Corso di Politica Economica Avanzato, Università del Piemonte Orientale, Facoltà di Economia (Novara) Febbraio 2010 Il Sistema Monetario Internazionale e il mercato dei cambi: una breve introduzione Andrea F. Presbitero http://utenti.dea.univpm.it/presbitero/POLEC.html 1. La bilancia dei pagamenti e il tasso di cambio INTRODUZIONE In questo primo capitolo introduciamo le definizioni di bilancia dei pagamenti e di debito estero, necessarie per la comprensione delle dinamiche del mercato dei cambi. LA BILANCIA DEI PAGAMENTI La Bilancia dei Pagamenti è lo schema contabile che registra tutte le transazioni economiche effettuate dai residenti dell'economia domestica con i residenti delle economie estere, in un dato periodo di tempo (solitamente un anno). Della definizione precedente occorre sottolineare due aspetti: in primo luogo che la bilancia dei pagamenti è compilata secondo il principio di residenza, ovvero sono considerate come parte dell'economia domestica tutte le persone fisiche o giuridiche che hanno la propria residenza in Italia, mentre tutte le altre persone fisiche o giuridiche, sono considerate come facenti parte di uno Stato estero. Il secondo aspetto che occorre sottolineare, è il termine generico che abbiamo utilizzato per identificare le transazioni commerciali tra l'economia domestica e l'economia estera. In effetti nella bilancia dei pagamenti viene registrata ogni transazione economica che avvenga tra un residente domestico ed un residente estero, non solo quelle commerciali, ma anche quelle di carattere finanziario e quelle che avvengono a titolo non oneroso. Le transazione economiche, infatti, possono essere le più varie, spaziando dal semplice acquisto di beni e servizi, all'acquisto di attività finanziarie, ai trasferimenti unilaterali. Il principio con cui le varie transazioni internazionali vengono registrate nella bilancia dei pagamenti è quello della partita doppia: ogni transazione internazionale viene automaticamente contabilizzata nella bilancia dei pagamenti due volte: una in forma di credito ed una in forma di debito. In particolare, ogni transazione che comporta un pagamento nei confronti di residente estero viene registrata come un debito (segno -); al contrario ogni transazione che comporti un introito ricevuto da parte di un operatore estero viene registrata come un credito (segno +). La rappresentazione duale delle transazioni tipica della partita doppia fa sì che la bilancia dei pagamenti sia composta da tre sezioni1: • Conto corrente: registra i flussi di beni e servizi (importazioni ed esportazioni) • Conto finanziario: registra i flussi di attività finanziarie (capitale finanziario) • Conto capitale: registra i flussi di categorie speciali di attività, tipicamente attività non di mercato, non prodotte, o intangibili, come le cancellazioni del debito, i diritti d’autore e i trademarks Ciascuno dei tre conti della bilancia dei pagamenti può essere disaggregato in modo più dettagliato: Conto corrente: • importazioni ed esportazioni di • Beni (come i DVD) • Servizi (pagamenti per le prestazioni legali, per i servizi di trasporto, per i pasti turistici,…) 1 In linea di principio, la Bilancia dei Pagamenti e’ strutturata in 2 conti fondamentali: • il conto corrente, dove vengono registrate esportazioni e importazioni di merci, servizi e redditi (es., riscossioni e pagamento interessi), • il conto capitale che, a sua volta, ha una componente privata (portafoglio e investimenti diretti) una componente ufficiale (interventi delle autorità monetarie nel FOREX) Il FMI ha creato uno nuovo schema contabile e l’Italia, come molti altri paesi, si e’ adeguata a questo schema dal 1999. Quello che si chiamava una volta conto capitale e’ diventato, secondo il nuovo schema, il conto finanziario. A complicare le cose ulteriormente, rimane un conto capitale che non ha niente a che fare con il vecchio. In esso vengono registrate le cessioni e le acquisizioni di attività intangibili (brevetti, diritti di autori, avviamento commerciale) e trasferimenti unilaterali finalizzati a transazioni su beni capitali (contributi o più semplicemente sussidi per l’acquisto di attrezzature industriali). Tali trasferimenti, in precedenza, venivano registrati nel conto corrente. • • Flussi di reddito (pagamenti di interessi e dividenti, redditi percepiti dai lavoratori e dalle imprese che operano in paesi esteri) trasferimenti unilaterali netti • Donazioni (trasferimenti) tra paesi, che non implicano l’acquisto di beni o servizi e che non rappresentano reddito Conto capitale: registra trasferimenti di attività speciali, ma ha dimensioni molto limitate sia per gli Stati Uniti che per l’Italia. Conto finanziario: differenza fra vendita di attività nazionali a residenti esteri e acquisti di attività estere da parte di residenti nazionali • • Afflussi finanziari (di capitale) ◦ I residenti stranieri prestano ai residenti nazionali acquistando attività nazionali ◦ Le attività detenute da residenti stranieri nel paese sono un credito (+) Deflussi finanziari (di capitale) ◦ I residenti domestici prestano ai residenti esteri acquistando attività estere ◦ Le attività detenute da residenti nazionali nel paese estero sono un debito (-) Il conto finanziario può essere disaggregato nelle 3 voci seguenti: Riserve ufficiali: attività estere detenute dalle banche centrali come copertura dal rischio di instabilità dei mercati internazionali. Queste attività includono titoli pubblici, moneta, oro e conti presso il Fondo Monetario Internazionale. Le riserve ufficiali detenute dalle (vendute alle) banche centrali estere sono un credito (+). Le riserve ufficiali detenute dalla (acquistate dalla) banche centrali nazionale sono un debito (-). Altre attività: investimenti diretti, investimenti di portafoglio, derivati ed altre attività. Discrepanza statistica: i dati riguardanti una determinata transazione possono provenire da fonti diverse, che differiscono per copertura, accuratezza e tempi di registrazione2. Pertanto, nella realtà, solo raramente la bilancia dei pagamenti raggiunge il pareggio. La discrepanza statistica è la voce che viene aggiunta al, o sottratta dal, conto finanziario per far sì che esso bilanci la somma del conto corrente e del conto capitale. In virtù della contabilizzazione a partita doppia, il pareggio della bilancia dei pagamenti implica la seguente equazione: conto corrente + conto finanziario + conto capitale = 0 Il valore delle riserve ufficiali, con un segno meno davanti, è detto bilancia delle transazioni ufficiali o “bilancia dei pagamenti”. Essa è la somma del conto corrente, del conto capitale, della parte del conto finanziario non rappresentata da riserve ufficiali e della discrepanza statistica. Un valore negativo della bilancia delle transazioni ufficiali può indicare che il paese sta consumando le sue riserve ufficiali o che esso potrebbe diventare debitore nei confronti delle banche centrali estere. La vendita di valuta estera da parte della banca centrale o l’acquisto di attività domestiche da parte delle banche centrali estere sono registrati come crediti tra le riserve ufficiali, e pertanto migliorano il saldo delle transazioni ufficiali. DAI FLUSSI AGLI STOCK: IL DEBITO ESTERO Ricordiamo che, in un'economia aperta, l'identità tra reddito e spesa nazionale è: Y = C + I + G + (EX - IM) = C + I + G + CA dove Y è il reddito nazionale, C + I + G la spesa domestica per consumi, investimenti e pubblica e CA il conto corrente (current account, valore delle esportazioni meno valore delle importazioni. Ne consegue che: 2 A questo proposito, si veda l'articolo dell'Economist tra i materiali della quarta settimana. CA = EX – IM = Y – (C + I + G ) • Quando produzione > spesa domestica, EX > IM: CA > 0, bilancia commerciale > 0. Quando un paese esporta più di quanto importi, esso percepisce più reddito dalle esportazioni di quanto ne spenda in importazioni. La ricchezza estera netta aumenta. • Quando produzione < spesa domestica, EX < IM: CA < 0, bilancia commerciale < 0. Quando un paese esporta meno di quanto importi, esso percepisce meno reddito dalle esportazioni di quanto ne spenda in importazioni. La ricchezza estera netta diminuisce. Per chiarire il legame che esiste tra i flussi e lo stock di ricchezza (B, misura della posizione netta del paese nei confronti dell'estero, con B > 0 che indica il paese come creditore netto e B < 0 come debitore netto), è necessario ridefinire l'identità contabile del PIL e considerare il risparmio aggregato (S) come somma del risparmio pubblico e privato (rispettivamente Sg = T – G e Sp = Y – T – C). In questo caso è vero che: Yt – Tt + rBt-1 = Ct + It + (Gt – Tt) + (EXt – IMt) da cui si ricava: Stp = It + (Gt – Tt) + (EXt – IMt) Stp + Stg – It = CAt = Bt – Bt-1 Il risparmio complessivo può essere impiegato per finanziare l'investimento domestico o l'investimento netto in attività estere. L'eccesso di risparmio privato nazionale finanzia un deficit pubblico ed un surplus di conto corrente, ovvero un deflusso di capitali (S tp – It = - Stg + Cat ). Il saldo di conto corrente è riconducibile ai livelli di risparmio e investimento: un deficit delle partite correnti può trovare ragione in un alto livello di investimenti, in un basso tasso di risparmio oppure in un elevato deficit pubblico (disavanzi gemelli). Il debito estero è una variabile di stock, i pagamenti sul debito estero ed il conto corrente della Bilancia dei pagamenti sono variabili di flusso. Stock e flussi interagiscono come è indicato nelle equazioni precedenti ed il debito estero di quest’anno è uguale al debito dell’anno scorso, più i flussi di interesse sul debito ed il nuovo debito. Inoltre, attività e finanziarie estere non variano solo per effetto dei flussi commerciali (trade balance, TB) o dei flussi di reddito da capitale (rBt-1), ma anche per i cosiddetti valuation effects, cioè le variazioni dei prezzi delle attività e passività finanziarie e dello stesso tasso di cambio: Bt – Bt-1 = CAt + VEt = TBt + rBt-1 + veBt-1 Ad esempio, nel caso americano, lo stock di debito estero netto nel 2004 era pari a 2.449 miliardi di dollari. Il nuovo flusso di debito è stato pari a 785 mld. La contabilità tiene anche conto di variazione dei prezzi e del tasso di cambio: • Variazioni di prezzo in valuta estera: $1,061 mld (gli investimenti diretti USA hanno beneficiato di forti apprezzamenti di prezzo e quindi hanno ridotto il debito netto estero • Variazioni di tasso di cambio: ci sono state delle perdite dovute alla conversione ai tassi di cambio corrente e quindi un aggravio sul debito In totale, il debito estero netto nel 2005 è cresciuto di $97 mld, nonostante un deficit di conto corrente di $785 mld. Il debito estero è un male o un bene? La risposta dipende dall’uso che si fa del debito. Se il debito serve a finanziare consumi, il debito è un peso sulle generazioni future che dovranno ripagarlo con una riduzione dei consumi. Se il debito viene investito in progetti ad alto rendimento, le future generazioni ne beneficeranno. Nel caso specifico degli USA, che hanno il debito estero più grande del mondo, le passività sono prevalentemente a breve con tassi di interesse relativamente bassi ed attività sull’estero con rendimenti alti. Gli USA agiscono da banchiere del mondo: emettono passività liquide che vengono poi utilizzate per finanziare progetti a lunga scadenza, a maggior rischio e rendimenti alti. Questa intermediazione e’ possibile dato il ruolo particolare del dollaro (e ritorniamo agli argomenti discussi la prima settimana). La peculiarità della situazione statunitense, all'origine degli squilibri macroeconomici da molti commentatori indicati come una delle cause della crisi finanziaria di questi anni, è rappresentata nella