1 PIANI DI VALORIZZAZIONE PER AQUILEIA Progetto scientifico Agosto 2011 FRAMMENTI DI PASSATO, TRACCE DI FUTURO. PIANO PREDISPOSTO E APPROVATO DAL COMITATO SCIENTIFICO DELLA FONDAZIONE AQUILEIA (prof.ssa Francesca Ghedini, prof. Luigi Fozzati, prof. Danilo Mazzoleni) curato da: Jacopo Bonetto e Marta Novello Sommario Introduzione generale Sezione I – Il quadro generale 1. Profilo storico-urbanistico 1.1 L’insediamento protostorico e la fondazione della città 1.2 L’età tardorepubblicana (II-I secolo a.C.) 1.3 L’età protoimperiale (I secolo d.C.) 1.4 L’età medio imperiale (II e III secolo d.C.) 1.5 Il IV secolo 1.6 Il declino della città nel V secolo d.C. 2. La ricerca Introduzione 2.1 Breve storia delle ricerche ad Aquileia 2.2 Conoscenza e valorizzazione 2.3 La ricerca programmata 2.4 La ricerca per la valorizzazione 2.5 La ricerca in Museo 2.6 Le strutture per la ricerca 3. La comunicazione 4. La conservazione e la tutela dei monumenti Introduzione 4.1 Le criticità e il monitoraggio 4.2 Gli interventi di conservazione 4.3 La conservazione, la tutela e l’urbanizzazione 5. Le aree archeologiche e i percorsi Introduzione 5.1 Caratteri del contesto archeologico urbano: criticità ed esigenze generali 5.2 Le aree archeologiche: conoscenze, criticità, esigenze e priorità 4 - PIANi di valorizzazione di aquileia 5.2.1 Il foro; 5.2.2 La domus cd. delle Bestie ferite; 5.2.3 Il Sepolcreto; 5.2.4 Le grandi terme; 5.2.5 Domus cd. dei Putti danzanti (via Gemina); 5.2.6 Il porto; 5.2.7 L’area ad ovest del foro; 5.2.8 L’area dei fondi ex CAL ed ex Beneficio Rizzi; 5.2.9 Fondi ex Pasqualis; 5.2.10 L’area di Monastero; 5.2.11 Complesso paleocristiano di piazza Capitolo 5.3 I Musei 5.3.1 Museo archeologico Nazionale (villa Cassis); 5.3.2 Museo paleocristiano di Monastero (Chiesa di Monastero) 5.4 I percorsi urbani Percorso A - Lunga durata; Percorso B - Media durata; Percorso C - Breve durata; Percorso D – La grande architettura pubblica di Aquileia; Percorso E - Aquileia privata; Percorso F - Aquileia cristiana 6. Il territorio 6.1 Il quadro generale 6.2 I percorsi e le forme di valorizzazione Sezione II – Fondi ex Cossar Introduzione 1. Storia degli studi 2. Il quadro archeologico 2.1 Le mura 2.2 Le strade 2.3 Le domus 3. Stato dei resti: criticità e potenziale 4. Interventi di ricerca 4.1 Le ricerche bibliografiche e d’Archivio 4.2 I rilievi 4.3 Gli scavi 4.4 L’elaborazione dei dati 5. Interventi di conservazione e presentazione 6. Bibliografia essenziale Progetto scientifico - 5 Introduzione generale Scopo del presente documento è quello di illustrare in forma sintetica ma esaustiva i tratti essenziali dell’evoluzione storica e del quadro archeologico attuale della città antica di Aquileia e di tracciare, sulla base di questi presupposti, un progetto generale per gli interventi di valorizzazione del patrimonio culturale del centro altoadriatico. Il documento intende infatti assumere valore orientativo e propedeutico per la programmazione di quel processo di valorizzazione che si articola nella ricerca scientifica, nella conservazione dei monumenti e nella divulgazione delle conoscenze per tutte quelle aree archeologiche che saranno aperte alla pubblica fruizione nell’ambito del parco archeologico di Aquileia, in via di costituzione. L’intento che così si persegue è di allinearsi alle richieste istituzionali e al dibattito specialistico che hanno individuato nei Progetti scientifici le forme di sintesi dei percorsi di ricerca scientifica volte a costituire il corredo di base indispensabile per supportare qualsiasi attività di valorizzazione e gestione. In fase progettuale essi sono considerati strumenti preliminari e imprescindibili da cui partire, non solo per fornire a figure di qualsiasi livello (amministratori, progettisti, operatori) un quadro conoscitivo generale, ma anche per fissare a) le ragioni, b) le modalità, c) le priorità degli interventi da attuare nei contesti storici e archeologici da parte degli Enti preposti alla tutela e al miglioramento degli assetti di utilizzo turistico. Nella fase attuativa dei piani di intervento il Progetto scientifico mira invece a costruire quadri di conoscenza indispensabili sia per preparare e guidare con adeguata cognizione di causa gli interventi tecnici su strutture e contesti sia, in ultima istanza, a proporre percorsi fisici, cognitivi e virtuali basati su quadri storici ricostruiti in forme realistiche e affidabili. Alla base di questo impianto logico ed operativo sta la convinzione - banale ma spesso dimenticata - che qualsiasi azione sui Beni Culturali va messa in campo ed assume efficacia solo se condotta in regime di sinergia e sincronia con un articolato e preventivo percorso di conoscenza delle realtà interessate. Il Progetto scientifico che di seguito si propone per Aquileia riassume in forma necessariamente stringata gli esiti delle ricerche archeologiche condotte per più di cent’anni nella città friulana e confluiti in centinaia di articoli a stampa e di monografie di carattere scientifico e divulgativo. Il testo intende specificare i rapporti che dovranno intercorrere tra il quadro archeologico noto e le attività di valorizzazione in essere o da realizzare. A tal fine, al presente Progetto dovrà essere allegata, come supporto e premessa indispensabile, tutta la documentazione relativa allo stato attuale delle aree archeologiche esistenti, destinante a far parte del parco. Tale documentazione è contenuta nel volume curato dalla Soprintendenza per i Beni archeologici del Friuli Venezia Giulia “Per Aquileia. Realtà e programmazione di una grande area archeologica”, che costituisce l’allegato del presente Progetto scientifico e contiene i dati riguardanti la proprietà, l’ente di gestione delle singole aree, la consistenza delle particelle demaniali, le problematiche di conservazione e di manutenzione dei resti archeologici e il piano vincolistico. Sulla base di tale documentazione, la trattazione del presente Progetto scientifico si articolerà in due Sezioni, tra loro connesse, e in vari capitoli. La prima parte, dedicata al quadro urbano nel suo insieme, è finalizzata a fornire un panorama storico-archeologico generale della città con riferimenti alle tre basilari problematiche della Ricerca scientifica, della Conservazione e Restauro e della Valorizzazione e Fruizione dei complessi archeologici; la seconda 6 - PIANi di valorizzazione di aquileia parte ha lo scopo di chiarire le motivazioni e i termini dell’azione su un’area specifica della città (fondi ex Cossar) per la quale appare più urgente un intervento di pianificazione e ridefinizione delle forme di fruizione. Nella prima parte saranno così fornite le coordinate generali dell’evoluzione storica del centro, tra le frequentazioni protostoriche e la vita della colonia romana fino alla destrutturazione del centro intervenuta a partire dal V sec. d.C., in seguito all’assedio di Attila (452 d.C.), e saranno discusse le peculiarità storico-archeologiche, le prospettive della ricerca scientifica, lo stato di conservazione e le potenzialità in termini di valorizzazione dei vari contesti archeologici della città, raggruppati secondo un ordine cronologico e tipologico-funzionale e dislocati sia nell’area urbana sia nel suburbio e nel territorio di Aquileia. Nella seconda parte verrà svolto un approfondimento sull’area urbana dei fondi ex Cossar, attualmente oggetto di specifici interessi di valorizzazione attraverso il cofinanziamento Arcus, per fornire le linee guida necessarie alla comprensione del variegato scenario archeologico qui presente (articolato in opere difensive, infrastrutturali e residenziali) e delineare le ragioni e le modalità di valorizzazione del suo ricco palinsesto. Il Progetto scientifico che qui si presenta analizza il contesto archeologico di Aquileia e le possibili azioni da condurre su di esso allo stato attuale dei fatti (luglio 2011), ma dovrà subire nel corso del tempo progressivi parziali aggiornamenti per l’adeguamento della ricerca alle più moderne metodologie di indagine, il progredire delle attività di valorizzazione e allo sviluppo dell’assetto insediativo e urbanistico del centro moderno. Si tratta in sintesi di un documento “aperto” da modificare nelle sue parti modulari in ragione dell’evolversi dello scenario archeologico e urbanistico dell’area di Aquileia. Progetto scientifico - 7 8 - PIANi di valorizzazione di aquileia Sezione I Il quadro generale Progetto scientifico - 9 1. Profilo storico-urbanistico 1.1 L’insediamento protostorico e la fondazione della città Nel 183 a.C. si svolse un animato dibattito nel senato romano per discutere la deduzione di una colonia, da denominarsi Aquileia, in un territorio della Venetia che era stato invaso e occupato da popolazioni galliche d’oltralpe. Alla fine il senato si pronunciò per la deduzione di una colonia latina, che venne attuata nel 181 a.C. La scelta di fondazione del più antico insediamento romano dell’area padana centro-orientale, narrata con dovizia di dettagli da Tito Livio (Liv. XXXIX, 55, 5-6; XL, 34, 2-3), trovava una ragione contingente di carattere militare e strategico. Come ci informa lo stesso Livio infatti, agli inizi del II sec. a.C. (186 a.C.) 12.000 Galli Transalpini, spinti dalla ricerca di nuove terre, erano partiti dalle loro abituali sedi d’oltralpe ed erano transgressi in Venetiam per occupare un settore della bassa pianura friulana e porre un loro abitato stabile (oppidum) (Liv. XXXIX, 22, 6-7; XXXIX, 45, 6-7; XXXIX, 54, 2-13; XXXIX, 55, 1-6). Questo atto minaccioso determinò la reazione di Roma che con ambascerie (186 e 183 a.C.) e interventi militari eliminò fisicamente l’insediamento celtico e provvide all’invio nell’area di 3000 coloni destinati a costituire la linfa vitale del neonato insediamento. L’episodio fondativo della colonia, marcato da contrasti ed eventi bellici, manifesta da subito il carattere della stessa, dotata ab origine di funzioni difensive nei confronti del confine verso i Balcani. La città visse però da subito momenti di crisi, ancora causati da schermaglie con le genti galliche che nel 179 a.C. erano tornate a chiedere terre in cambio della sottomissione al dominio romano. A questo nuovo episodio intimidatorio fece seguito nel 171 a.C. un’esplicita richiesta di aiuto da parte dei cives latini di Aquileia che, descrivendo la loro città infirma necdum satis munita, prospettarono la necessità di rinforzi per il centro (Liv. XLIII, 1, 5-6). Così due anni più tardi, nel 169 a.C., Roma deliberò una nuova deduzione di altre 1500 famiglie di fanti-coloni che raggiunsero le sponde estreme dell’Adriatico per aggiungersi al precedente contingente e rinforzare adeguatamente e definitivamente la colonia (Liv. XLIII, 1, 5-6). Dall’«atto di nascita» di Aquileia, è chiaro che la città rivestiva nei propositi del governo centrale il ruolo di «trampolino di lancio» avanzato verso ulteriori, più profonde penetrazioni alla conquista delle zone dell’Alto Adriatico, delle Alpi orientali e delle regioni istriane. Non è però da sottovalutare la funzione che ad essa doveva essere attribuita come ideale testa di ponte commerciale ed economica per monopolizzare gli scambi con quelle regioni alpine, transalpine e soprattutto danubiane e centroeuropee che lungo piste e tracciati già pre-protostorici trovavano da sempre proprio nelle aree rivierasche adriatiche il naturale punto di contatto con il progredito e ricco mondo mercantile mediterraneo. La posizione prescelta per l’area urbana è sintomatica di questa sua vocazione «relazionale», che si accompagna a quella militare e strategica; l’area del nuovo abitato veniva infatti a trovarsi, come si ricava dalla descrizione straboniana (Strabone 5, 1, 8; Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, 3, 18, 127: Natiso cum Turre praefluentes Aquileiam coloniam; Pomponio Mela 2, 4, 61: Natiso non longe a mari ditem attingit Aquileiam), in un’area pianeggiante che distava circa 60 stadi (11 km) dal mare aperto, in posizione quindi ad un tempo favorevole per i contatti con l’entroterra, protetta rispetto alle posizioni più esposte di costa, ma assieme comunicante con il golfo adriatico tramite la via fluviale del Natisone che lambiva il lato orientale della città nel suo defluire verso il mare. Circa l’atto di “nascita” della colonia è tuttavia fondamentale accennare ad un fatto. La deduzione della colonia e il suo rinforzo sono stati visti a lungo dalla critica storiografica come un vero e proprio “atto di nascita” del centro urbano in terre disabitate, ma le ricerche archeologiche condotte nel cuore dell’insediamento moderno (Essiccatoio nord) negli 10 - PIANi di valorizzazione di aquileia anni Novanta del secolo scorso hanno dimostrato che nell’area della colonia latina esisteva dalla prima età del Ferro un abitato indigeno, cui forse appartenevano i Veneti che Silio Italico (8, 604) ricorda impegnati a Canne nel 216 a.C. a fianco dei Romani. Questo abitato preromano, vissuto in due principali cicli tra IX-VII e VI-V sec. a.C., era formato da capanne fondate su bonifiche lignee ed era situato in un contesto ambientale sensibilmente diverso dall’attuale, ma pur considerato dagli antichi di “incredibile salubrità” (Vitruvio, 1, 4, 11). Esso era dominato da due aste fluviali del sistema paleo-Isonzo/Natisone che, già attive da età protostorica e defluenti da nord, in età romana erano superate da ponti e venivano a confluire nella località di Monastero per dare vita ad un grande asse fluviale, ricordato da Plinio il Vecchio (3, 18, 126) con il nome di Natiso cum Turro della larghezza compresa tra 32 e 48 m, che limitava l’area urbana ad est. Non molto si conosce delle vicende storico-politiche e amministrative che interessarono la colonia nel corso dell’età repubblicana, particolarmente per quanto riguarda il II secolo a.C. Sotto il piano politico e amministrativo possiamo dire che tra il 181 e il 90 a.C. la città mantenne lo statuto di colonia latina uniformata nello schema amministrativo a quello delle altre colonie dedotte da Roma con le principali relative magistrature rappresentate da questori, edili, duoviri (massimi magistrati cittadini) e censori. Le cariche erano di durata annuale e quanti le rivestivano confluivano al termine dell’incarico a comporre il Consiglio cittadino (noto come senatus). Alcune lacune riguardano le questioni relative all’assetto urbano e architettonico del centro per queste più remote fasi, raramente toccate ancora da scavi archeologici sia per la profondità dal piano di campagna dei resti ad esse relativi, sia per la modesta consistenza strutturale degli stessi sia infine per l’emergere della falda acquifera che rende complessa l’indagine in profondità. Sembra tuttavia estremamente