Caso 9 Pz maschio 79aa, diabetico. Intervento di resezione prostatica per via trans-uretrale 4 mesi prima del decesso (vedi esame istologico). Esame istologico su materiale di TURP: frammenti di prostata con quadri di iperplasia prostatica fibroleiomioadenomatosa, prostatite cronica aspecifica. Occasionali quadri di PIN di basso grado. 1- Approfondire le ragioni anatomiche e topografiche che giustificano l’intervento di TURP nell’iperplasia prostatica. Benign prostatic hypertrophy. M/84. The prostate is considerably enlarged. Its cut surface shows a creamy, lobulated appearance. There are a number of calculi in the prostatic ducts. The middle lobe has extended into the base of the bladder and the long-standing prostatic obstruction has caused thickening and trabeculation of the bladder wall. La prostata pesa circa 20 e circonda il collo della vescica e l'uretra. Il parenchima prostatico può essere distinto in 4 regioni biologicamente e anatomicamente distinte: zona centrale, zona periferica, zona transizionale e regione anteriore dello stroma fibromuscolare. Mentre i carcinomi originano dalla zona periferica, l’iperplasia (patologia assai comune nell’uomo sopra i 50 anni, ormono-dipendente) è tipica della zona di transizione (parte craniale della zona periuretrale).Si caratterizza per iperplasia delle cellule stromali ed epiteliali, che esita nella formazione di ampi noduli, abbastanza definiti, nella regione peri-uretrale della prostata quando raggiungono una dimensione importante, i noduli comprimono il canale uretrale restringendone il lume e causando una parziale e talvolta praticamente completa ostruzione dell’uretra. L’ostruzione da iperplasia prostatica che si verifica a livello del collo vescicale è di fondamentale importanza clinica. - Innanzitutto si verifica ritenzione urinaria da cui conseguono le altre manifestazioni. - Nelle prime fasi si osserva un’ipertrofia del detrusore e un ispessimento della parete vescicale dovuto ad ipertrofia a colonne del muscolo liscio, con superficie mucosa indenne. - Poi, con la progressiva ipertrofia del rivestimento muscolare, i fasci muscolari aumentano notevolmente di volume e producono la trabecolazione della parete vescicolare (vescica a colonne). - Nel tempo si formano cripte che poi possono diventare veri e propri diverticoli acquisiti. La ritenzione di urina in vescica (il lobo medio solleva il pavimento dell’uretra, lasciando al termine della minzione un crescente quantitativo di urina in vescica) favorisce l’insorgenza di infezioni delle vie urinarie (cistite, rara la pielonefrite), calcoli e raramente la formazione di neoplasie dovuta alla stasi e a fenomeni irritativi cronici. - Clinicamente il pz presenta disuria (x compressione dell’uretra), pollachiuria, nicturia, difficoltà a iniziare la minzione ed arrestare il mitto, iscuria paradossa. - La TURP non è l’approccio di prima linea nell’iperplasia prostatica, in quanto: - La terapia medica è indicata quando compaiono sintomi clinici e consta di: - 1) inibitori 5 alfa-reduttasi (Finasteride o Dutasteride: inibitore dell’enzima che metabolizza il testosterone in un androgeno più potente e attivo, il diidrotestosterone) sono in grado di ridurre le dimensioni (riduce il volume delle ghiandole) della prostata migliorando il flusso urinario e i sintomi da ostruzione, ma anche ridurre il valore di PSA fino a dimezzarlo; - 2) simpaticolitici ( alfa-bloccanti) Alfuzosina, Doxazosina... - La TURP è riservata a quei casi di IPB moderata o severa che risultano resistenti alla terapia medica. - La TURP è efficace nel ridurre i sintomi, nel migliorare il flusso e nel diminuire il valore del residuo minzionale. - L’indicazione chirurgica diventa assoluta in caso di complicanze quali la ritenzione urinaria, le infezioni ricorrenti, il danno renale, la calcolosi della vescica, la sofferenza importante della vescica. In base alle Linee Guida della EAU (European Association of Urology) 2008 le indicazioni alla chirurgia sono: - - ritenzione urinaria refrattaria alla terapia - infezione urinaria ricorrente - ematuria ricorrente refrattaria alla terapia medica con inibitori della 5-alpha reduttasi - insufficienza renale - calcolosi vescicale L’incremento del volume residuo post-minzionale può essere usato come indicazione alla chirurgia, tuttavia c’è una grande variabilità individuale. 2- Identificare possibili lesioni secondarie a TUR nella prostata residua. T.U.R.P.: Resezione trans-uretrale della prostata DEFINIZIONE E INDICAZIONE: La prostata è la ghiandola sessuale maschile che serve a produrre il liquido prostatico presente nello sperma. Dopo i 50 anni nella metà degli uomini essa si ammala e cresce di volume così da ostruire il canale dell’urina (uretra) che vi scorre dentro. Il risultato è che il getto urinario progressivamente cala di forza e la minzione si fa difficile, lunga (stranguria) e compare bruciore (disuria). Di notte si incomincia ad alzarsi una, due, tre volte e magari per ogni urinata la quantità di urina che esce è modesta. A volte compare anche un disturbo noioso che consiste nella voglia di correre in bagno appena si avverte lo stimolo, specie col freddo. Se questa situazione non viene curata dal medico, può lentamente peggiorare negli anni fino a che arriverà il blocco improvviso e completo della minzione. Questo è un evento grave che impone la inserzione urgente di un catetere in vescica per svuotarla. Quando lo specialista urologo consiglierà di asportare la prostata per risolvere la difficoltà ad urinare (stranguria) o per risolvere il blocco completo, il paziente si dovrà sottoporre alla TURP (se l’adenoma non supera i 30-35 g) . La operazione alla prostata ha lo scopo di far urinare bene, non di asportare la prostata. Non è necessario asportare tutta la prostata (come invece avviene quando c’è un grave tumore maligno), basta asportare la parte cresciuta, quella che ostruisce l’uretra. E’ la zona più interna della prostata a crescere; si formano dei noduli (adenomi) che assomigliano molto ai fibromi dell’utero femminile. La donna con i fibromi può sanguinare ma non avrà disturbi ad urinare perché le vie urinarie femminili sono distinte da quelle genitali; nell’uomo invece raramente vi saranno sanguinamenti con l’urina,più spesso vi sarà difficoltà ad urinare perché le vie urinarie e sessuali confluiscono in un unico canale, l’uretra, che serve alla emissione dell’urina e dello sperma. MODALITA' DI ESECUZIONE: consiste nell’introdurre nell’uretra una sonda rigida e del diametro di 8 millimetri, vuota all’interno. Dentro questa sonda si fa poi passare una sonda più piccola che contiene alla sua estremità una specie di piccola zappa che servirà a raschiare (resecare), fettina dopo fettina, pezzettino dopo pezzettino iniziando dalla parte più interna della prostata. La resezione è resa possibile dal calore generato da corrente elettrica (GYRUS BIPOLARE) . Quando il chirurgo pensa di aver raschiato abbastanza da essere arrivato alla parte più esterna della prostata (capsula prostatica) e di averla così svuotata dall’interno l’intervento è terminato. E’ necessaria l’anestesia spinale; l’intervento dura dai 30 ai 60 minuti. Il paziente si sveglierà con un catetere in uretra che verrà rimosso dopo 48 ore. Nelle prime 24 ore il catetere sarà collegato ad un sistema di irrigazione esterno (cistoclisi) che permette la continua pulizia della regione resecata evitando così la formazione di coaguli. Non c’è dolore dopo questo intervento perché non ci sono incisioni cutanee; l’operato avvertirà solo irritazione causata dal catetere. Al 2° o 3° giorno dopo la TURP il paziente verrà dimesso dall’ospedale. A casa potrà riprendere la vita normale dopo pochi giorni. Avvertirà la necessità di urinare molto frequentemente e le urine potranno contenere un po’ di sangue. Sanguinamenti importanti potranno però verificarsi anche a distanza di trenta giorni dalla TURP perché durante l’operazione le arterie della prostata recise dal resettore vengono coagulate con la corrente elettrica e si forma una specie di crosticina (escara) che, una volta espulsa dalla corrente urinaria nelle settimane seguenti l’operazione, potrà far riprendere il sanguinamento. Se il sangue nell’urina (ematuria) non sarà imponente, il paziente non dovrà preoccuparsi: sarà sufficiente bere molta acqua per diluire le urine. Se invece la emorragia sarà così forte da provocare coaguli allora si potrà verificare una complicanza seria: l’ostruzione completa della vescica (tamponamento) e la impossibilità ad urinare con conseguenti forti dolori. In questo caso l’ammalato dovrà subito rivolgersi al pronto soccorso dell’ospedale (meglio dove è stato operato) per essere ricoverato in urologia dove il medico provvederà a svuotare i coaguli dalla vescica - Poiché l’intervento di TURP prevede l’asportazione della sola zona transizionale le, nella prostata residua può verificarsi: - Granuloma post- turp - Prostatite in genere associata