Figura 1, tratta da un lavoro di Lane e Milesi-Ferretti3. Figura 1: Posizione estera netta (Net Foreign Assets – NFA) Per la discussione: Per quanto tempo ancora gli USA possono fare questo tipo di intermediazione? Si veda l'articolo di Lilia Costabile disponibile tra le letture della settimana. BILANCIA DEI PAGAMENTI E POSIZIONE PATRIMONIALE SULL’ESTERO - ITALIA La Tabella 1 riporta l'ultima bilancia dei pagamenti per l'Italia pubblicata lo scorso Settembre nei Supplementi al Bollettino Statistico dalla Banca d'Italia (disponibili ogni mese al sito http://www.bancaditalia.it/statistiche/rapp_estero/pimebp). Di seguito, riportiamo un breve commento. Nei dodici mesi terminanti a luglio prosegue la lieve riduzione del disavanzo del conto corrente (45,1 miliardi). Al miglioramento concorrono tutte le componenti del conto corrente, con l'eccezione dei servizi. Per il secondo mese consecutivo il saldo cumulato sui dodici mesi delle merci risulta positivo. Nel mese di luglio i residenti in Italia hanno effettuato disinvestimenti netti in titoli di portafoglio esteri per 3,0 miliardi, a fronte di disinvestimenti netti in Italia da parte dei non residenti per 6,0 miliardi. Nei dodici mesi terminanti a luglio il saldo ha registrato afflussi netti per 89,1 miliardi di euro, in lieve diminuzione rispetto allo stesso mese dell'anno precedente. Nel mese di luglio gli investimenti diretti all'estero sono stati pari a 2,8 miliardi, a fronte di 1,9 miliardi di investimenti diretti in Italia. Nei dodici mesi terminanti a luglio il saldo ha registrato deflussi netti per 13,5 miliardi, in forte diminuzione rispetto allo stesso mese dell'anno precedente. Alla fine di marzo 2009 la posizione patrimoniale sull'estero dell'Italia risultava passiva per 221,1 miliardi di euro (14,2 per cento del PIL). Il peggioramento rispetto al trimestre precedente è stato determinato quasi esclusivamente dal saldo del conto finanziario, che ha registrato un afflusso netto pari a 24,2 miliardi (Figura 2). Tabella 1: Bilancia dei pagamenti (milioni di euro) 3 P.R. Lane and G.M. Milesi-Ferretti, 2007, The external wealth of nations mark II: Revised and extended estimates of foreign assets and liabilities, 1970-2004, Journal of International Economics, 73: 223-250. Figura 2: Posizione patrimoniale netta (in percentuale del PIL, La posizione netta alla fine del trimestre è uguale alla posizione netta alla fine del trimestre precedente corretta per i flussi del conto finanziario intervenuti nel trimestre e per gli aggiustamenti di valutazione) 2. Il sistema monetario internazionale INTRODUZIONE In questa sezione verrà analizzato il sistema monetario internazionale. Inizieremo presentando il funzionamento di un sistema bimetallico e del gold standard, mettendone in luce punti di forza e debolezze. Seguendo il corso degli eventi storici, discuteremo il ritorno al gold standard avvenuto tra le due guerre e l'instaurazione del sistema di Bretton Woods che ha governato il sistema monetario fino agli anni Settanta, quando poi il sistema si è dotato di cambi flessibili tra le principali valute, benché convivano una varietà di regimi di cambio, dai più flessibili ai più rigidi. Perciò, in conclusione, presenteremo la tassonomia dei tassi di cambio, mettendo in evidenza le principali caratteristiche dei diversi regimi e discutendo, più in generale, pro e contro di cambi flessibili e fissi. Particolare attenzione sarà rivolta al problema delle aree monetarie ottimali, data la particolare rilevanza dell'Euro. IL SISTEMA MONETARIO INTERNAZIONALE Si veda la lettura integrativa (tratta da un volume di Emilio Colombo e Marco Lossani) LA “TRIADE IMPOSSIBILE” Per poter analizzare la scelta del regime di cambio, è necessario introdurre il concetto di “triade impossibile”, che sottolinea l'inconciliabilità tra 1) integrazione finanziaria (libertà dei movimenti di capitale), 2) autonomia della politica economica e 3) stabilità del tasso di cambio. Queste tre condizioni non possono essere ottenuta congiuntamente, ed una deve essere sempre sacrificata. Ad esempio, un paese può godere dell'autonomia nel condurre la politica economica fissando il proprio tasso di cambio solo a costo di porre delle barriere alla libera circolazione dei capitali. Oggigiorno, in presenza di un grado sempre maggiore di integrazione finanziaria e a difficoltà crescenti nel bloccare i flussi di capitale, la scelta sembra rimanere tra la stabilità del cambio e l'autonomia della politica economica, così che il teorema della “triade impossibile” si è progressivamente trasformato nella scelta tra regimi fissi e flessibili. Le scelta di un regime flessibile, quindi, permette di conservare discrezionalità nel gestire la politica economica, mentre la scelta di un regime fisso implica l'abbandono dell'autonomia. Di seguito analizziamo più in dettaglio pro e contro dei due regimi estremi (fissi e flessibili), non considerando i regimi intermedi. Una breve tassonomia dei diversi regimi di cambio è invece presentata nell'ultima sezione. CAMBI FISSI VS CAMBI FLESSIBILI La scelta del regime di cambio dipende dalle caratteristiche economiche e istituzionali del paese e non esiste una scelta migliore a priori, valida in ogni situazione. Come è stato scritto da due importanti economisti – Guillermo Calvo e Frederic Mishkin - “No exchange rate regime can prevent macroeconomc turbolence. But the choice of the exchange rate regime can be better- or worse-suited to the economic institutions and charateristics of an economy”4. Il dibattito tra i fautori dei cambi flessibili e di un regime fisso è sempre stato molto intenso e, come abbiamo visto, il sistema monetario internazionale ha attraversato fasi diverse, fino ad arrivare all'abbandono del sistema di Bretton Woods e alla creazione di unioni monetarie su base regionale (l'Euro, ma anche le unioni valutarie tra paesi africani). Ragioni a favore di un regime flessibile Il vantaggio maggiore derivante dalla scelta di lasciare fluttuare liberamente il tasso di cambio è il mantenimento 4 Calvo e Mishkin, 2003, The Mirage of Excahnge Rate Regimes for Emerging Markets Countries”, Journal of Economic Perspectives, 17(4): 99-118. del controllo della politica monetaria. In questo modo, di fronte ad uno shock esogeno negativo (si pensi, ad esempio, ad una caduta della domanda estera) il policy-maker può espandere l'offerta monetaria e abbassare il tasso di interesse, stimolando l'economia e inducendo un deprezzamento del tasso di cambio che rende le esportazioni più competitive e migliorando la bilancia commerciale5. Per questo motivo, il tasso di cambio rappresenta un ulteriore ammortizzatore che l'economia domestica ha a disposizione per fronteggiare gli shock esterni. L'autonomia monetaria, nonostante rappresenti un indubbio vantaggio, può comunque trasformarsi in un rischio, soprattutto per le economie emergenti. Queste, infatti, non sempre hanno le necessarie capacità e la credibilità per seguire politiche economiche anti-cicliche e non inflazionistiche. Anzi, in assenza di un forte grado di indipendenza della banca centrale dal potere politico, la discrezionalità della politica monetaria può trasformarsi in inflazione, fornendo un valido argomento, come illustrato sotto, a favore di un regime di cambi fissi. Un ulteriore vantaggio dei regimi flessibili, rispetto a quelli fissi, consiste nel non essere soggetto ad attacchi speculativi che possono indurre crisi valutarie (si veda, ad esempio, la crisi della Lira e di altre valute dello SME nei primi anni Novanta). Ragioni a favore di un regime fisso Nonostante un regime di cambi fissi implichi il sacrificio dell'autonomia della politica monetaria, molti paesi, soprattutto tra le economie emergenti e in via di sviluppo, hanno optato (e optano) per cambi fissi o comunque semi-fissi. Quali ne sono le ragioni? Innanzitutto, un cambio fisso protegge contro gli effetti avversi della volatilità del tasso di cambio: si pensi semplicemente ai costi che le variazioni del tasso di cambio comportano per le attività commerciali e di investimento internazionali delle imprese. Secondariamente, l'ancoraggio della valuta domestica ad una valuta estera forte, emessa da un paese a bassa inflazione, ha il vantaggio di facilitare il controllo dell'inflazione domestica, attraverso un effetto “disciplina” che impone di evitare di perseguire politiche troppo espansionistiche, incompatibili con la fissità del tasso di cambio. In altre parole, l'ancoraggio ad una valuta estera gestita da una banca centrale indipendente, consente di importare quella credibilità che le istituzioni nazionali non sono ancora riuscite a guadagnarsi. Tuttavia, questo vantaggio è valido fintanto che il paese si dimostra credibile nel mantenere il tasso di cambio fisso. Per questo motivo, in assenza di questa credibilità, alcuni regimi di cambio fisso, come il currency board (vedi infra) rendono estremamente difficile e costoso l'abbandono della parità. Infine, una terza ragione che ha spinto molti paesi a optare per un regime di cambi fissi è che ciò ha facilitato il rientro dell'inflazione a valori normali, dopo crisi inflazionistiche. UNA TASSONOMIA DEI REGIMI DI CAMBIO Il Fondo Monetario Internazionale classifica i regimi di cambio in una tassonomia de facto sulla base della loro flessibilità e sulla presenza di impegni formali o informali a seguire un certo andamento. In ordine crescente di flessibilità i regimi di cambio identificati da questa tassonomia sono: 5 • Dollarizzazione: nel paese viene adottata una moneta emessa da un altro paese (in genere il dollaro). E' un caso estremo di tasso di cambio fisso in cui la politica monetaria è svolta dal paese estero, che gode anche dei proventi del signoraggio. L'adozione di una valuta comune a più paesi, come nel caso dell'euro, ricade in questa categoria. • Currency Board: è un regime di cambio basato sull'istituzionalizzazione del vincolo della politica monetaria (attraverso una legge speciale o l'inserimento nella costituzione). Il currency board è un'autorità monetaria che si sostituisce o si affianca alla Banca centrale ed emette valuta soltanto se questa è coperta da un eguale ammontare di valuta estera alla quale la valuta domestica è legata da un cambio fisso. L'operato della banca centrale del paese che adotta il currency board è legato alla condotta Il saldo della bilancia commerciale è dato dalla differenza tra il valore delle esportazione e quello delle importazioni. Un deprezzamento del tasso di cambio rende i prodotti esteri relativamente più costosi di quelli domestici, così che aumentano le esportazioni e si contrae l'import. In realtà, a seguito di un deprezzamento del cambio, il saldo della bilancia commerciale può inizialmente peggiorare e solo nel medio periodo migliorare, a causa del cosiddetto effetto J-curve. della banca centrale del paese verso cui il tasso è stato fissato (con conseguente perdita di autonomia della politica monetaria). • Tasso di cambio fisso (Peg): il tasso di cambio della valuta domestica è fissato ad un'altra valuta (o ad un paniere di valute) e può oscillare in una banda piuttosto limitata tra -/+ 1-2%. Non c'è alcun impegno legale a mantenere la parità irrevocabilmente, ma la banca centrale si impegna a mantenere la parità centrale attraverso interventi diretti (acquisto/vendita di valuta estera) o indiretti (manovre sui tassi). La flessibilità della politica monetaria, benché limitata, è mantenuta, soprattutto perché le “barriere all'uscita” sono deboli ed un paese può decidere di abbandonare il tasso di cambio o modificare la parità (riallineamento). Si tratta in genere di accordi unilaterali (un paese fissa la propria valuta ad una estera), ma esistono anche accordi multilaterali (come lo