Riccardo Bauer e la Resistenza romana Antonio Conti Intervista di Mario Melino Bauer ereditò Antonio Conti da Pilo Albertelli, che era un uomo di una intelligenza e di una perspicacia eccezionali. Tali doti gli derivavano da una visione empirica dello svolgersi degli avvenimenti e dei conseguenti atteggiamenti da prendere. Gli elementi che aveva sottomano gli facevano prevedere im­ minente la guerriglia antitedesca. Il modo di guardare i suoi interlocutori dava la sensa­ zione che egli valutasse attentamente le noti­ zie e le parole: le sue risposte perseguivano il filo diretto del suo obiettivo. Dunque di lui ci si poteva fidare e Bauer si fidò. Conobbi Albertelli nel 1941, attraverso un professore di latino e greco che incontrai in casa Fiore a Bari. Era Giulio Butticci, col quale ho condi­ viso ideali e iniziative fino a qualche anno fa. Appresi da “Proposte Liberal Socialiste” di Pavia nel 1993 la sua morte che mi addolorò, dopo oltre cinquantanni di comune militan­ za, anche se non sempre facile. A Roma nel­ l’estate del 1941 Butticci mi portò da Pilo. Egli era solo, perché moglie e figli erano al mare. Ci propose di parlare e rifocillarsi con pane e formaggio. Così si fece abbastan­ za tardi. Alle 23 circa avevo un treno che do­ veva portarmi ad un appuntamento a Firenze con Pippo Codignola. Albertelli propose di accompagnarmi, ma sarebbe sceso prima per evitare la stazione Termini. Quando mancava ancora una fermata ci salutammo: egli scese sul predellino del tram e dopo pochi istanti saltò giù, facendomi un ultimo cenno di saluto. Non lo rividi mai più. Italia contemporanea”, giugno 1996, n. 203 Conti apparve ad Albertelli e Bauer come un acquisto di tutto rispetto, sia dal punto di vista professionale, sia dal punto di vista psicologico, stante le delusioni che aveva pa­ tito. Conti, mettendosi agli ordini di Bauer, esaltò le sue qualità militari e soprattutto lo spirito di corpo, non tradi la nuova idea al cui servizio si era spontaneamente messo e che in fondo era l’unica che gli veniva offerta in un momento di grande disorientamento, al limite della disperazione derivante dalle con­ dizioni del paese. Dopo aver provato tutto il disgusto possibile per la fuga vergognosa del re e l’abbandono totale degli italiani al loro inumano e spietato destino, Conti non ha bi­ sogno di essere liberato da precedenti giura­ menti, perché è stato tradito nelle sue aspet­ tative e nell’onestà imposta dall’onore milita­ re, concepito come stile di vita indelebile. Proprio per questo, abituato a ricevere e dare ordini, vede l’esistenza dei partiti come fonte di caos (si veda in proposito la sua propensio­ ne per la formazione Bandiera rossa). Si po­ trebbe opporre che malgrado la sua rigida educazione sia poi entrato nelle formazioni del Partito d’azione. Certo era stato colpito dall’indomito coraggio dei resistenti di “Giu­ stizia e Libertà” , dal decisionismo dei suoi esponenti, dall’ascendente che esercitarono su di lui Albertelli e Bauer. Voleva agire in fa­ vore dell’Italia e trovò solidali i nuovi amici nella liberazione e nella sete di eguaglianza e libertà. 364 Antonio Conti Aveva incontrato fin troppi militari pusil­ lanimi che avevano un piede alla porta pronti a scappare. Ricordo che nel 1943, ne­ gli infausti giorni di settembre, gli ufficiali della IX compagnia di Chieti, che avevano gli uffici al secondo piano della caserma, avevano installato in un vicolo retrostante delle funi dalle quali si facevano cadere al primo accenno di pericolo. Al gonfiore delle loro mani non si aggiunse mai il gonfiore delle bacchettate che sarebbero stati utili per ricordare loro il “ dovere” . Ma quale? Quello del re, del principe di Piemonte, del­ lo Stato maggiore? I libri che Conti ha dato alle stampe in questi ultimi anni sono rievocativi di momen­ ti importanti della vita militare: frequenza di corsi, caduti per l’idea di patria, decorati. Manca l’epopea della fratellanza d’armi, quegli episodi che rendono umano un “uffi­ ciale” , un “ soldato” . Ora egli conserva i ri­ cordi, li riordina e nel fare questo amministra la giustizia applicando la “ legge dell’espul­ sione attraverso la dimenticanza” , quando un minimo dubbio lo tormenta. Ci fu un nutrito scambio di lettere tra lui e me al momento di dare un titolo al suo ulti­ mo volume, Missione Bigelow1, in cui rievoca la sua partecipazione alla lotta di liberazione. Antonio Conti, erede di una famiglia di fe­ deli servitori della patria italiana nelle forze armate, ora è tutto teso a far rivivere politicamente l’etica di Giustizia e Libertà e i principi del Partito d’azione. Le sorti della sua fami­ glia si intrecciano alle aspirazioni risorgimen­ tali dell’Italia e al magistero di Giuseppe Mazzini. Il suo avo Angelo, medico condot­ to, ebbe tre maschi e sei femmine. Il primoge­ nito, avvocato Antonio Conti (1843-1905), nonno ed omonimo dell’attuale Antonio, ri­ cevette dal padre una “seria ed austera edu­ cazione, orientata all’ideale di una patria li­ bera ed unita” . Nel 1866 partecipò alla terza guerra di indipendenza, che si concluse con la cessione del Veneto all’Italia. Fu adepto di Giuseppe Garibaldi. Il figlio, Luigi Conti, nato a Borgotaro nel 1886, deceduto a Bergamo il 1963, indi­ cò la carriera e la strada maestra dell’etica laica all’attuale Antonio di cui fu padre. Frequentò l’Accademia militare di Modena e partecipò come tenente alla prima guerra mondiale, guadagnandosi una medaglia d’argento. Nel 1882 chiosò il Dizionario uni­ versale della lingua italiana di Policarpo Pe­ trocchi: rivelatore di un impegno letterario tipico della sua casata. Antonio Conti (1913-1995) vide la luce a La Spezia e ha vissuto a Roma in pensione con il grado onorario di generale di brigata. La sua edu­ cazione venne forgiata dalla famiglia, in particolare dal padre e dall’Accademia mili­ tare di Modena all’insegna del motto indivi­ sibile: disciplina, osservanza del dovere, ob­ bedienza pronta, rispettosa, assoluta, spirito di corpo nella fiducia al proprio comandan­ te, all’unico scopo di difendere l’onore, l’in­ dipendenza e la libertà della patria. Dunque una educazione militare con tutti i crismi: patria e famiglia. Nel volume in cui raccon­ ta il tempo e l’impronta educativa ricevuti in Accademia, egli scrive: “ Oggi si crede il contrario, forse è in parte vero, ma è anche calcolata esagerazione per finalità assai so­ spette. Sono le conseguenze delle straordi­ narie evoluzioni della scienza, della tecnica, dei costumi, delle condizioni di vita e anche di poche collaudate teorie filosofiche” . Uomo d’ordine e di coraggio, quando eb­ be deciso “gittò l’anima oltre l’ostacolo e an­ dò a riprenderla” . Tra mille pericoli si mosse in Roma fedele a Giustizia e Libertà e tale ri­ mane senza pentimenti. Mario Melino Riproduciamo il testo dell’intervista rilasciata dal generale Antonio Conti a Mario Melino a Roma il 21 gennaio 1994. 1 Antonio Conti, Missione Bigelow, ORI, Sez. Ani., Roma, Circolo culturale Giustizia e libertà, 1993. Riccardo Bauer e la Resistenza romana D. C aro A ntonio, Bauer si è sempre m ostrato reticente nel raccontare le vicende della lotta partigiana a Rom a nel periodo dell’occupazione tede­ sca. Vogliamo coprire questo periodo con una te­ stimonianza diretta, di chi cioè fu suo capo di Sta­ to maggiore. Per introdurre la tua testim onianza ti prego di illustrare le tue note autobiografiche. R. Sono il generale in pensione A ntonio Conti, nato a La Spezia il 6 febbraio 1913. Conseguita la licenza liceale classica ed entrato nell’Accademia M ilitare a M odena, frequentai il 74Qcorso negli anni 1931-1933. Nel 1933-1934 il 55 corso di appli­ cazione a Parm a. Alla fine del 1934 venni nom ina­ to ufficiale in servizio perm anente effettivo. Sottotenente di prim a nom ina nel 78° reggim ento di fanteria “ Lupi di Toscana” , nel 1935 chiesi di p ar­ tire volontario per l’Africa orientale. Inviato pri­ ma in Libia, perché Mussolini temeva che gli ingle­ si attaccassero dall’Egitto (era governatore della colonia il maresciallo dell’aria Italo Balbo), dopo circa cinque mesi, visto che il problem a si risolse con blande sanzioni economiche contro l’Italia fa­ scista, fummo trasferiti in Africa orientale. Ero te­ nente nel 504° battaglione m itraglieri. D a M assaua fummo condotti in autocarro sull’altopiano e poi com battem m o fino ad Addis Abeba. L’Alto com ando era passato dal generale De Bono (un inetto) al generale Badoglio (un traffichino). Rim­ patriato, frequentai il 19° corso di osservazione ae­ rea, nell’areoporto di Cerveteri; con il grado di te­ nente vinsi il concorso per il 69° corso di Stato maggiore nella regia Scuola di guerra di Torino. D. Che cosa veniva rim proverato a De Bono? Di aver ottenuto la nomina per essere stato mem­ bro del quadrum virato della marcia su Roma? R. Indubbiam ente. M a v’è dell’altro. Cose che poi ha rivelato la storia: era una faida fra generali. Badoglio tram ava da tempo per assumere la carica di capo di Stato maggiore generale ed il com ando di questa operazione africana, estremamente red­ ditizia e facile. Si p ro stitu ì al duce, in gara con Graziani. D. Q uanti mesi sei rimasto in Etiopia e quali le tue impressioni? R. Sono rim asto in Etiopia fino alla fine delle operazioni, dopo la conquista di Addis Abeba: all’incirca 15 mesi. Ricordo in modo particolare l’at­ tacco all’A mba Alagi, nel febbraio 1936. D. Si tra tta naturalm ente dell’alto massiccio m ontuoso (3.000 metri) nel cuore del Tigrai, dove 365 q u a ra n t’anni prim a si era consum ata la disfatta degli italiani com andati dal maggiore Toselli. R. Così fini l’am biziosa spedizione di Crispi, con la vittoria di M enelik in Africa e la caduta a R om a del suo governo. R icordo