Caso 9 Pz maschio 79aa, diabetico. Intervento di resezione

Caso 9
Pz maschio 79aa, diabetico.
Intervento di resezione prostatica per via trans-uretrale 4 mesi prima del decesso (vedi esame
istologico).
Esame istologico su materiale di TURP: frammenti di prostata con quadri di iperplasia prostatica
fibroleiomioadenomatosa, prostatite cronica aspecifica. Occasionali quadri di PIN di basso grado.
1- Approfondire le ragioni anatomiche e topografiche che giustificano l’intervento di TURP
nell’iperplasia prostatica.
Benign prostatic hypertrophy. M/84. The prostate
is considerably enlarged. Its cut surface shows a creamy,
lobulated appearance. There are a number of calculi in the
prostatic ducts. The middle lobe has extended into the base of
the bladder and the long-standing prostatic obstruction has
caused thickening and trabeculation of the bladder wall.
La prostata pesa circa 20 e circonda il collo della vescica e l'uretra. Il parenchima prostatico può
essere distinto in 4 regioni biologicamente e anatomicamente distinte: zona centrale, zona
periferica, zona transizionale e regione anteriore dello stroma fibromuscolare. Mentre i carcinomi
originano dalla zona periferica, l’iperplasia (patologia assai comune nell’uomo sopra i 50 anni,
ormono-dipendente) è tipica della zona di transizione (parte craniale della zona periuretrale).Si
caratterizza per iperplasia delle cellule stromali ed epiteliali, che esita nella formazione di ampi
noduli, abbastanza definiti, nella regione peri-uretrale della prostata quando raggiungono una
dimensione importante, i noduli comprimono il canale uretrale restringendone il lume e causando
una parziale e talvolta praticamente completa ostruzione dell’uretra.
L’ostruzione da iperplasia prostatica che si verifica a livello del collo vescicale è di fondamentale
importanza clinica.
-
Innanzitutto si verifica ritenzione urinaria da cui conseguono le altre manifestazioni.
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Nelle prime fasi si osserva un’ipertrofia del detrusore e un ispessimento della parete
vescicale dovuto ad ipertrofia a colonne del muscolo liscio, con superficie mucosa indenne.
-
Poi, con la progressiva ipertrofia del rivestimento muscolare, i fasci muscolari aumentano
notevolmente di volume e producono la trabecolazione della parete vescicolare (vescica a
colonne).
-
Nel tempo si formano cripte che poi possono diventare veri e propri diverticoli acquisiti. La
ritenzione di urina in vescica (il lobo medio solleva il pavimento dell’uretra, lasciando al
termine della minzione un crescente quantitativo di urina in vescica) favorisce l’insorgenza
di infezioni delle vie urinarie (cistite, rara la pielonefrite), calcoli e raramente la formazione
di neoplasie dovuta alla stasi e a fenomeni irritativi cronici.
-
Clinicamente il pz presenta disuria (x compressione dell’uretra), pollachiuria, nicturia,
difficoltà a iniziare la minzione ed arrestare il mitto, iscuria paradossa.
-
La TURP non è l’approccio di prima linea nell’iperplasia prostatica, in quanto:
-
La terapia medica è indicata quando compaiono sintomi clinici e consta di:
-
1) inibitori 5 alfa-reduttasi (Finasteride o Dutasteride: inibitore dell’enzima che metabolizza
il testosterone in un androgeno più potente e attivo, il diidrotestosterone) sono in grado di
ridurre le dimensioni (riduce il volume delle ghiandole) della prostata migliorando il flusso
urinario e i sintomi da ostruzione, ma anche ridurre il valore di PSA fino a dimezzarlo;
-
2) simpaticolitici ( alfa-bloccanti) Alfuzosina, Doxazosina...
-
La TURP è riservata a quei casi di IPB moderata o severa che risultano resistenti alla terapia
medica.
-
La TURP è efficace nel ridurre i sintomi, nel migliorare il flusso e nel diminuire il valore del
residuo minzionale.
-
L’indicazione chirurgica diventa assoluta in caso di complicanze quali la ritenzione urinaria,
le infezioni ricorrenti, il danno renale, la calcolosi della vescica, la sofferenza importante
della vescica.
In base alle Linee Guida della EAU (European Association of Urology) 2008 le indicazioni
alla chirurgia sono:
-
- ritenzione urinaria refrattaria alla terapia
- infezione urinaria ricorrente
- ematuria ricorrente refrattaria alla terapia medica con inibitori della 5-alpha reduttasi
- insufficienza renale
- calcolosi vescicale
L’incremento del volume residuo post-minzionale può essere usato come indicazione alla
chirurgia, tuttavia c’è una grande variabilità individuale.
2- Identificare possibili lesioni secondarie a TUR nella prostata residua.
T.U.R.P.: Resezione trans-uretrale della prostata
DEFINIZIONE E INDICAZIONE:
La prostata è la ghiandola sessuale maschile che serve a produrre il liquido prostatico presente nello
sperma. Dopo i 50 anni nella metà degli uomini essa si ammala e cresce di volume così da ostruire
il canale dell’urina (uretra) che vi scorre dentro. Il risultato è che il getto urinario progressivamente
cala di forza e la minzione si fa difficile, lunga (stranguria) e compare bruciore (disuria). Di notte si
incomincia ad alzarsi una, due, tre volte e magari per ogni urinata la quantità di urina che esce è
modesta. A volte compare anche un disturbo noioso che consiste nella voglia di correre in bagno
appena si avverte lo stimolo, specie col freddo. Se questa situazione non viene curata dal medico,
può lentamente peggiorare negli anni fino a che arriverà il blocco improvviso e completo della
minzione. Questo è un evento grave che impone la inserzione urgente di un catetere in vescica per
svuotarla. Quando lo specialista urologo consiglierà di asportare la prostata per risolvere la
difficoltà ad urinare (stranguria) o per risolvere il blocco completo, il paziente si dovrà sottoporre
alla TURP (se l’adenoma non supera i 30-35 g) . La operazione alla prostata ha lo scopo di far
urinare bene, non di asportare la prostata. Non è necessario asportare tutta la prostata (come invece
avviene quando c’è un grave tumore maligno), basta asportare la parte cresciuta, quella che
ostruisce l’uretra. E’ la zona più interna della prostata a crescere; si formano dei noduli (adenomi)
che assomigliano molto ai fibromi dell’utero femminile. La donna con i fibromi può sanguinare ma
non avrà disturbi ad urinare perché le vie urinarie femminili sono distinte da quelle genitali;
nell’uomo invece raramente vi saranno sanguinamenti con l’urina,più spesso vi sarà difficoltà ad
urinare perché le vie urinarie e sessuali confluiscono in un unico canale, l’uretra, che serve alla
emissione dell’urina e dello sperma.
MODALITA' DI ESECUZIONE:
consiste nell’introdurre nell’uretra una sonda rigida e del diametro di 8 millimetri, vuota all’interno.
Dentro questa sonda si fa poi passare una sonda più piccola che contiene alla sua estremità una
specie di piccola zappa che servirà a raschiare (resecare), fettina dopo fettina, pezzettino dopo
pezzettino iniziando dalla parte più interna della prostata. La resezione è resa possibile dal calore
generato da corrente elettrica (GYRUS BIPOLARE) . Quando il chirurgo pensa di aver raschiato
abbastanza da essere arrivato alla parte più esterna della prostata (capsula prostatica) e di averla così
svuotata dall’interno l’intervento è terminato. E’ necessaria l’anestesia spinale; l’intervento dura dai
30 ai 60 minuti. Il paziente si sveglierà con un catetere in uretra che verrà rimosso dopo 48 ore.
Nelle prime 24 ore il catetere sarà collegato ad un sistema di irrigazione esterno (cistoclisi) che
permette la continua pulizia della regione resecata evitando così la formazione di coaguli. Non c’è
dolore dopo questo intervento perché non ci sono incisioni cutanee; l’operato avvertirà solo
irritazione causata dal catetere. Al 2° o 3° giorno dopo la TURP il paziente verrà dimesso
dall’ospedale. A casa potrà riprendere la vita normale dopo pochi giorni. Avvertirà la necessità di
urinare molto frequentemente e le urine potranno contenere un po’ di sangue. Sanguinamenti
importanti potranno però verificarsi anche a distanza di trenta giorni dalla TURP perché durante
l’operazione le arterie della prostata recise dal resettore vengono coagulate con la corrente elettrica
e si forma una specie di crosticina (escara) che, una volta espulsa dalla corrente urinaria nelle
settimane seguenti l’operazione, potrà far riprendere il sanguinamento. Se il sangue nell’urina
(ematuria) non sarà imponente, il paziente non dovrà preoccuparsi: sarà sufficiente bere molta
acqua per diluire le urine. Se invece la emorragia sarà così forte da provocare coaguli allora si potrà
verificare una complicanza seria: l’ostruzione completa della vescica (tamponamento) e la
impossibilità ad urinare con conseguenti forti dolori. In questo caso l’ammalato dovrà subito
rivolgersi al pronto soccorso dell’ospedale (meglio dove è stato operato) per essere ricoverato in
urologia dove il medico provvederà a svuotare i coaguli dalla vescica
-
Poiché l’intervento di TURP prevede l’asportazione della sola zona transizionale
le, nella prostata residua può verificarsi:
- Granuloma post- turp
- Prostatite in genere associata a epididimite secondaria all’intervento o per infezione
batterica, ma solo nel 1% dei pz.
l’insorgenza di un adenocarcinoma nella prostata residua è possibile. Infatti il 70% dei
tumori maligni della prostata insorgono nella zona periferica e solo il 20% nella zona
centrale, il resto nella zona di transizione.
