Riccardo Bauer e la Resistenza romana Antonio Conti Intervista di

Riccardo Bauer e la Resistenza romana
Antonio Conti
Intervista di Mario Melino
Bauer ereditò Antonio Conti da Pilo Albertelli, che era un uomo di una intelligenza e
di una perspicacia eccezionali. Tali doti gli
derivavano da una visione empirica dello
svolgersi degli avvenimenti e dei conseguenti
atteggiamenti da prendere. Gli elementi che
aveva sottomano gli facevano prevedere im­
minente la guerriglia antitedesca. Il modo di
guardare i suoi interlocutori dava la sensa­
zione che egli valutasse attentamente le noti­
zie e le parole: le sue risposte perseguivano il
filo diretto del suo obiettivo. Dunque di lui ci
si poteva fidare e Bauer si fidò. Conobbi Albertelli nel 1941, attraverso un professore di
latino e greco che incontrai in casa Fiore a
Bari. Era Giulio Butticci, col quale ho condi­
viso ideali e iniziative fino a qualche anno fa.
Appresi da “Proposte Liberal Socialiste” di
Pavia nel 1993 la sua morte che mi addolorò,
dopo oltre cinquantanni di comune militan­
za, anche se non sempre facile. A Roma nel­
l’estate del 1941 Butticci mi portò da Pilo.
Egli era solo, perché moglie e figli erano al
mare. Ci propose di parlare e rifocillarsi
con pane e formaggio. Così si fece abbastan­
za tardi. Alle 23 circa avevo un treno che do­
veva portarmi ad un appuntamento a Firenze
con Pippo Codignola. Albertelli propose di
accompagnarmi, ma sarebbe sceso prima
per evitare la stazione Termini. Quando
mancava ancora una fermata ci salutammo:
egli scese sul predellino del tram e dopo pochi
istanti saltò giù, facendomi un ultimo cenno
di saluto. Non lo rividi mai più.
Italia contemporanea”, giugno 1996, n. 203
Conti apparve ad Albertelli e Bauer come
un acquisto di tutto rispetto, sia dal punto
di vista professionale, sia dal punto di vista
psicologico, stante le delusioni che aveva pa­
tito.
Conti, mettendosi agli ordini di Bauer,
esaltò le sue qualità militari e soprattutto lo
spirito di corpo, non tradi la nuova idea al
cui servizio si era spontaneamente messo e
che in fondo era l’unica che gli veniva offerta
in un momento di grande disorientamento, al
limite della disperazione derivante dalle con­
dizioni del paese. Dopo aver provato tutto il
disgusto possibile per la fuga vergognosa del
re e l’abbandono totale degli italiani al loro
inumano e spietato destino, Conti non ha bi­
sogno di essere liberato da precedenti giura­
menti, perché è stato tradito nelle sue aspet­
tative e nell’onestà imposta dall’onore milita­
re, concepito come stile di vita indelebile.
Proprio per questo, abituato a ricevere e dare
ordini, vede l’esistenza dei partiti come fonte
di caos (si veda in proposito la sua propensio­
ne per la formazione Bandiera rossa). Si po­
trebbe opporre che malgrado la sua rigida
educazione sia poi entrato nelle formazioni
del Partito d’azione. Certo era stato colpito
dall’indomito coraggio dei resistenti di “Giu­
stizia e Libertà” , dal decisionismo dei suoi
esponenti, dall’ascendente che esercitarono
su di lui Albertelli e Bauer. Voleva agire in fa­
vore dell’Italia e trovò solidali i nuovi amici
nella liberazione e nella sete di eguaglianza
e libertà.
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Antonio Conti
Aveva incontrato fin troppi militari pusil­
lanimi che avevano un piede alla porta
pronti a scappare. Ricordo che nel 1943, ne­
gli infausti giorni di settembre, gli ufficiali
della IX compagnia di Chieti, che avevano
gli uffici al secondo piano della caserma,
avevano installato in un vicolo retrostante
delle funi dalle quali si facevano cadere al
primo accenno di pericolo. Al gonfiore delle
loro mani non si aggiunse mai il gonfiore
delle bacchettate che sarebbero stati utili
per ricordare loro il “ dovere” . Ma quale?
Quello del re, del principe di Piemonte, del­
lo Stato maggiore?
I libri che Conti ha dato alle stampe in
questi ultimi anni sono rievocativi di momen­
ti importanti della vita militare: frequenza di
corsi, caduti per l’idea di patria, decorati.
Manca l’epopea della fratellanza d’armi,
quegli episodi che rendono umano un “uffi­
ciale” , un “ soldato” . Ora egli conserva i ri­
cordi, li riordina e nel fare questo amministra
la giustizia applicando la “ legge dell’espul­
sione attraverso la dimenticanza” , quando
un minimo dubbio lo tormenta.
Ci fu un nutrito scambio di lettere tra lui e
me al momento di dare un titolo al suo ulti­
mo volume, Missione Bigelow1, in cui rievoca
la sua partecipazione alla lotta di liberazione.
Antonio Conti, erede di una famiglia di fe­
deli servitori della patria italiana nelle forze
armate, ora è tutto teso a far rivivere politicamente l’etica di Giustizia e Libertà e i principi
del Partito d’azione. Le sorti della sua fami­
glia si intrecciano alle aspirazioni risorgimen­
tali dell’Italia e al magistero di Giuseppe
Mazzini. Il suo avo Angelo, medico condot­
to, ebbe tre maschi e sei femmine. Il primoge­
nito, avvocato Antonio Conti (1843-1905),
nonno ed omonimo dell’attuale Antonio, ri­
cevette dal padre una “seria ed austera edu­
cazione, orientata all’ideale di una patria li­
bera ed unita” . Nel 1866 partecipò alla terza
guerra di indipendenza, che si concluse con la
cessione del Veneto all’Italia. Fu adepto di
Giuseppe Garibaldi.
Il figlio, Luigi Conti, nato a Borgotaro
nel 1886, deceduto a Bergamo il 1963, indi­
cò la carriera e la strada maestra dell’etica
laica all’attuale Antonio di cui fu padre.
Frequentò l’Accademia militare di Modena
e partecipò come tenente alla prima guerra
mondiale, guadagnandosi una medaglia
d’argento. Nel 1882 chiosò il Dizionario uni­
versale della lingua italiana di Policarpo Pe­
trocchi: rivelatore di un impegno letterario
tipico della sua casata. Antonio Conti
(1913-1995) vide la luce a La Spezia e ha
vissuto a Roma in pensione con il grado
onorario di generale di brigata. La sua edu­
cazione venne forgiata dalla famiglia, in
particolare dal padre e dall’Accademia mili­
tare di Modena all’insegna del motto indivi­
sibile: disciplina, osservanza del dovere, ob­
bedienza pronta, rispettosa, assoluta, spirito
di corpo nella fiducia al proprio comandan­
te, all’unico scopo di difendere l’onore, l’in­
dipendenza e la libertà della patria. Dunque
una educazione militare con tutti i crismi:
patria e famiglia. Nel volume in cui raccon­
ta il tempo e l’impronta educativa ricevuti
in Accademia, egli scrive: “ Oggi si crede il
contrario, forse è in parte vero, ma è anche
calcolata esagerazione per finalità assai so­
spette. Sono le conseguenze delle straordi­
narie evoluzioni della scienza, della tecnica,
dei costumi, delle condizioni di vita e anche
di poche collaudate teorie filosofiche” .
Uomo d’ordine e di coraggio, quando eb­
be deciso “gittò l’anima oltre l’ostacolo e an­
dò a riprenderla” . Tra mille pericoli si mosse
in Roma fedele a Giustizia e Libertà e tale ri­
mane senza pentimenti.
Mario Melino
Riproduciamo il testo dell’intervista rilasciata dal generale Antonio Conti a Mario Melino a Roma il 21 gennaio
1994.
1 Antonio Conti, Missione Bigelow, ORI, Sez. Ani., Roma, Circolo culturale Giustizia e libertà, 1993.
Riccardo Bauer e la Resistenza romana
D. C aro A ntonio, Bauer si è sempre m ostrato
reticente nel raccontare le vicende della lotta partigiana a Rom a nel periodo dell’occupazione tede­
sca. Vogliamo coprire questo periodo con una te­
stimonianza diretta, di chi cioè fu suo capo di Sta­
to maggiore. Per introdurre la tua testim onianza ti
prego di illustrare le tue note autobiografiche.
R. Sono il generale in pensione A ntonio Conti,
nato a La Spezia il 6 febbraio 1913. Conseguita la
licenza liceale classica ed entrato nell’Accademia
M ilitare a M odena, frequentai il 74Qcorso negli
anni 1931-1933. Nel 1933-1934 il 55 corso di appli­
cazione a Parm a. Alla fine del 1934 venni nom ina­
to ufficiale in servizio perm anente effettivo. Sottotenente di prim a nom ina nel 78° reggim ento di
fanteria “ Lupi di Toscana” , nel 1935 chiesi di p ar­
tire volontario per l’Africa orientale. Inviato pri­
ma in Libia, perché Mussolini temeva che gli ingle­
si attaccassero dall’Egitto (era governatore della
colonia il maresciallo dell’aria Italo Balbo), dopo
circa cinque mesi, visto che il problem a si risolse
con blande sanzioni economiche contro l’Italia fa­
scista, fummo trasferiti in Africa orientale. Ero te­
nente nel 504° battaglione m itraglieri. D a M assaua fummo condotti in autocarro sull’altopiano
e poi com battem m o fino ad Addis Abeba. L’Alto
com ando era passato dal generale De Bono (un
inetto) al generale Badoglio (un traffichino). Rim­
patriato, frequentai il 19° corso di osservazione ae­
rea, nell’areoporto di Cerveteri; con il grado di te­
nente vinsi il concorso per il 69° corso di Stato
maggiore nella regia Scuola di guerra di Torino.
D. Che cosa veniva rim proverato a De Bono?
Di aver ottenuto la nomina per essere stato mem­
bro del quadrum virato della marcia su Roma?
R. Indubbiam ente. M a v’è dell’altro. Cose che
poi ha rivelato la storia: era una faida fra generali.
Badoglio tram ava da tempo per assumere la carica
di capo di Stato maggiore generale ed il com ando
di questa operazione africana, estremamente red­
ditizia e facile. Si p ro stitu ì al duce, in gara con
Graziani.
D. Q uanti mesi sei rimasto in Etiopia e quali le
tue impressioni?
R. Sono rim asto in Etiopia fino alla fine delle
operazioni, dopo la conquista di Addis Abeba: all’incirca 15 mesi. Ricordo in modo particolare l’at­
tacco all’A mba Alagi, nel febbraio 1936.
D. Si tra tta naturalm ente dell’alto massiccio
m ontuoso (3.000 metri) nel cuore del Tigrai, dove
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q u a ra n t’anni prim a si era consum ata la disfatta
degli italiani com andati dal maggiore Toselli.