SME). • Crawling peg (parità strisciante): il tasso di cambio è ancora ancorato ad una valuta (o ad un paniere di valute), ma la parità viene aggiustata periodicamente (con variazioni ridotte) sulla base di alcuni indicatori prefissati, generalmente il differenziale inflazionistico tra i due paesi. • Fluttuazione all'interno di una banda: il tasso di cambio viene lasciato fluttuare liberamente all'interno di una banda di oscillazione e la banca centrale interviene solo quando il tasso di cambio si avvicina agli estremi. La parità centrale e i margini possono essere fissi (target zone) o aggiustati periodicamente sulla base di alcuni indicatori predeterminati (crawling bands). Il grado di flessibilità del cambio dipende dall'ampiezza della banda. • Fluttuazione sporca (managed floating): l'autorità monetaria cerca di influenzare il tasso di cambio attraverso interventi diretti o indiretti, ma senza avere un preciso obiettivo di cambio. Gli interventi sono sporadici e determinati da eventi particolari (ad esempio, un peggioramento non strutturale della bilancia dei pagamenti). • Tassi di cambio perfettamente flessibili (independently floating): il tasso di cambio è determinato unicamente dalle forze di mercato, senza alcun intervento delle autorità monetarie mirato a stabilizzare o indirizzare il tasso di cambio. La tabella riportata alla fine della dispensa, pubblicata dal Fondo Monetario Internazionale, mostra la distribuzione delle diverse valute secondo la precedente classificazione. I regimi di cambio sono anche classificati a seconda del tipo di politica monetaria, a seconda che l'obiettivo sia il controllo del tasso di cambio ( exchange rate anchor), degli aggregati monetari (monetary aggregate target) o del livello dei prezzi (inflation targeting). L'EVOLUZIONE DEI REGIMI DI CAMBIO Come abbiamo ricordato, il dibattito sulla scelta del regime di cambio ottimale è sempre stato molto acceso e ciò si è riflettuto nell'alternanza della prevalenza di diversi regimi. La Figura 1 mette in luce, ad esempio, il crollo del sistema di Bretton Woods negli anni Settanta e la conseguente riduzione del peso dei regimi di cambio fissi, la cui importanza però è aumentata nel corso dell'ultimo decennio, a seguito del successo delle unioni monetarie. In particolare, quando, nel corso degli anni Novanta, sembrava che i regimi di cambio fissi avessero raggiunto un certo grado di rispettabilità grazie alla capacità di fornire un'ancora monetaria per il controllo dell'inflazione, una serie di attacchi speculativi da parte di investitori che non credevano nella sostenibilità della parità delle valute di alcuni paesi emergenti determinò una serie di costose crisi finanziarie. Come reazione, e anche per via dell'aumentata mobilità dei capitali, si creò un consenso tra gli economisti per cui si prevedeva che ci si sarebbe spostati verso un sistema di cambi bipolare, in cui sarebbero prevalsi i regimi estremi, relativamente immuni da attacchi speculativi. Da un lato i cambi “superfissi” (superfix), come il currency board e la dollarizzazione, e dall'altro i “superflessibili” (superflex). L'economista Stanley Fischer sottolinea come, nel corso degli anni Novanta, si sia assistito ad uno spostamento verso regimi di cambio estremi (hard peg e float) a cui è corrisposto una diminuzione dei paesi con regimi intermedi6. La sua analisi mette in luce che, per i paesi aperti ai movimenti di capitale (per cui la triade impossibile diventa una scelta bipolare), i regimi intermedi (chiamati soft peg – tasso fisso, crawling peg, 6 Fischer, 2001, Exchange Rate Regimes: Is the Bipolar View Correct?, Journbal of Economic Perspectives, 15(2): 3-24. crawling band) non sono sostenibili poiché espongono i paesi a crisi valutarie nel lungo periodo. Viceversa, la scelta di un regime fisso rigido (hard peg) ha senso per i paesi con una lunga storia d instabilità monetaria e/o per paesi che sono tra loro fortemente integrati sia a livello finanziario che commerciale (si pensi all'area Euro). Infine, un regime di cambio perfettamente flessibile è preferibile per paesi che hanno una lunga tradizione di stabilità monetaria, che non hanno validi partner con cui creare un'unione monetaria, e che credono che la flessibilità del cambio sia un utile strumento per gestire gli shock esterni. Figura 1: Evoluzione dei regimi di cambio Tuttavia, nonostante il prevalere di questa visione bipolare, gli economisti Calvo e Reinhart hanno riscontrato che molti paesi, soprattutto tra le economie emergenti, dichiarano un tasso di cambio flessibile ma, di fatto, adottano un cambio fisso7. Questa “paura di fluttuare” (fear of floating) è dovuta alle necessità dei paesi di cercare di stabilizzare il cambio il più possibile, dato che l'elevato debito estero e la dollarizzazione delle passività rendono molto costosi gli aggiustamenti del tasso di cambio. Inoltre, alcuni paesi intervengono sul mercato dei cambi secondo un alogica mercantilistica, mantenendo il tasso si cambio artificiosamente deprezzato per stimolare le esportazioni e trainare la crescita (si veda l'esempio cinese). AREA MONETARIA OTTIMALE Come detto, le ricorrenti crisi valutarie che hanno colpito molti paesi con cambi fissi ( pegging) ha favorito l'emergere di un sistema bipolare. Da un lato del sistema, quello legato a regimi fissi, è emersa la tendenza a creare unioni monetarie: nel 1998 ha preso l'avvio l'Unione Monetaria Europea (UME), mentre in Africa sono state create nel 1994 la West African Economic and Monetary Union (WAEMU) e la Central African Economic and Monetary Community (CAEMC). Le aree monetarie ottimali sono gruppi di regioni con economie strettamente legate fra loro per lo scambio di prodotti e servizi e per la mobilità dei fattori. Questa definizione deriva dall'osservazione che un'area a cambi fissi è nell'interesse di tutti i paesi partecipanti, se il volume degli scambi e la mobilità dei fattori tra questi paesi sono elevati. Come ha spiegato Mundell, il costo principale di rinunciare alla flessibilità del cambio tra diverse regioni, in presenza di rigidità di prezzi e salari, dipende dall'entità degli shock asimmetrici che colpiscono quelle regioni. Gli economisti definiscono shock asimmetrici quei cambiamenti imprevisti nella domanda e/o nell'offerta aggregata di un paese che non avvengono contemporaneamente in altri paesi. Ad esempio, una caduta violenta e improvvisa della domanda per investimenti in Italia, che non colpisca simultaneamente la domanda aggregata in Irlanda è uno shock asimmetrico. Senza la flessibilità del tasso di cambio, il riallineamento dei prezzi relativi, che è necessario per riportare le due economie in equilibrio, dovrà avvenire attraverso variazioni dei prezzi e dei 7 Calvo e Reinhart, 2002, Fear of Floating, Quarterly Journal of Economics, 117(2): 379-408. salari relativi, oppure attraverso lo spostamento da un paese all'altro di fattori produttivi. In generale, i fattori che possono ridurre i costi di un'unione monetaria (e quindi della rinuncia ad usare la flessibilità del tasso di cambio) sono: • un'elevata mobilità del lavoro tra regioni; • un alto grado di apertura al commercio tra regioni; • l'assenza di shock asimmetrici. Pertanto, un'area monetaria ottimale dovrebbe presentare le suddette caratteristiche. I costi di un'unione monetaria derivano dal fatto che, nel momento in cui rinuncia alla propria moneta nazionale, un paese rinuncia anche a uno strumento di politica economica, cioè perde la capacità di gestire una politica monetaria nazionale. In un'unione monetaria completa la Banca Centrale o cesserà di esistere oppure non avrà un potere effettivo. Di conseguenza, una nazione che aderisca a un'unione monetaria non sarà più in grado di modificare il prezzo della propria valuta (attraverso svalutazioni e rivalutazioni) o di determinare la quantità di moneta nazionale in circolazione o di variare il tasso d'interesse a breve. Supponiamo che 2 paesi - Francia e Germania - formino un'unione monetaria e consideriamo uno spostamento della domanda: ipotizziamo che per una qualche ragione i consumatori modifichino le preferenze, passando dai prodotti francesi a quelli tedeschi. Entrambi i paesi dovranno fronteggiare un problema di aggiustamento. In Francia la produzione è minore e la disoccupazione è maggiore, mentre la Germania entra in una fase di espansione con pressioni al rialzo dei prezzi e accumulazione di avanzi delle partite correnti. Esiste un meccanismo di aggiustamento che conduce automaticamente a un riequilibrio senza che i paesi debbano ricorrere a svalutazioni e rivalutazioni? La risposta è affermativa: esistono due meccanismi: 1. flessibilità salariale; 2. mobilità del lavoro. La flessibilità salariale nei due paesi tende a riportare l'equilibrio nella posizione iniziale, grazie a salari e prezzi più alti in Germania che in Francia che rendono i prodotti francesi più competitivi aumentando la domanda aggregata francese e contraendo quella tedesca. In presenza di mobilità del lavoro i lavoratori francesi disoccupati si trasferiscono in Germania dove c'è un eccesso di domanda di lavoro. Ciò elimina la necessità di far diminuire i salari in Francia e di aumentarli in Germania: il problema della disoccupazione in Francia scompare e le pressioni salariali inflazionistiche in Germania svaniscono. Tuttavia, se queste condizioni non sono soddisfatte il problema dell'aggiustamento non scomparirà: se i salari in Francia non diminuiscono, nonostante la disoccupazione e i lavoratori francesi non si trasferiscono in Germania, l'aggiustamento del disequilibrio in Francia assumerà la forma di inflazione in Germania. Se i due paesi non avessero aderito a un'unione la Francia avrebbe svalutato e la Germania avrebbe rivalutato la propria moneta. Riassumendo: se i salari sono rigidi e se la mobilità del lavoro è limitata, i paesi che formano un'unione monetaria incontreranno maggiori difficoltà ad adeguarsi a variazioni della domanda rispetto a paesi che hanno mantenuto le proprie moneta nazionali e che quindi possono ricorrere a manovre sui cambi. Un'unione monetaria tra due o più paesi è ottimale se è soddisfatta una delle seguenti condizioni: a) vi è sufficiente flessibilità salariale; b) vi è sufficiente mobilità del lavoro. L'analisi sinora condotta non è però completa. Bisogna aggiungervi la dimensione legata agli aspetti di assicurazione contro il rischio. Quando un paese è colpito da shock asimmetrici è importante oltre alla flessibilità e mobilità del mercato del lavoro, che sussistano meccanismi che prevedano trasferimenti di reddito, in modo da alleviare il costo che lo shock impone ai cittadini residenti in quel paese. In assenza di tali meccanismi, i costi di adesione ad un'unione monetaria possono essere elevati. Nel caso descritto in precedenza, possiamo ipotizzare che un trasferimento di reddito dalla Germania alla Francia allevierebbe certamente il problema economico francese. Come organizzare il trasferimento? Bisogna ricordare che il principio che dovrebbe ispirare i diversi schemi assicurativi è che i trasferimenti non devono ostacolare il meccanismo di aggiustamento (che opera mediante le variazioni del salario e la mobilità del lavoro). Infatti, se i trasferimenti avessero questo effetto, il paese che ne beneficia continuerebbe a trovarsi in uno stato di disequilibrio e i trasferimenti assumerebbero un carattere permanente, diventando alla lunga non sostenibili. Vi è quindi il rischio di comportamenti di "azzardo morale" ( moral hazard), impliciti in ogni schema assicurativo. IL PROBLEMA DELLE MONETE DOMINANTI Allo stato attuale, come abbiamo visto, il dollaro è ancora la valuta dominante a livello internazionale, data la sua rilevanza negli scambi commerciali e