EFFICIENZA ENERGETICA NEGLI IMPIANTI DI RISCALDAMENTO

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EFFICIENZA ENERGETICA NEGLI IMPIANTI
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SOMMARIO
EFFICIENZA ENERGETICA NEGLI IMPIANTI DI RISCALDAMENTO
3
3
Situazione degli impianti di riscaldamento in Italia
Basta il Lago di Garda per scaldare l’Italia?
4 Sugli impianti si può sempre migliorare
5 L’EFFICIENZA NASCE DALLA GENERAZIONE
6
6
6
7
7
8
9
L’evoluzione del generatore di calore a combustione
Il gas cambia il mercato
Si afferma il “termoautonomo”
Inefficienze e vantaggi del termoautonomo
La modulazione della potenza
Il ruolo della temperatura dei fumi
La caldaia a condensazione come conseguenza obbligata
10 FOCUS TECNOLOGICO:
PERCHÉ LA CALDAIA A CONDENSAZIONE
11 Cause della scarsa efficienza
14Sicurezza
15 Emissioni inquinanti
17 Una tecnologia affinata
18 LE POMPE DI CALORE
19 Il ciclo inverso
20 Il diagramma termodinamico
23 Le prestazioni delle macchine
25 DISTRIBUZIONE, REGOLAZIONE, EMISSIONE
26 L’approccio normativo
29 Il rendimento di emissione
31 Migliorare il rendimento di emissione
32 Il rendimento di regolazione
34 Valutare i sistemi di regolazione
37 Interventi migliorativi sulla regolazione
38 Il rendimento di distribuzione
41 DALL’EUROPA ALL’ITALIA, LE LEGGI DI RIFERIMENTO
42 La Comunità Europea e l’efficienza energetica negli edifici: la Direttiva EPBD
43 Le linee guida nazionali per il nuovo APE
45 Decreto Edifici e normativa ERP
46 I requisiti per i generatori di calore a combustibile liquido e gassoso
46 I requisiti per le pompe di calore
EFFICIENZA ENERGETICA NEGLI
IMPIANTI DI RISCALDAMENTO
EFFICIENZA ENERGETICA NEGLI IMPIANTI DI RISCALDAMENTO Situazione degli impianti di riscaldamento in Italia
5
Situazione degli impianti di riscaldamento in Italia
Come da anni si va ripetendo, dei 176 Mtep
(milioni di tonnellate equivalenti di petrolio)
gli edifici sono responsabili di circa il 40%
(70 Mtep) del totale. Ma, nonostante tutti
gli sforzi che si stanno compiendo per il
miglioramento di efficienza degli stessi, i
loro consumi sono in aumento. Le cause
vanno ricercate da un lato dal crescere del
settore delle costruzioni, che nonostante
i drammatici rallentamenti che deve
fronteggiare è comunque e sempre attivo,
dall’altro dagli utilizzi energetici che si fanno
nel settore civile. Questi sono in aumento, in
particolare per gli impieghi elettrici, poiché
all’utilizzo massiccio di apparecchi a basso
consumo (es. monitor di nuova generazione)
si è affiancata la diffusione sempre maggiore
di elettrodomestici ad elevato consumo
(asciugatrici, bollitori “kettler”), nonché
quella capillare dei condizionatori d’aria.
È vero che si tratta di apparecchi che
presentano un elevato impegno di potenza
per periodi ridotti, ma l’energia richiesta
annualmente non è in ogni caso trascurabile.
Recenti statistiche (CRESME, 2009) indicano
la presenza in Italia di circa 24 milioni
di unità abitative dotate di impianto di
riscaldamento. Di queste, 14 milioni hanno
un impianto di riscaldamento autonomo e
10 milioni un impianto centralizzato. Oltre
2/3 delle unità abitative hanno un’anzianità
superiore a 30 anni e sono quindi suscettibili
di interventi di ristrutturazione anche
importante a livello di edificio e di impianto.
Di fatto, dal 2000 al 2005, quasi metà delle
unità abitative è stata interessata dalla
sostituzione del generatore di calore e/o
dei radiatori, confermando l’esistenza di un
grande mercato delle sostituzioni.
Un altro dato di grande interesse è legato
Basta il Lago di Garda per scaldare il Paese?
Dalla sua comparsa sulla terra, un miliardo e mezzo di anni fa, l’uomo ha finora consumato una quantità
di energia primaria pari a 400 Gtep (400 miliardi di tonnellate equivalenti di petrolio), di cui 100 stimate
in energia rinnovabile, biomassa e solare. Il volume indicativo dei 300 miliardi di tonnellate di petrolio
equivalenti di risorse di energia primaria non rinnovabile è di 6 volte il Lago di Garda (49 km3 di volume).
Circa un terzo di questa è stata consumata negli ultimi 10 anni (!), e altrettanta ne verrà consumata nei
prossimi 8. Il futuro prossimo richiede quindi altri due “laghi di Garda” di petrolio equivalente disponibili
per il consumo, e questo impone a tutti l’obbligo di considerare le risorse energetiche non rinnovabili
come limitate.
Il trend complessivo del fabbisogno nazionale italiano, dal 1960 al 2010 è triplicato, pur con battute
d’arresto negli anni ’70 a fronte delle crisi energetiche e in presenza di crisi economiche (Lazzarin et al.
2012). Infatti il bilancio energetico nazionale (Lazzarin et al.) mostra per il 2012 un consumo di poco più
di 176 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio). Dopo aver raggiunto il valore massimo di 198
Mtep nel 2005 esso è tornato ai livelli del 1998 (179 Mtep); si tratta di un indicatore di consumo interno
che non considera quindi la produzione (rinnovabili o fossili), pertanto la sua diminuzione è indicativa
del fabbisogno, e la diminuzione di questo può essere da un lato correlata all’effetto della congiuntura
economica e dall’altro all’aumento dell’efficienza energetica del paese. A tale proposito vale la pena
ricordare che l’intensità energetica dell’Italia, ovvero il rapporto tra il fabbisogno di energia e il PIL, è la
più bassa tra tutti i paesi del G8 e tra le più basse dei paesi del G20.
Un prima riflessione può essere fatta sulla distribuzione del fabbisogno nei tre settori in cui viene
solitamente distinto: civile, industriale e trasporti. La ripartizione vede gli edifici responsabili di circa il
40% (70 Mtep) del totale.
6
EFFICIENZA ENERGETICA NEGLI IMPIANTI DI RISCALDAMENTO Situazione degli impianti di riscaldamento in Italia
al tipo di combustibile impiegato nel
riscaldamento che è prevalentemente il
gas naturale, ma per ben il 29% liquido
e addirittura per il 14% solido. Su queste
due ultime percentuali le potenzialità di
sostituzione degli impianti più efficienti
sono elevatissime non fosse che per motivi
ambientali.
Sugli impianti si può sempre migliorare
Una volta effettuati interventi di isolamento
termico con la sostituzione degli infissi ed
eventualmente con l’applicazione di un
cappotto isolante sugli edifici esistenti,
ulteriori interventi significativi di riduzione
dei consumi si possono ottenere a livello di
impianti con la sostituzione dei generatori
di calore con caldaie più moderne,
preferibilmente a condensazione, ovvero con
il ricorso a pompe di calore. L’intervento sugli
impianti è in svariati casi l’unico realmente
applicabile, quando l’edificio, come accade
non di rado in Italia, è un edificio storico o
artistico.
L’EFFICIENZA NASCE
DALLA GENERAZIONE
8
L’EFFICIENZA NASCE DALLA GENERAZIONE L’evoluzione del generatore di calore a combustione
L’evoluzione del generatore
di calore a combustione
Dovendo descrivere l’evoluzione
dell’adozione di una caldaia per
riscaldamento potremmo dire che si è passati
da un dominio (del mercato, sarebbe naturale
dire, anche se un vero e proprio mercato è
nato in quegli anni appunto) delle caldaie a
basamento per impianti di tipo centralizzato
fino alla prevalenza dei moderni apparecchi
per impianti di riscaldamento autonomo,
assistendo nel contempo ad una vera e
propria “rivoluzione” tecnologica che ha
investito, a partire dai risvolti termodinamici
della combustione e dello scambio termico
per arrivare fino a quelli tecnico-costruttivi,
tutte le fasi che vanno dalla progettazione
all’installazione delle caldaie.
Il gas cambia il mercato
Una prima ragione dell’evoluzione viene
identificata nella sempre maggiore diffusione
del gas naturale come combustibile
alternativo (Lazzarin R.M., [1]), reso disponibile
in maniera capillare negli agglomerati urbani
dall’opera di “metanizzazione” realizzata da
Eni in Italia. Il gas naturale si impone per
semplicità e praticità di utilizzo dalla metà
degli anni ’70 (fino ad allora era il gasolio il
combustibile più diffuso) in molte abitazioni,
che possono così disporre, attraverso lo stesso
impianto di alimentazione, di gas naturale per
uso cottura, per la produzione di acqua calda
ad uso igienico sanitario e per il riscaldamento
ambientale.
È proprio la distribuzione del combustibile a
livello “capillare”, più che il cambiamento di
combustibile (i grandi generatori di calore
infatti potevano essere alimentati anche con
il gas naturale), a promuovere uno spirito
individualistico nei confronti del sistema di
riscaldamento, che si manifesta nel desiderio
di poter controllare la temperatura dei
propri locali e i tempi di funzionamento
dell’impianto. Questo cambiamento è
avvenuto molto in fretta, prima che la
tecnologia e il mercato potessero rendere
disponibili per gli impianti centralizzati dei
sistemi di contabilizzazione individuale del
calore, che richiedevano una componentistica
elettronica non ancora matura in quegli anni,
dal punto di vista sia tecnico che economico.
Si afferma il “termoautonomo”
Si diffuse così la caldaia autonoma, al punto
di essere citata negli anni ’80 nelle inserzioni
pubblicitarie immobiliari (“termoautonomo”)
come elemento qualificante dell’abitazione,
una sorta di vantaggio competitivo nel
mercato delle abitazioni. Il tutto si traduceva
a livello tecnico in un aumento dei punti di
fiamma nonché dei costi di manutenzione (e
di sostituzione). Aumenta anche la potenza
complessiva installata, di molto superiore
rispetto alla potenza del corrispondente
impianto centralizzato. A titolo di esempio,
un condominio di 12 appartamenti era
mediamente dotato di generatore della
potenza di un centinaio di kWt, mentre le
caldaie disponibili erano di taglia minima,
all’incirca 20 kWt. Ciò può essere solo in
parte giustificato dal fatto che l’impianto
centralizzato deve fronteggiare una curva
di domanda complessiva, la cui potenza
di picco era inferiore alla somma delle
potenze di picco richieste dalle singole unità
abitative; invece una ragione che giustifica la
taglia delle caldaie poteva essere la potenza
richiesta per la produzione di acqua calda
sanitaria istantanea.
L’EFFICIENZA NASCE DALLA GENERAZIONE Inefficienze e vantaggi del termoautonomo
9
Inefficienze e vantaggi del termoautonomo
Le caldaie disponibili sul mercato
generavano quindi una potenza quasi
sempre esuberante rispetto al fabbisogno
di riscaldamento dell’utenza. Inoltre esse
erano prive di dispositivi di modulazione
della potenza erogata, quando invece gli
impianti di tipo centralizzato erano molto
spesso dotati di sistema di regolazione
del tipo a “compensazione climatica” (la
temperatura di mandata è stabilita in
funzione della temperatura esterna, in modo
tale da anticipare il carico, che è ovviamente
sempre in ritardo rispetto alla variazione
delle condizioni climatiche), quando non
addirittura di dispositivo di modulazione
(costoso ma giustificabile, date le taglie
dell’impianto). Ne consegue che le caldaie
autonome funzionavano ad intermittenza
per la maggior parte del tempo, quando
L’evoluzione della caldaia
Le caratteristiche delle prime caldaie degli anni
‘60 erano identificabili in:
•bruciatore atmosferico con sistema di
circolazione a tiraggio naturale;
•accensione con fiamma pilota;
•sistema di regolazione ON/OFF;
•temperatura di mandata fissa.
Le ingenti perdite presenti anche durante il
funzionamento a regime determinavano un
rendimento nominale pari all’85%.
invece l’impianto centralizzato poteva
beneficiare dell’effetto di aggregazione,
interpretabile attraverso un fattore di
contemporaneità, delle curve di carico delle
singole unità abitative.
L’insieme delle caldaie autonome ha
quindi in prima battuta un rendimento
inferiore rispetto al sistema centralizzato.