che, m entre ero con il battaglione m itraglieri nella piana ai piedi dell’A m ba Alagi, andai nel territorio degli Azebù-G alla per trovare un mio com pagno di scuola e di corso, il tenente Emilio d ’A stolfo, che lì poi cadde eroicamente. Egli mi presentò il sottotenen­ te Italo P ietra della com pagnia A lpini. N acque un a reciproca sim patia e stim a. A m bedue criti­ cam m o il b o m b ard am en to su A m ba A lagi con proiettili di artiglieria esplosivi, che facevano una nube giallastra: caricati ad iprite! Questa fu la pri­ m a cosa che a me, giovane ufficiale, fece grande impressione negativa e colpi moltissimo Italo Pie­ tra, poi grande p artigiano nell’O ltrepò pavese e grande giornalista, direttore de “ Il G iorno” a M i­ lano e de “ Il M essaggero” a Roma. D opo l’attac­ co all’A m ba Alagi l’azione verso Addis Abeba fu molto facile. La cosa più difficile fu invece sgom­ brare le strade dalla resistenza nemica. In tan to Graziani, che com andava le truppe del sud prove­ nienti dalla Somalia, raggiunse la capitale. Bado­ glio rientrò subito a Rom a per cogliere i frutti del­ la vittoria. Graziani venne eletto governatore, poi viceré. T erm inate le operazioni dì guerra, conti­ nu aro n o le feroci azioni di “ polizia coloniale” contro partigiani abissini ribellatisi all’occupazio­ ne indegna ed inopinata del loro paese. D. E ra a vostra conoscenza allora che m olti com andanti m ilitari e capi tribù, i cosiddetti ras, erano stati deportati in Italia e qualcuno fucilato? R. N on era a m ia d iretta conoscenza, anche perché io non partecipai alle operazioni di “polizia coloniale” . R icordo che co n tro i rastrellam enti della Pai (Polizia Africa italiana) venne organizza­ to dai partigiani etiopici il famoso attentato a G ra­ ziani che, gravemente ferito ad Addis Abeba, sca­ tenò una reazione ferocissima ed indegna: torture e fucilazioni di cittadini etiopici, deportazioni di molti ras in quelle stesse isole dove erano incarce­ rati numerosi antifascisti, reazione incivile di puro stile nazista. D. R ientrato in Italia, a quale reparto fosti as­ segnato? R. Sono rientrato alla fine del 1936 nel b atta­ glione, di cui, quale ufficiale in servizio perm anen­ te effettivo, avevo il comando. M olti ufficiali era­ 366 Antonio Conti no rimasti in quello che si chiamò “ Im pero” . D o­ po breve licenza fui destinato a Caraglio di Cuneo, sulla strada per Centallo dove alle 7 del m attino del 3 dicem bre 1944 fu trucidato D uccio G alim ­ berti. Li rimasi fino a quando feci dom anda per es­ sere trasferito, come istruttore, alla Scuola di ap­ plicazione di fanteria in Parm a, dove com andai un plotone di sottotenenti allievi. Nel 1938 si apri­ rono le dom ande per il 19° corso di osservatore ae­ reo nell’areoporto di Cerveteri. In quel periodo vi fu la fam osa visita di Hitler (prim avera 1938) per esaminare il grado di addestram ento dell’esercito italiano. Ci ordinarono cose incredibili: per esem­ pio, dovemmo simulare il bom bardam ento di una nave disegnata per terra col gesso. Poiché non ave­ vamo bom bardieri con bombe da esercitazione, si lanciavano dei candelotti che, arrivati a terra, esplodevano. Era molto facile centrare il bersaglio perché il disegno della nave era immobile. D. Come sappiam o la guerra scoppiò l’anno dopo, nel 1939, con l’occupazione della Polonia per iniziativa della Germania. Che ne è stato di te? R. Finito nel mese di luglio il corso di osserva­ zione, feci immediatamente dom anda per frequen­ tare la Scuola di guerra a T orino. Fui ammesso agli esami alla fine del 1938 e frequentai il 69° cor­ so di Stato maggiore, che durò due anni. Era scop­ piata la guerra che, diceva la propaganda, sarebbe stata una “guerra lam po” . Frequentavo il 2° anno quando, alla fine del 1940, ci fu la crisi militare con le dimissioni del capo di Stato Maggiore generale dell’esercito non capivam o perché il m aresciallo Badoglio cosi onusto di guerra, onori, villa a Ro­ ma, stipendi enormi venisse allontanato. Questo ci turbò, perché non sapevamo nulla di politica. Fi­ nii la scuola di guerra quando la G erm ania aveva già incorporato la Polonia. D. D unque la guerra “ lam po” (Blitzkrieg) continuò. L ’Italia si era unita alla G erm ania. Ti chiedo quale era il tuo stato d’animo e dove fosti impiegato. R. T erm inato il secondo anno di Scuola di guerra, fui destinato, per l’esperim ento di Stato m aggiore, al II corpo d ’arm ata in A lessandria. Fu allora che Mussolini decise l’intervento dell’I­ talia perché prevedeva una guerra brevissim a e aveva bisogno di qualche centinaio di m orti per trattare al tavolo della pace. Con il II corpo d ’ar­ m ata, com andato dal generale Zanghieri, fui in­ viato sul fronte occidentale contro la Francia, nel­ la notte del 21 giugno del 1940. Partecipai alle ope­ razioni quale ufficiale in servizio di Stato maggio­ re e restai am aram ente sorpreso dal perché doves­ simo attaccare la F rancia. E ra la m ia serconda esperienza di guerra, ancor meno com prensibile della prim a in Etiopia. D. Fu dunque questo il mom ento in cui tu fosti coinvolto nella seconda guerra mondiale. E stata questa esperienza dram m atica ad aprirti gli occhi sulla situazione del fascismo in Italia o vi furono altre occasioni? R. N o, non fu questa. Devo prem ettere che, m entre frequentavo il secondo anno della Scuola di guerra, entrando un giorno in aula vidi che al posto di ogni ufficiale c’erano due fogli di carta: uno schema che avrei dovuto riempire e che term i­ nava con il giuram ento al duce; il secondo foglio diceva che ero obbligato a firm are quel giuram en­ to, pena la m ia espulsione d all’esercito. Fui sor­ preso! N on sapevo nulla di politica. A scuola mi avevano iscritto come “ avanguardista” e non mi andava il fatto di firmare il giuram ento di fedeltà a Mussolini, quando pochi anni prima avevo pre­ stato giuram ento di fedeltà al re d ’Italia. Presi un foglio di carta e scrissi: “Posso firmare solo a patto che sia sciolto per iscritto il giuram ento prestato a Sua M aestà” . Il mio gesto fece scandalo fra i col­ leghi che si affrettarono ad avvertirmi: “ Sarai cac­ ciato. Scrivendo questo biglietto hai detto che sei contro il fascismo” . Io del fascismo non com pren­ devo quello che veram ente fosse e quello che era stato. Avevo fatto un giuram ento al re e per farne un altro a persona diversa chiedevo di essere sciol­ to dal prim o. Il mio com andante della Scuola di guerra, generale M entasti, non mi chiamò, né ebbi alcuna noia o disturbo. Credo che il generale M en­ tasti abbia fatto scomparire quel mio foglio. D. Fu dunque questo il tu o prim o atteg g ia­ mento di dissenso nei confronti del fascismo. Q ua­ le fu la tu a destinazione dopo la guerra contro la Francia? R. T erm in ata la co sid d etta guerra co n tro la F ran cia feci dom anda di p artire per la Russia. Era stato inviato in Russia, anche se non richiesto e malvolentieri accettato da Hitler, il Csir (Corpo di spedizione italiano in Russia) com andato dal generale Giovanni Messe. Quale ufficiale in servi­ zio di Stato maggiore la dom anda fu im m ediata­ mente accolta e partii a m età ottobre 1941. R ag­ giunsi il Csir in località Krivoj Rog, sull’asse che Riccardo Bauer e la Resistenza romana po rta dalla R om ania al basso Don: Krivoj Rog, D niepropetrovskj, Staiino (Donez), Voroscilovgrad fino a Stalingrado sul Volga. Mi è d’obbligo parlare dei fatti di Krivoj Rog. U na m attina sentii che si sparava vicino al com ando, a ritm o molto frequente. Ebbi la sensazione che qualcuno si di­ vertisse. Andai a vedere: soldati tedeschi lanciava­ no in aria bambinelli poco più che neonati e tira­ vano su di loro. Stravolto da questa orrenda sco­ perta assistetti personalm ente, urlando, alla fase finale delle esecuzioni. Lo scempio mi sconvolse. Penso che sia stato l’elem ento che più influì sul mio spirito, sul mio ethos m orale, sul mio credo di ufficiale e di uomo. Perché questo tiro al piccio­ ne contro quei bam binetti neonati lasciò in me, anche se non ben definito, uno strascico di rivolta. D. Quali erano i tuoi rapporti con gli alleati te­ deschi e quali con la popolazione russa? R. D opo Krivoj Rog andam m o a D nieprope­ trovskj e poi a Staiino. Colà trascorrem m o, nel ba­ cino del D onez, l’inverno 1941-1942 al com ando di Messe. F u uno dei peggiori inverni della Russia: arrivam m o a 43-44 gradi sotto zero. Io parlavo quasi correntemente il russo, perché mi erano state impartite molte lezioni in Accademia, dove avevo frequentato i corsi di lingue slave. Ciò mi consentì di avere ottimi rapporti con la popolazione locale, che stimo m oltissim o, perché è gente ospitale ed um ana che ha sim patia per l’Italia, so p ra ttu tto nel cam po della musica e dell’arte: la Traviata di Verdi era conosciuta come non lo è mai stata in Italia, così pure i grandi del Rinascimento. Invece i miei rapporti con i tedeschi, fino a tutto l’inver­ no, furono norm ali, perché abbastanza rari. Il ge­ nerale Messe fu un ottim o com andante, fermo nel­ le decisioni sapeva come trattare con loro. D. Mi risulta però che ci sono state divergenze di vedute sul m odo di condurre la guerra. E vero? R. D urante l’inverno 1941-1942, nel bacino del Donez, ci furono delle divergenze, in quanto l’or­ dine di H itler era quello di non arretrare di un me­ tro dalle posizioni raggiunte. Il generale Messe, che fu poi nom inato maresciallo in Tunisia, pur dipendendo dal com andante del gruppo di armate, generale Fedor von Bock, si oppose a tale ordine, spiegando che tenere una linea in cam po aperto, con quella tem peratura, non aveva senso: bisogna­ va arretrare gli uomini di qualche chilometro per accantonarli in paesi, in isbe ecc., in modo che po­ tessero