R. Così fini l’am biziosa spedizione di Crispi,
con la vittoria di M enelik in Africa e la caduta a
R om a del suo governo. R icordo che, m entre ero
con il battaglione m itraglieri nella piana ai piedi
dell’A m ba Alagi, andai nel territorio degli Azebù-G alla per trovare un mio com pagno di scuola
e di corso, il tenente Emilio d ’A stolfo, che lì poi
cadde eroicamente. Egli mi presentò il sottotenen­
te Italo P ietra della com pagnia A lpini. N acque
un a reciproca sim patia e stim a. A m bedue criti­
cam m o il b o m b ard am en to su A m ba A lagi con
proiettili di artiglieria esplosivi, che facevano una
nube giallastra: caricati ad iprite! Questa fu la pri­
m a cosa che a me, giovane ufficiale, fece grande
impressione negativa e colpi moltissimo Italo Pie­
tra, poi grande p artigiano nell’O ltrepò pavese e
grande giornalista, direttore de “ Il G iorno” a M i­
lano e de “ Il M essaggero” a Roma. D opo l’attac­
co all’A m ba Alagi l’azione verso Addis Abeba fu
molto facile. La cosa più difficile fu invece sgom­
brare le strade dalla resistenza nemica. In tan to
Graziani, che com andava le truppe del sud prove­
nienti dalla Somalia, raggiunse la capitale. Bado­
glio rientrò subito a Rom a per cogliere i frutti del­
la vittoria. Graziani venne eletto governatore, poi
viceré. T erm inate le operazioni dì guerra, conti­
nu aro n o le feroci azioni di “ polizia coloniale”
contro partigiani abissini ribellatisi all’occupazio­
ne indegna ed inopinata del loro paese.
D. E ra a vostra conoscenza allora che m olti
com andanti m ilitari e capi tribù, i cosiddetti ras,
erano stati deportati in Italia e qualcuno fucilato?
R. N on era a m ia d iretta conoscenza, anche
perché io non partecipai alle operazioni di “polizia
coloniale” . R icordo che co n tro i rastrellam enti
della Pai (Polizia Africa italiana) venne organizza­
to dai partigiani etiopici il famoso attentato a G ra­
ziani che, gravemente ferito ad Addis Abeba, sca­
tenò una reazione ferocissima ed indegna: torture
e fucilazioni di cittadini etiopici, deportazioni di
molti ras in quelle stesse isole dove erano incarce­
rati numerosi antifascisti, reazione incivile di puro
stile nazista.
D. R ientrato in Italia, a quale reparto fosti as­
segnato?
R. Sono rientrato alla fine del 1936 nel b atta­
glione, di cui, quale ufficiale in servizio perm anen­
te effettivo, avevo il comando. M olti ufficiali era­
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Antonio Conti
no rimasti in quello che si chiamò “ Im pero” . D o­
po breve licenza fui destinato a Caraglio di Cuneo,
sulla strada per Centallo dove alle 7 del m attino
del 3 dicem bre 1944 fu trucidato D uccio G alim ­
berti. Li rimasi fino a quando feci dom anda per es­
sere trasferito, come istruttore, alla Scuola di ap­
plicazione di fanteria in Parm a, dove com andai
un plotone di sottotenenti allievi. Nel 1938 si apri­
rono le dom ande per il 19° corso di osservatore ae­
reo nell’areoporto di Cerveteri. In quel periodo vi
fu la fam osa visita di Hitler (prim avera 1938) per
esaminare il grado di addestram ento dell’esercito
italiano. Ci ordinarono cose incredibili: per esem­
pio, dovemmo simulare il bom bardam ento di una
nave disegnata per terra col gesso. Poiché non ave­
vamo bom bardieri con bombe da esercitazione, si
lanciavano dei candelotti che, arrivati a terra,
esplodevano. Era molto facile centrare il bersaglio
perché il disegno della nave era immobile.
D. Come sappiam o la guerra scoppiò l’anno
dopo, nel 1939, con l’occupazione della Polonia
per iniziativa della Germania. Che ne è stato di te?
R. Finito nel mese di luglio il corso di osserva­
zione, feci immediatamente dom anda per frequen­
tare la Scuola di guerra a T orino. Fui ammesso
agli esami alla fine del 1938 e frequentai il 69° cor­
so di Stato maggiore, che durò due anni. Era scop­
piata la guerra che, diceva la propaganda, sarebbe
stata una “guerra lam po” . Frequentavo il 2° anno
quando, alla fine del 1940, ci fu la crisi militare con
le dimissioni del capo di Stato Maggiore generale
dell’esercito non capivam o perché il m aresciallo
Badoglio cosi onusto di guerra, onori, villa a Ro­
ma, stipendi enormi venisse allontanato. Questo ci
turbò, perché non sapevamo nulla di politica. Fi­
nii la scuola di guerra quando la G erm ania aveva
già incorporato la Polonia.
D. D unque la guerra “ lam po” (Blitzkrieg)
continuò. L ’Italia si era unita alla G erm ania. Ti
chiedo quale era il tuo stato d’animo e dove fosti
impiegato.
R. T erm inato il secondo anno di Scuola di
guerra, fui destinato, per l’esperim ento di Stato
m aggiore, al II corpo d ’arm ata in A lessandria.
Fu allora che Mussolini decise l’intervento dell’I­
talia perché prevedeva una guerra brevissim a e
aveva bisogno di qualche centinaio di m orti per
trattare al tavolo della pace. Con il II corpo d ’ar­
m ata, com andato dal generale Zanghieri, fui in­
viato sul fronte occidentale contro la Francia, nel­
la notte del 21 giugno del 1940. Partecipai alle ope­
razioni quale ufficiale in servizio di Stato maggio­
re e restai am aram ente sorpreso dal perché doves­
simo attaccare la F rancia. E ra la m ia serconda
esperienza di guerra, ancor meno com prensibile
della prim a in Etiopia.
D. Fu dunque questo il mom ento in cui tu fosti
coinvolto nella seconda guerra mondiale. E stata
questa esperienza dram m atica ad aprirti gli occhi
sulla situazione del fascismo in Italia o vi furono
altre occasioni?
R. N o, non fu questa. Devo prem ettere che,
m entre frequentavo il secondo anno della Scuola
di guerra, entrando un giorno in aula vidi che al
posto di ogni ufficiale c’erano due fogli di carta:
uno schema che avrei dovuto riempire e che term i­
nava con il giuram ento al duce; il secondo foglio
diceva che ero obbligato a firm are quel giuram en­
to, pena la m ia espulsione d all’esercito. Fui sor­
preso! N on sapevo nulla di politica. A scuola mi
avevano iscritto come “ avanguardista” e non mi
andava il fatto di firmare il giuram ento di fedeltà
a Mussolini, quando pochi anni prima avevo pre­
stato giuram ento di fedeltà al re d ’Italia. Presi un
foglio di carta e scrissi: “Posso firmare solo a patto
che sia sciolto per iscritto il giuram ento prestato a
Sua M aestà” . Il mio gesto fece scandalo fra i col­
leghi che si affrettarono ad avvertirmi: “ Sarai cac­
ciato. Scrivendo questo biglietto hai detto che sei
contro il fascismo” . Io del fascismo non com pren­
devo quello che veram ente fosse e quello che era
stato. Avevo fatto un giuram ento al re e per farne
un altro a persona diversa chiedevo di essere sciol­
to dal prim o. Il mio com andante della Scuola di
guerra, generale M entasti, non mi chiamò, né ebbi
alcuna noia o disturbo. Credo che il generale M en­
tasti abbia fatto scomparire quel mio foglio.
D. Fu dunque questo il tu o prim o atteg g ia­
mento di dissenso nei confronti del fascismo. Q ua­
le fu la tu a destinazione dopo la guerra contro la
Francia?
R. T erm in ata la co sid d etta guerra co n tro la
F ran cia feci dom anda di p artire per la Russia.
Era stato inviato in Russia, anche se non richiesto
e malvolentieri accettato da Hitler, il Csir (Corpo
di spedizione italiano in Russia) com andato dal
generale Giovanni Messe. Quale ufficiale in servi­
zio di Stato maggiore la dom anda fu im m ediata­
mente accolta e partii a m età ottobre 1941. R ag­
giunsi il Csir in località Krivoj Rog, sull’asse che
Riccardo Bauer e la Resistenza romana
po rta dalla R om ania al basso Don: Krivoj Rog,
D niepropetrovskj, Staiino (Donez), Voroscilovgrad fino a Stalingrado sul Volga. Mi è d’obbligo
parlare dei fatti di Krivoj Rog. U na m attina sentii
che si sparava vicino al com ando, a ritm o molto
frequente. Ebbi la sensazione che qualcuno si di­
vertisse. Andai a vedere: soldati tedeschi lanciava­
no in aria bambinelli poco più che neonati e tira­
vano su di loro. Stravolto da questa orrenda sco­
perta assistetti personalm ente, urlando, alla fase
finale delle esecuzioni. Lo scempio mi sconvolse.
Penso che sia stato l’elem ento che più influì sul
mio spirito, sul mio ethos m orale, sul mio credo
di ufficiale e di uomo. Perché questo tiro al piccio­
ne contro quei bam binetti neonati lasciò in me,
anche se non ben definito, uno strascico di rivolta.
D. Quali erano i tuoi rapporti con gli alleati te­
deschi e quali con la popolazione russa?
R. D opo Krivoj Rog andam m o a D nieprope­
trovskj e poi a Staiino. Colà trascorrem m o, nel ba­
cino del D onez, l’inverno 1941-1942 al com ando
di Messe. F u uno dei peggiori inverni della Russia:
arrivam m o a 43-44 gradi sotto zero. Io parlavo
quasi correntemente il russo, perché mi erano state
impartite molte lezioni in Accademia, dove avevo
frequentato i corsi di lingue slave. Ciò mi consentì
di avere ottimi rapporti con la popolazione locale,
che stimo m oltissim o, perché è gente ospitale ed
um ana che ha sim patia per l’Italia, so p ra ttu tto
nel cam po della musica e dell’arte: la Traviata di
Verdi era conosciuta come non lo è mai stata in
Italia, così pure i grandi del Rinascimento. Invece
i miei rapporti con i tedeschi, fino a tutto l’inver­
no, furono norm ali, perché abbastanza rari. Il ge­
nerale Messe fu un ottim o com andante, fermo nel­
le decisioni sapeva come trattare con loro.
D. Mi risulta però che ci sono state divergenze
di vedute sul m odo di condurre la guerra. E vero?