finanziari (basti pensare alla valuta in cui sono quotate le materie prime, il petrolio, etc.) e nello stock di riserve estere detenute dalle banche centrali. Tuttavia, non è sempre stato così e lo stesso dollaro ha sopravanzato la sterlina come moneta di riferimento dopo la prima guerra mondiale e ora si discute della possibilità che si crei una valuta sovranazionale o che altre valute (ad esempio l'euro) sopravanzino il dollaro8. Teoricamente, i fattori che determinano l'utilizzo internazionale di una valuta si basano sul trade-off tra i benefici derivanti dalle network externalities e i costi associati alle perdita di diversificazione. Nel primo caso, è evidente che esistono economie esterne e di scala per cui è conveniente adoperare una moneta se anche gli altri fanno lo stesso (si può pensare ad una semplice analogia con la scelta di una lingua). Il fatto che altre valute non avessero mercati sufficientemente grandi e liquidi ha giustificato la rilevanza del dollaro nel corso del dopoguerra. Ora però, la crescita di altre valute (l'euro, ma anche la valuta cinese) fa sì che sia possibile diversificare con costi di transazione sufficientemente bassi. La letteratura economica ha individuato la dimensione del mercato, la forza dell'economia e il grado di apertura commerciale del paese che emette la valuta come le caratteristiche principali alla base dell'internazionalizzazione di una valuta. A questo proposito, si argomenta, la maggiore attenzione della Banca Centrale Europea all'inflazione rispetto alla crescita dovrebbe costituire un ulteriore elemento di vantaggio del dollaro. In secondo luogo, il ruolo di moneta dominante è associato anche a bassi tassi di inflazione e alla stabilità del tasso di cambio. Inoltre, la presenza di mercati finanziari efficienti e liquidi è un'ulteriore fattore che favorisce l'utilizzo internazionale di una moneta. Infine, ma non per questo meno importante, giocano un ruolo chiave anche l'inerzia ed il peso politico del paese emittente. Non a caso il sorpasso del dollaro nei confronti della sterlina ha coinciso con il declino dell'impero britannico, culminato con la crisi di Suez del 1956, e l'ascesa degli Stati Uniti come potenza dominante a livello mondiale. Anche in questo caso, la mancanza di un governo unico europea gioca a svantaggio dell'euro. Per la discussione: Potrà l'euro diventare una moneta internazionale? Quale ruolo per una moneta sovranazionale? 8 Per un approfondimento del dibattito tra l'importanza relativa di Euro e Dollaro si vedano i contributi di Posen, “Why the Euro Will not Rival the Dollar” e di Chinn e Frankel, “Why the Euro Will Rival the Dollar”, entrambi pubblicati su International Finance, 11(1), 2008. 3. Il mercato dei cambi INTRODUZIONE In questo terzo capitolo verrà introdotto il mercato dei cambi. L'andamento del tasso di cambio di una valuta ha effetti estremamente importanti per l'economia reale: il saldo di conto corrente di un paese, e quindi la sua competitività e la domanda aggregata, dipendono infatti dal tasso di cambio. E' quindi fondamentale avere chiaro i meccanismi e le variabili che influenzano l'andamento di una valuta. In questa parte, verrà dapprima definito il concetto di tasso di cambio, distinguendo tra tassi a pronti e tassi a termine. Successivamente, analizzeremo il mercato globale dei cambi, delineandone le principali caratteristiche, gli strumenti finanziari utilizzati. Nella seconda parte, verranno illustrate le determinazioni della domanda di attività in valuta estera. Nel prossimo capitolo, invece, ci concentreremo invece sulle condizioni di parità e sull'equilibrio nel mercato dei cambi. IL TASSO DI CAMBIO I tassi di cambio esprimono i prezzi relativi delle valute e in genere sono quotati secondo la modalità del certo per l'incerto (1 euro pari ad una quantità variabile di altre divise). Secondo questa convenzione, un aumento del tasso di cambio significa un aumento di valore della valuta domestica e quindi si parla di apprezzamento; al contrario, ad una riduzione del tasso di cambio è associato un deprezzamento della valuta9. Esistono due tipi di transazioni per i tassi di cambio. Le transazioni spot (a pronti) coinvolgono lo scambio immediato di depositi bancari (in realtà entro due giorni lavorativi dalla chiusura del contratto). Le transazioni forward (a termine) prevedono che lo scambio dei depositi nacari avvenga in una data futura specificata nel contratto (trenta, novanta, centottanta giorni, ma anche oltre). A queste due transazioni corrispondono due prezzi, o tassi di cambio, quello spot e quello a termine. I tassi di cambio vengono pubblicati quotidianamente nella rubrica “cambi e Tassi” del Sole 24 Ore (si veda l'inserto Finanza e Mercati). In particolare, la tabella “Euro a pronti e a termine” riporta il valore delle principali valute rispetto ad un euro. Le prime due colonne, in particolare, si riferiscono al prezzo delle transazioni spot, mentre le colonne successive riguardano i tassi per le transazioni forward che avranno luogo a 1, 2, 3, 6 e 12 mesi. Nello specifico, per ciascuna scadenza sono riportati due tassi di cambio, definiti denaro ( bid) e lettera (ask). Il primo è il prezzo al quale chi espone la quotazione (tipicamente una banca) è disposto ad acquistare euro (e dunque a vendere dollari, se si osserva la prima riga): per esempio, in base ai prezzi del 2 Ottobre 2009, i soggetti disposti a tale acquisto proponevano di pagare un prezzo di 1,4609 dollari per euro. Viceversa il tasso di cambio lettera è il prezzo al quale chi quota è disposto a vendere un euro (1,4611, il 2 Ottobre 2009). La differenza tra le due quotazioni, sempre positiva, è chiamata spread e rappresenta la remunerazione degli intermediari (market maker) che offrono contratti sia di acquisto che di vendita di valuta, assicurando così al mercato la necessaria liquidità: spread = [(quotazione denaro – quotazione lettera)/quotazione lettera]*100 = 1,37% La tabella, infine, riporta per ogni riga sottostante le quotazioni, il premio o sconto a termine dell'euro rispetto alla valuta estera. Tale premio o sconto è misurato in termini di differenza tra il prezzo a termine e il prezzo spot. Ad esempio, confrontando il tasso denaro del cambio euro/dollaro a tre mesi con il corrispondente tasso spot si evince che l'euro presenta uno sconto pari a 0,0002 dollari (=(1,4609-1,4606)/1,4606). Infine, come emerge dalla Figura 1, i tassi spot e forward tendono a muoversi nella stessa direzione, con un elevata correlazione. La ragione di questi co-movimenti risiede nella condizione di parità coperta dei tassi di 9 La quotazione certo per incerto è una convenzione ed in altri paesi il tasso di cambio è misurato secondo la modalità incerto per certo (ad esempio: 0,68 euro per un dollaro). In questo secondo caso, ad un aumento del tasso di cambio corrisponde un deprezzamento della valuta: se si passa da 0,68 euro a 1 euro per dollaro significa che l'euro ha perso di valore – si è deprezzato – relativamente al dollaro. interesse (si veda in seguito) che richiede che i tassi a termine e a pronti cambino grosso modo nella stessa proporzione in risposta ad eventi economici attesi che influiscono sui rendimenti attesi delle attività. Figura 1: Tassi di cambio a pronti e a termine, dollaro/sterlina, 1981-2007. Fonte: Krugman e Obstfeld, Economia Monetaria Internazionale, vol.2, Pearson, 2007. FOCUS: Storia di due dollari (tratto da: Pearson, 2007) Krugman e Obstfeld, Economia Monetaria Internazionale, vol.2, Nella prima metà degli anni Settanta, il dollaro statunitense e quello canadese si scambiavano ad un tasso di cambio all'incirca pari ad 1. Nonostante le limitate restrizioni al commercio e la prossimità geografica, linguistica e culturale, le economie statunitense e canadese sono piuttosto diverse e i rispettivi governi hanno spesso messo in atto politiche macroeconomiche differenti. Di conseguenza, il tasso di cambio tra i due dollari ha mostrato un trend caratterizzato dal deprezzamento del dollaro canadese rispetto a quello statunitense. Tuttavia, si sono verificate anche ampie oscillazioni intorno al trend (le cui ragioni saranno chiare nelle prossime lezioni). Le conseguenze di queste oscillazioni dovrebbero essere chiare: quando il dollaro canadese crollava (1986-87, 1991-2001) gli esportatori canadesi erano avvantaggiati perché potevano vendere i propri prodotti negli Stati Uniti più facilmente mentre le importazioni risultavano più care. Le posizioni si invertivano nelle fasi di apprezzamento del dollaro canadese con gli esportatori nazionali esposti ad una maggiore concorrenza dall'estero. Non solo gli esportatori comunque soffrirono durante la fase di apprezzamento ma anche il settore del turismo ne risultò indebolito a causa del ridotto afflusso di turisti. Le forti interconnessioni tra i due Paesi forniscono un'immagine particolarmente vivida degli effetti prodotti dalle variazioni del tasso di cambio sui prezzi relativi. Quando il dollaro canadese raggiunse il picco del '91 molti negozi delle città canadesi di confine chiusero poiché i consumatori locali trovarono conveniente fare i loro acquisti negli Stati Uniti. Allo stesso tempo, i centri commerciali aprirono punti vendita appena a sud del confine. Alle Cascate del Niagara, dove ogni giorno migliaia di persone attraversano il confine in entrambe le direzioni la scelta dei ristoranti era basata sul valore dei tassi di cambio. Inoltre, le oscillazioni del tasso di cambio possono creare particolari problemi per quelle imprese che sostengono una quota consistente dei loro costi in un Paese ma generano una parte rilevante dei loro ricavi nell'altro. Considerate, ad esempio, la squadra di baseball di Toronto: poiché la squadra ingaggia i giocatori sul mercato statunitense paga salari in dollari statunitensi; tuttavia, gran parte dei ricavi (incluse le vendite dei biglietti) è in dollari canadesi (un fenomeno simile si registra per l'ingaggio di giocatori statunitensi da parte delle squadre di basket italiano). Dunque, poiché un deprezzamento del dollaro canadese fa aumentare i costi della squadra, lasciando inalterati i ricavi, il team manager deve preoccuparsi dell'oscillazione del tasso di cambio molto più di quanto non debba fare il suo collega statunitense. Gli amministratori finanziari cercheranno quindi di prevedere i bisogni futuri di dollari statunitensi e di acquistarne in anticipo la quantità necessaria, attraverso contratti a termine (vedi infra) per proteggersi dal rischio di cambio ed evitare così gli effetti negativi delle variazioni del tasso di cambio. Quando il tasso di cambio oscilla molto di frequente, però, gli errori sul mercato di cambio possono avere conseguenze assai più gravi di quelli commessi nel campo! IL MERCATO DEI CAMBI Il mercato dei cambi (foreign exchange market, o forex) è il mercato in cui si scambiano le valute ed è costituito dall'insieme delle transazioni valutarie. Esso è di gran lunga il più grosso mercato nel mondo, in termini di valore delle transazioni, e include gli scambi che avvengono tra grosse istituzioni bancarie, banche centrali10, speculatori valutari, imprese multinazionali, governi ed altri mercati finanziari ed istituzioni (I trader retail – generalmente piccoli speculatori, ma anche hedger – sono una parte minima di questo mercato). L'attività di scambio che ha luogo quotidianamente nei mercati dei cambi globali è pari, in media, ad oltre 3.000 miliardi di dollari. Il forex è unico sotto numerosi profili: • volume degli scambi (si vedano le statistiche riportate di seguito); • l'estrema liquidità e integrazione del mercato che limita le possibilità di arbitraggio tra le diverse piazze in cui sono quotati i tassi di cambio e rende minimi gli spread, generalmente contenuti tra 1 e 3 punti base; • il gran numero e la varietà degli operatori attivi sul mercato (banche commerciali, istituzioni finanziarie non bancarie, società e imprese, banche centrali); • il decentramento geografico (Londra, New York, Tokyo, Francoforte e Singapore sono le principali mercati); • la durata giornaliera degli scambi - 24 ore al giorno (il mercato apre a Sydney e chiude a San Francisco, con gli scambi concentrati tra le 8 e le 14 GMT); • la varietà di fattori che influenzano i tassi di cambio (si veda la prossima lezione). Il mercato dei cambi assolve tre funzioni principali: • trasferisce il potere d'acquisto tra paesi. Questa funzione è necessaria perchè il commercio internazionale e le transazioni di capitali normalmente coinvolgono controparti residenti in paesi con valute differenti che desiderano ciascuno negoziare nella propria valuta; • fornisce credito per il commercio internazionale. Dal momento che i movimenti di beni tra paesi non sono istantanei, gli spostamenti devono essere finanziati. Il forex costituisce una fonte di credito attraverso strumenti specifici come le lettere di credito; • minimizza il rischio di cambio. Il forex consente di trasferire il rischio di cambio da soggetti avversi (imprese) a soggetti desiderosi, per motivi diversi, di assumerlo. 