costruire dei fortilizi per viverci. I rapporti 367 con i comandi superiori tedeschi furono piuttosto difficili, m a il generale Messe tenne duro e noi non patim m o perdite eccessive in quel terribile inver­ no. Nella prim avera-estate successiva, la seconda av an zata dal bacino del D onez (Staiino), p o rtò le truppe italiane, che intanto si erano trasform ate da Csir in A rm ir (88 arm ata, com andante generale Italo G ariboldi), fino alla sponda destra del non placido Don. All’ala sinistra era schierato il corpo d’arm ata alpino ed alla destra la divisione Celere; più a sinistra l’A rm ata rum ena. F ortunatam ente l’inverno 1942-1943 fu meno rigido del preceden­ te. Però vi fu la grande controffensiva russa che circondò le truppe tedesche com andate da F rie­ drich von Paulus, riliberando S talingrado dalla morsa (31 gennaio 1943). Successivamente fummo attaccati sul D on. La grande offensiva russa del­ l’inverno 1942-1943, dal 20 novem bre 1942 alla m età di febbraio 1943, consentì all’alto com ando sovietico di isolare e battere separatam ente ben sei arm ate avversarie: u n ’arm ata corazzata tede­ sca; la 68 arm ata m otorizzata tedesca; la 38 arm ata rumena; l’88 arm ata italiana; la 28 arm ata unghe­ rese; la 28 arm ata m otorizzata tedesca. Il 2 feb­ braio 1943 la 68 arm ata di von Paulus fu costretta alla resa. Ero all’Intendenza, ufficiale di Stato maggiore. N ell’ufficio operazioni Armir, era mag­ giore di S tato m aggiore G iovanni Di L orenzo, giunto in Russia da pochi mesi. Divenne poi fam o­ so per il “piano Solo” , fu com andante generale dei carabinieri, del Sid, capo di Stato maggiore dell’e­ sercito. Ebbi con lui un primo gravissimo urto per­ ché, sul fronte del D on in corrispondenza dello schieram ento delle divisioni Cosseria e Ravenna, furono lasciate due teste di ponte in mano ai russi. Segnalai a Di Lorenzo che era un errore colossale, perché sarem m o stati attaccati là dove, oltre al cam po di tiro del D on gelato, i russi avrebbero avuto l’appoggio dai loro fortissimi sciatori sibe­ riani, ap p o stati esattam ente da quelle due teste di ponte lasciate loro. Infatti i russi attaccarono dove avevo previsto. Il corpo d ’arm ata alpino non venne attaccato dai russi perché ritenuto mol­ to forte, mentre fu travolta l’arm ata rum ena che, lento pede, tornò a casa. Poi venne sfondata la no­ stra fronte dove avevo previsto e fummo costretti al ripiegamento. Ho visto con i miei occhi soldati italiani aggrapparsi agli autocarri tedeschi per es­ sere trascinati o per m ontare sugli stessi. Venivano picchiati dai tedeschi col calcio del fucile sulle m a­ 368 Antonio Conti ni, cadevano a terra e si può immaginare in quale stato. F u questo secondo episodio, dopo quello del tiro al piccione, che m aturò in me la sfiducia verso la correttezza della guerra tedesca, per il “ tradim ento” dell’alleato italiano che episodi di quel tipo dim ostravano. Ebbi la conferm a che il fascism o non fosse un governo idoneo e conve­ niente per l’Italia. Il com ando dell’Armir, col ge­ nerale G ariboldi ed il suo Stato maggiore, si portò a Gomel, città in posizione molto arretrata. G ari­ boldi mi ordinò (ero ferito alla m ano destra per una scheggia) di assumere il com ando della base di D niepropetrovskj a circa 800 km ad ovest del Don, dove era intatto l’ultimo ponte, sul quale po­ teva tran sitare q u an to era rim asto del nostro schieramento dell’8* arm ata Armir. Il corpo alpi­ no da nord sarebbe poi retrocesso a K arkov com­ battendo duramente. Avevo l’autorità di dare or­ dini operativi perché l’ufficiale di Stato maggiore, anche se ha il grado di capitano, può im partire or­ dini ed organizzai il ripiegam ento dei resti delle nostre divisioni. Prim a di assumere tale com ando, chiesi al generale G ariboldi che mi dicesse se rite­ neva la guerra già perduta ovvero se avevamo an­ cora speranze per il futuro: ma egli non capì la do­ m anda. Gli spiegai che se la guerra era perduta, avrei tentato di salvare più uomini possibile, ab ­ bandonando il m ateriale: se la guerra non era per­ sa, avrei dovuto rallentare il ripiegamento per gua­ dagnare tempo e contem poraneam ente recuperare e spedire in Italia im portanti m ateriali ed arm a­ menti ancora utilizzabili. A Dniepropetrovkj ave­ vamo grandi quantità di materiali, comprese Offi­ cine F iat, Lancia, Alfa R om eo ed inoltre grossi quantitativi di munizioni di ogni calibro. La rispo­ sta fu: “Voi andate e regolatevi secondo le circo­ stanze” . A rrivato alla base di D niepropetrovskj ebbi grossi contrasti con il com andante tedesco, generale M einhold, che poi nella lotta partigiana fu il com andante tedesco in Liguria e in Piemonte (ho la docum entazione della sua resa incondizio­ nata ai partigiani all’atto dell’insurrezione). D. A bbandonata l’idea di una continuazione della difesa, ebbe corso la ritirata. Come raggiun­ gesti l’Italia? Quali incarichi ti furono assegnati? R. Restai com andante di quella base per circa cento giorni, fino a m età maggio 1943. I comandi superiori erano già rientrati in Italia ed anch’io ebbi l’ordine di rientrare. Avevo sgomberato uomini e materiali mentre le avanguardie dell’A rm ata rossa stavano entrando nella periferia della grande città. Con i miei ufficiali andai ad Odessa in autocarro, quindi in treno da Bucarest a Tarvisio. Raggiunsi poi Trieste dove mi attendeva m ia moglie, M aria Vittoria Borolani, che avevo sposato il 19 dicembre 1939, già alunna di Pilo Albertelli al liceo Umberto I di Roma. D opo breve licenza, fui destinato al IV reparto del Com ando supremo in Soriano del Cimi­ no; alla mensa veniva il capitano dei granatieri Ala­ dino Govoni, figlio del poeta Corrado. A Govoni feci avere delle armi dal deposito di riparazioni. Col consenso di Bauer unim m o le nostre forze a Porta S. Paolo e alla Cecchignola. Nello Stato mag­ giore pensarono che gli ufficiali distintisi in Russia potessero cambiare, non si sa come, le sorti di una guerra già perduta. H a inizio la mia militanza anti­ fascista. Mi dom ando perché, partendo da Odessa portai con me delle armi (ne è testimone il console italiano M aurilio Coppini): m itra russo con carica­ tore a tramoggia da 36 colpi, 10 bombe a mano rus­ se, 5 pistole e munizioni di cui non ricordo il cali­ bro. Questa roba poi mi servì quando assunsi, alle dipendenze di Riccardo Bauer e di Pilo Albertelli, la carica di capo di Stato maggiore del Com ando militare del P artito d ’azione. Avevo in mente che M ussolini avesse p o rtato l’Italia a un p unto tale che ne saremmo usciti soltanto con le armi. Quel maledetto “ 8 settembre 1943” ! Sono stato criticato per averlo chiamato “m aledetto” , ma per me lo fu, perché l’8 settembre l'Italia venne tradita da tutti: dal capo dello Stato, dal Com ando supremo, dai com andanti di ogni livello, dai ministri. Scapparo­ no tutti, lasciando una metà dell’esercito dislocata fuori dal paese in ambienti ostili e nei campi di la­ voro delle T odt e tutti i reparti in Italia senza ordi­ ni, senza comandanti, senza direttive: alla mercè dei tedeschi che diedero corso alle prime carneficine. Si può anche sostenere che F8 settembre fu benefico perché aprì la porta alla Repubblica. D. Quali furono, in quel mom ento, i tuoi rap ­ porti con l’esercito ed a quali conseguenze dettero luogo? R. Il 10 settembre ebbi dal Com ando supremo un pezzo di carta che diceva: “ A seguito sciogli­ mento di questo Com ando supremo la S.V. è in li­ bertà a tem po in d eterm in ato ” . Ero cap itan o di Stato maggiore ormai prossim o al grado di m ag­ giore, mi guardai atto rn o , m a non capii nulla: ero sm arrito. M ia moglie, come ho già detto, era stata alunna di Pilo A lbertelli. U scendo di casa Riccardo Bauer e la Resistenza romana lo incontram m o per caso e lui riconobbe la sua al­ lieva, che mi presentò. Albertelli mi guardò fissa­ mente e mi chiese quale attività svolgessi. Risposi che provenivo dal C om ando suprem o e che ora ero libero cittadino, volenteroso di fare qualche cosa poiché l’Italia andava verso il baratro. Pilo Albertelli mi disse, con parole sfumate, che stava cercando di organizzare una prim a form azione di volontari. A llora gli dissi delle armi che avevo p o rtato dalla R ussia e che u n ’organizzazione di uomini nuovi, audaci, onesti e ben preparati ad af­ frontare tempi durissimi, faceva proprio per me. Così, dopo altri incontri, ci trovam m o rapidam en­ te su posizioni identiche. Come prim a cosa portai tutta la famiglia a Massa M arittim a, dove già era­ no i miei suoceri e misi a disposizione di Pilo l’ap­ partam ento di via Tirso 47. Iniziò la m ia collaborazione col Pda. D. M entre Albertelli si dava da fare per orga­ nizzare la prim a formazione m ilitare del Pda, dove si trovava Bauer? R. Bauer era a Firenze per il congresso semi­ clandestino del neonato P da (3-4-5 settem bre 1943), a cui parteciparono tra gli altri Ragghianti, La M alfa, Codignola, Parri, Ginsburg. Venne de­ ciso2 di form are due nuclei per l’organizzazione politica, uno centrale ed uno periferico, uno a nord ed uno a sud, poiché era prevedibile la divi­ sione del territorio nazionale già in atto, dopo gli sbarchi in Sicilia ed a Salerno, oltre alla incorpora­ zione (10 settembre 1943) del litorale Adriatico da parte tedesca. D. D unque la realtà era che tedeschi ed alleati avevano già diviso ITtalia in due o tre parti. R. N on solo avevano diviso l’Italia, ma dal Brennero e da T arvisio discendevano divisioni del Führer, che si era già im padronito, come detto, della zona: B rennero, Bolzano, U dine, G orizia, Trieste e Istria divenute terre tedesche con un Gauleiter che applicava leggi tedesche. E ra il tra ­ 369 dim ento di H itler verso l’Ita lia 3. G ià prim a del 