domenica
8 maggio
ORE 16.30 – ROVERETO, MART
[SPETTACOLI E CONCERTI]
I DIVERTIMENTI DI MOZART
PER DUE OBOI, DUE CORNI E DUE FAGOTTI
Note di sala
Sestetto di fiati dell’ENSEMBLE ZEFIRO: Alfredo Bernardini e Paolo Grazzi, oboi
Dileno Baldin e Francesco Meucci, corni | Alberto Grazzi e Michele Fattori, fagotti
La storia di un divertimento.
Cos’è un divertimento? Illustrarlo in maniera appropriata non è certo cosa semplice. Si tratta di una forma musicale
di difficile definizione, causa le evasive accezioni che hanno corredato il termine sin dai suoi primi impieghi nel
contesto musicale. Infatti, il divertimento fa parte di quei repertori solo strumentali, privi di una particolare struttura
formale, composti da un insieme di diversi movimenti dal carattere contrastante. Un appellativo come “divertimento”
non aiuta a definire lo stile musicale di una composizione, tuttavia ci fornisce un utile supporto per immaginare il
suo plausibile contesto esecutivo oppure il carattere che doveva qualificare l’esecuzione musicale. Certamente,
si tratta di un repertorio pensato per allietare e distrarre la mente, al pari di un diversivo sociale. L’affinità con
il capriccio, la serenata o la cassazione ha fatto sì che i diversi appellativi venissero utilizzati come alternative
interscambiabili: questo carattere di generica variabilità rende gli stessi titoli dei parametri funzionali e non formali.
Il nome “divertimento” appare inizialmente sui frontespizi di raccolte seicentesche di musica strumentale italiana,
sempre in relazione al contesto di una specifica logistica esecutiva, la sala privata o la camera. Titoli quali Il
divertimento de Grandi, musiche da camera o per servizio di tavola (1681) di Carlo Grossi e i Divertimenti per
camera per due violini e continuo op. 1 (1693) del bolognese Giorgio Buoni evidenziano subito la funzione di
intrattenimento che la musica doveva svolgere. Si tratta di composizioni concepite per circostanze sociali alte,
ambienti di corte o sale di palazzo, spesso nate come accompagnamenti ludici o conviviali; tuttavia l’ufficialità
dei possibili contesti esecutivi e la funzione di intrattenimento ivi sottintesa non determina l’aspetto formale della
musica stessa. A dimostrazione di ciò, i dodici divertimenti di Buoni sono intitolati, nelle singole pagine interne,
semplicemente “sonate”.
Se il retaggio primigenio del divertimento è in ambito italiano, la sua fortuna settecentesca si determina in
area austro-tedesca. Qui, virtuosi della tastiera quali Georg Christoph Wageseil o Joseph Haydn attribuiscono
l’appellativo di divertimento a composizioni per strumento solista in più movimenti di cui almeno tre dal carattere
contrastante: come non notare, anche nel contesto d’oltralpe, la somiglianza con la più nota forma della sonata
da chiesa. In evidente ricerca di nuove sperimentazioni, dalla seconda metà del XVIII secolo il divertimento diventa
un perfetto contenitore per elaborare le più svariate e ampie combinazioni strumentali, ampliando le compagini
musicali, mescolando al suo interno famiglie diverse, scavando i registri sonori di ciascun timbro. Il “divertimento”,
dunque, diventa anche un terreno di prova per sperimentare certi atteggiamenti compositivi che saranno alla base
dei processi creativi delle sinfonie per grande organico.
Ma non solo: il divertimento si infarcisce di un numero crescente di movimenti – fino a nove – ancora ordinati
alternando caratteri diversi e sempre più spesso d’ascendenza coreutica: in tale prospettiva, assume quasi i
connotati di una suite strumentale. Nei paesi francofoni, del resto, il divertimento nasce proprio in virtù di un
profondo legame della forma musicale con la dimensione coreutica. Il Dictionnarie de musique (1768) di Jean
Jacques Rousseau presenta il divertissement come una danza o chanson, da collocarsi all’interno di un contesto
teatrale, come elemento di interruzione tra gli atti. In una prospettiva astratta, al di là della concreta realizzazione
coreutica della musica, tra le diverse interpretazioni e accezioni del termine intercorre una sottile congiunzione,
rappresentata dalla presenza centrale di movimenti di danza all’interno della forma stessa.