R. D urante l’inverno 1941-1942, nel bacino del
Donez, ci furono delle divergenze, in quanto l’or­
dine di H itler era quello di non arretrare di un me­
tro dalle posizioni raggiunte. Il generale Messe,
che fu poi nom inato maresciallo in Tunisia, pur
dipendendo dal com andante del gruppo di armate,
generale Fedor von Bock, si oppose a tale ordine,
spiegando che tenere una linea in cam po aperto,
con quella tem peratura, non aveva senso: bisogna­
va arretrare gli uomini di qualche chilometro per
accantonarli in paesi, in isbe ecc., in modo che po­
tessero costruire dei fortilizi per viverci. I rapporti
367
con i comandi superiori tedeschi furono piuttosto
difficili, m a il generale Messe tenne duro e noi non
patim m o perdite eccessive in quel terribile inver­
no. Nella prim avera-estate successiva, la seconda
av an zata dal bacino del D onez (Staiino), p o rtò
le truppe italiane, che intanto si erano trasform ate
da Csir in A rm ir (88 arm ata, com andante generale
Italo G ariboldi), fino alla sponda destra del non
placido Don. All’ala sinistra era schierato il corpo
d’arm ata alpino ed alla destra la divisione Celere;
più a sinistra l’A rm ata rum ena. F ortunatam ente
l’inverno 1942-1943 fu meno rigido del preceden­
te. Però vi fu la grande controffensiva russa che
circondò le truppe tedesche com andate da F rie­
drich von Paulus, riliberando S talingrado dalla
morsa (31 gennaio 1943). Successivamente fummo
attaccati sul D on. La grande offensiva russa del­
l’inverno 1942-1943, dal 20 novem bre 1942 alla
m età di febbraio 1943, consentì all’alto com ando
sovietico di isolare e battere separatam ente ben
sei arm ate avversarie: u n ’arm ata corazzata tede­
sca; la 68 arm ata m otorizzata tedesca; la 38 arm ata
rumena; l’88 arm ata italiana; la 28 arm ata unghe­
rese; la 28 arm ata m otorizzata tedesca. Il 2 feb­
braio 1943 la 68 arm ata di von Paulus fu costretta
alla resa. Ero all’Intendenza, ufficiale di Stato
maggiore. N ell’ufficio operazioni Armir, era mag­
giore di S tato m aggiore G iovanni Di L orenzo,
giunto in Russia da pochi mesi. Divenne poi fam o­
so per il “piano Solo” , fu com andante generale dei
carabinieri, del Sid, capo di Stato maggiore dell’e­
sercito. Ebbi con lui un primo gravissimo urto per­
ché, sul fronte del D on in corrispondenza dello
schieram ento delle divisioni Cosseria e Ravenna,
furono lasciate due teste di ponte in mano ai russi.
Segnalai a Di Lorenzo che era un errore colossale,
perché sarem m o stati attaccati là dove, oltre al
cam po di tiro del D on gelato, i russi avrebbero
avuto l’appoggio dai loro fortissimi sciatori sibe­
riani, ap p o stati esattam ente da quelle due teste
di ponte lasciate loro. Infatti i russi attaccarono
dove avevo previsto. Il corpo d ’arm ata alpino
non venne attaccato dai russi perché ritenuto mol­
to forte, mentre fu travolta l’arm ata rum ena che,
lento pede, tornò a casa. Poi venne sfondata la no­
stra fronte dove avevo previsto e fummo costretti
al ripiegamento. Ho visto con i miei occhi soldati
italiani aggrapparsi agli autocarri tedeschi per es­
sere trascinati o per m ontare sugli stessi. Venivano
picchiati dai tedeschi col calcio del fucile sulle m a­
368
Antonio Conti
ni, cadevano a terra e si può immaginare in quale
stato. F u questo secondo episodio, dopo quello
del tiro al piccione, che m aturò in me la sfiducia
verso la correttezza della guerra tedesca, per il
“ tradim ento” dell’alleato italiano che episodi di
quel tipo dim ostravano. Ebbi la conferm a che il
fascism o non fosse un governo idoneo e conve­
niente per l’Italia. Il com ando dell’Armir, col ge­
nerale G ariboldi ed il suo Stato maggiore, si portò
a Gomel, città in posizione molto arretrata. G ari­
boldi mi ordinò (ero ferito alla m ano destra per
una scheggia) di assumere il com ando della base
di D niepropetrovskj a circa 800 km ad ovest del
Don, dove era intatto l’ultimo ponte, sul quale po­
teva tran sitare q u an to era rim asto del nostro
schieramento dell’8* arm ata Armir. Il corpo alpi­
no da nord sarebbe poi retrocesso a K arkov com­
battendo duramente. Avevo l’autorità di dare or­
dini operativi perché l’ufficiale di Stato maggiore,
anche se ha il grado di capitano, può im partire or­
dini ed organizzai il ripiegam ento dei resti delle
nostre divisioni. Prim a di assumere tale com ando,
chiesi al generale G ariboldi che mi dicesse se rite­
neva la guerra già perduta ovvero se avevamo an­
cora speranze per il futuro: ma egli non capì la do­
m anda. Gli spiegai che se la guerra era perduta,
avrei tentato di salvare più uomini possibile, ab ­
bandonando il m ateriale: se la guerra non era per­
sa, avrei dovuto rallentare il ripiegamento per gua­
dagnare tempo e contem poraneam ente recuperare
e spedire in Italia im portanti m ateriali ed arm a­
menti ancora utilizzabili. A Dniepropetrovkj ave­
vamo grandi quantità di materiali, comprese Offi­
cine F iat, Lancia, Alfa R om eo ed inoltre grossi
quantitativi di munizioni di ogni calibro. La rispo­
sta fu: “Voi andate e regolatevi secondo le circo­
stanze” . A rrivato alla base di D niepropetrovskj
ebbi grossi contrasti con il com andante tedesco,
generale M einhold, che poi nella lotta partigiana
fu il com andante tedesco in Liguria e in Piemonte
(ho la docum entazione della sua resa incondizio­
nata ai partigiani all’atto dell’insurrezione).
D. A bbandonata l’idea di una continuazione
della difesa, ebbe corso la ritirata. Come raggiun­
gesti l’Italia? Quali incarichi ti furono assegnati?
R. Restai com andante di quella base per circa
cento giorni, fino a m età maggio 1943. I comandi
superiori erano già rientrati in Italia ed anch’io ebbi
l’ordine di rientrare. Avevo sgomberato uomini e
materiali mentre le avanguardie dell’A rm ata rossa
stavano entrando nella periferia della grande città.
Con i miei ufficiali andai ad Odessa in autocarro,
quindi in treno da Bucarest a Tarvisio. Raggiunsi
poi Trieste dove mi attendeva m ia moglie, M aria
Vittoria Borolani, che avevo sposato il 19 dicembre
1939, già alunna di Pilo Albertelli al liceo Umberto
I di Roma. D opo breve licenza, fui destinato al IV
reparto del Com ando supremo in Soriano del Cimi­
no; alla mensa veniva il capitano dei granatieri Ala­
dino Govoni, figlio del poeta Corrado. A Govoni
feci avere delle armi dal deposito di riparazioni.
Col consenso di Bauer unim m o le nostre forze a
Porta S. Paolo e alla Cecchignola. Nello Stato mag­
giore pensarono che gli ufficiali distintisi in Russia
potessero cambiare, non si sa come, le sorti di una
guerra già perduta. H a inizio la mia militanza anti­
fascista. Mi dom ando perché, partendo da Odessa
portai con me delle armi (ne è testimone il console
italiano M aurilio Coppini): m itra russo con carica­
tore a tramoggia da 36 colpi, 10 bombe a mano rus­
se, 5 pistole e munizioni di cui non ricordo il cali­
bro. Questa roba poi mi servì quando assunsi, alle
dipendenze di Riccardo Bauer e di Pilo Albertelli,
la carica di capo di Stato maggiore del Com ando
militare del P artito d ’azione. Avevo in mente che
M ussolini avesse p o rtato l’Italia a un p unto tale
che ne saremmo usciti soltanto con le armi. Quel
maledetto “ 8 settembre 1943” ! Sono stato criticato
per averlo chiamato “m aledetto” , ma per me lo fu,
perché l’8 settembre l'Italia venne tradita da tutti:
dal capo dello Stato, dal Com ando supremo, dai
com andanti di ogni livello, dai ministri. Scapparo­
no tutti, lasciando una metà dell’esercito dislocata
fuori dal paese in ambienti ostili e nei campi di la­
voro delle T odt e tutti i reparti in Italia senza ordi­
ni, senza comandanti, senza direttive: alla mercè dei
tedeschi che diedero corso alle prime carneficine. Si
può anche sostenere che F8 settembre fu benefico
perché aprì la porta alla Repubblica.
D. Quali furono, in quel mom ento, i tuoi rap ­
porti con l’esercito ed a quali conseguenze dettero
luogo?
R. Il 10 settembre ebbi dal Com ando supremo
un pezzo di carta che diceva: “ A seguito sciogli­
mento di questo Com ando supremo la S.V. è in li­
bertà a tem po in d eterm in ato ” . Ero cap itan o di
Stato maggiore ormai prossim o al grado di m ag­
giore, mi guardai atto rn o , m a non capii nulla:
ero sm arrito. M ia moglie, come ho già detto, era
stata alunna di Pilo A lbertelli. U scendo di casa
Riccardo Bauer e la Resistenza romana
lo incontram m o per caso e lui riconobbe la sua al­
lieva, che mi presentò. Albertelli mi guardò fissa­
mente e mi chiese quale attività svolgessi. Risposi
che provenivo dal C om ando suprem o e che ora
ero libero cittadino, volenteroso di fare qualche
cosa poiché l’Italia andava verso il baratro. Pilo
Albertelli mi disse, con parole sfumate, che stava
cercando di organizzare una prim a form azione
di volontari. A llora gli dissi delle armi che avevo
p o rtato dalla R ussia e che u n ’organizzazione di
uomini nuovi, audaci, onesti e ben preparati ad af­
frontare tempi durissimi, faceva proprio per me.
Così, dopo altri incontri, ci trovam m o rapidam en­
te su posizioni identiche. Come prim a cosa portai
tutta la famiglia a Massa M arittim a, dove già era­
no i miei suoceri e misi a disposizione di Pilo l’ap­
partam ento di via Tirso 47. Iniziò la m ia collaborazione col Pda.
D. M entre Albertelli si dava da fare per orga­
nizzare la prim a formazione m ilitare del Pda, dove
si trovava Bauer?
R. Bauer era a Firenze per il congresso semi­
clandestino del neonato P da (3-4-5 settem bre
1943), a cui parteciparono tra gli altri Ragghianti,
La M alfa, Codignola, Parri, Ginsburg. Venne de­
ciso2 di form are due nuclei per l’organizzazione
politica, uno centrale ed uno periferico, uno a
nord ed uno a sud, poiché era prevedibile la divi­
sione del territorio nazionale già in atto, dopo gli
sbarchi in Sicilia ed a Salerno, oltre alla incorpora­
zione (10 settembre 1943) del litorale Adriatico da
parte tedesca.
D. D unque la realtà era che tedeschi ed alleati
avevano già diviso ITtalia in due o tre parti.