Se il rendimento nominale di una caldaia a
regime era pari al 85%, il rendimento medio
stagionale era dell’ordine del 60%. È vero
anche che le caldaie centralizzate del tempo
non ottenevano risultati molto superiori,
ma almeno avevano costi di installazione e
manutenzione proporzionalmente più bassi.
L’unico risparmio del sistema autonomo
rispetto a quello centralizzato era
rappresentato dalla riduzione dei tempi
del riscaldamento e delle temperature
interne, possibile solo in quanto l’utilizzatore
usufruiva per intero del risparmio da lui
generato. Questa ultima considerazione,
oltre a ribadire l’importanza che gli aspetti
sociale e psicologico hanno avuto nel
determinare l’evoluzione del mercato dei
sistemi di riscaldamento, suggerisce anche
un aspetto fondamentale in base al quale
oggi è possibile rivalutare gli impianti
centralizzati di tipo innovativo, cioè la
possibilità di regolare le temperature e i
tempi di funzionamento per ogni singola
unità abitativa, nonché di contabilizzare
i consumi per corrisponderne i costi in
maniera proporzionale.
La modulazione della potenza
Negli anni ’80 viene introdotta sul mercato,
anche come conseguenza degli interventi
sul piano normativo, la caldaia ad alto
rendimento, caratterizzata dal sistema di
accensione piezoelettrico. In queste caldaie
il rendimento nominale arriva al 90%,
merito di una migliore combustione che,
riducendo l’eccesso d’aria, riduce le perdite al
camino. Esse sono spesso del tipo a camera
stagna o “C”, con i condotti di aspirazione ed
espulsione dei fumi che sboccano all’esterno
dell’ambiente. Di conseguenza, il sistema
di circolazione sul lato fumi può essere del
tipo a tiraggio forzato con un ventilatore
all’aspirazione; in questo caso una serranda
a comando elettrico interbloccata con il
ventilatore consente, annullando il tiraggio
del condotto, di limitare il raffreddamento
10 L’EFFICIENZA NASCE DALLA GENERAZIONE Il ruolo della temperatura dei fumi
Il ruolo della temperatura dei fumi
La modulazione della potenza consente di
beneficiare dell’aumento di efficienza nello
scambio termico dato dall’aumento del tempo di
residenza dei fumi in caldaia. Possiamo infatti
esprimere lo scambio termico in caldaia come:
Il termine che “governa” lo scambio termico è
il coefficiente di convezione del lato fumi (che
genera la maggiore resistenza termica). Esso
è ricavabile in regime di convezione forzata da
relazioni tra i numeri adimensionali di Nusselt Nu,
Reynolds Re, e Prandtl Pr espresse nella forma:
nella quale l’esponente “x” è tipicamente inferiore
a 1. Il coefficiente di convezione diminuisce meno
che proporzionalmente alla velocità, e quindi alla
portata.
Dal primo principio il calore ceduto dai fumi
durante il raffreddamento è pari a:
Significa che dimezzando la portata dei fumi il
calore scambiato diminuirà di meno del 50%,
con conseguente diminuzione della differenza
media logaritmica di temperatura ed aumento
dell’efficienza di scambio.
A titolo di esempio, supponiamo di avere una
temperatura di ingresso dei fumi di 300 °C ed uscita
a 157 °C, una temperatura di ingresso acqua di 55
°C ed uscita a 69 °C. L’efficienza risultante è 58%. Se
scelgo di dimezzare la portata dei fumi in ingresso,
a parità di temperature di ingresso acqua e ingresso
fumi, la temperatura di uscita fumi si abbassa di
30 °C elevando l’efficienza di scambio al 70%, e
diminuendo le perdite al camino. A questo punto è
chiaro che l’efficienza della caldaia modulante non
solo non è penalizzata dalla parzializzazione, ma
addirittura trae da essa beneficio.
A differenza delle caldaie di tipo tradizionale, in
cui la curva di rendimento, rappresentata in Figura
1, è decrescente con la parzializzazione (con la
diminuzione del fattore di carico), nelle caldaie
ad alto rendimento la curva è crescente con il
diminuire del fattore di carico, fino alla frazione
di carico minimo realizzabile tecnicamente, che a
seconda dei modelli di caldaia, è tra il 18% e il 30%
della potenza termica utile.
Figura 1. Curva del rendimento per una caldaia di tipo tradizionale. (Ecoflam)
L’EFFICIENZA NASCE DALLA GENERAZIONE La caldaia a condensazione come conseguenza obbligata
del corpo caldaia e le conseguenti perdite
nei cicli di accensione e spegnimento.
Il rendimento nominale era dunque piuttosto
elevato e il problema più importante da
risolvere rimaneva quello delle perdite nei
cicli di accensione/spegnimento, che erano
tanto più elevate quanto più marcata era la
differenza tra la potenza di picco richiesta
dall’impianto e la potenza nominale del
generatore.
Alla fine degli anni ’80 si resero disponibili
sul mercato i generatori di calore
dell’ultima generazione, che avevano come
caratteristica dominante la portata variabile
di miscela (anche a tiraggio forzato), con
conseguente modulazione continua della
potenza termica erogata. La modulazione
viene realizzata:
•tramite bruciatori a premiscelazione a
tiraggio naturale, per le taglie piccole (fino
a 16 kWt nominali, che diventano 4 in
modulazione) di caldaie murali stagne.
•Tramite ventilatore a portata fissa e
serrande che modulano la perdita
11
di carico, e la conseguente portata
aspirata. In questo caso la miscelazione
del combustibile avviene a valle del
ventilatore. Questo sistema si utilizza
tipicamente in caldaie non domestiche.
•Tramite ventilatore a portata variabile.
La miscelazione del combustibile
avviene anche in questo caso a valle del
ventilatore. Questo ultimo sistema risulta
molto costoso e viene quindi adottato
solo per i bruciatori di taglia elevata.
Così la caldaia può rendere disponibile una
potenza variabile, e quindi “adattarsi” alle
richieste dell’edificio. Ciò è di fondamentale
importanza sulla scorta delle considerazioni
spese riguardo al sovradimensionamento
del generatore rispetto al fabbisogno di
picco, poiché è proprio la modulazione della
potenza che consente di innalzare non tanto
il valore del rendimento nominale, quanto
quello del rendimento medio stagionale,
tallone d’Achille di tutti i sistemi non
modulanti.
La caldaia a condensazione come
conseguenza obbligata
A questo punto si può fare un’ulteriore
riflessione in tema di parzializzazione della
potenza termica: se le richieste dell’edificio/
impianto sono elevate rispetto alla taglia
di generatori presenti sul mercato, come
può accadere ad esempio nel caso di
un condominio, la potenza può essere
frazionata tramite l’accoppiamento di più
generatori monostadio (al limite di tipo
non modulante). Questo tipo di soluzione
è analoga a quella che si adotta per la
parzializzazione dei gruppi frigo a più
compressori, e la curva di rendimento
risultante è una curva a gradini.
Come è stato detto, la riduzione della
potenza termica comporta una riduzione
della temperatura dei fumi, che genera un
aumento del rendimento istantaneo. Vi è
tuttavia un limite tecnico all’abbassamento
della temperatura dei fumi, costituito dalla
condensazione di vapori, che data la natura
della combustione possono contenere
componenti acide, sulle pareti del corpo
caldaia. Questo limite rappresenta al
contempo una grande opportunità, che
viene sfruttata dalla caldaia a condensazione.
FOCUS TECNOLOGICO:
PERCHÉ LA CALDAIA
A CONDENSAZIONE*
L’
FOCUS TECNOLOGICO:Perché La caldaia a condensazione Cause della scarsa efficienza 13
aumento del prezzo dei combustibili,
una maggiore attenzione
all’ambiente, corroborata, come è
giusto, da normative via via più restrittive, e,
quindi, l’interesse per sistemi di combustione
efficienti, sicuri e affidabili, hanno spinto i
costruttori ad introdurre progressivamente
miglioramenti tecnologici. Questi sono
diventati tali e tanti che si può dire che
il moderno generatore di calore è un
apparecchio che spartisce con la vecchia
caldaia solo la funzione, ma che ha per
il resto ben poche somiglianze. Ma a
questo punto conviene andare per ordine,
considerando quale sia stata l’evoluzione
del generatore di calore sui versanti
dell’efficienza, della sicurezza e dell’ecologia.
Cause della scarsa efficienza
La ridotta efficienza delle apparecchiature
di combustione in corso di sostituzione
si manifesta in due aspetti: elevata
temperatura dei fumi allo scarico al camino
e elevato eccesso d’aria. La combinazione
di queste due condizioni di funzionamento
provoca elevate perdite di energia al camino
e quindi la strada obbligata per il recupero
di efficienza è nella riduzione di entrambi i
valori. Il fatto è che sono condizioni dettate
da esigenze reali.
Problema 1
Elevata temperatura dei fumi
Una temperatura adeguata dei fumi al
camino impedisce le condensazioni di
vapore d’acqua sia in caldaia che nella
canna fumaria. La condensa è acida per il
contenuto in acido carbonico e quindi le
superfici a contatto non devono temere la
corrosione.
Soluzione
Ecco una prima innovazione: il ricorso a
materiali diversi dal consueto, dall’acciaio
inossidabile alle leghe di alluminio. Inoltre,
il raffreddamento dei fumi richiede, pena
dimensioni inaccettabili del generatore di
calore, buone se non ottime capacità di
scambio termico, in particolare se si tratti
di caldaia da appartamento. La seconda
innovazione è il ricorso a superfici di
scambio incentivate in grado di realizzare
elevati coefficienti di scambio termico (Fig.
A). Va ricordato poi che la temperatura
adeguata dei fumi è indispensabile
per indurre un sufficiente tiraggio alle
canne fumarie. L’ulteriore innovazione è
stata quindi il passaggio progressivo dei
generatori moderni dalle caldaie cosiddette
atmosferiche a quelle ad aria soffiata
con prevalenza nei fumi indotta da un
ventilatore.
Figura A. Esempi di superfici di scambi intensificate dal lato
dei fumi.
14 FOCUS TECNOLOGICO:Perché La caldaia a condensazione Cause della scarsa efficienza
Problema 2
Elevato eccesso d’aria
L’elevato eccesso d’aria è invece finalizzato
a ridurre la quota di incombusti. Come si
sa, l’eccesso d’aria è la frazione di aria di
combustione che supera i valori suggeriti
dalle quantità strettamente necessarie alla
combustione completa, la cosiddetta aria
stechiometrica. La questione è illustrata
molto bene dalla Fig. B, dove si vede per
un ben definito generatore di calore quale
sia l’influenza dell’eccesso d’aria sugli
incombusti (la CO) e sull’efficienza.
del bruciatore, lasciando poco tempo per
l’intimo incontro fra le molecole di ossigeno
e di metano, ma prima del ventilatore di
alimentazione del bruciatore che provvede
ad una miscelazione efficacissima di
combustibile e comburente, consentendo
di arrivare ad una combustione completa
con limitato eccesso d’aria. Questo
risultato è stato consentito dal ricorso ad
adeguati materiali per il ventilatore che non
producono nel funzionamento scintille per
accumulo di elettricità statica.
Figura B. Rendimento di un generatore di calore,
concentrazione di ossido di carbonio nei fumi (ppm) e
tenore di O2 nei fumi
Figura C. Schema di un bruciatore premiscelato con
iniezione di gas a monte del ventilatore (doc. Ecoflam)
Per un eccesso d’aria ridotto, la quantità
di incombusti è così inaccettabile da
influenzare addirittura il rendimento
di combustione. Per un eccesso d’aria
attorno al 15% (valore valido solo per quel
particolare generatore considerato) si ha
una brusca riduzione della CO che prosegue
poi più lentamente, mentre l’efficienza del
generatore arriva al valore massimo. Da quel
punto in avanti la riduzione di CO che già
si è portata a livelli molto bassi è modesta,
mentre il calo di rendimento si fa via via più
significativo. Il problema da risolvere era
come limitare gli incombusti a valori molto
bassi, mantenendo un ridotto eccesso d’aria.
Soluzione
La soluzione è stata il bruciatore
premiscelato (Fig. C). In questo la miscela
“tonante” non si forma a livello dell’ugello
Problema 3
Efficienza stagionale e emissioni
inquinanti
Se gli accorgimenti descritti consentivano
un incremento rilevante dell’efficienza
nominale del generatore, restava insoluta
la problematica relativa alla sua efficienza
stagionale, soprattutto nelle condizioni dei
generatori autonomi da appartamento.