probabile che già dai decenni successivi alla fondazione il centro venne dotato di una poderosa cinta difensiva di cui gli scavi hanno riportato in luce diversi tratti e almeno due porte d’accesso, ad ovest e a nord. Tale perimetro, dotato di torri dall’avanzato assetto poliorcetico di matrice greco-ellenistica, racchiudeva una superficie di circa 40 ettari e circondava con un percorso di circa 3 km l’abitato, costeggiando il corso fluviale e garantendo alla colonia quella sicurezza che era necessaria per un insediamento sorto ai confini di regioni non ancora sotto il controllo di Roma. Sembra inoltre anche possibile che già dal II secolo a.C. l’area interna alle mura sia stata dotata di un’organizzazione urbanistica a carattere regolare, secondo i principi progettuali propri dell’ingegneria romana, tributaria a sua volta dell’antica tradizione greca e magnogreca. Così, come avvenne per tutti gli altri centri di fondazione latina o romana Aquileia iniziò a conformarsi secondo lo schema di reticolo urbano regolare formato da tracce stradali incorciantisi ad angolo retto. Queste determinavano la formazione di isolati di dimensioni non costanti nelle varie zone della città e diversificati in base ai condizionamenti ambientali e di perimetro urbano segnato dalle mura. Tale divisione regolare più antica non è nota nei dettagli ma è stato proposto che essa sia riflessa, almeno a grandi linee, dall’assetto dei grandi assi stradali lastricati rimessi in luce dagli scavi nel corso del tempo. Va peraltro sottolineato che un recente intervento di scavo condotto al di sotto di una delle vie lastricate ha dimostrato che si tratta certamente di un intervento riferibile alla prima età imperiale e che non è al momento chiaro il suo rapporto con l’assetto urbano repubblicano più antico. Sull’organizzazione urbanistica del centro tra II e I sec. a.C. è quindi al momento prematuro esprimersi con affidabilità. Poco si può dire del foro in età repubblicana, sul quale doveva comunque affacciare l’aedes dedicata dal triumviro T. Progetto scientifico - 11 Annio Lusco, forse lungo il lato occidentale. La più antica piazza doveva presentare un piano d’uso in battuto e pozzetti per pilastrini utilizzati in occasione delle operazioni di voto nell’ambito della vita amministrativa della colonia (comitia elettorali). A margine dello spazio forense più antico aveva sede il contiguo edificio del Comitium, individuato nelle forme di un edificio circolare a gradinate inserito in un perimetro quadrangolare rimesso in luce nell’area dell’Essiccatoio nord ai margini settentrionali della piazza civica. In questo quadro ancora incompleto dell’urbanistica aquileiese più antica sono conosciuti almeno un paio di edifici a netta valenza commerciale, che ben riflettono uno dei ruoli della colonia dedotta da Roma. In un punto ancora imprecisato della periferia urbana doveva trovarsi il forum pequarium citato da un’importante iscrizione della metà circa del II sec. che ne indica la strada di accesso derivata dalla via Postumia. Si trattava di un mercato degli animali, legato certamente al fiorente allevamento ovino e bovino che si teneva nel territorio della colonia, individuato da alcuni in un grande edificio scavato a sud dell’odierna Natissa e da altri in un’area a nord-est della città. Il secondo edificio a funzione commerciale era il macellum, posto a nord del Comitium e del foro e organizzato con una pianta quadrata di oltre 30 m di lato articolata in una serie di botteghe poste in forma radiale attorno ad una corte secondo lo schema tipico di questi edifici di età romana; in esso si svolgeva il commercio al dettaglio delle derrate alimentari. 1.2 L’età tardorepubblicana (II-I secolo a.C.) Come le altre colonie latine che non si erano ribellate a Roma durante la Guerra sociale, anche ad Aquileia fu concesso nel 90 a.C. lo status di municipio romano; grazie a questo provvedimento i suoi abitanti ottennero la piena cittadinanza romana e furono ascritti alla tribù Velina con pieno diritto di voto per il governo dello Stato romano. Da questo momento e fino al 49 a.C. Aquileia fu l’unico centro romano di pieno diritto della parte orientale della provincia Cisalpina. In questo periodo sembrano documentati alcuni minori interventi di riassetto urbano, come il rifacimento di alcune porte urbiche. A questo primo mutamento degli assetti amministrativi (con la sostituzione di alcune magistrature con altre) fece seguito tra l’età di Cesare e l’epoca di Augusto l’assunzione da parte della città del titolo puramente onorifico di colonia che non comportò tuttavia alcun mutamento dell’assetto giurisdizionale. Piuttosto la progressiva trasformazione della colonia appare evidente sul piano dell’assetto monumentale con un progressivo rinnovamento del quadro edilizio che sembra avvertirsi con sempre maggiori evidenze dalla metà del I sec. a.C. Sempre nel corso del I sec. a.C. Aquileia mantenne comunque inalterato anche il suo ruolo di caposaldo militare dello Stato di Roma verso nord-est. Già per questo nel 129 a.C. aveva svolto la funzione di base per la spedizione di Gaio Sempronio Tuditano contro Istri, Giapidi, Liburni e Taurisci, ma dalla metà del I sec. a.C. divenne più volte la sede di G. Cesare e delle sue truppe nel quadro del mandato che egli ebbe tra il 59 e il 49 a.C. quale governatore della Gallia Cisalpina e dell’Illirico. Ad Aquileia Cesare ricevette ambascerie e intesse relazioni diplomatiche e clientelari con molte famiglie cisalpine che contribuirono allo sviluppo del centro e al progressivo inserimento della regione nello Stato romano; la stessa politica di presenza attiva in zona è registrata per il figlio adottivo Ottaviano, divenuto poi il grande Augusto, che condusse campagne contro Giapidi, Pannoni e Dalmati nel 35-34 a.C. e nell’ultimo quindicennio del secolo; ma verso la fine del secolo ad Aquileia è pure presente parte importante della famiglia imperiale, con Tiberio impegnato ancora contro le popolazioni d’Oltralpe e con lo stesso Augusto, che tra campagne militari e atti amministrativi (tra cui la riorganizzazione provinciale e l’annessione dell’Istria all’Italia romana), ricevette nella città 12 - PIANi di valorizzazione di aquileia altoadriatica nel 10 a.C. Erode di Giudea e i figli. Le ripetute presenze di eminenti esponenti del potere centrale, le guerre di pacificazione del quadrante nord-orientale, il potenziamento della rete stradale e l’inserimento di tutta la regione nello Stato romano contribuirono dal 50 a.C. in poi a far crescere progressivamente le potenzialità economiche del centro. Come ricorda un seducente passo del coevo geografo greco Strabone (Strabone, 5, 1, 8), le relazioni con l’Europa danubiana da un lato e con lo scenario adriaticomediterraneo dall’altro fecero di Aquileia uno dei più dinamici empori del mondo romano fino a proiettarlo ai massimi livelli del mercato internazionale dell’epoca: Aquileia (…) può essere raggiunta dai navigli commerciali attraverso il fiume Natisone che si risale per più di 60 stadi. La città serve da emporio a quei popoli illirici che abitano lungo il Danubio: costoro vengono a prendere i prodotti provenienti dal mare, il vino che mettono in botti di legno caricandole su carri e, inoltre, l’olio, mentre la gente della zona viene ad acquistare in cambio schiavi, bestiame e pelli. È stato ipotizzato che questo floruit economico e l’evergetismo imperiale e privato costituirono la molla del grande rinnovamento della città cui si assiste tra la fine del I sec. a.C. e la metà del I sec. d.C. A questo proposito è stato di recente proposto di attribuire ad Aquileia un testo epigrafico in cui è ricordata la donazione da parte di Tiberio ad un municipio di “templi, portici e giardini”. 1.3 L’età protoimperiale (I sec. d.C.) Ciò ebbe rapidi effetti sulla crescita del nucleo urbano. E’ stato infatti osservato che lungo il canale che lambisce la città le attività di potenziamento delle banchine e di costruzione dei magazzini ad esse adiacenti, attuati nel corso del I sec. d.C., portarono alla demolizione di alcuni settori del muro laterizio di età repubblicana e in particolare del torrione pentagonale lì eretto. Questo fenomeno di parziale obliterazione della cortina è datato, sulla base del momento di edificazione degli impianti commerciali, ai primi decenni del I sec. d.C. e appare perfettamente comprensibile sia alla luce dell’assenza di esigenze militari nel momento storico sia in considerazione della grande fioritura commerciale che interessa la città in età protoimperiale e che naturalmente dovette aver determinato i più consistenti rinnovamenti monumentali proprio nell’area del porto. Segni del disinteresse per l’integrità e l’efficienza del perimetro si sono tuttavia notati anche nel settore settentrionale, dove case d’abitazione del I sec. d.C. furono addossate alla fronte interna del muro e in altri punti del perimetro dove la pulsione di crescita urbana sembra aver prodotto uno scavalcamento dell’antica linea murata. Lo stato di abbandono in cui dovettero trovarsi le fortificazioni in età altoimperiale ad Aquileia, come d’altronde in altre città, trova un’interessante eco in un passo dello storico Erodiano (Erodiano 8, 2, 4). All’interno di una lunga descrizione dell’assetto delle fortificazioni nel III sec. d.C., sulla quale si tornerà anche più avanti, lo scrittore riferisce infatti che queste erano in gran parte «cadute in rovina» nei secoli precedenti in seguito al lungo periodo di pace vissuto dalla città nel segno della pax romana. In generale nel corso del I sec. d.C. la città conobbe gli effetti positivi della crescita politico-economica attraverso straordinarie manifestazioni architettoniche. Un impulso non secondario in questo senso venne dalla disponibilità di straordinari bacini di materiale lapideo da costruzione presso le alture del Carso triestino, da cui si cavava, un tempo come ora, l’ottimo e compatto calcare chiaro d’Aurisina. Ad esso si affiancavano le arenarie cavate prevalentemente lungo la costa friulana, utilizzate soprattutto nella fase più antica della vita della città, e il calcare compatto istriano, fondamentale per la bassissima porosità che lo Progetto scientifico - 13 rendeva idoneo ad usi in contesti idrogeologici difficili. Fin dalla prima metà del I sec. d.C., con interventi avviati già dalla fine del I sec. a.C., avvenne un decisivo intervento di riassetto architettonico del foro; la piazza, dotata di sistemi di deflusso idrico e di un acquedotto sotterraneo, fu rivestita da grandi lastre di calcare di Aurisina e fu raccordata con tre gradini a porticati, pure lastricati, su cui si aprivano le tabernae e altri edifici di natura amministrativa. I grandiosi portici possedevano colonne alte 5,8 m e al di sopra della trabeazione furono collocati plutei con raffigurazioni di ghirlande rette da amorini o da aquile, alternati a plinti con le teste di Giove Ammone e Medusa. Sul lato breve meridionale del foro, forse già durante il regno di Augusto (27 a.C.-14 d.C.) fu eretta anche la basilica civile, a noi oggi nota nella ristrutturazione della fine del II secolo d.C. La costruzione di questo complesso sancì la chiusura definitiva al traffico veicolare della piazza. La ristrutturazione del centro cittadino va vista probabilmente in un quadro più ampio di ridefinizione dell’intero spazio urbano. Alla metà o alla seconda metà del I sec. d.C. si data infatti un fondamentale intervento di riassetto dell’impianto urbano, poiché a quest’epoca è stata recentemente datata la costruzione di almeno alcune delle grandi strade lastricate che suddividevano la città in grandi isolati rettangolari e che vennero dotate di collettori fognari sottoposti per il deflusso idrico. Intimamente legato a questa ristrutturazione urbanistica appare inoltre, almeno in alcuni settori, un nuovo ordinamento dello spazio interno degli isolati. Nel corso del I sec. d.C. (con alcuni anticipi nella seconda metà del I sec. a.C.) sembra infatti ricevere nuovo impulso l’edilizia privata con la suddivisione delle aree degli isolati in grandi lotti per le residenze urbane signorili. Non è al momento documentata ad Aquileia la tipologia residenziale della casa centroitalica con fauces, atrio e tablino, mentre sembra diffondersi il modello di casa basato su una grande corte chiusa o colonnata (tenuta a giardino o lastricata, di dimensioni anche talvolta superiori a 200 mq) attorno a cui gravitavano le stanze residenziali e di servizio. Tra i vani utilizzati per la permanenza diurna spiccano alcune grandiose sale di rappresentanza ampie fino a 105 mq, “teatro privilegiato della vita pubblica del dominus”, la cui funzione può variare da spazio tricliniare a sede di ricevimento; ad esse si affiancano vani minori destinati alla famiglia e al riposo. In tutti i casi spiccano gli apparati musivi, bicromi geometrici e, in progresso di tempo, policromi e figurati che costituiscono quasi un tratto caratterizzante dell’edilizia aquileiese di ambito privato. Nello stesso periodo (tra I sec. a.C. e I sec. d.C.) la città fu anche dotata di un teatro, purtroppo poco conosciuto, con gradinate in pietra trachitica importata dall’area euganea e collegato ad un portico, al quale è da riferire forse un magnifico fregio dorico con raffigurazioni di armi. Successivamente sorse nell’area meridionale, al di fuori del circuito murario repubblicano ormai in gran parte demolito, un grande anfiteatro (148 x 112 m), noto principalmente da scavi ottocenteschi. Venne così creato ad ovest del nucleo urbano una sorta di quartiere degli spettacoli in un’area di espansione previsionale del cuore antico della colonia dove pure troverà spazio, in epoca più tarda, il circo. Ma oltre al foro e agli edifici di spettacolo, nel corso del I sec. d.C. altre grandi imprese architettoniche furono compiute. Un’attenzione particolare fu riservata al potenziamento di quel “sistema portuale” aquileiese che si articolava non solo nel grandioso impianto realizzato sul Natiso cum Turro, dotato di muro di sponda in pietra d’Istria, di banchine con piani di carico/scarico su due livelli lunghe fino a 450 m, di raccordi con la viabilità urbana e di strutture di magazzini lunghe più di 300 m, ma anche negli approdi minori situati sui corsi d’acqua e sui canali navigabili che circondavano a nord e a ovest il nucleo urbano fino a creare un vero e proprio sistema di circumnavigazione della città. Essi si raccordavano nel canale Anfora, straordinaria opera artificiale che si staccava dalla periferia urbana occidentale e, con un percorso rettilineo di circa 6 km, sfociava nell’attuale laguna di Marano verso i percorsi endolagunari e marittimi. 