le parti: origine ed estrazione

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LE PARTI: ORIGINE ED ESTRAZIONE
di Massimiliano Gaetano
Le parti o sorti sono punti fittizi derivati aritmicamente e rappresentanti la sintesi di due o più
fattori agenti nella sfera dell’irrazionale che Platone definiva “cerchio dell’Altro”. Esse esprimono
la natura pura e semplice, primaria ed assoluta, dei sette pianeti erranti utilizzati come significatori
(in greco pròtoi kai khatolikòi che significa, appunto, prime ed universali).
Tecnicamente sono punti della sfera locale la cui distanza dall'oroscopo (o raramente da altri punti
di riferimento) è pari alla distanza tra altri due punti (pianeti, cuspidi di case o anche altre sorti) che
vengono assunti come “significatori”.
Tradizionalmente la divinazione per sortes si deve fare risalire alla kleromantèia (parola greca che
deriva da kleros che significa sorte, a sua volta derivante dal verbo klao che significa “rompo”,
“spezzo”, “tronco”) praticata nell’antica Grecia mediante i kleroi (spesso consistenti in sassi di
colore o forme diverse, o in fave nere o bianche, o in ossicini, o in bacchette intagliate, o conchiglie
oppure nel lancio di frecce).
Il procedimento di divinazione consisteva, similmente a quanto avviene nella Geomanzia, nello
gettare i kleroi a terra o su una tavola consacrata, o nello scuoterli dentro un’urna, o nel porli dentro
una coppa debordante, o nel gettarli in una fonte o in una bacinella d’acqua all’uopo predisposta.
Le sortes costituivano lo strumento mediante il quale il divino manifestava la sua volontà attraverso
una scelta. Infatti, tramite queste si chiedeva al divino di esprimere il proprio judicium su decisioni
che interessavano l’intero gruppo sociale di appartenenza. Nel De Legibus di Platone si legge che
“Riguardo alle cose sacre, lasciamo che la divinità scelga ciò che le aggrada; ci rimettiamo quindi
alla volontà divina della sorte (kleros) [...] Per dichiarare che un uomo è caro alla divinità, che è
felice, ricorriamo alla sorte. Colui che dalla sorte è designato deve comandare, colui che è respinto
obbedire, nulla è più giusto [...]“.
Ma la sorte (kleros) è anche quella che porta con sé una personalità dell’individuo e che una divinità
trae, fissandone il destino. Personalizzata in tal modo, la sorte ricorda il kleros platonico che
l’anima sceglie prima della sua discesa nel mondo, identificandosi con tyche (ossia: la fortuna, il
destino e la condizione particolare di ciascun uomo, in una parola la sua sorte).
Così come avveniva nella divinazione mediante i kleroi, l’astrologo getta la sorte a partire dal grado
sorgente (ossia: l’Ascendente), il quale sta ad indicare la vita e l’origine delle cose. Per questo
motivo, tale operazione veniva definita dagli astrologi ellenisti con il termine ekbàllein che
significa, appunto, gettare, lanciare.
Secondo Guido Bonatti, matematico e astrologo di Forlì del XIII Sec., nel suo “Guidonis Bonati
forliviensis mathematici de Astronomia Tractatus X universum quod iudiciaram rationem
nativitatum, aeris tempestatum attinet, comprehendentes“, meglio conosciuto come “Liber
astronomiae“, le parti o sorti vengono estratte per due motivi:
1) “affinché si potesse sapere cosa si doveva giudicare nel bene o nel male. Ciò veniva
significato dal signore del segno in cui veniva a cadere la parte, qualunque fosse il punto di
partenza della proiezione della parte, Ascendente o altro”;
2) “perché l’Ascendente significa i corpi e gli inizi di tutte le cose, sebbene (a volte) la
proiezione avvenga da un pianeta o da un altro luogo, poiché quel pianeta o luogo ha la
stessa natura o costituzione del luogo della parte”.
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Dal grado sorgente veniva proiettato un arco determinato dalla distanza tra due significatori che, per
loro natura, indicano l’oggetto stesso della sorte [ad es. Sole e Saturno per il padre, Luna e Venere
per la madre, Sole e Luna per il corpo e Luna e Sole per l’animo].