R. N on solo avevano diviso l’Italia, ma dal
Brennero e da T arvisio discendevano divisioni
del Führer, che si era già im padronito, come detto,
della zona: B rennero, Bolzano, U dine, G orizia,
Trieste e Istria divenute terre tedesche con un
Gauleiter che applicava leggi tedesche. E ra il tra ­
369
dim ento di H itler verso l’Ita lia 3. G ià prim a del
25 luglio numerose divisioni tedesche erano transi­
tate dai valichi ricordati, dirette a sud, per fronteg­
giare l’avanzata alleata a seguito dello sbarco in
Sicilia del 10 luglio 1943. N on solo per questo m o­
tivo, ma anche per sostare sulla Cassia e sulla Fla­
minia a nord di Roma: pronti ad occuparla.
D. Bauer ottenne dal congresso di Firenze l’in­
carico di occuparsi del Pda nel Centro-sud. Si tro ­
vava a Firenze e doveva raggiungere Rom a. Che
cosa accadde a Rom a in quel frattem po e quando
tu entrasti in contatto con lui?
R. Nel frattem po a Rom a avevo preso contat­
to con Pilo Albertelli, con Vindice Cavaliere (pre­
sto messo fuori circolazione perché arrestato, con
la moglie, dai tedeschi il 27 novembre 1943) e con
Cencio Baldazzi. T erm inato il congresso, Bauer
prese un tren o per R om a, treno che ad O rte fu
bloccato dai tedeschi. A mio giudizio Bauer com ­
mise l’errore di restare sul treno, rinviato a Firen­
ze, mentre ad O rte poteva scendere. Qui avrebbe
raggiunto Rom a con automezzi italiani, che abi­
tualm ente davano il passaggio4. R ito rn ato a F i­
renze, Riccardo con Ragghianti, Codignola ed al­
tri si diede da fare per organizzare una rete di dife­
sa partigiana in Toscana. Circa la data precisa del
suo arrivo a R om a non c’è accordo tra diversi
autori. Credo di non sbagliarmi dicendo che Pilo
mi presentò a Riccardo il 29 settembre e nei giorni
seguenti egli fece u n ’atten ta ricognizione in via
Tirso 47: constatate le tre vie di accesso e la via
di possibile fuga, approvò che fosse la sede del co­
m ando militare del Pda. Così cominciammo l’or­
ganizzazione m ilitare, con Pilo, instancabile, e
con Cavaliere, caduto troppo presto in m ano tede­
sca. C onstatam m o che si doveva “ inventare tu t­
to ” . F ortunatam ente Cencio Baldazzi, Chierici e
Latini in città, Lorenzo D ’Agostini in zona Ariccia-Castelli R om ani, A rm ando Bussi nel settore
di ponente fino a Fiumicino, furono i primi e più
2 Un resoconto dettagliato sul congresso di Firenze è stato pubblicato da Enzo Enriques Agnoletti, II convegno di Fi­
renze (settembre 1943), in Federazione italiana associazioni partigiane, Il Partilo d ‘Azione dalle origini all’inizio della
Resistenza armata, Teramo, Edigrafital, 1985, p. 629.
3 Nel settembre 1943, subito dopo la caduta di Mussolini, passarono sotto la diretta amministrazione tedesca l’Alpenvorland (Trento, Bolzano, Belluno) e l’Adriatischeskùstenland (Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume, Lubiana), nei qua­
li vennero inviati due Gauleiter. Nella seconda area fu preposto il Gauleiter Friedrich Rainer, col titolo di commissario
supremo. Capo delle SS era Odilo Globocnik, noto seviziatore.
4 Quanto all’errore che Conti gli attribuisce, seppi da Bauer che era obbligato dalla necessità di sottrarsi ad una even­
tuale perquisizione tedesca, perché Ivan Matteo Lombardo lo aveva pregato di portare a Roma e consegnare al suo
partito, Psiup, 3 milioni in contanti.
370
Antonio Conti
attivi organizzatori delle prime squadre partigiane
cittadine. Avevamo poche armi, ma due grandi rastrellatori furono Ugo Baglivo e V ittorio Gabriel­
li, aiutati da E doardo V olterra. Le arm i furono
una m ia grossa preoccupazione per la loro custo­
dia: se qualcuno veniva ferm ato e perquisito in
strada e trovato con una qualsiasi arma, veniva fu­
cilato sul posto. Fortunatam ente trovam m o quat­
tro “ depositi clandestini” dove potevano essere
accantonate e prelevate le armi, anche con l’aiuto
di ufficiali e sottufficiali della G uardia di finanza.
Incontrai, per caso, il capitano A ladino Govoni,
conosciuto al C om ando suprem o, col quale ero
entrato in confidenza in occasione di una sua lun­
ga visita negli uffici del IV reparto. Mi parlò del
suo bisogno di materiali bellici per l’organizzazio­
ne che capeggiava, denom inata Bandiera rossa.
N e riparlam m o molto attentam ente in una secon­
da occasione.
D. Che cosa è questa formazione Bandiera ros­
sa di cui tu parli?
R. Bandiera rossa era una formazione militare
voluta dal giornalista Enzio M alatesta, poi truci­
dato dai nazisti a F orte Bravetta, redattore capo
del “ G iornale d ’Ita lia ” , assieme al capitano dei
granatieri Govoni, figlio del noto poeta, che, come
ho detto, era venuto a trovarm i al Com ando su­
premo e mi aveva confidato i suoi ideali patriotti­
ci. Avevano bisogno di armi e mi chiese se avessi la
possibilità di fornirgliele. Bandiera rossa non ave­
va fini politici e, per statuto, era una formazione
apartitica, apolitica, costituita per la difesa di R o­
ma, orm ai prevedibile a breve tem po; si sarebbe
sciolta il giorno dopo la liberazione della città.
Perché B andiera rossa? Perché, quando la nave
sta per affondare, si alza la bandiera rossa, come
la si alza negli stabilimenti balneari, quando il m a­
re è grosso e rappresenta un pericolo. Questo no­
me diede enorm e fastidio ai com unisti, che non
ne vollero mai sentir parlare.
D. I rapporti con voi del Pda quali furono?
R. I rapporti con noi furono ottimi, per merito
di Govoni e di M alatesta, i quali venivano spesso a
trovarm i in via Tirso 47. Pilo ne era inform ato, an­
che Riccardo, che mi disse: “Abbiam o bisogno an ­
che del diavolo, se si batte con noi” . Nello statuto
di Bandiera rossa vi sono principi bellissimi: il pri­
5
mo stabilisce che chi partecipa alla formazione de­
ve sapere che essa sarà sciolta dopo la liberazione
di R om a (e così avvenne); il secondo im pone ai
co m b atten ti di Bandiera ro ssa sopravvissuti di
non chiedere nessuna onorificenza al valore né pri­
vilegi, in quanto cittadinicom battenti per la patria
e per la loro città.
D. Bandiera rossa non dipendeva da nessuno
partito. Quali azioni ha com piuto in quel periodo,
che si possono senz’altro attribuire ad essa?
R. Essa ha avuto le massime perdite nella dife­
sa di Roma. Com battè con popolani, donne e uo­
mini di quartiere, militari sbandati, partigiani che
ne avevano condiviso gli scopi. La figura più nota
è il capitano Raffaele Persichetti, del 1° granatieri.
Le azioni principali furono al m attatoio, a p o rta S.
Paolo, sulla via Appia, in posizioni molto avanza­
te e dove ebbero a fianco i nostri con Lussu, G a­
brielli, Com andini e Cencio. T ra i com ponenti di
Bandiera rossa, 22 furono presi dai tedeschi, rin­
chiusi a forte B ravetta e fucilati. Il 2 maggio
1944 fu preso l’anziano eroico operaio di T or Pignattara Tigrino Sabatini, che scrisse su un pezzo
di carta: “ N o n dim enticate perché siamo m orti,
non sfruttate la nostra m orte” . Complessivamente
i caduti in com battim ento di Bandiera rossa tra il
9 settembre 1943 ed il 5 giugno 1944, tenuto conto
che molti dei nostri si unirono a loro, fuorno 128,
tra uomini e donne: molti di estrazione popolare. I
deportati in G ermania furono più di 220. Al capi­
tano Govoni ed al giornalista M alatesta sono inte­
state due strade di Rom a, così come al capitano
Persichetti: tutti e tre sono stati decorati con m e­
daglia d ’oro al valor militare per decisione del Cln.
D. Nelle sue memorie Bauer parla dell’im pre­
videnza dei com andi badogliani e cita un tuo in­
contro con loro. Puoi dirci qualcosa di più?
R. Ricevetti ordine da La M alfa d’incontrare i
rap p resen tan ti dei badogliani. Mi accom pagnò
E doardo Volterra. Bauer nelle sue memorie5 attri­
buisce questo episodio solo a me; invece, ero con
Volterra: prassi normale per simili missioni l’esse­
re sempre in due. L’appuntam ento era fissato all’H otel G enio, di fronte al palazzo di G iustizia.
Suggerii a V olterra di recarci arm ati di pistola e
di trovarci sul posto mezz’ora prim a dell’appunta­
mento (che era per le ore 11, se non sbaglio), poi-
Riccardo Bauer, Quello che ho fatto. Trent’anni di lotti e di ricordi, Roma-Bari, Laterza, 1987.
Riccardo Bauer e la Resistenza romana
ché non avevo fiducia in riunioni tenute in alber­
ghi. G iram m o in zona, io in un senso e lui nell’al­
tro, per studiare la situazione, non volendo fare la
fine del piccione. Visto che, apparentem ente, era
tutto regolare, entram m o; appena entrati, un in­
serviente, con giacca a righe gialle e rosse, che pu­
liva l’androne, ci guardò e disse: “Al terzo piano,
stanza n . ...” . Questo mi meravigliò molto e dissi a
Edoardo che avevo voglia di andarmene. Però era
im portante tra tta re l’unione delle nostre forze e
concordare un piano operativo com une nell’even­
tualità che i tedeschi, nella inevitabile ritirata dopo
lo sbarco alleato in Anzio, resistessero in città; ov­
vero per attaccarne le retroguardie sulle vie conso­
lari. Salimmo al terzo piano a piedi, senza utilizza­
re l’ascensore per evitare una trappola. Entram m o
nella stanza indicata, dove erano il generale R o­
berto Bencivenga, zoppicante, il generale Quirino
Arm ellini ed il m aggiore G iovanni Di Lorenzo,
quello stesso della divergenza di opinioni operati­
ve in Russia. A ppena mi vide, esclamò: “Ah, Con­
ti, ci ritroviam o dopo rincontro sul D on” . Ed io:
“ Se la situazione è come quella, litigherem o di
nuovo” . Compresi i loro aiutanti, erano sei perso­
ne. Arm ellini disse di com inciare ed io chiesi se
erano state controllate le stanze attigue. Loro assi­
curarono che ci trovavam o in un albergo sicuro,
poiché “ è dei n o stri” . Che fosse “ dei n o stri” o
“dei vostri” , suggerii ad Edoardo di andare a con­
trollare la stanza di destra, m entre io andavo in
quella di sinistra, pistole col colpo in canna a por­
tata di mano. Con stupore E doardo trovò un tizio
che leggeva il giornale tenendolo alla rovescia e
che aveva una faccia poco rassicurante. L ’apostro­
fò per sapere se era un cliente dell’albergo; l’altro
rispose che non lo era e che stava soltanto leggen­
do il giornale. Edoardo, pistola in m ano, gli indicò
la via dell’uscita e quello filò. Chiudemmo le porte
portando via le chiavi. R ientrati per la riunione,
invitai ad essere brevi perché il collega aveva già
trovato qualcosa di sospetto nella stanza di destra.
