I MOTI LIBERALI DEL XIX SECOLO (1815-1848) La Restaurazione e il Congresso di Vienna del 1815 Crollato l’Impero napoleonico, i nuovi assetti politici e territoriali dell’Europa furono decisi dalle quattro potenze vincitrici (Austria, Russia, Prussia e Gran Bretagna) nel corso del Congresso di Vienna (1815). L’opera del Congresso mirò a restaurare un ordine europeo fondato sui principi dell’Antico Regime, rimettendo sui loro troni i sovrani legittimi (principio di legittimità) e ripristinando l’equilibrio tra i grandi Stati (principio di equilibrio). Dall’applicazione di questi due principi derivò il seguente assetto geo-politico : I) la Francia mantenne la sua integrità territoriale, venendo riportata ai confini del 1792 : la realizzazione di un sistema equilibrato richiedeva una Francia non eccessivamente indebolita (intorno al paese fu però creata una cintura di Stati-cuscinetto) ; II) l’Austria (grazie a Metternich, ministro degli esteri e poi anche cancelliere) si ingrandì e poté recuperare tutti i territori sottratti da Napoleone (Trentino, Lombardia, Veneto), divenendo la potenza egemone in Italia (l’unico Stato italiano che non entrò nell’orbita austriaca fu il Regno di Sardegna) ; III) fu costituita una Confederazione germanica di 39 Stati, di cui entrarono a far parte anche la Prussia (che aveva ingrandito il proprio territorio) e l’Austria, al cui imperatore fu attribuita la presidenza della Dieta di Francoforte, l’organo rappresentativo della Confederazione ; IV) la Gran Bretagna ottenne i suoi principali guadagni territoriali nelle colonie (la quasi totalità dei possedimenti coloniali persi dalla Francia passò alla Gran Bretagna) ; la Gran Bretagna, inoltre, vedeva con preoccupazione l’affermarsi di una potenza egemone in Europa, timorosa di veder restringersi il mercato europeo (come era accaduto all’epoca del “blocco continentale” di Napoleone). La forma di governo più diffusa tornò a essere la monarchia assoluta (la Restaurazione incarnò uno spirito antiliberale) e una pesante cappa di oppressione politica e culturale calò sull’Europa, costringendo le forze di opposizione liberali e democratiche a organizzarsi nella clandestinità in “società segrete” (la più importante in Italia fu la Carboneria). Fu tuttavia impossibile riportare in vita l’Antico Regime, poiché le forze politiche, sociali ed economiche che ne avevano provocato la crisi non potevano ormai più essere eliminate : i movimenti liberali, democratici e nazionali (il cui seme era stato diffuso in Europa dalla Rivoluzione francese e dallo stesso Napoleone) e la pressione delle dinamiche economiche in atto dovevano costituire i maggiori fattori di crisi dell’ordine politico internazionale che le grandi potenze si erano impegnate a conservare anche con l’intervento militare (Santa Alleanza, Quadruplice Alleanza). In particolare, la Restaurazione si opponeva al principio di nazionalità, sul quale si fondava l’idea dello Stato-nazione : l’assetto politico-territoriale deciso dal Congresso di Vienna si ispirava, infatti, su una concezione dello Stato, secondo la quale esso costituiva un bene patrimoniale del sovrano (la monarchia austriaca, per esempio, dominando su una molteplicità di etnie diverse, temeva più di qualsiasi altro Stato lo sviluppo dei movimenti per l’emancipazione nazionale)1. Nel corso del Settecento il termine “nazione” assunse la moderna accezione di “popolo”, cioè di comunità di uomini radicata in un determinato territorio e, soprattutto, in possesso di una precisa identità culturale. Determinanti furono le tesi sia di Rousseau, il quale concepì lo Stato come un “corpo morale e collettivo”, cioè una comunità di cittadini capace di esprimere liberamente un insieme di valori e una volontà generale ; sia di Herder, il quale teorizzò l’esistenza di nazioni come comunità “naturali” di popolo, definite una volta per tutte da profondi legami di lingua, razza e 1 I moti del 1820-1821 Nel 1820-21 una prima ondata