14 - PIANi di valorizzazione di aquileia Non molto si sa delle vicende che interessano il centro nel corso del periodo che va dalla metà del I sec. d.C. al II sec. inoltrato. Essa fu peraltro coinvolta negli scontri dinastici del 69 d.C. come sede delle legioni della Mesia e della Pannonia, senza subire peraltro conseguenze nefaste del tragico anno che vide l’ascesa al trono di Vespasiano. Poco dopo la prosperità del centro è ricordata dal poeta Marziale che la definisce felix Aquileia e l’alta considerazione che comunque godeva anche presso la casa imperiale è documentata nel 105 d.C. dall’atto evergetico dell’imperatore Traiano che vi fece costruire a sua spese un intero edificio di cui non è nota l’esatta identificazione. Sempre al II sec. d.C. possono essere riferiti restauri e rifacimenti di alcune porzioni di architetture pubbliche (come alcune parti del foro) e la ristrutturazione di alcune domus. 1.4 L’età medio imperiale (II e III sec. d.C.) L’assetto della città acquisito nel corso del I sec. d.C. viene a mutare solo marginalmente nel corso del secolo successivo. Tra la seconda metà del II sec. e l’inizio del III sec. sono documentati alcuni restauri al foro e la modifica della basilica civile con l’inserimento delle due absidi sui lati brevi. A partire dalla metà del II sec. d.C però una serie di eventi militari di notevole portata interessano Aquileia e nel loro successivo, cadenzato ripetersi per tutta la storia tardoantica della città ne ribadiranno la prioritaria valenza come baluardo di confine dell’Italia romana verso le aree danubiane ed orientali. Il primo di questi fatti d’arme è rappresentato dalla improvvisa quanto deleteria discesa in Italia delle tribù dei Quadi e dei Marcomanni. Secondo l’esplicita testimonianza di Ammiano Marcellino e di altre fonti (Ammiano Marcellino 29, 6, 1 e Storia Augusta, Marcus Antoninus, 14, 1-2; Luciano, Alex., 48), queste popolazioni, dopo aver assalito e distrutto Oderzo, si rivolsero negli anni tra il 165 e il 170 d.C. anche contro Aquileia, mancando solo di poco l’ambizioso obiettivo di espugnare la munita città. Di ben maggiore importanza per la storia di Aquileia appare un secondo evento bellico che la interessa nel corso della prima metà del III sec. d.C. Si tratta dell’assedio alla città da parte di Massimino il Trace nel 238 d.C. Questo racconto si deve allo storico greco Erodiano e grazie ad esso possiamo apprendere numerosi particolari sia sull’assetto del territorio e della città di Aquileia, sia soprattutto sullo svolgimento dell’assedio portato da Massimino, proveniente dalla Pannonia e deciso ad imporsi alla città e al Senato di Roma come nuovo imperatore (Erodiano 8, 2-6). Aquileia divenne allora baluardo dell’Italia e del potere di Roma contro l’usurpatore, assumendo il vessillo della legalità e svolgendo quel ruolo di barriera militare orientale che dalla fondazione aveva rivestito. L’assedio si protrasse tra il marzo-aprile e il 19 luglio del 238 d.C. Dallo storico, nel corso della narrazione dell’avanzata degli eserciti nemici, Aquileia è descritta come “la più grande città d’Italia” e il suo territorio viene esaltato per le coltivazioni di viti e di alberi in forme quanto mai curate ed elaborate. Il quadro tracciato dallo storico è di grandissima vivacità e significanza per illustrare lo stato del centro urbano in questo preciso momento storico: “Aquileia, essendo una città importantissima, aveva una popolazione assai numerosa: trovandosi vicino al mare, fungeva da mercato per l’Italia (…). Essa raccoglieva, per via di terra o per via fluviale, i prodotti del continente che venivano acquistati dai naviganti, e ricevendo dal mare le merci necessarie al retroterra (cioè quelle che non vi si potevano produrre a causa del clima rigido) le avviava all’interno. Inoltre la regione era estremamente ricca di vigneti, sicché riforniva abbondantemente di vino i popoli che non coltivano la vite. Pertanto aveva preso dimora colà, insieme ai cittadini, anche un grande numero di immigrati e di mercanti”. Non mancano Progetto scientifico - 15 riferimenti ad alcuni dettagli urbanistici, tra i quali appare importante nella descrizione erodianea il riferimento alla cinta muraria che fu di solido baluardo a Massimino; essa viene definita per quell’epoca «vecchissima» (palaiótaton) e per alcuni tratti caduta in rovina a causa della sua età e del lungo periodo di pace vissuto dalla città in età altoimperiale. La prosecuzione del racconto chiarisce inoltre che la cinta «nel momento del bisogno venne restaurata, le parti rovinate vennero rialzate e vennero costruite torri e merlature». Sembra sufficientemente chiaro quindi che nel 238 d.C. venne solamente riadattato il «vecchissimo muro» repubblicano con restauri delle parti diroccate, con il rialzamento dei tratti caduti e con l’elevazione di torri e di merlature. L’assedio non andò a buon fine e Massimino fu ucciso dai suoi soldati cosicché Aquileia e i suoi cittadini, attivi nel quadro defensionale, si presentarono agli occhi di tutti come i veri salvatori dell’Italia. Anche nelle fasi successive all’assedio il racconto ci illustra uno straordinario stato di prosperità del centro, i cui cittadini, anche dopo molti mesi di assedio, poterono istituire un singolare quanto ricco mercato di ogni genere di merci sugli spalti delle mura a favore dei militari che fino ad allora avevano assediato il centro. 1.5 Il IV secolo Fu anche per lo straordinario prestigio acquisito nell’occasione, unito al rilievo urbanistico ed economico progressivamente assunto dal centro, che Aquileia divenne uno dei cardini della riforma di Diocleziano (284-305 d.C.) volta a trasformare l’assetto geografico e amministrativo d’Italia. Con essa la penisola fu suddivisa in una serie di province tra cui la Venetia et Histria incluse tutte le regioni nord-orientali affacciate sull’alto Adriatico. Aquileia divenne capitale politica di questa nuova realtà amministrativa e ricevette da questo nuovo statuto un’impressionante ulteriore crescita economica e, di conseguenza, architettonico e urbanistica che percorre l’intera storia cittadina del IV sec. d.C. L’ascesa di rango politico comportò tra l’altro il distaccamento ad Aquileia di un comando militare terrestre e navale (Praefectus classis Venetum), foriero di crescita per indotto delle dinamiche commerciali nel suo ruolo di approvvigionamento di truppe, e l’istituzione di una zecca dal 294 d.C. Ma pari importanza dovette anche rivestire la presenza in città del Comes Italiae, sovrintendente alle strategie delle difese delle Alpi orientali, e la costituzione in città di un Gynaecium imperiale, ossia una grande fabbrica destinata alla lavorazione dei tessuti per conto dell’esercito. A questi fatti si accompagnarono le frequenti presenze di imperatori che toccano per tempi più o meno lunghi tutta la storia di Aquileia nel corso del IV sec. e si rendono protagonisti di atti evergetici con la donazione di edifici urbani. Tra questi passaggi della fine del III o dell’inizio del IV sec. d.C. segnarono certamente la storia della città quelli di Diocleziano, Massimiano e di Costantino, testimoniati da importanti iscrizioni relative ad atti di evergetismo o di devozione religiosa degli stessi. Proprio al clima di rinnovamento della veste istituzionale della città e alla presenza di rappresentanti della casa regnante sono da riferire, in forma diretta o indiretta, la realizzazione di numerosi imponenti edifici pubblici tra la fine del III e il IV sec. d.C. Ad età tetrarchica è così attribuito un impianto mercantile nel settore sud-orientale della città, a sud delle basiliche cristiane, costituito da due grandi aule a navate (lunghe più di 130 m) scandite da pilastri e separate da una grande corte scoperta; si tratta di un grande horreum che trova riscontri tipologici in simili impianti di Mediolanum e Treviri e che documenta la continua crescita economica del centro; non diverso e assai prossimo a questo fu un secondo complesso commerciale (fondi ex Pasqualis) articolato in tre corti scoperte circondate da porticati lignei e da botteghe 16 - PIANi di valorizzazione di aquileia che hanno restituito anfore con chicci di grano combusti. Un altro nucleo commerciale con corte centrale, riferibile al pieno IV secolo, è stato identificato ad est del foro, mentre di ancora maggiore imponenza sono le realizzazioni delle gigantesche Grandi terme (probabilmente le Thermae Felices Costantinianae di un testo epigrafico) presso il settore sudoccidentale della città, estese più di 2 ettari, e di un Palazzo imperiale la cui dislocazione sembra poter essere ipotizzata nei pressi del moderno cimitero e del Circo che lì fu realizzato: proprio per quanto riguarda questo edificio, l’unico in muratura dell’Italia settentrionale assieme a quello di Milano, più difficile appare l’inquadramento cronologico: esso sorse al di sopra di un quartiere residenziale demolito alla fine del II sec. d.C. e la datazione proposta tra la fine del III e l’inizio del IV sec. d.C. non trova tutti gli studiosi concordi. Altri eventi di chiaro significato appaiono gli interventi nel foro, dove, all’inizio del IV sec. d.C., vennero incise sull’attico del portico una serie di iscrizioni a corredo di statue iconiche poste a rappresentare personaggi illustri della storia di Aquileia, in una sorta di galleria dell’identità civica che si voleva celebrare. Sempre nel foro agì con intento evergetico un alto funzionario (il vir clarissimus Septimius Theodolus che fu correcctor Venetiae et Histriae) desideroso di abbellire la piazza civica con basi di statue negli anni che precedono il 363 d.C. Sempre nel corso di questo rapido e grandioso scenario di rinnovamento urbano del IV sec. fu realizzato il nuovo perimetro fortificato che venne ad ampliare in modo consistente le vetuste mura repubblicane che avevano retto l’urto di Massimino, ma che si dovettero rivelare inadeguate ad una capitale politica in continua espansione topografica e divenuta da allora oggetto di minacce militari. Infatti, dopo un lungo periodo di relativa tranquillità seguito all’assedio di Massimino del 238 d.C., a partire dalla metà del IV sec. d.C. la situazione inizia a mutare radicalmente, e dopo un primo atto di guerra nel 351 d.C., quando Magnezio si rifugia nella città per difendersi dal rivale Costanzo, Aquileia diviene nel 361 d.C. il teatro di un acceso scontro militare tra fazioni rivali dell’esercito imperiale. In quel momento infatti in Aquileia trovano rifugio due legioni che avevano tradito la causa di Giuliano e pertanto la città venne assediata dai fedeli di questo imperatore. L’episodio assume valore fondamentale, poiché dal racconto dei fatti redatto dallo storico Ammiano Marcellino si ricavano alcune indicazioni anche sull’assetto delle opere difensive allora esistenti (Ammiano Marcellino XXI, 11-13). Nelle premesse della narrazione, Ammiano magnifica la ricchezza della città, ne ricorda poi con enfasi la tradizione di invincibilità e, particolare fondamentale, precisa la presenza all’epoca di “solide mura che circondavano la città”. Queste indicazioni offrono già un primo indizio per ritenere possibile l’avvenuta costruzione delle nuove mura entro la data dell’assedio. Lo storico prosegue poi riferendo come gli eserciti di Giuliano, dopo vani tentativi di attacco via terra, avessero montato torri lignee sulle navi al fine di attaccare la città dal fiume, approfittando del “breve spazio che divideva il corso d’acqua dalla città”; in tal modo gli assedianti poterono raggiungere l’altezza delle mura e combattere, pur con esito negativo, contro i difensori, mentre altri armati assalivano il muro dal livello di base nel tentativo di aprire varchi nella cortina. La pianta complessiva delle difese imperiali di Aquileia è caratterizzata nelle sue linee generali da una forma rettangolare irregolare, che già si era vista propria della cinta repubblicana, e dall’estensione di quasi 4000 metri a racchiudere una superficie di più di 80 ettari. Le nuove fortificazioni manifestano una chiara dipendenza dall’assetto del precedente circuito e di esso vengono a costituire sostanzialmente solo un vistoso ampliamento che non ne altera i criteri progettuali di base. Viene ribadita infatti l’importanza del principio di adeguamento alla traccia fluviale e il circuito si snoda attorno ad un asse maggiore nord-sud parallelo al corso del fiume. Progetto scientifico - 17 Da un esame di dettaglio si nota infatti come per tutto il lato orientale la cinta venga ad impostarsi esattamente lungo la linea della riva e sull’estremità esterna della banchina fluviale del porto. Tale particolare rapporto con il corso d’acqua, che viene quindi sfruttato in tutte le sue potenzialità di elemento protettivo, è una spia significativa per capire come alla base di questo progetto di fortificazione dovessero essere avvertite significative preoccupazioni di carattere militare. Il medesimo interesse a conferire al circuito un’alta efficacia si nota anche dall’esame del quadro topografico del settore occidentale della cortina. I nuovi spazi qui inclusi nell’ampliamento si caratterizzano per l’assenza della regolare divisione, che distingue invece il nucleo repubblicano della città, e non hanno fino ad ora restituito tracce di una frequentazione diffusa. L’estensione della traccia a comprendere quest’area periurbana solo marginalmente frequentata si spiega solamente con l’intenzione mirata di inglobare entro il giro fortificato due fondamentali edifici già presenti in zona: il circo e l’anfiteatro. Con la costruzione della nuova cinta si mirava quindi a garantire la costante e sicura fruibilità da parte di grandi masse di due poli monumentali di primario rilievo nella vita sociale delle città imperiali. Nel complesso quindi l’intera articolazione topografica della cinta imperiale di Aquileia sembra regolata da rigide esigenze di ordine strategico, che la obbligano ad assecondare da un lato l’andamento fluviale e dall’altro a circoscrivere ampi settori non ancora urbanizzati in toto al fine di circoscrivere i due complessi del circo e dell’anfiteatro. Un tratto architettonico essenziale di questa prima metà del IV sec. d.C. è costituito dal pressoché ubiquitario intervento di ristrutturazione delle grandi domus aquileiesi; queste, da allora ricevettero nuovi tappeti musivi spesso sovrapposti ai più antichi, più sobri tessellati; inoltre appare frequente l’ampliamento dei vani quadrangolari con terminazioni absidate, dove trovarono talvolta posto i nuovi letti tricliniari semicircolari (stibadia), funzionali a creare percorsi di progressiva “ascesa” dell’ospite dall’ingresso verso lo spazio arcuato di fondo, vero centro focale del sistema di fruizione della casa. A fianco di queste evoluzioni degli assetti architettonici già costituiti, di massima