a epididimite secondaria all’intervento o per infezione batterica, ma solo nel 1% dei pz. l’insorgenza di un adenocarcinoma nella prostata residua è possibile. Infatti il 70% dei tumori maligni della prostata insorgono nella zona periferica e solo il 20% nella zona centrale, il resto nella zona di transizione. - l’intervento di TURP richiede molta manualità per essere certi di aver asportato tutto l’adenoma, fino alla capsula. Se viene lasciato in sede soprattutto l’apice, l’adenoma residuo può sclerotizzare o ipertrofizzarsi. Nell’arco dei 10 anni successivi all’operazione il 10% circa dei pz operati deve andare incontro ad una nuova operazione identica alla prima. Bassa morbilità (8-10%) e mortalità (0,1%) 3- Dare la definizione di PIN e chiarire il significato clinico del suo riconoscimento in materiale chirurgico. Si intende per PIN, neoplasie intraepiteliali prostatiche, lesioni focali costituite da ghiandole benigne con proliferazione intracinare di cellule che mostrano anaplasia nucleare. Lo strato cellulare basale è riconoscibile. La classificazione di PIN in alto e basso grado si basa sulle caratteristiche citologiche della lesione: PIN basso grado: affollamento delle cellule epiteliali secernenti con nuclei ampi, di dimensioni variabili, contenuto cromatinico normale o lievemente aumentato e possiedono nucleoli piccoli. Cellule dello strato basale conservate. Non progredisce, non è da considerare una lesione precancerosa. PIN alto grado: è caratterizzato da cellule con nuclei grandi e relativamente uniformi per dimensione, con contenuto cromatinico aumentato, che può essere distribuito irregolarmente, e nucleoli prominenti simile a quelli delle cellule neoplastiche. Lo strato delle cellule basali è discontinuo. Pattern di crescita del PINH: piatta, cribriforme, micropapillare, a ciuffo. Il PIN ad alto grado consiste in ampie ghiandole dilatate con protrusioni papillari, contrariamente al k invasivo che è tipicamente caratterizzato da piccole ghiandole affollate con bordi luminali definiti. Citologicamente i due processi possono essere identici. Le ghiandole interessate da PIN sono circondate da uno strato di cellule basali e hanno membrana basale intatta. Sia il PIN ad alto grado che il k si sviluppano nella regione periferica e sono abbastanza rari nelle altre zone. Una prostata neoplastica contiene frequentemente PIN ad alto grado. Esso si reperta nelle vicinanze del K stesso, che talvolta origina dalle zone stesse in cui è presente PIN ad alto grado. Le mutazioni molecolari del k invasivo sono le stesse che si ritrovano nel PIN. Tali dati supportano che il PIN costituisca una lesione intermedia tra tessuto normale e quello neoplastico, ancora discusso però. Riassumendo, fattori che fanno pensare che il PIN ad alto grado sia precursore dell’adenocarcinoma prostatico sono: - l’incidenza e l’estensione del PIN e dell’adenok aumentano con l’età del pz - esiste un aumento di frequenza e di estensione del PIN quando associato con l’adenok prostatico rispetto al PIN isolato - sia il PIN che l’adenok sono multifocali e condividono la stessa localizzazione nelle zone prostatiche - il passaggio del PIN di alto grado all’adenok si può osservare con l’indagine morfologica. Da studi immunoistochimici, morfometrici, molecolari e genetici: - la proliferazione e la morte cellulare (apoptosi) sono maggiori nel PIN e nell’adenok rispetto alla prostata normale - il PIN e l’adenok sono fenotipicamente simili - il PIN e l’adenok hanno in comune alcune alterazioni genetiche con inattivazione di geni soppressori della neoplasia o sovra-espressione di oncogeni in regioni importanti per l’iniziazione e la progressione della neoplasia prostatica - la neo-vascolarizzazione è maggiore nella PIN e nell’adenok rispetto alla prostata normale. Ciò che manca è la storia naturale del PIN ciò che si sa è che: 1) il PIN a basso grado non ha valore predittivo negativo; 2) i portatori di PIN ad alto grado hanno un rischio alto di sviluppare una neo prostatica, stessa predisposizione della familiarità, di conseguenza le biopsie reiterate sono utili nella ricerca di un k che possa essere stato inizialmente misconosciuto, follow up a lungo termine. Per questo studi a lungo termine mettono in evidenza che circa un terzo delle PIN progrediscono verso un carcinoma nel giro di 10 anni. MA solo con un PIN NON si opera. Quello che si fa nella pratica clinica è questo: Se riscontro un PIN ripeto la biopsia a 6 sett. se riscontro adenocarcinoma nel materiale chirurgico prostatectomia radicale se negativa devo portare alla terza biopsia in 3 mesi BIOPSIA DI SATURAZIONE Visita ambulatoriale e PSA semestrale La prima biopsia consiste in 10-12 prelievi, quando ripeto la biopsia dopo 6 settimane (se PIN o ASAP o aumento del PSA) se faccio lo stesso numero di prelievi la probabilità di trovare il tumore si abbassa e per questo motivo si aumenta il numero di prelievi ogni volta. Da 10-12 a 16-18 a 24-36. si parla di biopsie di saturazione. Nella valutazione istologica delle biopsie prostatiche, effettuate per sospetto clinico di neoplasia, si possono incontrare problemi diagnostici: - PIN ad alto grado - ASAP (atipical small acinar proliferation). Alla biopsia proliferazione microacinare atipica sospetta, ma non diagnostica per malignità. Ci sono piccoli focolai costituiti da piccoli acini, cellule atipiche che proliferano ma non sono ne normali ne patologiche, ne PIN. Si tratta di un dubbio diagnostico e non si sa come gestire, quindi si è deciso di gestirlo come il PIN. - IPERPLASIA ADENOMATOSA ATIPICA (AAH) proliferazione circoscritta di piccoli acini con scarso stroma interposto. Gli acini sono rivestiti da cellule secretorie che morfologicamente sono simili a quelle dei dotti ed acini normali. I nucleoli delle cellule dell’AAH però sono occasionalmente prominenti. Lo strato di cellule basali è discontinuo e costituito da cellule singole e sparse lungo il contorno esterno degli acini. La DD si basa sul fatto che nell’adenocarcinoma ben differenziato (Gleason grado 1) lo strato basale è assente, i nuclei sono di dimensioni maggiori (rispetto all’AAH e all’IPB) e i nucleoli sono prominenti, multipli e marginati in tutte le cellule. La transizione ad adenocarcinoma non è mai stata dimostrata. - METAPLASIA l’epitelio prostatico può mostrare una varietà di lesioni metaplastiche e proliferative che possono simulare l’adenocarcinoma: metaplasma squamosa 1. Mataplasia uroteliale 2. Metaplasma mucinosa 3. Metaplasma nefrogenica 4. Cellula neuroendocrine con granuli eosinofili Sintomatologia stenocardiaca, inizialmente interpretata dal pz come disturbi dispeptici. Aggravamento della sintomatologia e ricovero ospedaliero (15 ore dopo l’esordio). Iniziata terapia anticoagulante. Il giorno successivo comparsa di macroematuria, verosimilmente di origine dalle basse vie. Progressiva insufficienza renale (con creatininemia fino 3,1mg/dl). Dopo 2 giorni, comparsa di BAV completo. Morte improvvisa da dissociazione elettromeccanica. RISCONTRO AUTOPTICO ESAME ESTERNO GENERALE E FENOMENI POST-MORTALI Condizioni generali discrete. Macchie ipostatiche di II grado fino alla linea ascellare media. Rigidità presente in parte risolta. APPARATO TEGUMENTARIO Modesti edemi declivi agli arti inferiori. SISTEMA NERVOSO CENTRALE Arteriosclerosi delle arterie del circolo di Willis APPARATO CARDIOVASCOLARE Cuore del peso di 560g con ipertrofia ventricolare sx e dx (marcata). Coronarosclerosi diffusa con trombosi occlusiva della coronaria dx a 3 cm dall’imbocco. Infarto recente della parete posteriore del ventricolo sx (terzo medio superiore) e del terzo inferiore del margine acuto. Grave e diffusa arteriosclerosi complicata dell’aorta, dei vasi epiaortici e delle arterie iliache e renali. Esame istologico: necrosi miocardica coagulativa con spiccata infiltrazione infiammatoria di PMN. CUORE DI 560 gr: Ipertrofia ventricolare sinistra,(probabilmente da ipertensione arteriosa di lunga data e spesso presente in pazienti diabetici); Ipertrofia ventricolare destra marcata (probabilmente da fibrotorace bilaterale ed enfisema (cuore polmonare) con aumento delle resistenze a livello polmonare e conseguente ispessimento delle pareti ventricolari di destra. Altre cause di ipertrofia ventricolare destra: - Malattie parenchimali polmonari: pneumopatie croniche ostruttive (BPCO), pneumoconiosi, fibrosi cistica, bronchiettasie - Malattie dei vasi polmonari: microembolia polmonare ricorrente, ipertensione polmonare primitiva, arteriti polmonari (granulomatosi di Wegener), sclerosi vascolare da farmaci, tossine) Infarto recente della parete posteriore del ventricolo sinistro (terzo medio e superiore) (perché l’irrorazione di questa area è di competenza della coronaria di destra). Istologico: necrosi coagulativa con infiltrato di PMN: compatibile con un quadro di infarto insorto più di 60 ore prima (15+48) Grave e diffusa aterosclerosi: da ipertensione e diabete che è un fattore “peggiorativo”. Inoltre il DM2 che causa neuropatia periferica, può dare un IMA paucisintomatico. Aterosclerosi complicata per migrazione e proliferazione delle cellule muscolari lisce con accumulo di matrice extracellulare; adesione piastrinica con formazione di microtrombi (che possono embolizzare); vascolarizzazione della placca attraverso neoformazione vascolare in connessione con i vasa vasorum dell’arteria che può complicarsi con emorragie intraplacca; accumulo di calcio. 