Pertanto, per proiettarle e calcolarle sono essenziali tre cose:
due “significatori fissi”, che possono essere generalmente i luminari (ossia: Sole e Luna)
oppure due pianeti, i quali vengono scelti a causa della loro affinità con il problema
considerato;
la “distanza che li divide” in gradi di ascensione retta e non, come alcuni affermano, di
longitudine eclittica;
un “significatore mobile”, quale la cuspide di una casa (di solito, l’Ascendente) oppure il
suo maestro (ossia: governatore), a partire dal quale viene effettuata la proiezione dei gradi
in ascensione retta.
La prima fase è quella dell’analisi della condizione zodiacale dei “significatori fissi”; la seconda
fase è quella dell’esame del dispositore della parte per segno e per casa; infine, la terza fase è quella
nella quale si prendono in considerazione gli aspetti della parte attraverso l’analisi della natura
benefica o malefica, quella dello stato zodiacale, quella della loro condizione diurna o notturna
(hairesis), quella della forza quantitativa del pianeta aspettante e quella dell’essere o meno
quest’ultimo uno dei significatori fissi o il dispositore della parte stessa.
La dottrina delle parti o sortes risale sicuramente ad un’epoca antica ed ha un’origine incerta
(egizio-babilonese, ermetica, persiana o indiana che fosse). La più antica testimonianza sembra
risalire al Panaretos attribuito allo stesso Hermes Trismegistus, al quale fa riferimento Eliodoro
nel suo commento all’Isagoghe (Eisagôghê) o Introduzione all’Astrologia di Paulus Alexandrinus.
Infatti, afferma Eliodoro che “Occorre sapere che Ermete Trismegisto ha trattato di queste sorti nel
libro chiamato Panaretos, ove ha esposto altresì i giudizi (apotelèsmata) di queste sorti ed in virtù
di esse soltanto sarebbe possibile predire ogni cosa senz’altra osservazione”. Nei Capp. 2-4 del
Libro III dell’Astronomicon, il poeta romano Marcus Manilius espone nei primi anni del I Sec. d.C.
la dottrina delle sortes, stabilendone il numero di dodici (tante quante sono le Case) a partire dal
punto o parte di Fortuna. Egli menziona “dodici sorti” (duodecim sortes) che vengono facilmente
calcolate in quanto in ogni segno si posizionano allo stesso grado in cui si trova la parte della
fortuna. Pertanto, il procedimento è semplice: trovata la parte di fortuna in un dato segno, le altre
sorti si trovano negli altri segni allo stesso grado della parte di fortuna. Senza dilungarci
ulteriormente, queste sorti erano: “fortuna”( prima sorte), “guerra” o “guerreggiare”( seconda
sorte), “lavoro civile” (terza sorte), “argomento di difesa” (quarta sorte), “matrimonio” (quinta
sorte), “abbondanza” (sesta sorte), “pericolo” (settima sorte), “nobiltà, fama e onore” (ottava sorte),
“bambini” (nona sorte), “Uomo e atto della vita” (decima sorte), “Salute” (undicesima sorte) e,
infine, “Desideri” (dodicesima sorte). Tali sorti sono punti sensibili dell’eclittica, aventi
un’influenza limitata al grado in cui si trovano e vanno giudicate a seconda degli aspetti favorevoli
o sfavorevoli che ricevono dai pianeti.
Intorno la metà del I Sec. d.C. anche Dorotheus Sydonii parla delle parti nella sua opera Carmen
Astrologicum o Pentateuchos, annoverando la parte del padre (Libro I, Cap. 13), quella della madre
(Libro I, Cap. 14), quella delle nozze (Libro II, Cap. 2), quella del matrimonio nel tema di natività
di una donna (Libro II, Cap. 3), quella del matrimonio (Libro II, Cap. 4) e quella dei figli (Libro II,
Cap. 10).