25 luglio numerose divisioni tedesche erano transi­ tate dai valichi ricordati, dirette a sud, per fronteg­ giare l’avanzata alleata a seguito dello sbarco in Sicilia del 10 luglio 1943. N on solo per questo m o­ tivo, ma anche per sostare sulla Cassia e sulla Fla­ minia a nord di Roma: pronti ad occuparla. D. Bauer ottenne dal congresso di Firenze l’in­ carico di occuparsi del Pda nel Centro-sud. Si tro ­ vava a Firenze e doveva raggiungere Rom a. Che cosa accadde a Rom a in quel frattem po e quando tu entrasti in contatto con lui? R. Nel frattem po a Rom a avevo preso contat­ to con Pilo Albertelli, con Vindice Cavaliere (pre­ sto messo fuori circolazione perché arrestato, con la moglie, dai tedeschi il 27 novembre 1943) e con Cencio Baldazzi. T erm inato il congresso, Bauer prese un tren o per R om a, treno che ad O rte fu bloccato dai tedeschi. A mio giudizio Bauer com ­ mise l’errore di restare sul treno, rinviato a Firen­ ze, mentre ad O rte poteva scendere. Qui avrebbe raggiunto Rom a con automezzi italiani, che abi­ tualm ente davano il passaggio4. R ito rn ato a F i­ renze, Riccardo con Ragghianti, Codignola ed al­ tri si diede da fare per organizzare una rete di dife­ sa partigiana in Toscana. Circa la data precisa del suo arrivo a R om a non c’è accordo tra diversi autori. Credo di non sbagliarmi dicendo che Pilo mi presentò a Riccardo il 29 settembre e nei giorni seguenti egli fece u n ’atten ta ricognizione in via Tirso 47: constatate le tre vie di accesso e la via di possibile fuga, approvò che fosse la sede del co­ m ando militare del Pda. Così cominciammo l’or­ ganizzazione m ilitare, con Pilo, instancabile, e con Cavaliere, caduto troppo presto in m ano tede­ sca. C onstatam m o che si doveva “ inventare tu t­ to ” . F ortunatam ente Cencio Baldazzi, Chierici e Latini in città, Lorenzo D ’Agostini in zona Ariccia-Castelli R om ani, A rm ando Bussi nel settore di ponente fino a Fiumicino, furono i primi e più 2 Un resoconto dettagliato sul congresso di Firenze è stato pubblicato da Enzo Enriques Agnoletti, II convegno di Fi­ renze (settembre 1943), in Federazione italiana associazioni partigiane, Il Partilo d ‘Azione dalle origini all’inizio della Resistenza armata, Teramo, Edigrafital, 1985, p. 629. 3 Nel settembre 1943, subito dopo la caduta di Mussolini, passarono sotto la diretta amministrazione tedesca l’Alpenvorland (Trento, Bolzano, Belluno) e l’Adriatischeskùstenland (Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume, Lubiana), nei qua­ li vennero inviati due Gauleiter. Nella seconda area fu preposto il Gauleiter Friedrich Rainer, col titolo di commissario supremo. Capo delle SS era Odilo Globocnik, noto seviziatore. 4 Quanto all’errore che Conti gli attribuisce, seppi da Bauer che era obbligato dalla necessità di sottrarsi ad una even­ tuale perquisizione tedesca, perché Ivan Matteo Lombardo lo aveva pregato di portare a Roma e consegnare al suo partito, Psiup, 3 milioni in contanti. 370 Antonio Conti attivi organizzatori delle prime squadre partigiane cittadine. Avevamo poche armi, ma due grandi rastrellatori furono Ugo Baglivo e V ittorio Gabriel­ li, aiutati da E doardo V olterra. Le arm i furono una m ia grossa preoccupazione per la loro custo­ dia: se qualcuno veniva ferm ato e perquisito in strada e trovato con una qualsiasi arma, veniva fu­ cilato sul posto. Fortunatam ente trovam m o quat­ tro “ depositi clandestini” dove potevano essere accantonate e prelevate le armi, anche con l’aiuto di ufficiali e sottufficiali della G uardia di finanza. Incontrai, per caso, il capitano A ladino Govoni, conosciuto al C om ando suprem o, col quale ero entrato in confidenza in occasione di una sua lun­ ga visita negli uffici del IV reparto. Mi parlò del suo bisogno di materiali bellici per l’organizzazio­ ne che capeggiava, denom inata Bandiera rossa. N e riparlam m o molto attentam ente in una secon­ da occasione. D. Che cosa è questa formazione Bandiera ros­ sa di cui tu parli? R. Bandiera rossa era una formazione militare voluta dal giornalista Enzio M alatesta, poi truci­ dato dai nazisti a F orte Bravetta, redattore capo del “ G iornale d ’Ita lia ” , assieme al capitano dei granatieri Govoni, figlio del noto poeta, che, come ho detto, era venuto a trovarm i al Com ando su­ premo e mi aveva confidato i suoi ideali patriotti­ ci. Avevano bisogno di armi e mi chiese se avessi la possibilità di fornirgliele. Bandiera rossa non ave­ va fini politici e, per statuto, era una formazione apartitica, apolitica, costituita per la difesa di R o­ ma, orm ai prevedibile a breve tem po; si sarebbe sciolta il giorno dopo la liberazione della città. Perché B andiera rossa? Perché, quando la nave sta per affondare, si alza la bandiera rossa, come la si alza negli stabilimenti balneari, quando il m a­ re è grosso e rappresenta un pericolo. Questo no­ me diede enorm e fastidio ai com unisti, che non ne vollero mai sentir parlare. D. I rapporti con voi del Pda quali furono? R. I rapporti con noi furono ottimi, per merito di Govoni e di M alatesta, i quali venivano spesso a trovarm i in via Tirso 47. Pilo ne era inform ato, an­ che Riccardo, che mi disse: “Abbiam o bisogno an ­ che del diavolo, se si batte con noi” . Nello statuto di Bandiera rossa vi sono principi bellissimi: il pri­ 5 mo stabilisce che chi partecipa alla formazione de­ ve sapere che essa sarà sciolta dopo la liberazione di R om a (e così avvenne); il secondo im pone ai co m b atten ti di Bandiera ro ssa sopravvissuti di non chiedere nessuna onorificenza al valore né pri­ vilegi, in quanto cittadinicom battenti per la patria e per la loro città. D. Bandiera rossa non dipendeva da nessuno partito. Quali azioni ha com piuto in quel periodo, che si possono senz’altro attribuire ad essa? R. Essa ha avuto le massime perdite nella dife­ sa di Roma. Com battè con popolani, donne e uo­ mini di quartiere, militari sbandati, partigiani che ne avevano condiviso gli scopi. La figura più nota è il capitano Raffaele Persichetti, del 1° granatieri. Le azioni principali furono al m attatoio, a p o rta S. Paolo, sulla via Appia, in posizioni molto avanza­ te e dove ebbero a fianco i nostri con Lussu, G a­ brielli, Com andini e Cencio. T ra i com ponenti di Bandiera rossa, 22 furono presi dai tedeschi, rin­ chiusi a forte B ravetta e fucilati. Il 2 maggio 1944 fu preso l’anziano eroico operaio di T or Pignattara Tigrino Sabatini, che scrisse su un pezzo di carta: “ N o n dim enticate perché siamo m orti, non sfruttate la nostra m orte” . Complessivamente i caduti in com battim ento di Bandiera rossa tra il 9 settembre 1943 ed il 5 giugno 1944, tenuto conto che molti dei nostri si unirono a loro, fuorno 128, tra uomini e donne: molti di estrazione popolare. I deportati in G ermania furono più di 220. Al capi­ tano Govoni ed al giornalista M alatesta sono inte­ state due strade di Rom a, così come al capitano Persichetti: tutti e tre sono stati decorati con m e­ daglia d ’oro al valor militare per decisione del Cln. D. Nelle sue memorie Bauer parla dell’im pre­ videnza dei com andi badogliani e cita un tuo in­ contro con loro. Puoi dirci qualcosa di più? R. Ricevetti ordine da La M alfa d’incontrare i rap p resen tan ti dei badogliani. Mi accom pagnò E doardo Volterra. Bauer nelle sue memorie5 attri­ buisce questo episodio solo a me; invece, ero con Volterra: prassi normale per simili missioni l’esse­ re sempre in due. L’appuntam ento era fissato all’H otel G enio, di fronte al palazzo di G iustizia. Suggerii a V olterra di recarci arm ati di pistola e di trovarci sul posto mezz’ora prim a dell’appunta­ mento (che era per le ore 11, se non sbaglio), poi- Riccardo Bauer, Quello che ho fatto. Trent’anni di lotti e di ricordi, Roma-Bari, Laterza, 1987. Riccardo Bauer e la Resistenza romana ché non avevo fiducia in riunioni tenute in alber­ ghi. G iram m o in zona, io in un senso e lui nell’al­ tro, per studiare la situazione, non volendo fare la fine del piccione. Visto che, apparentem ente, era tutto regolare, entram m o; appena entrati, un in­ serviente, con giacca a righe gialle e rosse, che pu­ liva l’androne, ci guardò e disse: “Al terzo piano, stanza n . ...” . Questo mi meravigliò molto e dissi a Edoardo che avevo voglia di andarmene. Però era im portante tra tta re l’unione delle nostre forze e concordare un piano operativo com une nell’even­ tualità che i tedeschi, nella inevitabile ritirata dopo lo sbarco alleato in Anzio, resistessero in città; ov­ vero per attaccarne le retroguardie sulle vie conso­ lari. Salimmo al terzo piano a piedi, senza utilizza­ re l’ascensore per evitare una trappola. Entram m o nella stanza indicata, dove erano il generale R o­ berto Bencivenga, zoppicante, il generale Quirino Arm ellini ed il m aggiore G iovanni Di Lorenzo, quello stesso della divergenza di opinioni operati­ ve in Russia. A ppena mi vide, esclamò: “Ah, Con­ ti, ci ritroviam o dopo rincontro sul D on” . Ed io: “ Se la situazione è come quella, litigherem o di nuovo” . Compresi i loro aiutanti, erano sei perso­ ne. Arm ellini disse di com inciare ed io chiesi se erano state controllate le stanze attigue. Loro assi­ curarono che ci trovavam o in un albergo sicuro, poiché “ è dei n o stri” . Che fosse “ dei n o stri” o “dei vostri” , suggerii ad Edoardo di andare a con­ trollare la stanza di destra, m entre io andavo in quella di sinistra, pistole col colpo in canna a por­ tata di mano. Con stupore E doardo trovò un tizio che leggeva il giornale tenendolo alla rovescia e che aveva una faccia poco rassicurante. L ’apostro­ fò per sapere se era un cliente dell’albergo; l’altro rispose che non lo era e che stava soltanto leggen­ do il giornale. Edoardo, pistola in m ano, gli indicò