di rivolte a carattere costituzionale investì il continente (Spagna, Regno delle due Sicilie, Regno di Sardegna e Lombardia), ma le potenze del “concerto” europeo (alle quattro già menzionate si era aggiunta nel 1818 la Francia dei Borbone) riuscirono a riprendere il controllo della situazione. Nonostante il fallimento di questi moti, i liberali, che guardavano alla Costituzione francese del 1791 come a un modello (libertà individuali, rappresentatività e divisione dei poteri), rappresentarono la forza di opposizione più consistente, dal momento che i movimenti nazionali erano ancora allo stato embrionale e non potevano quindi rappresentare una seria minaccia per l’assetto continentale vigente. Il fallimento dei moti costituzionali del 18201821 confermò la debolezza dell’opposizione liberale : si trattò di iniziative promosse da élites politiche prive dell’appoggio delle masse popolari. Diverso fu il caso della Grecia, che giunse all’indipendenza nel 1829 dopo una lunga guerra iniziata nel 1821 a cui parteciparono, a sostegno dei nazionalisti, Gran Bretagna, Russia e Francia : i fatti di Grecia avevano reso concreta la possibilità di una crisi definitiva dell’Impero ottomano, sui cui territori le grandi potenze appuntavano le proprie contrastanti mire espansionistiche (“questione d’Oriente”). Sebbene i territori turchi fossero fuori dal sistema continentale creato a Vienna, l’Austria non vedeva di buon occhio la vittoria di un movimento nazionale nei Balcani, dove anch’essa era presente. La Gran Bretagna, dal canto suo, temeva che la Russia, conquistando il controllo degli stretti (Bosforo e Dardanelli), potesse minacciare le sue rotte commerciali tra il Mediterraneo orientale e l’India. I moti del 1830-1831 Una prima parziale rottura dell’assetto internazionale di Vienna si ebbe con le rivoluzioni del 1830-31, che portarono all’abbattimento della monarchia borbonica in Francia e all’indipendenza del Belgio dall’Olanda. La rivoluzione in Francia fu provocata dalla politica ultrarealista di Carlo X (successore di Luigi XVIII2), il quale, legato alla fazione nobiliare più reazionaria, ne condivideva i piani di restaurazione integrale. Il tentativo del sovrano di stroncare l’opposizione liberale, che deteneva la maggioranza in Parlamento, si tradusse in una rivolta costumi. Infine, la cultura romantica sviluppatasi nel primo ventennio dell’Ottocento, specie in Germania (Schlegel, Fichte, Schelling), rilanciò con rinnovato vigore le tesi herderiane ; la riscoperta della storia e delle tradizioni di ciascun popolo (in particolare, un’appassionata rivalutazione del Medioevo, nel quale veniva colto il momento originario di formazione dello spirito delle nazioni europee) venne coniugata con l’amore per la libertà. 2 La Restaurazione aveva significato il ritorno sul trono della monarchia borbonica con Luigi XVIII, fratello del sovrano ghigliottinato nel 1793. Il ripristino del legittimismo dinastico non si era tradotto tuttavia nella riproposizione pura e semplice dell’Antico Regime : il sovrano aveva infatti concesso nel 1814 una Carta costituzionale, pur conservando la pienezza del potere fondato sull’investitura divina. Sul piano istituzionale la Carta sanciva un ordinamento conservatore con limitati tratti liberali : si trattava di un sistema costituzionale ma non parlamentare, poiché il governo rispondeva esclusivamente al sovrano, prescindendo del tutto dalla volontà della maggioranza parlamentare (Camera dei Pari, eletti dal re, e Camera dei deputati, eletti da un ristretto numero di cittadini appartenenti alla grande proprietà terriera e all’alta borghesia). 