Questi sono caratterizzati da una potenza
nominale esuberante rispetto alle necessità
del riscaldamento ambiente e finalizzata
alla produzione istantanea dell’acqua calda
sanitaria. Di qui deriva un funzionamento
normale fortemente parzializzato ed
ottenuto nel passato con la tecnica
dell’attacca-stacca (ON-OFF) che alterna
accensioni e spegnimenti del bruciatore.
Il raffreddamento della caldaia dopo ogni
FOCUS TECNOLOGICO:Perché La caldaia a condensazione Cause della scarsa efficienza 15
spegnimento, sia per circolazione naturale
dell’aria per i generatori “atmosferici” che
per i cicli di lavaggio per i generatori ad
aria soffiata, implica ingenti perdite di
efficienza tanto più marcata quanto più
basso il fattore di carico, ossia il rapporto fra
la potenza termica richiesta dall’impianto
e la potenza nominale del generatore. A
questo fenomeno negativo si aggiungono
anche maggiori emissioni inquinanti che
si manifestano nella fasi iniziali subito
successive alla riaccensione.
Soluzione
La soluzione di questo problema è il ricorso
a sistemi di combustione modulanti, il cui
requisito stringente è il mantenimento per
qualsiasi potenza prodotta del corretto
eccesso d’aria. Questo può essere ottenuto
solo con un adeguato effetto di retroazione,
per cui si riteneva necessario, in un primo
tempo, il ricorso ad un sensore dell’eccesso
d’aria che indicasse al ventilatore la corretta
velocità in funzione della portata di gas di
alimentazione, stabilita questa dalle richieste
dell’ambiente. Un possibile sensore è una
cella ad ossido di zirconio, il cui costo è
peraltro proibitivo per generatori di taglia
medio piccola. Brillante soluzione è stata
quella di far variare la portata d’aria di
combustione in funzione del carico. Questo
induce una variazione di pressione in camera
di combustione con cui regolare la portata
di combustibile in modo sufficientemente
accurato. Il manometro differenziale, il
sensore necessario per la retroazione, ha
un costo più modesto. Il risultato che si
Figura D. Rendimento di generatori di calore con diverso sistema di parzializzazione in funzione del
fattore di carico. Si nota facilmente il rapido decadimento delle prestazioni al diminuire del fattore
di carico, a cui inizialmente si è ovviato con il ricorso a bruciatori a più stadi (sono rappresentate le
situazioni di due e di quattro stadi). Il beneficio ottenibile è che quando la potenza richiesta si riduce
di un numero intero di stadi rispetto alla nominale, è sufficiente spegnere questi stadi per lavorare a
potenza nominale e quindi con il rendimento a fattore di carico unitario. (Ecoflam)
16 FOCUS TECNOLOGICO:Perché La caldaia a condensazione Sicurezza
riesce ad ottenere è davvero straordinario
ed è ben illustrato dalla Fig. D che riporta il
rendimento di combustione in funzione del
fattore di carico nel caso di un bruciatore
monostadio ON-OFF, dove si può osservare
che per un sistema modulante in continua,
il rendimento non solo non diminuisce
al diminuire del fattore di carico, ma
addirittura aumenta. Il motivo va ricercato
nel raffreddamento più efficace dei fumi a
carico parziale, dato che scambiano calore
con superfici dimensionate per una portata
più elevata di fumi. L’ultima curva del
grafico proposto è relativa ad una caldaia a
condensazione con bruciatore modulante.
È questo il risultato più brillante che si può
raggiungere attualmente con i generatori di
calore. Infatti la condensazione del vapore
acqueo contenuto in tutti i prodotti della
combustione che contengano idrogeno nel
combustibile permette un ulteriore recupero
termico che in passato era del tutto escluso
(la condensazione era un fenomeno che
si voleva evitare) e che fa sì che tuttora il
rendimento di combustione sia espresso
con riferimento al Potere Calorifico Inferiore
(quindi senza tenere conto del calore latente
dei fumi). Da quest’ultima scelta deriva
il risultato paradossale che la caldaia a
condensazione può presentare rendimenti
superiori al 100%, come si desume anche dal
grafico proposto.
Le potenzialità della caldaia a
condensazione con impianti ad alta
temperatura
La caldaia a condensazione è
un’apparecchiatura in grado di raffreddare i
fumi sotto il punto di rugiada, in grado così
di recuperare una quota del calore latente,
incrementando al tempo stesso, per il forte
abbassamento dei fumi, anche la quota di
calore sensibile. Per far questo non basta un
apparecchio correttamente dimensionato,
ma è necessario progettare l’impianto per
un ritorno a bassa temperatura. Si ritiene
erroneamente che l’uso corretto della caldaia
a condensazione sia quindi solo con sistemi
di riscaldamento a bassa temperatura,
tipicamente pavimenti o soffitti radianti.
Viceversa una corretta impostazione di
impianti tradizionali a radiatori consente
egualmente buone prestazioni, a patto
di variare la portata d’acqua con il carico,
scegliendo la stessa in modo da lavorare
anche in condizioni nominali con un forte
differenziale di temperatura fra mandata e
ritorno. Per fissare le idee, anziché la classica
differenza di 20°C, si potrebbe scegliere
una differenza di 40°C. Questa ed altre
considerazioni sull’impianto, dallo scarico
delle condense alle esigenze di protezione
del camino e al tiraggio verranno affrontate
nei prossimi volumi delle Guide.
Sicurezza
La sicurezza nella conduzione di un
generatore di calore presenta aspetti relativi
al pericolo di scoppio per ristagno di gas per
assenza di fiamma, dovuta a spegnimento
accidentale e relativi all’emissione
nell’ambiente riscaldato di sostanze nocive,
in particolare di ossido di carbonio.
Per quanto riguarda il controllo di fiamma,
esso veniva un tempo garantito dalla fiamma
pilota, fiammella perpetuamente accesa e
la cui assenza imponeva la chiusura del gas,
per la rapida caduta di temperatura rivelata
da una termocoppia. L’eliminazione della
fiamma pilota consentiva un recupero non
trascurabile di efficienza del generatore
e, al tempo stesso, richiedeva dei sistemi
affidabili e rapidi per il controllo della
presenza di fiamma. Questo è oramai quasi
universalmente garantito dal sensore di
fiamma a ionizzazione. Si tratta di un circuito
elettrico che si chiude sulla fiamma: in
assenza di questa il circuito è aperto e non
può passare corrente. La ionizzazione indotta
dalle elevate temperature della fiamma
FOCUS TECNOLOGICO:Perché La caldaia a condensazione Emissioni inquinanti 17
permette invece la chiusura del circuito.
L’assenza di fiamma è in tal modo rilevata
con grande tempestività. La termocoppia
avrebbe avuto viceversa dei tempi di risposta
non compatibili per motivi di sicurezza con
il rilevante deflusso di gas di caldaie per il
riscaldamento ambiente.
Il possibile ristagno di gas naturale nella
camera di combustione che potrebbe
produrre un’esplosione all’accensione del
bruciatore è evitato dal ciclo di lavaggio:
nei generatori ad aria soffiata viene inviata
per alcuni secondi solo aria nella camera
di combustione e viene eliminata ogni
presenza di gas combustibile. Per quanto
riguarda la protezione degli interni riscaldati
da emissioni nocive, alcuni aspetti verranno
esaminati nel successivo paragrafo.
L’adozione di sistemi di combustione stagni
rispetto all’ambiente riscaldato (tipo C)
garantisce comunque che le eventuali
sostanze nocive verranno indirizzate
all’esterno. Inoltre l’aria di combustione verrà
presa dall’esterno e quindi la “respirazione”
del generatore di calore non entrerà in
competizione con quella della persone.
Quest’ultimo problema viene ovviato spesso
con i fori di ventilazione, con l’avvertenza
che molto spesso vengono intenzionalmente
ostruiti per il flusso di aria fredda che ne
deriva.
Emissioni inquinanti
Le emissioni inquinanti prodotte da
una combustione di gas naturale sono
essenzialmente due: ossido di carbonio
(CO) e ossidi di azoto (NOx). Si potrebbe
anche considerare l’emissione di anidride
carbonica (CO2) che, come noto, è un gas
serra inevitabile che si può ridurre solo con
un aumento dell’efficienza del generatore e
con una riduzione dei fabbisogni termici.
Il problema dell’ossido di carbonio (CO)
Per quanto riguarda l’ossido di carbonio si
tratta certo dell’inquinante più temibile.
Si osservi, dal grafico di Fig. E, come si
possa arrivare a conseguenze letali per le
persone, non solo con un tenore elevato
di CO nell’aria, ma anche con una presenza
di pochi punti percentuali, qualora
l’esposizione si prolunghi per parecchie ore,
cosa che può avvenire tipicamente nel corso
di una notte.
Figura E. Valutazione di diverse combinazioni di
concentrazione di CO nell’aria e di periodo di respirazione ai
fini del rischio di avvelenamento.
18 FOCUS TECNOLOGICO:Perché La caldaia a condensazione Emissioni inquinanti
Soluzione
La riduzione del tenore di CO si è realizzata
con una migliore progettazione della camera
di combustione, ma soprattutto con una
scelta corretta dell’eccesso d’aria che, come
si ricorderà, non è necessariamente elevato,
se si ricorre a bruciatori premiscelati. Un
ulteriore elemento di riduzione è l’impiego
di generatori a modulazione continua,
dal momento che la fase di accensione
produce CO in misura molto più alta che nel
funzionamento a regime. Si è ormai scesi
sotto le 40 ppm, quando i valori fino a pochi
anni fa erano anche 5-6 volte più elevati.
Il problema dell’ossido di azoto (NOx)
Gli NOx erano stati inizialmente sottovalutati
come inquinanti. Successivamente ci si è
resi conto che sono i maggiori responsabili
delle piogge acide e che, interagendo con la
radiazione UV del sole, producono ossidanti
fotochimici, molto irritanti per le mucose.
Normative via via più severe sui limiti di
emissione per installare i generatori in certi
ambienti urbani (vedi città di Amburgo e
Zurigo) e marchi di qualità come Der Blaue
Engel (Angelo azzurro) hanno spinto i
costruttori ad un impegno sempre più attento
alla limitazione di tali emissioni. Ci si è presto
resi conto che nella combustione di metano
uno dei maggiori responsabili della formazione
di NOx è l’alta temperatura della fiamma, come
si può apprezzare dalla Fig. F che mostra come
in corrispondenza a 2000°C si abbia la massima
produzione di tale inquinante, che si porta
invece a valori molto ridotti sotto i 1200°C.
Soluzione
Si trattava quindi di raffreddare rapidamente
la fiamma subito dopo che si era prodotta.
A questo scopo la soluzione non poteva
essere un aumento dell’eccesso d’aria
che, ovviamente, riduce la temperatura
di fiamma, sia perché avrebbe ridotto
l’efficienza di combustione sia perché la
presenza di aria in forte eccesso è una causa
di produzione di NOx. In un primo tempo si
è provveduto a raffreddare la fiamma subito
a valle del bruciatore tramite l’inserimento
di barrette di materiale refrattario al di sopra
del bruciatore (Fig. G).
Figura F. Andamento relativo nella produzione di ossidi di
azoto in funzione della temperatura di fiamma.
Figura H. Sviluppo tipico di una fiamma da una testa di
combustione nella forma di un dardo.
Figura G. Barrette di materiale refrattario poste al di sopra
del bruciatore per un rapido raffreddametno della fiamma.
Il provvedimento davvero decisivo per una
drastica riduzione è stato la modifica radicale
del bruciatore. Il bruciatore tradizionale
produce una tipica fiamma a dardo (Fig. H):
FOCUS TECNOLOGICO:Perché La caldaia a condensazione Una tecnologia affinata 19
solo la zona periferica del dardo trova un
raffreddamento per radiazione e convezione
con le pareti della camera di combustione.
Nella parte centrale il nucleo della fiamma
si mantiene a temperature vicine a quelle
adiabatiche di fiamma per un periodo
sufficientemente lungo per produrre una
quantità di NOx.
Bruciatori completamente diversi, prima
in fibra ceramica e poi in fibra metallica
(Fig. I), hanno consentito di realizzare la
combustione a tappeto di fiamma. La
fiamma è in realtà costituita da milioni di
microfiamme, fiamme dell’altezza media di
2 mm, che derivano dalla fuoriuscita di aria e
gas premiscelati dalle porosità prodotte dalle
fibre (Fig. L). La fiamma presenta in tal modo
una grande superficie di scambio termico
con le pareti della camera di combustione
che viene disegnata tutto attorno alla testata
del bruciatore, spesso di forma cilindrica. La
temperatura della fiamma è generalmente
al di sotto di 1000°C e la produzione di NOx
si può portare a livelli ormai trascurabili
(anche meno di 15 ppm, vale a dire 10 volte
al di sotto rispetto ai limiti, ad esempio, della
normativa dell’Angelo azzurro).