importanza per capire l’evoluzione dello spazio urbano di Aquileia nel corso del IV sec. appaiono le grandi novità che, maturate dopo l’Editto di Costantino di tolleranza religiosa del 313 d.C. (preceduto da quello di Galerio del 311 d.C.), sconvolsero la parte meridionale della città con l’impianto delle basiliche cristiane. Le prime aule di culto sono riferite all’età del vescovo Teodoro (308-319 d.C.), cui un’iscrizione riferisce la committenza, e si dispongono ad “U” nello spazio di un isolato della città romana. Due aule di pianta rettangolare anabsidata presentano ricchissimi ed unici tappeti musivi (per una superficie straordinaria di circa 1300 mq) che hanno suscitato infiniti dibattiti tra archeologi, storici dell’arte e liturgisti per l’interpretazione. Tra le due aule è posto uno spazio destinato a battistero ed un’aula di minor rilevanza comunicante con la sola aula settentrionale. Lo spazio interno delle due aule meridionale e settentrionale è suddiviso tra spazi destinati al clero e ai fedeli. Il complesso subì presto radicali modifiche (forse non ancora ultimate nel 345 d.C.) con l’erezione di una enorme chiesa a tre navate di 73 x 31 m al posto dell’aula teodoriana nord. Verso il 360 d.C., a questo nuovo enorme edificio fu annesso un quadriportico verso occidente (rinvenuto negli scavi del 1970), che ne ribaltava l’accesso rivolgendolo verso l’ampia area scoperta di 31 x 17 e verso la città. Successivamente, nella seconda metà/fine del IV sec. d.C., il potenziamento del nucleo episcopale, cui afferiva anche la sede episcopale, fu completato con la costruzione della seconda grande basilica (di 69 x 27 m) sovrapposta all’aula teodoriana meridionale e con l’antistante battistero. La grande rivoluzione urbana dettata dalle esigenze del nuovo culto interessarono anche altre zone della città, come piazza S. Giovanni, dove dovette trovare posto la Basilica di S. Giovanni solo in parte attestata dalle indagini archeologiche, 18 - PIANi di valorizzazione di aquileia e l’area a sud della città dove trovò sede la Basilica di S. Felice. Meglio conosciute sono le grandi basiliche del fondo Tullio in località Beligna e di Monastero. La prima, forse da riconoscere nella Basilica Apostolorum di Aquileia, è posta lungo la strada per Grado e fu realizzata presso una grande area necropolare e cultuale dedicata alla divinità di Belenus/ Belinus. La basilica a tre navate occupava una superficie di 1800 mq e presentava una grande abside a doppio muro e deambulatorio interposto. La sua cronologia oscilla tra la fine del IV sec. e il V sec., se non il VI sec. Il centro di culto di Monastero, così denominato dal monastero femminile attestato dal X sec., prevedeva un’aula di culto a navata unica di 48 m di lunghezza e 17 m di larghezza decorata da grandi pannelli musivi a carattere esclusivamente geometrico; su di essi ricorrono iscrizioni votive da parte di latini, greci e orientali che avevano fatto ritenere possibile l’identificazione della prima chiesa qui presente con la sinagoga aquileiese distrutta nel 388 d.C.; tale ipotesi è stata però destituita di fondamento da una serie di indizi di segno opposto. Le incertezze su questa notizia e lo studio archeologico e stilistico della chiesa e dei suoi apparati ha portato a proporre datazioni che oscillano tra la metà-seconda metà del IV sec. d.C. e la metà del V sec. d.C. In sintesi, le ripetute presenze imperiali, il nuovo ruolo politico di capitale provinciale e la crescita dei poli cristiani contribuirono tra il 300 e il 400 d.C. a fare di Aquileia uno dei centri più rinomati e prosperi dell’intero impero romano e di maggior rilievo sotto il profilo urbanistico ed architettonico. Secondo Ausonio, che scrive un’opera poetica tra il 380 e il 390 d.C., Aquileia appariva moenibus et portu celeberrima (Ausonio 11, 9, 4) ed occupava un posto di assoluto rilievo tra le grandi metropoli mediterranee. 1.6 Il declino della città nel V secolo Sappiamo però che l’età d’oro di Aquileia coincidente con il IV sec. fu foriera di progressive sempre maggiori problematiche di natura militare. Infatti, dopo gli assedi del 351 d.C. e del 361 d.C. Aquileia torna ad essere occupata nel 388 d.C. dall’usurpatore Magno Massimo, incalzato da Valentiniano II, e subì poi continue minacce dalle aree orientali che sfociano nelle invasioni e nelle vicine presenze delle truppe di Alarico dell’inizio del V sec. In questo generale clima di pericoli incombenti e ricorrenti, che portò tra l’altro al completamento del sistema fortificato territoriale delle vicine Alpi orientali, potrebbe trovare una buona contestualizzazione l’impianto della serie di torri di rinforzo del circuito imperiale. Ma le continue crisi militari ebbero il loro nefasto effetto anche sotto il profilo della vitalità economica. Sappiamo grazie ad Ammiano Marcellino, che alla fine dell’assedio del 361 d.C. il Natisone con “grandi opere” venne deviato e prosciugato (Ammiano Marcellino 21, 12, 17); ciò determinò probabilmente un progressivo inaridimento delle potenzialità commerciali e infrastrutturali per la città poiché è certo che da quel momento la banchina portuale e i suoi spazi divennero assolutamente inutili per la città. Di segno negativo appare per la città anche il trasferimento della capitale imperiale da Milano a Ravenna (402 d.C.) che segnò il venir meno di equilibri geo-politici fino ad allora favorevoli ad Aquileia e all’Italia a nord del Po. Iniziò così una parabola discendente, segnata dal ridursi dei traffici commerciali e dal moltiplicarsi dei fatti d’arme, che ne destabilizzarono l’economia e la sicurezza. La città peraltro fu ancora teatro di complicate vicende legate alle usurpazioni imperiali e nel 424 d.C. vide, come atto estremo, l’esecuzione di Giovanni nel Circo della città al cospetto di Valentiniano III e di Galla Placidia, ultimi rappresentanti del sommo potere imperiale ad essere in città. In questo percorso di progressivo declino, il 18 luglio del 452 d.C. Attila e gli Unni riuscirono con molta fatica ad espugnare Progetto scientifico - 19 la città, violata per la prima volta dopo oltre 600 anni di invincibilità, saccheggiando e incidendo pesantemente sul tessuto architettonico e socio-economico. La valutazione dell’evento, talvolta relegato ad esagerazione storiografica, talatra ritenuto degno di fede, è difficile, ma un dato che impone seria riflessione è la documentata presenza di numerosi contesti archeologici in cui tracce di distruzione appaiono riferibili alla metà del V sec. d.C. Significativo è pure il fatto che dopo questa cesura cronologica la maggior parte degli edifici non appaia più vivacemente frequentata e, nella maggior parte, dei casi in stato di abbandono. Il foro, tra gli altri complessi, sembra devastato da un incendio in questo periodo e dalla fine del V sec. diviene punto di prelievo di materiali e di distruzione. È peraltro certo che la vita di Aquileia non cessò, ma l’evento, troppo spesso confinato dalla critica a mera leggenda, segnò una marcata linea di discontinuità nella parabola storico-urbanistica di Aquileia. Da questo momento è innegabile una contrazione complessiva dell’abitato, che sembra relegarsi progressivamente nella zona meridionale attorno al nucleo episcopale cresciuto dall’inizio del IV sec. e divenuto polo catalizzatore di indubbia forza. Anche se la città sembra perdere il ruolo di porta d’Italia, per esempio negli scontri tra Teoderico e Odoacre, nondimeno essa conosce altri importanti episodi fortificatori tra la seconda metà del V sec. e il VI secolo. Il primo intervento è stato identificato nella zona del porto entro lo spazio d’alveo del canale interrato e lungo il lato meridionale della città; qui sono state rimesse in evidenza lunghe porzioni di una cortina muraria tracciata costantemente in parallelo alle mura imperiali e ad una distanza sempre molto ravvicinata, compresa all’incirca tra gli 8 e i 20 m. Esso non costituiva un nuovo circuito indipendente, ma era invece progettato come rinforzo della più antica cinta imperiale. Il raddoppiamento del muro non fu condotto a circondare l’intero perimetro urbano, ma venne tracciato solamente lungo le porzioni meridionali dei lati orientale e occidentale di «M2» e per l’intero suo lato meridionale al fine di garantire maggiore protezione alla zona sud dell’abitato che vedrà concentrarsi i nuclei vitali (tra cui il complesso basilicale paleocristiano). Si può ritenere molto probabile l’impianto di questa cortina in una fase probabilmente posteriore al primo quarto del V sec. d.C. e forse pure posteriore all’assedio di Attila secondo recenti stimolanti considerazioni. L’ultimo episodio edilizio fortificatorio che interessa la città è costituito dall’impianto di una cortina muraria che venne definitivamente a sancire il restringimento dell’abitato nella porzione meridionale della città repubblicana e imperiale. Questa nuova cinta divise infatti trasversalmente lo spazio urbano immediatamente a mezzogiorno dell’area forense e si saldò ai vertici della precedente cortina, garantendo in tal modo al ristretto abitato una protezione di grande efficacia. La peculiarità più notevole della nuova opera difensiva è la fisionomia della sua traccia, che, articolandosi in un continuo susseguirsi di bastioni a forma di triangolo isoscele (con lati lunghi di 46 m), assume un particolarissimo assetto a linea spezzata di massima efficacia nel caso questa venisse avvicinata da armati o da macchine da guerra. La datazione di questa cinta va verosimilmente posta in una fase successiva al V sec. e riferita alle fasi della riconqiusta bizantina della città dopo la guerra greco-gotica e prima dell’era longobarda (589 d.C.). 20 - PIANi di valorizzazione di aquileia 2. La ricerca Introduzione Nella recente The ICOMOS Charter for interpretation and presentation of Cultural Heritage sites. Quebec 2008 l’attività di ricerca, discussione e aggiornamento del sapere è uno dei principi cardine posto a fondamento dei processi di interpretazione, presentazione, conservazione e gestione del patrimonio culturale (punto 7: Importance of Research, Training, and Evaluation). Tale asserzione dell’importante documento è l’esito maturo di ormai diffuse e radicate concezioni che vedono nell’attivazione e nello sviluppo continuativo delle attività di ricerca scientifica, con le conoscenze derivate, un protagonista centrale in qualsiasi piano di valorizzazione delle aree archeologiche. Tale modello concettuale, ormai ubiquitariamente acquisito, deve trovare rigorosa applicazione nel caso di Aquileia. Il centro altoadriatico gode di una lunga storia delle ricerche che, a partire dal XVIII secolo e fino ai giorni nostri, hanno riportato alla luce ampie porzioni della città antica, facendone un sito archeologico di eccezionale importanza, tra i più estesi dell’Italia settentrionale, dal 1998 parte del patrimonio protetto dall’Unesco. Grazie all’intensa attività di ricerca del passato, ampie porzioni dell’Aquileia antica e medievale sono oggi note, sebbene in percentuali ridotte rispetto all’esistente, come peraltro avviene nella maggior parte dei grandi centri archeologici. E proprio questo dato, è cioè il fatto che «gran parte della città antica è rimasta intatta e ancora sepolta», ha costituito uno dei criteri UNESCO per l’iscrizione di Aquileia nella Word Heritge List, in ragione delle ricche possibilità di conoscenza che il centro ancora offre alla comunità, scientifica e non. A queste potenzialità bisogna inoltre sommare, come dato aggiuntivo, le enormi risorse derivate dalla ricca banca dati resa disponibile grazie alle ricerche del passato e non ancora pienamente sfruttata. Tale ampia messe di dati offre oggi grandi possibilità di approfondimento, anche grazie allo sviluppo delle nuove tecnologie, che mettono a disposizione del mondo scientifico più attuali metodi di schedatura e gestione dei dati (data base relazionali), grazie ai quali si potranno finalmente avviare progetti di catalogazione sistematica di tutto il patrimonio archeologico aquileiese, sia mobile (conservato nel Museo e nei relativi magazzini) sia immobile (visibile all’interno delle aree archeologiche o conservato nel sottosuolo). Inoltre, le potenzialità presentate dall’applicazione alle nuove ricerche, in corso e future, delle più aggiornate metodologie di scavo e delle nuove tecnologie applicate alle indagini archeologiche permetteranno di migliorare, con il prosieguo degli studi, la qualità della conoscenza sul patrimonio aquileiese e di superare le lacune necessariamente derivate da ricerche condotte nel passato con diversi presupposti scientifici e culturali. Se grazie ad esse, infatti, sono attualmente noti un grande numero di edifici antichi, alcuni lasciati a vista e altri ricoperti, e Aquileia può contare oggi di un’ampia superficie di aree archeologiche visibili e visitabili, le differenti potenzialità conoscitive delle ricerche passate ha reso, in molti casi, nota in forma solo del tutto generica o congetturale la datazione, la funzione, la completa estensione e la relazione reciproca dei monumenti nel quadro della città antica. Molto rimane, quindi, ancora da fare in futuro per restituire e rendere fruibile al pubblico e alla comunità scientifica un patrimonio ancora ricco di potenzialità conoscitive, che solo tramite l’applicazione delle nuove metodologie di indagine potranno essere messe a frutto sia sotto il profilo scientifico che in termini di fruizione e valorizzazione. 