- l’intervento di TURP richiede molta manualità per essere certi di aver asportato tutto
l’adenoma, fino alla capsula. Se viene lasciato in sede soprattutto l’apice, l’adenoma residuo
può sclerotizzare o ipertrofizzarsi. Nell’arco dei 10 anni successivi all’operazione il 10%
circa dei pz operati deve andare incontro ad una nuova operazione identica alla prima.
Bassa morbilità (8-10%) e mortalità (0,1%)
3- Dare la definizione di PIN e chiarire il significato clinico del suo riconoscimento in
materiale chirurgico.
Si intende per PIN, neoplasie intraepiteliali prostatiche, lesioni focali costituite da ghiandole
benigne con proliferazione intracinare di cellule che mostrano anaplasia nucleare. Lo strato
cellulare basale è riconoscibile. La classificazione di PIN in alto e basso grado si basa sulle
caratteristiche citologiche della lesione:
PIN basso grado: affollamento delle cellule epiteliali secernenti con nuclei ampi, di dimensioni
variabili, contenuto cromatinico normale o lievemente aumentato e possiedono nucleoli piccoli.
Cellule dello strato basale conservate.
Non progredisce, non è da considerare una lesione precancerosa.
PIN alto grado: è caratterizzato da cellule con nuclei grandi e relativamente uniformi per
dimensione, con contenuto cromatinico aumentato, che può essere distribuito irregolarmente, e
nucleoli prominenti simile a quelli delle cellule neoplastiche. Lo strato delle cellule basali è
discontinuo. Pattern di crescita del PINH: piatta, cribriforme, micropapillare, a ciuffo.
Il PIN ad alto grado consiste in ampie ghiandole dilatate con protrusioni papillari, contrariamente al
k invasivo che è tipicamente caratterizzato da piccole ghiandole affollate con bordi luminali definiti.
Citologicamente i due processi possono essere identici.
Le ghiandole interessate da PIN sono circondate da uno strato di cellule basali e hanno membrana
basale intatta.
Sia il PIN ad alto grado che il k si sviluppano nella regione periferica e sono abbastanza rari
nelle altre zone. Una prostata neoplastica contiene frequentemente PIN ad alto grado. Esso si
reperta nelle vicinanze del K stesso, che talvolta origina dalle zone stesse in cui è presente PIN ad
alto grado. Le mutazioni molecolari del k invasivo sono le stesse che si ritrovano nel PIN. Tali dati
supportano che il PIN costituisca una lesione intermedia tra tessuto normale e quello neoplastico,
ancora discusso però.
Riassumendo, fattori che fanno pensare che il PIN ad alto grado sia precursore dell’adenocarcinoma
prostatico sono:
- l’incidenza e l’estensione del PIN e dell’adenok aumentano con l’età del pz
-
esiste un aumento di frequenza e di estensione del PIN quando associato con l’adenok
prostatico rispetto al PIN isolato
- sia il PIN che l’adenok sono multifocali e condividono la stessa localizzazione nelle zone
prostatiche
- il passaggio del PIN di alto grado all’adenok si può osservare con l’indagine morfologica.
Da studi immunoistochimici, morfometrici, molecolari e genetici:
- la proliferazione e la morte cellulare (apoptosi) sono maggiori nel PIN e nell’adenok rispetto
alla prostata normale
- il PIN e l’adenok sono fenotipicamente simili
- il PIN e l’adenok hanno in comune alcune alterazioni genetiche con inattivazione di geni
soppressori della neoplasia o sovra-espressione di oncogeni in regioni importanti per
l’iniziazione e la progressione della neoplasia prostatica
- la neo-vascolarizzazione è maggiore nella PIN e nell’adenok rispetto alla prostata normale.
Ciò che manca è la storia naturale del PIN ciò che si sa è che: 1) il PIN a basso grado non ha valore
predittivo negativo; 2) i portatori di PIN ad alto grado hanno un rischio alto di sviluppare una neo
prostatica, stessa predisposizione della familiarità, di conseguenza le biopsie reiterate sono utili
nella ricerca di un k che possa essere stato inizialmente misconosciuto, follow up a lungo termine.
Per questo studi a lungo termine mettono in evidenza che circa un terzo delle PIN progrediscono
verso un carcinoma nel giro di 10 anni. MA solo con un PIN NON si opera.
Quello che si fa nella pratica clinica è questo:
Se riscontro un PIN
ripeto la biopsia a 6 sett.
se riscontro adenocarcinoma nel materiale chirurgico
prostatectomia radicale
se negativa devo portare alla terza biopsia in 3 mesi
BIOPSIA DI SATURAZIONE
Visita ambulatoriale e PSA semestrale
La prima biopsia consiste in 10-12 prelievi, quando ripeto la biopsia dopo 6 settimane (se PIN o
ASAP o aumento del PSA) se faccio lo stesso numero di prelievi la probabilità di trovare il tumore
si abbassa e per questo motivo si aumenta il numero di prelievi ogni volta.
Da 10-12 a 16-18 a 24-36. si parla di biopsie di saturazione.
Nella valutazione istologica delle biopsie prostatiche, effettuate per sospetto clinico di
neoplasia, si possono incontrare problemi diagnostici:
- PIN ad alto grado
- ASAP (atipical small acinar proliferation). Alla biopsia proliferazione microacinare atipica
sospetta, ma non diagnostica per malignità. Ci sono piccoli focolai costituiti da piccoli acini,
cellule atipiche che proliferano ma non sono ne normali ne patologiche, ne PIN. Si tratta di
un dubbio diagnostico e non si sa come gestire, quindi si è deciso di gestirlo come il PIN.
- IPERPLASIA ADENOMATOSA ATIPICA (AAH) proliferazione circoscritta di piccoli
acini con scarso stroma interposto. Gli acini sono rivestiti da cellule secretorie che
morfologicamente sono simili a quelle dei dotti ed acini normali. I nucleoli delle cellule
dell’AAH però sono occasionalmente prominenti. Lo strato di cellule basali è discontinuo e
costituito da cellule singole e sparse lungo il contorno esterno degli acini. La DD si basa sul
fatto che nell’adenocarcinoma ben differenziato (Gleason grado 1) lo strato basale è assente,
i nuclei sono di dimensioni maggiori (rispetto all’AAH e all’IPB) e i nucleoli sono
prominenti, multipli e marginati in tutte le cellule.
La transizione ad adenocarcinoma non è mai stata dimostrata.
-
METAPLASIA l’epitelio prostatico può mostrare una varietà di lesioni metaplastiche e
proliferative che possono simulare l’adenocarcinoma: metaplasma squamosa
1.
Mataplasia uroteliale
2.
Metaplasma mucinosa
3.
Metaplasma nefrogenica
4.
Cellula neuroendocrine con granuli
eosinofili
Sintomatologia stenocardiaca, inizialmente interpretata dal pz come disturbi dispeptici.
Aggravamento della sintomatologia e ricovero ospedaliero (15 ore dopo l’esordio). Iniziata terapia
anticoagulante.
Il giorno successivo comparsa di macroematuria, verosimilmente di origine dalle basse vie.
Progressiva insufficienza renale (con creatininemia fino 3,1mg/dl).
Dopo 2 giorni, comparsa di BAV completo. Morte improvvisa da dissociazione elettromeccanica.
RISCONTRO AUTOPTICO
ESAME ESTERNO GENERALE E FENOMENI POST-MORTALI
Condizioni generali discrete. Macchie ipostatiche di II grado fino alla linea ascellare media.
Rigidità presente in parte risolta.
APPARATO TEGUMENTARIO
Modesti edemi declivi agli arti inferiori.
SISTEMA NERVOSO CENTRALE
Arteriosclerosi delle arterie del circolo di Willis
APPARATO CARDIOVASCOLARE
Cuore del peso di 560g con ipertrofia ventricolare sx e dx (marcata).
Coronarosclerosi diffusa con trombosi occlusiva della coronaria dx a 3 cm dall’imbocco.
Infarto recente della parete posteriore del ventricolo sx (terzo medio superiore) e del terzo inferiore
del margine acuto.
Grave e diffusa arteriosclerosi complicata dell’aorta, dei vasi epiaortici e delle arterie iliache e
renali.
Esame istologico: necrosi miocardica coagulativa con spiccata infiltrazione infiammatoria di
PMN.
CUORE DI 560 gr: Ipertrofia ventricolare sinistra,(probabilmente da ipertensione arteriosa di
lunga data e spesso presente in pazienti diabetici); Ipertrofia ventricolare destra marcata
(probabilmente da fibrotorace bilaterale ed enfisema (cuore polmonare) con aumento delle
resistenze a livello polmonare e conseguente ispessimento delle pareti ventricolari di destra.
Altre cause di ipertrofia ventricolare destra:
- Malattie parenchimali polmonari: pneumopatie croniche ostruttive (BPCO), pneumoconiosi,
fibrosi cistica, bronchiettasie
- Malattie dei vasi polmonari: microembolia polmonare ricorrente, ipertensione polmonare
primitiva, arteriti polmonari (granulomatosi di Wegener), sclerosi vascolare da farmaci, tossine)
Infarto recente della parete posteriore del ventricolo sinistro (terzo medio e superiore) (perché
l’irrorazione di questa area è di competenza della coronaria di destra).