2 del popolo parigino nel luglio del 1830, che alla fine abbatté la monarchia. La vittoria fu possibile grazie alla partecipazione delle masse popolari, che invece era mancata nei moti del 1820-21 ; tra le componenti rivoluzionarie prevalse quella liberale moderata, espressione della borghesia industriale e finanziaria : fu l’alta borghesia a imporre una soluzione politica – la salita al trono di Luigi Filippo d’Orleans, “re dei francesi” per volontà della nazione (e non più “re di Francia” per diritto divino) – che appariva la più idonea a salvaguardare i propri interessi sia contro l’eventuale riproporsi di tentativi reazionari sia contro le tendenze democratico-repubblicane. Il principale artefice della politica conservatrice della monarchia orleanista fu Guizot, il quale ispirò la sua azione alla ricerca del “giusto mezzo” tra le spinte reazionarie della nobiltà e la sovversione dei repubblicani e dei socialisti. La politica di Guizot coincise con gli interessi dell’alta borghesia delle banche, della finanza e della grande industria ; corollario economico di questa politica era il liberismo, secondo il celebre motto “laissez faire, laissez passer”. Gli eventi francesi si ripercossero subito nel vicino Belgio : la direzione del moto indipendentista fu assunta dalla borghesia, che gli diede un indirizzo nazionale e liberale. Per l’opposizione della Francia e della Gran Bretagna la sollevazione popolare non fu repressa dalle potenze della Santa Alleanza : il Belgio poté così divenire uno Stato indipendente e dotarsi di una Costituzione liberale. Dopo Parigi e Bruxelles insorse anche Varsavia : la politica reazionaria dello zar Nicola I si era abbattuta anche sulla Polonia. Nella rivoluzione polacca le aspirazioni all’indipendenza si associarono a quelle liberali : nel gennaio del 1831 gli insorti proclamarono l’indipendenza, fiduciosi in un intervento della Francia, la quale scelse tuttavia la prudenza e non sostenne il principio di non intervento (come aveva fatto per il Belgio). Lo zar, sostenuto da Austria e Prussia, soffocò così nel sangue la rivolta. In Italia, il fallimento dei moti del 1820-1821 non aveva arrestato l’attività cospirativa dei liberali legati alla Carboneria. Quest’ultima era rimasta vitale in quegli Stati che, non coinvolti dalle sollevazioni, non avevano subìto la dura repressione delle forze reazionarie. Gli avvenimenti di Parigi indussero i settari a passare all’azione nell’Italia centrale (Parma, Modena, Reggio Emilia e Stato pontificio) : fiduciosi nell’intervento della Francia (che invece non si mosse), gli insorti non poterono nulla contro la reazione dell’Austria, che ristabilì l’ordine preesistente. Il fallimento di questi moti in Italia palesò i limiti dell’attività condotta dalle società segrete, alle quali mancarono tanto una prospettiva nazionale quanto un’adesione delle masse popolari. Proprio a questi limiti cercò di porre rimedio il programma di Mazzini che puntava a realizzare un’Italia “una, libera, indipendente e repubblicana”3. Con questa formula Mazzini intendeva affermare che il futuro Stato repubblicano avrebbe dovuto essere unitario e non federale. L’opzione repubblicana era una diretta conseguenza del suo pensiero democratico, secondo il quale solo la Repubblica costituiva un’espressione autentica della sovranità popolare. Con Mazzini il popolo rappresentava una figura ideale e mistica, investita dalla missione storica di realizzare l’unità nazionale : quest’ultima non poteva essere frutto dell’opera di uno dei sovrani che regnavano in Italia, né di un aiuto straniero, ma solo l’esito di una guerra del popolo. Mazzini fece della “Giovine Italia” (1831) e della “Giovine Europa” (1834) gli strumenti con cui formare nel popolo una consapevolezza della necessità di costruire un movimento di emancipazione nazionale. Il progetto di Mazzini incontrò consenso presso ristretti settori della piccola e media borghesia e, in particolare, presso quei gruppi di intellettuali che erano nutriti di idealismo romantico. Il fallimento dei moti mazziniani degli anni Trenta e Quaranta (fratelli Bandiera, 1844) irrobustì la corrente dei liberali moderati, i quali auspicavano che l’unità si compisse mediante un lento processo senza rivolgimenti rivoluzionari (unificazione e mercato nazionale). 