1- Valutare la localizzazione della trombosi coronaria e rapportarla ai danni anatomici e funzionali. L’arteria coronaria sx si divide in ramo discendente anteriore e ramo circonflesso. Sedi più frequenti con distribuzione regionale degli effetti: -Arteria coronaria sx – Ramo discendente anteriore: -2/3 anteriore del setto interventricolare, parete anteriore del ventricolo sx, apice del cuore. -Arteria coronaria dx: parete posteriore del ventricolo sx, 1/3 posteriore del setto interventricolare. -Arteria coronaria sx – Ramo circonflesso: parete laterale del ventricolo sx. I trombi arteriosi e cardiaci solitamente iniziano in un sito di lesione endoteliale (es. placca aterosclerotica la più frequente, ma anche vasculite o trauma..) o di turbolenza (biforcazione dei vasi); tendono ad accrescersi in direzione retrograda e sono di solito occlusivi. I trombi sono saldamente aderenti alla parete arteriosa lesa, sono grigio biancastri e friabili, composti da una rete aggrovigliata di piastrine, fibrina, eritrociti, leucociti degenerati. Recent thrombosis of the right coronary artery causing complete occlusion of the vessel. M/40. Occlusion of this artery causes a posterior myocardial infarction. The coronary artery shows severe atherosclerosis. TROMBOSI OCCLUSIVA DELLA CORONARIA DX Si verifica nel 30-40% dei casi di infarto miocardio. In considerazione dell’irrorazione a carico della coronaria di destra, in un cuore con dominanza della circolazione di destra: 1. parete inferiore/posteriore del ventricolo sinistro 2. parete posteriore del setto interventricolare 3. parete libera inferiore/posteriore del ventricolo destro possiamo pensare che la TROMBOSI OCCLUSIVA DELLA CORONARIA DX A 3 CM ALL’IMBOCCO (nel tratto prossimale della coronaria, dà effetti occlusivi gravi) possa causare: 1) Infarto della parete inferiore/posteriore del ventricolo sinistro nei casi di dominanza coronarica destra, il ramo posteriore destro è voluminoso, mentre quello circonflesso è sottile. La parete posteriore del ventricolo sinistro, in questo caso, è irrorata in larga misura(terzo medio e superiore) dalla coronaria di destra. 2) Associato ad infarto del terzo inferiore del margine acuto dalla coronaria di destra origina l’arteria del margine destro, che provvede all’irrorazione di questa area. Una occlusione a 3 cm dall’imbocco comporta quindi una mancata per fusione di entrambi i distretti, con conseguente infarto. Posterior myocardial infarction. Slices of the ventricles from just distal to the mitral valve from the heart of the patient in Figure 1.27. The pale area of myocardial infarction can be seen involving the inferior (posterior) portion of the left ventricle. The muscle is necrotic, as can be seen from its appearance. The adjacent portion of the interventricular septum has also been involved in the infarction. 2- L’infarto del ventricolo dx è raro. Identificare i motivi della sua presenza in questo caso. L’INFARTO DEL VENTRICOLO DESTRO E’ RARO, ma spesso accompagna un infarto dell’adiacente parete posteriore del ventricolo sx e del setto interventricolare. L’infarto ventricolare dx può causare un serio deficit funzionale indipendentemente dal tipo di infarto: in questo caso ci sono almeno due possibili fattori che possono averlo determinato: la marcata ipertrofia ventricolare destra normalmente le pareti del ventricolo destro sono sottili (circa 1/6 di quelle del ventricolo sinistro) ed un infarto a questo livello è improbabile perché, anche in caso di occlusione della coronaria, il ventricolo trae ossigeno nutrimento dal lume per diffusione diretta. In caso di aumento del volume delle sue pareti, però, questo non è più sufficiente e quindi il ventricolo va incontro ad infarto. Come complicanza dell’infarto ventricolare sinistro l’infarto isolato del ventricolo destro è raro, ma può associarsi a danno ischemico del ventricolo sinistro e del setto. In questo caso un danno ischemico del ventricolo destro causa un grave deficit funzionale. 3. Chiarire le modificazioni morfologiche dell’infarto in rapporto al tempo intercorso fra inizio dell’ischemia e il decesso. Dal punto di vista morfologico, riconosciamo 3 fasi successive: -necrosi ischemica -infiammatoria -riparazione cicatriziale Nella maggior parte dei casi l’infarto del miocardio è di tipo anemico per cui il tessuto appare pallido. 0 - 8 ore: da 0 a 2 ore le sole alterazioni visibili sono solo ultrastrutturali (generalmente non si fa un’indagine del genere, a meno che non sia possibile l’immediato prelievo del cuore). La microscopio elettronica mostra rigonfiamento idropico del sarcoplasma, scomparsa dei granuli di glicogeno, la trasformazione vacuolare del reticolo endoplasmatico, il rigonfiamento dei mitocondri e l’equivalente strutturale del danno irreversibile cioè la rottura del sarcolemma. MACRO: aspetto normale; Le tecniche istochimiche mostrano la presenza enzimi respiratori (deidrogenasi succinica o succinato deidrogenasi). Questi scompaiono nella zona infartuata (che non si colora), mentre sono ancora presenti nel miocardio limitrofo. Fette di miocardio vengono messe ad incubare nella soluzione di un sale tetrazolico, che in pochi min si riduce in un composto colorato nelle aree di tessuto che hanno l’enzima. Si può ricercare anche fosfatasi alcalina e citocromo-ossidasi. MICRO: no alterazioni. 8 - 24 ore: alterazioni minime. Tra le 6 e le 12 ore: macro: nessuna alterazione/pallore micro: compare il primo segno, ma indiretto. Alla periferia della zona infartuata compaiono fibre miocardiche assottigliate che presentano un’ondulazione parallela (waving o streaming). È dovuto all’assenza di contrazione dell’area infartuata, per cui le fibre poste sull’interfaccia con il tessuto irrorato e contrattile vengono stirate anelasticamente. MACRO: congestione e pallore dell’area infartuata. MICRO: lieve separazione delle fibre; lieve aumento di numero dei leucociti tra le fibre; lievi alterazioni citoplasmatiche (bande di contrazione); necrosi coagulativa. 24 ore - 3 gg: alterazioni definite nel muscolo. 24 -48 ore: macro: focolaio infartuale, giallastro e soffice. micro: necrosi coagulativa con nucleo a disposizione marginale della cromatina, si decolora e va in picnosi. Il sarcoplasma va incontro a progressiva perdita della striatura trasversale e diventa disomogeneo. Miocellule iperesinofile. Alla periferia abbiamo infiltrazione di neutrofili e compare la cardiomiocitolisi colliquativa.si caratterizza per notevole rigonfiamento idropico della cellula, che sospinge alla periferia le miofibrille e isola il nucleo al centro di un alone otticamente vuoto. 2-3 gg: macro: la zona centrale è gialla, i bordi sono iperemici. Abbiamo infatti demarcazione periferica del focolaio infartuale. I margini dell’infarto sono dentellati (per l’intersecazione dei campi di distribuzione dei rami coronarici) e evidenziati da un alone rosso (per iperemia combinata con piccole aree emorragiche). Il miocardio necrotico acquista un colore grigio-giallastro omogeneo, opaco e asciutto, di consistenza aumentata. Micro: nella zona centrale abbiamo necrosi coagulativa e neutrofili. Ai bordi neutrofili, macrofagi (che rimuovono i miociti morti) e fibroblasti. Il viraggio di colore è dovuto al completarsi della necrosi coagulativa: le mio cellule hanno perso il nucleo e la striatura trasversale e appaiono come passerelle ialine. Ai bordi della lesione si trovano granulociti neutrofili. Di solito si apprezza un sottile strato di muscolo sano sotto l’endocardio (perché il miocardio subendocardico trae nutrimento dal lume per diffusione diretta di O2 e altre sostanze). 3 - 10 gg: inizio della guarigione (organizzazione). 3-4 gg: macro: l’infarto assume un colorito giallastro. micro: massiva infiltrazione di neutrofili, che colliquano il tessuto necrotico con i loro enzimi proteolitici. Compaiono i primi mononucleati (linfociti e macrofagi). 7-10 gg: si completa la colliquazione del tessuto necrotico. Macro: il brodo rosso dell’infarto appare doppiato verso l’interno della lesione da un orletto giallastro, dovuto alla presenza di granulociti. La consistenza del focolaio infartuale si riduce fino al rammollimento (miomalacia). Al taglio, l’infarto appare come un’area demarcata , depressa. Micro: i neutrofili vengono progressivamente rimpiazzati dai macrofagi, che asportano il materiale necrotico e, intorno al 10 gg, si ha penetrazione della lesione, a partire dai margini, ad opera del tessuto di granulazione (macrofagi e gemmazione di capillari sanguigni neo-formati). Il materiale necrotico viene riassorbito dai macrofagi e viene sostituito da connettivo giovane, ricco di fibroblasti. 