Istologico: necrosi coagulativa con infiltrato di PMN: compatibile con un quadro di infarto insorto
più di 60 ore prima (15+48)
Grave e diffusa aterosclerosi: da ipertensione e diabete che è un fattore “peggiorativo”. Inoltre il
DM2 che causa neuropatia periferica, può dare un IMA paucisintomatico.
Aterosclerosi complicata per migrazione e proliferazione delle cellule muscolari lisce con accumulo
di matrice extracellulare; adesione piastrinica con formazione di microtrombi (che possono
embolizzare); vascolarizzazione della placca attraverso neoformazione vascolare in connessione
con i vasa vasorum dell’arteria che può complicarsi con emorragie intraplacca; accumulo di calcio.
1- Valutare la localizzazione della trombosi coronaria e rapportarla ai danni anatomici e
funzionali.
L’arteria coronaria sx si divide in ramo discendente anteriore e ramo circonflesso.
Sedi più frequenti con distribuzione regionale degli effetti:
-Arteria coronaria sx – Ramo discendente anteriore: -2/3 anteriore del setto interventricolare,
parete anteriore del ventricolo sx, apice del cuore.
-Arteria coronaria dx: parete posteriore del ventricolo sx, 1/3 posteriore del setto interventricolare.
-Arteria coronaria sx – Ramo circonflesso: parete laterale del ventricolo sx.
I trombi arteriosi e cardiaci solitamente iniziano in un sito di lesione endoteliale (es. placca
aterosclerotica la più frequente, ma anche vasculite o trauma..) o di turbolenza (biforcazione dei
vasi); tendono ad accrescersi in direzione retrograda e sono di solito occlusivi.
I trombi sono saldamente aderenti alla parete arteriosa lesa, sono grigio biancastri e friabili,
composti da una rete aggrovigliata di piastrine, fibrina, eritrociti, leucociti degenerati.
Recent thrombosis of the right coronary artery
causing complete occlusion of the vessel. M/40. Occlusion of
this artery causes a posterior myocardial infarction. The
coronary artery shows severe atherosclerosis.
TROMBOSI OCCLUSIVA DELLA CORONARIA DX Si verifica nel 30-40% dei casi di infarto
miocardio.
In considerazione dell’irrorazione a carico della coronaria di destra, in un cuore con dominanza
della circolazione di destra:
1. parete inferiore/posteriore del ventricolo sinistro
2. parete posteriore del setto interventricolare
3. parete libera inferiore/posteriore del ventricolo destro
possiamo pensare che la TROMBOSI OCCLUSIVA DELLA CORONARIA DX A 3 CM
ALL’IMBOCCO (nel tratto prossimale della coronaria, dà effetti occlusivi gravi) possa causare:
1) Infarto della parete inferiore/posteriore del ventricolo sinistro  nei casi di dominanza
coronarica destra, il ramo posteriore destro è voluminoso, mentre quello circonflesso è
sottile. La parete posteriore del ventricolo sinistro, in questo caso, è irrorata in larga
misura(terzo medio e superiore) dalla coronaria di destra.
2) Associato ad infarto del terzo inferiore del margine acuto  dalla coronaria di destra origina
l’arteria del margine destro, che provvede all’irrorazione di questa area.
Una occlusione a 3 cm dall’imbocco comporta quindi una mancata per fusione di entrambi
i distretti, con conseguente infarto.
Posterior myocardial infarction. Slices of the
ventricles from just distal to the mitral valve from the heart of the
patient in Figure 1.27. The pale area of myocardial infarction can
be seen involving the inferior (posterior) portion of the left
ventricle. The muscle is necrotic, as can be seen from its
appearance. The adjacent portion of the interventricular septum
has also been involved in the infarction.
2- L’infarto del ventricolo dx è raro. Identificare i motivi della sua presenza in questo caso.
L’INFARTO DEL VENTRICOLO DESTRO E’ RARO, ma spesso accompagna un infarto
dell’adiacente parete posteriore del ventricolo sx e del setto interventricolare. L’infarto ventricolare
dx può causare un serio deficit funzionale indipendentemente dal tipo di infarto: in questo caso ci
sono almeno due possibili fattori che possono averlo determinato:
la marcata ipertrofia ventricolare destra  normalmente le pareti del ventricolo destro sono
sottili (circa 1/6 di quelle del ventricolo sinistro) ed un infarto a questo livello è improbabile
perché, anche in caso di occlusione della coronaria, il ventricolo trae ossigeno nutrimento
dal lume per diffusione diretta. In caso di aumento del volume delle sue pareti, però, questo
non è più sufficiente e quindi il ventricolo va incontro ad infarto.
Come complicanza dell’infarto ventricolare sinistro  l’infarto isolato del ventricolo destro
è raro, ma può associarsi a danno ischemico del ventricolo sinistro e del setto. In questo
caso un danno ischemico del ventricolo destro causa un grave deficit funzionale.
3. Chiarire le modificazioni morfologiche dell’infarto in rapporto al tempo intercorso fra
inizio dell’ischemia e il decesso.
Dal punto di vista morfologico, riconosciamo 3 fasi successive:
-necrosi ischemica
-infiammatoria
-riparazione cicatriziale
Nella maggior parte dei casi l’infarto del miocardio è di tipo anemico per cui il tessuto appare
pallido.
0 - 8 ore:
da 0 a 2 ore le sole alterazioni visibili sono solo ultrastrutturali (generalmente non si fa un’indagine
del genere, a meno che non sia possibile l’immediato prelievo del cuore). La microscopio
elettronica mostra rigonfiamento idropico del sarcoplasma, scomparsa dei granuli di glicogeno, la
trasformazione vacuolare del reticolo endoplasmatico, il rigonfiamento dei mitocondri e
l’equivalente strutturale del danno irreversibile cioè la rottura del sarcolemma.
MACRO: aspetto normale; Le tecniche istochimiche mostrano la presenza enzimi respiratori
(deidrogenasi succinica o succinato deidrogenasi). Questi scompaiono nella zona infartuata (che
non si colora), mentre sono ancora presenti nel miocardio limitrofo. Fette di miocardio vengono
messe ad incubare nella soluzione di un sale tetrazolico, che in pochi min si riduce in un composto
colorato nelle aree di tessuto che hanno l’enzima. Si può ricercare anche fosfatasi alcalina e
citocromo-ossidasi.
MICRO: no alterazioni.
8 - 24 ore: alterazioni minime.
Tra le 6 e le 12 ore:
macro: nessuna alterazione/pallore
micro: compare il primo segno, ma indiretto. Alla periferia della zona infartuata compaiono fibre
miocardiche assottigliate che presentano un’ondulazione parallela (waving o streaming). È dovuto
all’assenza di contrazione dell’area infartuata, per cui le fibre poste sull’interfaccia con il tessuto
irrorato e contrattile vengono stirate anelasticamente.
MACRO: congestione e pallore dell’area infartuata.
MICRO: lieve separazione delle fibre; lieve aumento di numero dei leucociti tra le fibre; lievi
alterazioni citoplasmatiche (bande di contrazione); necrosi coagulativa.
24 ore - 3 gg: alterazioni definite nel muscolo.
24 -48 ore:
macro: focolaio infartuale, giallastro e soffice.
micro: necrosi coagulativa con nucleo a disposizione marginale della cromatina, si decolora e va in
picnosi. Il sarcoplasma va incontro a progressiva perdita della striatura trasversale e diventa
disomogeneo. Miocellule iperesinofile. Alla periferia abbiamo infiltrazione di neutrofili e compare
la cardiomiocitolisi colliquativa.si caratterizza per notevole rigonfiamento idropico della cellula,
che sospinge alla periferia le miofibrille e isola il nucleo al centro di un alone otticamente vuoto.
2-3 gg:
macro: la zona centrale è gialla, i bordi sono iperemici. Abbiamo infatti demarcazione periferica del
focolaio infartuale. I margini dell’infarto sono dentellati (per l’intersecazione dei campi di
distribuzione dei rami coronarici) e evidenziati da un alone rosso (per iperemia combinata con
piccole aree emorragiche). Il miocardio necrotico acquista un colore grigio-giallastro omogeneo,
opaco e asciutto, di consistenza aumentata.
Micro: nella zona centrale abbiamo necrosi coagulativa e neutrofili. Ai bordi neutrofili, macrofagi
(che rimuovono i miociti morti) e fibroblasti. Il viraggio di colore è dovuto al completarsi della
necrosi coagulativa: le mio cellule hanno perso il nucleo e la striatura trasversale e appaiono come
passerelle ialine. Ai bordi della lesione si trovano granulociti neutrofili.
Di solito si apprezza un sottile strato di muscolo sano sotto l’endocardio (perché il miocardio subendocardico trae nutrimento dal lume per diffusione diretta di O2 e altre sostanze).
3 - 10 gg: inizio della guarigione (organizzazione).
3-4 gg:
macro: l’infarto assume un colorito giallastro.
micro: massiva infiltrazione di neutrofili, che colliquano il tessuto necrotico con i loro enzimi
proteolitici. Compaiono i primi mononucleati (linfociti e macrofagi).
7-10 gg:
si completa la colliquazione del tessuto necrotico.
Macro: il brodo rosso dell’infarto appare doppiato verso l’interno della lesione da un orletto
giallastro, dovuto alla presenza di granulociti. La consistenza del focolaio infartuale si riduce fino al
rammollimento (miomalacia). Al taglio, l’infarto appare come un’area demarcata , depressa.