3 3 * Sul piano internazionale si era venuta così a creare una contrapposizione tra le potenze assolutiste (Austria, Russia e Prussia) e quelle liberali (Francia e Gran Bretagna), cui guardavano tutti gli avversari dell’ordine di Vienna. Due diverse Europe andavano formandosi : una retta da regimi liberali, dove lo sviluppo industriale e la trasformazione borghese della società erano più avanzati ; l’altra conservatrice, dove le strutture economiche e sociali erano più arretrate e le forze del rinnovamento meno dinamiche. In Prussia, per esempio, il tema dell’unità nazionale rimase circoscritto all’agitazione di piccole minoranze intellettuali e studentesche, imbevuto di spirito romantico, che avevano animato la resistenza antifrancese negli anni del dominio napoleonico (cf. Fichte, Discorsi alla nazione tedesca). Si ricorda la Burschenschaft, lega studentesca fondata nel 1815 dagli universitari di Jena, il cui motto era “onore, patria e libertà”. Allarmato da toni sempre più antiaustriaci delle agitazioni, Metternich nel 1819 decise di sciogliere le leghe studentesche, porre sotto sorveglianza le università e limitare la libertà di stampa. In Russia nacque un primo nucleo di opposizione, cui aderirono soprattutto ufficiali dell’esercito, tutti di origine nobiliare. Sorsero così le prime società segrete ; l’insurrezione scattò nel dicembre 1825 (moto decabrista), ma i rivoltosi furono sconfitti e i loro capi impiccati (in seguito, disputa tra “slavofili” e “occidentalisti”). La Gran Bretagna, dal canto suo, era governata da una monarchia parlamentare (Camera dei lord : grande nobiltà e vescovi anglicani, alleati dei tories ; Camera dei comuni : eletta con sistema censitario – piccola nobiltà terriera e ricca borghesia mercantile, alleati dei whigs) : essa tuttavia adottò dopo il 1815 una politica conservatrice, che rinfocolò il malcontento popolare (recrudescenza del movimento luddista, 1816). Ma dal 1824 si avviò una moderata politica riformatrice, che si tradusse nel 1832 con il Reform act, che ampliò il corpo elettorale maschile (un elettore ogni 22 cittadini) : buona parte della media borghesia vide soddisfatte le proprie aspirazioni ; nel frattempo, veniva emanata la prima legge per la tutela del lavoro infantile nelle fabbriche (1833). I primi anni del regno della regina Vittoria (1837-1901) furono contrassegnati dalle violente agitazioni sociali promosse dal movimento cartista, così denominato dalla Carta del popolo, un documento che rivendicava il suffragio universale maschile. Espressione del malcontento della classe operaia, il movimento mirava a ottenere una rappresentanza parlamentare per le classi lavoratrici. Le agitazioni cartiste furono represse con fermezza. Gli sviluppi del sistema liberal-costituzionale posero infine il complesso problema del rapporto tra liberalismo e democrazia (Tocqueville, John Stuart Mill) ; le stesse tematiche ricevettero anche in Italia un impulso, sollecitato dalla questione dell’unità e dell’indipendenza nazionale (Mazzini, Cattaneo : unità nazionale sotto forma di repubblica federale, gli Stati Uniti d’Italia ; Gioberti : istituzione di una Confederazione degli Stati presieduta dal Papa nel rispetto delle dinastie regnanti ; Balbo : programma confederale realizzabile solo nel quadro di una forte iniziativa da parte del Regno di Sardegna). Con l’affermazione della civiltà dell’industria, si delineava in Europa la nuova società borghese, articolata in classi e imperniata sull’antagonismo tra borghesia e proletariato ; quest’ultimo cominciava a organizzarsi nei primi movimenti operai (Trade Unions) e socialisti (SaintSimon, Fourier, Blanc, Proudhon, Owen4). Saint-Simon teorizzò l’avvento di una società di “produttori” guidata secondo criteri tecnico-scientifici, in cui tutti i cittadini avrebbero dovuto essere attivi ; suo fondamento indispensabile sarebbe stata la fratellanza umana. Proudhon sosteneva che la proprietà fosse un furto : con questa perentoria