Relazione medicolegale di parte caso P.L.

I congiunti della sig.ra P. L. portavano alla nostra attenzione la vicenda clinica della
loro cara defunta che possiamo riassumere come segue.
La storia clinica della sig.ra P. L. ebbe inizio il 23.11.2011 quando si sottopose
ad Ecografia mammaria bilaterale e Mammografia bilaterale presso Istituto di R. che
evidenziarono: “[...] nel quadrante supero-interno della mammella sn una
neoformazione solida, ipoecogena, a contorni irregolari e margini sfumati di circa 3
cm di diametro maggiore con tessuto iperecogeno circostante come per reazione
stR.le. [...]”. Su tale lesione venivano effettuata una biopsia.
L’esame istologico poneva diagnosi di carcinoma duttale infiltrante della
mammella destra (G2/G3, cT2, ER: 90%, PgR: 5%, HER2: negativo, Ki67: 40%).
Con tale diagnosi la sig.ra P. non veniva sottoposta ad intervento chirurgico di
asportazione della lesione, ma veniva sottoposta a trattamento chemioterapico
neoadiuvante secondo schema EC (epirubicina+ ciclofosfamide) per 4 cicli.
Nonostante il trattamento effettuato, in data 14.06.2012 veniva sottoposta ad
intervento chirurgico di mastectomia dx, linfoadenectomia omolaterale e
posizionamento di protesi; iniziava l’ormonoterapia.
Agli esami ematochimici di controllo routinario, venivano riscontrate
ipertransaminasemia e aumento del marker tumorale CA 15-3, per cui in data
18.12.2013 si sottoponeva a TC total body senza e con mdc che mostrava la presenza
di metastasi in sede epatica e polmonari. Veniva quindi sottoposta a nuovo ciclo
chemioterapico con carboplatino e gemcitabina.
Il trattamento eseguito non dava i risultati attesi e in data 25.03.2014 la sig.ra P.
effettuava nuovo accesso in Ospedale per cachessia neoplastica e scompenso epatico
in paziente affetta da K mammaria metastatizzato. Il quadro clinico e generale della
paziente era ormai totalmente compromesso e veniva dimessa al domicilio con terapia
di supporto.
In data 07.04.2014 avveniva il decesso.
Considerazioni conclusive:
Dall’esame della documentazione clinica e dal resoconto rilasciato dai familiari,
appare chiaro che la condotta seguita dai Sanitari che ebbero in cura la sig.ra P. L. sia
stata non adeguata.
La sig.ra P., all’epoca dei fatti di anni 46, era in ottimo stato di salute, non
presentava comorbilità né fattori di rischio. In data 23.11.2011 si sottoponeva ad
Esame mammografico che metteva in evidenza un’opacità a contorni irregolari e
margini sfumati del quadrante supero-interno della mammella dx, di circa 3 cm di
diametro maggiore. L’esame istologico deponeva per un carcinoma duttale infiltrante
(T2,N0, M0).
Tali caratteristiche del tumore erano tali da renderlo un candidato perfetto
all’intervento di Quadrantectomia, cioè la tecnica conservativa che si pratica in caso di
formazioni di dimensioni inferiori ai 3 cm e che consiste in un’ampia resezione della
neoplasia e del tessuto circostante, così da asportare un intero quadrante della
mammella, con la porzione corrispondente della cute e della fascia pettorale; in caso di
neoplasie localizzate ai quadranti superiori esterni, alla procedura si associa
la linfoadenectomia ascellare.
Di difficile comprensione è quindi la scelta, peraltro non motivata per iscritto,
di procrastinare l’intervento chirurgico per sottoporre la paziente ad un trattamento
che non trova nel caso in esame alcuna indicazione.
La chemioterapia neoadiuvante viene infatti effettuata:
- Nelle neoplasie di dimensioni superiori ai 3 cm, per cui non sarebbe possibile un
approccio conservativo, la chemioterapiche antecedente l’intervento stesso ha
l’obiettivo di ridurre il diametro del nodulo tumorale al di sotto dei 2,5-3 cm in
modo da evitare la mastectomia a favore della quadrantectomia seguita da
radioterapia mammaria;
- In presenza di micrometastasi in organi a distanza dalla mammella, al fine di
ridurre al massimo la possibilità di disseminazione a distanza di cellule
tumorali;
- Neoplasia HER-2 positiva (Her-2 con score 3 all’immunoistochimica o
amplificazione del gene HER-2 alla FISH);
- Neoplasia triplo-negativa, ovvero neoplasia che sia negativa ai recettori ER e
PgR (inferiori all’1%) e HER-2 0/1 all’immunoistochimica o con FISH negativo
con almeno uno dei seguenti requisiti:
 Diametro tumorale alla valutazione radiologica superiore a 2 cm;
 Citologia linfonodale ascellare positiva (o sospetto clinico di metastasi
ascellari);
 Multicentricità;
 Carcinoma infiammatorio;
- Neoplasia con recettori ormonali positivi (con espressione > o = 1% dei
recettori estrogenici e/o progestinici), HER-2 negativa con T > o = 3 (diametro
tumorale > 5 cm) e/o linfonodi ascellari clinicamente positivi
indipendentemente dalle dimensioni tumorali;
Nel caso in esame, quindi, non c’era nessuna indicazione ad una chemioterapia
neoadiuvante e nemmeno nessuna controindicazione al trattamento chirurgico
conservativo.