Di rimando mi chiesero perché noi del Pda avessi­
mo chiesto la riunione. Risposi che non avevamo
forze ed arm am enti sufficienti per contrastare i te­
deschi in ritirata, neanche unendoci ai comunisti.
“I quali sono vostri am ici” , mi interruppero. Ri­
battei che erano nostri amici soltanto quando si
doveva com battere l’invasore tedesco. Chiedeva­
mo la collaborazione e l’unione delle forze, nel ca­
so che i nazisti decidessero la resistenza in città op­
371
pure l’attraversassero ed allora fosse logico aggre­
dirne le retroguardie. C om unicai che avevam o
piani, già preparati nei particolari, che prevedeva­
no l’attacco alle retroguardie in ritirata oltre le pe­
riferie di Rom a. Mi rispose so ltan to il generale
Bencivenga: “ Gli ordini precisi di Badoglio sono
di non sparare un solo colpo dentro o nei dintorni
di R om a” . Conclusi che allora non v’era più nien­
te da discutere. Augurai a tutti buona fortuna e ce
ne andam m o. Questo, nei particolari, fu il contat­
to con i badogliani, che disponevano di maggior
arm am ento di tu tte le form azioni rom ane messe
insieme.
D. A proposito di form azioni, vuoi dirmi ora
quali e quante erano le formazioni del Pda e quali
azioni svolsero?
R. Il C om itato militare del Pda si costituì gros­
so modo nel settembre del 1943, subito dopo la fu­
ga del re, favorito da Ugo La M alfa e Stefano Siglienti, a cui diedero una mano Edoardo Volterra
e Aldo Garosci. Bauer non ebbe come capo di Sta­
to maggiore Vindice Cavaliere, perché arrestato il
17 novembre. Capo di Stato maggiore divenne Pi­
lo Albertelli, m a dopo il suo arresto Bauer “ mi”
ereditò. Il Com ando militare del Pda aveva come
segretario Lorenzo D ’Agostini. La città era divisa
in tre zone che facevano capo tutte al Com ando
militare di via Tirso 47. Il tu tto era costituito da
G ap. U no com an d ato da Cencio Baldazzi, uno
da M ario Chierici, uno da Angelo Latini (quello
com andato da A rm ando Bussi, dopo l’arresto di
questi, si fuse con gli altri tre). Dai q u attro G ap
principali dipendevano inoltre cinque sotto zone.
È difficile dire quante fossero le formazioni e come
agissero: era un principio della guerriglia non ac­
centrare, ma decentrare. La prim a formazione in­
titolata a “Giustizia e L ibertà” era com andata da
Cencio Baldazzi, leggendaria figura degli arditi del
popolo che aveva organizzato le sue forze al Q uar­
tiere Trionfale, al Testaccio e a Trastevere, dove
aveva operato Vittorio Gabrielli. Sui Colli Albani
operava Lorenzo D ’Agostini; nel Basso Lazio A r­
m ando Bussi, trucidato poi alle Fosse Ardeatine.
Gli scontri più duri al com ando di Cencio avven­
nero nei pressi della Piramide e al M attatoio; qui
parteciparono anche i gruppi organizzati sotto il
nom e di Bandiera rossa. A queste operazioni di
Baldazzi parteciparono con grande valore Carlo
M uscetta, M ario Chierici e Federico Comandini.
Su suggerimento e con la partecipazione di D ’A ­
372
Antonio Conti
gostini furono organizzati i G ap di Ariccia, Nemi,
G enzano e contem poraneam ente, suggerite da Albertelli, operazioni con arm i ed esplosivi contro
convogli ferroviari tedeschi sulla linea Roma-Colleferro-Frosinone-C assino. In fa tti fu scelto un
viadotto tra Valm ontone e Colleferro per il primo
attacco avvenuto il 10 dicembre 1943. Furono di­
velti i binari e un treno deragliò, m a al secondo
convoglio i tedeschi reagirono col fuoco, cui rispo­
sero le forze Gap.
Al com ando di via Tirso fecero capo, in tempi e
per motivi diversi. Pilo Albertelli, Giorgio Amen­
dola, E rnesto A rgenziano, Ugo Baglivo, Cencio
Baldazzi, Luigi Bianchi d ’Espinosa, G uido Bonnet, Giuseppe Bruno, Franco Bugliari, A rm ando
Bussi, G uido Calogero, Federico e Laura Comandini, Guido De Ruggiero, Cono Di Lena, France­
sco Fancello, Emma Lano, Vittorio Foa, N atalia
G inzburg, V ittorio Gabrielli, A lberto G iordano,
U go La M alfa, C arlo Levi, Emilio Lussu, Aldo
G arosci, A ngelo M aconio, C arlo Pirzio Biroli,
O ronzo Reale, M anlio Rossi D oria, Stefano Siglienti, Altiero Spinelli, Bruno Visentini, Edoardo
V olterra e molti altri. Posso aver omesso qualche
nome e chiedo scusa. La tipografia del giornale
clandestino del Pda, già al 30 ottobre 1943, aveva
fatto uscire 12 num eri, con la dichiarazione che
nessun’altra possibilità rimaneva alle forze milita­
ri dell’opposizione se non la lotta arm ata. In via
Basento 55, a pochi passi da via Tirso 47, venne
catturato Leone Ginzburg, collaboratore di G iu­
stizia e Libertà e di “ Italia L ibera” e trasportato
m orente il 5 febbraio 1944 nel carcere di Regina
Coeli. La ricerca più difficile fu quella dei depositi
delle armi e in un primo momento fu ritenuta sicu­
ra l’abitazione vuota dei suoceri di Albertelli, dove
ebbe sede il covo Com ando, anche questo, come il
covo di via Tirso, molto ben protetto da tre accessi
indipendenti, e che fu presidiato da m ilitari della
G uardia di finanza com andata dal generale Filip­
po Crimi tram ite il capitano Argenziano, che collaborò con Bauer in modo particolare. A Bauer,
noto alla polizia fascista e a quella hitleriana, il
Com ando centrale impose estrem a prudenza, tra
l’altro il divieto di dorm ire due volte consecutive
nello stesso luogo. Fu in quell’epoca che Bauer eb­
be l’idea di spargere chiodi a quattro punte sulle
principali vie consolari, causando gravi danni ai
mezzi gommati tedeschi. Il fabbro, cui era affidato
l’incarico di fare i chiodi, era Enrico Lerola, con
officina in via Trastevere; chiodi che poi furono
utilizzati dalle altre forze partigiane romane. D o­
po la cattura avvenuta il Io marzo 1944 e malgrado
i tentativi di Bauer di sottrarlo alle torture da p ar­
te delle SS, Albertelli fu fucilato alle Fosse Ardeatine. Si scoprì nel frattem po che c’era qualcuno vi­
cino al Com ando militare del Pda che aveva tradi­
to. Si trattav a di uno spione che fece arrestare in
casa loro A rm ando Bussi e, il 4 marzo, Ugo Bagli­
vo. Intanto da Furio Lauri, insieme al tenente Fe­
derico De Pan, venne installata una stazione radio
R-19, sintonizzata su una corrispondente stazione
inglese. Si riuscì così a stabilire il prim o contatto
con la Special Force n. 1 britannica, con cui suc­
cessivamente l’organizzazione Ori collaborò per
il lancio di partigiani al N ord. Nel settem bre del
1943, su ordine del feldmaresciallo Albert Kesselring, le SS si im padronirono del tesoro aureo della
Banca d ’Italia; inoltre la Repubblica sociale italia­
na pagava un forte contributo mensile a H itler per
le spese m ilitari in Italia. Le ideologie predom i­
nanti all’interno del C om ando m ilitare del Pda
erano nettam ente di sinistra e antim onarchiche e
m algrado le difficoltà operative di coordinam en­
to, la lotta delle nostre formazioni continuò senza
sosta sino alla liberazione di Rom a, tanto che, rie­
vocando quel periodo l’avvocato Franco Bugliari
si dom anda come abbia potuto “ un esercito popo­
lare, senza uniform e, senza mezzi logistici e con
poche arm i” , tener testa alle preponderanti forze
tedesche ed egli attribuisce questa capacità alla ri­
sorta tradizione e vocazione garibaldina e risorgi­
mentale. Il coordinam ento com unque avveniva at­
traverso il Cln, com posto da Bauer, A m endola,
Pertini, Spataro e Cevolotto, che consentiva di te­
nere sotto accorta sorveglianza i ben noti luoghi di
to rtu ra di via Tasso, di via Principe Amedeo, della
pensione Jaccarino e del III del IV e del VI, brac­
cio di Regina Coeli e che sfociò dopo la liberazio­
ne di Rom a nell’arresto e nella condanna a m orte
del questore Pietro Caruso e nell’arresto e nel lin­
ciaggio del direttore del carcere di Regina Coeli,
C arretta. M algrado ciò Pietro K och continuò le
torture a F orte Bravetta (che poi si susseguirono
in tu tte le città fino alla R isiera di San Sabba:
via Rovello e Villa Triste a M ilano, Palazzo Giusti
a Padova, Casa dello Studente a Genova e ancora
Villa Triste a Trieste) e in tu tto questo orrore di
caccia spietata perse la vita anche don Giuseppe
M orosini, fucilato a F o rte B ravetta il 3 aprile
Riccardo Bauer e la Resistenza romana
1944. N ella lista fo rn ita dal questore C aruso a
H erbert K appler dopo l’atten tato di via Rasella,
vengono aggiunti cinquantacinque nomi da fucila­
re alle Fosse Ardeatine. Bauer dette ordine a M a­
rio Chierici di contrastare qualsiasi avanzata tede­
sca nella zona di M adonna del riposo, m entre i
gruppi leggeri di Lorenzo D ’Agostini avrebbero
protetto il fianco sinistro tra Casal M orena e T or­
renova. Q uella notte, tra F l l e il 12 settem bre
1943, ebbe luogo con grande spargim ento di san­
gue la lotta popolare per la difesa di Roma. Il C o­
m ando militare del Pda emanò una direttiva fon­
dam entale della lotta clandestina classica: m ordi,
fuggi, spostati. Bauer si oppose a che le formazioni
del Pda cittadine e regionali fossero collegate con
le forze badogliane e pose come condizione all’ese­
cutivo del Pda che, ove non fosse accolta la sua
proposta, avrebbe ritirato il m andato proponendo
assoluta autonom ia operativa. La proposta venne
approvata e fu poi appoggiata da Giorgio A men­
dola e Pertini, costituendo un tu tt’uno tra le forze
gielliste e le brigate garibaldine del Pei. Fu l’occa­
sione per il C om ando militare del Pda di prendere
contatti più stretti con le forze comuniste, che collaborarono sempre con grande lealtà ed intelligen­
za. N on vanno sottaciute le collaborazioni offerte
da G iorgio C andeloro e da Leone G inzburg.