la via dell’uscita e quello filò. Chiudemmo le porte portando via le chiavi. R ientrati per la riunione, invitai ad essere brevi perché il collega aveva già trovato qualcosa di sospetto nella stanza di destra. Di rimando mi chiesero perché noi del Pda avessi­ mo chiesto la riunione. Risposi che non avevamo forze ed arm am enti sufficienti per contrastare i te­ deschi in ritirata, neanche unendoci ai comunisti. “I quali sono vostri am ici” , mi interruppero. Ri­ battei che erano nostri amici soltanto quando si doveva com battere l’invasore tedesco. Chiedeva­ mo la collaborazione e l’unione delle forze, nel ca­ so che i nazisti decidessero la resistenza in città op­ 371 pure l’attraversassero ed allora fosse logico aggre­ dirne le retroguardie. C om unicai che avevam o piani, già preparati nei particolari, che prevedeva­ no l’attacco alle retroguardie in ritirata oltre le pe­ riferie di Rom a. Mi rispose so ltan to il generale Bencivenga: “ Gli ordini precisi di Badoglio sono di non sparare un solo colpo dentro o nei dintorni di R om a” . Conclusi che allora non v’era più nien­ te da discutere. Augurai a tutti buona fortuna e ce ne andam m o. Questo, nei particolari, fu il contat­ to con i badogliani, che disponevano di maggior arm am ento di tu tte le form azioni rom ane messe insieme. D. A proposito di form azioni, vuoi dirmi ora quali e quante erano le formazioni del Pda e quali azioni svolsero? R. Il C om itato militare del Pda si costituì gros­ so modo nel settembre del 1943, subito dopo la fu­ ga del re, favorito da Ugo La M alfa e Stefano Siglienti, a cui diedero una mano Edoardo Volterra e Aldo Garosci. Bauer non ebbe come capo di Sta­ to maggiore Vindice Cavaliere, perché arrestato il 17 novembre. Capo di Stato maggiore divenne Pi­ lo Albertelli, m a dopo il suo arresto Bauer “ mi” ereditò. Il Com ando militare del Pda aveva come segretario Lorenzo D ’Agostini. La città era divisa in tre zone che facevano capo tutte al Com ando militare di via Tirso 47. Il tu tto era costituito da G ap. U no com an d ato da Cencio Baldazzi, uno da M ario Chierici, uno da Angelo Latini (quello com andato da A rm ando Bussi, dopo l’arresto di questi, si fuse con gli altri tre). Dai q u attro G ap principali dipendevano inoltre cinque sotto zone. È difficile dire quante fossero le formazioni e come agissero: era un principio della guerriglia non ac­ centrare, ma decentrare. La prim a formazione in­ titolata a “Giustizia e L ibertà” era com andata da Cencio Baldazzi, leggendaria figura degli arditi del popolo che aveva organizzato le sue forze al Q uar­ tiere Trionfale, al Testaccio e a Trastevere, dove aveva operato Vittorio Gabrielli. Sui Colli Albani operava Lorenzo D ’Agostini; nel Basso Lazio A r­ m ando Bussi, trucidato poi alle Fosse Ardeatine. Gli scontri più duri al com ando di Cencio avven­ nero nei pressi della Piramide e al M attatoio; qui parteciparono anche i gruppi organizzati sotto il nom e di Bandiera rossa. A queste operazioni di Baldazzi parteciparono con grande valore Carlo M uscetta, M ario Chierici e Federico Comandini. Su suggerimento e con la partecipazione di D ’A ­ 372 Antonio Conti gostini furono organizzati i G ap di Ariccia, Nemi, G enzano e contem poraneam ente, suggerite da Albertelli, operazioni con arm i ed esplosivi contro convogli ferroviari tedeschi sulla linea Roma-Colleferro-Frosinone-C assino. In fa tti fu scelto un viadotto tra Valm ontone e Colleferro per il primo attacco avvenuto il 10 dicembre 1943. Furono di­ velti i binari e un treno deragliò, m a al secondo convoglio i tedeschi reagirono col fuoco, cui rispo­ sero le forze Gap. Al com ando di via Tirso fecero capo, in tempi e per motivi diversi. Pilo Albertelli, Giorgio Amen­ dola, E rnesto A rgenziano, Ugo Baglivo, Cencio Baldazzi, Luigi Bianchi d ’Espinosa, G uido Bonnet, Giuseppe Bruno, Franco Bugliari, A rm ando Bussi, G uido Calogero, Federico e Laura Comandini, Guido De Ruggiero, Cono Di Lena, France­ sco Fancello, Emma Lano, Vittorio Foa, N atalia G inzburg, V ittorio Gabrielli, A lberto G iordano, U go La M alfa, C arlo Levi, Emilio Lussu, Aldo G arosci, A ngelo M aconio, C arlo Pirzio Biroli, O ronzo Reale, M anlio Rossi D oria, Stefano Siglienti, Altiero Spinelli, Bruno Visentini, Edoardo V olterra e molti altri. Posso aver omesso qualche nome e chiedo scusa. La tipografia del giornale clandestino del Pda, già al 30 ottobre 1943, aveva fatto uscire 12 num eri, con la dichiarazione che nessun’altra possibilità rimaneva alle forze milita­ ri dell’opposizione se non la lotta arm ata. In via Basento 55, a pochi passi da via Tirso 47, venne catturato Leone Ginzburg, collaboratore di G iu­ stizia e Libertà e di “ Italia L ibera” e trasportato m orente il 5 febbraio 1944 nel carcere di Regina Coeli. La ricerca più difficile fu quella dei depositi delle armi e in un primo momento fu ritenuta sicu­ ra l’abitazione vuota dei suoceri di Albertelli, dove ebbe sede il covo Com ando, anche questo, come il covo di via Tirso, molto ben protetto da tre accessi indipendenti, e che fu presidiato da m ilitari della G uardia di finanza com andata dal generale Filip­ po Crimi tram ite il capitano Argenziano, che collaborò con Bauer in modo particolare. A Bauer, noto alla polizia fascista e a quella hitleriana, il Com ando centrale impose estrem a prudenza, tra l’altro il divieto di dorm ire due volte consecutive nello stesso luogo. Fu in quell’epoca che Bauer eb­ be l’idea di spargere chiodi a quattro punte sulle principali vie consolari, causando gravi danni ai mezzi gommati tedeschi. Il fabbro, cui era affidato l’incarico di fare i chiodi, era Enrico Lerola, con officina in via Trastevere; chiodi che poi furono utilizzati dalle altre forze partigiane romane. D o­ po la cattura avvenuta il Io marzo 1944 e malgrado i tentativi di Bauer di sottrarlo alle torture da p ar­ te delle SS, Albertelli fu fucilato alle Fosse Ardeatine. Si scoprì nel frattem po che c’era qualcuno vi­ cino al Com ando militare del Pda che aveva tradi­ to. Si trattav a di uno spione che fece arrestare in casa loro A rm ando Bussi e, il 4 marzo, Ugo Bagli­ vo. Intanto da Furio Lauri, insieme al tenente Fe­ derico De Pan, venne installata una stazione radio R-19, sintonizzata su una corrispondente stazione inglese. Si riuscì così a stabilire il prim o contatto con la Special Force n. 1 britannica, con cui suc­ cessivamente l’organizzazione Ori collaborò per il lancio di partigiani al N ord. Nel settem bre del 1943, su ordine del feldmaresciallo Albert Kesselring, le SS si im padronirono del tesoro aureo della Banca d ’Italia; inoltre la Repubblica sociale italia­ na pagava un forte contributo mensile a H itler per le spese m ilitari in Italia. Le ideologie predom i­ nanti all’interno del C om ando m ilitare del Pda erano nettam ente di sinistra e antim onarchiche e m algrado le difficoltà operative di coordinam en­ to, la lotta delle nostre formazioni continuò senza sosta sino alla liberazione di Rom a, tanto che, rie­ vocando quel periodo l’avvocato Franco Bugliari si dom anda come abbia potuto “ un esercito popo­ lare, senza uniform e, senza mezzi logistici e con poche arm i” , tener testa alle preponderanti forze tedesche ed egli attribuisce questa capacità alla ri­ sorta tradizione e vocazione garibaldina e risorgi­ mentale. Il coordinam ento com unque avveniva at­ traverso il Cln, com posto da Bauer, A m endola, Pertini, Spataro e Cevolotto, che consentiva di te­ nere sotto accorta sorveglianza i ben noti luoghi di to rtu ra di via Tasso, di via Principe Amedeo, della pensione Jaccarino e del III del IV e del VI, brac­ cio di Regina Coeli e che sfociò dopo la liberazio­ ne di Rom a nell’arresto e nella condanna a m orte del questore Pietro Caruso e nell’arresto e nel lin­ ciaggio del direttore del carcere di Regina Coeli, C arretta. M algrado ciò Pietro K och continuò le torture a F orte Bravetta (che poi si susseguirono in tu tte le città fino alla R isiera di San Sabba: via Rovello e Villa Triste a M ilano, Palazzo Giusti a Padova, Casa dello Studente a Genova e ancora Villa Triste a Trieste) e in tu tto questo orrore di caccia spietata perse la vita anche don Giuseppe M orosini, fucilato a F o rte B ravetta il 3 aprile Riccardo Bauer e la Resistenza romana 1944. N ella lista fo rn ita dal questore C aruso a H erbert K appler dopo l’atten tato di via Rasella, vengono aggiunti cinquantacinque nomi da fucila­ re alle Fosse Ardeatine. Bauer dette ordine a M a­ rio Chierici di contrastare qualsiasi avanzata tede­ sca nella zona di M adonna del riposo, m entre i gruppi leggeri di Lorenzo D ’Agostini avrebbero protetto il fianco sinistro tra Casal M orena e T or­ renova. Q uella notte, tra F l l e il 12 settem bre 1943, ebbe luogo con grande spargim ento di san­ gue la lotta popolare per la difesa di Roma. Il C o­ m ando militare del Pda emanò una direttiva fon­ dam entale della lotta clandestina classica: m ordi, fuggi, spostati. Bauer si oppose a che le formazioni del Pda cittadine e regionali fossero collegate con le forze badogliane e pose come condizione all’ese­ cutivo del Pda che, ove non fosse accolta la sua proposta, avrebbe ritirato il m andato proponendo assoluta autonom ia operativa. La proposta venne approvata e fu poi appoggiata da Giorgio A men­ dola e Pertini, costituendo un tu tt’uno tra le forze gielliste e le brigate garibaldine del Pei. Fu l’occa­ sione per il C om ando militare del Pda di prendere contatti più stretti con le forze comuniste, che collaborarono sempre con grande lealtà ed intelligen­ za. N on vanno sottaciute le collaborazioni offerte da G iorgio C andeloro e da Leone G inzburg. Q uando si dice che la guerra partigiana in Italia si distinse da tutte le