10 Le banche centrali possono intervenire sul mercato dei cambi sia direttamente che indirettamente. Nel primo caso, usano il mercato dei cambi movimentando le loro riserve in valuta nazionale, nel secondo caso utilizzando gli strumenti di politica monetaria. Il loro obiettivo non è di trarre profitto dal mercato dei cambi, quanto di influenzare il corso della propria valuta. Il forex è un mercato Over The Counter (OTC): a differenza della borsa valori non esiste un’unica piazza finanziaria di riferimento, non c’è concentrazione degli scambi e le transazioni non sono standardizzate. Questa caratteristica, che tra l’altro permette di entrare sul mercato anche con importi minimi, è stata essenziale per la diffusione del mercato sia in termini geografici sia in termini di accessibilità a tutti i tipi di agenti. Inoltre la possibilità di decidere di volta in volta la quantità con la quale entrare sul mercato permette a chiunque di adottare strategie di money management e assett allocation. Originariamente il trading sul forex a condizioni competitive era appannaggio esclusivo delle maggiori banche mondiali, che concludevano transazioni tra di loro all’interno di un circuito riservato e gli ordini erano impartiti quasi esclusivamente via telefono. A tale strumento di comunicazione si aggiunsero poi il telex, il fax, e poi altri strumenti collegati alla diffusione dei computer, fino ad arrivare alle moderne piattaforme di trading. Questa tecnologia ha permesso di rendere accessibile anche ai piccoli operatori la liquidità delle maggiori banche mondiali. Si possono distinguere alcuni gruppi fondamentali di partecipanti al mercato valutario: 1. hedgers: in questo gruppo la maggioranza è costituita da imprese che si occupano di import-export o che si finanziano in valuta straniera. La loro intenzione e quella di ridurre/coprirsi dal rischio di cambio attraverso l'acquisto di contratti a termine o di derivati (vedi infra). Si tratta soprattutto di medie e grandi aziende di commercio internazionale. 2. speculatori: si tratta sia di aziende che di persone fisiche che investono al fine di guadagnare sulle differenze di prezzo dei contratti a termine (che derivano dall'incertezza riguardante il valore futuro atteso del tasso di cambio) attraverso operazioni rischiose. L'obiettivo è quello di realizzare extra-profitti mediante l'assunzione di posizioni aperte caratterizzate da uno squilibrio tra le loro attività e passività in valuta. 3. arbitraggisti: a questo gruppo appartengono investitori provvisti di un grande capitale, i quali realizzano contemporaneamente transazioni prive di rischio su di un minimo di due mercati al fine di sfruttare le differenze di prezzo. 4. market makers: si tratta di istituzioni che si occupano di intermediazione nella circolazione valutaria e nelle transazioni tra hedgers e speculatori, possono essere banche, broker, agenti di cambio o piattaforme telematiche di trading. Statistiche sul FOREX La Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI, o Bank of International Settlements – BIS) pubblica ogni tre anni un'indagine sulle banche centrali (l'ultima Triennal Central Bank Survey pubblicata a fine 2007 è disponibile al sito www.bis.org), in cui vengono riportate le principali statistiche sul mercato dei cambi. Da Aprile 2004 ad Aprile 2007 il controvalore degli scambi giornalieri sui mercati dei cambi è aumentato del 69%, ed ammontava ad oltre 3.200 miliardi di dollari (tabella 1). Oltre un terzo di questi scambi avviene nel Regno Unito (Londra è la principale piazza finanziaria per il mercato dei cambi); gli Stati Uniti sono il secondo paese per importanza (vi si registra il 16,6% degli scambi), mentre Svizzera, Giappone e Singapore sono le altre tre piazze principali, tutte con quote di mercato intorno al 6%. Il 43% delle transazioni avviene nel mercato interbancario, il cui peso è andato diminuendo a favore delle transazioni tra altre istituzioni finanziarie, quali i fondi pensione, gli hedge fund e le assicurazioni. Il peso delle controparti non finanziarie è in crescita, ma ancora limitato al 17% del totale. Inoltre, gran parte del mercato è gestito da pochi operatori di grandi dimensioni, dato che 12 banche inglesi e 10 banche statunitensi gestiscono almeno il 75% degli scambi sul mercato locale dei cambi. Tab 1: Controvalore delle transazioni sul mercato globale dei cambi Media giornaliere in Aprile, miliardi di dollari 1992 1995 1998 2001 Transazioni Spot 394 494 568 387 Outright forwards 58 97 128 131 fino a 7 giorni … 50 65 51 oltre 7 giorni … 46 62 80 Foreign exchange swaps 324 546 734 656 fino a 7 giorni … 382 528 451 oltre 7 giorni … 162 202 204 Errori ed omissioni 44 53 60 26 Totale 820 1190 1490 1200 Totale ai tassi di cambio di Aprile 2007 880 1150 1650 1420 2004 631 209 92 116 954 700 252 106 1900 1970 2007 1005 362 154 208 1714 1329 382 129 3210 3210 Fonte: Banca dei Regolamenti Internazionale: Triennial Central Bank Survey 2007 Tab 2: Mercato globale dei cambi, distribuzione per valuta Quota percentuale del turnover giornaliero, Aprile 2007 2001 2004 90.3 88.7 US dollar Euro 37.6 36.9 Yen 22.7 20.2 Pound sterling 13.2 16.9 Swiss franc 6.1 6 Australian dollar 4.2 5.9 Canadian dollar 4.5 4.2 Swedish krona 2.6 2.3 Hong Kong dollar 2.3 1.9 Norwegian krone 1.5 1.4 New Zealand dollar 0.6 1 Mexican peso 0.9 1.1 Singapore dollar 1.1 1 Won 0.7 1.2 Rand 1 0.8 Danish krone 1.2 0.9 Rouble 0.4 0.7 Zloty 0.5 0.4 Indian rupee 0.2 0.3 Renminbi 0 0.1 New Taiwan dollar 0.3 0.4 Brazilian real 0.4 0.2 All currencies 200 200 Emerging market currencies 16.9 15.4 2007 86.3 37 16.5 15 6.8 6.7 4.2 2.8 2.8 2.2 1.9 1.3 1.2 1.1 0.9 0.9 0.8 0.8 0.7 0.5 0.4 0.4 200 19.8 Fonte: Banca dei Regolamenti Internazionale: Triennial Central Bank Survey 2007 Per quanto riguarda le valute maggiormente scambiate, si osserva che le tre principali coppie di valute contavano ad Aprile 2007 per oltre il 50% del totale degli scambi (Tabella 2). Le coppie dollaro/euro, dollaro/yen e dollaro/sterlina assorbivano, rispettivamente, il 27%, il 13% e il 12% del totale degli scambi. Il dollaro, benché stia perdendo quote di mercato, resta la valuta principale, poiché è coinvolta in oltre l'86% degli scambi. L'euro ha una quota di mercato pari al 37%, piuttosto stabile nel corso degli anni duemila, mentre lo yen ha perso oltre sei punti percentuali ed ha una quota di mercato pari al 16,5%, di poco superiore a quella della sterlina inglese. Questi dati testimoniano l'importanza del dollaro discussa nella precedente lezione e segnalano l'utilizzo del dollaro come valuta chiave (vehicle currency), cioè una valuta che viene ampiamente utilizzata per denominare contratti internazionali tra parti che non risiedono nel paese che emette la valuta chiave (si pensi agli scambi di materie prime). Alla riduzione del peso delle maggiori valute, è corrisposta un'ascesa delle valute dei paesi emergenti, coinvolte ormai in quasi uno scambio su cinque11. Per la discussione: guardando la tabella sulle valute, quali sono i dati che più sorprendono (se sorprendono...)? GLI STRUMENTI FINANZIARI Le tipologie di strumenti finanziari comunemente utilizzate nel marcato dei cambi sono molteplici: Contratti spot: una transazione spot è uno scambio caratterizzato dalla scadenza di due giorni. Questa transazione rappresenta uno "scambio diretto" tra due valute, ha la durata più breve, e riguarda denaro liquido più che un contratto; e gli interessi non sono inclusi nella transazione concordata. Contratti forward: come abbiamo visto, gli scambi non sono necessariamente regolati nell'immediato, ma possono anche essere regolati a termine. Infatti, un modo per fare fronte al rischio di cambio è l'utilizzo di un contratto forward. In tale transazione, il denaro non passa di mano fino ad una data futura prestabilita. Un compratore ed un venditore si accordano su di un tasso di cambio in una data futura, e la transazione si verifica in quella data al tasso di cambio stabilito, indipendentemente dai tassi di cambio di mercato effettivi. La durata di un tale contratto può essere di giorni, mesi o anche anni. Swap: La tipologia più comune di transazione forward è lo swap su valute. In uno swap, due parti si scambiano valute per un certo periodo di tempo e si accordano ad invertire la transazione in una data futura. In altre parole, si tratta di una vendita a pronti combinata con un riacquisto a termine della stessa moneta (si parla in questo caso di Forex swap, più complicato è il Currency swap, che include anche un interest rate swap). Gli swap non sono contratti standard e non vengono scambiati in un mercato, ma rappresentano ormai oltre la metà degli scambi sul forex (Tabella 1). Contratti future: I futures sulle valute estere sono transazioni forward caratterizzate da importi e scadenze standard. Con un contratto future, secondo la definizione che ne dà la Banca d'Italia, le parti si impegnano a scambiare ad una data prestabilita determinate attività oppure, nel caso di un future su valute, a versare o a riscuotere un importo determinato in base all'andamento di un indicatore di riferimento. Diversamente dai contratti forward, i contratti futures sono standardizzati e sono solitamente scambiati in un mercato creato ad hoc. La durata media del contratto è di circa 3 mesi. I contratti futures solitamente comprendono qualsiasi ammontare di interessi. Diversamente dai contratti a termine, peri quali non è possibile non completare la transazione a scadenza, il contratto future si può rivendere sul mercato, realizzando guadagni o perdite (la vendita può essere vantaggiosa se si pensa che il tasso a pronti futuro cambierà). Opzioni: un'opzione su valuta estera dà al proprietario il diritto di acquistare o vendere un determinato ammontare di valuta estera ad un certo prezzo in un qualsiasi momento fino a una data di scadenza prefissata. La controparte, il venditore dell'opzione, è obbligato a vendere o acquistare la valuta a discrezione del possessore dell'opzione, il quale non è obbligato a esercitare il suo diritto. L'utilizzo di questo strumento limita il rischio dei compratori al premio pagato (perduto alla scadenza se non è conveniente esercitare l'opzione), mentre espone il venditore a rischi teoricamente illimitati. Immaginiamo di essere incerti sulla data di un pagamento in valuta estera da ricevere il prossimo mese. Per evitare il rischio di una perdita, possiamo acquistare un'opzione