Q uando si dice che la guerra partigiana in Italia
si distinse da tutte le altre com battute in E uropa
si dice il vero, ma non si aggiunge che non aveva
un condottiero come De G aulle; il nostro m ovi­
mento popolare fu spontaneo e fu guidato da Fer­
ruccio Parri e da Riccardo Bauer. In questo spirito
dal covo di via Tirso partirono ordini per mettere
in atto episodi dim ostrativi come l’esplosione di
una bom ba in una caserma della Milizia o quella,
ben più potente, alla Stazione tiburtina. Ormai gli
alleati erano vicini e da Aldo Garosci, paracaduta­
to alla periferia di Rom a prim a dell’arrivo della V
A rm ata Usa, com andata dal generale M ark Wayne C lark, si concretò l’idea di un distaccam ento
operativo per l’invio di missioni al N ord. La città
di Rom a fu divisa in zone e ad ognuno dei com an­
danti G ap vennero em anate precise disposizioni e
fornite armi. Per le zone IV, V e VI furono p ro ­
mulgate disposizioni segretissime, in cui si diceva
che solo i capi zona potevano prenderne visione
e che dovevano essere bruciate im m ediatam ente
o ingoiate “ se in pericolo” . Nelle disposizioni era
fatto divieto di agire entro la cerchia urbana a me­
373
no di essere attaccati; bisognava difendere ad ol­
tranza ponti e viadotti senza mai affrontare il ne­
mico vis à vis; non abbandonarsi mai a fuga preci­
pitosa a meno di essere circondati; le armi e le m u­
nizioni erano sufficienti per tre, quattro attacchi a
fuoco continuo; se la lotta si svolgeva corpo a cor­
po, usare coltelli, pugnali e bombe a mano annien­
tando il nemico senza pietà. La disciplina doveva
essere ferrea. Si doveva procedere all’arresto di
chi fosse sorpreso a rubare o compiere atti di vio­
lenza. Sia che il colpevole fosse dell’arm ata di libe­
razione o che appartenesse alle fila del nemico, do­
veva essere, com unque, passato per le armi sul po­
sto; ogni azione bellica doveva essere preventiva­
mente com unicata alla popolazione a mezzo m ani­
festi o con megafoni per ottenere l’aiuto di essa e
se qualcuno si fosse opposto sarebbe stato denun­
ciato ed arrestato. La zona assegnata al Pda era la
più im portante di Roma, perché la prima ad essere
investita dalle truppe tedesche in ritirata. Con un
successivo docum ento si prendeva in esame il
com portam ento dei tedeschi in caso di ritirata e
si consigliava alle organizzazioni di ricorrere a
cam pane, fischietti, alto p arlan ti o segnali ottici,
senza usare mai sirene d’allarme aereo; inoltre si
potevano affiggere manifesti e lanciare volantini
con scritte propagandistiche in tedesco, per invita­
re il nemico in ritirata a disertare o a nascondersi
nelle case; d u ran te la ritirata nazista si doveva
cam biare la direzione dei cartelli indicatori della
viabilità per disorientare il nemico. Tutti i tedeschi
isolati ed i piccoli reparti dovevano essere circon­
dati e disarmati; bisognava proteggere le porte ro­
mane con automezzi minati, a loro volta difesi con
arm i autom atiche per impedirne la rimozione; si
dovevano cospargere di chiodi le grandi strade di
ritirata e difendere le opere d ’arte. I tecnici per il
disinnesco delle mine o dei campi minati dovevano
vigilare a che non fossero presidiati da sentinelle;
appena term inata l’operazione dovevano correre
a rinforzare altri com pagni com battenti. Questi
gli obiettivi immediati in caso di ritirata delle trup­
pe tedesche. Dovevano com unque essere protetti
la stazione Termini, l’arco di Santa Bibbiana, l’ar­
co di San Lorenzo e il suo scalo e bisognava agire
con violenza sugli alberghi di via C avour e via
G ioberti; in particolare si segnalava la difesa di
p o rta San G iovanni, di p o rta Santa Croce e di
porta M aggiore, il ponte del cavalcavia della fer­
rovia in via T usculano e il deposito dei tram in
374
Antonio Conti
piazza Ragusa; porta V etronia doveva essere sbar­
rata con tram , cosi come il ponte San Sebastiano,
il ponte Latina, il ponte di via Prenestina, il ponte
di via del Pineto e il ponte di via del M andrione.
V enivano inoltre date altre disposizioni sull’op­
portunità di azioni veloci e silenziose. Ai partigia­
ni, facenti parte delle organizzazioni G iustizia e
Libertà, vennero concesse 21 medaglie d’oro al va­
lor militare; tra essi Pilo Albertelli, A rm ando Bus­
si, Corderò Lanza di Montezemolo, don Giuseppe
M orosini, Raffaele Persichetti ed altri. Alle Fosse
A rdeatine caddero m olti del Pda e altri ancora
m orirono nell’eccidio della S to rta il 4 giugno
1944 tra cui Bruno; altri ancora vennero trucidati
a F orte Bravetta, tra cui gli appartenenti a Bandie­
ra Rossa6, con Enzio M alatesta. Voglio però fare
la storia delle perdite che abbiam o avuto nella di­
fesa di Rom a, soprattutto nel massacro delle Fos­
se A rdeatine dove abbiam o perso Pilo Albertelli,
Ugo Baglivo, A rm ando Bussi, Aldo Eluisi, Enrico
Ferola, Gioacchino Gesmundo, Aladino Govoni,
Ferdinando N orm a, Vincenzo Saccotelli, Alessan­
dro S arfatti. A ltri furono ca ttu rati dalla banda
K och e dalle SS e rid o tti ad am m assi di carne.
Ed in precedenza era m orto a Regina Coeli sotto
tortura Leone Ginzburg, che non si può dimenti­
care. Devo mettere in luce che, per merito di Ric­
cardo, avemmo sempre la sicurezza di un appog­
gio da parte della G uardia di finanza nelle persone
del generale Filippo Crimi, del capitano Ernesto
A rgenziano, del tenente A ugusto De L aurentis,
del tenente Angelo M aconio ed di alcuni sottuffi­
ciali dei quali non ricordo il nome. Particolarm en­
te efficace è stata l’attività di Angelo M aconio, og­
gi alto m agistrato in pensione.
D. D opo la difesa di R om a a porta S. Paolo,
Emilio Lussu ebbe ancora incarichi di carattere
militare?
R. R apporti m ilitari operativi con Lussu non
ne avemmo. Io conosco quelli con Aldo Garosci,
che era nel Com itato militare e veniva in via Tirso;
Lussu è venuto due o tre volte di sfuggita, m a è
stato molto vicino a me quando scrivevo su “ L’I­
talia Libera” . Lussu partecipava alle riunioni po­
litiche, alle quali io non partecipavo, così come
non partecipavo a quelle del C om itato m ilitare
del Cln e a quelle della direzione del partito; cosi
6 Per maggiori
ragguagli cfr. A. Conti,
M is s io n e B ig e lo w ,
anche D ’A gostini. C ’era u na n etta divisione di
competenze tra direzione politica e direzione mili­
tare: Riccardo Bauer era il grande coordinatore.
Vorrei sottolineare i rapporti tra Bauer e gli allea­
ti, dopo la liberazione di Rom a, sempre tenuti con
estrema dignità: Bauer è stato m aestro di dignità
oltre che grande educatore nelle situazioni più dif­
ficili, cui mi riferirò ora. Fum m o avvisati dal con­
troam m iraglio G erard H oldsw orth (com andante
della N . 1 Special Force) nell’au tunno del 1944,
che era a Rom a una delegazione del governo om ­
bra inglese. N on com prendeva Attlee, ma era una
delegazione ad alto livello che desiderava incon­
trare uomini qualificati del Pda. Il com itato politi­
co dette disposizioni perché all’incontro parteci­
passe B auer accom pagnato d a A ntonio C onti,
per non dare un accento politico all’incontro.
N oi non sapevam o con esattezza quali fossero i
rapporti tra governo om bra e governo ufficiale in­
glese. La riunione si svolse al G rand Hotel di via
delle Terme, oggi via V ittorio Emanuele O rlando.
N o tai subito l’assenza di H oldsw orth e dissi tra
me che ciò era strano. Gli inglesi si m ostrarono
estremamente misurati e chiesero cosa fosse, come
fosse nato e cosa volesse il Pda, che coagulava i
migliori cervelli della cultura italiana antifascista,
che, p u r essendo neonato, operava al N ord con i
loro ufficiali ed al quale l’esercito inglese forniva
armi ed equipaggiamenti di ogni sorta.
D. Allora hanno ragione i comunisti a dire che
il Pda aveva i maggiori aiuti dagli alleati?
R. Questo non sta a me dirlo. Oggi vi sono do­
cumenti storici a disposizione di chiunque. I miei
rapporti con la N. 1 Special Force furono ottim i
proprio perché essa aveva co nstatato che le m is­
sioni da noi proposte erano tra le migliori. U na
dom an d a insidiosa venne p o sta da un m em bro
della delegazione inglese sui nostri rapporti con i
com unisti, al m om ento della vittoria. B auer fu
prontissimo ed acuto nel rispondere. Ritengo che
Bauer, come uom o politico, fosse dotato di una lu­
cidità e di una prontezza di riflessi eccezionali e
fosse stato il cervello più organizzato, tra tu tti i
grandi uomini ed i grandi intellettuali che aderiro­
no o fecero finta di aderire al Pda. Bauer fu abilis­
simo. Iniziò col dire che desiderava chiarire subito
la questione dei rapporti con i comunisti: “ Noi ab ­
cit.
Riccardo Bauer e la Resistenza romana
biamo un nemico che è nemico nostro come vo­
stro: i tedeschi. Voi li com battete, frontalm ente,
linea contro linea; noi li affrontiam o nelle condi­
zioni peggiori, p aracad u tan d o i nostri m igliori
elementi — generalmente con i vostri ufficiali —
dietro le linee del G ruppo Arm ate C, com andato
da Albert Kesselring, che vi ha quasi ributtato a
mare, sia a Salerno sia ad Anzio. Noi riteniam o
che il nemico debba essere com battuto uniti, qua­
le che sia il berretto che portiam o in testa. N on
facciamo distinzione di colori politici e, se fossero
con noi dei sacerdoti, noi saremmo felicissimi di
vederli con un m itra in m ano schierati accanto a
noi. Questo è il primo punto sul quale non transi­
giamo. Secondo punto: circa la nostra fedeltà, ba­
sti ricordare Mazzini e tutti gli uomini del Risor­
gimento che in Inghilterra hanno trovato ospitali­
tà e che l’Inghilterra ha sostenuto ed aiutato nelle
loro battaglie. Se noi abbiam o un rim brotto da
farvi è quello che non ci rifornite a sufficienza!” .