Nel II Sec. d.C. Claudius Ptolemeus, il più famoso e noto degli astronomi greci e dell’antichità,
affronta l’argomento delle parti nel Tetrabliblos, anche se limitatamente alla parte di Fortuna intesa
come uno dei luoghi dell’Apheta. Infatti, nel libro III del “Tetrabiblos“, egli scrive:
“Considereremo in seguito come afetici i luoghi principali, e cioè quello del Sole, della Luna,
dell’Ascendente, della Parte di Fortuna ed infine dei pianeti che sono loro signori”. Poi, di seguito,
nel paragrafo intitolato “Della Parte di Fortuna“, Ptolemeus indica il procedimento di estrazione
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della Parte di Fortuna, che altro non è che il procedimento generale sul quale si fonda la dottrina
delle parti. Scrive, infatti, Ptolemeus che “Tanto per le nascite diurne che per quelle notturne, si
dovrà trarre la Parte di Fortuna dal numero dei gradi compresi tra la posizione del Sole e quella
della Luna; cioè, dovremmo prendere tale intervallo e, seguendo la successione dei segni,
aggiungerlo all’ascendente: dove verrà a cadere tale intervallo, in quel grado ed in quel segno
stabiliremo la Parte di Fortuna. Così lo stesso aspetto che il Sole contrae nei riguardi
dell’ascendente, la Luna l’avrà nei confronti della parte di Fortuna. Bisogna però considerare qual
è il luminare che segue l’altro nella successione dei segni. Poiché se la Luna segue il Sole, anche la
Parte di Fortuna verrà contata a partire dall’ascendente rispettando la stessa successione. Se
invece la Luna precede il Sole, la Parte di Fortuna si conterà dall’ascendente in senso inverso alla
successione dei segni“.
Tuttavia, si occuparono di parti Paulus Alexandrinus (il quale ne menzionò sette – le c.d. sorti
ermetiche: Tyche o sorte della Luna; Daimon o sorte del Sole; Eros o sorte di Venere; Ananke o
sorte di Mercurio; Tolma o sorte di Marte; Nike o sorte di Giove; e Nemesis o sorte di Saturno) e lo
scrittore romano Julius Firmicus Maternus (il quale menzionò sia la parte della fortuna sia quella
del Sole, denominata parte del demone), entrambi vissuti nel IV Sec. d.C.
Nel V Sec. d.C. Ambrosius Theodosius Macrobius, autore del Commentariorum in Somnium
Scipionis, descrivendo il caducèo fece riferimento ad alcune sorti affermando che “Gli Egiziani
hanno esteso il tema del caduceo anche alla generazione degli uomini, che è chiamata (con parola
greca) ghènesis, ricordando che i numi tutelari che presiedono alla nascita dell’uomo sono
quattro: Daimon, Tyche, Eros, Ananke. Con i primi due intendono il Sole e la Luna […]”.
L’astrologo di Antiochia, Vettius Valens, autore dell’Antologia astrologica, nel Cap. 15 del Libro II
afferma che “Quello che ha nome ‘dio’ (ϑεός) significa gli affari paterni; quello chiamato ‘dea’
(ϑεά) le cose materne; il ‘demone benigno’ (άγαϑός δαίµων) riguarda i bambini; la ‘buona sorte’
(άγαϑή τύχη) concerne il matrimonio; lo ‘spirito maligno’ (κακός δαίµων) riguarda la sofferenza;
la ‘cattiva sorte’ (κακή τύχη) ogni tormento; il ‘punto di Fortuna’ e l’Ascendente governano la vita
dell’uomo; il ‘demone’ (δαίµων) domina l’intelletto; il ‘Medio Cielo’ determina l’Azione; ‘Eros’
(έρως) è signore del desiderio; e ‘Necessità’ (άνάγκη) governa l’avversione”. Nel VI Sec. d.C.
Retorius nella sua Istruzione per la dottrina delle natività consiglia l’osservazione delle sette sorti
ermetiche, di quelle dei genitori e dei fratelli.
Qualche secolo dopo, nell’VIII Sec. d.C., l’astrologo ebreo egiziano Mâshâ’allâh parla della parte
della fortuna nel suo libro sull’astrologia giudiziaria; e nel IX sec. d.C., Ja’far ibn Muḥammad
Abū Ma’shar al-Balkhī nella sua opera “De magnis conjuntionibus annorum revolutionibus ac
eorum profectionibus” scrisse che sia gli Egiziani che i Babilonesi usavano correntemente
novantasette parti. E’ certo, infatti, che l’origine delle parti sebbene incerta (egizio-babilonese,
ermetica, persiana o indiana che fosse) sicuramente è più antica rispetto allo stesso Ptolomeus.