Figura I. Dettaglio di fibra metallica impiegata per le teste
dei bruciatori.
Figura L. Immagine di una testa di un bruciatore in fibra
ceramica: sono ben visibili le microfiamme.
Una tecnologia affinata
Il moderno generatore di calore ha pochi
punti in comune con la tradizionale
caldaia, che pure è tuttora l’apparecchio
con maggiori quote di mercato. Un
generatore di calore premiscelato ad aria
soffiata modulante a condensazione e di
tipo C è un apparecchio che garantisce
un funzionamento sicuro con ridottissime
emissioni inquinanti e un rendimento ormai
prossimo ai limiti dettati dal primo principio
della termodinamica. Attorno ad esso il
progettista deve progettare un sistema di
riscaldamento adeguato: nessuna eccellenza
nel generatore di calore può assicurare un
funzionamento efficiente e sicuro se non
collegato ad un impianto adeguato. L’unica
possibilità per fare meglio, dal punto di vista
termodinamico, nel riscaldamento degli
ambienti è il ricorso alla pompa di calore.
* Tratto da AiCARR Journal #6/2011© Quine Business Publisher.
Di Renato Lazzarin, Dipartimento di Tecnica e Gestione dei Sistemi Industriali – DTG Università
di Padova
LE POMPE DI CALORE
L
a pompa di calore è un dispositivo
che consente il trasferimento di
calore da un sistema a temperatura
inferiore ad uno a temperatura superiore.
È un processo che può avvenire in forma
continuativa ed è perciò basato su di un ciclo
termodinamico, a differenza del passaggio
di calore opposto, cioè la trasmissione da
una temperatura superiore ad una inferiore,
che avviene sempre in maniera spontanea
e assolutamente inarrestabile. Un ciclo può
essere considerato come una successione
di trasformazioni che interessano un
sistema per cui lo stesso passa da una certa
condizione di partenza alla medesima
condizione finale. Il ciclo “diretto” consente
di trasformare il calore in lavoro meccanico,
riconducibile al sollevamento di un peso,
mentre il ciclo “inverso” consente di trasferire
il calore da una sorgente a temperatura più
bassa ad un pozzo a temperatura superiore.
Per esemplificare il funzionamento della
Le pompe di calore Il ciclo inverso 21
pompa di calore, e in generale del ciclo
termodinamico inverso, si consideri il
frigorifero, parte dell’immaginario collettivo;
osservando gli effetti del suo funzionamento
si possono fare tre considerazioni:
1.Solitamente la temperatura interna è
inferiore a quella esterna dell’ambiente in
cui il frigo si trova.
2.Se il frigo viene spento, la temperatura
al suo interno aumenta, poiché il calore
fluisce in maniera naturale dall’esterno
all’interno.
3.Se si pone la mano sul lato posteriore
del frigo si ha una sensazione di
“calore” superiore a quello che si prova
nell’ambiente in cui il frigo è collocato.
Queste due osservazioni empiriche
suggeriscono che il frigo si comporti come
una pompa di calore, sottraendo calore
da una sorgente a temperatura inferiore
(l’interno) e rigettandolo all’esterno.
Il ciclo inverso
Va detto subito che esiste una grande
molteplicità di fenomeni fisici con cui
realizzare un ciclo inverso, sfruttando effetti
magnetici, termoelettrici, termoacustici, ma
Differenze tra pompa di
calore e refrigeratore
In linea di massima si potrebbero trattare
nella stessa maniera sia la pompa di calore sia
il refrigeratore, dato che la differenza sta solo
nei livelli di temperatura e a volte neppure in
questi. La differenza più saliente fra macchine
frigorifere e pompe di calore sta piuttosto
nell’effetto su cui si concentra l’interesse: nelle
macchine frigorifere è nell’assorbimento di
calore da parte della macchina ai più bassi
livelli di temperatura del ciclo, nelle pompe di
calore nella cessione di calore da parte della
macchina ai più alti livelli di temperatura del
ciclo.
sicuramente il principio fisico maggiormente
impiegato è la vicenda vaporizzazionecondensazione di un fluido o di una miscela
di fluidi. Per semplicità si consideri una
sostanza pura. La regola delle fasi1 consente
di affermare che, nella coesistenza delle due
fasi liquido e vapore, esiste una relazione
fra una coppia di proprietà, perché solo
una di esse può essere indipendente. Ad
esempio, una volta scelta una temperatura
di cambiamento di fase, la pressione resta
definita, ovvero se si sceglie la pressione
di cambiamento di fase a sua volta la
temperatura resta definita. Questa relazione
può essere rappresentata da una retta su un
diagramma pressione-temperatura (p, T).
1
La regola delle fasi o di Gibbs afferma che per una
sostanza pura vale la relazione V = 1-F+2 dove V è il numero di
proprietà indipendenti per descrivere lo stato della sostanza e
F il numero di fasi presenti
22 Le pompe di calore Il diagramma termodinamico
Si riconoscono oltre alle linee di
cambiamento di fase liquido-vapore anche
quelle liquido-solido e solido-vapore. Le tre
curve si dipartono da uno stesso punto, il
punto triplo dove coesistono tutte e tre le
fasi assieme e non ci sono gradi di libertà.
Figura 3 Diagramma delle fasi per l’acqua.
Il diagramma termodinamico
Le diverse trasformazioni che si realizzano
in un ciclo trovano una rappresentazione
di grande utilità in un diagramma
termodinamico. Questo è spesso realizzato
tramite una coppia di coordinate
indipendenti che nella tecnica sono
frequentemente pressione-entalpia (p-h) nel
quale si nota anzitutto una curva a forma di
campana deformata (Figura 4). Essa delimita
la zona cosiddetta del vapore umido. Il
punto più alto della campana, indicato con
C, punto critico, divide la campana in due
rami: quello inferiore indica il liquido saturo,
vale a dire il liquido che sta per passare
in fase vapore. A sinistra di tale curva si
trova il liquido, designato spesso come
liquido sottoraffreddato, ovvero non ancora
in condizioni di saturazione (fornendo
calore a liquido in queste condizioni si ha
un incremento di temperatura ma non
produzione di vapore). Il ramo superiore
della campana è quello del vapore saturo,
cioè del vapore che si appresta, se avviene
un raffreddamento, a condensare. A destra
di tale curva si trova il vapore, indicato
spesso come vapore surriscaldato. Uno
scambio termico con tale vapore provoca
una variazione di temperatura, senza che
intervenga un cambiamento di fase, almeno
finché non si incontra la curva del vapore
saturo.
Figura 4 Curva di saturazione in un diagramma p-h.
All’interno della campana si trova, come
già si è detto, vapore umido, cioè vapore in
presenza di liquido: sono quindi presenti
entrambe le fasi. Come suggerito dalla regola
delle fasi non si può variare la temperatura
all’interno della campana senza variare la
pressione. Le isoterme rappresentate in
Figura 4 hanno infatti andamento orizzontale
all’interno della campana.
Le curve tratteggiate sono le isoentropiche,
cioè le curve ad entropia costante.
Disegnando un tipico ciclo inverso prima
sul piano p-h (più impiegato nella tecnica) si
potrà essere più espliciti.
Le pompe di calore Il diagramma termodinamico 23
Figura 5. Ciclo inverso rappresentato in un diagramma p-h.
Per realizzare le trasformazioni del ciclo
ci si può rifare al ciclo a compressione
meccanica di vapore. Punto di partenza
potrebbe essere il refrigerante liquido alla
pressione più alta (1) in Figura 5. Esso va
portato alla pressione inferiore: si potrebbe
realizzare un’espansione del liquido con
produzione di lavoro utile. Non viene
normalmente sfruttata tale possibilità, dato
che la scarsa efficienza nell’espansione di
un liquido e le modeste quantità di solito
in gioco, sconsigliano dal punto di vista
tecnico l’operazione. Si preferisce dissipare
la caduta di pressione mediante il passaggio
in un organo di strozzamento, in passato
un capillare, attualmente un valvola, che
produce una perdita di carico concentrata
e regola il deflusso del refrigerante dalla
Il ciclo termodinamico
Il ciclo può essere analizzato anche attraverso l’equazione del primo principio della termodinamica, nel
quale appaiono tre delle grandezze richiamate nello schema di Figura 6:
•L’effetto frigorifero all’evaporatore, Qe, in termini specifici (per unità di massa) pari alla differenza
h3 - h2.
•L’effetto termico al condensatore della macchina, Qc, in termini specifici pari alla differenza h4 - h1.
•Il lavoro necessario al compressore della macchina, L, in termini specifici pari a h4 - h3.
Alla base di tutte le considerazioni che verranno spese in seguito si sottolinea come gli effetti termici e
frigoriferi sono funzione della portata di massa del ciclo, mentre il lavoro di compressione dipende dalla
portata volumetrica elaborata; tra la portata volumetrica e di massa c’è di mezzo la densità del vapore,
che dipende dalla temperatura.
Il primo principio asserisce quindi che
L = Qc –Qe
Anche se per una pompa di calore è più interessante scriverlo in questa forma,
Qc = L + Qe
che ci ricorda come all’effetto utile contribuisca il lavoro meccanico del compressore.
L’indicatore più impiegato per l’efficienza del ciclo a pompa di calore è il COP (Coefficient of Performance),
pari a
COP = Qc/L
Le condizioni di prova delle macchine e modalità di calcolo sono stabilite a livello normativo dalla UNI EN
14511 (UNI, 2011).
Per quanto specificato sopra, l’efficienza del ciclo teorico dipende soltanto dalle temperature di sorgente
e pozzo, mentre i valori ottenibili da macchine reali sono influenzati da una molteplicità di fattori, legati
alla qualità tecnica della macchina, dal fluido frigorigeno impiegato, dalla dimensione degli scambiatori
e in particolare dalla qualità del compressore.
24 Le pompe di calore Il diagramma termodinamico
pressione più alta alla più bassa
di ciclo. Si arriva al punto 2: è
facile osservare che si entra nella
zona del vapore umido, anche
se l’entalpia resta invariata. È
intervenuto uno scambio fra il
calore sensibile posseduto dal
fluido nelle condizioni 1 e il calore
latente del fluido nelle condizioni
2: la temperatura del refrigerante
è diminuita, ma ora una frazione
è passata in fase vapore. La
vaporizzazione porta il fluido fino
alle condizioni di saturazione (punto 3) con
un effetto frigorifero alla temperatura più
bassa di ciclo. Ora il vapore va compresso. A
questo provvede un compressore, indicato
schematicamente come un compressore a
pistoni in Figura 6.
Figura 6. Rappresentazione schematica della macchina
pompa di calore.
Se il compressore opera in condizioni ideali
(compressione adiabatica reversibile),
il processo di compressione 3-4 seguirà
un’isentropica e il vapore diventerà
surriscaldato. Per ritornare alle condizioni
di partenza si dovrà prima desurriscaldare
il vapore, riportandolo sulla curva del
vapore saturo, e poi farlo condensare
alla temperatura più alta di ciclo. Questa
temperatura più alta è quella che consente
il funzionamento del frigorifero che
trasferisce all’ambiente l’energia termica
asportata dalla cella a temperatura più bassa
dell’ambiente. Ovvero questa temperatura
più alta è quella che consente l’effetto utile
alla pompa di calore, dato che trasferisce
l’energia prelevata da una sorgente a bassa
temperatura (ad esempio l’aria esterna)
ad un livello termico più alto ed idoneo ad
esempio al riscaldamento degli ambienti.
Figura 7. COP teorico e reale in funzione della differenza di
temperatura sorgente-pozzo.
Come si può osservare il COP è fortemente influenzato
dalla differenza di temperature tra sorgente e pozzo. Nella
pratica accade che al diminuire della temperatura della
sorgente (tipicamente aria esterna) e all’aumentare della
temperatura del pozzo (tipicamente l’acqua di impianto)
il COP diminuisca in maniera significativa, così come la
resa termica cioè la potenza che la macchina è in grado
di fornire al condensatore. Questa è la ragione per cui
è diffusa l’opinione che le pompe di calore funzionino
male nei climi troppo rigidi o con impianti a medio-alta
temperatura, come si può evincere dalla Figura al diminuire
della temperatura esterna.Se da un lato l’influenza
della differenza di temperatura è sancita in maniera
incontrovertibile dalla termodinamica, si vedrà in seguito
come queste considerazioni debbano essere approfondite
e contestualizzate a livello numerico, con l’analisi
delle prestazioni di macchine reali e con il calcolo delle
prestazioni stagionali.