R isata generale! L ’intervento di B auer cam biò
l’atmosfera e si iniziò a parlare di azioni militari
con vari ammiccamenti di approvazione. Fu fatto
entrare H oldsw orth e gli fu subito ceduta la paro­
la, chiedendogli di esprim ere il suo parere sulla
collaborazione, con la Ori, sezione A ntonio, e
con la direzione del Pda. L’am miraglio disse che
era soddisfatto così come lo erano i suoi ufficiali
e che la collaborazione non aveva m ostrato alcu­
na incrinatura. I ragazzi del Pda erano stati adde­
strati dai loro servizi, finora con ottim i risultati.
Aggiunse: “ D irò di più. H anno, e non capisco co­
me l’abbiano messa in piedi, una organizzazione
per la dotazione a chi partiva di docum enti perso­
nali falsi, talmente perfetta che ci fa invidia; sicché
noi, quando necessario, ricorriam o a loro” . Altra
risata generale, ed uno della delegazione inglese
disse: “ M a questo depone a suo sfavore!” . L’in­
contro si concluse con le solite barzellette e chiac­
chiere varie e venne servito un drink per brindare
alla comune vittoria.
D. A tuo parere la delegazione del governo
ombra inglese perché venne in Italia? Quali i m o­
tivi che l’avevano portata a Roma? Per controllare
cosa?
R. Secondo me il primo motivo è che, in Inghil­
terra, fece im pressione il fam oso detto “ il vento
375
del n o rd ” , proclam ato da Pietro Nenni. Tem eva­
no che, alla fine della guerra, i partigiani di ogni
colore potessero rivolgere le armi fornite da loro
contro gli stessi alleati, in una rivoluzione solleci­
tata da Togliatti e dai russi. La seconda ragione,
sempre a mio giudizio, è che fossero privi di esatte
informazioni sul Pda. Il nostro Alberto Tarchiani
era stato in America per tanti anni esule, m a non
in Inghilterra. M ax Salvadori, sebbene ufficiale in­
glese, era di famiglia italiana e non era facile stabi­
lire se fosse più inglese o più italiano, cosi come
non è possibile dire se fu più intellettuale e scritto­
re ovvero uomo d ’azione e com battente indomito.
D. La politica di Churchill, da quanto tu dici,
non era facilmente digeribile neanche in G ran Bre­
tagna da parte laburista. Churchill fece sempre op­
posizione ai partigiani italiani. P ertan to tu non
pensi che la delegazione inglese venuta in Italia
per “ annusare” avesse l’incarico di controllare la
politica del primo ministro?
R. Può essere benissimo. Proprio in quei giorni
Churchill aveva ricevuto Tito a Napoli, m ostran­
dosi favorevole ad intese con i partigiani iugoslavi,
nei confronti dei quali aveva m olta considerazio­
ne. N on nascose la sua ostilità alla strategia ame­
ricana di puntare su Berlino col massimo delle for­
ze e, per questo, di far sbarcare in Provenza la 1arm ata U sa del generale A lexander M cCarell
Patch sottraendo ad A lexander dieci divisioni e
le forze aeronavali. S barcata il 15 agosto 1944 a
est di M arsiglia, la 7S in meno di 30 giorni prese
contatto con la 33 arm ata di P atton, dando sicu­
rezza al fianco destro di Eisenhower (fu questa l’o­
perazione chiam ata in codice A nvil-Dragoon). Si
tra tta del problem a strategico che ci porterebbe
a discutere il famoso “ proclam a A lexander” , del
quale parla anche Bauer nelle sue memorie. Io so­
no in grado di dimostrare, con documenti storica­
mente indiscutibili, che quello fu un ordine giusto.
Infatti, come ho testé detto, alle due arm ate di Ale­
xander in Italia erano state sottratte dieci divisioni
e quasi tutte le forze aeronavali, per costituire l’ar­
m ata di Patch. Anche R oberto Battaglia, amico
carissimo, cade in errore nel suo poderoso volume,
poiché molti documenti sono venuti alla luce dopo
la sua m orte, oppure perché ebbe una visione di­
storta dei fatti7.
Roberto Battaglia, Storia della Resistenza (8 settembre 1943-25 aprile 1 9 4 5 Torino, Einaudi, 1953.
376
Antonio Conti
D. Ti chiedo ancora una cosa: hai fatto cenno
alla Ori. Io ne ho sentito parlare, per la prim a vol­
ta, da C raveri, genero di Croce. Puoi precisare
quante furono le Ori e cosa fecero?
R. Ori significa: Organizzazione resistenza ita­
liana, nom e suggerito da B enedetto Croce. Le
truppe alleate in Italia furono di due schiatte di­
verse, anche nel delicato servizio di “ intelligen­
ce” : una americana e l’altra inglese. Quella ame­
ricana era com andata dal generale D onovan, un
tipo impulsivo, brillantissimo, che voleva sempre
vincere. Raim ondo Craveri, coniugato con Elena
Croce, è stato insigne antifascista. Parlava benis­
simo l’angloamericano e fu avvicinato subito da­
gli statunitensi che gli offrirono di essere a capo
della Ori legata alla Oss [Office of strategie Servi­
ces], Gli inglesi erano l’altra schiatta: Ori, collega­
ta con N. 1 Special Force, che era una branca del­
lo Special operation executive (Soe), organizzato
e com andato dal generale Colin G ubbins, che
perse l’unico figlio nella battaglia di Anzio. Tutti
sappiam o che gli inglesi, per loro m entalità, non
concepiscono i servizi di spionaggio, perché non
sono né signorili né leali. Tuttavia hanno organiz­
zazioni formidabili, tra le quali il Soe, che costituì
le Special Forces in vari paesi; dalla N. 1 Special
Force è nata la collaborazione con la Ori sezione
Antonio. Bauer teneva le due fila: quella di C ra­
veri e quella di A ntonio, perché la direzione poli­
tica del Pda voleva evitare che le due organizza­
zioni fossero concorrenti. Esisteva una differenza
notevole in fase operativa: gli americani inviava­
no a N ord missioni composte da 10-12 elementi,
che rifornivano con le loro ampie disponibilità;
gli inglesi arrivavano a 3-4 elementi, di cui sempre
uno almeno inglese. La missione Bigelow, che
dà il titolo al mio libro, fu l’unica missione com ­
posta da tre italiani8. Il com andante Holdsworth
mi disse confidenzialmente: “ Gli americani hanno
abbondanza di materiali, direi quasi esuberanza;
noi dobbiam o pensare ai partigiani italiani a
quelli iugoslavi: Churchill guai a toccarglieli;
dobbiam o anche pensare a Varsavia, perché sia­
mo stati noi dall’Italia ad inviare il maggior nu­
mero di aiuti, molto più di quanto inviato dall’In­
ghilterra. H o avuto un co n tatto con D onovan e
gli ho chiesto dei materiali. Sa che mi ha risposto
D onovan? — Se il mio presidente sapesse che ho
dato agli inglesi anche una sola confezione, non
farei più carriera. Mi dispiace, m a da me non
avrete niente — ” . Si ebbe un periodo di crisi;
quando H oldsw orth chiamò me e Bauer per dirci
che, dopo gli sforzi che aveva fatto, avendogli il
C om ando supremo alleato (Afhq) tagliato i fondi
in denaro, non era più in condizioni di aiutarci:
non aveva più un bilancio! Bauer saltò su tutte
le furie e si arrivò quasi alla ro ttu ra, pur espri­
mendo ambedue rincrescimento per questa situa­
zione. Il taglio dei fondi fu sicuramente opera di
Churchill.
D. Sai se Churchill mise il veto a che Bauer rag­
giungesse il Nord?
R. Io portai Riccardo a M ilano e si fece tappa
a Bologna e si dormì a casa di Franco Borsari, un
caro collega vivente che può testimoniarlo. Questo
perché non vollero dargli i mezzi per arrivare al
N ord.
D. E non è tutto. Poi fu po rtato il 26 aprile da
De H ahn, in deroga agli ordini ricevuti, in jeep,
co rren d o sulle traversine delle linee ferroviarie
per guadagnare tem po9. Il veto di Churchill tenne
lontano Bauer e le sue organizzazioni Ori dall’in­
surrezione al N ord, disposizione concordata an ­
che per iscritto con l’am m iraglio H oldsw orth.
Churchill tenne lontano Bauer dalla G ran Breta­
gna anche dopo la guerra.
R. Poiché si era arrivati quasi alla ro ttu ra nel
colloquio con H oldsw orth, io m olto em ozionato
dissi: “Avete esplorato se c’è una via di com pro­
messo che eviti questa dolorosa elisione? I ragaz­
zi arruolati sono al N ord con ufficiali inglesi ed
io cosa dirò loro?” . A llora ram m iraglio suggerì
di parlarne con Bonomi per ottenere uno stanzia­
m ento di fondi, considerando che si tra tta v a di
A. Conti, Missione Bigelow, cit.
9 “Mentre stavo organizzando il mio trasferimento, gli avvenimenti precipitarono e il 25 aprile Milano fu libera, mentre
10 il 26, accompagnato dal colonnello De Hahn, partivo in macchina da Roma ed in una volata non priva di incidenti e
di ruzzoloni sulla strada sconvolta (facemmo dei tratti tra Firenze e Bologna correndo sulle traversine della ferrovia
dove le rotaie erano state divelte) giungevo la sera nella città lombarda col mio accompagnatore, che aveva voluto,
con quel viaggio per lui abusivo, dimostrare verso di me una stima che sfidava anche le strane paure politiche del
suo governo” (R. Bauer, Quel che ho fatto. Trent’anni di lotte e di ricordi, cit., p. 198).
Riccardo Bauer e la Resistenza romana
“ am lire” , c a rta straccia. Solo così si potevano
avere i fondi per i materiali, per istruire le missio­
ni, per i piloti, per le assicurazioni ecc., m entre
sarebbero rim aste a carico dell’Italia le paghe ai
nostri agenti, i quali ricevevano: 150 lire al gior­
no nel periodo in cui stavano a M onopoli, 300 li­
re al giorno nel periodo in cui erano in missione.
Al capo della missione veniva dato, per esigenze
della m issione stessa, un m ilione di allora e ad
ognuno dei com ponenti una sterlina d ’oro, per­
ché nel lancio potevano disperdersi ed una sterli­
na d ’oro serviva per vivere dovunque. Bauer af­
ferrò im m ediatam ente il consiglio di un accom o­
dam ento. Mi chiese di portarlo subito da Fenoaltea, sottosegretario della Presidenza del C onsi­
glio, al Viminale. Usam m o una Balilla che aveva­
mo requisito ad un fascista. D urante il percorso
da via B arnaba Oriani, cioè dai Parioli, al Vimi­
nale ci scambiammo alcune opinioni. Bauer disse
che, essendo m olto amico di Sergio F enoaltea,
avrebbe chiesto a lui di intervenire su Bonom i
(le relazioni fra Bauer e Bonomi non erano molto
buone) per ottenere i fondi per sostenere le spese
relative alle m issioni che m andavam o al N ord.