2.1 Breve storia della ricerca ad Aquileia Dopo le prime esperienze settecentesche, maturate nell’opera di G. D. Bertoli del 1739, la raccolta di materiale antico Progetto scientifico - 21 e la pratica di scavo conobbero una prima intensa fase in epoca francese (inizi del XIX secolo) e una prima codifica in epoca austriaca dal 1816. La rinuncia dei diritti sulle Antichità da parte dello Stato austriaco nel 1846 rese possibile ai privati la facile accessibilità ai manufatti antichi per costruzioni o per raccolte d’arte e fu solo in parte diminuita da successivi interventi volti a far maturare il senso della conservazione e della tutela grazie alla costituzione della Imperial-Regia Commissione per lo studio e il mantenimento degli edifici storici nel 1850. Passi in avanti in questo senso furono condotti nel 1882 con l’apertura dell’Imperial Regio Museo, guidato da E. Maionica, che si assicurò il diritto di acquisizione dei reperti rinvenuti (1884) e avviò pratiche sempre più frequenti di controllo degli scavi urbani. Esito della crescita dell’attività fu la pubblicazione da parte dello stesso Maionica della fondamentale Fundkarte von Aquileja nel 1893, primo vero strumento di conoscenza della realtà antica di Aquileia. Tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo altri eventi importanti maturarono, primo fra tutti la scoperta dei mosaici delle basiliche teodoriane e la costituzione della Società per la Conservazione della Basilica. Il passaggio di Aquileia all’Italia da un lato favorì la crescita della prassi di tutela e conservazione con l’emanazione del decreto del 31 agosto del 1915, che vietava scavi non autorizzati e obbligava la denuncia del rinvenimento fortuito e di beni posseduti, ma dall’altro fece della città antica lo strumento culturale di forme di patriottismo che in essa vedevano “la seconda Roma”, dove si fondevano Cristianità, Romanità e Italianità. La città, che “rappresentava l’antica Roma col suo diritto e i suoi monumenti” divenne quindi il teatro della retorica nazionalista, in cui i monumenti dell’antica gloriosa epoca romana erano spesso strumento del disegno geopolitico antiaustriaco. Tra il 1915 e il 1917 furono così condotti massicci interventi di scavo alla caccia di strutture antiche e, a posteriori, Aristide Calderini dichiarò che “nessuna celebrazione fu più degna di quegli scavi per celebrare il ritorno di Aquileia all’Italia”. Prese allora avvio un periodo di alcuni decenni in cui l’attività appare assai intensa, e ben sostenuta dallo Stato sotto il profilo economico, anche in ragione delle finalità propagandistiche di regime di cui si caricava le scoperta della romanità. Protagonista della lunga stagione di ricerche condotte, con ritmo molto vivace, tra le due guerre fu Giovanni Brusin (1883-1976), dal 1922 Direttore del Museo archeologico e figura eccelsa di studioso e divulgatore. Le indagini eseguite sotto la sua direzione portarono alla luce i più importanti complessi archeologici di Aquileia e il suo operato rivestì, in generale, un ruolo fondamentale per la conoscenza e la valorizzazione del patrimonio archeologico della città. È in questo clima, di certo favorito in origine dalle istanze politico-culturali dell’epoca, che vennero gettate le premesse per la creazione del sito archeologico di Aquileia, così come si configura sostanzialmente fino ad oggi. Al 1934 risalgono i primi scavi sistematici del foro, che ne misero in luce il porticato orientale, in seguito ricostruito con l’anastilosi di alcune colonne, secondo la tecnica, al tempo ampiamente sperimentata, delle integrazioni in materiale laterizio. Gli scavi del foro proseguiranno nei decenni a venire, con la liberazione dell’area centrale della piazza dalle abitazioni che ne occupavano la platea e tuttora proseguono nel lato occidentale; ma la configurazione attribuita al monumento in seguito agli interventi ricostruttivi del Brusin domina ancora, indelebilmente, il paesaggio archeologico aquileiese. Le medesime esigenze culturali, improntate alla pubblica fruibilità dei resti antichi, informano anche la sistemazione dell’area del porto fluviale, con la creazione nel 1934 di una passeggiata archeologica all’ombra dei cipressi denominata “Via Sacra”, e i restauri del Sepolcreto detto della via “Annia” e del grande mausoleo Candia, eseguiti rispettivamente nel 1942 e nel 1955. Attraverso questa intensa attività di scavo e riqualificazione in situ dei principali monumenti dell’Aquileia romana 22 - PIANi di valorizzazione di aquileia venne progressivamente a delinearsi un panorama archeologico improntato al mito della romanità, che identificava nell’età imperiale l’elemento qualificante di ogni intervento di ricerca e valorizzazione, a scapito di altri periodi storici considerati di minore interesse. Alla fine di tale periodo, nel corso degli anni ’50 del ‘900 il sito archeologico di Aquileia risulta, dunque, già costituito nei suoi tratti essenziali, con la sua ampia estensione di resti archeologici restituiti alla fruizione pubblica all’interno delle aree archeologiche all’aperto, cui si aggiunsero gli interventi di ammodernamento del Museo Archeologico Nazionale e nel 1961 la creazione del Museo Paleocristiano per valorizzare le eccezionali testimonianze della basilica di Monastero, con la sua distesa di mosaici policromi, e delle antichità cristiane di Aquileia. All’intensa attività sul campo portata avanti in quegli anni corrispose una altrettanto intensa attività di pubblicazione e informazione sui risultati ottenuti, attraverso i fondamentali strumenti delle riviste Aquileia Nostra, Aquileia Chiama e Notizie degli Scavi, oltre che di numerose opere monografiche, anche se ancora molto rimane da fare in vista di una più completa edizione dei complessi indagati e di una più adeguata sistemazione dei complessi monumentali. La politica di valorizzazione messa a punto da Giovanni Brusin non poté tuttavia essere portata avanti nel periodo successivo, in ragione sia delle mutate condizioni economiche, politiche e culturali generali sia del crescente sviluppo edilizio dell’abitato moderno. Negli anni ’60-’70 tale situazione rese necessaria un’attenta politica di tutela, che a fronte della moltiplicazione delle scoperte, condotte perlopiù in condizioni di emergenza, non potè render ragione delle enormi potenzialità del sito sia sul piano della valorizzazione che della ricerca scientifica. L’intensa attività portata avanti in questo periodo da Luisa Bertacchi, indirizzata a sondare aree a rischio archeologico, per imporre vincoli di tutela, o “bonificare” aree per le previste opere edilizie pubbliche o private, accrebbe notevolmente la conoscenza dell’impianto urbano e monumentale di Aquileia, ampliando l’area demaniale grazie a una politica di acquisizioni volta almeno a salvaguardare – vista l’impossibilità di valorizzare – ampie porzioni della città antica. Sono gli anni degli scavi delle fognature, dell’ampliamento delle indagini nelle Grandi Terme e delle scoperte delle ricche domus del quartiere settentrionale. Purtroppo in queste aree, dopo l’acquisto dei terreni, non è stato possibile portare avanti il programma di valorizzazione in maniera adeguata all’importanza dei resti conservati nel sottosuolo e ancora molto rimane da fare in vista di una loro corretta valorizzazione, che comporti il completamento degli scavi e la messa a punto di aggiornati sistemi di manutenzione con la creazione, ove necessario, di più adatti sistemi di copertura. L’impossibilità di una coerente programmazione delle indagini, determinata dal carattere contigente degli interventi, non rese, inoltre, sempre possibile l’approfondimento delle indagini ai fini di una più completa conoscenza diacronica, spaziale e funzionale dei contesti, la cui indagine rimaneva limitata entro i confini spaziali delle singole proprietà. Allo stesso tempo, le difficoltà economiche e il ritmo serrato delle ricerche non fornirono in molti casi le condizioni per produrre esaustive edizioni dei dati, se non in forma di relazioni preliminari o brevi notizie, lasciando così ampi margini di approfondimento futuro. In questa prospettiva, alla meritoria e istituzionale attività di tutela svolta dagli organi periferici del Ministero per i beni e le Attività Culturali (Soprintendenza per i Beni Archeologici), a partire dagli anni ’80, si è aggiunto l’intervento di numerosi Atenei (cfr. infra) sulla base di Convenzioni e Concessioni rilasciate dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Il loro intervento ha arricchito le prospettive di indagine, consentendo di affiacare alla quotidiana attività di tutela una programmazione delle ricerche sul lungo periodo, già in parte condotta dalla Soprintendenza (ad esempio negli scavi del foro), con finalità sia scientifico-conoscitive di aree solo parzialmente indagate, che di valorizzazione delle aree archeologiche già in parte fruibili. L’insieme di questi interventi consente ora di aggiungere nuovi e più approfonditi dati (grazie all’utilizzo dei più moderni metodi di indagine), alla conoscenza della città, che vanno ad arricchire i risultati della intensa attività condotta dalla Soprintendenza nel corso del ‘900 di recente confluiti nell’edizione nel 2003 della Progetto scientifico - 23 Nuova pianta archeologica di Aquileia a cura di L. Bertacchi. In essa sono rappresentati gli innumerevoli resti e complessi fino ad allora riportati alla luce grazie ad un dettagliato apparato cartografico, anche se la sezione critico-interpretativa dell’opera rivela la difficoltà, imposta dalle contingenze degli scavi, di ottenere informazioni puntuali ed esaustive sulle singole realtà rappresentate. 2.2 Conoscenza e valorizzazione Dalla storia delle ricerche fin qui tracciata, pur in maniera schematica, emergono in maniera precisa la grande importanza delle conoscenze fino ad ora acquisite e le ancora enormi potenzialità conoscitive che l’immenso patrimonio archeologico di Aquileia rende oggi disponibili. Purtuttavia, le modalità con cui sono stati condotti gli scavi del passato, spesso in situazioni di emergenza, e soprattutto la coesistenza delle aree archeologiche con l’abitato moderno hanno determinato la frammentazione del panorama archeologico, disseminato quasi “a pelle di leopardo” sui 90 ettari della città e del suo suburbio, con importanti ripercussioni sulla strutturazione del parco archeologico. Uno dei problemi più rilevanti deriva, in particolare, dal fatto che non esiste, ad oggi, ad Aquileia nessun complesso architettonico conosciuto e visibile per intero e anche all’interno delle pur vaste aree archeologiche i complessi messi in luce non risultano del tutto compresi nella loro articolazione planimetrica, cronologica e funzionale. Ciò che qui interessa sottolineare è come queste lacune nella conoscenza delle aree archeologiche aquileiesi riguardino elementi (articolazione planimetrica, cronologia, funzione, lunga durata) che appaiono assolutamente basilari per la progettazione di qualsiasi forma di valorizzazione dei complessi, di fruizione da parte dei turisti e del pubblico e di divulgazione delle informazioni. Ai fini della progettazione del parco archeologico, i futuri piani di valorizzazione e gestione relativi al patrimonio archeologico dovranno, pertanto, porre la propria attenzione, in via assolutamente prioritaria, sull’impellente necessità di riavviare e sostenere processi di indagine e conoscenza sulla città antica, finalizzati ad una quanto più completa comprensione degli edifici e più in generale della città, nel loro sviluppo diacronico. A tal fine, il ricorso alle moderne tecniche interdisciplinari di indagine archeologica, che lo sviluppo degli studi mette ora, più che nel passato, a disposizione della ricerca, dovrà puntare ad ottimizzare le azioni di intervento sia per quanto riguarda lo scavo sia per quanto riguarda il restauro, consentendo di scavare di meno, a fronte di risultati più efficaci sul piano della conoscenza. Nella prospettiva della programmazione del parco archeologico, i piani della ricerca scientifica ad Aquileia dovranno affiancare in futuro, in maniera progressivamente predominante, alla ricerca sul terreno per prevalenti finalità di conoscenza la ricerca sul terreno a supporto dei piani di valorizzazione. Dovrà, inoltre, essere potenziato lo studio dei materiali presenti nelle collezioni dei Musei, con l’ausilio delle sopra citate tecniche informatiche di schedatura e catalogazione. 2.3 La ricerca programmata Una prima forma di ricerca archeologica che dovrà interessare nel futuro Aquileia si qualifica come Ricerca programmata in quanto nasce da un preciso piano teso ad affrontare specifiche problematiche storiche senza condizionamenti di alcun genere; essa dovrà avere come obiettivo il recupero di informazioni relative ad edifici, contesti o tematiche archeologiche di particolare rilevanza, al fine di generare basi di conoscenza adeguate su settori quanto più ampi possibili dell’area urbana, suburbana e, per quanto possibile, extraurbana. Tali ricerche potranno essere condotte sia 24 - PIANi di valorizzazione di aquileia da Istituzioni universitarie o da enti di ricerca, con programmi di indagine stabiliti a priori e con tempi di esecuzione non vincolati da elementi esterni alla ricerca stessa, sia dagli enti di tutela attraverso gli scavi di emergenza. Questi ultimi, pur svolti per risolvere necessità edilizie sul tessuto urbano moderno, grazie all’applicazione sistematica delle moderne tecniche di indagine interdisciplinari, dovranno essere condotti in modo da poter sfruttare al meglio le potenzialità conoscitive offerte dalle situazioni di emergenza, che costituiscono, in alcuni casi, l’unico strumento per approfondire la conoscenza di aree urbane altrimenti non indagabili. Con questi presupposti, la ricerca programmata potrà proiettarsi verso aree ancora non indagate dello spazio urbano, dove esercitare la pratica di indagine stratigrafica su contesti ancora non intaccati da sterri o da eventi deleteri per la comprensione del terreno e dei manufatti; potrà indirizzarsi al riesame architettonico e stratigrafico di complessi già indagati in passato, ma non studiati a fondo, attraverso rilievi architettonici e tecnico-edilizi, ma anche e soprattutto attraverso la ripresa delle indagini stratigrafiche su settori degli stessi edifici ancora non toccati da scavi precedenti. Infine la ricerca potrà anche indirizzarsi verso zone dello spazio urbano o del suburbio dove, pur in assenza di particolari contesti monumentali, il terreno conserva porzioni di stratigrafie profonde relative a contesti di minor rilevanza architettonica ma di rilievo storico-urbanistico, storico-produttivo o storico-sociale. Gli obiettivi di questa modalità di ricerca sono numerosi. In prima istanza, le attività future dovranno indirizzare tutti gli enti coinvolti nella ricerca e nella tutela sia nel miglioramento della conoscenza sia nelle attività di restauro e manutenzione delle aree archeologiche già fruibili, ai fini di una loro più congrua valorizzazione. Solo una volta avviato questo processo di riqualificazione delle aree archeologiche in vista della costituzione del parco, si potrà ampliare la ricerca verso nuovi contesti architettonici e nuovi manufatti non ancora noti, o solo parzialmente messi in luce in passato con metodologie non aggiornate, così da arricchire ulteriormente il pur già denso patrimonio archeologico della città; le novità di conoscenza costituiscono la linfa vitale del progresso della scienza archeologica. Nella prospettiva dell’ampliamento della conoscenza della città antica nella sua globalità – strumento fondamentale e imprescindibile per la progettazione della divulgazionone nell’ambito del parco –, un ulteriore obiettivo verso cui indirizzare la ricerca programmata consiste nella ricostruzione di sequenze quanto più complete possibile sull’evoluzione urbana per alcuni contesti e punti critici dello spazio cittadino, dalla Protostoria all’Altomedioevo; grazie ad essi