Il Vulcanesimo Si parla genericamente di «materiale fuso» o di «magma», ma è necessario fare una precisazione: viene usato il termine magma quando ci si riferisce al materiale fuso presente all’interno della crosta, mentre quando tale materiale fuoriesce in superficie e perde gran parte dei gas e dei vapori che conteneva si parla di lava. Gas e vapori vanno ad arricchire l’atmosfera, mentre i prodotti solidi si accumulano fino a costruire l’edificio vulcanico. Gli edifici vulcanici si accrescono nel punto in cui il materiale fuso fuoriesce: all’estremità aperta in superficie (cratere) di un condotto di forma, in genere, quasi cilindrica (vulcani centrali o areali); lungo spaccature che penetrano profondamente nell’interno della Terra (vulcani lineari).Il condotto vulcanico (o camino vulcanico) mette in comunicazione l’edificio esterno con l’area di alimentazione, che può trovarsi da qualche decina fino a oltre 100 km di profondità. In genere, nella sua risalita il magma può ristagnare in una camera magmatica (o bacino magmatico) a debole profondità (fra 2-3 km e 10 km). La forma di un edificio vulcanico dipende strettamente dal tipo dei prodotti eruttati e spesso rappresenta un’importante informazione sulla natura del vulcano stesso. Si riconoscono fondamentalmente due tipi di vulcani. I vulcani-strato si formano quando fasi di effusioni laviche si alternano con periodi di emissioni esplosive di frammenti sminuzzati di lava, che si depositano poi intorno al cratere, dando origine alle piroclastiti. L’edificio che ne risulta, chiamato anche vulcano composto, assume la forma di un cono. I vulcani a scudo, come quelli delle Hawaii e dell’Islanda, hanno invece una forma appiattita, dovuta alla notevole fluidità delle lave eruttate (lave basiche, molto calde, che solidificano come basalti). Queste lave sono in grado di scorrere per molti kilometri in larghe colate, anche di modesto spessore, prima di consolidarsi; gli episodi esplosivi sono molto ridotti. Tra i vulcani a scudo si annoverano i vulcani più grandi della Terra. Il maggiore tra essi, il Mauna Loa, nell’Isola Hawaii. La classificazione dei vulcani in base al tipo di eruzione cui sono associati presenta, però, dei limiti, dovuti al fatto che in un medesimo vulcano possono alternarsi o succedersi nel tempo tipi di attività diversi. Tuttavia, la definizione dei tipi di eruzione ha portato ad alcune importanti considerazioni a proposito del significato del vulcanismo, per cui la esamineremo ora con qualche dettaglio. I fattori che più direttamente influenzano il tipo di eruzione sono la viscosità del magma in risalita e il contenuto in gas, soprattutto vapore acqueo. La viscosità varia moltissimo: è molto elevata nei magmi acidi, che danno origine a lave di tipo riolitico, e molto minore nei magmi basici (fino a 10000 volte di meno), da cui derivano lave di tipo basaltico. Il contenuto in acqua (al di sopra di una certa percentuale) agisce attraverso la capacità di espansione «esplosiva» del vapore ad alte temperature, quando diminuisce la «pressione di confinamento», cioè la resistenza dell’ammasso roccioso attraverso il quale il magma sta risalendo. Attività effusiva dominante (magma fluido e contenuto in acqua variabile ma ridotto): eruzioni di tipo hawaiiano; eruzioni di tipo islandese. Attività effusiva prevalente(magma meno fluido e modesto contenuto in acqua):eruzioni di tipo stromboliano. Attività mista (effusiva-esplosiva)(magma viscoso e contenuto in gas e acqua elevato):eruzioni di tipo vulcaniano; eruzioni di tipo pliniano; eruzioni di tipo peléeano. Attività solo esplosiva(interazione tra magma e acqua):eruzioni di tipo idromagmatico. Vediamole più in dettaglio. Le eruzioni di tipo hawaiiano sono caratterizzate da abbondanti effusioni di lave molto fluide, che danno origine ai tipici vulcani a scudo. In tali edifici la sommità è spesso occupata da un’ampia depressione, chiamata caldera (dallo spagnolo, «pentolone»), formatasi per collasso del tetto della camera magmatica, rimasto senza sostegno a seguito del drenaggio verso la superficie di grandi quantità di lava. Dalle lave fluide i gas si liberano in genere tranquillamente, ma nella loro fuga possono trascinare per un tratto getti di lava fusa: si innalzano allora spettacolari fontane di lava, alte più di 100 m. I volumi di materiale fuso emesso sono enormi: fino a 2 milioni di m3 all’ora di lava. Caratteristiche simili presentano le eruzioni di tipo islandese, nelle quali, però, la lava, sempre molto fluida, fuoriesce da lunghe fessure invece che da un edificio centrale. Il ripetersi di tali eruzioni dalla stessa fessura porta alla formazione di vasti espandimenti lavici basaltici quasi orizzontali (plateaux basaltici), di spessore relativamente modesto, ma estesi per centinaia di migliaia di km2. A volte l’attività effusiva è accompagnata da modesta attività esplosiva, con formazione di coni di scorie. Nelle eruzioni di tipo stromboliano (dall’Isola di Stromboli, nelle Eolie) predomina un’attività esplosiva più o meno regolare. La lava, abbastanza fluida, ma meno che nei casi precedenti (a Stromboli produce un tipo di basalto), ristagna periodicamente nel cratere, dove inizia a solidificare. Si forma così una crosta solida, al di sotto della quale si vanno accumulando i gas che continuano a liberarsi dal magma: nel giro di un’ora o anche solo di pochi minuti, la pressione di questi gas cresce fino a far saltare la crosta con modeste esplosioni, che lanciano in aria brandelli di lava fusa. Esaurita la spinta dei gas, la lava torna a ristagnare sul fondo del cratere e si forma una nuova crosta solida, fino al ripetersi del fenomeno. Le eruzioni di tipo vulcaniano (dall’Isola Vulcano, sempre nelle Eolie) sono caratterizzate da un meccanismo simile a quello stromboliano, solo che in questo caso la lava è molto più viscosa (lave acide, da andesiti a rioliti). Perciò i gas si liberano con più difficoltà, e la lava solidifica nella parte alta del condotto, dove forma un «tappo» di grosso spessore. I gas impiegano quindi tempi più lunghi per raggiungere pressioni sufficienti a vincere l’ostruzione; quando ciò avviene, l’esplosione è violentissima. Le eruzioni di tutti i grandi vulcani, se il loro cratere è ostruito (anche solo per l’accumulo di detriti caduti in esso dalle pareti), avvengono di regola con una fase iniziale di violenta attività vulcaniana. Il termine vesuviano indica un’attività vulcanica caratterizzata dall’estrema violenza dell’esplosione iniziale, che svuota un gran tratto del condotto superiore. Il magma può allora risalire con grande velocità da zone profonde, fino a espandersi in maniera esplosiva uscendo dal cratere, dissolvendosi in una gigantesca nube di minutissime goccioline. Quando tali esplosioni raggiungono il loro aspetto più violento vengono definite eruzioni di tipo pliniano (da Plinio il Giovane, che per primo ne descrisse una nell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.).La colonna di vapori e gas fuoriesce dal condotto con tale forza e velocità da salire diritta verso l’alto per alcuni km, prima di perdere energia ed espandersi in una grande nuvola, che assume così una caratteristica forma che ricorda un pino marittimo. Dalla nuvola ricadono grandi quantità di frammenti di lava vetrificata, sotto forma di pomici. Nelle eruzioni di tipo peléeano (dalla Montagna Pelée, sull’isola della Martinica) la lava ad altissima viscosità e a temperatura relativamente bassa (600-800 °C) viene spinta fuori dal condotto già quasi solida e forma cupole o torri alte qualche centinaio di metri. Dalla base sfuggono grandi nuvole di gas e vapori, roventi e molto dense, che scendono come valanghe lungo le pendici del vulcano e si espandono su vaste aree con grande velocità. Un cenno a parte merita il vulcanismo idromagmatico, dovuto all’interazione tra magma (o rocce riscaldate da un magma) a modesta profondità (fino a qualche km) e l’acqua che permea le rocce (acqua di falda). Un fenomeno analogo si verifica anche nel corso di eruzioni sottomarine a modeste profondità. Il brusco passaggio dell’acqua allo stato di vapore