altre com battute in E uropa si dice il vero, ma non si aggiunge che non aveva un condottiero come De G aulle; il nostro m ovi­ mento popolare fu spontaneo e fu guidato da Fer­ ruccio Parri e da Riccardo Bauer. In questo spirito dal covo di via Tirso partirono ordini per mettere in atto episodi dim ostrativi come l’esplosione di una bom ba in una caserma della Milizia o quella, ben più potente, alla Stazione tiburtina. Ormai gli alleati erano vicini e da Aldo Garosci, paracaduta­ to alla periferia di Rom a prim a dell’arrivo della V A rm ata Usa, com andata dal generale M ark Wayne C lark, si concretò l’idea di un distaccam ento operativo per l’invio di missioni al N ord. La città di Rom a fu divisa in zone e ad ognuno dei com an­ danti G ap vennero em anate precise disposizioni e fornite armi. Per le zone IV, V e VI furono p ro ­ mulgate disposizioni segretissime, in cui si diceva che solo i capi zona potevano prenderne visione e che dovevano essere bruciate im m ediatam ente o ingoiate “ se in pericolo” . Nelle disposizioni era fatto divieto di agire entro la cerchia urbana a me­ 373 no di essere attaccati; bisognava difendere ad ol­ tranza ponti e viadotti senza mai affrontare il ne­ mico vis à vis; non abbandonarsi mai a fuga preci­ pitosa a meno di essere circondati; le armi e le m u­ nizioni erano sufficienti per tre, quattro attacchi a fuoco continuo; se la lotta si svolgeva corpo a cor­ po, usare coltelli, pugnali e bombe a mano annien­ tando il nemico senza pietà. La disciplina doveva essere ferrea. Si doveva procedere all’arresto di chi fosse sorpreso a rubare o compiere atti di vio­ lenza. Sia che il colpevole fosse dell’arm ata di libe­ razione o che appartenesse alle fila del nemico, do­ veva essere, com unque, passato per le armi sul po­ sto; ogni azione bellica doveva essere preventiva­ mente com unicata alla popolazione a mezzo m ani­ festi o con megafoni per ottenere l’aiuto di essa e se qualcuno si fosse opposto sarebbe stato denun­ ciato ed arrestato. La zona assegnata al Pda era la più im portante di Roma, perché la prima ad essere investita dalle truppe tedesche in ritirata. Con un successivo docum ento si prendeva in esame il com portam ento dei tedeschi in caso di ritirata e si consigliava alle organizzazioni di ricorrere a cam pane, fischietti, alto p arlan ti o segnali ottici, senza usare mai sirene d’allarme aereo; inoltre si potevano affiggere manifesti e lanciare volantini con scritte propagandistiche in tedesco, per invita­ re il nemico in ritirata a disertare o a nascondersi nelle case; d u ran te la ritirata nazista si doveva cam biare la direzione dei cartelli indicatori della viabilità per disorientare il nemico. Tutti i tedeschi isolati ed i piccoli reparti dovevano essere circon­ dati e disarmati; bisognava proteggere le porte ro­ mane con automezzi minati, a loro volta difesi con arm i autom atiche per impedirne la rimozione; si dovevano cospargere di chiodi le grandi strade di ritirata e difendere le opere d ’arte. I tecnici per il disinnesco delle mine o dei campi minati dovevano vigilare a che non fossero presidiati da sentinelle; appena term inata l’operazione dovevano correre a rinforzare altri com pagni com battenti. Questi gli obiettivi immediati in caso di ritirata delle trup­ pe tedesche. Dovevano com unque essere protetti la stazione Termini, l’arco di Santa Bibbiana, l’ar­ co di San Lorenzo e il suo scalo e bisognava agire con violenza sugli alberghi di via C avour e via G ioberti; in particolare si segnalava la difesa di p o rta San G iovanni, di p o rta Santa Croce e di porta M aggiore, il ponte del cavalcavia della fer­ rovia in via T usculano e il deposito dei tram in 374 Antonio Conti piazza Ragusa; porta V etronia doveva essere sbar­ rata con tram , cosi come il ponte San Sebastiano, il ponte Latina, il ponte di via Prenestina, il ponte di via del Pineto e il ponte di via del M andrione. V enivano inoltre date altre disposizioni sull’op­ portunità di azioni veloci e silenziose. Ai partigia­ ni, facenti parte delle organizzazioni G iustizia e Libertà, vennero concesse 21 medaglie d’oro al va­ lor militare; tra essi Pilo Albertelli, A rm ando Bus­ si, Corderò Lanza di Montezemolo, don Giuseppe M orosini, Raffaele Persichetti ed altri. Alle Fosse A rdeatine caddero m olti del Pda e altri ancora m orirono nell’eccidio della S to rta il 4 giugno 1944 tra cui Bruno; altri ancora vennero trucidati a F orte Bravetta, tra cui gli appartenenti a Bandie­ ra Rossa6, con Enzio M alatesta. Voglio però fare la storia delle perdite che abbiam o avuto nella di­ fesa di Rom a, soprattutto nel massacro delle Fos­ se A rdeatine dove abbiam o perso Pilo Albertelli, Ugo Baglivo, A rm ando Bussi, Aldo Eluisi, Enrico Ferola, Gioacchino Gesmundo, Aladino Govoni, Ferdinando N orm a, Vincenzo Saccotelli, Alessan­ dro S arfatti. A ltri furono ca ttu rati dalla banda K och e dalle SS e rid o tti ad am m assi di carne. Ed in precedenza era m orto a Regina Coeli sotto tortura Leone Ginzburg, che non si può dimenti­ care. Devo mettere in luce che, per merito di Ric­ cardo, avemmo sempre la sicurezza di un appog­ gio da parte della G uardia di finanza nelle persone del generale Filippo Crimi, del capitano Ernesto A rgenziano, del tenente A ugusto De L aurentis, del tenente Angelo M aconio ed di alcuni sottuffi­ ciali dei quali non ricordo il nome. Particolarm en­ te efficace è stata l’attività di Angelo M aconio, og­ gi alto m agistrato in pensione. D. D opo la difesa di R om a a porta S. Paolo, Emilio Lussu ebbe ancora incarichi di carattere militare? R. R apporti m ilitari operativi con Lussu non ne avemmo. Io conosco quelli con Aldo Garosci, che era nel Com itato militare e veniva in via Tirso; Lussu è venuto due o tre volte di sfuggita, m a è stato molto vicino a me quando scrivevo su “ L’I­ talia Libera” . Lussu partecipava alle riunioni po­ litiche, alle quali io non partecipavo, così come non partecipavo a quelle del C om itato m ilitare del Cln e a quelle della direzione del partito; cosi 6 Per maggiori ragguagli cfr. A. Conti, M is s io n e B ig e lo w , anche D ’A gostini. C ’era u na n etta divisione di competenze tra direzione politica e direzione mili­ tare: Riccardo Bauer era il grande coordinatore. Vorrei sottolineare i rapporti tra Bauer e gli allea­ ti, dopo la liberazione di Rom a, sempre tenuti con estrema dignità: Bauer è stato m aestro di dignità oltre che grande educatore nelle situazioni più dif­ ficili, cui mi riferirò ora. Fum m o avvisati dal con­ troam m iraglio G erard H oldsw orth (com andante della N . 1 Special Force) nell’au tunno del 1944, che era a Rom a una delegazione del governo om ­ bra inglese. N on com prendeva Attlee, ma era una delegazione ad alto livello che desiderava incon­ trare uomini qualificati del Pda. Il com itato politi­ co dette disposizioni perché all’incontro parteci­ passe B auer accom pagnato d a A ntonio C onti, per non dare un accento politico all’incontro. N oi non sapevam o con esattezza quali fossero i rapporti tra governo om bra e governo ufficiale in­ glese. La riunione si svolse al G rand Hotel di via delle Terme, oggi via V ittorio Emanuele O rlando. N o tai subito l’assenza di H oldsw orth e dissi tra me che ciò era strano. Gli inglesi si m ostrarono estremamente misurati e chiesero cosa fosse, come fosse nato e cosa volesse il Pda, che coagulava i migliori cervelli della cultura italiana antifascista, che, p u r essendo neonato, operava al N ord con i loro ufficiali ed al quale l’esercito inglese forniva armi ed equipaggiamenti di ogni sorta. D. Allora hanno ragione i comunisti a dire che il Pda aveva i maggiori aiuti dagli alleati? R. Questo non sta a me dirlo. Oggi vi sono do­ cumenti storici a disposizione di chiunque. I miei rapporti con la N. 1 Special Force furono ottim i proprio perché essa aveva co nstatato che le m is­ sioni da noi proposte erano tra le migliori. U na dom an d a insidiosa venne p o sta da un m em bro della delegazione inglese sui nostri rapporti con i com unisti, al m om ento della vittoria. B auer fu prontissimo ed acuto nel rispondere. Ritengo che Bauer, come uom o politico, fosse dotato di una lu­ cidità e di una prontezza di riflessi eccezionali e fosse stato il cervello più organizzato, tra tu tti i grandi uomini ed i grandi intellettuali che aderiro­ no o fecero finta di aderire al Pda. Bauer fu abilis­ simo. Iniziò col dire che desiderava chiarire subito la questione dei rapporti con i comunisti: “ Noi ab ­ cit. Riccardo Bauer e la Resistenza romana biamo un nemico che è nemico nostro come vo­ stro: i tedeschi. Voi li com battete, frontalm ente, linea contro linea; noi li affrontiam o nelle condi­ zioni peggiori, p aracad u tan d o i nostri m igliori elementi — generalmente con i vostri ufficiali — dietro le linee del G ruppo Arm ate C, com andato da Albert Kesselring, che vi ha quasi ributtato a mare, sia a Salerno sia ad Anzio. Noi riteniam o che il nemico debba essere com battuto uniti, qua­ le che sia il berretto che portiam o in testa. N on facciamo distinzione di colori politici e, se fossero con noi dei sacerdoti, noi saremmo felicissimi di vederli con un m itra in m ano schierati accanto a noi. Questo è il primo punto sul quale non transi­ giamo. Secondo punto: circa la nostra fedeltà, ba­ sti ricordare Mazzini e tutti gli uomini del Risor­ gimento che in Inghilterra hanno trovato ospitali­ tà e che l’Inghilterra ha sostenuto ed aiutato nelle loro battaglie. Se noi abbiam o un rim brotto da farvi è quello che non ci rifornite a sufficienza!” . R isata generale! L ’intervento di B auer cam biò l’atmosfera e si iniziò a parlare di azioni militari con vari ammiccamenti di approvazione. Fu fatto entrare H oldsw