Le varietà formali ed espressive del divertimento, che lasciano un’evidente libertà creativa ai singoli compositori,
non potevano non attrarre un giovane ed esuberante compositore come Wolfgang Amadeus Mozart che, ancora
bambino, si cimenta in brevi divertimenti per fiati e archi, purtroppo non pervenuti. Alla ricerca di una definizione
formale in grado di dare un senso proprio al divertimento, il giovane Mozart elabora soluzioni musicali quasi ibride.
Eccone allora un “esemplare” il cui titolo completo è Concerto o sia Divertimento (KV 113) oppure il K136 che, per
l’organico scelto e la scrittura impiegata, fa pensare più a un quartetto per archi.
Durante gli anni a servizio dell’arcivescovo Hieronymus von Colloredo di Salisburgo, tra il 1773 e il 1781, Mozart
compone anche i cinque divertimenti per sestetto di fiati (due oboi, due fagotti e due corni) in programma questo
pomeriggio. Sono tutti composti tra il luglio 1775 e il gennaio 1777, a distanza di pochi mesi gli uni dagli altri.
Quasi certamente sono pensati per l’intrattenimento della corte e la scelta di un organico di soli fiati può lasciare
intendere la necessità di disporre di composizioni idonee alle esecuzioni all’aperto.
Mozart abbandona le soluzioni ibride sperimentate precedentemente e si appropria in pieno dei caratteri dominanti
del modello di ascendenza austriaca. Predispone solo quattro movimenti (contrariamente ai divertimenti per archi,
ove ne inserisce anche sei): il primo movimento, almeno nei KV 213, KV 240, KV 270, è un Allegro in forma
sonata, bipartito e dalla smaccata sonorità galante; seguono un movimento Andante e un Minuetto con trio, segno
della volontà di inserirsi nel contesto formale di moda nella seconda metà del XVIII secolo. Evade dallo schema il
Divertimento KV 270, introdotto da un tema bipartito con sei variazioni: l’eleganza del tema costruito su sincopi,
condotto dall’oboe I con raddoppio delle parti inferiori, è sapientemente sostenuta da una parte di fagotto II che
riempie la scrittura con un raffinato contrappunto di crome.
La scelta di comporre per un organico di soli fiati era sicuramente poco praticata: da una parte questa doveva
essere segno della necessità di superare l’esperienza formatasi sugli archi, dall’altra può essere interpretata come
l’urgenza di sperimentare, se non sul piano formale e stilistico, almeno su quello concettuale, sfruttando al massimo
le potenzialità sonore di strumenti spesso relegati a ruoli di raddoppio o accompagnamento. Questo è proprio il
caso dei fagotti, la cui tradizionale funzione di sostegno del basso si diversifica e amplia: anche quando il fagotto II
rimane radicato all’impalcatura compositiva, il fagotto I è protagonista della scena e dialoga in prima persona con
gli oboi. L’andante del KV 213 è concepito interamente per l’oboe I e il fagotto I, con un delicato intreccio di piccole
“botte e risposte”, con sporadici interventi della restante compagine. Mozart anticipa, nelle composizioni giovanili,
l’atteggiamento compositivo che si concretizzerà nelle grandi sinfonie ove l’intera formazione orchestrale partecipa
pienamente del complesso progetto musicale.
Specialmente in un’esecuzione con strumenti storici, come quella prevista dall’ensemble Zefiro, è possibile
ricostruire l’originario equilibrio di suoni e dinamiche, purtroppo sacrificato dal frequente uso di strumenti
tecnologicamente più moderni. Ne risulta l’esaltazione del linguaggio e del carattere musicale settecentesco, di cui
Mozart è portavoce, che qui appaiono veicolati da un repertorio strumentale inconsueto e dal sapore certamente
unico.
Valeria Mannoia
In collaborazione con: