Busto Arsizio, 4 febbraio 2016
L’amore e le stelle.
Riflessione sull’amore, il matrimonio e la famiglia nella visione cristiana.
LIVIO MELINA
«Che cosa c’entra con le stelle?» così don Luigi Giussani, un sacerdote italiano
molto famoso, racconta di aver interpellato un ragazzo e una ragazza che si
stavano baciando e che si erano improvvisamente schermiti vedendo
giungere inaspettatamente la sagoma scura di un prete, vicino a loro lungo
un viale alberato di Milano, in una bella sera d’estate. «Perché avete paura di
un sacerdote? Se ciò che sentite e fate ha a che fare con le stelle, allora non
dovete avere paura di me»1.
La reazione di quei due ragazzi non è sorprendente. Spesso la religione
cristiana viene interpretata in chiave moralistica e quindi percepita come
nemica della spontaneità dell’espressione amorosa. Con le sue strane parole,
quel sacerdote voleva suggerire ai due giovani che il cristianesimo si colloca a
tutt’altro livello rispetto a quello di un minaccioso limite moralistico: non è
un nemico dell’amore, ma intende indicare il destino ultimo verso cui aspira
il desiderio umano e aiutare la gente a raggiungerlo. L’amore non ha a che
fare solo con gli ormoni e le neuroscienze, con gli impulsi sessuali e la
psicologia, con gli interessi e con le leggi umane. L’amore ha a che fare con le
stelle: questo è il respiro che lo rende grande e bello, questo è l’orizzonte che
lo fa corrispondere al desiderio originario del cuore. Vorrei partire da qui per
proporvi qualche riflessione sintetica sulla concezione cristiana del
matrimonio e della famiglia nella visione cristiana.
1. Il “mistero” dell’amore tra uomo e donna
La prima parola della rivelazione cristiana sull’amore tra uomo e donna è
questa: “mistero”. «Questo mistero è grande – afferma in proposito San Paolo
nella lettera alla primitiva comunità cristiana di Efeso – lo dico in riferimento
Cf. L. Giussani, Avvenimento di libertà. Conversazioni con giovani universitari, Marietti, Genova 2002, 130.
L’episodio è descritto e contestualizzato in A. Savorana, Vita di don Giussani, Rizzoli, Milano 2013, 136-138.
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a Cristo e alla Chiesa» (Ef 5, 32). Quando però si parla di mistero, occorre
evitare di intenderlo secondo l’equivoco di una mentalità razionalistica, che
lo riconduce a qualcosa di estraneo alla luce della conoscenza, appartenente
ad una sfera irrazionale, vincolato ad un sentimento soggettivo. Per questo il
termine mistero e tutto ciò che gli appartiene viene confinato nel privato e
resta incomunicabile nella società. Proprio questo è alla radice della forte
tendenza alla “privatizzazione” del matrimonio e della famiglia nel mondo
occidentale. Si tratterebbe solo di una questione privata di affetti su cui
nessuno dal di fuori, e men che meno lo Stato con le sue leggi, potrebbe
intervenire.
Invece la tradizione cristiana, quando parla del mistero intende qualcosa di
profondamente diverso, anzi in qualche modo di opposto. Mistero non è il
nascondere una verità, ma piuttosto il rivelarsi in un segno di ciò che di per
sé è così grande da sfuggire alla presa della ragione misurante. Si tratta di un
modo singolare di conoscenza, che avviene per rivelazione, in quanto si ha a
che fare con una verità che non può essere raggiunta mediante osservazione o
esperimento, ma solo mediante comunicazione personale. Ciò che fa parte
dell’intimità è protetto dal pudore e la sua comunicazione avviene in un
rapporto di confidenza, nel quale la libertà delle persone entra in gioco.
Così per il cristianesimo il matrimonio è un mistero, proprio perché in esso,
nel segno dell’amore tra un uomo e una donna, si rivela qualcosa di intimo
che riguarda Dio stesso: il fatto che Dio è amore, che ci ha creati per amore e
che ci chiama a vivere nell’amore la nostra somiglianza con lui. La parola
latina con cui è stato tradotto il termine greco mysterion è sacramentum:
l’apostolo Paolo nella lettera ai cristiani di Efeso dice che il matrimonio è
appunto un grande sacramento (sacramentum magnum): in esso, attraverso la
carne concreta di un’esperienza umana fondamentale, si manifesta il senso
della Rivelazione cristiana, l’amore nuziale di Cristo con la sua Chiesa:
rapporto di alleanza e di amore tra Dio e il suo popolo, che ha avuto il suo
culmine nel dono di sé di Gesù sulla croce.
2. Il contenuto del mistero nuziale
Ma qual è il contenuto proprio del mistero, che l’amore tra uomo e donna
rivela? Il corpo stesso, nella sua vivente apertura al corpo dell’altra persona,
testimonia quel mistero dell’amore che costituisce il fondamento e il destino,
da cui proveniamo e verso cui siamo chiamati a trovare il nostro
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compimento. E proprio nel corpo si svela la struttura originaria dell’amore,
cioè quella dimensione trascendentale presente in ogni forma di amore, da
quello più basso e volgare, a quello più elevato e nobile2.
Questa struttura originaria può essere definita con l’espressione “mistero
nuziale”. Il mistero nuziale, osservato nell’archetipo uomo-donna, presenta,
in maniera indissociabile, l’unità di tre fattori costitutivi, che solo nel loro
contemporaneo darsi ne offrono la pienezza integrale: la differenza sessuale,
il dono reciproco di sé e la fecondità. Il corpo vissuto è sempre situato e
orientato dalla differenza sessuale in riferimento alla persona di altro sesso: la
differenza (di-ferre) infatti indica che la medesima umanità viene trasferita da
un’altra parte in forma nuova e complementare. Accanto a me e per me esiste
un altro modo di essere uomo, un modo a me inaccessibile, ma
complementare: sconosciuto per la sua differenza e affascinante per la
reciprocità che promette.
Per questo la differenza iscritta nel corpo è vocazione, chiamata ad
un’apertura e ad una comunione delle persone nell’unità dei corpi, dal
momento che il corpo implica sempre la totalità delle persona e delle
persone3.
Il carattere asimmetrico della reciprocità tra uomo e donna, per cui anche
nell’unità più intima non si dà mai una fusione compiuta e definitiva, esige
che la relazione resti sempre aperta ad un’esuberanza ulteriore del dono
scambiato, che trova nella procreazione di un figlio ad un tempo il suo frutto
e la sua testimonianza. Proprio la fecondità manifesta il carattere spirituale di
quel rapporto di unità nella carne, che la differenza sessuale ha reso possibile:
infatti il frutto dell’atto coniugale non è un semplice esemplare della specie,
ma un nuovo soggetto personale, che viene pro-creato, in collaborazione col
Creatore4. Il mistero nuziale, contemplato a partire dall’archetipo dell’uomodonna, ci porta alla soglia dell’amore originario, di cui è immagine. Ma ora è
il momento di percorrere anche l’altra via, quella discendente, in cui la
rivelazione divina illumina l’esperienza umana.
Cf. A. Scola, “Il mistero nuziale. Originarietà e fecondità”, in Anthropotes XXIII/2 (2007), 57-70. Per una
trattazione più sistematica, dello stesso autore si vedano: Il mistero nuziale. 1: Uomo-Donna, Pul-Mursia, Roma
1998; Il mistero nuziale: una prospettiva di teologia sistematica, Lateran University Press, Roma 2003.
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3 Occorre qui riandare alla “teologia del corpo” elaborata da Giovanni Paolo II, Uomo e donna lo creò. Catechesi
sull’amore umano, Città nuova – Libreria Editrice Vaticana, Roma 1985.
Cf. J. Ratzinger, “Uno sguardo teologico sulla procreazione umana”, in La via della fede. Le ragioni dell’etica
nell’epoca presente, Ares, Milano 1996, pp. 133-151.
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3. La forma redenta dell’amore coniugale
La rivelazione di Dio come amore, nell’alleanza biblica rende nuovo l’amore
umano, sia perché proietta su di esso una luce definitiva di senso, sia perché
offre l’aiuto divino della grazia per realizzarlo in pienezza. Papa Benedetto
XVI ci offre a tal proposito un’affermazione molto forte, su cui vale la pena
che ci soffermiamo: «… in un orientamento fondato sulla creazione l’eros
rimanda l’uomo al matrimonio, a un legame caratterizzato da unicità e
definitività; così e solo così si realizza la sua intima destinazione. … Il
matrimonio basato su un amore esclusivo e definitivo diventa l’icona del
rapporto di Dio con il suo popolo e viceversa: il modo di amare di Dio
diventa la misura dell’amore umano»5.
Nella storia della salvezza narrata dalle Scritture Sacre, il rapporto di alleanza
viene espresso con la metafora del fidanzamento o delle nozze6. L’agape di
Dio non teme di assumere in sé le forme dell’eros umano. E così nello stesso
tempo l’eros umano viene svelato nella sua ultima tensione, purificato dalle
sue scorie e imperfezioni e nobilitato al massimo. Si verifica in tal modo
quello scambio nell’analogia cui si è accennato: il punto di riferimento
(analogatum princeps) per comprendere che cosa sia veramente l’amore non è
più l’amore umano tra un uomo e una donna, ma piuttosto l’amore divino.
Esso è personale, esclusivo nei confronti di una persona, fedele e definitivo.
Proprio in Gesù accade l’avvenimento definitivo dell’amore di Dio per il suo
popolo. Egli è lo Sposo (cf. Mt 9, 14; Gv 3, 29). Con Gesù si manifesta il
disegno del principio sull’amore umano nel piano divino. E si manifesta non
come una legge così rigorosa da essere impraticabile per la debolezza della
condizione umana, bensì come una comunicazione ultima dell’amore, che
diventa redenzione e crea una possibilità nuova per l’amore umano.
La novità cristiana, attribuendo a Dio la capacità di amare, rende necessario
aprire un significato oblativo all’amore, che nello stesso tempo ne scopre una
valenza tipicamente personale. Di conseguenza anche l’eros può venire
compreso a partire dalla creazione e manifesta così un intrinseco
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Benedetto XVI, Enc. Deus caritas est, n. 11.
Solo a titolo indicativo, tra la vastissima letteratura in merito, si rimanda a: L. Alonso Schökel, I nomi
dell’amore. Simboli matrimoniali nella Bibbia, Piemme, Casale M. 1997; per il tema della gelosia di Dio: D.
Barthelemy, Dio e la sua immagine, Jaca Book, Milano 1975; A. Sicari, Matrimonio e verginità nella rivelazione.
L’uomo di fronte alla “Gelosia di Dio”, Jaca Book, Milano1978.
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orientamento a compiersi in quel dono di sé, in cui si realizza l’agape. Si
rende evidente anche il carattere analogico dell’amore. Esso implica una
distinzione radicale tra l’amore originario del Creatore e l’amore proprio
delle creature, che per natura è risposta all’amore che lo precede. Riconoscere
la differenza essenziale tra l’amore di Dio e l’amore proprio delle creature
impedisce di assolutizzare quest’ultimo.
Si apre qui la via per intendere l’amore come una chiamata da realizzare nella
vita, e quindi come un cammino da percorrere lungo la propria esistenza. La
vocazione all’amore è un cammino nel quale l’uomo è chiamato a realizzare
sempre più la sua somiglianza con Dio, imparando ad amare e maturando la
propria identità nel contesto delle relazioni proprie della famiglia. “Essere
figlio, per poter diventare sposo e giungere ad essere padre”: ecco la
dinamica fondamentale in cui si realizza la vocazione all’amore.
4. La testimonianza dei cristiani di fronte alle sfide del contesto attuale
La testimonianza dei cristiani al mistero dell’amore, nel matrimonio e nella
famiglia, è chiamata a compiersi oggi nel contesto non particolarmente
favorevole di una società secolarizzata, che soprattutto nell’Occidente è
contrassegnata dall’individualismo e dal pansessualismo.
Il primo fattore impedisce di vedere la persona nel contesto di relazioni
costitutive e di accogliere la comunione come un fine intrinseco dell’amore. Si
finisce così per accontentarsi di semplici e provvisorie convivenze tra
individui sostanzialmente soli, negando la possibilità stessa di impegni
personali stabili e definitivi.
Il secondo fattore, il pansessualismo, implica una profonda banalizzazione
della sessualità intesa come un bene di consumo, finalizzato al piacere
edonistico immediato. La chiusura alla procreazione, l’esclusione della
fedeltà e dell’indissolubilità e, infine, la negazione della differenza sessuale,
costituiscono i passi di una progressiva deformazione del mistero nuziale
nelle sue dimensioni costitutive. La secolarizzazione poi ha separato il
matrimonio e la famiglia dalla dimensione trascendente, soffocando la nativa
apertura al sacro che queste esperienze fondamentali della vita comportano
per loro natura.
Tanto più diventa urgente la proposta vissuta e credibile del mistero
dell’amore coniugale e familiare nella sua verità originaria. E la famiglia, in
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cui si vivono le esperienze fondamentali delle relazioni che costituiscono la
persona, è la scuola dell’amore: il luogo in cui si apprende quella grammatica
fondamentale iscritta nel proprio corpo: differenza, dono di sé, fecondità, che
permette di interpretare la propria esperienza affettiva come una chiamata
all’amore. Gli affetti luccicano come le stelle e affascinano: essi sono la
scintilla di una chiamata a costruire la vita come dono di sé nell’amore.
Si tratta nello stesso tempo di una testimonianza a Dio e all’uomo, di un
contributo essenziale al bene comune della società, dal momento che la
famiglia è cellula fondamentale della vita sociale.
Il salmo 41 descrive forse molto bene la nostra situazione attuale con la sua
inquietante domanda: «Essi dicono a me tutto il giorno: dov’è il tuo Dio?».
Mostrare la bellezza di un amore umano quale comunione di persone nel
matrimonio e nella famiglia significa dare testimonianza al Dio di amore, alla
cui immagine e somiglianza siamo stati creati. Nello stesso tempo indicare
nell’amore divino la sorgente e l’orizzonte ultimo dell’amore umano è offrire
una testimonianza alla grandezza dell’uomo e della donna, portare un
contributo alla loro vera felicità.
Alla fine del più grande capolavoro della letteratura italiana, la Divina
Commedia, che in fondo è un cammino di purificazione per poter vedere Dio,
il grande poeta, Dante, pone la contemplazione dell’«Amor che muove il sole
e l’altre stelle». Sì l’amore umano ha a che fare con le stelle, perché è il riflesso
di un amore primo che abbraccia tutto l’universo, e può realizzarsi la sua
aspirazione ultima solo nel suo orizzonte: può essere veramente umano
quando è segno del divino.
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