affermazione egli non intendeva condannare la proprietà in sé, ma 4 4 Le rivoluzioni del 1848-1849 Nel 1848 un movimento rivoluzionario di dimensioni continentali si levò contro l’ordine costituito di Vienna. L’incendio rivoluzionario divampò sullo sfondo della pesante crisi agricola che nei due anni precedenti si era abbattuta sul continente, provocando una grave penuria alimentare e diffondendo lo scontento tra la popolazione. Nel quadro di una situazione economica critica, i conflitti sociali e politici interni si accentuarono sempre più, finendo per esplodere. Epicentro della rivoluzione fu Parigi, dove lo schieramento antiorleanista diede vita a un’accesa “campagna dei banchetti”, così chiamata perché i comizi pubblici, proibiti dalle autorità, venivano camuffati da “banchetti” generosamente offerti alla cittadinanza affamata. Punto di incontro delle diverse forme di opposizione era la rivendicazione del suffragio universale maschile. Sordo al crescente malcontentoGuizot tentò di impedire un banchetto, al che il popolo parigino insorse, occupò la Camera dei deputati e proclamò la Repubblica (il re dovette riparare all’estero). A potere si insediò un governo provvisorio dominato dai repubblicani e in cui entrarono anche due socialisti. La rivoluzione francese del 1848 segnò l’avvento sulla scena politica del proletariato (gli operai parigini avevano contribuito in misura rilevante al successo della rivolta). Il nuovo esecutivo seguì una politica democratico-socialista : emblematica fu la proclamazione del “diritto al lavoro”, destinato a trovare attuazione nella creazione di “officine nazionali” finanziate dallo Stato ; fu introdotto il suffragio universale maschile, fu ripristinata la libertà di stampa e di parola ; la giornata lavorativa fu limitata a 10 ore. Dalla Francia il moto si propagò all’Impero asburgico, dove i movimenti liberali, democratici e nazionali passarono all’offensiva. A Vienna una sollevazione popolare, guidata da insegnanti e studenti, provocò la caduta di Metternich e la fuga del re ; insorsero poi Budapest e Praga (fu costituito un governo ungherese, che abolì i diritti feudali, e fu eletto un Parlamento a suffragio universale maschile). I fatti di Vienna ebbero immediate ripercussioni anche in Germania ; per prima si sollevò Berlino (il re di Prussia, per salvare il trono, promise una Costituzione e la convocazione di un Parlamento), quindi l’agitazione si estese alle altre città tedesche, coinvolgendo tutti gli Stati della Germania. Fu portato così in primo piano la questione dell’unità nazionale in Germania. Lo stesso re di Prussia si fece paladino, a scopo strumentale, dell’unificazione tedesca, cercando di dirottare su questo obiettivo l’agitazione in corso, temendo che essa potesse svilupparsi in senso liberale e democratico. A Francoforte si riunì l’assemblea nazionale tedesca, al fine di elaborare una Costituzione che avrebbe dovuto essere adottata dalla nuova Germania unificata. I liberali entrarono in fermento anche nel Regno delle due Sicilie, ottenendo dal sovrano la Costituzione. A questo seguì la concessione della Costituzione anche in Toscana, nel Regno di Sardegna (Statuto albertino) e nello Stato pontificio. In marzo poi, pochi giorni dopo la caduta di Metternich, Venezia e Milano (“Cinque giornate”) insorsero contro gli austriaci, costringendoli a ritirarsi. Nella città veneta fu proclamata la Repubblica di San Marco, mentre sull’esempio di Milano si sollevarono anche le altre città lombarde. La vittoria delle insurrezioni antiaustriache in Lombardia e Veneto spinse il re di Sardegna Carlo Alberto, che puntava ad ampliare il proprio regno, a dichiarare guerra all’Austria. A Carlo Alberto si unirono anche i sovrani di Toscana e del Regno delle due Sicilie e il Papa, quella che garantiva un reddito senza bisogno di lavorare. Owen, un industriale tessile, trasformò la sua azienda in una comunità-modello, aumentando i salari, diminuendo le ore di lavoro e promuovendo attività culturali e ricreative per il loro tempo libero ; il suo esperimento non fu seguito e naufragò anche per ragioni di inefficienza economica. 