Micro: i neutrofili vengono progressivamente rimpiazzati dai macrofagi, che asportano il materiale
necrotico e, intorno al 10 gg, si ha penetrazione della lesione, a partire dai margini, ad opera del
tessuto di granulazione (macrofagi e gemmazione di capillari sanguigni neo-formati). Il materiale
necrotico viene riassorbito dai macrofagi e viene sostituito da connettivo giovane, ricco di
fibroblasti.
10 gg e seguenti: guarigione avanzata e cicatrizzazione
10-14 gg:
macro: la zona centrale è giallo-brunastra e depressa; i bordi sono grigio-rossastri.
Micro: tessuto di granulazione, deposizione di collagene.
Dalla terza settimana:
macro: il terreno necrotico è sostituito completamente da tessuto roseo e ancora cedevole che si
arricchisce di fibre collagene, finché, dalle 6 settimane in poi, si trasforma in tessuto connettivo
fibroso denso, grigio-biancastro, compatto, che tende a retrarsi, riducendo le dimensioni della
perdita di sostanza di miocardio. Nei casi più favorevoli si forma un callo sclerotico che connette i
monconi della muscolatura distrutta come un giunto tendineo, il quale determina condizioni
funzionali compatibili con una buona tensione e con lo sviluppo di un’ipertrofia compensatoria.
Dal 3 mese la cicatrice risulta stabilizzata e non consente + alcuna datazione istologica.
4. Collegare la cronologia dell’infarto con possibili complicazioni
MINUTI, ORE
- DISFUNZIONE CONTRATTILE: le anomalie funzionali del ventricolo sinistro indotte dall’infarto
sono in rapporto con le dimensioni dell’area lesa. Nella maggior parte dei casi, si verifica un certo
grado di insufficienza ventricolare sinistra con ipotensione, congestione polmonare e trasudazione
nel tessuto interstiziale polmonare, che può portare ad edema polmonare con deficit respiratorio (in
questo caso è spesso fatale). Una grave “insufficienza di pompa” (shock cardiogeno), si verifica nel
10-15% dei pz ed, in genere, è dovuta a un infarto esteso, che coinvolge spesso più del 40% del
ventricolo sinistro. La mortalità per shock cardiogeno è del 70% circa, pari ai due terzi dei decessi
ospedalieri.
- ARITMIE: in molti pz compaiono disturbi della conduzione o della eccitabilità cardiaca, che, senza
dubbio, sono responsabili delle morti improvvise. Si manifestano come arresto cardiaco, bradicardia
sinusale, tachicardia sinusale, contrazioni ventricolari premature o tachicardia ventricolare,
fibrillazione ventricolare o asistolia. La fibrillazione ventricolare determina arresto cardiaco; si
verifica soprattutto all’inizio dell’infarto e nei primi giorni, per alterato stato di irritabilità
miocardia. Il blocco della conduzione dell’impulso nel fascio di His e/o nelle sue branche di solito
causa il rallentamento del ritmo ventricolare o sbilancia la contrazione ventricolare e porta a uno
scompenso cardiaco acuto (spesso fatale). L’arresto della conduzione a livello ventricolare possono
essere permanenti (se il tex di conduzione è compreso nell’area d’infarto) o transitorie (se è stato
interessato dal solo edema perifocale).
- COMPLICANZE TROMBOTICHE (nelle prime ore fino alla quarta settimana): la combinazione
di anomalie della contrattilità (che causano stasi) e di danno endocardico (che espone una superficie
trombogenica) può determinare una trombosi murale (parietale). In caso di disturbi del ritmo atriale,
si possono formare trombi nelle orecchiette e trombosi atriale. I trombi nel ventricolo sx possono
determinare embolie sistemiche (encefalo, intestino, rene, arti inferiori, milza).Ci può essere anche
trombosi delle vene degli arti inferiori, dovuta fondamentalmente alla stasi venosa. Questa trombosi
può dare embolia polmonare (spesso fatale) che può essere determinata raramente anche da infarto
dx .
La trombosi può complicare anche un aneurisma ventricolare (assume l’aspetto di un menisco
stratificato).
DOPO 3-7 GIORNI
-ROTTURA DEL CUORE: si verifica in genere o nei primi 3 gg, quando inizia la miocitolisi e la
colliquazione della necrosi, o all’inizio della 2 settimana, quando il tessuto muscolare è stato
sostituito da connettivo giovane e cedevole. È facilitata da un infarto interessante la parete a tutto
spessore (infarto transmurale) e dalla diminuita consistenza del muscolo necrotico (miomalacia
cordis) per infiltrazione di PMN.
Comprende:
Rottura della parete libera del ventricolo (generalmente sx): è la più frequente, con emopericardio e
tamponamento cardiaco (200 cc). Si ha ostacolo alla contrazione e al ritorno venoso; morte nel giro
di minuti. A volte però la presenza di aderenze pericardiche può bloccare la rottura, che può esitare
in uno pseudo-aneurisma o falso aneurisma (è una rottura tamponata che esita in un ematoma
saccato, in comunicazione con la cavità ventricolare). La parete è costituita da epicardio e
pericardio parietale. Possono trombizzare, ma quasi tutti si rompono.
Rottura del setto interventricolare (più rara): porta alla creazione di uno shunt sinistro-destro.
Rapida insufficienza ventricolare combinata; morte nel giro di ore o pochi giorni.
Rottura del muscolo papillare (la meno comune) che ha come conseguenza insufficienza mitralica
acuta, importante sovraccarico della pompa cardiaca, scompenso acuto e edema polmonare. Morte
nel giro di minuti o di ore.
-PERICARDITE ACUTA: può complicare un infarto trans murale nei primi 4 gg. È una pericardite
fibrinosa o fibro-emorragica limitata all’epicardio che riveste l’area infartuata. Generalmente
l’infiammazione si risolve con la cicatrizzazione dell’infarto.
La pericardite rappresenta l’epifenomeno, in sede epicardica, dell’infiammazione evocata dal
sottostante infarto transmurale.
-ESTENSIONE DELL’INFARTO: ulteriori aree necrotiche possono svilupparsi alla periferia di un
infarto preesistente.
-ESPANSIONE DELL’INFARTO: dovuta all’indebolimento del muscolo necrotico che può andare
incontro a stiramento, assottigliamento e dilatazione nella regione infartuata.
-INFARTO DEL VENTRICOLO DESTRO: l’infarto isolato del ventricolo destro è raro, ma può
associarsi a danno ischemico della parete posteriore del ventricolo sinistro e del setto
interventricolare. Può causare un serio deficit funzionale.
DOPO SETTIMANE
-SCOMPENSO CARDIACO CRONICO: può comparire a cicatrizzazione già iniziata, quando
l’estensione dell’infarto è tale da comportare particolari difficoltà nell’azione di pompa.
-PERICARDITE DI DRESSLER: è legata probabilmente a una patogenesi immunitaria scatenata
dallo smascheramento di antigeni in corso di infarto. Si sviluppa dopo un periodo di latenza di 10
gg.
MESI
-ANEURISMA VENTRICOLARE: è un aneurisma vero, delimitato da miocardio cicatrizzato. Spesso
associato ad un infarto esteso trasmurale antero-settale, è dovuto alla distensione graduale e
assottigliamento della cicatrice fibrosa, sede di movimento paradosso durante la sistole.
Complicazioni dell’aneurisma ventricolare possono essere trombi murali, aritmie e insufficienza
cardiaca, mentre la rottura della parete fibrosa è rara, ma se avviene dà tamponamento cardiaco e
morte improvvisa.
Mentre l’aneurisma è una dilatazione del solo segmento di parete infartuato, nel
RIMODELLAMENTO SFERICO è tutto il ventricolo sx a dilatarsi. Se l’area non contrattile non
supera il 20-40% del ventricolo sx, si instaura un’ipertrofia compensatoria efficace che riesce a
mantenere inalterata la gittata sistolica. In caso contrario, l’aumento dello stress di parete dovuto
alla dilatazione del ventricolo sx innesca un circolo vizioso che porta a progressiva dilatazione del
ventricolo sx, fino ad un quadro di cardiomiopatia dilatativa secondaria post-infartuale.
5- Valutare il possibile influsso della terapia sull’evoluzione del quadro morfologico (e sulle
possibili complicazioni)
5. Ripristinare più rapidamente possibile la perfusione del tessuto coronarico consente di limitare il
danno miocardio ischemico prodotto dall’infarto, migliorare la funzione ventricolare ed abbassare la
mortalità. Le tecniche utilizzate al fine di ristabilire il flusso coronarico (riperfusione) sono la
trombolisi, la PTCA, e il bypass aorto coronario. Oltre alla riperfusione terapeutica, occorre tenere
conto della riperfusione spontanea, per fenomeni di vasodilatazione e trombolisi, che può rendere
intermittente (stuttering) il danno ischemico. Si parla di riperfusione precoce quando questa
manovra è eseguita a meno di 6 ore dall’esordio della sintomatologia clinica. Lo scopo della
riperfusione precoce è quello di arrestare il fronte d’onda della necrosi prima che abbia interessato
l’intero spessore della parete. Il salvataggio di anche solo una porzione limitata del miocardio
migliora comunque la prognosi a distanza, riducendo le probabilità di evoluzione dell’area
infartuata verso la cicatrice (con il rischio di aneurisma post-infartuale) o verso il rimodellamento
sferico del ventricolo.