orth e gli fu subito ceduta la paro­ la, chiedendogli di esprim ere il suo parere sulla collaborazione, con la Ori, sezione A ntonio, e con la direzione del Pda. L’am miraglio disse che era soddisfatto così come lo erano i suoi ufficiali e che la collaborazione non aveva m ostrato alcu­ na incrinatura. I ragazzi del Pda erano stati adde­ strati dai loro servizi, finora con ottim i risultati. Aggiunse: “ D irò di più. H anno, e non capisco co­ me l’abbiano messa in piedi, una organizzazione per la dotazione a chi partiva di docum enti perso­ nali falsi, talmente perfetta che ci fa invidia; sicché noi, quando necessario, ricorriam o a loro” . Altra risata generale, ed uno della delegazione inglese disse: “ M a questo depone a suo sfavore!” . L’in­ contro si concluse con le solite barzellette e chiac­ chiere varie e venne servito un drink per brindare alla comune vittoria. D. A tuo parere la delegazione del governo ombra inglese perché venne in Italia? Quali i m o­ tivi che l’avevano portata a Roma? Per controllare cosa? R. Secondo me il primo motivo è che, in Inghil­ terra, fece im pressione il fam oso detto “ il vento 375 del n o rd ” , proclam ato da Pietro Nenni. Tem eva­ no che, alla fine della guerra, i partigiani di ogni colore potessero rivolgere le armi fornite da loro contro gli stessi alleati, in una rivoluzione solleci­ tata da Togliatti e dai russi. La seconda ragione, sempre a mio giudizio, è che fossero privi di esatte informazioni sul Pda. Il nostro Alberto Tarchiani era stato in America per tanti anni esule, m a non in Inghilterra. M ax Salvadori, sebbene ufficiale in­ glese, era di famiglia italiana e non era facile stabi­ lire se fosse più inglese o più italiano, cosi come non è possibile dire se fu più intellettuale e scritto­ re ovvero uomo d ’azione e com battente indomito. D. La politica di Churchill, da quanto tu dici, non era facilmente digeribile neanche in G ran Bre­ tagna da parte laburista. Churchill fece sempre op­ posizione ai partigiani italiani. P ertan to tu non pensi che la delegazione inglese venuta in Italia per “ annusare” avesse l’incarico di controllare la politica del primo ministro? R. Può essere benissimo. Proprio in quei giorni Churchill aveva ricevuto Tito a Napoli, m ostran­ dosi favorevole ad intese con i partigiani iugoslavi, nei confronti dei quali aveva m olta considerazio­ ne. N on nascose la sua ostilità alla strategia ame­ ricana di puntare su Berlino col massimo delle for­ ze e, per questo, di far sbarcare in Provenza la 1arm ata U sa del generale A lexander M cCarell Patch sottraendo ad A lexander dieci divisioni e le forze aeronavali. S barcata il 15 agosto 1944 a est di M arsiglia, la 7S in meno di 30 giorni prese contatto con la 33 arm ata di P atton, dando sicu­ rezza al fianco destro di Eisenhower (fu questa l’o­ perazione chiam ata in codice A nvil-Dragoon). Si tra tta del problem a strategico che ci porterebbe a discutere il famoso “ proclam a A lexander” , del quale parla anche Bauer nelle sue memorie. Io so­ no in grado di dimostrare, con documenti storica­ mente indiscutibili, che quello fu un ordine giusto. Infatti, come ho testé detto, alle due arm ate di Ale­ xander in Italia erano state sottratte dieci divisioni e quasi tutte le forze aeronavali, per costituire l’ar­ m ata di Patch. Anche R oberto Battaglia, amico carissimo, cade in errore nel suo poderoso volume, poiché molti documenti sono venuti alla luce dopo la sua m orte, oppure perché ebbe una visione di­ storta dei fatti7. Roberto Battaglia, Storia della Resistenza (8 settembre 1943-25 aprile 1 9 4 5 Torino, Einaudi, 1953. 376 Antonio Conti D. Ti chiedo ancora una cosa: hai fatto cenno alla Ori. Io ne ho sentito parlare, per la prim a vol­ ta, da C raveri, genero di Croce. Puoi precisare quante furono le Ori e cosa fecero? R. Ori significa: Organizzazione resistenza ita­ liana, nom e suggerito da B enedetto Croce. Le truppe alleate in Italia furono di due schiatte di­ verse, anche nel delicato servizio di “ intelligen­ ce” : una americana e l’altra inglese. Quella ame­ ricana era com andata dal generale D onovan, un tipo impulsivo, brillantissimo, che voleva sempre vincere. Raim ondo Craveri, coniugato con Elena Croce, è stato insigne antifascista. Parlava benis­ simo l’angloamericano e fu avvicinato subito da­ gli statunitensi che gli offrirono di essere a capo della Ori legata alla Oss [Office of strategie Servi­ ces], Gli inglesi erano l’altra schiatta: Ori, collega­ ta con N. 1 Special Force, che era una branca del­ lo Special operation executive (Soe), organizzato e com andato dal generale Colin G ubbins, che perse l’unico figlio nella battaglia di Anzio. Tutti sappiam o che gli inglesi, per loro m entalità, non concepiscono i servizi di spionaggio, perché non sono né signorili né leali. Tuttavia hanno organiz­ zazioni formidabili, tra le quali il Soe, che costituì le Special Forces in vari paesi; dalla N. 1 Special Force è nata la collaborazione con la Ori sezione Antonio. Bauer teneva le due fila: quella di C ra­ veri e quella di A ntonio, perché la direzione poli­ tica del Pda voleva evitare che le due organizza­ zioni fossero concorrenti. Esisteva una differenza notevole in fase operativa: gli americani inviava­ no a N ord missioni composte da 10-12 elementi, che rifornivano con le loro ampie disponibilità; gli inglesi arrivavano a 3-4 elementi, di cui sempre uno almeno inglese. La missione Bigelow, che dà il titolo al mio libro, fu l’unica missione com ­ posta da tre italiani8. Il com andante Holdsworth mi disse confidenzialmente: “ Gli americani hanno abbondanza di materiali, direi quasi esuberanza; noi dobbiam o pensare ai partigiani italiani a quelli iugoslavi: Churchill guai a toccarglieli; dobbiam o anche pensare a Varsavia, perché sia­ mo stati noi dall’Italia ad inviare il maggior nu­ mero di aiuti, molto più di quanto inviato dall’In­ ghilterra. H o avuto un co n tatto con D onovan e gli ho chiesto dei materiali. Sa che mi ha risposto D onovan? — Se il mio presidente sapesse che ho dato agli inglesi anche una sola confezione, non farei più carriera. Mi dispiace, m a da me non avrete niente — ” . Si ebbe un periodo di crisi; quando H oldsw orth chiamò me e Bauer per dirci che, dopo gli sforzi che aveva fatto, avendogli il C om ando supremo alleato (Afhq) tagliato i fondi in denaro, non era più in condizioni di aiutarci: non aveva più un bilancio! Bauer saltò su tutte le furie e si arrivò quasi alla ro ttu ra, pur espri­ mendo ambedue rincrescimento per questa situa­ zione. Il taglio dei fondi fu sicuramente opera di Churchill. D. Sai se Churchill mise il veto a che Bauer rag­ giungesse il Nord? R. Io portai Riccardo a M ilano e si fece tappa a Bologna e si dormì a casa di Franco Borsari, un caro collega vivente che può testimoniarlo. Questo perché non vollero dargli i mezzi per arrivare al N ord. D. E non è tutto. Poi fu po rtato il 26 aprile da De H ahn, in deroga agli ordini ricevuti, in jeep, co rren d o sulle traversine delle linee ferroviarie per guadagnare tem po9. Il veto di Churchill tenne lontano Bauer e le sue organizzazioni Ori dall’in­ surrezione al N ord, disposizione concordata an ­ che per iscritto con l’am m iraglio H oldsw orth. Churchill tenne lontano Bauer dalla G ran Breta­ gna anche dopo la guerra. R. Poiché si era arrivati quasi alla ro ttu ra nel colloquio con H oldsw orth, io m olto em ozionato dissi: “Avete esplorato se c’è una via di com pro­ messo che eviti questa dolorosa elisione? I ragaz­ zi arruolati sono al N ord con ufficiali inglesi ed io cosa dirò loro?” . A llora ram m iraglio suggerì di parlarne con Bonomi per ottenere uno stanzia­ m ento di fondi, considerando che si tra tta v a di A. Conti, Missione Bigelow, cit. 9 “Mentre stavo organizzando il mio trasferimento, gli avvenimenti precipitarono e il 25 aprile Milano fu libera, mentre 10 il 26, accompagnato dal colonnello De Hahn, partivo in macchina da Roma ed in una volata non priva di incidenti e di ruzzoloni sulla strada sconvolta (facemmo dei tratti tra Firenze e Bologna correndo sulle traversine della ferrovia dove le rotaie erano state divelte) giungevo la sera nella città lombarda col mio accompagnatore, che aveva voluto, con quel viaggio per lui abusivo, dimostrare verso di me una stima che sfidava anche le strane paure politiche del suo governo” (R. Bauer, Quel che ho fatto. Trent’anni di lotte e di ricordi, cit., p. 198). Riccardo Bauer e la Resistenza romana “ am lire” , c a rta straccia. Solo così si potevano avere i fondi per i materiali, per istruire le missio­ ni, per i piloti, per le assicurazioni ecc., m entre sarebbero rim aste a carico dell’Italia le paghe ai nostri agenti, i quali ricevevano: 150 lire al gior­ no nel periodo in cui stavano a M onopoli, 300 li­ re al giorno nel periodo in cui erano in missione. Al capo della missione veniva dato, per esigenze della m issione stessa, un m ilione di allora e ad ognuno dei com ponenti una sterlina d ’oro, per­ ché nel lancio potevano disperdersi ed una sterli­ na d ’oro serviva per vivere dovunque. Bauer af­ ferrò im m ediatam ente il consiglio di un accom o­ dam ento. Mi chiese di portarlo subito da Fenoaltea, sottosegretario della Presidenza del C onsi­ glio, al Viminale. Usam m o una Balilla che aveva­ mo requisito ad un fascista. D urante il percorso da via B arnaba Oriani, cioè dai Parioli, al Vimi­ nale ci scambiammo alcune opinioni. Bauer disse che, essendo m olto amico di Sergio F enoaltea, avrebbe chiesto a lui di intervenire su Bonom i (le relazioni fra Bauer e Bonomi non erano molto buone) per ottenere i fondi per sostenere le spese relative alle m issioni che m andavam o al N ord. Fum m o subito ricevuti da Fenoaltea, che afferrò