5 preoccupati di essere travolti dall’agitazione patriottica e democratica. Lo scontro con l’Austria assunse il carattere di guerra nazionale di stampo federale, in vista cioè della costituzione di una confederazione di Stati retti dalle legittime dinastie. L’intesa antiaustriaca si ruppe rapidamente, a causa dell’ambiguo atteggiamento di Carlo Alberto, che mirava soltanto a conseguire un successo personale attraverso l’annessione del Lombardo-Veneto, e della preoccupazione per l’eventualità di un esito vittorioso dell’agitazione democratica (in questa prospettiva l’Austria appariva più un’alleata che una nemica) ; gli altri regnanti finirono così col disimpegnarsi dal conflitto. La prima guerra d’indipendenza italiana si concluse con la severa sconfitta dell’esercito sabaudo ; gli austriaci, da parte loro, rioccuparono Milano. * Nell’autunno del 1848 la rivoluzione stava ormai rifluendo ovunque in Europa. In Francia l’ordine fu ripristinato con l’avvento al potere di Luigi Napoleone Bonaparte, nipote dell’imperatore e candidato del “partito dell’ordine” alle elezioni presidenziali della repubblica francese. Sostenuto dalla borghesia e dalla destra conservatrice, ottenne i voti di gran parte delle masse popolari, preoccupate (non meno della borghesia) dallo “spettro del comunismo” (Marx-Engels) e sensibili alla sua propaganda populista. Nel dicembre del 1848 il sovrano prussiano, che poteva contare sulla fedeltà dell’esercito, sciolse il Parlamento e concesse una Costituzione che ben poco spazio lasciava ai principi del liberalismo. Intanto, i lavori dell’Asseblea di Francoforte, dominata dai liberali di orientamento moderato favorevoli a una monarchia costituzionale, si erano arenati in una contesa tra i fautori della “grande Germania” (Stato germanico comprendente l’Austria posto sotto la guida asburgica) e della “piccola Germania” (senza l’Austria sotto la guida prussiana). Alla fine prevalsero i sostenitori della “piccola Germania”, i quali, dopo aver preparato una Costituzione federale, offrirono il titolo imperiale al sovrano di Prussia. Egli però, temendo una reazione dell’Austria, lo rifiutò, in segno di spregio per una corona che gli veniva attribuita dal “popolo”. Da lì a poco l’Assemblea sarebbe stata sciolta, anche in seguito all’atteggiamento della borghesia, che, temendo una rivoluzione sociale, aveva preferito fare blocco con la nobiltà e la monarchia. Rifiutando la corona imperiale, il re di Prussia non aveva tuttavia inteso a rinunciare a sfruttare in favore del proprio regno l’agitazione nazionale tedesca. Anche in Austria, dopo la promulgazione di una Costituzione ben poco liberale, il potere tornava saldamente nelle mani della monarchia, che reprimeva nel sangue i moti indipendentisti boemo e ungherese. In Italia, nel frattempo, la sconfitta dei piemontesi ridiede slancio all’iniziativa dei democratici : di fronte al fallimento della “guerra federale” dei sovrani, essi ritenevano che fosse giunto il momento di una “guerra del popolo” nel nome della Repubblica. Le forze repubblicane presero così il potere in Toscana e a Roma (Repubblica romana, alla cui testa fu posto un triumvirato formato anche da Mazzini). Incalzato dagli eventi, Carlo Alberto riprendeva la guerra contro l’Austria, ma veniva definitivamente sconfitto, abdicando poco dopo in favore di Vittorio Emanuele II. Ben presto calava il sipario anche sulla repubblica toscana, soppressa dagli austriaci, su quella romana, schiacciata da un esercito francese (Luigi Napoleone intendeva guadagnarsi il completo appoggio delle forze conservatrici cattoliche del suo paese e stabilire un contrappeso all’egemonia austriaca in Italia ; alla difesa di Roma partecipò anche Garibaldi), e su quella di Venezia, ultima ad arrendersi all’Austria nell’agosto del 1849. 6