sarà possibile costruire modelli di evoluzione dello scenario urbano, da aggiornare periodicamente con il procedere delle indagini, in modo che possano costituire punti di riferimento e di raffronto per altre parti della città meno conosciute. Un versante fondamentale della futura ricerca programmata dovrà essere, inoltre, costituito dallo studio del contesto ambientale della città antica, già avviato in passato da gruppi di ricerca misti italo-francesi e condotto con ottimi risultati soprattutto per quanto riguarda l’aspetto paleofluviale. Questo tipo di ricerca, fondamentale per comprendere i condizionamenti operati dall’ambiente sull’assetto della città (e dall’uomo sulla natura) nelle sue varie fasi storiche, dovrà proseguire ampliando lo spettro d’azione dei nuovi interventi di scavo, che dovranno avere sempre carattere interdisciplinare, sia verso il problema delle relazioni tra la città, le lagune e la costa, sia considerando settori diversi del quadro ambientale. In questo senso appaiono oggi non soddisfacenti le conoscenze sullo scenario geomorfologico, paleoidrologico e paleobotanico che dovranno ricevere adeguata attenzione. Sempre nel quadro delle relazioni tra lo scenario antropico (urbanistico, architettonico, economico) e quello ambientale, un particolare riguardo meritano in futuro le forme di approvvigionamento e di utilizzo del materiale da costruzione Progetto scientifico - 25 che fece di Aquileia uno dei centri di più grande rilevanza monumentale del mondo antico. In tale senso lo studio, già in parte avviato, dei bacini del medio Friuli, di Aurisina, dell’Istria e della riviera triestina potranno fornire fondamentali informazioni per ricostruire il rapporto tra la città e il territorio, per comprendere le dinamiche economiche legate all’architettura, per meglio comprendere tipologie e committenza degli edifici. Infine tra le ricerche programmate da sostenere nel futuro vanno menzionate quelle dedicate ad aspetti tematici della città antica e trasversali rispetto ai singoli contesti monumentali. Tra le molte si possono citare quelle sull’edilizia pubblica, sull’edilizia privata, basilare per le ricostruzioni degli assetti sociali e sugli aspetti decorativi dei monumenti antichi, con particolare riguardo alla produzione musiva che fa di Aquileia uno dei centri più importanti del mondo antico per lo studio del mosaico. In sintesi, ai fini della progettazione del parco archeologico, appare fondamentale instaurare un rapporto diretto tra la ricerca programmata e i concreti piani di valorizzazione dei complessi archeologici. In via prioritaria le indagini dovranno dunque interessare contesti apprezzabili sul piano della fruizione e perciò meritevoli di successivo consolidamento e sistemazione. In tal caso l’esito delle ricerche sarà basilare per l’impostazione delle forme di fruizione e della divulgazione. In altri casi, tuttavia, nell’ottica della ricostruzione di un quadro complessivo di conoscenze sulla città antica, a fini scinetifici ma anche divulgativi, la ricerca programmata potrà essere rivolta all’indagine di contesti architettonici o ambientali di assoluto valore scientifico, ma privi di evidenze monumentali e segnati da lacerti di edifici mal conservati; in tal caso, al termine dell’indagine scientifica, è opportuno giungere alla ricopertura dei resti, con adeguate protezioni, al fine di non esporre i manufatti allo stress meteorologico a tempo indeterminato e di evitare evidenti deleteri effetti per i manufatti stessi e per il decoro delle aree archeologiche. La conclusione delle attività di ricerca programmata dovrà pertanto prevedere due possibili esiti: a) Musealizzazione dei resti. Quando la particolare rilevanza delle vestigia rimesse in luce e la disponibilità economica lo consentono è da prendere in esame la programmazione di un intervento di consolidamento, adeguamento e musealizzazione dei resti, attuati in accordo con gli enti ministeriali (Soprintendenza per i Beni Archeologici del FVG) e territoriali preposti alla conservazione, alla tutela e alla valorizzazione. La progettazione delle attività di scavo dovrà quindi prevedere i fondi necessari al restauro e alla valorizzazione sia delle strutture sia dei reperti messi in luce. b) Ricopertura dei resti. Nei casi in cui le vestigia antiche non presentino caratteri sufficientemente apprezzabili e/o quando non sia possibile predisporre un quadro di risorse finanziarie adeguato alla conservazione a vista dei resti è assolutamente preferibile giungere, dopo le più complete operazioni di documentazione, alla ricopertura dei resti, così da impedire l’innesco di processi di degrado che in pochi anni possono produrre la scomparsa delle realtà antiche. Un cenno merita infine la necessità per il futuro di integrare le ricerche svolte in città con parallele indagini sul contesto territoriale ad essa afferente in età antica; la natura commerciale di Aquileia non escludeva la valenza fondamentale del suo rapporto, prevalentemente agricolo, con il territorio, da cui nasce una necessità assoluta di giungere a considerare la città in stretta relazione con le aree agrarie. Pertanto scavi e ricerche di superficie condotte presso villae rusticae del territorio appaiono per il futuro indispensabili al fine di inquadrare adeguatamente la vita di Aquileia. Una questione di particolare rilievo tocca le ricerche programmate e riguarda le risorse necessarie per il loro svolgimento. Considerato il progressivo inaridimento del flusso di finanziamenti diretto agli Atenei e agli altri enti di ricerca, sarà indispensabile cercare le forme più appropriate per sostenere la ricerca programmata attraverso enti e istituzioni territoriali al fine di garantire ai piani di valorizzazione lo svolgimento di attività che, come detto, assumono 26 - PIANi di valorizzazione di aquileia qualifica propedeutica a qualsiasi successivo intervento. È altresì necessario rilevare che la conduzione delle ricerche programmate e opportunamente finanziate non potrà essere svolta dai singoli gruppi di ricercatori in forma isolata, non sinergica e senza esiti editoriali appropriati. Senza intaccare il principio assoluto della “liberta di ricerca” e della “garanzia di ricerca” dei singoli istituti autorizzati a svolgerla, la conduzione delle indagini, di qualsiasi natura, dovrà infatti seguire una rigida programmazione preventiva, concordata tra i vari nuclei di ricerca, con la presentazione annuale e pluriennale di obiettivi e di strategie condivise e condivisibili, d’intesa fra tutti i soggetti coinvolti (Ministero, Soprintendenza, Università). A valle della programmazione preventiva, le ricerche programmate dovranno però inderogabilmente trovare momenti di sintesi comune per la discussione e la valutazione dei risultati che solo in funzione del loro intreccio forniranno vera crescita esponenziale delle conoscenze sulla città antica. A tal fine va ritenuta imprescindibile la realizzazione di incontri seminariali o congressuali a scadenze fissate dove metodi e risultati delle ricerche vengano presentati ai ricercatori e al pubblico. Un esempio costruttivo in tal senso è stato lo svolgimento delle Settimane di studi aquileiesi istituite da M. Mirabella Roberti, che dal 1972 hanno riunito studiosi di Aquileia e del mondo antico a discutere di problematiche relative alla metropoli nordadriatica e ad altri temi ad essa collegati. Da ultimo, dovrà essere garantita da tutti i gruppi di ricerca una sistematica attività editoriale, nella prospettiva di fornire rapporti periodici e soprattutto edizioni finali ed integrali dei contesti indagati. Ai fini della divulgazione dei risultati delle ricerche effettuate presso un pubblico quanto più ampio possibile, risulta indispensabile prevedere tipologie diversificate di pubblicazione, rivolte a differenti classi di utenti: nello specificio, all’edizione scientifica dei contesti indagati o delle ricerche eseguite dovranno essere affiancate forme di comunicazione divulgativa, dirette ad un più ampio spettro di fruitori. Sia per quanto riguarda le edizioni di scavo che le forme di comunicazione divulgativa appare necessaria la costituzione di apposite collane editoriali in cui far confluire in serie la pubblicazione di tutti gli scavi e le ricerche condotti sulla città antica. Attraverso questa operazione si tenterà così di invertire la tendenza propria di molti siti archeologici di sottoporre ad indagine un numero di contesti di gran lunga superiore a quelli poi editi in forma esaustiva. Solo la pubblicazione di tutti i dati di scavo e le relative interpretazioni consente, infatti, di fissare punti fermi nella ricostruzione dell’evoluzione e dell’assetto della città verso cui la ricerca deve tendere costantemente. 2.4 La ricerca per la valorizzazione Se, come si è detto, l’obiettivo primario delle ricerche programmate dovrà perseguire finalià di valorizzazione, nella prospettiva della progettazione del parco archeologico, sarà necessario prevedere per il futuro interventi di ricerca archeologica che sappiano coniugare, con necessari sforzi di sintesi, l’attenta analisi scientifica del dato architettonico e stratigrafico con le necessità progettuali e logistiche dei piani di valorizzazione preventivamente concordati. Un’archeologia, quindi, al pari funzionale alla conoscenza e alla valorizzazione e di questa supporto diretto e azione propedeutica. In questo senso sono da prevedere almeno tre forme di intervento di ricerca archeologica per supportare direttamente la pianificazione della valorizzazione: • Eseguire indagini presso contesti monumentali di particolare interesse che vennero indagati in passato e furono Progetto scientifico - 27 rimessi in luce solo parzialmente e che appaiono pertanto non adeguatamente fruibili ed apprezzabili dal pubblico; in questi casi le indagini potranno estendere l’area di scavo fino a ricomprendere per intero il complesso monumentale di interesse, ridefinendo, ove possibile, l’assetto architettonico, la sua cronologia d’impianto e la sua evoluzione nel tempo. • eseguire sondaggi mirati presso complessi edilizi o monumentali inseriti nei piani di valorizzazione al fine di precisare dettagli architettonici, della sequenza edilizia o cronologici indispensabili per stendere i progetti di recupero e fruizione. • indagini d’archivio per la rilettura di documentazione fotografica, grafica e testuale utile a ricontestualizzare manufatti conservati nel Museo o a ricostruire il volto di aree desinate alla valorizzazione e indagate in passato. In tutti i casi le ricerche per la valorizzazione risulteranno fondamentali a fornire chiavi di lettura e dati utili ad impostare piani di sistemazione dei resti che siano rispettosi delle sequenze architettonico-monumentali e progetti di divulgazione che siano basati su dati e informazioni quanto più corrette possibile. Le ricerche archeologiche finalizzate ai piani di valorizzazione dovranno inoltre essere articolate sul piano operativo in modo da riportare in luce sulla massima estensione possibile evidenze architettonico-monumentali riferibili ad un medesimo periodo storico e pertanto più facilmente apprezzabili da parte dei futuri fruitori, operando scelte precise e limitando l’indagine in taluni punti così da evitare la visualizzazione di palinsesti stratigrafico-strutturali che rendono spesso illeggibili i resti antichi. Per rendere l’idea della lunga continuità di vita della città sarà invece possibile selezionare alcune mirate “finestre stratigrafiche” diacroniche, adeguatamente dotate di apparati didattici, o predisporre aree di visita diverse per luogo e periodo di riferimento. L’attivazione di programmi di ricerca per la valorizzazione dovrà prevedere attività spesso onerose sul piano operativo per quanti ne assumeranno l’incarico. Tra i punti cruciali delle future ricerche funzionali alla valorizzazione delle aree vanno pertanto preventivati tempi di svolgimento serrati, per adeguarsi ai cronoprogrammi spesso fitti dei piani di valorizzazione. Per questo le ricerche dedicate alla valorizzazione potranno veder impegnati i gruppi di ricerca per periodi di durata verosimilmente compresa tra i due e i quattro anni, a seconda dei casi, con campagne annuali prolungate per alcuni mesi. Per quanto riguarda l’aspetto delle risorse economiche, le ricerche per la valorizzazione dovranno ovviamente entrare nelle dinamiche dei piani economici dei progetti di valorizzazione e all’interno di questi recuperare quanto necessario per il loro svolgimento. L’esito naturale dei progetti di ricerca per la valorizzazione è il contributo diretto ai progetti di valorizzazione in termini di supporto alla progettazione delle opere e in termini di supporto alla creazione dell’apparato divulgativo (pannellistica e prodotti informativi, edizione di guide alla visita, etc.). 2.5 La ricerca in Museo Dall’inizio del XIX secolo l’istituzione museale di Aquileia, evolutasi sotto varie denominazioni e forme (Museo Eugeniano, Imperial Regio Museo, Museo Archeologico Nazionale), è stata sempre e comunque un punto di riferimento imprescindibile per le ricerche archeologiche condotte in città e nell’agro. In particolare i depositi del Museo, istituito nelle forme e nella sede attuale nel 1882, hanno via via raccolto la quasi totalità dei manufatti recuperati nel corso delle 28 - PIANi di valorizzazione di aquileia indagini, acquisendo un patrimonio inestimabile di frammenti ceramici, prodotti dell’artigianato seriale e artistico, frammenti architettonici e iscrizioni; fra questi, la raccolta di testi epigrafici costituisce una silloge documentaria di inestimabile valore per la storia evenemenziale, politica, urbanistica, sociale ed economica della città e di buona parte dell’Italia settentrionale. Solo una parte minima dei fondi sono esposti nell’attuale allestimento e solo una minima parte delle raccolte complessive è stata adeguatamente studiata in relazione al contesto di provenienza e alla tipologia di riferimento. Per il futuro è quindi indispensabile prevedere la prosecuzione o l’attivazione ex novo di programmi mirati di indagine scientifica volti a riprendere in esame con sistematicità i depositi del Museo secondo un duplice filone di indagine: a) da un lato affrontare lo studio di lotti di materiali unitari per provenienza e giungere così all’analisi di specifici contesti urbani indagati in passato ma mai affrontati con ricerche parallele tra il terreno e i reperti ad essi afferenti; b) dall’altro lato affrontare lo studio di specifiche classi di materiali (ceramiche, vetri, metalli, plastica figurata, frammenti architettonici, rivestimenti parietali e pavimentali, oggetti di ornamento, etc.) per costruire seriazioni cronotipologiche o ridisegnare scenari di produzioni artigianali e artistiche antiche. Come già esplicitato più sopra, necessario supporto di tali studi dovranno essere le più moderne tecniche informatiche di catalogazione dei materiali, considerate ormai strumento fondamentale sia ai fini della ricerca che dell’archiviazione dei dati. L’esito di tali ricerche dovrà essere la costituzione di una collana editoriale espressamente dedicata alle collezioni museali. Al fine di garantire un livello logistico adeguato allo studio dell’immenso patrimonio museale, imprescindibile appare il riordino e l’ampliamento sia degli spazi espositivi sia dei magazzini. La struttura museale con i relativi magazzini, infatti, non ha potuto beneficiare nel tempo di interventi di ampliamento e potenziamento congrui al parallelo progedire della ricerca sul campo e risulta oggi inadeguata sia sotto l’aspetto espositivo sia per quanto riguarda l’organizzazione degli spazi ai fini dello studio dei materiali. Appare pertanto necessaria una completa riorganizzazione degli spazi sia attraverso la realizzazione di nuovi edifici a struttura modulare da destinare a sedi di magazzino-laboratorio sia, eventualmente, attraverso l’adattamento di edifici già ristrutturati, al fine di costituire in essi adeguati spazi per l’analisi dei manufatti, la loro seriazione, la riproduzione grafica e fotografica e il loro completo studio. Parallelamente, sono auspicabili sia il riallestimento del museo esistente, nell’ottica di valorizzare le peculiarità storicoantiquarie dell’attuale allestimento, sia un importante intervento di riorganizzazione degli spazi espositivi tramite la costruzione di una nuova sede museale improntata ai più aggiornati criteri espositivi (cfr. infra, par. 5.3.1). 