La riperfusione, però, può indurre alcuni stati patologici tra i quali:
- aritmie (tachiaritmie da riperfusione),
- emorragia miocardia (trasformazione dell’infarto da ischemico ad emorragico, quando la
riperfusione avviene quando si sono già instaurate lesioni ischemiche del microcircolo,
evenienza più comune con la riperfusione mediante trombolisi),
- necrosi a bande di contrazione delle miocellule (le fibre muscolari appaiono chiare, con
bande intensamente eosinofile che attraversano trasversalmente l’intero spessore cellulare.
Tale alterazione viene attribuita alla morte della fibra muscolare in stato di ipercontrazione,
con addensamento delle zone I, quando il ripristino della circolazione e, quindi, dell’apporto
di ossigeno al miocardio ischemico, può provocare la formazione di radicali liberi in grado
di causare la morte di miocellule lese in modo ancora reversibile -danno letale da
riperfusione-),
- danno vascolare da riperfusione (quando la lesione del microcircolo ne ha condizionato
l’occlusione, con aree di mancata riperfusione -no reflow-). Il danno microvascolare indotto
dalla riperfusione non è responsabile solo dello stravaso ematico, ma anche di un
rigonfiamento dei capillari, che ostacola così la riperfusione del miocardio criticamente
danneggiato.
- prolungata disfunzione ischemica (non consente l’immediata ripresa funzionale del
miocardio riperfuso: per un certo intervallo di tempo, che può durare giorni, le miocellule
rimangono stordite -stordimento miocardio, stunned myocardium- ovvero mostrano
anormalità metaboliche e contrattili tali da richiedere talvolta l’impiego di mezzi di
assistenza meccanica temporanea al circolo),
- accelera i processi di cicatrizzazione dell’infarto modificandone i criteri di datazione (vedi
tabella).
Intervallo dall’occlusione Quadro macroscopico
coronarica
12 ore
Marezzatura emorragica
24-48 ore
3-5 gg
6-10 gg
10-14 gg
2-8 sett
Quadro microscopico
Necrosi
a
bande
di
contrazione
Aspetto francamente emorragico Miocellule ipereosonofile,
necrosi
a
bande
di
contrazione, infiltrazione di
neutrofili, emorragia
Aspetto francamente emorragico Macrofagi e fibroblasti (++
+), iniziale deposizione di
collagene
Area rosso-bruna, depressa, con Cicatrizzazione
precoce,
variegatura biancastra
macrofagi e collagene (+++)
Area grigio-biancastra, con Cicatrizzazione
precoce:
variegatura bruna
collagene (+++)
Cicatrice commista a miocardio Collagene
commisto
a
residuo
miocellule residue
(anche se una riperfusione condotta ad oltre 6 ore dall’esordio non ha alcuna possibilità di arrestare
il fronte d’onda della necrosi, ha alcuni effetti favorevoli:
- aumenta la stabilità elettrica del miocardio
- riduce l’area del miocardio ibernato
- riduce il rischio di rimodellamento sferico post infartuale, facilitando la cicatrizzazione e
favorendo l’ipertrofia compensatoria del miocardio adiacente all’infarto)
Nonostante il completo ristabilimento del flusso, il miocardio ischemico può andare incontro ad
importanti modificazioni funzionali: per giorni possono persistere alterazioni biochimiche e
funzionali dei miociti salvati dalla riperfusione (disfunzione ventricolare prolungata post-ischemica
o miocardio stordito). Lo stordimento può comportare uno stato di scompenso cardiaco reversibile,
superabile mediante la temporanea assistenza cardiologica.
Terapia medica nell’IMA:
• Beta bloccanti : riducono dolore, stress parietale, frequenza e contrattilità cardiaca,
riducono il consumo di O2, l’estensione dell’area necrotica e le recidive (riduzione della
mortalità del 13% in acuto e del 23% in cronico).
• ACE inibitori : diminuiscono la disfunzione ed il rimodellamento ventricolare (compenso
in acuto che può preludere allo scompenso) e il rischio di insufficienza cardiaca congestizia
• Nitrati: sono vasodilatatori e diminuiscono il pre e il post carico del ventricolo sinistro con
riduzione dell’estensione della necrosi e del rimodellamento cardiaco.
• Ossigeno terapia: può diminuire l’estensione dell’infarto.
EVOLUZIONE DEL QUADRO MORFOLOGICO: infarto tipicamente pallido diventa emorragico
 alcuni vasi colpiti dall’ischemia vanno incontro ad alterazioni della parete con conseguente
stravaso emorragico dopo il ripristino del flusso.
COMPLICANZE: I fenomeni emorragici rappresentano la complicanza più frequente e
potenzialmente più grave. L’ictus emorragico rappresenta la complicanza più grave e i verifica nello
0.5-0.9% dei casi trattati con trombolisi farmacologia, soprattutto in pazienti di età superiore
a 70 anni.
APPARATO RESPIRATORIO
Fibrotorace bilaterale
Enfisema più accentuato ai lobi superiori
Grave edema
Esame istologico: enfisema centro lobulare e bronchite cronica
Centrilobular destructive emphysema - mild
emphysema. M/70. The respiratory bronchioles and some of
the alveolar ducts in the middle of the pulmonary lobules are
destroyed. This results in holes being formed - emphysematous
spaces. These areas are black because of the accumulation of
carbon pigment in the peribronchial lymphatics.
Chronic bronchitis. M/69. This man had suffered
from chronic obstructive airways disease for many years. Death
was due to plugging of his respiratory passages by thick,
tenacious mucus, shown filling the left main bronchus. The lung
itself showed minimal emphysema.
1-Chiarire eventuali rapporti fra bronchite cronica, tipo di enfisema e danno polmonare e
cardiaco
Rapporto bronchite cronica-enfisema centrolobulare Le malattie ostruttive croniche delle vie
aeree (bronchite cronica, enfisema polm, bronchiolite, bonchiectasie e asma bronchiale)sono
accomunate da un’ostruzione cronica o ricorrente delle basse vie aeree. Si tende comunque a
considerare la bronchite e l’enfisema come un unico complesso sindromico (progressiva ostruzione
delle basse vie aeree) definito BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva). La bronchite cronica
interessa i bronchi di grandi e medie dimensioni, l’enfisema gli alveoli ma gli aspetti patogenetici
sono largamente interconnessi tanto che l’evoluzione naturale della bronchite cronica è
rappresentata dall’enfisema polmonare centroacinare. Questa evoluzione enfisematosa è dovuta
all’eziologia comune (fumo che è uno stimolo pro infiammatorio) e al fatto che le esacerbazioni
infettive determinano comunque distruzione tessutale. Infatti, bronchiti ricorrenti, irritazioni e tosse
croniche (con alta pressione centro lobulare) determinano danno strutturale ai bronchioli e agli
alveoli circostanti di tipo enfisematoso.
Rapporto con il danno cadiaco
Cuore polmonare si ha quando vi è dilatazione o ipertrofia del ventricolo dx provocato da
un’alterazione della struttura o della funzione dei polmoni che determina ipertensione polmonare
(Pmedia>20mmHg e Psist>30). Si parla di cuore polmonare cronico se l’ipertensione polmonare è
stabile, almeno sotto sforzo, mentre il cuore polmonare acuto quando l’aumento di pressione è
repentino e transitorio (embolia massiva). Non vengono considerate cuore polmonare le dilatazioni
o ipertrofie del ventricolo dx che dipendono da altre cause come scompenso sx, stenosi mitralica,
cardiopatie congenite.
-ci può essere IPNT polmonare senza cuore polmonare ma non il contrario
-cuore polmonare non è sinonimo di scompenso dx: si arriva allo scompenso quando il sovraccarico
di pressione supera i meccanismi di compenso del ventricolo dx. Inoltre lo scompenso dx può
comunqe essere generato da cause diverse (cardiopatia ischemica, valvulopatie, vizi congeniti,
scompenso sx…).
Cause:
Alterazioni anatomiche del letto vascolare
Il letto vascolare polmonare presenta un’ampia riserva, nel senso che in condizioni normali
non tutti i vasi sono aperti, ma rimangono chiusi in modo tale da poter essere “reclutati” in
caso di bisogno (come sforzo) in modo da impedire l’aumento delle resistenze quando
aumenta il flusso. Occorre la distruzione di almeno 2/3 del letto vascolare perché si
manifesti una rilevante IPNT polmonare.
-IPNT polmonare primitiva, idiopatica
-embolie polmonari ricorrenti (generalmente occulte)
-distruzione vasale per: fibrosi interstiziali, granulomatosi aspecifiche, pneumoconiosi,
carcinoma infiltrante.
Vasocostrizione polmonare
Lo stimolo più importante è l’ipossia, determinata da:
-ipoventilazione alveolare generalizzata che si verifica in: deficit neurologico, muscolare,
alterazioni della cassa toracica, ostruzione delle vie aeree superiori, obesità grave.
In questo caso abbiamo anche ipercapnia (che può determinare disturbi neurologici fino al
coma) e acidosi respiratoria (che a sua volta peggiora la vasocostrizione).
L’ipossia stimola la produzione di EPO renale e determina policitemia, che contribuisce
all’IPNT polmonare.
-alterazione del rapporto V/Q: BPCO, fibrosi cistica.
La BPCO è la causa + frequente di cuore polmonare. Determina IPNT polmonare attraverso tutti
i meccanismi sopracitati: riduzione anatomica del letto vascolare, vasocostrizione polmonare (da
ipossia e acidosi) e aumento della viscosità ematica (da policitemia).