put, che dà diritto di vendere la valuta a un tasso di cambio prefissato in un qualsiasi 11 Teoricamente, possono essere quotate tutte le possibili coppie di valute. In pratica, tuttavia, la gran parte degli scambi riguarda il dollaro, o poche altre valute di riferimento. Ciò avviene poiché è più conveniente, ad esempio, se si vuole scambiare valuta israeliana con bath tailandesi, convertire shekel in dollari e poi scambiare i dollari ottenuti in cambio di bath, piuttosto che trovare un possessore di valuta tailandese disposto a comprare moneta israeliana (lo spread sarebbe elevato a scarsa della ridotta liquidità del mercato). Allora i cross rates, anche se non quotati, possono essere calcolati come rapporto tra altri tassi di cambio: (shekel/bath) = (shekel/USD) * (USD/bath). giorno di un certo mese. Se invece ci aspettiamo di dover effettuare un pagamento in valuta sempre nello stesso mese può essere conveniente acquistare un'opzione call, la quale dà diritto ad acquistare valuta estera ad un prezzo dato. Figura 1: Turnover dei mercati dei derivati in valuta OTC (miliardi di dollari) Fonte: Banca dei Regolamenti Internazionale: Triennial Central Bank Survey 2007 Secondo le statistiche pubblicate dalla BRI, ad Aprile 2007 il volume giornaliero delle transazioni OTC in derivati sui cambi (pari a 2.319 miliardi di dollari) rappresentavano il 58% del totale del controvalore giornaliero del mercato OTC. L'attività in questo segmento di mercato è dominata dai contratti a termine (outright forward) e dai forex swaps, che ammontano al 90% del totale degli scambi. La diffusione degli altri strumenti, tuttavia, sta crescendo a tassi molto elevati: le transazioni i opzioni sono aumentate dell'81% (rappresentano ora il 9% del controvalore giornaliero), mentre i currency swap, che includono anche lo scambio di un flusso di interessi, sono cresciuti del 49%12. LA DOMANDA DI ATTIVITÀ IN VALUTA ESTERA Per comprendere i movimenti dei tassi di cambio è necessario comprendere come si determini la domanda per i vari tipi di depositi in valuta estera da parte dei principali operatori. Come per ogni curva di domanda di strumenti finanziari, anche i questo caso il fattore principale è rendimento dell'attività, in questo caso il suo valore futuro atteso, funzione del tasso di interesse e della variazione attesa del tasso di cambio. La definizione del rendimento di un'attività: Tasso di rendimento monetario: variazione percentuale del valore di un’attività in un certo periodo di tempo. Ad esempio, il rendimento annuale di un conto di risparmio di $100 con un tasso di interesse del 2% è $100 x 1,02 = $102, quindi il tasso di rendimento è = ($102 - $100)/$100 = 2% Tasso di rendimento reale: tasso di rendimento monetario aggiustato per l’inflazione. Espresso in termini di potere d’acquisto reale: quantità di beni e servizi reali che si possono acquistare con l’attività. Il tasso di rendimento reale per il conto di risparmio con inflazione pari a 1,5% è: 2% – 1,5% = 0,5%. L’attività può acquistare lo 0,5% in più di beni e servizi dopo un anno. Se i prezzi sono fissi ad un certo livello, l’inflazione è dello 0% e i tassi di rendimento (nominali) sono uguali ai tassi di rendimento reali. Per i depositi bancari in diverse valute spesso si ipotizza che i prezzi siano fissi ad un certo livello (una buona ipotesi di breve periodo). A parità di altre condizioni, gli individui preferiscono detenere le attività che forniscono i più alti tassi di rendimento attesi in termini reali. Tuttavia, le altre condizioni non sempre sono uguali, anzi spesso non lo sono. Infatti sia il rischio di detenere attività (grado di variabilità che essa conferisce alla ricchezza del risparmiatore) che la sua liquidità (la facilità con cui l'attività può essere venduta o scambiata) influenzano le decisioni di acquisto. I risparmiatori sono infatti generalmente avversi al rischio, così che un'attività che promette un 12 Rispetto al totale del mercato dei cambi a pronti, la sezione OTC è maggiormente concentrata in pochi centri finanziari: Londra e gli Stati Uniti contano per il 39% e per il 15% del controvalore giornaliero. La posizione leader dell'Inghilterra è confermata dal fatto che il 21% di tutte le transazioni ha una parte (leg) denominata in sterline. rendimento molto elevato potrebbe non essere attraente se i suoi rendimenti effettivi fluttuano notevolmente. La liquidità è ricercata per scopi precauzionali. Per semplicità, ipotizziamo che il rischio e la liquidità dei depositi bancari sul mercato dei cambi siano gli stessi, indipendentemente dalla valuta di denominazione. Così, il rischio e la liquidità sono di importanza solo secondaria nella decisione di acquisto o vendita di valuta. Gli importatori e gli esportatori potrebbero essere preoccupati da rischio e liquidità, ma rappresentano una piccola porzione del mercato. Ne consegue che gli investitori saranno principalmente interessati ai tassi di rendimento sui depositi bancari. I tassi di rendimento sono determinati da: • i tassi di interesse che le attività fruttano. • le aspettative di apprezzamento o deprezzamento. Per determinare il rendimento atteso di un deposito in valuta estera ci serviamo di un semplice esempio, basato su solo due paesi e su due valute, il dollaro (considerata come valuta domestica) e l'euro. Supponiamo che il tasso di interesse su un deposito in dollari sia il 2% e che il tasso di interesse su un deposito in euro sia il 4%. Un deposito in euro frutta un tasso di rendimento atteso maggiore? Apparentemente sì, ma la risposta dipende, come abbiamo appena visto, anche dalla variazione attesa del tasso di cambio tra dollaro e euro. Se il dollaro si dovesse apprezzare oltre un certo valore, allora il deposito in dollari risulterebbe più conveniente. Supponiamo che oggi il tasso di cambio sia $1/€1 e il tasso atteso a 1 anno sia $0,97/€1 e calcoliamo il rendimento atteso di un deposito in euro: • $100 oggi si possono scambiare per €100. • Questi €100 frutteranno €104 dopo 1 anno. • Ci si aspetta che questi €104 equivalgano a $0,97/€1 x €104 = $100,88. Il tasso di rendimento in dollari dell’investimento in depositi in euro è ($100,88-$100)/$100 = 0,88%. Paragoniamo questo tasso di rendimento con quello che deriva da un deposito in dollari: • Dopo 1 anno ci si aspetta che i $100 fruttino $102: ($102-$100)/$100 = 2% Il tasso di rendimento è semplicemente il tasso di interesse. Il deposito in euro ha un tasso di rendimento atteso inferiore: tutti gli investitori preferiranno i depositi in dollari e nessuno vorrà detenere depositi in euro. Si noti che il tasso atteso di apprezzamento dell’euro è ($0,97- $1)/$1 = -0,03 = -3%. Semplifichiamo l’analisi dicendo che il tasso di rendimento in dollari dei depositi in euro è circa uguale al tasso di interesse sui depositi in euro (R€) più il tasso atteso di apprezzamento sui depositi in euro (4% + -3% = 1% ≈ 0,88%): R€ + (Ee$/€ - E$/€)/E$/€ dove E$/€ è il tasso di cambio tra dollaro ed euro e Ee$/€ è il tasso di cambio atteso. La differenza nel tasso di rendimento tra depositi in dollari e depositi in euro è R$ - (R€ + (Ee$/€ - E$/€)/E$/€ ) = R$ - R€ - (Ee$/€ - E$/€)/E$/€ Quando questa differenza è positiva, i depositi in dollari garantiscono un rendimento atteso reale superiore, quando è negativa il rendimento reale atteso è quello dei depositi in euro. Con questi strumenti possiamo identificare la domanda di attività (depositi) in valuta sotto le ipotesi di uguaglianza di rischio e liquidità tra le attività denominate in valute diverse. Nella prossima lezione verrò analizzato l'equilibrio sul mercato dei cambi facendo riferimento alla condizione di parità dei tassi di interesse. 4. Le condizioni di parità e la determinazione del tasso di cambio INTRODUZIONE In questo capitolo concluderemo il percorso iniziato nella scorsa lezione discutendo l'equilibrio sul mercato dei cambi e le interrelazioni tra il mercato monetario e quello valutario. L'equilibrio del mercato si basa sulla condizione di parità dei tassi di interesse, che, tuttavia, vedremo non essere verificata empiricamente, almeno nella sua versione scoperta. Studieremo l'equilibrio sul mercato dei cambi sia nel breve che nel lungo periodo, sotto ipotesi di rigidità e flessibilità dei prezzi. Per riuscire tuttavia a spiegare l'eccessiva volatilità del tasso di cambio dovremo però far ricorso ad un modello elaborato da Dornbusch che riunisce caratteristiche di breve periodo con la completa neutralità della moneta, caratteristica del modello di lungo periodo. Nel testo delle lezioni ne verrà presentata una versione semplificata, basata sull'analisi grafica, mentre un approfondimento è disponibile in un documento a parte. Nella prossima lezione introdurremo la parità dei poteri d'acquisto e una teoria della determinazione del tasso di cambio basata sui prezzi relativi. Anche in quel caso, si discuterà l'evidenza empirica della relazione di parità. L'EQUILIBRIO SUL MERCATO DEI CAMBI Nella scorsa lezione abbiamo visto come la domanda di depositi in valuta estera dipenda, sotto determinate ipotesi, dal tasso di rendimento atteso. Data questa condizione, il mercato dei cambi si trova in equilibrio quando i depositi denominati in tutte le valute offrono lo stesso rendimento atteso. In altre parole, in presenza di mercati integrati, i rendimenti di attività finanziarie simili (per grado di rischio e liquidità) devono essere gli stessi, una volta espressi in valuta comune (condizione di parità dei tassi di interesse). In termini più formali, rimanendo all'interno dell'esempio del dollaro e dell'euro, la parità scoperta dei tassi di interesse (uncovered interest parity – UIP) prevede che il rendimento dei depositi in dollari sia uguale al rendimento dei depositi in euro più il tasso atteso di variazione del tasso di cambio: R$ = R€ - (Ee$/€ - E$/€)/E$/€ Il mercato dei cambi è in equilibrio soltanto quando vale la UIP. In questo modo, gli investitori sono indifferenti tra detenere un deposito in dollari che rende il 10% annuo e un deposito in euro, il cui rendimento è pari a 7% solo se si attendono che il dollaro si deprezzi del 3%. Così, il rendimento del deposito in euro ha lo stesso valore di quello in dollari, tenuto conto delle aspettative sul tasso di cambio. In caso contrario, se ad esempio ci fossero attese di un deprezzamento del dollaro solo dell'1%, gli investitori domanderebbero depositi in dollari e chi detiene depositi in euro cercherà di scambiarli con depositi in dollari, creando un eccesso di domanda di depositi in dollari e un eccesso di offerta di depositi in euro. Per determinare l'equilibrio sul mercato valutario è necessario determinare in che modo il tasso di cambio corrente influenza il rendimento atteso dei depositi in euro. L'obiettivo è di rappresentare sul piano ( E$/€ , R$) la condizione di parità dei rendimenti. Il rendimento di un deposito in dollari è rappresentato dalla curva verticale, la cui intercetta è R$, ed ovviamente non dipende dal tasso di cambio. Viceversa, quest'ultimo influenza negativamente il rendimento atteso in dollari dei depositi in euro. L'intuizione è che un deprezzamento corrente del dollaro (un maggiore E$/€ ), che non modifichi né i tassi di cambio attesi , né i tassi di interesse (ipotesi che abbandoneremo in seguito), riduce il rendimento atteso in dollari di un deposito in euro, poiché fa sì che sia necessario un minore deprezzamento futuro per raggiungere il valore futuro atteso del cambio. Restando all'esempio di prima, in cui si attendeva un deprezzamento del 3% e si partiva da un tasso di cambio 1 a 1, il rendimento atteso in dollari di un deposito in euro era pari al 10% [7% + (1,03- E$/€)/E$/€]. Se il cambio corrente si deprezzasse, ed E$/€ aumentasse a 