2.6 Le strutture per la ricerca La prospettive di una proficua ricerca scientifica programmata o di supporto alla valorizzazione dovranno essere accompagnate dall’allestimento e dal pieno funzionamento di strutture che integrino e completino le attività sul campo. In primo luogo i diversi gruppi di ricerca operativi ad Aquileia nel corso dell’anno dovranno disporre di Laboratori destinati allo svolgimento delle prime attività di pulitura, catalogazione, consolidamento, documentazione grafica e fotografica dei reperti. Tali attività, evidentemente cruciali, si sono fino ad ora svolte in sedi improvvisate e non adeguate all’importanza e alla delicatezza dell’azione. Congiunto ai luoghi del trattamento dei reperti va fissato un Progetto scientifico - 29 adeguato ambito di stoccaggio degli stessi. Si tratta in sintesi di fissare un centro di elaborazione dei dati di scavo aperto a tutti i ricercatori per un arco di tempo quanto più possibile esteso nel corso dell’anno e destinato a diventare il fulcro stabile dove i diversi progetti di indagine realizzati ad Aquileia possano trovare momenti di sinergia e confronto sia sul piano del metodo sia su quello dei risultati. Strettamente connesso, anche fisicamente, a tale centro di ricerca permanente è da immaginare il nuovo allestimento di una Biblioteca di Archeologia in cui far convergere i già ricchi patrimoni librari della Soprintendenza Archeologia del FVG e del Comune di Aquileia, così da dare vita ad un centro di documentazione su Aquileia del tutto esauriente e dotato di tutta la produzione editoriale sul centro adriatico. Al pari, in tale fondo librario dovranno essere costantemente aggiornate e potenziate le disponibilità di riviste e monografie relative sia ai centri del mondo romano cisalpino e danubiano sia relative a filoni tematici caratteristici del quadro aquileiese, come le produzioni artigianali, i rivestimenti musivi, l’architettura domestica, l’architettura pubblica. Accanto alle esigenze degli studiosi, nella prospettiva della costituzione del parco archeologico, bisogna inoltre prevedere la possibilità di fruizione della biblioteca anche da parte di un pubblico più ampio, interessato a forme di comunicazione divulgativa sui temi inerenti la città antica. La biblioteca dovrà pertanto dotarsi di pubblicazioni e riviste accessibili all’ampio pubblico di fruitori del parco archeologico, oltre che di spazi riservati alla divulgazione (sale conferenze, spazi per la proiezione di video e filmati). In tal modo questo importante spazio potrà essere integrato all’interno della strutturazione stessa del parco, trasformandosi in un luogo “vivo” di comunicazione e divulgazione. 30 - PIANi di valorizzazione di aquileia 3. La comunicazione Uno dei compiti del costituendo parco archeologico sarà quello di sviluppare la comunicazione destinata ad illustrare il tessuto storico-archeologico di Aquileia. In prospettiva futura, ai fini di ottemperare a questa funzione fondamentale del parco, sono da prevedere alcuni decisivi supporti informativi che abbiano come referenti sia la comunità scientifica sia la comunità del turismo culturale sia la cittadinanza aquileiese. 1. Se si eccettuano opere di carattere scientifico non fruibili dal largo pubblico, si può affermare che Aquileia non dispone oggi di una pianta del centro urbano a tematismo archeologico. Appare quindi in primo luogo indispensabile produrre uno strumento di orientamento topografico per la comprensione di sintesi della realtà urbana antica e per la sua visitabilità. Va quindi realizzata una carta archeologica semplificata della città e del suburbio, in formati piccoli e medi, in cui siano rappresentate tutte le aree archeologiche visibili e visitabili così come la posizione dei monumenti scavati in passato ma non più visibili. 2. Aquileia non dispone oggi di una guida archeologica aggiornata. A corredo dello strumento cartografico appare quindi assolutamente necessaria la realizzazione di una Guida archeologica illustrata della città e del territorio. Questa deve sintetizzare la grande mole di dati relativa agli scavi del secolo scorso e integrare questa con i dati ricavati dalle ricerche condotte negli ultimi trent’anni da istituzioni di ricerca e dalla Soprintendenza. 3. Allo strumento cartografico e di guida testuale vanno affiancati strumenti di divulgazione grazie a cui l’utente possa assumere in forma passiva le informazioni. In questo senso va potenziata l’offerta di Audioguide, già presenti ma da aggiornare periodicamente per quanto riguarda i contenuti. 4. Alle forme tradizionali di divulgazione (cartografica, testuale e audio) possono essere affiancati strumenti di sempre maggiore diffusione per la divulgazione multimediale. Il caso di Aquileia si presta all’impiego di dispositivi di telefonia mobile di generazione avanzata o dispositivi palmari (o di formato tablet Pc) nei quali le informazioni di carattere grafico, fotografico, testuale possono essere fruite e “richiamate” in forma dinamica e differenziata grazie all’impiego dei sistemi di posizionamento satellitare inclusi nei dispositivi stessi. La visita della città potrà in tal modo svolgersi con l’ausilio di strumentazione, personale del visitatore o concessa in uso, che “riconosce” le diverse aree archeologiche in base alla posizione assoluta nel quadro urbano e le presenta al visitatore estrapolando da banche dati precaricate o scaricate progressivamente le informazioni relative a ciascun contesto. 5. Indispensabile e improrogabile appare poi un progetto unitario, omogeneo e ubiquitario di pannelli illustrativi presso tutti i poli di interesse storico-archeologico della città. È importante sottolineare in primo luogo che il nuovo allestimento del sistema di pannelli dovrà essere preceduto dalla rimozione di tutti gli altri similari apparati che, pur realizzati in forme e con contenuti apprezzabili, oggi appaiono disseminati per la città in uno stato di complessivo disordine e forniscono informazioni disomogenee e non coordinate tra loro. I nuovi supporti dovranno risultare integrati nei percorsi di visita urbani (cfr. infra) e contenere adeguate informazioni di localizzazione topografica e dati testuali e grafici, planimetrici e ricostruttivi su tutti i complessi architettonici o le aree presso cui sono posti. Essi dovranno interessare sia le aree scavate in passato e già oggi visibili o visitabili, di cui si fornisce un elenco ragionato più avanti, sia quelle indagate in vari momenti e non lasciate a vista, ma di fondamentale importanza per la comprensione della città (Anfiteatro, Circo, Necropoli, Beligna, S. Giovanni in foro, Porte urbiche, Comitium, Abitato protostorico presso l’essiccatoio nord, Complesso a sud della Natissa, Canale Anfora, di Monastero, Mura, Porta settentrionale e Porta occidentale). Progetto scientifico - 31 6. A sintetizzare tutte le forme di comunicazione turistica e a diffonderle in forma più estesa possibile dovrà provvedere la costituzione di un Portale web dedicato alla città in grado di presentare al pubblico tutte le informazioni ad esso relative. Una possibile struttura da adottare appare la seguente: Home page Presentazione del Parco e del sito Link al sito generale dei Parchi archeologici d’Italia Il sito archeologico Il territorio Storia degli studi e degli scavi (con photogallery) Storia e sviluppo del sito Bibliografia Il Parco Nascita Gestione Normative Responsabili Accesso e servizi Google maps Strade Orari Bigliettazione Disabili Parcheggio Servizi igienici e di ristorazione Visita virtuale Percorso Principali complessi (descrizione e photogallery) Antiquarium (se presente) Didattica e assistenza Supporti didattici (pannelli, guide a stampa, borchure) Visite guidate Attività per le scuole Laboratori 32 - PIANi di valorizzazione di aquileia Eventi Vari Contatti Indirizzi Telefono Mail per info Download Schede sito Schede complessi visitabili Scheda sedi museali Credits Referenti del sito archeologico Referenti del sito web Link ad Enti e Istituzioni Mibac Soprintendenza Enti territoriali Università coinvolte 7. Didattica. Nel quadro della più completa divulgazione delle informazioni e delle conoscenze, i futuri piani di valorizzazione di Aquileia dovranno tenere presente la necessità di realizzare e sostenere progetti di didattica articolata su diversi livelli di utenza (studenti di scuole elementari, scuole medie inf. e sup., turisti, cittadinanza). Essa potrà articolarsi in percorsi fisici e virtuali nell’ambito delle aree museali di Aquileia e delle aree archeologiche all’aperto già fruibili dal pubblico sia presso quelle in corso di scavo per favorire la partecipazione dei visitatori ai processi di acquisizione e trattamento delle informazioni storiche svolti sul campo. In questo senso vanno predisposte visite agli scavi in corso d’opera e ai laboratori di restauro e catalogazione. Presso le strutture museali sono così da prevedere laboratori didattici di archeologia sperimentale o di simulazione di ricerche sul campo. I programmi didattici dovranno essere svolti da personale con esperienza in materia, qualificato in ambito archeologico e disposto ad operare sinergicamente con le istituzioni che svolgono ricerca ad Aquileia per garantire il continuo aggiornamento delle informazioni divulgate. Allo scopo di rendere più efficace qualsiasi progetto educativo sono da prevedere pubblicazioni dedicate da far confluire in un’apposita collana di tipo didattico. 8. Per garantire un’adeguata diffusione dei risultati degli studi e delle ricerche e un adeguato supporto alle attività didattiche appare necessario prevedere forme editoriali di comunicazione. In questo senso vanno previste almeno due collane di pubblicazioni, caratterizzate, rispettivamente, da un taglio tecnico-scientifico per accogliere i risultati delle ricerche condotte sul campo e nel Museo e da un taglio didattico-divulgativo per accogliere guide turistiche del sito, pubblicazioni divulgative su singoli contesti, guide per bambini, testi per Laboratori formativi o altro materiale dedicato ad una fruizione vasta. Progetto scientifico - 33 Per la predisposizione di tutti gli strumenti e le attività sopra indicati è indispensabile il coinvolgimento degli enti preposti alla valorizzazione e alla tutela (Soprintendenza per i beni Archeologici del FVG), degli enti territoriali (Comune di Aquileia), degli enti che operano ricerca sul campo e in Museo (Università) e di cooperative archeologiche dedite a forme di didattica museale. 34 - PIANi di valorizzazione di aquileia 4. La conservazione e la tutela Introduzione I temi della conservazione e della tutela dei monumenti ad Aquileia attengono alla specifica sfera di competenza del Ministero per i Beni e le Attività Culturali attraverso i propri organi periferici, nel caso specifico la Soprintendenza per i Beni archeologici del FVG. Pertanto in questa sede in cui viene delineato un Progetto scientifico essi non verranno approfonditi fino a produrre una trattazione esaustiva, che è appunto lasciata ad altra sede progettuale, ma saranno succintamente richiamati per il rilievo che questi aspetti comunque rivestono in qualsiasi approccio ad un’area archeologica. La conservazione del bene appare infatti sia, in alcuni casi, la premessa indispensabile di processi di conoscenza scientifica, che non possono affrontare realtà degradate e rese illeggibili dal tempo, sia, in altre circostanze, l’esito di scavi o studi, che sono chiamati a proteggere ciò che è stato indagato e a restituire ad esso le informazioni raccolte in termini di adeguato orientamento del piano conservativo. Ma, con ancora maggiore evidenza, la conservazione e la tutela dei monumenti (con la conoscenza e la comunicazione) sono elementi fondanti del concetto stesso di valorizzazione, di cui il presente piano costituisce un supporto. Valorizzare infatti significa, secondo le correnti accezioni riconosciute, attribuire un valore (di memoria, di esempio, di rarità, di rilievo scientifico, economico, etc.) ad un bene che solo se integro fisicamente può ricevere tale attenzione. 