Figura 8. Capacità richiesta dall’edificio e disponibile dalla
macchina.
Le pompe di calore Le prestazioni delle macchine 25
Le prestazioni delle macchine
Le prestazioni di una pompa di calore sono
descritte principalmente dal COP e dalla
sua capacità o potenza termica disponibile.
Del COP si è detto come dipenda dalle
temperature del ciclo per ogni macchina.
È interessante conoscere il suo valore
stagionale che dipende dall’andamento delle
temperature della sorgente fredda e di quelle
del calore prodotto nel corso della stagione
di riscaldamento. Tale valore dipende
anche dal grado di parzializzazione della
macchina e quindi dal suo dimensionamento
rispetto al carico di progetto e, per le
pompe di calore che operano usando
l’aria esterna come sorgente, dall’umidità
dell’aria. In funzione di questa (e della
temperatura che contemporaneamente
si manifesta) si possono avere cicli di
sbrinamento con penalizzazione della
macchina. Anche la capacità della macchina
dipende, a parità di velocità di rotazione
del compressore, dalle temperature.
Infatti il compressore è normalmente
una macchina volumetrica che, ad una
certa velocità di rotazione, elabora una
portata volumetrica fissata di refrigerante.
Qualora si abbia un abbassamento nella
COP e temperatura
Il COP è fortemente influenzato dalla differenza di
temperature tra sorgente e pozzo. Nella pratica accade che
al diminuire della temperatura della sorgente (tipicamente
aria esterna) e all’aumentare della temperatura del pozzo
(tipicamente l’acqua di impianto) il COP diminuisca in maniera
significativa, così come la resa termica, cioè la potenza che
la macchina è in grado di fornire al condensatore. Questa è
la ragione per cui è diffusa l’opinione che le pompe di calore
funzionino male nei climi troppo rigidi o con impianti a
medio-alta temperatura; come si può evincere dalla Figura 7 al
diminuire della temperatura esterna.
Se da un lato l’influenza della differenza di temperatura è
sancita in maniera incontrovertibile dalla termodinamica,
si vedrà in seguito come queste considerazioni debbano
essere approfondite e contestualizzate a livello numerico, con
l’analisi delle prestazioni di macchine reali e con il calcolo delle
prestazioni stagionali.
temperatura di evaporazione, la portata
di massa di conseguenza diminuisce, dato
il maggiore volume specifico del vapore
di refrigerante. Questo vale generalmente
anche per un aumento della temperatura
di condensazione, dato che il rendimento
volumetrico del compressore tende a
diminuire.
Figura 9. COP e capacità (resa) di una pompa di calore in
funzione delle temperature di sorgente e pozzo.
Le prestazioni istantanee possono essere
rappresentate come nel diagramma di
Figura 9 dove in funzione della temperatura
di evaporazione e per diverse temperature
di condensazione si leggono sulla scala
di sinistra le capacità della macchina e su
quella di destra i COP. La figura non specifica
la tipologia della sorgente fredda della
macchina. Qualora si trattasse di aria esterna
si noterebbero delle riduzioni di COP e
di capacità dovute agli sbrinamenti della
macchina.
26 Le pompe di calore Le prestazioni delle macchine
Come si calcola l’energia primaria impiegata?
Nel descrivere le prestazioni energetiche di una pompa di calore non ci si può accontentare del COP, ma si dovrebbe ricorrere al
rapporto di energia primaria (REP) o PER (Primary Energy Ratio). Infatti il lavoro o la potenza al denominatore del COP sono ottenuti
normalmente da un motore elettrico e si dovrebbe quindi conoscere quale sia il rendimento di trasformazione delle centrali
termoelettriche. Per l’Italia da qualche anno viene assunto il valore 0,46. Per una pompa di calore ad assorbimento o azionata
da motore a c.i. non si commettono gravi errori quando si confonde il COP (GUE, Gas Utilization Efficiency, per una macchina ad
assorbimento, secondo la UNI 12309-1:2002) con il REP, dato che l’input prevalente è dato dal combustibile (quasi sempre gas
naturale).
In assenza di dati forniti dal costruttore capacità e COP delle pompe di calore si possono stimare, partendo dal COP in condizioni
nominali, tramite la valutazione del rendimento exergetico in tali condizioni:
dove Tc,nom e Tf,nom sono rispettivamente le temperature di condensazione e dell’aria esterna nelle condizioni nominali, Dtint e
Dtext sono le differenze fra la temperatura di condensazione e quella del fluido lato condensatore e le temperature dell’aria esterna e
quella di evaporazione.
Ad esempio, si abbia che nella condizione A2/W35 (che si legge aria alla temperatura di 2 °C, acqua calda prodotta 35°C) il COP sia di
4,4 ed il salto termico allo scambiatore interno sia di 3 K, mentre alla batteria esterna di 6K:
Si ottiene:
A valori diversi di temperatura rispetto a quelli nominali la capacità Q (kW)della macchina può essere valutata, conoscendo la capacità
nominale Qnom da:
Nel caso precedente sia la capacità nominale di 15 kW nella condizione A2/W35 con i salti di temperatura negli scambiatori
rispettivamente di 3 e di 6K. La capacità alle temperature A4/W50 è data da:
Per quanto riguarda il COP, se si ipotizza la costanza del rendimento exergetico, il COP in condizioni diverse da quelle nominali è dato
da:
Nell’esempio appena considerato si avrebbe:
Eclipse
Tecnologia AFC
Controllo automatic0
della portata
Un impianto di riscaldamento ben bilanciato
può risparmiare il 25% di energia.
A prescindere dalla tipologia di generatore, il bilanciamento idronico è un punto focale nell’efficienza energetica degli impianti di
riscaldamento. E non senza un valido motivo: impianti correttamente bilanciati consumano il 25% in meno di energia rispetto agli
equivalenti non bilanciati.
Risparmio energetico possibile
30
Prestazioni di Eclipse
Fattore di efficienza secondo EN 15316,
con ambiente riscaldato da radiatori
e rete di distribuzione
Ambiente riscaldato mediante
radiatori - fattore di efficienza %
Dispersione di calore specifica
kWh/m2
Costi di pompaggio
20
Riduzione della dispersione di calore specifica kWh/m2;
esempio condominio di 5 appartamenti, con 4 montanti
principali e 5 radiatori per ogni appartamento,
valori da VDMA 2006.
10
25 %
0
Consumi energetici della pompa in funzione
della prevalenza e della portata a pieno
carico e ai carichi parziali
28%
MRV
> Impianto di riscaldamento bilanciato
TRV
TRV
presetting
MRV: Valvola manuale
TRV: Valvola termostatica
TRV presetting: Valvola termostatica
con pretaratura
Eclipse: Valvola termostatica con regolazione
automatica di portata (AFC)
Eclipse
> Sostituzione delle valvole manuali
con valvole termostatiche
IMI Hydronic Engineering s. r. l.
Via Trieste, 16
20871 Vimercate (MB)
Tel. +39 039 6612108
DISTRIBUZIONE,
REGOLAZIONE, EMISSIONE
30 DISTRIBUZIONE, REGOLAZIONE, EMISSIONE L’approccio normativo
Modalità di normativo
suddivisione degli impianti
L’approccio
5.3
Sul piano generale!"#$%&'()$*+(+,'#+$*#&$&-%&'(.&$/&$0#&-'.&11'1&)(+$&(2+,('#+3$/&$%,)/"1&)(+$#4'05"'$0'#/'
gli impianti di
termovettore acqua per gli impianti ad
6'(&.',&'$+$/&$2+(.&#'1&)(+$6&$0)(6&/+,'()$6"//&2&6&$&($/"+$%',.&$%,&(0&%'#&7
! fluido termovettore aria negli
acqua o del
climatizzazione invernale, di produzione
8
!"#$%& '($)*)++"+),-%./$ /'#$%"(.)$ /&$ 0)(6+*('$ '##'$ ,+.+$/&$/&6.,&9"1&)(+$'#$%"(.)$ /&
l’acqua calda sanitaria +-&66&)(+$/+##4+(+,*&'$.+,-&0'$".&#+$(+*#&$'-9&+(.&$0#&-'.&11'.&:
e di ventilazione si
impianti ad aria. A titolo esemplificativo
si consideri la figura 1 rappresentante un
considerano suddivisi
in
due
parti
principali:
8
!"#$%&'0%-%#"+),-%./$/'#$%"(.)$/&$0)(6+*('$/+##4+(+,*&'$'#$0)(;&(+$/+##4+/&;&0&)$'#
!
- parte “utilizzazione”: dal
punto
di
consegna
impianto per riscaldamento e produzione
%"(.)$/&$0)(6+*('$/+##4+(+,*&'$.+,-&0'$".&#+$'##'$,+.+$/&$/&6.,&9"1&)(+$/+##4+/&;&0&)<
alla rete di distribuzione
al punto di
acqua calda sanitaria destinato a servire
='$*+(+,'1&)(+$%">$'#&-+(.',+$"($6)#)$0&,0"&.)$/&$1)('$)$%&?$0&,0"&.&$/&$1)('<$@($5"+6.&$0'6&
n zone termiche di riscaldamento ed
emissione dell’energia
termica utile negli
#'$,&%',.&1&)(+$/+&$0',&0A&$B$'.."'.'$-+/&'(.+$"($/&6.,&9".),+$/+#$;#"&/)$.+,-)2+..),+$'05"'
%+,$*#&$&-%&'(.&$'/$'05"'$)$/+#$;#"&/)$.+,-)2+..),+$',&'$(+*#&$&-%&'(.&$'/$',&'<
ambienti climatizzati;
una zona acqua calda! sanitaria con
C$
.&.)#)$
+6+-%#&;&0'.&2)$
6&$
0)(6&/+,&$
#'$ ;&*",'$
D$ ,'%%,+6+(.'(.+$
"($ &-%&'(.)$
termica
utile proveniente
da m %+,
- parte “generazione”: dal punto di consegna energia
,&60'#/'-+(.)$+$%,)/"1&)(+$'05"'$0'#/'$6'(&.',&'$/+6.&('.)$'$6+,2&,+$!$1)(+$.+,-&0A+$/&
dell’energia al confine dell’edificio al punto di sottosistemi di generazione utilizzanti vettori
,&60'#/'-+(.)$+/$"('$1)('$'05"'$0'#/'$6'(&.',&'$0)($+(+,*&'$.+,-&0'$".&#+$%,)2+(&+(.+$/'
energetici diversi (impianto polivalente e
consegna dell’energia
termica utile alla rete
"$6)..)6&6.+-&$/&$*+(+,'1&)(+$".&#&11'(.&$2+..),&$+(+,*+.&0&$/&2+,6&$E&-%&'(.)$%)#&2'#+(.+$+
di distribuzione dell’edificio.
ripartizione
dei-+/&'(.+$
carichi "(
%#",&+(+,*+.&0)F<$ ='$ ,&%',.&1&)(+$ /+&$plurienergetico).
0',&0A&$ .,'$ &$ 0&,0"&.&$La
/&$ 1)('$
B$ )..+(".'$
0)##+..),+3$-+(.,+$#'$,&%',.&1&)(+$/+&$0',&0A&$.,'$,&60'#/'-+(.)$+$'05"'$0'#/'$6'(&.',&'$B
tra i circuiti di zona è ottenuta mediante un
La generazione può
alimentare un solo
.,'-&.+$6+,9'.)&)$/&$'00"-"#)<
collettore, mentre la ripartizione dei carichi
circuito di zona o più
circuiti di zona. In !
figura la ripartizione
1 Esempio di
perriscaldamento
la climatizzazione einvernale
la produzione
di acqua
questi casi
deisuddivisione
carichi è di un impiantotra
acquaecalda
sanitaria
è
calda sanitaria
tramite serbatoio di accumulo.
attuata mediante un distributore del fluido
Figura 10. Schema di suddivisione logica e di calcolo dei rendimenti e dei flussi di energia.