10 gg e seguenti: guarigione avanzata e cicatrizzazione 10-14 gg: macro: la zona centrale è giallo-brunastra e depressa; i bordi sono grigio-rossastri. Micro: tessuto di granulazione, deposizione di collagene. Dalla terza settimana: macro: il terreno necrotico è sostituito completamente da tessuto roseo e ancora cedevole che si arricchisce di fibre collagene, finché, dalle 6 settimane in poi, si trasforma in tessuto connettivo fibroso denso, grigio-biancastro, compatto, che tende a retrarsi, riducendo le dimensioni della perdita di sostanza di miocardio. Nei casi più favorevoli si forma un callo sclerotico che connette i monconi della muscolatura distrutta come un giunto tendineo, il quale determina condizioni funzionali compatibili con una buona tensione e con lo sviluppo di un’ipertrofia compensatoria. Dal 3 mese la cicatrice risulta stabilizzata e non consente + alcuna datazione istologica. 4. Collegare la cronologia dell’infarto con possibili complicazioni MINUTI, ORE - DISFUNZIONE CONTRATTILE: le anomalie funzionali del ventricolo sinistro indotte dall’infarto sono in rapporto con le dimensioni dell’area lesa. Nella maggior parte dei casi, si verifica un certo grado di insufficienza ventricolare sinistra con ipotensione, congestione polmonare e trasudazione nel tessuto interstiziale polmonare, che può portare ad edema polmonare con deficit respiratorio (in questo caso è spesso fatale). Una grave “insufficienza di pompa” (shock cardiogeno), si verifica nel 10-15% dei pz ed, in genere, è dovuta a un infarto esteso, che coinvolge spesso più del 40% del ventricolo sinistro. La mortalità per shock cardiogeno è del 70% circa, pari ai due terzi dei decessi ospedalieri. - ARITMIE: in molti pz compaiono disturbi della conduzione o della eccitabilità cardiaca, che, senza dubbio, sono responsabili delle morti improvvise. Si manifestano come arresto cardiaco, bradicardia sinusale, tachicardia sinusale, contrazioni ventricolari premature o tachicardia ventricolare, fibrillazione ventricolare o asistolia. La fibrillazione ventricolare determina arresto cardiaco; si verifica soprattutto all’inizio dell’infarto e nei primi giorni, per alterato stato di irritabilità miocardia. Il blocco della conduzione dell’impulso nel fascio di His e/o nelle sue branche di solito causa il rallentamento del ritmo ventricolare o sbilancia la contrazione ventricolare e porta a uno scompenso cardiaco acuto (spesso fatale). L’arresto della conduzione a livello ventricolare possono essere permanenti (se il tex di conduzione è compreso nell’area d’infarto) o transitorie (se è stato interessato dal solo edema perifocale). - COMPLICANZE TROMBOTICHE (nelle prime ore fino alla quarta settimana): la combinazione di anomalie della contrattilità (che causano stasi) e di danno endocardico (che espone una superficie trombogenica) può determinare una trombosi murale (parietale). In caso di disturbi del ritmo atriale, si possono formare trombi nelle orecchiette e trombosi atriale. I trombi nel ventricolo sx possono determinare embolie sistemiche (encefalo, intestino, rene, arti inferiori, milza).Ci può essere anche trombosi delle vene degli arti inferiori, dovuta fondamentalmente alla stasi venosa. Questa trombosi può dare embolia polmonare (spesso fatale) che può essere determinata raramente anche da infarto dx . La trombosi può complicare anche un aneurisma ventricolare (assume l’aspetto di un menisco stratificato). DOPO 3-7 GIORNI -ROTTURA DEL CUORE: si verifica in genere o nei primi 3 gg, quando inizia la miocitolisi e la colliquazione della necrosi, o all’inizio della 2 settimana, quando il tessuto muscolare è stato sostituito da connettivo giovane e cedevole. È facilitata da un infarto interessante la parete a tutto spessore (infarto transmurale) e dalla diminuita consistenza del muscolo necrotico (miomalacia cordis) per infiltrazione di PMN. Comprende: Rottura della parete libera del ventricolo (generalmente sx): è la più frequente, con emopericardio e tamponamento cardiaco (200 cc). Si ha ostacolo alla contrazione e al ritorno venoso; morte nel giro di minuti. A volte però la presenza di aderenze pericardiche può bloccare la rottura, che può esitare in uno pseudo-aneurisma o falso aneurisma (è una rottura tamponata che esita in un ematoma saccato, in comunicazione con la cavità ventricolare). La parete è costituita da epicardio e pericardio parietale. Possono trombizzare, ma quasi tutti si rompono. Rottura del setto interventricolare (più rara): porta alla creazione di uno shunt sinistro-destro. Rapida insufficienza ventricolare combinata; morte nel giro di ore o pochi giorni. Rottura del muscolo papillare (la meno comune) che ha come conseguenza insufficienza mitralica acuta, importante sovraccarico della pompa cardiaca, scompenso acuto e edema polmonare. Morte nel giro di minuti o di ore. -PERICARDITE ACUTA: può complicare un infarto trans murale nei primi 4 gg. È una pericardite fibrinosa o fibro-emorragica limitata all’epicardio che riveste l’area infartuata. Generalmente l’infiammazione si risolve con la cicatrizzazione dell’infarto. La pericardite rappresenta l’epifenomeno, in sede epicardica, dell’infiammazione evocata dal sottostante infarto transmurale. -ESTENSIONE DELL’INFARTO: ulteriori aree necrotiche possono svilupparsi alla periferia di un infarto preesistente. -ESPANSIONE DELL’INFARTO: dovuta all’indebolimento del muscolo necrotico che può andare incontro a stiramento, assottigliamento e dilatazione nella regione infartuata. -INFARTO DEL VENTRICOLO DESTRO: l’infarto isolato del ventricolo destro è raro, ma può associarsi a danno ischemico della parete posteriore del ventricolo sinistro e del setto interventricolare. Può causare un serio deficit funzionale. DOPO SETTIMANE -SCOMPENSO CARDIACO CRONICO: può comparire a cicatrizzazione già iniziata, quando l’estensione dell’infarto è tale da comportare particolari difficoltà nell’azione di pompa. -PERICARDITE DI DRESSLER: è legata probabilmente a una patogenesi immunitaria scatenata dallo smascheramento di antigeni in corso di infarto. Si sviluppa dopo un periodo di latenza di 10 gg. MESI -ANEURISMA VENTRICOLARE: è un aneurisma vero, delimitato da miocardio cicatrizzato. Spesso associato ad un infarto esteso trasmurale antero-settale, è dovuto alla distensione graduale e assottigliamento della cicatrice fibrosa, sede di movimento paradosso durante la sistole. Complicazioni dell’aneurisma ventricolare possono essere trombi murali, aritmie e insufficienza cardiaca, mentre la rottura della parete fibrosa è rara, ma se avviene dà tamponamento cardiaco e morte improvvisa. Mentre l’aneurisma è una dilatazione del solo segmento di parete infartuato, nel RIMODELLAMENTO SFERICO è tutto il ventricolo sx a dilatarsi. Se l’area non contrattile non supera il 20-40% del ventricolo sx, si instaura un’ipertrofia compensatoria efficace che riesce a mantenere inalterata la gittata sistolica. In caso contrario, l’aumento dello stress di parete dovuto alla dilatazione del ventricolo sx innesca un circolo vizioso che porta a progressiva dilatazione del ventricolo sx, fino ad un quadro di cardiomiopatia dilatativa secondaria post-infartuale. 5- Valutare il possibile influsso della terapia sull’evoluzione del quadro morfologico (e sulle possibili complicazioni) 5. Ripristinare più rapidamente possibile la perfusione del tessuto coronarico consente di limitare il danno miocardio ischemico prodotto dall’infarto, migliorare la funzione ventricolare ed abbassare la mortalità. Le tecniche utilizzate al fine di ristabilire il flusso coronarico (riperfusione) sono la trombolisi, la PTCA, e il bypass aorto coronario. Oltre alla riperfusione terapeutica, occorre tenere conto della riperfusione spontanea, per fenomeni di vasodilatazione e trombolisi, che può rendere intermittente (stuttering) il danno ischemico. Si parla di riperfusione precoce quando questa manovra è eseguita a meno di 6 ore dall’esordio della sintomatologia clinica. Lo scopo della riperfusione precoce è quello di arrestare il fronte d’onda della necrosi prima che abbia interessato l’intero spessore della parete. Il salvataggio di anche solo una porzione limitata del miocardio migliora comunque la prognosi a distanza, riducendo le probabilità di evoluzione dell’area infartuata verso la cicatrice (con il rischio di aneurisma post-infartuale) o verso il rimodellamento sferico del ventricolo. La riperfusione, però, può indurre alcuni stati patologici tra i quali: - aritmie (tachiaritmie da riperfusione), - emorragia miocardia (trasformazione dell’infarto da ischemico ad emorragico, quando la riperfusione avviene quando si sono già instaurate lesioni ischemiche del microcircolo, evenienza più comune con la riperfusione mediante trombolisi), - necrosi