Questo lo possiamo desumere non solo dal fatto che già prima dell’alessandrino esisteva una
tradizione astrologica operante che comprendeva l’uso delle parti; ma anche e soprattutto dalla
ripetuta ammissione da parte di Ptolemeus di avere attinto a fonti egiziane e caldee. Eloquente, in
tale senso, un passo del Tetrabiblos (Liber I, Cap. XXI “De Terminibus”) nel quale Tolomeo
approfondendo l’argomento dei Termini affermò: “Ora, mi è capitato tra le mani un antico volume,
in certe parti consumato dall’antichità, nel quale erano esposte le cause fisiche di tale ordine e di
tale numero di gradi e dove inoltre erano aggiunte delle descrizioni riguardanti delle antiche
nascite le quali si accordavano con le annotazioni degli Antichi”.
Mentre l’Europa, a seguito della caduta dell’Impero Romano d’Occidente, conobbe un periodo di
declino anche e soprattutto culturale (la c.d. “Epoca buia” dell’alto medioevo), il medio oriente si
caratterizzò per un profondo risveglio di civiltà e cultura dovuto agli Arabi. Di questo risveglio
culturale ne beneficiò anche l’astrologia che ne trasse nuova linfa vitale per un suo rilancio e
sviluppo. Nell’VIII Sec., durante il Regno degli Abbasidi, i territori sotto il dominio arabo si
estendevano dalla Spagna all’India. Tale continuità territoriale del loro regno fu fondamentale per la
creazione anche di una sorta di vero e proprio “corridoio culturale” tra oriente ed occidente, nel
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quale l’attività sincretistica religiosa e filosofica iniziata da Alessandro Magno, protrattasi con la
creazione del mondo ellenistico e mantenutasi sotto l’Impero Bizantino, continuò a perpetuarsi. In
questo “corridoio culturale” s’intensificò molto lo scambio di conoscenze filosofiche e scientifiche;
il sapere e le conoscenze appartenenti a culture diverse si mettevano a confronto e si armonizzavano
in una mirabile sintesi garantendone la perpetuazione e la salvaguardia nel tempo. In questo
contesto, l’astrologia araba trasse ispirazioni da diverse fonti (persiane, ermetiche, vediche,
gnostiche, caldee, egiziane, neoplatoniche ed aristoteliche) e molti testi vennero tradotti in arabo. Fu
così che l’astrologia tradizionale riuscì a sopravvivere e a giungere pressocché intatta sino ai nostri
giorni. Infatti, mentre nell’Europa barbarica, il livello culturale si abbassò notevolmente, molte
scuole vennero chiuse e per una rinascita dell’interesse astrologico si dovrà attendere il X Sec. (v.
l’opera di recupero culturale intrapresa da Alfonso “El Sabio”); a Bagdad, capitale del regno dei
califfi Abbasidi (patroni della cultura e dell’istruzione), vennero fondate alcune scuole di astrologia
nelle quali operarono famosi astrologi, tra i quali ricordiamo Abū Yūsuf Yaʿqūb ibn Isḥāq alKindī, maestro del notissimo Abū Ma’shar e il quale scrisse circa 200 opere su argomenti che
spaziano dall’astrologia, alla filosofia e metafisica, all’ottica, matematica e meteorologia. Per
quanto riguarda le parti o sortes, Abū Rayhān Muhammad b. Ahmad Al-Bīrunī ne parla nella sua
opera “Il Libro delle Istruzioni negli Elementi dell’Arte dell’Astrologia”, lamentando
un’inflazionamento del numero delle parti quando scrisse che “Tolomeo ne riconobbe solamente
una, la Parte della Fortuna; ma altri hanno presentato un numero eccessivo di metodi di assegnare
parti alle natività. Noi riproduciamo nelle tavole quelle che ha menzionato Abu Ma’shar […]. È
impossibile elencare le parti che sono state inventate per la soluzione di domande di oraria, e per
le domande rispondenti come a conseguenza prospera o tempo di lieto auspicio per azione; loro
aumentano di numero ogni giorno, ma le seguanti novantasette differenti sorti, sette delle quali
appartengono ai pianeti, ottanta alle case e dice a nessuna delle due (ossia: né ai pianeti e né alle
casa) sono più comunemente in uso” (Verso 476 – Altre sorti diverse dalla Parte di Fortuna).