1,02, allora il rendimento atteso in dollari del deposito in euro diventerebbe pari a: 7% + (1,03 – 1,02)/1,02 = 7,99%. Ne consegue che la curva che esprime il rendimento atteso sui depositi in euro è inclinata negativamente. Dall'intersezione delle due curve si determinano il tasso di cambio corrente e il rendimento in dollari di equilibrio (Figura 1). Come varia l'equilibrio al variare dei tassi di interesse e delle aspettative sul tasso di cambio corrente? Un aumento del tasso di interesse sulle attività in dollari fa spostare verso destra la curva verticale, provocando un apprezzamento del tasso di cambio (un minore E$/€ ). Se invece aumenta il tasso di interesse sulle attività in euro è la curva inclinata negativamente a spostarsi verso destra, generando un aumento del tasso di cambio E$/€ . A parità di altre condizioni, quindi, un aumento del tasso di interesse pagato sui depositi in una data valuta provoca un apprezzamento di quella valuta nei confronti delle altre. Per la discussione: quali sono le conseguenze di una diminuzione del tasso di cambio futuro atteso Ee$/€ ? Figura 1: L'equilibrio di breve periodo sul mercato valutario E$/€ Rendimento sui deposiiti in dollari E1$/€ A' 0 R1 $ Rendimento atteso sui deposiiti in euro R$ Determinato il funzionamento di breve periodo del marcato valutario, nella Figura 2 si evidenzia il legame tra moneta, tasso di interesse e tasso di cambio. Il quadrante in alto mostra l'equilibrio sul mercato valutario, come lo abbiamo appena descritto, mentre il quadrante in basso riposta il solito schema del mercato monetario (solo ruotato di 90° per avere l'asse del tasso di interesse in comune con il grafico superiore). In breve, l'equilibrio sul mercato monetario è rappresentato dall'incrocio tra l'offerta reale di moneta (MSUS/PUS), esogena rispetto al tasso di interesse nominale R$, e la domanda di moneta L(R$,YUS), funzione decrescente di R$ (all'aumentare dei tassi aumenta il costo opportunità di detenere moneta). Dall'analisi della Figura 2 si osserva chiaramente il legame tra la politica monetaria e il tasso di cambio. Una politica espansiva della FED, ad esempio, fa aumentare l'offerta di moneta (la curva orizzontale si sposta verso il basso e l'equilibrio si sposta da B a B'), determinando una riduzione del tasso di interesse statunitense. Questa riduzione fa spostare verso sinistra la curva verticale dei rendimenti dei depositi in dollari nel grafico superiore, portando il nuovo equilibrio in A'. Come risultato, ad un'espansione monetaria segue un aumento del tasso di cambio (deprezzamento). Al contrario, è semplice verificare che ad una contrazione monetaria segue un apprezzamento della valuta sul mercato dei cambi. Per la discussione: quali sono le conseguenze, nella Figura 2, di un aumento dell'offerta di moneta in Europa? Fino ad ora la nostra analisi si è limitata al breve periodo, assumendo che il livello dei prezzi e le aspettative sul tasso di cambio fossero date. Per avere chiaro il modo in cui domanda e offerta di moneta influenzano il tasso di cambio è tuttavia necessario rimuovere queste ipotesi e passare ad un'analisi di lungo periodo, in cui prezzi e salari (perfettamente flessibili) si aggiustano fino a determinare un equilibrio di pieno impiego. Sotto queste condizioni la condizione di equilibrio sul mercato monetario (MSUS/PUS = L(R$,YUS)) diventa: PUS = MSUS/L(R$,YUS) Il livello dei prezzi dipende dall'offerta di moneta, dal tasso di interesse e dal livello di produzione. In particolare, ceteris paribus, un aumento dell'offerta di moneta genera un incremento proporzionale del livello dei prezzi (neutralità della moneta). Poiché il tasso di cambio è anch'esso un prezzo – il prezzo della moneta – un aumento permanente dell'offerta di moneta di un paese provoca un deprezzamento proporzionale della sua moneta rispetto alle valute estere. Analogamente, una diminuzione permanente di MSUS provoca un apprezzamento proporzionale del dollaro nel lungo periodo Figura 2: L'equilibrio di breve periodo simultaneo sui mercati valutario e monetario E$/€ Mercato valutario E2$/€ A' A E1$/€ 0 R1 $ R2 $ (M sUS/PUS) 1 B (M sUS/PUS) 2 LE CONDIZIONI DI PARITÀ DEI TASSI INTERESSE: Domanda di moneta L(R$, YUS) Offerta di moneta Mercato monetario B' DI R$ VERIFICHE EMPIRICHE Abbiamo visto come l'equilibrio sul mercato valutario si basi sulla UIP, che prevede l'uguaglianza dei rendimenti delle attività in valuta, tenuto conto delle variazioni attese del tasso di cambio. Il mancato rispetto ex-ante della UPI è una condizione sufficiente perchè si verifichino flussi di capitale tra paesi, con gli investitori che sposterebbero i capitali nel paese con il rendimento maggiore. Queste operazioni di arbitraggio dovrebbero portare all'equilibrio ed al rispetto della parità dei tassi di interesse. Tuttavia, nella realtà la condizione di parità scoperta dei tassi di interesse viene sistematicamente rigettata: è allora possibile realizzare predictable excess returns indebitandosi sistematicamente nella valuta con tassi più bassi per investire nella valuta con tassi più alti. Per la discussione: Come si chiama questa strategia che sfrutta la mancata conferma della UIP? La scorsa lezione abbiamo visto che non esiste solo il tasso di cambio a pronti, ma anche quello a termine, che permette di eliminare il rischio di cambio. Mediante il ricorso ai mercati a termine gli investitori possono fissare al tempo t il valore del cambio al tempo t+1. L'utilizzo del tasso di cambio a termine (F$/€), invece di quello atteso, consente di determinare una seconda condizione di parità, dato che gli operatori saranno indifferenti tra due investimenti alternativi se e solo se i loro rendimenti sono uguali, ossia se: R$ = R€ - (F$/€ - E$/€)/E$/€ Questa condizione, chiamata parità coperta dei tassi d'interesse, prevede che il tasso di rendimento sui depositi in dollari deve essere uguale al tasso di rendimento dei depositi in euro più il premio a termine dell'euro nei confronti del dollaro (covered interest parity – CIP). La CIP mette in evidenza la stretta connessione tra il tasso di cambio a termine, il tasso di cambio a pronti e i rendimenti praticati sui depositi nelle due valute. Al contrario di quanto avviene per la parità scoperta, le verifiche della CIP trovano un valido supporto empirico. Ciò è ragionevole, poiché sarebbe strano che un mercato integrato e liquido come quello valutario lasciasse aperte opportunità per condurre con profitto operazioni di arbitraggio coperte dal rischio di cambio. INFLAZIONE E TASSO DI CAMBIO: L'OVERSHOOTING Mettendo insieme le due analisi di breve e lungo periodo, è possibile spiegare in maniera più esauriente il modo in cui il tasso di cambio reagisce a shock monetari, così da fornire una spiegazione alla volatilità del tasso di cambio, ben superiore a quella dei prezzi. Assumiamo quindi che i prezzi siano rigidi nel breve periodo, ma flessibili nel lungo e che gli agenti formino la loro aspettative in modo razionale. Cosa accade, sotto queste ipotesi, in seguito ad un'espansione monetaria permanente? Figura 3: Effetti di breve e lungo periodo di aumento permanente dell'offerta di moneta E$/€ E 2$/€ E$/€ 2' Mercato valutario E2 $/€ E 3$/€ 1'' R 1$ R2$ (M sUS /P US ) 1 (M sUS /P US ) 2 3' 1' E 1$/€ 0 Mercato valutario 2' R$ 0 Domanda di moneta L(R $ , YUS ) 1 2 Effetti di brev e periodo Offerta di moneta Mercato monetario R2$ R1$ (M sUS /P US )1 (M sUS /P US )2 3 2 R$ Domanda di moneta L(R $, Y US ) Offerta di moneta Mercato monetario Effetti di lungo periodo Iniziamo dal considerare le reazioni nel breve periodo (grafici a sinistra). Rispetto a quanto abbiamo già visto, ora si deve considerare che la variazione dell'offerta di moneta influisce anche sulle aspettative sul tasso di cambio. Dato che l'espansione è permanente, gli operatori si attendono che nel lungo periodo tutti prezzi, compreso il tasso di cambio, aumentino proporzionalmente. Perciò, il rendimento in dollari dei depositi in euro aumenta e la curva inclinata negativamente si sposterà verso destra. Ne consegue che il deprezzamento del dollaro (da E1$/€ a E2$/€) è superiore a quello che sarebbe avvenuto nel caso di assenza di variazioni delle aspettative (se, ad esempio, l'aumento di MS fosse temporaneo). Il nuovo equilibrio è nel punto 2', e non in 1'' (equilibrio senza variazione delle aspettative). Ora passiamo ad analizzare la dinamica di lungo periodo (grafici a destra). Nel lungo periodo i prezzi variano ed iniziano ad aumentare in risposta all'aumento di MS. Con il tempo, poiché la variazione dei prezzi è proporzionale a quella della moneta, l'offerta reale di moneta ritornerà ad il suo livello originario (MSUS/PUS)1. Al tempo stesso, anche il tasso di interesse cresce e ritorna al suo valore iniziale R$1 e sul mercato monetario si arriverà al punto di equilibrio 3. All'aumentare del tasso di interesse statunitense, il tasso di cambio reagisce apprezzandosi ( E$/€ diminuisce) e il mercato dei cambi converge verso il nuovo equilibrio di lungo periodo (3') muovendosi lungo la curva inclinata negativamente che rappresenta il rendimento in dollari dei depositi in euro. In definitiva, il tasso di cambio di lungo periodo E3$/€ è superiore a quello iniziale (il dollaro si è deprezzato a seguito dell'espansione monetaria), ma inferiore al valore raggiunto nel breve periodo (E2$/€): ciò significa che nel breve periodo il tasso di cambio si è deprezzato in misura maggiore di quanto compatibile con l'equilibrio di lungo periodo, come risultato della rigidità dei prezzi nel breve periodo (questo è il cosiddetto fenomeno dell'overshooting). 5. Le condizioni di parità e la determinazione del tasso di cambio INTRODUZIONE In questo capitolo concluderemo il percorso iniziato nella scorsa lezione, analizzando un'altra condizione di parità fondamentale, la parità dei poteri di acquisto, alla base dell'approccio monetario al tasso di cambio. Anche in quel caso, si discuterà l'evidenza empirica della relazione di parità. Infine, verrà delineato un modello generale di lungo periodo per i tassi di cambio, introducendo il concetto di tasso di cambio reale. LA LEGGE DEL PREZZO UNICO (LPU) La relazione tra tasso di cambio e livello dei prezzi trae spunto da una semplice relazione di arbitraggio, nota come legge del prezzo unico, che afferma che, in presenza di mercati internazionali integrati, lo stesso bene deve avere lo stesso prezzo (espresso in valuta comune) all'interno di mercati diversi: PiUS = E$/€ ·PiEU In altri termini, il bene i-esimo negli Stati Uniti (PiUS) deve avere lo stesso prezzo che in Europa (PiEU), una volta che il prezzo in euro sia stato convertito in dollari per mezzo del tasso di cambio corrente ( E$/€). Ne consegue che il tasso di cambio non è null'altro che il rapporto tra i due prezzi del bene i-esimo: E$/€ = PiUS / PiEU La logica che dovrebbe far valere la LPU è la possibilità di arbitraggio, attraverso cui le differenze di prezzo vengono annullate. Tuttavia, questa legge si basa anche su ipotesi che molto difficilmente sono riscontrabili nella realtà, prima fra tutte l'assenza di costi di trasporto. La considerazione di questi costi implica la distinzione tra beni commerciabili e beni non commerciabili (si pensi soprattutto ai servizi, benchè ormai ci siano eccezioni ed alcuni servizi siano commerciabili, quali?): solo per i primi i costi di trasporto sono così ridotti, in proporzione al valore del bene, da non impedirne il commercio internazionale e da permettere la validità della LPU. LA PARITÀ DEI POTERI D'ACQUISTO (PPA) La LPU si applica ad un solo bene. E' tuttavia necessario poter confrontare i prezzi di un paniere di beni in diversi paesi. A questo scopo, la legge del prezzo unico può essere estesa alla cosiddetta