a bande di contrazione delle miocellule (le fibre muscolari appaiono chiare, con bande intensamente eosinofile che attraversano trasversalmente l’intero spessore cellulare. Tale alterazione viene attribuita alla morte della fibra muscolare in stato di ipercontrazione, con addensamento delle zone I, quando il ripristino della circolazione e, quindi, dell’apporto di ossigeno al miocardio ischemico, può provocare la formazione di radicali liberi in grado di causare la morte di miocellule lese in modo ancora reversibile -danno letale da riperfusione-), - danno vascolare da riperfusione (quando la lesione del microcircolo ne ha condizionato l’occlusione, con aree di mancata riperfusione -no reflow-). Il danno microvascolare indotto dalla riperfusione non è responsabile solo dello stravaso ematico, ma anche di un rigonfiamento dei capillari, che ostacola così la riperfusione del miocardio criticamente danneggiato. - prolungata disfunzione ischemica (non consente l’immediata ripresa funzionale del miocardio riperfuso: per un certo intervallo di tempo, che può durare giorni, le miocellule rimangono stordite -stordimento miocardio, stunned myocardium- ovvero mostrano anormalità metaboliche e contrattili tali da richiedere talvolta l’impiego di mezzi di assistenza meccanica temporanea al circolo), - accelera i processi di cicatrizzazione dell’infarto modificandone i criteri di datazione (vedi tabella). Intervallo dall’occlusione Quadro macroscopico coronarica 12 ore Marezzatura emorragica 24-48 ore 3-5 gg 6-10 gg 10-14 gg 2-8 sett Quadro microscopico Necrosi a bande di contrazione Aspetto francamente emorragico Miocellule ipereosonofile, necrosi a bande di contrazione, infiltrazione di neutrofili, emorragia Aspetto francamente emorragico Macrofagi e fibroblasti (++ +), iniziale deposizione di collagene Area rosso-bruna, depressa, con Cicatrizzazione precoce, variegatura biancastra macrofagi e collagene (+++) Area grigio-biancastra, con Cicatrizzazione precoce: variegatura bruna collagene (+++) Cicatrice commista a miocardio Collagene commisto a residuo miocellule residue (anche se una riperfusione condotta ad oltre 6 ore dall’esordio non ha alcuna possibilità di arrestare il fronte d’onda della necrosi, ha alcuni effetti favorevoli: - aumenta la stabilità elettrica del miocardio - riduce l’area del miocardio ibernato - riduce il rischio di rimodellamento sferico post infartuale, facilitando la cicatrizzazione e favorendo l’ipertrofia compensatoria del miocardio adiacente all’infarto) Nonostante il completo ristabilimento del flusso, il miocardio ischemico può andare incontro ad importanti modificazioni funzionali: per giorni possono persistere alterazioni biochimiche e funzionali dei miociti salvati dalla riperfusione (disfunzione ventricolare prolungata post-ischemica o miocardio stordito). Lo stordimento può comportare uno stato di scompenso cardiaco reversibile, superabile mediante la temporanea assistenza cardiologica. Terapia medica nell’IMA: • Beta bloccanti : riducono dolore, stress parietale, frequenza e contrattilità cardiaca, riducono il consumo di O2, l’estensione dell’area necrotica e le recidive (riduzione della mortalità del 13% in acuto e del 23% in cronico). • ACE inibitori : diminuiscono la disfunzione ed il rimodellamento ventricolare (compenso in acuto che può preludere allo scompenso) e il rischio di insufficienza cardiaca congestizia • Nitrati: sono vasodilatatori e diminuiscono il pre e il post carico del ventricolo sinistro con riduzione dell’estensione della necrosi e del rimodellamento cardiaco. • Ossigeno terapia: può diminuire l’estensione dell’infarto. EVOLUZIONE DEL QUADRO MORFOLOGICO: infarto tipicamente pallido diventa emorragico alcuni vasi colpiti dall’ischemia vanno incontro ad alterazioni della parete con conseguente stravaso emorragico dopo il ripristino del flusso. COMPLICANZE: I fenomeni emorragici rappresentano la complicanza più frequente e potenzialmente più grave. L’ictus emorragico rappresenta la complicanza più grave e i verifica nello 0.5-0.9% dei casi trattati con trombolisi farmacologia, soprattutto in pazienti di età superiore a 70 anni. APPARATO RESPIRATORIO Fibrotorace bilaterale Enfisema più accentuato ai lobi superiori Grave edema Esame istologico: enfisema centro lobulare e bronchite cronica Centrilobular destructive emphysema - mild emphysema. M/70. The respiratory bronchioles and some of the alveolar ducts in the middle of the pulmonary lobules are destroyed. This results in holes being formed - emphysematous spaces. These areas are black because of the accumulation of carbon pigment in the peribronchial lymphatics. Chronic bronchitis. M/69. This man had suffered from chronic obstructive airways disease for many years. Death was due to plugging of his respiratory passages by thick, tenacious mucus, shown filling the left main bronchus. The lung itself showed minimal emphysema. 1-Chiarire eventuali rapporti fra bronchite cronica, tipo di enfisema e danno polmonare e cardiaco Rapporto bronchite cronica-enfisema centrolobulare Le malattie ostruttive croniche delle vie aeree (bronchite cronica, enfisema polm, bronchiolite, bonchiectasie e asma bronchiale)sono accomunate da un’ostruzione cronica o ricorrente delle basse vie aeree. Si tende comunque a considerare la bronchite e l’enfisema come un unico complesso sindromico (progressiva ostruzione delle basse vie aeree) definito BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva). La bronchite cronica interessa i bronchi di grandi e medie dimensioni, l’enfisema gli alveoli ma gli aspetti patogenetici sono largamente interconnessi tanto che l’evoluzione naturale della bronchite cronica è rappresentata dall’enfisema polmonare centroacinare. Questa evoluzione enfisematosa è dovuta all’eziologia comune (fumo che è uno stimolo pro infiammatorio) e al fatto che le esacerbazioni infettive determinano comunque distruzione tessutale. Infatti, bronchiti ricorrenti, irritazioni e tosse croniche (con alta pressione centro lobulare) determinano danno strutturale ai bronchioli e agli alveoli circostanti di tipo enfisematoso. Rapporto con il danno cadiaco Cuore polmonare si ha quando vi è dilatazione o ipertrofia del ventricolo dx provocato da un’alterazione della struttura o della funzione dei polmoni che determina ipertensione polmonare (Pmedia>20mmHg e Psist>30). Si parla di cuore polmonare cronico se l’ipertensione polmonare è stabile, almeno sotto sforzo, mentre il cuore polmonare acuto quando l’aumento di pressione è repentino e transitorio (embolia massiva). Non vengono considerate cuore polmonare le dilatazioni o ipertrofie del ventricolo dx che dipendono da altre cause come scompenso sx, stenosi mitralica, cardiopatie congenite. -ci può essere IPNT polmonare senza cuore polmonare ma non il contrario -cuore polmonare non è sinonimo di scompenso dx: si arriva allo scompenso quando il sovraccarico di pressione supera i meccanismi di compenso del ventricolo dx. Inoltre lo scompenso dx può comunqe essere generato da cause diverse (cardiopatia ischemica, valvulopatie, vizi congeniti, scompenso sx…). Cause: Alterazioni anatomiche del letto vascolare Il letto vascolare polmonare presenta un’ampia riserva, nel senso che in condizioni normali non tutti i vasi sono aperti, ma rimangono chiusi in modo tale da poter essere “reclutati” in caso di bisogno (come sforzo) in modo da impedire l’aumento delle resistenze quando aumenta il flusso. Occorre la distruzione di almeno 2/3 del letto vascolare perché si manifesti una rilevante IPNT polmonare. -IPNT polmonare primitiva, idiopatica -embolie polmonari ricorrenti (generalmente occulte) -distruzione vasale per: fibrosi interstiziali, granulomatosi aspecifiche, pneumoconiosi, carcinoma infiltrante. Vasocostrizione polmonare Lo stimolo più importante è l’ipossia, determinata da: -ipoventilazione alveolare generalizzata che si verifica in: deficit neurologico, muscolare, alterazioni della cassa toracica, ostruzione delle vie aeree superiori, obesità grave. In questo caso abbiamo anche ipercapnia (che può determinare disturbi neurologici fino al coma) e acidosi respiratoria (che a sua volta peggiora la vasocostrizione). L’ipossia stimola la produzione di EPO renale e determina policitemia, che contribuisce all’IPNT polmonare. -alterazione del rapporto V/Q: BPCO, fibrosi cistica. La BPCO è la causa + frequente di cuore polmonare. Determina IPNT polmonare attraverso tutti i meccanismi sopracitati: riduzione anatomica del letto vascolare, vasocostrizione polmonare (da ipossia e acidosi) e aumento della viscosità ematica (da policitemia). Morfologia: tutte le arterie polmonari sono colpite, soprattutto le arteriole. Il Grading microscopico (effettuato tramite biopsie polmonari) corrisponde allo stadio della malattia: I grado: ipertrofia muscolare II grado: proliferazione cell endoteliali III grado: fibrosi intimale laminare concentrica IV grado: vasculite necrotizzante V grado: lesioni plessiformi VI grado: dilatazioni microaneurismatiche e lesioni angiomatoidi È possibile che il pz abbia sviluppato un cuore polmonare a causa della patologia primitiva bronchitica cronica, poi evolutasi in enfisema polmonare. L’ipnt del piccolo circolo ha determinato ipertrofia ventricolare dx prima e successivamente insufficienza: sono infatti presenti segni di scompenso dx come edemi declivi e epatomegalia con stasi cronica. L’ipertrofia ventricolare sx potrebbe essere stata determinata da IPNT sistemica, in parte potrebbe essere compensatoria da danno ischemico cronico. 