Al-Kindi ebbe un’influenza enorme sul suo allievo e discepolo Abū Ma’shar, dato che un’attenta
lettura e confronto delle sue opere con quelle di Al-Kindi mostrano chiaramente che le opere
dell’allievo incorporano gran parte degli insegnamenti del maestro (talvolta senza neppure citarlo).
Abū Ma’shar o uno dei suoi allievi scrisse diverse opere di astrologia, tra cui il “De magnis
conjunctionibus” che contiene la più antica descrizione dell’uso di novantacinque parti oltre alla
parte di Fortuna (o sorte della Luna) e alla sorte del Sole. In particolare, nel cap. VIII intitolato
“Sulla conoscenza dei significati generali delle sorti”, Abū Ma’shar ribadisce il concetto
dell’antichità del metodo dell’estrazione delle sorti. Infatti, afferma che “gli antichi autori della
scienza astronomica (ashāb sinā’a-t al-nujūm) hanno trattato intorno alle sorti in modo
compendioso e non vi è nessuno tra coloro che ci hanno preceduto in quest’arte che non abbia
descritto la forza di queste sorti in rapporto all’inizio delle azioni e ai loro esiti, in rapporto alle
natività e alle rivoluzioni degli anni, sia genetliaci, sia del mondo” e che “Ermete e tutti gli antichi
fra i Persiani e i Babilonesi e i Greci dicono che si deve osservare la casa (bayt) che ha significato
su una data cosa e il suo signore (sāib) e l’astro che significa la cosa per sua natura propria e la
sorte che è in relazione con quel significato e il suo luogo nei segni (burûj) e lo stato del suo
signore riguardo ad essa e le congiunzioni degli astri alla sorte e i loro aspetti ad essa e la sua
direzione (tasiyyr) e il suo passaggio (intiqâl) di segno in segno. In questo modo giudicavano degli
effetti significati. E noi riteniamo che questo sia il modo corretto del giudizio”. Poi, al pari del suo
maestro Al-Kindi, sottolinea la diffusione dell’estrazione e dell’uso corrente delle sorti in astrologia
quando scrive che “la pratica di queste sorti si è talmente diffusa che quando qualcuno vuole
considerare una cosa particolare, come per esempio i mezzi di vita o la condizione dei fratelli o dei
genitori e simili, non osserva la casa (bayt) pertinente e il suo signore, né gli stati degli altri pianeti
in rapporto ad essa, ma subito considera la sorte di quella data casa e il suo luogo e il suo signore,
e in base a ciò esprime il giudizio”. La diffusione della pratica era facilitata dal fatto che le parti
venivano, sic et simpliciter, ricavate effettuando l’estrazione tra i vari significatori e/o altre parti sui
gradi eclittici e proiettandoli dalla cuspide di una casa (ad es. l’Ascendente). Scrive Abū Ma’shar:
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“Si servirono poi, nelle sorti, dei gradi uguali. E questo fecero, perché il pianeta si muove in
circolo (dawra) sull’asse dell’orbita dei segni (falak al-burûj), mentre progredisce nell’orbita dei
segni (falak al-burûj). Allo stesso modo, l’ascendente viene calcolato in gradi del circolo dei segni
e i gradi del circolo dei segni sono gradi uguali. E se il praticante dice: un pianeta è in un dato
segno e in un dato grado e allo stesso modo l’ascendente è in un dato segno e grado, tutto questo è
in gradi uguali che sono gradi del circolo dei segni e per questo si sono serviti nelle sorti dei gradi
uguali. Inoltre, i gradi delle ascensioni sono gradi del cerchio che abbraccia (muhit) il circolo dei
segni e che rivolve il circolo dei segni e gli altri circoli e tra l’asse del circolo che tutto abbraccia e
l’asse del circolo dei segni vi sono 23 gradi e 51 minuti secondo l’opinione di Tolomeo”.
Nell’XI Sec. d.C. anche l’astrologo Abû l-Hasan ‘Alî ibn Abî l-Rijâl (conosciuto come Albohazen
Haly filii Abenragel o Haly Abenragel), autore del Libro completo sui giudizi delle Stelle (Kitāb albāri’ fi ahkām an-nujūm) si occupò delle parti, annoverando la sorte di fortuna, quella del Sole,
quella del fondamento, dell’incremento e della nettezza, quella dell’amore e dell’amicizia e quella
del vigore e dell’audacia.
