di indipendenza e la mancanza di responsabilità personale (sebbene spesso sia quest’ultimo aspetto una componente allettante che fa proseliti); – la ricerca di un benessere immediato legato all’appartenenza al gruppo e di riscontri positivi legati alla salute ed allo stato d’animo; Hare Krisnha. I nuovi movimenti religiosi 31 – l’idea di agire per la propria salvezza personale e per quella degli altri; – l’utilizzo di pratiche magiche ed esoteriche in un universo fortemente dualistico (la lotta perenne tra bene e male); – l’idea che le dottrine tradizionali siano state superate da nuove rivelazioni, abbiano perso la loro efficacia, siano ingannevoli. che vengono da altri mondi a guidare l’umanità verso la rigenerazione finale. Elementi fondanti della New Age sono l’espansione del piano di coscienza, l’attenzione al corpo e alle medicine alternative, l’ecologia mistica, l’interesse per le filosofie orientali, il rigetto delle Chiese ufficiali, la fede nella grande energia cosmica o Vibrazione Universale che è Dio. A titolo esemplificativo, poiché è impossibile, anche brevemente citare i tratti principali di tutti i Nuovi Movimenti Religiosi esistenti vengono presentati alcuni aspetti della New Age o Età dell’Acquario e della Società Teosofica secondo le sintesi riportate dall’antropologa C. Gatto Trocchi nel suo libro I nuovi movimenti religiosi. La teosofia Per teosofia si intende la dottrina della Società Teosofica, fondata nel 1875 a New York da Madame Blavatsky, che affermò di aver ricevuto un’illuminazione attraverso un testo, scritto prima della creazione del mondo, chiamato Le Stanze di Dyzan. La cosmologia teosofica è dualistica, cioè spirito e materia si contrappongono. L’uomo iniziato ai misteri è il solo che permette alla materia di ritornare alla Spirito. Il cosmo è ordinato secondo una complessa gerarchia al cui vertice si trova il Logos cosmico (Dio) che discende in altri sette logoi. La terra ha percorso quattro dei sette stadi di materializzazione. L’umanità attuale è la quinta razza: le precedenti, imperfette o colpevoli sono state distrutte, come la civiltà di Atlantide. L’anima umana è sottoposta al karma e deve reincarnarsi fino a raggiungere la coscienza del Logos cosmico con il quale deve fondersi e divinizzarsi. La teosofia promette lo sviluppo di facoltà paranormali: telepatia, preveggenza, guarigioni miracolose. L’uomo determina il proprio destino creandolo con il pensiero attraverso la meditazione. La meditazione permette di ricevere e incanalare verso la terra l’energia (o la luce) che deriva dai maestri invisibili. La Società Teosofica interpreta la figura di Gesù da un lato come un grande iniziato, reincarnazione di grandi maestri e portatore di un messaggio esoterico che la Chiesa non ha mai capito, da un altro lato come il Cristo, Logos eterno, realtà astratta. La New Age Con il termine “New Age” si indica un vasto ed eterogeneo movimento di ricerca “spirituale” fortemente intriso di magia che ritiene (impropriamente secondo alcuni studiosi di astrologia) iniziata una nuova era zodiacale legata all’acquario. La “nuova era” vuole contrapporsi alla precedente (quella dei pesci) dominata da razionalità, conformismo, paura, dolore, fanatismo,violenza, valorizzando l’emotività, l’espressività del corpo, l’energia della mente-spirito che può creare il destino di ognuno, la visione magica del mondo. La New Age trova sempre nuovi adepti e gode di una vasta diffusione. Essa mescola nei suoi innumerevoli gruppi credenze diverse che vanno dall’esistenza di esseri fantastici alla fede in un Cristo cosmico (che anima tutto l’universo con un’energia sottile), dalla legge del karma alla presenza di maestri Matrimonio Moon. I sincretismi religiosi I nuovi movimenti religiosi che proliferano nelle società occidentali e anche quelli presenti in antiche comunità, come ad esempio quelle afro-americane, sono perlopiù forme di sincretismo religioso. Il termine sincretismo indica la fusione o combinazione di molteplici elementi, dottrinali, culturali, mitologici, credenze religiose, presi da sistemi filosofici, psicologici, cosmologici, astrologici, religiosi, esoterici, occultistici ecc. È presente lo sforzo di conciliare tutte le opinioni e le credenze in una nuova sintesi. Ogni religione sincretista si presenta come chiamata a sostituire tutte le religioni che l’hanno preceduta, di cui essa sarebbe la sintesi e l’ultima parola. La New Age è un esempio di sincretismo religioso. Cod. 83230 EDIZIONE FUORI COMMERCIO