2. Metodiche diagnostiche nella bronchite cronica Clinica: pz che presenta tosse produttiva persistente per almeno 3 mesi per almeno 2 anni consecutivi, in assenza di qualsiasi altra causa identificabile. Autoptica: In sede autoptica, la gravità della malattia può essere misurata con l’indice di Reid che è il rapporto tra lo spessore dello strato ghiandolare cioè della sotto-mucosa contenente le ghiandole e lo spessore della parete tra l’epitelio e la cartilagine. Un rapporto > 0,5 è patologico (normale fino a 0,4). Da notare che in stadio avanzato la parete si può assottigliare con atrofia di tutte le strutture. Spirometria: sindrome ostruttiva, aumento del VR, CPT; VR/CPT; riduzione VEMS, VEMS/CV, CV normale o ridotta. Rx torace: accentuazione della componente bronco vascolare, ispessimento pareti bronchiali, opacità peri-bronchiali e bronchiali (da tappi di muco). Esame dell’espettorato: prevalentemente microbiologico nelle riacutizzazioni. Utile anche nella valutazione di trasformazione neoplastica. APPARATO DIGERENTE Esofago, stomaco, intestino tenue: nulla di patologico da segnalare. Colon: malattia diverticolare del sigma. FEGATO E VIE BILIARI Fegato del peso di 1900 gr da stasi cronica. Colecisti: nulla di patologico da segnalare. Vie biliari pervie. Macroscopica Il fegato si presenta ingrossato e di color porpora con margini arrotondati. La nodularità è poco rappresentata, ma in caso di iperplasia ondulare rigenerativa o di cirrosi cardiaca si possono apprezzare dei noduli. La superficie di sezione mostra vene epatiche prominenti che possono essere ispessite. Si osserva un aspetto a "noce moscata a causa della presenza contemporanea di aree centrali emorragiche dei lobuli e di aree portali e peri-portali normali di colore giallo. Il colore giallo più intenso rispetto al colorito normale dell’area portale può essere dovuto ad un incremento dell’adipe negli spazi portali. Microscopica II quadro istologico del fegato in genere è in rapporto con la severità clinica o biochimica dell'insufficienza cardiaca e con il peso e le dimensioni delle camere cardiache. Fin dall'inizio dell'insufficienza cardiaca congestizia le vene epatiche terminali si ingorgano e si dilatano. Anche i sinusoidi in adiacenza delle vene epatiche terminali si dilatano e si riempiono di eritrociti per una distanza variabile verso le aree portali. Si osserva anche compressione ed una variabile atrofia delle cellule epatiche ed un incremento apparente della quantità di lipofuscina nel loro citoplasma. L'insufficienza cardiaca moderatamente severa può causare necrosi delle cellule epatiche appartenenti alla zona 3. L'infiltrato cellulare è minimo. In caso di ipotensione severa acuta e di shock si può determinare necrosi della zona media. Gli epatociti necrotici sono spesso avvolti da un pigmento di color marrone probabilmente da mettere in rapporto con la degradazione della bilirubina. La necrosi delle cellule epatiche si sposta dalla zona 3 fino alle aree portali man mano che evolve la malattia cardiaca. Nella forma più severa di congestione epatica secondaria all' insufficienza cardiaca rimane integra solo una piccola area di epatociti di aspetto normale nello spazio peri-portale. La rete di reticoline si condensa e può collassare introno alla vena epatica terminale in seguito alla perdita delle cellule epatiche. Si può osservare la formazione di ponti che si estendono ed uniscono le vene epatiche terminali adiacenti; in ultimo le aree portali non interessate vengono circondate da anelli di tessuto fibroso con formazione di lobuli invertiti. E’ raro il riscontro di cirrosi cardiaca. Se presente, essa si associa a fibrosi dell'intima e a trombosi delle vene epatiche di piccola e media grandezza. L'ischemia che ne consegue è responsabile della necrosi epatocellulare. la stasi aumenta l'attivazione fibroblastica e la deposizione di collageno. Prevalenza E’ frequente il coinvolgimento del fegato nell'insufficienza cardiaca severa. Con la riduzione dell’incidenza delle valvulopatie reumatiche le malattie delle arterie coronariche e la cardiomiopatia congestizia diventano sempre di più la causa principale della congestione epatica. La prevalenza totale della congestione epatica in corso di insufficienza cardiaca congestizia dipende dalla selezione dei pazienti e dai criteri usali per definire il coinvolgimento del fegato (clinici, biochimici od istologici). Fra i pazienti con un indice cardiaco superiore a 2l/min/m2 solo il 20-30% di essi presenta un aumento minore degli enzimi epatici. Al contrario, fino ali 80% dei pazienti con un indice cardiaco inferiore a 1.5 l/min/m2 presenta alcune anomalie biochimiche maggiori. PANCREAS Nulla di patologico da segnalare. PERITONEO E RETROPERITONEO Modesto versamento trasudatizio. MILZA ED ORGANI EMOPOIETICI Milza da stasi cronica.(relativamente piccola a differenza dell'ipertensione portale) APPARATO NEFROURINARIO Reni del peso di 140 g, senza evidenti alterazioni macroscopiche. Vescica contenente coaguli ematici. Trasformazione a colonne della parete. Presenza di numerosi piccoli diverticoli. Esame istologico: lesioni diffuse con danno glomerulare ialino-ischemico, tubulare atrofico e arteriosclerotico grave. Glomerulo-sclerosi nodulare diabetica. APPARATO GENITALE Iperplasia della prostata. Vescica a colonne con piccoli diverticoli: questo quadro è conseguenza di un’ostruzione a livello uretrale-del collo vescicale. Nel nostro caso il pz aveva un’iperplasia prostatica di vecchia data che può giustificare il quadro. Altre cause di ostruzione uretrale che possono portare alla comparsa di vescica a colonne sono: - restringimento o stenosi congenita dell’uretra, - stenosi infiammatoria dell’uretra, - fibrosi infiammatoria e contrazione della vescica conseguenti a vari tipi di cistite, - tumori della vescica in localizzazioni strategiche, - invasioni secondarie del collo vescicale da neoformazioni che originano da strutture perivescicali, - ostruzioni meccaniche da corpi estranei-calcoli, - lesioni dell’innervazione vescicale che determinano una vescica neurologica. Nelle prime fasi si verifica solo un ispessimento della parete vescicale (da verosimile ipertrofia del muscolo liscio). Con la progressiva ipertrofia del rivestimento muscolare i singoli fasci muscolari aumentano notevolmente di volume e producono trabecolazione della parete vescicale; nel tempo si possono formare cripte che possono diventare veri e propri diverticoli acquisiti (falsi diverticoli). È l’aumento della pressione endo-vescicale che causa l’estroflessione della parete vescicale e la formazione di diverticoli. Questi sono frequentemente multipli e hanno uno stretto colletto posto in mezzo a fasci muscolari ipertrofici intrecciati. Il diverticolo normalmente consiste in una tasca di forma rotondeggiante o ovoidale, simile ad una sacca, la cui grandezza varia da meno di 1 cm a 510 cm di diametro. La maggior parte dei diverticoli è piccola e asintomatica, ma essi possono essere clinicamente significativi, poiché costituiscono siti di stasi urinaria e predispongono all’infezione e alla formazione di calcoli vescicali. Possono predisporre al reflusso vescico-ureterale come risultato di una lesione dell’uretere e raramente possono essere sede di insorgenza di carcinomi. (richiami di anatomia: la mucosa della vescica è ricoperta di epitelio transizionale che presenta un sottile strato di tessuto connettivo elastico noto come lamina propria. Il muscolo detrusore vescicale è composto da fibre muscolari lisce senza distinzione di strati. Fa eccezione il trigono, un’area triangolare che giace tra gli osti uretrali e l’apertura del collo vescicale. In questa area la parete muscolare ha due strati, uno strato superficiale fuso con la muscolatura ureterale ed uno strato più profondo indistinguibile dal detrusore). Interessamento renale in corso di di diabete: le lesioni più frequenti interessano i glomeruli e si associano a tre sindromi glomerulari, ovvero proteinuria non nefrosica, sindrome nefrosica e IRC. Il diabete colpisce anche le arteriole causando scleroialinosi arteriolare (caratteristico del diabete è l’ispessimento ialino della parete non solo dell’arteriola afferente, comune in varie condizioni ipertensive, ma anche di quella efferente), aumenta la suscettibilità alle pielonefriti (spt alla necrosi papillare) e causa una