Da quanto stadiato strumentalmente e istologicamente, la neoplasia in oggetto
non rientrava in nessuno dei suddetti parametri, per cui non avrebbe potuto
avvantaggiarsi di un trattamento chemioterapico neoadiuvante. Il diametro della
lesione era valutato tra i 2 ed i 3 cm e non erano rilevabili metastasi alla PET.
La scelta corretta sarebbe stata quella di asportare immediatamente la massa
tumorale, secondo la normale prassi chirurgica, al fine di migliorare le aspettative di
sopravvivenza della paziente; inoltre non solo l’intervento non è stato evitato, ma è
stato certamente più demolitivo in quanto si è dovuta effettuare una Mastectomia
totale anziché una Quadrantectomia.
Si ritiene quindi ragionevolmente che la scelta inappropriata, secondo
letteratura e linee guida comportamentali, sia stata una forzatura terapeutica che ha
ridotto considerevolmente le chance di sopravvivenza della paziente.
Si deve inoltre aggiungere che non compare dalla documentazione clinica
un’adeguata informazione alla paziente, mancando l’obbligatorio “consenso
informato”, che quanto meno avrebbe potuto determinare una scelta terapeutica
consapevole alla paziente la quale, quindi, in tale circostanza, è stata privata del diritto
di autodeterminazione sulle terapie cui si sarebbe dovuta sottoporre.
CONCLUSIONI MEDICO-LEGALI
Da quanto fin qui detto, appare chiaro che la morte della sig.ra P. L. sia sopraggiunta
dopo un lungo calvario, corollato da continue speranze disilluse, fino alla
consapevolezza che nulla era più possibile.
Tale catena di eventi è stata sicuramente determinata dall’immotivata scelta dei medici
che ebbero in cura la paziente di non intervenire chirurgicamente e con tecnica
conservativa su una formazione tumorale, riscontrata precocemente e in una donna
giovane. Come già dimostrato, infatti, la paziente era la candidata perfetta
all’esecuzione di una Quadrantectomia con linfoadenectomia ascellare.
In definitiva possiamo riassumere i profili di colpa dei sanitari come segue:
Imprudenza da parte dei sanitari che hanno deciso, senza nemmeno motivare tale
decisione, di non intervenire chirurgicamente su una formazione neoplastica
riscontrata in una donna giovane favorendo la diffusione metastatica della lesione
primitiva.
LE CONSEGUENZE DELLA SUCCITATA MALPRACTICE SI POSSONO COSI’
RIASSUMERE:
1) DECESSO della sig.ra P. L. la quale ha coscientemente vissuto l’agonia degli
ultimi giorni della propria vita in piena consapevolezza della morte imminente,
motivo per il quale tale “Danno Catastrofale” va adeguatamente risarcito.
Insomma, in considerazione dell’intensità del danno, della gravità delle lesioni
e la rilevante ripercussione sulla sfera psichica della sig.ra P. L., sotto forma di
angoscia e di disperazione, tale danno necessita di adeguata personalizzazione
considerando:
- La sopravvivenza dal momento della diagnosi;
- Il conseguente alto livello di percezione del danno da parte della sig.ra P. e
quindi della sua reale comprensione dell’avvicinamento della morte.
2) GRAVE SOFFERENZA RIFLESSA DEI CONGIUNTI, massima negli
ultimi giorni di vita della defunta L., i quali ancora oggi non hanno elaborato
il lutto e cercano giustizia nella rabbia e nel dolore interiore, che va risarcita,
dopo adeguata personalizzazione, con quanto previsto dalle tabelle del tribunale
di Milano;
3) SCONVOLGIMENTO DELLE ATTIVITA’ ESISTENZIALI DEI
CONGIUNTI i quali non hanno ancora ripreso una normale attività sociale,
condizione anche da risarcire equamente valutando il grave danno al “tessuto
familiare”.