Più tardi Guido Bonatti, in merito alla questione dell’estrazione delle parti, scrisse: “L’estrazione
delle parti è la conoscenza della longitudine che separa due significatori che significano per natura
un’unica cosa. Ma l’effetto della parte non sarebbe ben noto se non si considerasse un terzo
(significatore), cioè uno che significhi per natura ciò per cui si estrae la parte. Il pianeta di
partenza è detto primo significatore della cosa. L’altro è il secondo, e questi due vengono detti
immobili. Il terzo significatore viene chiamato ‘colui dal quale la proiezione dei gradi che separano
i primi due significatori naturali’; questo terzo significatore può essere il signore dell’ascendente o
il signore di un’altra casa (o cuspide di una casa) dal quale parte la proiezione dei gradi, ed è
mobile [...] Albumassar ha detto che poiché l’ascendente o un’altra casa del cerchio (dai quali si
proietta la longitudine che separa i due significatori naturali) cambia ogni ora, il terzo significatore
vien detto mobile per quanto riguarda il suo significato […] Inoltre, con le parti vengono usati i
gradi uguali, dato che le parti si muovono secondo l’asse dell’eclittica, e l’ascendente viene
considerato a seconda del grado del circolo dell’eclittica, e i gradi dell’eclittica sono uguali […] E
a causa di ciò vien detto: ‘prendete ciò che si trova fra questo pianeta e quello e sommatelo al
grado dell’ascendente e proiettatelo dall’ascendente, o dal tale posto, verso un altro posto, o da un
pianeta all’altro, attribuendo ad ogni segno 30 gradi, secondo i gradi uguali, e ovunque arrivi il
numero (ricavato dall’addizione di cui sopra), quello è il luogo della parte”.
Sia Abū Ma’shar che Guido Bonatti dicono di utilizzare i “gradi uguali”, i quali non sono eclittici,
bensì equatoriali. Infatti, sul concetto di “graduus aequalis” utilizzato dagli astrologi medievali si
era creato un equivoco. Il cerchio zodiacale è obliquo rispetto a quello equatoriale; se così non fosse
non si avrebbe l’alternanza delle stagioni e, durante l’anno, vi sarebbero sempre giorni in cui le ore
di luce e quelle di buio sarebbero sempre eguali, come una sorta di eterno equinozio. L’obliquità
dell’eclittica comporta che essa non è uguale, nel senso che tra il punto che sorge e quello che
culmina non vi sono mai novanta gradi di distanza, tranne che quando a sorgere sia un punto
equinoziale. Coloro che hanno familiarità con le carte astrologiche avranno ben notato che tra
l’ascendente e il medio cielo non intercorre quasi mai una perfetta distanza angolare di 90°. Questo
trova una spiegazione nel fatto che l’eclittica non è un cerchio costituito da gradi uguali. Diverso è
il discorso per il cerchio o circolo equatoriale: in esso i gradi sono uguali. Del resto, su tale
concetto, lo stesso Ptolemeus è stato chiaro quando scrisse che “i tempi equatoriali passano
ugualmente per l’orizzonte e il meridiano” (Tetrabiblos, Liber III, Cap. IX, Sez. V). I tempi
equatoriali cui si riferisce Ptolemeus non sono altro che gradi d’ascensione. Pertanto, non appare
inverosimile che sia Abū Ma’shar che Guido Bonatti (i quali conoscevano molto bene le opere di
Ptolemeus) quando parlano di “gradi uguali” non fanno altro che riferirsi ai gradi equatoriali che si
misurano in ascensione (retta oppure obliqua). Ne consegue che tale uguaglianza si può verificare
solo tenendo conto del tempo di ascensione (retta/obliqua) e non calcolando gradi zodiacali.
Comunque, gli astrologi hanno proposto diversi metodi per calcolare queste distanze:
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1) nel metodo “volgare” vengono calcolate sull'eclittica;
2) in quello di Placido Titi (che riprende il metodo tolemaico) secondo i tempi ascensionali;
3) in quello “orario” di Brunacci e Onorati secondo le ore temporali (espresse sul circolo
equinoziale mediante le ascensioni miste).
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