La parte “generazione” comprende tutti
sanitaria e ventilazione. Le modalità e la
i sottosistemi atti alla trasformazione
misura con cui ciascun sottosistema di
='$%',.+$G*+(+,'1&)(+H$0)-%,+(/+$."..&$&$6)..)6&6.+-&$'..&$'##'$.,'6;),-'1&)(+$/+##4+(+,*&'
dell’energia contenuta
nei diversi vettori
generazione concorre al soddisfacimento
0)(.+(".'$(+&$/&2+,6&$2+..),&$+(+,*+.&0&$&($+(+,*&'$.+,-&0'$".&#+$0A+$2&+(+$;),(&.'$'##'$%',.+
energetici in energia
termica utile che
dei fabbisogni dell’utilizzazione dipendono
G".&#&11'1&)(+H$'#$;&(+$/&$6)//&6;',+$&$6+,2&1&$/&$,&60'#/'-+(.)$/+*#&$'-9&+(.&3$%,)/"1&)(+$/&
'05"'$0'#/'$6'(&.',&'$+$2+(.&#'1&)(+<$=+$-)/'#&.I$+$#'$-&6",'$0)($0"&$0&'60"($6)..)6&6.+-'
viene fornita alla parte
“utilizzazione” al
dalla configurazione dell’intero sistema di
*+(+,'1&)(+$
0)(0),,+$ '#$ 6)//&6;'0&-+(.)$
/+&$ ;'99&6)*(&$
/+##4".&#&11'1&)(+$
/&%+(/)()
fine di soddisfare i/&$
servizi
di riscaldamento
riscaldamento,
ventilazione,
produzione
di
/'##'$ 0)(;&*",'1&)(+$ /+##4&(.+,)$ 6&6.+-'$ /&$ ,&60'#/'-+(.)3$ 2+(.&#'1&)(+3$ %,)/"1&)(+$ /&
degli ambienti, produzione
di acqua calda
acqua calda sanitaria.
'05"'$0'#/'$6'(&.',&'<
DISTRIBUZIONE, REGOLAZIONE, EMISSIONE L’approccio normativo 31
Il rendimento medio stagionale è il
prodotto dei rendimenti di:
•Generazione;
•Distribuzione;
•Regolazione;
•Emissione.
Se consideriamo a titolo di esempio una
equa riduzione del 10% rispetto all’unità
di ciascuno di questi 4 rendimenti, questa
produce un effetto sul rendimento globale
pari al 37%; infatti 90% x 90% x 90% x 90% =
63%.
In particolare il prodotto dei rendimenti
di distribuzione, regolazione ed emissione
(la generazione è stata trattata al capitolo
Tipo di valutazione
A1
A2
A3
Sul progetto
(Design Rating)
Standard (Asset Rating)
Adattata all’utenza (Tailored rating)
precedente) è pari al 72%. Significa che i 3
rendimenti suddetti sono responsabili di una
perdita del 28% dell’energia utile in ingresso
al generatore di calore, quasi tre volte il
10% di cui è responsabile il generatore.
Questo suggerisce di non trascurare mai
l’importanza di quelli che a livello normativo
vengono definiti i rendimenti di utilizzazione,
le cui perdite associate risulterebbero
molto difficili da compensare sul lato della
generazione.
Le tipologie di valutazione energetica
degli edifici sono elencate in Tabella I e le
relative modalità di calcolo e utilizzo di valori
predeterminati sono presentati in Figura 11.
Dati di ingresso
Uso
Clima
Edificio
Standard
Standard
Progetto
Standard
Standard
Reale
In funzione dello scopo
Tabella I. Tipologie di valutazione energetica standard degli edifici.
Reale
5
6
32 DISTRIBUZIONE, REGOLAZIONE, EMISSIONE L’approccio normativo
Metodi e dati di ingresso da adottare per i diversi tipi di valutazioni di calcolo (climatizzazione invernale)
Sottosistema
Valutazioni di calcolo
A1 e A2
Emissione
Utilizzazione
Regolazione
UNI/TS 11300-2
Distribuzione
A3
H≤4m
H>4m
H≤4m
Valori da
prospetto 17
Valori da prospetto 18 ove siano Valori da
verificate le condizioni al
prospetto 17
contorno. Negli altri casi: calcolo
in base alla stratificazione
H>4m
Valori da
prospetto 18
oppure calcolo e
misure in campo
Valori secondo il punto 6.3
A1
A2
A3
Valori determinati secondo il punto 6.4.3 o calcolo secondo appendice A,
specificando nella relazione tecnica il metodo utilizzato.
I valori precalcolati possono essere utilizzati in tutti i casi quando siano
rispettate le condizioni al contorno ivi specificate. In caso diverso si deve
effettuare il calcolo secondo l’appendice A.
Accumulo
Mediante
combustione a
fiamma di
combustibili fossili
Calcolo secondo il punto 6.5
In tutti i tipi di valutazioni calcolo secondo appendice B della UNI/TS 11300-2.
Per valutazioni di tipo A1 si deve effettuare il calcolo secondo appendice B.
Per valutazioni di tipo A2 è possibile utilizzare i valori precalcolati in assenza di
dati per effettuare il calcolo secondo appendice B e solo nelle condizioni
specificate nel punto 6.6.
Nel caso di valutazioni A3 si raccomanda di effettuare il calcolo secondo appendice B.
Generazione
Mediante altri metodi In tutti i tipi di valutazioni calcolo secondo UNI/TS 11300-4
UNI/TS 11300-2
di generazione
UNI/TS 11300-4
Combustione di
Calcolo secondo UNI/TS 11300-4 con possibilità di utilizzare valori precalcolati
biomasse
in tutti i tipi di valutazioni quando siano rispettate le condizioni al contorno
Solare termico
In tutti i tipi di valutazioni calcolo secondo UNI/TS 11300-4
Elettrico (effetto Joule Secondo il punto 6.6.4.
e/o radiante)
Figura 11. Tipologia di valutazioni di calcolo e relativi riferimenti.
Metodi e dati di ingresso da adottare per i diversi tipi di valutazioni di calcolo (produzione di acqua
calda sanitaria)
Sottosistema
Valutazioni di calcolo
A1 e A2
A3
Secondo punto 7.2
Secondo punto 7.2 o sulla
base di dati forniti dai
fabbricanti per particolari
sistemi di erogazione.
Erogazione
Utilizzazione
UNI/TS 11300-2
A1
Distribuzione
A2
Secondo il punto 7.3 distinguendo tra:
- Distribuzione alle utenze
- Rete di ricircolo
- Circuito primario
A3
Secondo appendice A
DISTRIBUZIONE, REGOLAZIONE, EMISSIONE Il rendimento di emissione 33
Il rendimento di emissione
Il rendimento di emissione medio stagionale
è definito come il rapporto fra il calore
richiesto per il riscaldamento degli
ambienti con un sistema di emissione
teorico di riferimento in grado di fornire
una temperatura ambiente perfettamente
uniforme ed uguale nei vari locali ed il
sistema di emissione reale, nelle stesse
condizioni di temperatura ambiente e di
temperatura esterna.
Figura 12. Distribuzione di temperatura del sistema ideale (A) e reale (B).
L’uniformità di temperatura interna
consentita dal sistema teorico di emissione
consente generalmente una fornitura
energetica più contenuta:
Il sistema di emissione reale implica per lo
più una maggiore richiesta termica per cui
nel caso in esame si avrebbe un rendimento
di:
Il rendimento di emissione è quasi sempre
inferiore all’unità, dal momento che i moti
convettivi innescati dal sistema di emissione,
soprattutto quando questo movimenti
attivamente l’aria o irradi direttamente una
parete disperdente, ne aumenta i coefficienti
di scambio ovvero aumenta le dispersioni.
Questo non è sempre del tutto vero ed
esistono situazioni in cui il sistema di
emissione è in grado di diminuire se pur
di poco la quota dispersa. In tal caso il
rendimento risulta maggiore di 1 a conferma
che più che un rendimento è un indice.
34 DISTRIBUZIONE, REGOLAZIONE, EMISSIONE Il rendimento di emissione
Il sistema di emissione
provoca inoltre
gradienti termici di
diversa entità che
implicano ad esempio
temperature più
elevate a soffitto
in modo che si
incrementano le
dispersioni:
Per il calcolo del
rendimento o si riesce
a calcolare il gradiente
di temperatura e
le velocità dell’aria
con adeguato
programma CFD
oppure si utilizzano i
valori suggeriti dalle
normative. Ad esempio
la UNI 10348 fornisce i
valori a lato.
Si tratta di valutazioni grossolane,
dal momento che non si può
prescindere dalla collocazione
rispetto ai sistemi di emissione delle
superfici disperdenti e specie delle
superfici finestrate.
DISTRIBUZIONE, REGOLAZIONE, EMISSIONE Il rendimento di emissione 35
Bassi rendimenti negli edifici produttivi
Negli edifici industriali questi rendimenti non sono
applicabili a causa del gradiente termico verticale
che per la maggiore altezza di tali edifici può
essere molto rilevante (Figura 11). Si immagini un
edificio di 8 m di altezza:
Nel sistema di emissione reale, a fronte dei forti
gradienti di temperatura, le dispersioni sono
molto più elevate ed arrivano ad 87 GJ. Nel caso si
conclude che il rendimento di emissione è:
Come si vede l’energia dispersa in un certo
intervallo di tempo è, a fronte di una temperatura
interna uniforme, di 55 GJ.
Migliorare il rendimento di emissione
Il rendimento di emissione si può migliorare
con alcune scelte progettuali, ad esempio nei
confronti del sistema di emissione e poi della
temperatura del fluido termovettore e del
posizionamento del sistema di emissione:
Negli ambienti industriali, oltre a sistemi
che presentano in modo intrinseco un
basso livello di stratificazione come i sistemi
radianti o i sistemi con elevata circolazione
d’aria con corretta orientazione, si possono
utilizzare i destratificatori:
La scelta di una bassa temperatura di
progetto può risultare decisiva per un
buon rendimento di emissione ed inoltre
ha conseguenze anche nei confronti del
rendimento di generazione.
36 DISTRIBUZIONE, REGOLAZIONE, EMISSIONE Il rendimento di regolazione
Il rendimento di regolazione
Il rendimento di regolazione medio
stagionale è il rapporto fra il calore
richiesto per il riscaldamento degli
ambienti con una regolazione teorica
perfetta ed il calore richiesto per il
riscaldamento degli stessi ambienti con
un sistema di regolazione reale.
Si considerino due ambienti identici: uno con
esposizione a nord ed uno a sud. Un sistema
di regolazione ideale adatta la potenza
termica ai corpi scaldanti tenendo conto
degli apporti gratuiti.
Il locale a Nord disperde attraverso la parete
e la superficie vetrata e l’energia oraria
dipende dalla differenza fra temperature
interna ed esterna:
Il sistema di regolazione perfetto tiene conto
degli apporti solari e modula la potenza ai
corpi scaldanti che ne risulta ridotta rispetto
all’altro locale:
Qualora si abbia una regolazione centrale
che fornisce la stessa energia ai due locali, gli
apporti gratuiti faranno perdere il controllo
della temperatura che si porterà ad un valore
più elevato.
Se l’unico apporto gratuito è quello solare
che fornisce nell’ora 61 kJ, la temperatura si
porterà sopra i 21 °C, dato che l’energia ai
corpi scaldanti resta a circa 600 kJ.
Ne deriva il seguente rendimento di
regolazione:
Il regolatore teorico perfetto è quello
in grado di ridurre immediatamente
l’emissione del corpo scaldante in
presenza di un apporto di calore
proveniente da fonte diversa dall’impianto di
riscaldamento.
DISTRIBUZIONE, REGOLAZIONE, EMISSIONE Il rendimento di regolazione 37
Il regolatore reale riduce l’emissione del
corpo scaldante solo dopo che l’apporto
gratuito ha provocato un aumento
indesiderato di temperatura.
Si può dire che il rendimento di un sistema
di regolazione è tanto più elevato quanto
maggiore è la costanza della temperatura
ambiente. Per temperatura ambiente si deve
intendere quella misurata in un punto di
riferimento in cui è eventualmente installato
il sensore di misura del regolatore.
L’inevitabile differenza di temperatura fra
punti diversi di uno stesso locale dipende
invece dalle modalità di emissione del calore
e deve pertanto essere considerata nel
calcolo del rendimento di emissione.
La differenza di temperatura rispetto al
valore prescritto riscontrabile in locali diversi
di uno stesso edificio regolato da un unico
sistema di regolazione incide invece sul
rendimento di regolazione.
38 DISTRIBUZIONE, REGOLAZIONE, EMISSIONE Il rendimento di regolazione
Valutare i sistemi di regolazione
Anche il rendimento di regolazione si valuta
con tabelle che tengono conto del sistema di
scambio termico.