Morfologia: tutte le arterie polmonari sono colpite, soprattutto le arteriole. Il Grading microscopico
(effettuato tramite biopsie polmonari) corrisponde allo stadio della malattia:
I grado: ipertrofia muscolare
II grado: proliferazione cell endoteliali
III grado: fibrosi intimale laminare concentrica
IV grado: vasculite necrotizzante
V grado: lesioni plessiformi
VI grado: dilatazioni microaneurismatiche e lesioni angiomatoidi
È possibile che il pz abbia sviluppato un cuore polmonare a causa della patologia primitiva
bronchitica cronica, poi evolutasi in enfisema polmonare. L’ipnt del piccolo circolo ha
determinato ipertrofia ventricolare dx prima e successivamente insufficienza: sono infatti
presenti segni di scompenso dx come edemi declivi e epatomegalia con stasi cronica.
L’ipertrofia ventricolare sx potrebbe essere stata determinata da IPNT sistemica, in parte
potrebbe essere compensatoria da danno ischemico cronico.
2. Metodiche diagnostiche nella bronchite cronica
Clinica: pz che presenta tosse produttiva persistente per almeno 3 mesi per almeno 2 anni
consecutivi, in assenza di qualsiasi altra causa identificabile.
Autoptica: In sede autoptica, la gravità della malattia può essere misurata con l’indice di Reid che è
il rapporto tra lo spessore dello strato ghiandolare cioè della sotto-mucosa contenente le ghiandole e
lo spessore della parete tra l’epitelio e la cartilagine. Un rapporto > 0,5 è patologico (normale fino a
0,4). Da notare che in stadio avanzato la parete si può assottigliare con atrofia di tutte le strutture.
Spirometria: sindrome ostruttiva, aumento del VR, CPT; VR/CPT; riduzione VEMS, VEMS/CV,
CV normale o ridotta.
Rx torace: accentuazione della componente bronco vascolare, ispessimento pareti bronchiali,
opacità peri-bronchiali e bronchiali (da tappi di muco).
Esame dell’espettorato: prevalentemente microbiologico nelle riacutizzazioni. Utile anche nella
valutazione di trasformazione neoplastica.
APPARATO DIGERENTE
Esofago, stomaco, intestino tenue: nulla di patologico da segnalare.
Colon: malattia diverticolare del sigma.
FEGATO E VIE BILIARI
Fegato del peso di 1900 gr da stasi cronica.
Colecisti: nulla di patologico da segnalare.
Vie biliari pervie.
Macroscopica
Il fegato si presenta ingrossato e di color porpora con margini arrotondati. La nodularità è poco rappresentata,
ma in caso di iperplasia ondulare rigenerativa o di cirrosi cardiaca si possono apprezzare dei noduli. La superficie
di sezione mostra vene epatiche prominenti che possono essere ispessite. Si osserva un aspetto a "noce moscata
a causa della presenza contemporanea di aree centrali emorragiche dei lobuli e di aree portali e peri-portali
normali di colore giallo. Il colore giallo più intenso rispetto al colorito normale dell’area portale può essere
dovuto ad un incremento dell’adipe negli spazi portali.
Microscopica
II quadro istologico del fegato in genere è in rapporto con la severità clinica o biochimica dell'insufficienza
cardiaca e con il peso e le dimensioni delle camere cardiache.
Fin dall'inizio dell'insufficienza cardiaca congestizia le vene epatiche terminali si ingorgano e si dilatano. Anche i
sinusoidi in adiacenza delle vene epatiche terminali si dilatano e si riempiono di eritrociti per una distanza
variabile verso le aree portali. Si osserva anche compressione ed una variabile atrofia delle cellule epatiche ed un
incremento apparente della quantità di lipofuscina nel loro citoplasma.
L'insufficienza cardiaca moderatamente severa può causare necrosi delle cellule epatiche appartenenti alla
zona 3. L'infiltrato cellulare è minimo. In caso di ipotensione severa acuta e di shock si può determinare necrosi
della zona media. Gli epatociti necrotici sono spesso avvolti da un pigmento di color marrone probabilmente da
mettere in rapporto con la degradazione della bilirubina.
La necrosi delle cellule epatiche si sposta dalla zona 3 fino alle aree portali man mano che evolve la malattia
cardiaca. Nella forma più severa di congestione epatica secondaria all' insufficienza cardiaca rimane integra
solo una piccola area di epatociti di aspetto normale nello spazio peri-portale.
La rete di reticoline si condensa e può collassare introno alla vena epatica terminale in seguito alla perdita delle
cellule epatiche. Si può osservare la formazione di ponti che si estendono ed uniscono le vene epatiche terminali
adiacenti; in ultimo le aree portali non interessate vengono circondate da anelli di tessuto fibroso con formazione
di lobuli invertiti. E’ raro il riscontro di cirrosi cardiaca. Se presente, essa si associa a fibrosi dell'intima e a
trombosi delle vene epatiche di piccola e media grandezza.
L'ischemia che ne consegue è responsabile della necrosi epatocellulare. la stasi aumenta l'attivazione
fibroblastica e la deposizione di collageno.
Prevalenza
E’ frequente il coinvolgimento del fegato nell'insufficienza cardiaca severa. Con la riduzione dell’incidenza delle
valvulopatie reumatiche le malattie delle arterie coronariche e la cardiomiopatia congestizia diventano sempre di
più la causa principale della congestione epatica.
La prevalenza totale della congestione epatica in corso di insufficienza cardiaca congestizia dipende dalla
selezione dei pazienti e dai criteri usali per definire il coinvolgimento del fegato (clinici, biochimici od istologici).
Fra i pazienti con un indice cardiaco superiore a 2l/min/m2 solo il 20-30% di essi presenta un aumento minore
degli enzimi epatici. Al contrario, fino ali 80% dei pazienti con un indice cardiaco inferiore a 1.5 l/min/m2
presenta alcune anomalie biochimiche maggiori.
PANCREAS
Nulla di patologico da segnalare.
PERITONEO E RETROPERITONEO
Modesto versamento trasudatizio.
MILZA ED ORGANI EMOPOIETICI
Milza da stasi cronica.(relativamente piccola a differenza dell'ipertensione portale)
APPARATO NEFROURINARIO
Reni del peso di 140 g, senza evidenti alterazioni macroscopiche.
Vescica contenente coaguli ematici. Trasformazione a colonne della parete. Presenza di numerosi
piccoli diverticoli.
Esame istologico: lesioni diffuse con danno glomerulare ialino-ischemico, tubulare atrofico e
arteriosclerotico grave. Glomerulo-sclerosi nodulare diabetica.
APPARATO GENITALE
Iperplasia della prostata.
Vescica a colonne con piccoli diverticoli: questo quadro è conseguenza di un’ostruzione a livello
uretrale-del collo vescicale. Nel nostro caso il pz aveva un’iperplasia prostatica di vecchia data che
può giustificare il quadro. Altre cause di ostruzione uretrale che possono portare alla comparsa di
vescica a colonne sono:
- restringimento o stenosi congenita dell’uretra,
- stenosi infiammatoria dell’uretra,
- fibrosi infiammatoria e contrazione della vescica conseguenti a vari tipi di cistite,
- tumori della vescica in localizzazioni strategiche,
- invasioni secondarie del collo vescicale da neoformazioni che originano da strutture perivescicali,
- ostruzioni meccaniche da corpi estranei-calcoli,
- lesioni dell’innervazione vescicale che determinano una vescica neurologica.
Nelle prime fasi si verifica solo un ispessimento della parete vescicale (da verosimile ipertrofia del
muscolo liscio). Con la progressiva ipertrofia del rivestimento muscolare i singoli fasci muscolari
aumentano notevolmente di volume e producono trabecolazione della parete vescicale; nel tempo si
possono formare cripte che possono diventare veri e propri diverticoli acquisiti (falsi diverticoli).
È l’aumento della pressione endo-vescicale che causa l’estroflessione della parete vescicale e la
formazione di diverticoli. Questi sono frequentemente multipli e hanno uno stretto colletto posto in
mezzo a fasci muscolari ipertrofici intrecciati. Il diverticolo normalmente consiste in una tasca di
forma rotondeggiante o ovoidale, simile ad una sacca, la cui grandezza varia da meno di 1 cm a 510 cm di diametro. La maggior parte dei diverticoli è piccola e asintomatica, ma essi possono essere
clinicamente significativi, poiché costituiscono siti di stasi urinaria e predispongono all’infezione e
alla formazione di calcoli vescicali. Possono predisporre al reflusso vescico-ureterale come risultato
di una lesione dell’uretere e raramente possono essere sede di insorgenza di carcinomi.
(richiami di anatomia: la mucosa della vescica è ricoperta di epitelio transizionale che presenta un
sottile strato di tessuto connettivo elastico noto come lamina propria. Il muscolo detrusore vescicale
è composto da fibre muscolari lisce senza distinzione di strati. Fa eccezione il trigono, un’area
triangolare che giace tra gli osti uretrali e l’apertura del collo vescicale. In questa area la parete
muscolare ha due strati, uno strato superficiale fuso con la muscolatura ureterale ed uno strato più
profondo indistinguibile dal detrusore).
Interessamento renale in corso di di diabete: le lesioni più frequenti interessano i glomeruli e si
associano a tre sindromi glomerulari, ovvero proteinuria non nefrosica, sindrome nefrosica e IRC. Il
diabete colpisce anche le arteriole causando scleroialinosi arteriolare (caratteristico del diabete è
l’ispessimento ialino della parete non solo dell’arteriola afferente, comune in varie condizioni
ipertensive, ma anche di quella efferente), aumenta la suscettibilità alle pielonefriti (spt alla necrosi
papillare) e causa una serie di lesioni tubulari.