genera enormi pressioni che possono far saltare l’intera colonna di rocce sovrastanti, aprendo un condotto verso l’esterno. Dal cratere esce con grande violenza una colonna di vapore che trascina con sé frammenti di rocce e, se c’è stato contatto con il magma, lava finemente polverizzata. Dalla base di tale colonna parte una specie di onda d’urto concentrica, tipica di esplosioni violente, che dà origine a una densa nuvola di vapore e materiali solidi, a forma di anello, chiamata base-surge; la nube si espande a grande velocità (oltre 150 km/h), lasciando accumuli piroclastici con forme tipiche. Crateri di origine idromagmatica e relativi prodotti si riconoscono nei vulcani laziali e campani, tra i quali i Colli Albani, il grande vulcano a sud di Roma, e il Vesuvio, la cui eruzione del 79 d.C. ebbe tragiche conseguenze proprio per l’innescarsi di una forte attività idromagmatica. Nell’attività vulcanica l’acqua è spesso presente in abbondanza, sia per la fusione di neve o ghiacciai che ricoprono eventualmente la sommità del vulcano, sia per la sua espulsione da un lago che occupi un cratere quando vi risalga della lava, sia, infine, per la condensazione del vapore acqueo emesso assieme ai gas. Come conseguenza, i detriti piroclastici incoerenti (cioè formati da granuli «sciolti», non attaccati tra loro) assorbono acqua fino a diventare saturi e, soprattutto quelli che si sono accumulati sulle pendici più ripide del vulcano, finiscono per diventare instabili e per trasformarsi in colate di fango. Queste colate, note anche con il nome indonesiano di lahar, si incanalano lungo le valli e scendono con forza distruttiva per parecchi kilometri. Quando si arresta, il fango indurisce rapidamente e si trasforma in una solida roccia che imprigiona tenacemente tutto quello che ha travolto e sepolto.Alla fine del 1985 nell’eruzione del Nevado del Ruiz, in Colombia, il magma fece fondere rapidamente un ghiacciaio posto alla sommità del vulcano: la colata di fango formatasi in tal modo investì e sommerse la città di Armero e i villaggi circostanti, provocando quasi 30000 vittime.I lahar possono formarsi anche molto tempo dopo l’eruzione e possono innescarsi anche lungo le pendici dei rilievi circostanti il vulcano, ricoperti dalle ceneri e polveri eruttate. Prima o poi, infatti, le acque che circolano nei terreni superficiali o che derivano da prolungate precipitazioni, finiscono per imbibire quei materiali trasformandoli in colate di fango che scivolano veloci verso la pianura, lasciando a nudo le valli e le vallecole che avevano colmato durante vecchie eruzioni. Altri fenomeni legati all’attività di un vulcano sono le manifestazioni tardive. Per molto tempo dopo che è cessata l’emissione di lava, infatti, dalle profondità della terra continuano a salire i gas residui, accompagnati da acque termo-minerali, che per il loro contenuto in sostanze particolari vengono utilizzate a scopi curativi. È il caso, per esempio, delle terme di Abano e dintorni (Colli Euganei, Padova), dove il vulcanismo è estinto addirittura da 30 milioni di anni; oppure degli impianti di cura di Ischia e di tante altre località termali di cui l’Italia è ricca. Fenomeni legati a queste manifestazioni tardive sono i geyser, che abbondano nell’America Settentrionale e in Islanda, dove costituiscono un’attrazione turistica. Il fenomeno si manifesta, infatti, quando da una cavità aperta in superficie viene emessa, a intervalli quasi regolari, una colonna d’acqua molto calda, che viene spinta a grandi altezze, come un’enorme fontana. Altre manifestazioni minori sono le fumarole, emissioni di gas e vapori caldi, e le moféte, emissioni di acqua e anidride carbonica. Queste ultime possono essere molto pericolose, in quanto l’anidride carbonica, essendo più pesante dell’aria, si raccoglie nelle cavità e nelle depressioni del terreno. Essa, pur non essendo velenosa, può risultare mortale per gli esseri viventi che vi si trovino immersi in quanto, fissandosi all’emoglobina del sangue, riduce la disponibilità di ossigeno per l’organismo