serie di lesioni tubulari. Nefropatia diabetica indica l’insieme di lesioni che spesso si verificano contemporaneamente nel rene diabetico. La glomerulo-sclerosi diabetica compare in circa il 40% dei pz con DM I e nel 1530% dei pz con DM II. Le alterazioni morfologiche a carico dei glomeruli comprendono: ispessimento della membrana basale capillare, sclerosi mesangiale diffusa, glomerulo-sclerosi nodulare. ISPESSIMENTO DELLA MEMBRANA BASALE CAPILLARE: un diffuso ispessimento della GMB si osserva in tutti i pz diabetici, indipendentemente dalla presenza di proteinuria, ed è parte della microangiopatia diabetica. L’ispessimento continua progressivamente in genere contemporaneamente all’espansione del mesangio. Inoltre compare l’ispessimento delle membrane basali tubulari. SCLEROSI MESANGIALE DIFFUSA: consiste nell’incremento diffuso della matrice mesangiale (gli assi mesangiali sono più modestamente, ma omogeneamente ampliati per aumento della sostanza fondamentale, rispetto alla glomerulo-sclerosi nodulare). Si può osservare una lieve proliferazione delle cellule mesangiali nelle prime fasi di malattia, ma la proliferazione cellulare non è la fase preponderante di questa lesione. L’aumento del mesangio si associa all’ispessimento della GMB. I depositi sono PAS positivi. L’espansione del mesangio può arrivare fino ad assumere un aspetto nodulare. La progressiva espansione del mesangio si correla con gli indici di deterioramento della funzione renale. GLOMERULOSCLEROSI NODULARE (glomerulo-sclerosi intercapillare o malattia di Kimmelstiel-Wilson): le lesioni glomerulari si presentano sotto forma di noduli ovoidali o sferici, spesso di aspetto laminato, situati alla periferia del glomerulo. I noduli sono PAS positivi (si colorano in rosso con il PAS, in rosa con l’eosina, in nero con i sali d’argento e hanno aspetto compatto). La sostanza ialina del nodulo è costituita da materiale non distinguibile dalla matrice in cui sono normalmente immerse le cellule mesangiali. Si trovano all’interno dell’asse mesangiale dei lobuli glomerulari e possono essere circondati da anse capillari beanti o marcatamente dilatate (le anse capillari sono pervie e assumono una disposizione periferica a corona, in rapporto ai noduli). I noduli spesso presentano segni di mesangiolisi con sfaldamento dell’interfaccia mesangio-lume capillare, distruzione dei siti di ancoraggio dei capillari sull’asse mesangiale e conseguente formazione di microaneurismi capillari, zeppi di emazie (i capillari stessi, senza sostegno mesangiale vanno incontro a dilatazione per la pressione ed il flusso endoluminare). Nei singoli glomeruli, non tutti i lobuli sono interessati dalle lesioni nodulari, ma anche i lobuli non coinvolti mostrano una spiccata sclerosi mesangiale diffusa. Con il progredire della malattia i singoli nodi aumentano di volume, e possono comprimere e circondare i capillari, occludendo il convoluto glomerulare. Queste lesioni si accompagnano, a livello del glomerulo, a prominenti accumuli di materiale ialino (tappi di fibrina, cappe fibrinoidi; sono lesioni essudative costituite da accumuli tondeggianti o in forma di semiluna posti sul versante interno delle pareti dei capillari che si colorano positivamente con i metodi per la fibrina e vanno interpretate come materiale plasmatico filtrato) o aderenti alla capsula di Bowman (gocce capsulari, gocce ialine; passerelle eosinofile sporgenti nello spazio urinifero, specifiche della nefropatia diabetica). Come conseguenza delle lesioni arteriolari e glomerulari il rene va incontro ad ischemia, sviluppa atrofia tubulare e fibrosi interstiziale e generalmente si riduce di dimensioni ( per quanto riguarda i tubuli, dapprima nel TCP si può osservare una vacuolizzazione delle cellule tubulari a causa dell’intenso riassorbimento proteico e della presenza di lipidi, successivamente i tubuli vanno incontro ad atrofia e risultano immersi in stroma fibroso). La glomerulo-sclerosi nodulare e la sclerosi mesangiale diffusa sono fondamentalmente lesioni simili del mesangio, ma la lesione nodulare è altamente specifica per il diabete. Nb: aspetto simile possono presentare la glomerulo-nefrite membranoproliferativa (lobulare), la light chain disease, l’amiloidosi. Patogenesi: la glomerulo-sclerosi diabetica sembra essere causata da un difetto metabolico (deficit insulinico, iperglicemia, intolleranza al glucosio). Tali difetti sono responsabili delle alterazioni biochimiche a carico della GMB, con aumento della quantità e della sintesi di collagene IV e fibronectina e riduzione della sintesi di proteoglicani eparan solfati. Anche la formazione di AGE può contribuire alla glomerulo-patia. Un’ipotesi sull’inizio e sulla progressione della glomerulo-sclerosi diabetica chiama in causa alterazioni emodinamiche. La prima fase della nefropatia è caratterizzata da un incremento del GFR con aumento della pressione nel capillare glomerulare e da ipertrofia glomerulare con aumento della superficie di filtrazione glomerulare. ASPETTO MACROSCOPICO: i reni mostrano una variazione simmetrica di volume e possono essere ingranditi ed anche rimpiccioliti. In concomitanza di una sintomatologia dominata da proteinuria o sindrome nefrosica e funzione renale conservata, presentano superficie liscia e corticale tumida. Quando sono rimpiccioliti (in genere questo aspetto è legato a contrazione funzionale e ipertensione), i reni hanno superficie finemente granulare o solcata da cicatrici, consistenza aumentata e corticale irregolarmente assottigliata. Alla superficie cortico-midollare le arterie mostrano parete rigida, ispessita, debordante sulla superficie di taglio. ALL’IMMUNOFLUORESCENZA: depositi lineari di IgG (da intrappolamento). La si ritiene una falsa positività dovuta ad incarceramento delle proteine plasmatiche nelle MB alterate. Altre lesioni morfologiche nel diabete: Pielonefrite acuta: è una nefropatia tubulo-interstiziale da causa infettiva, caratterizzata da infiammazione acuta focale del parenchima renale estesa dalla corticale alla midollare. Si differenzia dalla nefrite interstiziale, in cui il danno infiammatorio è limitato al parenchima ed è legato ad un’infezione renale particolarmente severa in cui l’infiltrazione granulocitaria è più accentuata che nella PNA. Corrisponde all’attuale accezione di lobar nephronia. MACRO: reni ingranditi e rigonfi con ascessi giallastri sulla superficie, numerosi e di piccole dimensioni prevalenti nella corteccia. Talora gli ascessi possono confluire in più ampie raccolte e addirittura aprirsi, attraverso la capsula nel tessuto adiposo che circonda il rene, formando ascessi peri-renali. Al taglio gli ascessi appaiono come aree rotondeggianti giallastre, circondate da un alone emorragico, a localizzazione prevalentemente corticale. Le papille che drenano le aree corticali colpite dall’infezione mostrano striature giallastre parallele che corrispondono ai dotti collettori zaffati di granulociti neutrofili. Può complicarsi con necrosi delle papille soprattutto nei pz diabetici. MICRO: infiltrazione di granulociti dentro e intorno ai tubuli (caratterizzati dalla presenza di epitelio necrotico) con possibile formazione di microascessi, fino ad arrivare alla formazione di aree di escavazione ascessuale circondati da campi di connettivo fittamente infiltrato da pmn. Glomeruli e vasi prevalentemente risparmiati. Carattere focale dell’infiammazione. Papillite necrotizzante: si osserva anche per assunzione di grandi quantità di fenacetina (donne di mezza età sofferenti di emicrania). Macro: varia in rapporto a gravità e durata della malattia. Nelle forme più gravi i reni hanno dimensioni normali o ridotte. La superficie esterna presenta aree infossate in corrispondenza delle papille necrotiche e aeree rilevate in corrispondenza delle colonne del Bertin (risparmiate e talora ipertrofiche). Al taglio la corticale appare assottigliata eccetto che in corrispondenza delle colonne del Bertin Tutte le papille sono coinvolte (nella necrosi papillare da analgesici), ma le lesioni sono di varia gravità e il limite tra tessuto necrotico e tessuto risparmiato è sfumato. Le papille sono retratte, di colorito bianco sporco o brunastro con più o meno ampie concrezioni calcaree. Talora gli apici sono necrotici, si staccano e si ritrovano nella cavità pielica. Nel DIABETE non tutte le papille sono colpite ma quelle interessate dal processo necrotico hanno lo stesso aspetto. Inoltre la demarcazione tra tessuto necrotico e tessuto sano è netta per la presenza di una vallo di PMN e le calcificazioni parenchimali sono rare. Nefrosclerosi: dal punto di vista clinico alla nefrosclerosi corrisponde un innalzamento lento e progressivo dei valori pressori diastolici, la funzione renale è per lungo tempo conservata e in questi soggetti le cause di morte più comuni sono quelle di origine cardiaca (IMA) o cerebrale. Macro: nel caso di malattia ipertensiva di lunga durata i reni sono ridotti di