Nefropatia diabetica indica l’insieme di lesioni che spesso si verificano contemporaneamente nel
rene diabetico. La glomerulo-sclerosi diabetica compare in circa il 40% dei pz con DM I e nel 1530% dei pz con DM II.
Le alterazioni morfologiche a carico dei glomeruli comprendono: ispessimento della membrana
basale capillare, sclerosi mesangiale diffusa, glomerulo-sclerosi nodulare.
ISPESSIMENTO DELLA MEMBRANA BASALE CAPILLARE: un diffuso ispessimento della
GMB si osserva in tutti i pz diabetici, indipendentemente dalla presenza di proteinuria, ed è parte
della microangiopatia diabetica. L’ispessimento continua progressivamente in genere
contemporaneamente all’espansione del mesangio. Inoltre compare l’ispessimento delle membrane
basali tubulari.
SCLEROSI MESANGIALE DIFFUSA: consiste nell’incremento diffuso della matrice mesangiale
(gli assi mesangiali sono più modestamente, ma omogeneamente ampliati per aumento della
sostanza fondamentale, rispetto alla glomerulo-sclerosi nodulare). Si può osservare una lieve
proliferazione delle cellule mesangiali nelle prime fasi di malattia, ma la proliferazione cellulare
non è la fase preponderante di questa lesione. L’aumento del mesangio si associa all’ispessimento
della GMB. I depositi sono PAS positivi. L’espansione del mesangio può arrivare fino ad assumere
un aspetto nodulare. La progressiva espansione del mesangio si correla con gli indici di
deterioramento della funzione renale.
GLOMERULOSCLEROSI NODULARE (glomerulo-sclerosi intercapillare o malattia di
Kimmelstiel-Wilson): le lesioni glomerulari si presentano sotto forma di noduli ovoidali o sferici,
spesso di aspetto laminato, situati alla periferia del glomerulo. I noduli sono PAS positivi (si
colorano in rosso con il PAS, in rosa con l’eosina, in nero con i sali d’argento e hanno aspetto
compatto). La sostanza ialina del nodulo è costituita da materiale non distinguibile dalla matrice in
cui sono normalmente immerse le cellule mesangiali. Si trovano all’interno dell’asse mesangiale dei
lobuli glomerulari e possono essere circondati da anse capillari beanti o marcatamente dilatate (le
anse capillari sono pervie e assumono una disposizione periferica a corona, in rapporto ai noduli). I
noduli spesso presentano segni di mesangiolisi con sfaldamento dell’interfaccia mesangio-lume
capillare, distruzione dei siti di ancoraggio dei capillari sull’asse mesangiale e conseguente
formazione di microaneurismi capillari, zeppi di emazie (i capillari stessi, senza sostegno
mesangiale vanno incontro a dilatazione per la pressione ed il flusso endoluminare). Nei singoli
glomeruli, non tutti i lobuli sono interessati dalle lesioni nodulari, ma anche i lobuli non coinvolti
mostrano una spiccata sclerosi mesangiale diffusa. Con il progredire della malattia i singoli nodi
aumentano di volume, e possono comprimere e circondare i capillari, occludendo il convoluto
glomerulare. Queste lesioni si accompagnano, a livello del glomerulo, a prominenti accumuli di
materiale ialino (tappi di fibrina, cappe fibrinoidi; sono lesioni essudative costituite da accumuli
tondeggianti o in forma di semiluna posti sul versante interno delle pareti dei capillari che si
colorano positivamente con i metodi per la fibrina e vanno interpretate come materiale plasmatico
filtrato) o aderenti alla capsula di Bowman (gocce capsulari, gocce ialine; passerelle eosinofile
sporgenti nello spazio urinifero, specifiche della nefropatia diabetica). Come conseguenza delle
lesioni arteriolari e glomerulari il rene va incontro ad ischemia, sviluppa atrofia tubulare e fibrosi
interstiziale e generalmente si riduce di dimensioni ( per quanto riguarda i tubuli, dapprima nel TCP
si può osservare una vacuolizzazione delle cellule tubulari a causa dell’intenso riassorbimento
proteico e della presenza di lipidi, successivamente i tubuli vanno incontro ad atrofia e risultano
immersi in stroma fibroso).
La glomerulo-sclerosi nodulare e la sclerosi mesangiale diffusa sono fondamentalmente lesioni
simili del mesangio, ma la lesione nodulare è altamente specifica per il diabete.
Nb: aspetto simile possono presentare la glomerulo-nefrite membranoproliferativa (lobulare), la
light chain disease, l’amiloidosi.
Patogenesi: la glomerulo-sclerosi diabetica sembra essere causata da un difetto metabolico (deficit
insulinico, iperglicemia, intolleranza al glucosio). Tali difetti sono responsabili delle alterazioni
biochimiche a carico della GMB, con aumento della quantità e della sintesi di collagene IV e
fibronectina e riduzione della sintesi di proteoglicani eparan solfati.
Anche la formazione di AGE può contribuire alla glomerulo-patia.
Un’ipotesi sull’inizio e sulla progressione della glomerulo-sclerosi diabetica chiama in causa
alterazioni emodinamiche. La prima fase della nefropatia è caratterizzata da un incremento del GFR
con aumento della pressione nel capillare glomerulare e da ipertrofia glomerulare con aumento della
superficie di filtrazione glomerulare.
ASPETTO MACROSCOPICO: i reni mostrano una variazione simmetrica di volume e possono
essere ingranditi ed anche rimpiccioliti. In concomitanza di una sintomatologia dominata da
proteinuria o sindrome nefrosica e funzione renale conservata, presentano superficie liscia e
corticale tumida. Quando sono rimpiccioliti (in genere questo aspetto è legato a contrazione
funzionale e ipertensione), i reni hanno superficie finemente granulare o solcata da cicatrici,
consistenza aumentata e corticale irregolarmente assottigliata. Alla superficie cortico-midollare le
arterie mostrano parete rigida, ispessita, debordante sulla superficie di taglio.
ALL’IMMUNOFLUORESCENZA: depositi lineari di IgG (da intrappolamento). La si ritiene una
falsa positività dovuta ad incarceramento delle proteine plasmatiche nelle MB alterate.
Altre lesioni morfologiche nel diabete:
Pielonefrite acuta:
è una nefropatia tubulo-interstiziale da causa infettiva, caratterizzata da infiammazione acuta focale
del parenchima renale estesa dalla corticale alla midollare. Si differenzia dalla nefrite interstiziale,
in cui il danno infiammatorio è limitato al parenchima ed è legato ad un’infezione renale
particolarmente severa in cui l’infiltrazione granulocitaria è più accentuata che nella PNA.
Corrisponde all’attuale accezione di lobar nephronia.
MACRO: reni ingranditi e rigonfi con ascessi giallastri sulla superficie, numerosi e di piccole
dimensioni prevalenti nella corteccia. Talora gli ascessi possono confluire in più ampie raccolte e
addirittura aprirsi, attraverso la capsula nel tessuto adiposo che circonda il rene, formando ascessi
peri-renali. Al taglio gli ascessi appaiono come aree rotondeggianti giallastre, circondate da un
alone emorragico, a localizzazione prevalentemente corticale. Le papille che drenano le aree
corticali colpite dall’infezione mostrano striature giallastre parallele che corrispondono ai dotti
collettori zaffati di granulociti neutrofili. Può complicarsi con necrosi delle papille soprattutto nei pz
diabetici. MICRO: infiltrazione di granulociti dentro e intorno ai tubuli (caratterizzati dalla
presenza di epitelio necrotico) con possibile formazione di microascessi, fino ad arrivare alla
formazione di aree di escavazione ascessuale circondati da campi di connettivo fittamente infiltrato
da pmn. Glomeruli e vasi prevalentemente risparmiati. Carattere focale dell’infiammazione.
Papillite necrotizzante:
si osserva anche per assunzione di grandi quantità di fenacetina (donne di mezza età sofferenti di
emicrania). Macro: varia in rapporto a gravità e durata della malattia. Nelle forme più gravi i reni
hanno dimensioni normali o ridotte. La superficie esterna presenta aree infossate in corrispondenza
delle papille necrotiche e aeree rilevate in corrispondenza delle colonne del Bertin (risparmiate e
talora ipertrofiche). Al taglio la corticale appare assottigliata eccetto che in corrispondenza delle
colonne del Bertin Tutte le papille sono coinvolte (nella necrosi papillare da analgesici), ma le
lesioni sono di varia gravità e il limite tra tessuto necrotico e tessuto risparmiato è sfumato. Le
papille sono retratte, di colorito bianco sporco o brunastro con più o meno ampie concrezioni
calcaree. Talora gli apici sono necrotici, si staccano e si ritrovano nella cavità pielica. Nel
DIABETE non tutte le papille sono colpite ma quelle interessate dal processo necrotico hanno lo
stesso aspetto. Inoltre la demarcazione tra tessuto necrotico e tessuto sano è netta per la presenza di
una vallo di PMN e le calcificazioni parenchimali sono rare.
Nefrosclerosi:
dal punto di vista clinico alla nefrosclerosi corrisponde un innalzamento lento e progressivo dei
valori pressori diastolici, la funzione renale è per lungo tempo conservata e in questi soggetti le
cause di morte più comuni sono quelle di origine cardiaca (IMA) o cerebrale.