la situazione, andò subito da Bonomi e dopo un quarto d ’ora tornò con la prom essa dei fondi a disposizione, credo una trentina di milioni. Rag­ giunto lo scopo, con l’ansim ante Balilla, tornam ­ mo a via B arnaba Oriani e Bauer com unicò che il governo italiano avrebbe fornito i mezzi finan­ ziari. D. Tu hai sollevato qualche riserva sull’atteg­ giamento di Bauer di fronte al proclam a di Ale­ xander. T u sai che, quale m em bro del P atrio t Branch, anch’io ricevetti il proclam a in bozza a C hianciano, perché facessi le mie osservazioni. Le feci natu ralm en te al C om ando interalleato. Le mie osservazioni poi coincisero con quelle che Bauer aveva già fatto. Il problem a grave per i no­ stri partigiani era quello di abbandonare la m on­ tagna, le armi pesanti e di scendere in pianura, do­ ve sarebbero facilmente stati preda delle SS o delle brigate nere: oltre naturalm ente alla notizia, per le truppe tedesche, dell’allontanarsi di u n ’offensiva. Tu credi che questa stasi invernale valesse la pena del sacrificio di tanti uom ini che sarebbero stati presi in pianura? R. Inn an zitu tto precisiamo: il cosiddetto fa­ m igerato proclam a A lexander è invece da a ttri­ 377 buire al generale W ilson, com andante suprem o del bacino del M editerraneo con sede a Caserta, m entre A lexander era il com andante del fronte italian o . H o copia di un m essaggio scritto da un pastore p rotestante, aiu tan te del servizio delle pubbliche relazioni (Pwb). Il messaggio fu trasm esso dalla stazione rad io “ Italia C o m b at­ te” , che andava in onda a Bari tutte le m attine. Ecco quanto sono riuscito a ricavare ricostruen­ do la vicenda: “ D al Q u artie r generale, 13 n o ­ vembre 1944. La cam pagna estiva è term inata e si inizia quella invernale. La pioggia, la neve, il fango in evitabilm ente significano un ra lle n ta ­ mento nel ritm o della battaglia. Quindi le istru­ zioni sono come ora segue: cesserete per il m o­ m ento o perazioni o rg an izzate su vasta scala, conserverete le arm i e m unizioni e vi te rrete pronti per nuovi ordini. Ascolterete il più possi­ bile il program m a Italia C om batte trasm esso da questo Q u artie r generale, in m odo da essere pro n ti a nuovi ordini per cam biam enti di situa­ zioni. Caso per caso esam inerete l’o p p o rtu n ità di co n tin u are nelle azioni di sabotaggio, senza esporvi a rischi tro p p o gravi. F .to A lexander” . Vedi, è diverso da quello che è stato pubblicato: “ Cesserete e ve ne andrete a casa” . Nello stesso giorno dal Q uartier generale parte questa infor­ m ativa: “ 13 novem bre 1944. Al M aresciallo H enry M aitland Wilson. Al m om ento, il contri­ buto che le attività partigiane possono dare alla sconfitta del nemico in Italia è seriamente rid o t­ to a causa dei rifornim enti. Considero im portan­ te che sia fatto il possibile per aum entare il lan­ cio di rifornim enti ai partigiani italiani, in modo da consentire loro il massimo sforzo in appoggio alle mie operazioni offensive, di inizio non lonta­ no. F .to gen. A lexander” . Questo è il messaggio che co n tem p o ran eam en te A lexander m an d a a W ilson. Q uello che B attag lia, responsabile di aver divulgato il prim o messaggio, non ha consi­ derato, perché non poteva saperlo, è che ad Ale­ xander erano state sottratte le dieci divisioni e le forze aeronavali per lo sbarco in Provenza. Ale­ xander era nell’impossibilità di continuare u n ’of­ fensiva invernale contro i tedeschi. D ’altra parte Kesselring, che è stato forse il m iglior generale tattico per le ritirate, non avrebbe mai attaccato dalla Linea gotica d ’inverno perché si sarebbe suicidato. Q uesta è la situazione. Tu sai che con­ tem poraneam ente m uore a W ashington il ra p ­ 378 Antonio Conti presentante di Churchill presso gli am ericani; al­ lora Churchill m anda W ilson in Am erica come suo rappresentante, nom ina A lexander com an­ dante del M editerraneo ed il generale C lark co­ m andante del settore italiano. Clark, più brillan­ te, m anda un altro messaggio che attenua quelle che erano sem brate disposizioni di brusco arre­ sto. Il testo viene letto il 2 gennaio 1945 a Radio Bari: “ P atrioti, in questo periodo di estrem o ri­ gore invernale e di conseguenti difficoltà di tra ­ sporti e di rifornim enti per via aerea e terrestre, le istruzioni riguardanti le vostre operazioni de­ vono seguire, in generale, criteri di guerriglia. In questo periodo di com b attim en ti invernali non perm etterem o di elim inarvi” . Il messaggio continua invitando le forze partigiane al sabo ­ taggio e alla guerriglia. Riconosce l’im portanza dei rifornim enti e sottolinea come essi siano stati più abbondanti negli ultimi tempi. Prom ette ap ­ poggi e consiglia di distruggere le vie di com uni­ cazione del nemico; invita a sabotare trasporti e depositi; dissuade daH’organizzare “ offensive az­ zardate” , ma, se mai, “ im boscate” ; consiglia di non sprecare m unizioni, di raccogliere inform a­ zioni sulla consistenza ed i movim enti del nem i­ co, sui campi m inati, riferendo a chi di dovere. Così stanno le cose. D. Siamo alla fine di questa lunga chiacchiera­ ta e vorrei sapere le tue impressioni sull’uomo po­ litico Bauer. Tu sai che egli ha rifiutato di fare il m inistro ed io ebbi anche a lam entarm ene con lui stesso e con La M alfa, al quale presentai le mie preoccupazioni per un governo che, per la pri­ ma volta, si costituiva a R om a liberata sotto la presidenza di Parri, senza Bauer. La M alfa si ar­ rabbiò m olto con me, ad d irittu ra urlando che il p artito aveva posto come condizione sine qua non la sua presenza, ma Bauer aveva decisamente declinato l’incarico. Invece al suo posto entrò, co­ me tu sai, Cianca. Come fu accolta questa decisio­ ne negli ambienti partigiani? Cosa ne pensasti tu in particolare? R. Gli ambienti partigiani o meglio tutti i p ar­ tigiani autentici che, nella lo tta di liberazione, ebbero contatti o dipendevano da Riccardo, con­ servano per lui stima e considerazione immense. Lo affermo senza esagerazioni. Io personalm ente 10 ho avuto sempre grande rispetto per l’uom o, per il com andante, per il suo integerrim o senso m o­ rale, per le sue cap acità di ed ucatore civile e “ m aestro di dem ocrazia” , come fu definito. T u t­ to ciò non per sim patia o per amicizia (seppur fi­ sicam ente lontani e su strad e diversissime, mai venne m eno il co n tatto epistolare o lo scam bio di telefonate), ma piuttosto perché ho sempre vi­ sto in Riccardo Bauer il cittadino esemplare e la p erso n a d o ta ta di cap acità superiori. D eclinò l’incarico per sfiducia verso i politicanti. Riccar­ do rifiutò cariche ed onori, che pur gli spettava­ no, n o n volle il riconoscim ento di p artig ian o com battente ed il conseguente “ g rado” , seppur onorifico. Silenziosam ente, direi con um iltà, si dedicò alla ricostruzione della Società U m anita­ ria. Se ne staccò, per le note vicende, con dolore struggente, m a subito riprese l’indefessa attività di educatore civile. Alla mia ultim a telefonata a M ilano rispose la sorella Adele: “ N on sta mai ferm o un m inuto; non riesco a fargli tenere le gambe sotto al tavolo, caro A ntonio” . Bauer eb­ be solo una breve esperienza alla Consulta. Deve essere ricordato per la sua cultura, per il suo in­ dom ito m a controllato coraggio, la straordinaria forza m orale, la grande personalità intellettuale e civile: forse unica in Italia. Cosa penso io? Penso che tutti noi abbiam o appreso da lui qualcosa di buo n o e lo ripeto oggi con p ro fo n d a e sincera com m ozione: conserviam o il ricordo e non d i­ m entichiam o i suoi am m aestram enti. Le forze cieche del male correvano libere e feroci in tu tta Europa: noi le abbiam o com battute con purissi­ ma fede, convinti che la libertà, il diritto, la giu­ stizia e l’onestà avrebbero sconfitto sopercheria, violenza e m alcostum e politico. Mi sem bra im ­ portante riportare i dati ufficiali sulle perdite to ­ tali tedesche (gruppo arm ate C) nella lotta in Ita ­ lia contro le arm ate alleate (5a am ericana e 88 bri­ tannica) e le forze partig ian e: d all’8 settem bre 1943 al 25 aprile 1945 in totale 336.650 vittime. Secondo uno studio recente10 è impossibile estra­ polare le perdite inflitte al nemico direttam ente dalle form azioni partigiane. M a la grande im portanza della lotta partigiana co n tro il gruppo C tedesco è riconosciuta dallo stesso feldmaresciallo A lbert Kesselring: “ le for- Willis Jackon, History o f the Second World War, vol. VI, London, 1988. Riccardo Bauer e la Resistenza romana inazioni tedesche contro le bande partigiane ven­ nero da me costituite con truppe di élite, di soldati dotati del m aggior spirito com battivo convenien­ tem ente istruiti a questo tipo di com battim ento. 379 La guerra partigiana fu cosa molto seria e ci p ro ­ curò forti perdite” 11. Q uando leggemmo queste ri­ ghe con Riccardo, ricordo che mi disse: “ Caro A n­ tonio il nostro lavoro non fu inutile” . 11 Albert Kesselring, Memorie di guerra, Milano, Garzanti, 1954. STUDI ECONOMICI E SOCIALI Sommario del n.1, gennaio marzo 1996 Articoli A. Fazio, Risparmio e sistema finanziario; Sabino Cassese, Autonomia delle Università e rinnovamento delle istituzioni; Nicola Cabibbo, Economia ed energia in Italia; Luciano Corradini, Stato e legalità; Franco Frattini, Pubblica amministrazione e servizi al cittadino;Mananr\a De Luca, / sistemi di relazioni industriali; Donato Marra, Il caso italiano nel confronto europeo; Andrea Margheri, Territorio ed emergenza lavoro Note e rassegne A. Cremonesi, L’Arci presenta il primo rapporto sulle fondazioni bancarie; Rosario Sitari, Economia e scienze ambientali; Vittorio Campetti, Arte e cultura al festival delle nazioni