volume e sono simmetricamente colpiti, hanno capsula aderente alla superficie che appare finemente granulare in seguito alle lesioni delle più fini diramazioni arteriose. Al taglio la corticale è assottigliata. Micro: 1) danno arteriosclertorico delle a. arciformi e interlobulari, con ispessimento fibroso intimale, riduzione del calibro e frammentazione della lamina elastica interna, che può apparire anche reduplicata, atteggiandosi in formazioni multi-laminari concentriche. Le lesioni della media sono scarse e legate ad un ispessimento sostenuto dall’iperplasia delle cellule muscolari lisce; 2) arteriolosclerosi ialina: ispessimento in toto della parete delle arteriole per la deposizione di materiale ialino PAS positivo. La deposizione è focale con aspetti più evidenti nei tratti prossimali delle arteriose afferenti e, nei diabetici soprattutto, nelle arteriose efferenti. È una lesione riscontrabile anche in soggetti anziani non diabetici; 3) glomeruli possono essere normali oppure ischemici, con matassa glomerulare ipocellulare e membrane basali ispessite e ripiegate con lumi dei capillari poco evidenti e spazio urinifero occupato da materiale amorfo, debolmente PAS positivo, riferibile a collagene nel cui contesto sono sporadiche cellule fusate di natura fibroblastica. Il danno ischemico glomeulare risulta comunque ben evidente sulle sezioni colorate con PAS reazione; 4) tubuli atrofici per la carente irrorazione sanguigna (possono anche essere ipertrofici). I tubuli atrofici possono presentarsi con membrana basale ispessita e lume virtuale, ma anche dilatati e contenenti cilindri ialini. 5) in rapporto con i glomeruli ischemici e le aree di atrofia tubulare l’interstizio è aumentato in ampiezza, finemente fibroso, più o meno infiltrato di elementi mononucleati. Questi aspetti microscopici definiscono la NEFROSCLEROSI BENIGNA; in quella maligna (da ipertensione maligna) vi è necrosi fibrinoide delle arteriole e dei glomeruli. Sovrapposizione di una seconda nefropatia su preesistente glomerulo-sclerosi diabetica: prevalentemente GN membranosa o GN a depositi di IgA. - GN membranosa: è la causa più frequente di s. nefrosica negli adulti. È caratterizzata da diffuso ispessimento della parete capillare glomerulare (della GMB) e dall’accumulo di depositi elettrondensi di Ig (spt IgG) lungo il lato sub-epiteliale della membrana basale. I fattori causali non sono conosciuti (glomerulo-nefrite membranosa idiopatica, 80%); la glomerulo-nefrite membranosa che si manifesta in associazione ad altre malattie sistemiche e ad una varietà di agenti eziologici identificabili (farmaci come penicillamina, fans, oro, captopril; tumori maligni cm k polmone, melanomi e k colon; LES; infezioni, spt da HBV, HCV, treponema pallidum, schistosoma, plasmodium falciparum; altre patologie autoimmuni come la malaria) è detta secondaria. Caratteristiche AP: al MO i glomeruli presentano uniforme e diffuso ispessimento della parete capillare glomerulare. In ME si nota come l’ispessimento sia causato da irregolari depositi densi tra la membrana basale e le sovrastanti cellule epiteliali, che mostrano una scomparsa di processi pedicillari. Tra questi depositi si osserva la formazione di materiale simile alla membrana basale che appare sotto forma di spikes irregolari che protrudono dalla GMB (e che si osservano meglio con le colorazioni all’argento che colorano la GMB). Con il tempo gli spikes si ispessiscono, la membrana si ispessisce schiacciando il lume capillare e può manifestarsi sclerosi del mesangio, nel tempo i glomeruli possono diventare completamente sclerotici. In fase avanzata di malattia i depositi perdono la loro caratteristica elettrondensità e, lasciando spazi chiari, conferiscono alla GMB un aspetto tarlato. L’IF dimostra depositi granulari ravvicinati lungo la GMB, la positività è spiccata e consistente per IgG e C3, in 1/3 dei casi ci sono anche IgM. - GN a depositi di IgA (Gn di Berger, è una glomerulo-nefrite proliferativi focale): è la GN primitiva più diffusa al mondo; può presentarsi in corso di porpora di Schonlein-Henoch. Mostra prominenti depositi di IgA nelle regioni mesangiali individuabili con l’IF (la diagnosi viene posta di solito sulla base di tecniche immunoistochimiche). Caratteristiche AP: le lesioni possono variare notevolmente, i glomeruli possono apparire normali o mostrare espansione e proliferazione del mesangio, proliferazione segmentale limitata ad alcun glomeruli o, raramente, una vera e propria glomerulo-nefrite a semilune. Sono di riscontro abbastanza frequente anche aspetti focali e segmentali di proliferazione endo-capillare. In casi di lunga durata, possiamo riscontrare anse capillari collassate e aree di sclero-ialinosi mesangiale. Il danno tubulo-interstiziale varia da caso a caso, così come la frequenza di sclero-ialinosi arteriolare. All’IF il quadro tipico è quello di depositi mesangiali granulari di IgA, spesso associati a C3 e ad una minore quantità di IgG ed IgM. La ME conferma la presenza di depositi mesangiali elettrondensi, e in alcuni casi anche la presenza di depositi a livello della GMB. Si presenta con ematuria macroscopica e dolore al fianco (30%) oppure con ematuria microscopica e proteinuria (32%). PUNTI DA APPROFONDIRE 1. In rapporto ai dati fin qui riportati, discutere le possibili cause della progressiva insufficienza renale. 2. Elencare le possibili cause della macro-ematuria e discuterne la maggiore/minore probabilità nel paziente in questione. 1. il quadro presentato è quello di un rapido peggioramento acuto della funzione renale, quindi una IRA. Le cause di IRA possono essere pre-renali, renali o post-renali. In questo caso abbiamo un insieme di cause che possono essere alla base del peggioramento acuto della funzione renale. Innanzitutto c’è un rene già compromesso dalla patologia diabetica con quadri di glomerulo-sclerosi nodulare, atrofia tubulare e arterioslclerosi-arteriolosclerosi diffusa. Su questa base si è inserito un peggioramento acuto (IMA) di una funzione emodinamica già compromessa, come testimoniano i reperti di scompenso cardiaco cronico, che probabilmente hanno portato ad una ipovolemia relativa con ipoperfusione renale e verosimile IRA pre-renale. Non sembra importante, nella patogenesi dell’IRA, invece il ruolo dell’IPB che ha condizionato il quadro di vescica a colonne con diverticoli. A livello renale non ci sono infatti reperti di una patologia da reflusso e comunque il pz è stato trattato con TUR. 2. l’ematuria può riconoscere diverse origini: renale/ureterale, vescicale e uretrale. Dato che il paziente in causa aveva coaguli vescicali, indice di sanguinamento importante dall’urotelio, è possibile escludere la presenza di una GMN (avrebbe potuto essere una gmn di Berger sovrapposta alla nefropatia diabetica) e un sanguinamento basso, di origine uretrale. Le cause principali di ematuria isolata possono essere: - neoplasie vescicali-ureterali, - calcolosi, - traumi, - TBC, - prostatite, - cistite emorragica, - TAO, - infezione delle vie urinarie. Anche l’infarto renale può provocare ematuria. Il rene è un sito favorito per la comparsa di infarti renali (circolazione terminale con scarsa possibilità di circoli collaterali, enorme flusso ematico). Le cause di infarto renale possono essere un’aterosclerosi in fase avanzata, una vasculite, ma soprattutto delle embolie (spt a partenza da trombi murali di atrio e ventricolo sx). La maggior parte degli infarti renali sono anemici, entro 24 h l’area infartuata diventa ben demarcata, pallida con aree bianco-giallastre con piccoli ed irregolari foci di discromia emorragica, di solito queste aree sono circondate da intensa iperemia. In sezione l’infarto è a forma di cuneo, con base verso la corticale ed apice verso la midollare. Queste aree vanno poi incontro a fibrosi. Le alterazioni istologiche sono quelle tipiche di una necrosi ischemica coagulativa. Nel nostro caso, il pz non aveva tali reperti patologici, era in TAO e si dovrebbe ipotizzare un infarto importante con necrosi per giustificare la presenza di coaguli in vescica. Nel nostro caso il paziente aveva effettuato la terapia per l’IMA il gg prima della comparsa dell’ematuria, e viene riportato che l’ematuria è verosimilmente dalle basse vie (emazia ben conservate). Il sanguinamento potrebbe essere quindi conseguenza della terapia fibrinoliticaanticoagulante a partenza dall’urotelio (dai diverticoli vescicale, dalla sede di pregressa TUR, traumatismo da catetere?). Cosa si fa in caso di ematuria? Si effettua un esame urine con sedimento e si manda il campione (50-100cc, la seconda urina del mattino per tre gg consecutivi). Per valutare la citologia cellulare l’anatomopatologo fa un sedimento particolare, il citospin: è una provetta particolare, con un foro al fondo, che durante la centrifugazione delle urine “spara” le cellule del campione direttamente su un vetrino, formando due piccoli cerchi che l’anatomopatologo poi esamina.