Ad esempio i sistemi nei quali esiste una
elevata inerzia termica si adattano poco
agli apporti termici ambientali, tanto
più se il sistema di riscaldamento non
comprende una preregolazione, cioè non è
compensato da una sonda esterna.
Qualora esista la compensazione della
temperatura di mandata con la temperatura
dell’aria esterna si hanno livelli termici più
stabili e quindi migliore rendimento di
regolazione, anche se questo non è detto
influisca sul rendimento di emissione:
Per un approfondimento del concetto
di rendimento di regolazione conviene
rifarsi alla norma UNI 10348. Vale la pena
esaminare come si modifica il rendimento
di regolazione degli alloggi di un fabbricato
condominiale in presenza di diversi sistemi di
regolazione della temperatura ambiente.
Si parte dalla situazione di regolazione
manuale in caldaia. Evidentemente si tratta
di una situazione che potrebbe riguardare
solo alcuni vecchi edifici con vecchi impianti.
La norma suggerisce i seguenti rendimenti
indicativi di regolazione:
Per completezza si ricorda che hu è il
coefficiente di utilizzazione degli apporti e
g è il rapporto fra gli apporti (in particolare
quello solare) e l’energia dispersa (per
trasmissione e ventilazione).
Non è in grado di mantenere né l’uniformità
né la costanza della temperatura nelle zone.
La regolazione climatica è la regolazione
che come minimo viene impiegata nei nuovi
impianti. È ammessa per i nuovi impianti solo
nel caso in cui gli apporti solari ed interni
nel mese intero a maggiore insolazione
compreso nel periodo di riscaldamento siano
inferiori al 20 % del fabbisogno energetico
complessivo calcolato nello stesso mese.
La regolazione climatica migliora un po’ la
situazione dal punto di vista dei rendimenti
di regolazione, come riconosce la norma, ma
tollera ampie disuniformità di temperatura
da un appartamento o da un locale all’altro
DISTRIBUZIONE, REGOLAZIONE, EMISSIONE Il rendimento di regolazione 39
(garantisce la costanza ma non l’uniformità
della temperatura nelle zone).
La regolazione di zona consente un
deciso miglioramento dal punto di vista
dell’uniformità. Essa è resa possibile dalla
distribuzione orizzontale, largamente
adottata negli ultimi decenni. Si sono
realizzate le regolazioni di zona, costituite
ad esempio da un termostato ambiente
posizionato in un locale di riferimento di
ogni alloggio agente sulla relativa valvola di
zona.
La regolazione di zona assicura la costanza e
l’uniformità di temperatura nei vari alloggi,
ma non nei diversi locali.
La norma indica rendimenti di regolazione
molto più elevati in queste condizioni:
Un ulteriore miglioramento può essere
conseguito adottando la preregolazione
della temperatura del fluido termovettore;
il compito della regolazione finale diventa in
questo caso meno gravoso, a vantaggio di un
migliore rendimento di regolazione.
40 DISTRIBUZIONE, REGOLAZIONE, EMISSIONE Il rendimento di regolazione
L’uniformità di temperatura nel locale in
cui è ubicato il termostato diventa ancora
maggiore che nel caso precedente.
La norma prevede rendimenti di regolazione
ancora più alti, senza dimenticare che
al tempo stesso aumenteranno anche i
rendimenti di emissione, produzione e
distribuzione.
Infine esiste la possibilità di regolare ogni
singolo locale dell’appartamento con o
senza preregolazione della temperatura
dell’acqua in funzione delle condizioni
esterne (assicura la costanza e l’uniformità
della temperatura ambiente in ogni singolo
locale).
Questi sono i valori previsti dalla norma:
Esiste la possibilità di aggiungere un
cronotermostato sulla valvola di zona per
prevedere due o più livelli di regolazione
durante la giornata (o durante la settimana).
Tipicamente i due livelli possono essere
quello diurno e quello notturno:
Per la verità nel momento in cui si può
attuare la regolazione per ogni singolo
locale si ritiene da molti che convenga un
funzionamento continuativo con livelli
differenziati a seconda dell’uso del locale
piuttosto che un’attenuazione notturna che
comporta benefici limitati in un ambiente
ben isolato.
DISTRIBUZIONE, REGOLAZIONE, EMISSIONE Il rendimento di regolazione 41
Interventi migliorativi sulla regolazione
È possibile migliorare il rendimento di
regolazione negli impianti esistenti. Gli
interventi sono diversi a seconda del tipo di
impianto.
L’impianto più diffuso in passato era quello a
colonne montanti, in questo tipo di impianti
si può applicare la valvola termostatica
ad ogni singolo corpo scaldante ed un
contatore di calore indiretto.
Il rendimento di regolazione può arrivare al 98%.
Il rendimento di regolazione si può
migliorare anche nei diffusissimi impianti
con generatore autonomo, dotandoli di
valvole termostatiche e un cronotermostato
ambiente:
Negli impianti a distribuzione orizzontale si
possono applicare valvole di zona o valvole
termostatiche ad ogni corpo scaldante e
ovviamente una sola contabilizzazione del
calore per alloggio. Ancora il rendimento di
regolazione può arrivare al 98%.
42 DISTRIBUZIONE, REGOLAZIONE, EMISSIONE Il rendimento di distribuzione
Il rendimento di distribuzione
Il rendimento di distribuzione çd è il
rapporto fra la somma del calore utile
emesso dai corpi scaldanti e del calore
disperso dalla rete di distribuzione
all’interno dell’involucro riscaldato
dell’edificio ed il calore in uscita
dall’impianto di produzione ed immesso
nella rete di distribuzione.
Il rendimento di distribuzione medio
stagionale caratterizza l’influenza della
rete di distribuzione sulla perdita passiva
di energia termica (quella non ceduta agli
ambienti da riscaldare).
Il riscaldamento della zona considerata
richiede che venga soddisfatto il semplice
carico termico dovuto alle dispersioni:
In realtà la centrale termica mette a
disposizione una maggiore energia per
ovviare alle dispersioni nella linea di
distribuzione:
La norma 10347 fornisce le indicazioni
per il calcolo dettagliato delle perdite di
distribuzione. La relazione suggerita per il
calcolo delle dispersioni è la seguente:
τp è la durata di fornitura del calore
attraverso la tubazione;
L è la lunghezza equivalente della tubazione
pari a quella effettiva più gli eventuali
accessori (valvole, raccordi, ecc.);
∆θfa è la differenza fra la temperatura θf del
fluido e quella dell’ambiente attorno alla
tubazione θa;
R è la resistenza termica tra il fluido e
l’ambinente.
È previsto che la differenza ∆θfa si possa
calcolare con la relazione:
Entro parentesi è il rapporto fra potenza
media erogata e potenza nominale dei
terminali di emissione.
La potenza media è il fabbisogno
complessivo nel periodo considerato diviso
per il tempo:
∆θn la differenza di temperatura nominale
fra corpo scaldante e ambiente e infine n è
l’esponente che definisce la caratteristica di
emissione del corpo scaldante.
DISTRIBUZIONE, REGOLAZIONE, EMISSIONE Il rendimento di distribuzione 43
Il problema
che si pone a
questo punto è
di determinare
la resistenza
termica totale
R. Si devono
considerare le
diverse situazioni
che si possono
verificare e la
norma prevede
apposite e
complicate
formule per il
calcolo. Tuttavia
oltre al metodo
analitico sono
previste alcune
raccomandazioni
e indicazioni
per il calcolo del
rendimento di
distribuzione,
ad esempio
sull’assuzione
della
temperatura
ambiente,
indicata nella
tabella a fianco.
44 DISTRIBUZIONE, REGOLAZIONE, EMISSIONE Il rendimento di distribuzione
Infine, qualora non fosse tecnicamente
possibile calcolare esattamente il rendimento
medio stagionale di distribuzione, è possibile
adottare i tabulati seguenti:
DALL’EUROPA ALL’ITALIA,
LE LEGGI DI RIFERIMENTO
46 DALL’EUROPA ALL’ITALIA,LE LEGGI DI RIFERIMENTO La Comunità Europea e l’efficienza energetica negli edifici:la Direttiva EPBD
La Comunità Europea e l’efficienza energetica
negli edifici: la Direttiva EPBD
La certificazione della qualità energetica
dell’edificio era prevista dalla Direttiva
n. 93/76/CEE, nota come Direttiva SAVE,
emanata nel 1993 dal Consiglio dei
ministri dell'Unione Europea. Tale Direttiva
seguiva analoghe precedenti disposizioni
legislative in vigore in Danimarca dal 1985
e poi riprese dalla legge italiana n°10/91.
La Direttiva, pur lasciando ad ogni Stato
la libertà di applicazione, in funzione
non solo delle differenze climatiche, ma
anche della diversa sensibilità ai problemi
ambientali, alle difficoltà economiche, legali
e amministrative, ne obbligava tuttavia
l'attuazione in tempi ravvicinati (5 anni).
Quando fu condotta nel 1994 una prima
verifica dello stato di implementazione
della Direttiva, pochi erano gli Stati Membri
dell’Unione Europea che avevano aderito
alla Direttiva. Di conseguenza, diversi anni
dopo, il Parlamento Europeo emana, il
16 dicembre 2002, la Direttiva 2002/91/
CE inerente al rendimento energetico
nell’edilizia. La più importante e specifica
nel settore dell’edilizia che l’Italia ha
recepito con il decreto legislativo 192
del 2005. Nell’ambito di tale direttiva si
reintroduce con forza la richiesta agli stati
membri dell’Unione di emanare leggi che
impongano la certificazione energetica
degli edifici. Questa volta, anche per il
rispetto degli impegni presi per il rispetto
del protocollo di Kyoto sulla riduzione
della produzione di CO2, i paesi membri si
sono attivati in modi e con efficacia diversa
per introdurre la certificazione energica
nei propri territori. Purtroppo la Direttiva
2002/91/CE, per soddisfare le esigenze
dei membri dell’Unione organizzati come
stati federali, introduce la possibilità di
recepimento diretto da parte delle regioni
oltre che da parte dello stato nazionale.
Tale grado di libertà, insieme con la
modifica costituzionale introdotta dal
D.lgs 31/03/1998 N. 112 (Legge Bassanini)
al Capo V con l’art. 30 “Conferimento di
funzioni alle regioni”, che ha trasferito
alle regioni i compiti previsti dagli articoli
12, 14 e 30 della legge 10/91, fatta salva
la funzione d'indirizzo allo Stato ai sensi
dell'articolo 8 legge 15 marzo 1997, n. 59,
ha di fatto spostato dal governo centrale
ai governi regionali la definizione delle
regole per la certificazione energetica
degli edifici. Ciò nonostante il 10 luglio
2009 vengono finalmente pubblicate le
Linee guida nazionali per la certificazione
energetica degli edifici (DM 26-06-09),
che si propongono, senza imporre, di
ricondurre in un unico alveo comune le
diverse normative e procedure nel contempo
sviluppate e applicate da diverse regioni.
Tale esigenza è stata tra l’altro recepita
anche a livello europeo, essendo risultate
le implementazioni della Direttiva, troppo
difformi da paese a paese, risultando in
una proposta di direttiva che impegni la
Commissione a unificare il più possibile le
procedure per la certificazione energetica
degli edifici.
DALL’EUROPA ALL’ITALIA, LE LEGGI DI RIFERIMENTO Le linee guida nazionali per il nuovo APE 47
Le linee guida nazionali per il nuovo APE
Recentemente alcune imposizioni normative
(DLgs 102/14) e novità legistlative (DM
26/06/2015, meglio noto come “Decreto
Edifici”) hanno riportato l’attenzione
sulle riqualificazioni impiantistiche,
connesse alla ristrutturazione edilizia e alla
contabilizzazione del calore per migliorare
l’efficienza energetica.
Il 15 luglio 2015 è stato pubblicato sulla GU
n.39 il DM del 26 giugno 2015 recante:
•«Adeguamento del decreto del Ministro
dello sviluppo economico, 26 giugno
2009 - Linee guida nazionali per la
certificazione energetica degli edifici.»
Esso entra in vigore il 1 ottobre 2015 e
abroga le Linee Guida del 2009.
Tale decreto definisce:
•Linee guida nazionali per l’attestazione
della prestazione energetica degli edifici;
•gli strumenti di raccordo, concertazione e
cooperazione tra lo Stato e le regioni;
•la realizzazione di un sistema informativo
comune (SIAPE) per tutto il territorio
nazionale per la gestione di un catasto
nazionale degli attestati di prestazione
energetica e degli impianti termici.