parità dei poteri d'acquisto (PPA), secondo la quale due identici panieri di beni – venduti in paesi diversi – devono avere lo stesso prezzo espresso in valuta comune. Secondo questa teoria, il tasso di cambio tra due valute non è altro che il rapporto tra il livello dei prezzi nei rispettivi due paesi: E$/€ = PUS / PEU Così, un aumento (diminuzione) del potere di acquisto della moneta si traduce in un proporzionale apprezzamento (deprezzamento) della moneta. Come corollario della PPA, va ricordato che i paesi a più elevata inflazione tendono a sperimentare un sostanziale deprezzamento della propria moneta sui mercati valutari (questo è il risultato della PPA relativa, secondo cui le variazioni percentuali del tasso di cambio delle valute di due paesi sono uguali alle variazioni percentuali dei livelli dei prezzi nazionali). EVIDENZE EMPIRICHE DELLE CONDIZIONI DI PARITÀ La legge del prezzo unico vale unicamente per alcune categorie di beni, con caratteristiche molto particolari in grado di rispettare le ipotesi della LPU. In particolare, metalli preziosi e materie prime sono beni omogenei e standardizzati, quotati su mercati diversi a prezzi sostanzialmente identici, come è facile verificare osservando le quotazioni sul Sole 24 Ore. A parte queste categorie di beni, la LPU è difficilmente verificata per una serie di ragioni: • esistenza di costi di trasporto non trascurabili e di restrizioni allo scambio; • i beni sono tra loro difficilmente confrontabili, in quanto non perfettamente omogenei e standardizzati; • mercati dei beni oligopolistici o monopolistici: l'allontanamento dalla concorrenza perfetta permette alle imprese di praticare prezzi diversi in mercati diversi (pricing to market, si veda la prossima lezione); Anche la parità dei poteri d'acquisto è difficilmente verificabile empiricamente per via delle differenze internazionali nelle preferenze (si pensi, ad esempio, alle differenti preferenze di giapponesi e francesi verso il sushi), nei modelli di consumo (nei paesi poveri la spesa in alimentazione assorbe una quota maggiore del reddito che nei paesi industrializzati) e nella misurazione del livello dei prezzi (gli indici dei prezzi nei vari paesi sono infatti costituiti sulla base di panieri diversi). Se appare ovvio dal confronto tra i prezzi internazionali di un ampio paniere di beni che la PPA in senso assoluto non è verificata, l'analisi della Figura 1 mostra che anche la PPA in termini relativi, che dovrebbe fornire una rappresentazione più ragionevole della realtà, trova scarso sostegno empirico. La condizione di parità relativa prevede infatti che il tasso di cambio (in questo caso tra Yen e Dollaro) si muova nella stessa proporzione del rapporto tra i prezzi in Giappone e Stati Uniti: agli inizi degli anni ottanta il dollaro si è apprezzato quando, al contrario,la PPA relativa prevedeva un deprezzamento del dollaro. Figura 1: La PPA relativa alla prova dei fatti (tratta da Krugman e Obstfeld, Economia Internazionale, 2007, Pearson) Un caso studio: l'IKEA (tratto da Haskel J. e Wolf H. 2001, The Law of one Price – A Case Study, Scandinavian Journal of Economics, 103(4): 545-558). Numerosi studi empirici hanno cercato di verificare se la legge del prezzo unico è valida nella realtà quotidiana. Tuttavia, come si è visto, non è facile trovare beni identici, commerciabili e venduti in mercati del prodotto concorrenziali in diversi paesi. Gli autori di questo studio cercano di superare questi limiti osservando i prezzi di 119 prodotti “basic” (tappeti, lampade, specchi, utensili … ) dell'IKEA in 140 negozi in 25 paesi. Il primo esercizio condotto dagli autori consiste nel confrontare i prezzi relativi dei beni nei diversi paesi: il confronto bilaterale mette in luce che la LPU non è rispettata: convertito il prezzo in valuta locale in dollari, lo specchio Alg costa 12 dollari i Danimarca, ma 24 in Austria. Ciò potrebbe essere dovuto ai diversi costi amministrativi e di distribuzione nei vari paesi, ma allora ci dovremmo aspettare uno stesso (o simile) ranking di prezzo degli specchi tra paesi. I dati riportati nella tabella 1 non confermano questa intuizione e suggeriscono che la LPU non sia rispettata per altre ragioni. Un secondo esercizio consiste nel creare un “prezzo comune relativo”. In altre parole, per ogni prodotto vengono calcolati tutti i prezzi relativi per le varia coppie di paesi dividendo il prezzo massimo per quello minimo. Ottenuti questi valori (e dopo alcune correzioni statistiche), gli autori riportano il massimo, la mediana e il coefficiente di variazione13 della distribuzione dei prezzi relativi per ciascun prodotto. Se valesse la LPU, il massimo e la mediana dovrebbero essere pari a uno, e il coefficiente di variazione a zero. Un semplice test statistico rifiuta questa ipotesi. In media, la differenza di prezzo tra il paese più costoso e quello più economico è dell'ordine del 50% (anche se tocca il 900% per alcuni prodotti!), mentre la differenza mediana è dell'ordine del 20-30%. Ulteriori test condotti dagli autori sembrano poter escludere che queste violazioni della LPU siano imputabili a differenze nei costi locali (salari), tariffe o tasse. Le discrepanze sono quindi probabilmente attribuibili (almeno in parte) all'applicazione di diversi mark-up e al mancato arbitraggio. Per la discussione: quali possono essere altre possibili ragioni? 13 Un indicatore della variabilità della distribuzione, uguale al deviazione standard normalizzata per la media. APPROCCIO MONETARIO AL TASSO DI CAMBIO Si tratta di un approccio basato sulla PPA (E$/€ = PUS / PEU), in cui i fattori che non influenzano la domanda e l'offerta di moneta non giocano un ruolo fondamentale. E' una teoria di lungo periodo, poiché non si ammetta la rigidità dei prezzi, che, al contrario, sono flessibili e sia aggiustano immediatamente per soddisfare la PPA e mantenere il pieno impiego. Nel lungo periodo il tasso di cambio tra due valute (dollaro e euro, per restare al solito esempio) è determinato completamente dalle offerte relative e dalle domande relative reali delle due monete. Il tasso di interesse ed il livello di produzione hanno effetti solo indiretti attraverso la loro influenza sulla domanda di moneta. In particolar modo: • un aumento dell'offerta di moneta (dollari) genera un aumento dei prezzi (statunitensi) e perciò, dato la PPA un aumento del tasso di cambio (deprezzamento del dollaro); • un aumento del tasso di interesse (statunitense) fa deprezzare il dollaro. Ciò avviene poiché un aumento di R$ contrae la domanda reale di moneta L(R$,YUS) e, per mantenere l'equilibrio sul mercato della moneta (PUS = MSUS / L(R$,YUS)), è necessario che il livello dei prezzi interni aumenti. Data la PPA, se aumenta PUS, il dollaro si deve deprezzare; • un aumento della produzione genera un apprezzamento del dollaro dato che cresce la domanda reale di moneta negli Stati Uniti che causa una riduzione dei prezzi e il susseguente apprezzamento del cambio per mantenere la PPA. Rispetto al modello visto nella prima parte della Lezione 3, in questo caso un aumento del tasso di interesse interno fa deprezzare la moneta. Secondo l'approccio basato della UIP avviene il contrario. Come mai? Per spiegare questo apparente paradosso dobbiamo ricorrere al cosiddetto effetto Fisher, secondo cui, a parità di altre condizioni, un aumento del tasso atteso di inflazione di un paese causa un aumento dello stesso ammontare del tasso di interesse sui depositi denominati nella valuta di quel paese (in modo analogo, una riduzione del tasso atteso di inflazione comporta una riduzione del tasso di interesse). Più formalmente, è agevole, unendo la PPA relativa e la UIP, ottenere la seguente relazione di uguaglianza tra il differenziale atteso di inflazione (πe) e la differenza tra i tassi di interesse, che esprime l'effetto Fisher: R$ - R€ = πeUS - πeEU Ora dovrebbe essere chiaro perchè una valuta si deprezza quando aumenta il tasso di interesse sulle attività denominate in quella moneta. Un aumento del differenziale dei tassi implica che l'inflazione attesa dovrà essere maggiore che all'estero, causando così nel lungo periodo un deprezzamento del tasso di cambio. Al contrario, nel breve periodo con prezzi rigidi il tasso di interesse può aumentare solo se diminuisce l'offerta di moneta. UN MODELLO DI LUNGO PERIODO: IL TASSO DI CAMBIO REALE Per poter estendere la teoria delle PPA è necessario definire il tasso di cambio reale fra le valute di due paesi come misura generale che riassume i prezzi dei beni e servizi di un paese rispetto a quelli di un altro14. Formalmente, si definisce tasso di cambio reale (q$/€ ) il rapporto tra il livello generale dei prezzi esteri (Europa) espresso in termini della valuta domestica (il dollaro) e il livello generale dei prezzi domestici (degli Stati Uniti): q$/€ = (E$/€ ∙ PiEU) / PiUS Il tasso di cambio reale è una misura della competitività di un paese, intesa come capacità di un paese di esportare beni di produzione domestica sui mercati esteri; un deprezzamento reale del tasso di cambio (aumento di q) indica un aumento della competitività di prezzo15. I valori di lungo periodo del tasso di cambio reale dipendono dalle condizioni di domanda e offerta di entrambi i 14 Il tasso di cambio così come definito sino ad ora come rapporto tra i prezzi dei due paesi prende il nome di tasso di cambio nominale. 15 La relazione tra tasso di cambio reale e competitività è, in realtà, più complicata. Da un lato ci possono essere shock reali che alterano le ragioni di scambio (definite come rapporto tra prezzi delle esportazioni e prezzi delle importazioni). Dall'altro, va considerato che la competitività è un concetto multilaterale, mentre il tasso di cambio è un concetto bilaterale. Per ovviare a questo problema è possibile considerare il tasso di cambio reale effettivo, definito come la media ponderata dei tassi di cambio bilaterali, in cui i pesi riflettono la rilevanza che ciascun paese partner riveste per l'economia domestica in termini di quota dell'interscambio commerciale. paesi. In particolare, è interessante osservare che (nel solito schema dollaro-euro) un aumento della domanda relativa mondiale di prodotti statunitensi causa un apprezzamento reale di lungo periodo del dollaro nei confronti dell'euro. Analogamente, una riduzione della domanda relativa per i prodotti statunitensi genera un aumento di q$/€. Inoltre, un'espansione relativa della produzione statunitense (europea) causa un deprezzamento (apprezzamento) reale di lungo periodo del dollaro nei confronti dell'euro. Infine, secondo il cosiddetto effetto Samuelson-Balassa, un paese che sperimenti una crescita della produttività nel settore dei beni commerciabili maggiore rispetto a quella riscontrata negli altri paesi conoscerà un apprezzamento del tasso di cambio reale16. Questo effetto spiegherebbe perchè i paesi ricchi, con una produttività del lavoro più alta nel settore dei beni commerciabili, tendono ad avere prezzi dei beni non commerciabili più alti e quindi un più alto livello generale dei prezzi. 16 Ciò avviene perchè, con il lavoro flessibile tra settori produttori di beni commerciabili e non, un aumento della produttività nel settore dei beni commerciabili genera un aumento dei salari che deve essere comune a entrambi i settori (per via della mobilità del lavoro). Ne deriva che, per coprire i nuovi costi, il settore dei beni non commerciabili dovrà aumentare i prezzi, cosa che non avviene nel settore dei beni commerciabili che beneficia dell'aumentata produttività. Poichè il tasso di cambio reale (q$/€) è esprimibile anche come rapporto tra i prezzi tradable e non-tradable, l'aumento della produttività fa diminuire il tasso dio cambio reale (apprezzamento).