Macro: nel caso di malattia ipertensiva di lunga durata i reni sono ridotti di volume e sono
simmetricamente colpiti, hanno capsula aderente alla superficie che appare finemente granulare in
seguito alle lesioni delle più fini diramazioni arteriose. Al taglio la corticale è assottigliata.
Micro: 1) danno arteriosclertorico delle a. arciformi e interlobulari, con ispessimento fibroso
intimale, riduzione del calibro e frammentazione della lamina elastica interna, che può apparire
anche reduplicata, atteggiandosi in formazioni multi-laminari concentriche. Le lesioni della media
sono scarse e legate ad un ispessimento sostenuto dall’iperplasia delle cellule muscolari lisce;
2) arteriolosclerosi ialina: ispessimento in toto della parete delle arteriole per la deposizione di
materiale ialino PAS positivo. La deposizione è focale con aspetti più evidenti nei tratti prossimali
delle arteriose afferenti e, nei diabetici soprattutto, nelle arteriose efferenti. È una lesione
riscontrabile anche in soggetti anziani non diabetici;
3) glomeruli possono essere normali oppure ischemici, con matassa glomerulare ipocellulare e
membrane basali ispessite e ripiegate con lumi dei capillari poco evidenti e spazio urinifero
occupato da materiale amorfo, debolmente PAS positivo, riferibile a collagene nel cui contesto sono
sporadiche cellule fusate di natura fibroblastica. Il danno ischemico glomeulare risulta comunque
ben evidente sulle sezioni colorate con PAS reazione;
4) tubuli atrofici per la carente irrorazione sanguigna (possono anche essere ipertrofici). I tubuli
atrofici possono presentarsi con membrana basale ispessita e lume virtuale, ma anche dilatati e
contenenti cilindri ialini.
5) in rapporto con i glomeruli ischemici e le aree di atrofia tubulare l’interstizio è aumentato in
ampiezza, finemente fibroso, più o meno infiltrato di elementi mononucleati.
Questi aspetti microscopici definiscono la NEFROSCLEROSI BENIGNA; in quella maligna (da
ipertensione maligna) vi è necrosi fibrinoide delle arteriole e dei glomeruli.
Sovrapposizione di una seconda nefropatia su preesistente glomerulo-sclerosi diabetica:
prevalentemente GN membranosa o GN a depositi di IgA.
- GN membranosa: è la causa più frequente di s. nefrosica negli adulti. È caratterizzata da diffuso
ispessimento della parete capillare glomerulare (della GMB) e dall’accumulo di depositi
elettrondensi di Ig (spt IgG) lungo il lato sub-epiteliale della membrana basale. I fattori causali non
sono conosciuti (glomerulo-nefrite membranosa idiopatica, 80%); la glomerulo-nefrite membranosa
che si manifesta in associazione ad altre malattie sistemiche e ad una varietà di agenti eziologici
identificabili (farmaci come penicillamina, fans, oro, captopril; tumori maligni cm k polmone,
melanomi e k colon; LES; infezioni, spt da HBV, HCV, treponema pallidum, schistosoma,
plasmodium falciparum; altre patologie autoimmuni come la malaria) è detta secondaria.
Caratteristiche AP: al MO i glomeruli presentano uniforme e diffuso ispessimento della parete
capillare glomerulare. In ME si nota come l’ispessimento sia causato da irregolari depositi densi tra
la membrana basale e le sovrastanti cellule epiteliali, che mostrano una scomparsa di processi
pedicillari. Tra questi depositi si osserva la formazione di materiale simile alla membrana basale che
appare sotto forma di spikes irregolari che protrudono dalla GMB (e che si osservano meglio con le
colorazioni all’argento che colorano la GMB). Con il tempo gli spikes si ispessiscono, la membrana
si ispessisce schiacciando il lume capillare e può manifestarsi sclerosi del mesangio, nel tempo i
glomeruli possono diventare completamente sclerotici. In fase avanzata di malattia i depositi
perdono la loro caratteristica elettrondensità e, lasciando spazi chiari, conferiscono alla GMB un
aspetto tarlato. L’IF dimostra depositi granulari ravvicinati lungo la GMB, la positività è spiccata e
consistente per IgG e C3, in 1/3 dei casi ci sono anche IgM.
- GN a depositi di IgA (Gn di Berger, è una glomerulo-nefrite proliferativi focale): è la GN
primitiva più diffusa al mondo; può presentarsi in corso di porpora di Schonlein-Henoch. Mostra
prominenti depositi di IgA nelle regioni mesangiali individuabili con l’IF (la diagnosi viene posta di
solito sulla base di tecniche immunoistochimiche). Caratteristiche AP: le lesioni possono variare
notevolmente, i glomeruli possono apparire normali o mostrare espansione e proliferazione del
mesangio, proliferazione segmentale limitata ad alcun glomeruli o, raramente, una vera e propria
glomerulo-nefrite a semilune. Sono di riscontro abbastanza frequente anche aspetti focali e
segmentali di proliferazione endo-capillare. In casi di lunga durata, possiamo riscontrare anse
capillari collassate e aree di sclero-ialinosi mesangiale. Il danno tubulo-interstiziale varia da caso a
caso, così come la frequenza di sclero-ialinosi arteriolare. All’IF il quadro tipico è quello di depositi
mesangiali granulari di IgA, spesso associati a C3 e ad una minore quantità di IgG ed IgM. La ME
conferma la presenza di depositi mesangiali elettrondensi, e in alcuni casi anche la presenza di
depositi a livello della GMB. Si presenta con ematuria macroscopica e dolore al fianco (30%)
oppure con ematuria microscopica e proteinuria (32%).
PUNTI DA APPROFONDIRE
1. In rapporto ai dati fin qui riportati, discutere le possibili cause della progressiva
insufficienza renale.
2. Elencare le possibili cause della macro-ematuria e discuterne la maggiore/minore
probabilità nel paziente in questione.
1. il quadro presentato è quello di un rapido peggioramento acuto della funzione renale, quindi
una IRA. Le cause di IRA possono essere pre-renali, renali o post-renali. In questo caso
abbiamo un insieme di cause che possono essere alla base del peggioramento acuto della
funzione renale. Innanzitutto c’è un rene già compromesso dalla patologia diabetica con
quadri di glomerulo-sclerosi nodulare, atrofia tubulare e arterioslclerosi-arteriolosclerosi
diffusa. Su questa base si è inserito un peggioramento acuto (IMA) di una funzione
emodinamica già compromessa, come testimoniano i reperti di scompenso cardiaco cronico,
che probabilmente hanno portato ad una ipovolemia relativa con ipoperfusione renale e
verosimile IRA pre-renale. Non sembra importante, nella patogenesi dell’IRA, invece il
ruolo dell’IPB che ha condizionato il quadro di vescica a colonne con diverticoli. A livello
renale non ci sono infatti reperti di una patologia da reflusso e comunque il pz è stato trattato
con TUR.
2. l’ematuria può riconoscere diverse origini: renale/ureterale, vescicale e uretrale. Dato che il
paziente in causa aveva coaguli vescicali, indice di sanguinamento importante dall’urotelio, è
possibile escludere la presenza di una GMN (avrebbe potuto essere una gmn di Berger sovrapposta
alla nefropatia diabetica) e un sanguinamento basso, di origine uretrale.
Le cause principali di ematuria isolata possono essere:
- neoplasie vescicali-ureterali,
- calcolosi,
- traumi,
- TBC,
- prostatite,
- cistite emorragica,
- TAO,
- infezione delle vie urinarie.
Anche l’infarto renale può provocare ematuria.
Il rene è un sito favorito per la comparsa di infarti renali (circolazione terminale con scarsa
possibilità di circoli collaterali, enorme flusso ematico). Le cause di infarto renale possono essere
un’aterosclerosi in fase avanzata, una vasculite, ma soprattutto delle embolie (spt a partenza da
trombi murali di atrio e ventricolo sx). La maggior parte degli infarti renali sono anemici, entro 24 h
l’area infartuata diventa ben demarcata, pallida con aree bianco-giallastre con piccoli ed irregolari
foci di discromia emorragica, di solito queste aree sono circondate da intensa iperemia. In sezione
l’infarto è a forma di cuneo, con base verso la corticale ed apice verso la midollare. Queste aree
vanno poi incontro a fibrosi. Le alterazioni istologiche sono quelle tipiche di una necrosi ischemica
coagulativa. Nel nostro caso, il pz non aveva tali reperti patologici, era in TAO e si dovrebbe
ipotizzare un infarto importante con necrosi per giustificare la presenza di coaguli in vescica.
Nel nostro caso il paziente aveva effettuato la terapia per l’IMA il gg prima della comparsa
dell’ematuria, e viene riportato che l’ematuria è verosimilmente dalle basse vie (emazia ben
conservate). Il sanguinamento potrebbe essere quindi conseguenza della terapia fibrinoliticaanticoagulante a partenza dall’urotelio (dai diverticoli vescicale, dalla sede di pregressa TUR,
traumatismo da catetere?).
Cosa si fa in caso di ematuria? Si effettua un esame urine con sedimento e si manda il campione
(50-100cc, la seconda urina del mattino per tre gg consecutivi). Per valutare la citologia cellulare
l’anatomopatologo fa un sedimento particolare, il citospin: è una provetta particolare, con un foro al
fondo, che durante la centrifugazione delle urine “spara” le cellule del campione direttamente su un
vetrino, formando due piccoli cerchi che l’anatomopatologo poi esamina.