Fum m o subito ricevuti da Fenoaltea, che afferrò
la situazione, andò subito da Bonomi e dopo un
quarto d ’ora tornò con la prom essa dei fondi a
disposizione, credo una trentina di milioni. Rag­
giunto lo scopo, con l’ansim ante Balilla, tornam ­
mo a via B arnaba Oriani e Bauer com unicò che il
governo italiano avrebbe fornito i mezzi finan­
ziari.
D. Tu hai sollevato qualche riserva sull’atteg­
giamento di Bauer di fronte al proclam a di Ale­
xander. T u sai che, quale m em bro del P atrio t
Branch, anch’io ricevetti il proclam a in bozza a
C hianciano, perché facessi le mie osservazioni.
Le feci natu ralm en te al C om ando interalleato.
Le mie osservazioni poi coincisero con quelle che
Bauer aveva già fatto. Il problem a grave per i no­
stri partigiani era quello di abbandonare la m on­
tagna, le armi pesanti e di scendere in pianura, do­
ve sarebbero facilmente stati preda delle SS o delle
brigate nere: oltre naturalm ente alla notizia, per le
truppe tedesche, dell’allontanarsi di u n ’offensiva.
Tu credi che questa stasi invernale valesse la pena
del sacrificio di tanti uom ini che sarebbero stati
presi in pianura?
R. Inn an zitu tto precisiamo: il cosiddetto fa­
m igerato proclam a A lexander è invece da a ttri­
377
buire al generale W ilson, com andante suprem o
del bacino del M editerraneo con sede a Caserta,
m entre A lexander era il com andante del fronte
italian o . H o copia di un m essaggio
scritto
da un pastore p rotestante, aiu tan te del servizio
delle pubbliche relazioni (Pwb). Il messaggio fu
trasm esso dalla stazione rad io “ Italia C o m b at­
te” , che andava in onda a Bari tutte le m attine.
Ecco quanto sono riuscito a ricavare ricostruen­
do la vicenda: “ D al Q u artie r generale, 13 n o ­
vembre 1944. La cam pagna estiva è term inata e
si inizia quella invernale. La pioggia, la neve, il
fango in evitabilm ente significano un ra lle n ta ­
mento nel ritm o della battaglia. Quindi le istru­
zioni sono come ora segue: cesserete per il m o­
m ento o perazioni o rg an izzate su vasta scala,
conserverete le arm i e m unizioni e vi te rrete
pronti per nuovi ordini. Ascolterete il più possi­
bile il program m a Italia C om batte trasm esso da
questo Q u artie r generale, in m odo da essere
pro n ti a nuovi ordini per cam biam enti di situa­
zioni. Caso per caso esam inerete l’o p p o rtu n ità
di co n tin u are nelle azioni di sabotaggio, senza
esporvi a rischi tro p p o gravi. F .to A lexander” .
Vedi, è diverso da quello che è stato pubblicato:
“ Cesserete e ve ne andrete a casa” . Nello stesso
giorno dal Q uartier generale parte questa infor­
m ativa: “ 13 novem bre 1944. Al M aresciallo
H enry M aitland Wilson. Al m om ento, il contri­
buto che le attività partigiane possono dare alla
sconfitta del nemico in Italia è seriamente rid o t­
to a causa dei rifornim enti. Considero im portan­
te che sia fatto il possibile per aum entare il lan­
cio di rifornim enti ai partigiani italiani, in modo
da consentire loro il massimo sforzo in appoggio
alle mie operazioni offensive, di inizio non lonta­
no. F .to gen. A lexander” . Questo è il messaggio
che co n tem p o ran eam en te A lexander m an d a a
W ilson. Q uello che B attag lia, responsabile di
aver divulgato il prim o messaggio, non ha consi­
derato, perché non poteva saperlo, è che ad Ale­
xander erano state sottratte le dieci divisioni e le
forze aeronavali per lo sbarco in Provenza. Ale­
xander era nell’impossibilità di continuare u n ’of­
fensiva invernale contro i tedeschi. D ’altra parte
Kesselring, che è stato forse il m iglior generale
tattico per le ritirate, non avrebbe mai attaccato
dalla Linea gotica d ’inverno perché si sarebbe
suicidato. Q uesta è la situazione. Tu sai che con­
tem poraneam ente m uore a W ashington il ra p ­
378
Antonio Conti
presentante di Churchill presso gli am ericani; al­
lora Churchill m anda W ilson in Am erica come
suo rappresentante, nom ina A lexander com an­
dante del M editerraneo ed il generale C lark co­
m andante del settore italiano. Clark, più brillan­
te, m anda un altro messaggio che attenua quelle
che erano sem brate disposizioni di brusco arre­
sto. Il testo viene letto il 2 gennaio 1945 a Radio
Bari: “ P atrioti, in questo periodo di estrem o ri­
gore invernale e di conseguenti difficoltà di tra ­
sporti e di rifornim enti per via aerea e terrestre,
le istruzioni riguardanti le vostre operazioni de­
vono seguire, in generale, criteri di guerriglia.
In questo periodo di com b attim en ti invernali
non perm etterem o di elim inarvi” . Il messaggio
continua invitando le forze partigiane al sabo ­
taggio e alla guerriglia. Riconosce l’im portanza
dei rifornim enti e sottolinea come essi siano stati
più abbondanti negli ultimi tempi. Prom ette ap ­
poggi e consiglia di distruggere le vie di com uni­
cazione del nemico; invita a sabotare trasporti e
depositi; dissuade daH’organizzare “ offensive az­
zardate” , ma, se mai, “ im boscate” ; consiglia di
non sprecare m unizioni, di raccogliere inform a­
zioni sulla consistenza ed i movim enti del nem i­
co, sui campi m inati, riferendo a chi di dovere.
Così stanno le cose.
D. Siamo alla fine di questa lunga chiacchiera­
ta e vorrei sapere le tue impressioni sull’uomo po­
litico Bauer. Tu sai che egli ha rifiutato di fare il
m inistro ed io ebbi anche a lam entarm ene con
lui stesso e con La M alfa, al quale presentai le
mie preoccupazioni per un governo che, per la pri­
ma volta, si costituiva a R om a liberata sotto la
presidenza di Parri, senza Bauer. La M alfa si ar­
rabbiò m olto con me, ad d irittu ra urlando che il
p artito aveva posto come condizione sine qua
non la sua presenza, ma Bauer aveva decisamente
declinato l’incarico. Invece al suo posto entrò, co­
me tu sai, Cianca. Come fu accolta questa decisio­
ne negli ambienti partigiani? Cosa ne pensasti tu in
particolare?
R. Gli ambienti partigiani o meglio tutti i p ar­
tigiani autentici che, nella lo tta di liberazione,
ebbero contatti o dipendevano da Riccardo, con­
servano per lui stima e considerazione immense.
Lo affermo senza esagerazioni. Io personalm ente
10
ho avuto sempre grande rispetto per l’uom o, per
il com andante, per il suo integerrim o senso m o­
rale, per le sue cap acità di ed ucatore civile e
“ m aestro di dem ocrazia” , come fu definito. T u t­
to ciò non per sim patia o per amicizia (seppur fi­
sicam ente lontani e su strad e diversissime, mai
venne m eno il co n tatto epistolare o lo scam bio
di telefonate), ma piuttosto perché ho sempre vi­
sto in Riccardo Bauer il cittadino esemplare e la
p erso n a d o ta ta di cap acità superiori. D eclinò
l’incarico per sfiducia verso i politicanti. Riccar­
do rifiutò cariche ed onori, che pur gli spettava­
no, n o n volle il riconoscim ento di p artig ian o
com battente ed il conseguente “ g rado” , seppur
onorifico. Silenziosam ente, direi con um iltà, si
dedicò alla ricostruzione della Società U m anita­
ria. Se ne staccò, per le note vicende, con dolore
struggente, m a subito riprese l’indefessa attività
di educatore civile. Alla mia ultim a telefonata a
M ilano rispose la sorella Adele: “ N on sta mai
ferm o un m inuto; non riesco a fargli tenere le
gambe sotto al tavolo, caro A ntonio” . Bauer eb­
be solo una breve esperienza alla Consulta. Deve
essere ricordato per la sua cultura, per il suo in­
dom ito m a controllato coraggio, la straordinaria
forza m orale, la grande personalità intellettuale e
civile: forse unica in Italia. Cosa penso io? Penso
che tutti noi abbiam o appreso da lui qualcosa di
buo n o e lo ripeto oggi con p ro fo n d a e sincera
com m ozione: conserviam o il ricordo e non d i­
m entichiam o i suoi am m aestram enti. Le forze
cieche del male correvano libere e feroci in tu tta
Europa: noi le abbiam o com battute con purissi­
ma fede, convinti che la libertà, il diritto, la giu­
stizia e l’onestà avrebbero sconfitto sopercheria,
violenza e m alcostum e politico. Mi sem bra im ­
portante riportare i dati ufficiali sulle perdite to ­
tali tedesche (gruppo arm ate C) nella lotta in Ita ­
lia contro le arm ate alleate (5a am ericana e 88 bri­
tannica) e le forze partig ian e: d all’8 settem bre
1943 al 25 aprile 1945 in totale 336.650 vittime.
Secondo uno studio recente10 è impossibile estra­
polare le perdite inflitte al nemico direttam ente
dalle form azioni partigiane.
M a la grande im portanza della lotta partigiana
co n tro il gruppo C tedesco è riconosciuta dallo
stesso feldmaresciallo A lbert Kesselring: “ le for-
Willis Jackon, History o f the Second World War, vol. VI, London, 1988.
Riccardo Bauer e la Resistenza romana
inazioni tedesche contro le bande partigiane ven­
nero da me costituite con truppe di élite, di soldati
dotati del m aggior spirito com battivo convenien­
tem ente istruiti a questo tipo di com battim ento.
379
La guerra partigiana fu cosa molto seria e ci p ro ­
curò forti perdite” 11. Q uando leggemmo queste ri­
ghe con Riccardo, ricordo che mi disse: “ Caro A n­
tonio il nostro lavoro non fu inutile” .
11 Albert Kesselring, Memorie di guerra, Milano, Garzanti, 1954.
STUDI ECONOMICI E SOCIALI
Sommario del n.1, gennaio marzo 1996
Articoli
A. Fazio, Risparmio e sistema finanziario; Sabino Cassese, Autonomia delle
Università e rinnovamento delle istituzioni; Nicola Cabibbo, Economia ed
energia in Italia; Luciano Corradini, Stato e legalità; Franco Frattini, Pubblica
amministrazione e servizi al cittadino;Mananr\a De Luca, / sistemi di relazioni
industriali; Donato Marra, Il caso italiano nel confronto europeo; Andrea
Margheri, Territorio ed emergenza lavoro
Note e rassegne
A. Cremonesi, L’Arci presenta il primo rapporto sulle fondazioni bancarie;
Rosario Sitari, Economia e scienze ambientali; Vittorio Campetti, Arte e cultura
al festival delle nazioni