Le Linee guida prevedono:
•metodologie di calcolo, anche semplificate
per gli edifici caratterizzati da ridotte
dimensioni e prestazioni energetiche di
modesta qualità, finalizzate a ridurre i costi
a carico dei cittadini;
•il format di APE, di cui all’appendice B delle
Linee guida, comprendente tutti i dati
relativi all’efficienza energetica dell’edificio
e all’utilizzo delle fonti rinnovabili nello
stesso, al fine di consentire ai cittadini di
valutare e confrontare edifici diversi;
•lo schema di annuncio di vendita o
locazione, di cui all’appendice C delle
Linee guida, che renda uniformi le
informazioni sulla qualità energetica degli
edifici fornite ai cittadini;
•la definizione del sistema informativo
comune per tutto il territorio nazionale, di
seguito SIAPE;
•metodologie di calcolo, anche semplificate
per gli edifici caratterizzati da ridotte
dimensioni e prestazioni energetiche di
modesta qualità, finalizzate a ridurre i costi
a carico dei cittadini;
•il format di APE, di cui all’appendice B
delle linee guida, comprendente tutti i dati
relativi all’efficienza energetica dell’edificio
e all’utilizzo delle fonti rinnovabili nello
stesso, al fine di consentire ai cittadini di
valutare e confrontare edifici diversi;
•lo schema di annuncio di vendita o
locazione, di cui all’appendice c delle linee
guida, che renda uniformi le informazioni
sulla qualità energetica degli edifici fornite
ai cittadini;
•le regioni che hanno procedure regionali
hanno tempo 2 anni ovvero entro il 1
ottobre 2017 per adeguare i loro protocolli
alle Linee Guida Nazionali.
Elementi essenziali e disposizioni minime
comuni del sistema nazionale e Regionale
degli APE:
•Informazioni minime obbligatorie
contenute negli APE.
•Norme tecniche di riferimento.
•Le procedure e i metodi i calcolo della
prestazione energetica degli edifici,
compresi i metodi semplificati.
•Requisiti del Certificatore Energetico (DPR
75/2013)
•Validità massima APE 10 anni dalla data di
emissione.
•Validità subordinata al rispetto delle
prescrizioni per le operazioni di controllo
di efficienza energetica deli impianti (DPR
74/2013). Nel caso di mancato rispetto
l’APE decade il 31 ottobre dell’anno
successivo a quello in cui era prevista la
prima scadenza, non rispettata.
•Il libretto di impianto è allegato all’APE;
•la prestazione energetica globale sia in
termini di energia primaria totale che
di energia primaria non rinnovabile,
attraverso i rispettivi indici;
48 DALL’EUROPA ALL’ITALIA, LE LEGGI DI RIFERIMENTO Le linee guida nazionali per il nuovo APE
•la classe energetica determinata attraverso
l’indice di prestazione energetica
globale, espresso in energia primaria non
rinnovabile;
•la qualità energetica del fabbricato ai fini
del contenimento dei consumi energetici
per il riscaldamento e il raffrescamento,
attraverso gli indici di prestazione termica
utile per la climatizzazione invernale ed
estiva dell’edificio;
•i valori di riferimento, quali i requisiti
minimi di efficienza energetica vigenti a
norma di legge;
•le emissioni di anidride carbonica;
•l’energia esportata;
•le raccomandazioni per il miglioramento
dell’efficienza energetica con le
proposte degli interventi più significativi
ed economicamente convenienti,
distinguendo gli interventi di
ristrutturazione importanti da quelli di
riqualificazione energetica;
•Obbligo di sopralluogo da parte del
certificatore energetico.
•Nel caso in cui l’APE sia sottoscritto con
firma digitale e venga depositato su
catasti o registri telematici appositamente
creati dalle Pubbliche Amministrazioni
o da loro enti o società in house non è
necessaria la marcatura temporale ai fini
del riconoscimento del suo valore legale
per tutti gli usi previsti dalla legge.
•L’APE firmato digitalmente resta valido
secondo quanto previsto al comma 3,
a prescindere dall’eventuale successiva
cessazione del contratto di autorizzazione
del soggetto certificatore alla firma
digitale.
Infine viene definito l’obbligo delle
Regioni di effettuare i controlli sugli APE:
•Analisi di almeno il 2% degli APE
depositati territorialmente
•I controlli sono prioritariamente orientati
alle classi energetiche più efficienti e
comprendono tipicamente:
•l’accertamento documentale degli
APE, ivi inclusa
•la verifica del rispetto delle procedure
di cui alle Linee guida;
•le valutazioni di congruità e coerenza
dei dati di progetto o di diagnosi con
la procedura di calcolo e i risultati
espressi;
•le ispezioni delle opere o dell’edificio.
•Le regioni e le province autonome
adottano le misure necessarie per
l’attuazione dei piani e procedure di
controllo di cui al comma 1 in coerenza
con l’art. 5 del decreto del Presidente della
Repubblica 16 aprile 2013, n. 75.
•Le regioni e le province autonome
alimentano per via telematica
annualmente il SIAPE, ogni 31 marzo.
DALL’EUROPA ALL’ITALIA, LE LEGGI DI RIFERIMENTO Decreto Edifici e normativa ERP 49
Decreto Edifici e normativa ERP
Pubblicato il 15 luglio 2015 sulla GU n. 39
il DM 26 giugno 2015 recante «Attuazione
delle metodologie di calcolo delle
prestazioni energetiche e definizione delle
prescrizioni e dei requisiti minimi degli
edifici».
Entrato in vigore il 1º ottobre 2015
abrogando il DPR 59 del 2009
Si applicherà sia al pubblico sia al privato
Modifica l’attuale ambito di intervento:
•Nuovi Edifici;
•Ampliamenti di edifici esistenti;
•Ristrutturazione importante di primo
livello e secondo livello;
•Riqualificazione energetica
Innanzitutto il decreto presenta due nuove
definizioni riguardanti gli impianti:
•"impianto termico": impianto
tecnologico destinato ai servizi
di climatizzazione invernale o
estiva degli ambienti, con o senza
produzione di acqua calda sanitaria,
indipendentemente dal vettore
energetico utilizzato, comprendente
eventuali sistemi di produzione,
distribuzione e utilizzazione del calore
nonché' gli organi di regolarizzazione
e controllo. Sono compresi negli
impianti termici gli impianti individuali
di riscaldamento. Non sono considerati
impianti termici apparecchi quali: stufe,
caminetti, apparecchi di riscaldamento
localizzato ad energia radiante; tali
apparecchi, se fissi, sono tuttavia
assimilati agli impianti termici quando
la somma delle potenze nominali del
focolare degli apparecchi al servizio
della singola unità immobiliare
è maggiore o uguale a 5 kW. Non
sono considerati impianti termici i
sistemi dedicati esclusivamente alla
produzione di acqua calda sanitaria al
servizio di singole unità immobiliari
ad uso residenziale ed assimilate.
•«Ristrutturazione di un impianto
termico» è un insieme di opere che
comportano la modifica sostanziale
sia dei sistemi di produzione che di
distribuzione ed emissione del calore;
rientrano in questa categoria anche
la trasformazione di un impianto
termico centralizzato in impianti termici
individuali nonché la risistemazione
impiantistica nelle singole unità
immobiliari o parti di edificio in caso
di installazione di un impianto termico
individuale previo distacco dall'impianto
termico centralizzato.
Descrizione livelli
intervento
Prescrizioni / Verifiche di legge limitati all’efficienza media
stagionale dell’impianto o degli impianti ristrutturati o installati
Ristrutturazione Impianto
Nuovo impianto
Sostituzione generatore
Impianti di climatizzazione invernale:
•Calcolo efficienza globale media stagionale e verifica che sia
superiore al valore limite.
•Sistemi di regolazione per singolo ambiente
•Sistemi di contabilizzazione diretta ove previsto
Sostituzione generatore si può andare in deroga a quanto
sopra :
•Rendimento termico utile maggiore di quello limite.
•PdC, COP o GUE maggiore di quello limite.
•Motivare con verifica secondo UNI EN 12831 installati con
Pnom, foc > 10% di quella preesistente.
Impianti con Pterm.foc > 35kW obbligo di contatore ACS e
contatore reintegro acqua impianto e riportare letture su
libretto impianto.
Tabella II. Livelli di intervento sull'impianto.
50 DALL’EUROPA ALL’ITALIA, LE LEGGI DI RIFERIMENTO Decreto Edifici e normativa ERP
I requisiti per i generatori di calore a combustibile liquido e gassoso
Il Rendimento di generazione utile minimo
dovrà essere pari a:
•90+2 log Pn, dove log Pn è il logaritmo in
base 10 della potenza utile nominale del
generatore, espressa in kW. Per valori di
Pn maggiori di 400 kW si applica il limite
massimo corrispondente a 400 kW, come
riportato nell’esempio di Tabella III
ηg
Pn [kW]
ηg
Pn [kW]
ηg
Pn [kW]
93,09
35
94,35
150
94,95
300
93,40
50
94,60
200
95,09
350
94,00
100
94,80
250
95,20
400
Tabella III. Prestazioni nominali minime per i generatori di calore a combustione.
I requisiti per le pompe di calore
Per quanto riguarda le pompe di calore a
compressione, i requisiti minimi nominali
sono riportati in Tabella IV, mentre per le
macchine ad assorbimento in Tabella V
Tipo di PdC
Ambiente est/int
Ambiente esterno
[°C]
Ambiente Interno
[°C]
COP
Aria/Aria
Bulbo secco all’entrata: 7
Bulbo umido all’entrata: 6
Bulbo secco all’entrata: 20
Bulbo umido all’entrata: 15
3,5
Aria/Acqua
Ptu £ 35kW
Aria/Acqua
Ptu > 35kW
Bulbo secco all’entrata: 7
Bulbo umido all’entrata: 6
Bulbo secco all’entrata: 7
Bulbo umido all’entrata: 6
Salamoia/Aria
Temperatura entrata: 0
Salamoia/Acqua
Temperatura entrata: 0
Acqua/Aria
Temperatura entrata: 15
Temperatura uscita: 12
Acqua/Acqua
Temperatura entrata: 10
Temperatura entrata: 30
Temperatura uscita: 35
Temperatura entrata: 30
Temperatura uscita: 35
Bulbo secco all’entrata: 20
Bulbo umido all’entrata: 15
Temperatura entrata: 30
Temperatura uscita: 35
Bulbo secco all’entrata: 20
Bulbo umido all’entrata: 15
Temperatura entrata: 30
Temperatura uscita: 35
Tabella IV. Prestazioni nominali minime delle pompe di calore.
3,8
3,5
4
4
4,2
4,2
DALL’EUROPA ALL’ITALIA, LE LEGGI DI RIFERIMENTO Decreto Edifici e normativa ERP 51
Tipo di PdC
Ambiente est/int
Ambiente esterno
[°C]
Ambiente Interno
[°C]
GUE
Aria/Aria
Bulbo secco all’entrata: 7
Bulbo umido all’entrata: 6
Bulbo secco all’entrata: 20
1,38
Aria/Acqua
Bulbo secco all’entrata: 7
Bulbo umido all’entrata: 6
Temperatura entrata: 30 (*)
1,30
Salamoia/Aria
Temperatura entrata: 0
Bulbo secco all’entrata: 20
1,45
Salamoia/Acqua
Temperatura entrata: 0
Temperatura entrata: 30 (*)
1,40
Acqua/Aria
Temperatura entrata: 10
Bulbo secco all’entrata: 20
1,50
Acqua/Acqua
Temperatura entrata: 10
Temperatura entrata: 30 (*)
1,45
Tabella V. Requisiti nominali minimi per le pompe di calore ad assorbimento.
52 DALL’EUROPA ALL’ITALIA, LE LEGGI DI RIFERIMENTO Decreto Edifici e normativa ERP
Profilo autore, Filippo Busato
Ingegnere gestionale e dottore di ricerca in Fisica Tecnica, fondatore dello Studio 3F-engineering.
Autore di oltre 100 pubblicazioni su riviste e atti di convegni internazionali e nazionali, si
occupa di fonti rinnovabili per il sistema edificio-impianto, di impiantistica termotecnica per la
riqualificazione energetica e di acustica applicata.
Tecnico Competente in Acustica Applicata della Regione Veneto ed EGE certificato, membro della
Giunta Esecutiva e presidente della Commissione Tecnica e Normativa AiCARR dal 2008 al 2013,
Consigliere dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Vicenza per il mandato 2013-2017, ha
vinto il concorso Impianti Premiati nel 2007 e il premio Sanguineti nel 2010.
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