4.1 Le criticità e il monitoraggio Uno dei problemi maggiori nel campo della conservazione dei beni archeologici ad Aquileia è rappresentato dalla lunga e articolata stagione di scavi che ha interessato il centro urbano, particolarmente dal 1915 in poi (cfr. supra par 2.1). Da allora ad oggi le ricerche condotte con diverse finalità e modalità hanno liberato dal terreno una quantità rilevante di resti strutturali e infrastrutturali della città antica, spesso rimasti successivamente esposti senza adeguate forme di consolidamento e copertura. In taluni casi la conclusione degli scavi del secolo scorso ha condotto alla realizzazione di forme di consolidamento, restauro, anastilosi e ricostruzione che non sempre oggi appaiono adeguati sotto il profilo della conservazione. In ogni caso l’esposizione dei resti ha determinato l’avvio di una serie di naturali processi di degrado dovuti alla radicale modifica del contesto (sotterraneo) in cui le strutture per 1500 anni almeno erano state conservate, con alterazione dell’assetto statico, chimico, fisico. Lo stress prevalente per le porzioni di edifici di Aquileia appare quello meteorologico, accentuato dal fatto che il Friuli Venezia Giulia è la regione a più alta piovosità d’Italia con circa 1200/1300 mm di pioggia annui per l’area di Aquileia. L’acqua determina l’innesco di processi chimici e fenomeni meccanici (per il ghiaccio) di profonda alterazione delle pietre e, particolarmente, dei laterizi, con forme di sgretolamento superficiale e di indebolimento strutturale forieri di ulteriori fenomeni degenerativi. La forte piovosità determina inoltre episodi frequenti di alterazione dei suoli circostanti le rovine attraverso il ruscellamento, l’asporto e la delocalizzazione di materiale, che generano stati di rischio statico per singole porzioni di edifici antichi, scalzati della materia di supporto. Serie minacce all’integrità delle strutture antiche derivano infine dalla rigogliosa attività vegetazionale, favorita dalla suddetta elevata piovosità, costante nel corso dell’anno. L’apparato radicale delle essenze erbacee e particolarmente Progetto scientifico - 35 delle essenze arbustive o ancor più di essenze arboree penetra spesso in profondità nei rivestimenti pavimentali o parietali, come nel corpo delle strutture, determinando effetti meccanici di scalzamento di porzioni delle stesse e conseguente dissesto statico, favorendo pure la percolazione idrica nel quadro fessurativo creatosi e avviando ulteriori processi di degrado criogenico durante l’inverno. Anche quando disgiunte fisicamente da strutture e rivestimenti, le essenze arbustive e arboree possono produrre effetti indesiderati sulle stratigrafie e su strutture non ancora note e assumono pertanto generalmente un ruolo negativo nel quadro delle aree archeologiche. Uno dei problemi di maggior rilevanza cui porre attenzione in futuro è costituito dall’assetto idrogeologico dell’area di Aquileia. Nello spazio della città e del suburbio il livello di falda si attesta oggi su livelli assoluti costanti, ma a quote variabili rispetto al mutevole livello delle strutture antiche riferibili ai vari periodi storici. In alcune zone a geomorfologia depressa la linea d’acqua viene così ad interessare pienamente le stratigrafie archeologiche e le strutture antiche connesse, determinando situazioni di degrado materico e causando ostacolo insormontabile al procedere della ricerca come alla sistemazione dei resti in funzione della loro fruizione. L’altezza della falda determina, inoltre, un più difficile deflusso superficiale e sub-superficiale delle acque, con fenomeni di ristagno evidentemente non positivi per il quadro strutturale antico. 4.2 Gli interventi di conservazione Questo stato di fatto in continua evoluzione peggiorativa, che si protrae ormai da molti decenni, richiede nell’immediato futuro interventi di grande impegno progettuale ed economico. Essi devono prendere le mosse da indispensabili campagne di monitoraggio preventivo, rivolto sia all’analisi staticostrutturale dei monumenti, per evidenziare zone a rischio di crolli o di dissesto, sia all’analisi del degrado materico delle strutture, che, nello specifico, deve sortire dalla precisa propedeutica conoscenza di tutti i litotipi impiegati in città e dalle diverse forme della loro alterazione. Un’adeguata campagna di verifiche e controlli preventivi a fine di conservazione appare fondamentale anche per la valutazione del rischio sismico, che nella regione di Aquileia appare di modesta ma non indifferente entità. Ciò vale particolarmente per i complessi conservati in alzato, talvolta fino alla copertura, dove i rischi riguardano le opere murarie come le opere artistiche e i fruitori, ma anche per gli edifici oggetto di anastilosi o per le preventivate opere di riproposizione e copertura dei resti, la cui realizzazione deve tener conto dei potenziali effetti deleteri dei possibili movimenti tellurici per fruitori e manufatti. Dalla conoscenza globale delle criticità così fissata potrà discendere un piano rivolto alla mitigazione delle diverse forme di stress cui sono attualmente sottoposti i contesti archeologici e che ne minacciano in molti casi la conservazione e, conseguentemente, le possibilità di una loro valorizzazione. In forme estremamente sintetiche e indicative si devono prevedere le seguenti attività di protezione, che verranno articolate e selezionate a seconda delle diverse esigenze di ciascun contesto. 1) Riassetto/consolidamento strutturale e statico. Questo intervento si rende necessario in gran parte delle aree archeologiche per rimediare agli effetti del degrado passato e per conferire adeguata solidità futura alle strutture. Esso comporta azioni dirette sui manufatti per ricomposizioni, risarciture, rinforzi, supporti di murature e pavimentazioni. In alcuni casi questi interventi dovranno valutare l’opportunità della conservazione (o della rimozione) dei restauri/ ricostruzioni realizzati nel secolo scorso alla luce della loro compatibilità con le logiche di conservazione attuali e con 36 - PIANi di valorizzazione di aquileia la loro effettiva efficacia protettiva. In tutti i casi gli interventi diretti sulle strutture antiche devono essere precedute e accompagnate da attente analisi dei materiali/leganti antichi utilizzati e da attente scelte dei materiali/leganti da impiegare per le risarciture e il consolidamento. 2) Copertura aree e chiusura. Nei casi di edifici ad assetto strutturale particolarmente debole o dotati di forme di rivestimento di pregio sono da prevedere sia gli interventi di cui al punto precedente sia forme di protezione “totale” dagli agenti atmosferici, attraverso la realizzazione di coperture e chiusure che evitino l’esposizione continua dei resti antichi agli eventi atmosferici e alla diretta “colonizzazione” vegetale. La copertura e la chiusura delle aree archeologiche devono essere progettate e valutate anche in considerazione all’alterazione (talvolta) da loro prodotta nel campo dell’assetto fisico-atmosferico degli ambienti (luce, umidità, ventilazione) al fine di non generare nuove condizioni peggiorative per la conservazione. 3) Diserbo sistematico con strumenti meccanici e chimici. Per contrastare i nefasti effetti dell’attività della vegetazione è necessaria una costante e sistematica manutenzioane del verde; questa dovrà prevedere anche interventi una tantum di sradicamento delle essenze più rilevanti e interventi continuativi ad intensificazione stagionale per le attività di diserbo meccanico e chimico (diserbo selettivo). Nelle aree aperte tenute a prato è auspicabile, in prospettiva, la sostituzione delle essenze erbacee a crescita spontanea con cultivar modificati a crescita minima e ad altezza ridotta, tali da ridurre gli oneri di manutenzione e la frequenza degli interventi. 4) Ricopertura con terra. Ove, per ragioni logistiche, amministrative o economiche, non risulti possibile giungere ad interventi di monitoraggio e intervento, quali sono stati brevemente descritti, nell’ambito di aree indagate in passato o in anni recenti, appare assolutamente opportuno giungere ad un’immediata ricopertura dei resti rimessi in luce. Il seppellimento delle strutture, con adeguate forme di protezione, costituisce spesso la migliore forma di arresto dei processi di degrado in vista di future auspicabili sistemazioni degli stessi. 5) Drenaggio delle acque. Ai fini della conservazione e della futura fruizione dei monumenti appare inderogabile uno studio di fattibilità e la conseguente eventuale attuazione di un piano di potenziamento del sistema di drenaggio delle aree della città antica. Questo piano, ove attuato con successo, potrà generare benefici di grande rilevanza sotto l’aspetto conservativo e della sistemazione dei resti anche nelle aree archeologiche poste a quote altimetriche assolute più basse. 4.3 La conservazione, la tutela e l’urbanizzazione Le attività di trasformazione del tessuto urbano contemporaneo del paese di Aquileia costituiscono eventi che regolarmente interessano e animano i problemi della conservazione e della tutela. Questo tema (crescita urbanatutela) appare cruciale per la storia dell’archeologia ad Aquileia e presenta un’articolata sfaccettatura amministrativa, legale e procedurale; esso interessa, come detto, competenze specifiche e Istituti ad esso dedicati e non è il nodo focale del presente Progetto scientifico. Tuttavia appare ugualmente opportuno farne cenno in questa sede per sottolineare come le operazioni di tutela esercitate dagli organi competenti possano e debbano interagire coi percorsi di conoscenza e di comunicazione che stanno alla base della valorizzazione, fine ultimo dei processi in atto ad Aquileia. Per questo appare opportuno evidenziare come la meritoria opera svolta dalla Soprintendenza archeologica nel passato possa proseguire nel futuro in forma sempre più sinergica con altri enti di ricerca e territoriali preposti alla conoscenza e alla valorizzazione, cercando in particolare di valutare le opere di urbanizzazione in termini di risorse e opportunità Progetto scientifico - 37 per lo sviluppo della fruizione della città antica. In particolare si può prevedere che le indagini “d’emergenza” (o, più raramente, programmate) condotte a fini di tutela dei beni archeologici nel quadro delle opere edilizie possano produrre positivi effetti in prospettiva di una finalità di valorizzazione nei seguenti ambiti: 1. Conoscenza. Ogni scavo potrà produrre nuovi dati e nuove informazioni nel settore dell’evoluzione storica del centro e/o delle sue caratteristiche architettoniche, monumentali, urbanistiche. Queste nuove conoscenze andranno sempre e comunque utilmente a potenziare un quadro conoscitivo ancora debole in rapporto alle esigenze per un’esauriente divulgazione. 2. Ampliamento delle aree fruibili. In alcuni casi straordinari, la particolare rilevanza dei rinvenimenti effettuati nel quadro dell’attività di tutela potranno suggerire l’avvio di procedimenti amministrativi destinati ad acquisire alcune aree in proprietà privata e ri-progettarne l’assetto in vista di una possibile futura fruizione. Questa eventualità è da auspicare soprattutto nei casi in cui terreni attualmente in proprietà privata si trovino in continuità fisica con aree di proprietà demaniali oggetto di programmi di valorizzazione in atto o potenziali. In tal modo sarà realizzabile l’allargamento dell’area fruibile e la visualizzazione per intero di complessi spesso noti solo per frazioni poco apprezzabili. 3. Progettualità di valorizzazione. Nelle opportune sedi di concertazione tecnica della gestione del territorio (Piani Regolatori, Piani Assetto Territorio, Progettazione di opere pubbliche con interventi di Archeologia preventiva, Conferenze di servizi per opere pubbliche, etc.) l’attività di tutela potrà agire al fine di potenziare le prospettive di fruizione dello spazio urbano antico tramite proposte di precise linee operative agli enti territoriali. In tal senso potranno essere suggeriti e concordati assetti dell’edificato e delle infrastrutture tali da evitare collisioni con le aree a maggior rischio archeologico, tali da favorire la fruizione futura delle aree archeologiche già aperte al pubblico e tali infine da “liberare” le aree archeologiche oggetto di presente o futura valorizzazione da incombenti o contigue presenze moderne. Un esempio, tra i tanti, può essere rappresentato dal tracciato della moderna strada regionale 352, che viene a tagliare l’area del foro in due tronconi artificialmente separati. È auspicabile che in futuro tale lacerante presenza possa essere oggetto di progetti alternativi concordati tra gli enti territoriali e l’Istituto di tutela del Ministero. 38 - PIANi di valorizzazione di aquileia 5. Le aree archeologiche Introduzione L’area della città antica di Aquileia e del suo suburbio vede oggi l’esistenza di numerose aree in cui gli scavi del passato e quelli in corso hanno lasciato a vista complessi architettonici di epoca romana e tardoantica. La maggior parte di essi risulta di straordinario interesse scientifico e ciascuno di essi riveste una sua specifica importanza per la ricostruzione e la divulgazione della storia della città. In vista della progettazione del parco archeologico appare oggi necessaria un’operazione globale di rivitalizzazione del sistema di sfruttamento di tali aree, in modo decisivo a garantire un’adeguata forma di conoscenza e divulgazione della storia antica di Aquileia. In particolare in questa parte del Progetto scientifico, dopo un’introduzione generale, si intende presentare un succinto catalogo delle aree archeologiche di Aquileia focalizzando prima l’attenzione sulle loro caratteristiche per giungere poi a specificare le esigenze di interpretazione e presentazione secondo le accezioni tecniche che a tali termini ha assegnato recentemente The ICOMOS Charter for interpretaion and presentation of Cultural Heritage sites. Quebec 2008. Si intende cioè di seguito specificare per ciascun sito sia a) le attività necessarie per elevare l’attenzione pubblica e la comprensibilità in merito alle aree archeologiche (interpretazione) sia b) le attività necessarie per comunicare i contenuti attraverso piani di informazione di varia natura (presentazione). 5.1 Caratteri del contesto archeologico urbano: criticità ed esigenze generali Uno dei tratti essenziali del quadro urbano antico e del paesaggio archeologico moderno di Aquileia è costituito dalla fitta e consistente presenza di complessi monumentali estesi per una superficie di circa 80 ettari. L’abbondanza delle testimonianze del passato si registra sia nella giustapposizione orizzontale delle evidenze nello spazio urbano e suburbano (in un orizzonte sincronico) sia nella loro sovrapposizione verticale all’interno degli stessi settori urbani (in un profilo diacronico). Se la prima circostanza deriva dalla particolare ricchezza e vitalità del centro, in grado di estendere la propria panoplia monumentale su superfici eccezionali, la seconda trae origine della lunga continuità di vita del centro e dei vari complessi, spesso cresciuti uno sull’altro in un palinsesto monumentale che non di rado copre più di 500 anni di vita cittadina. In questo periodo la progressiva crescita della città su se stessa produsse sia una continua trasformazione delle strutture più antiche, con smontaggio delle opere per la realizzazione dei nuovi edifici, sia una diretta sovrapposizione fisica dei più recenti su quelli più antichi, seppellendoli sotto livelli d’uso e apparati strutturali. Ciò determina, nella stragrande maggioranza dei casi, che il livello archeologico più recente (afferente per lo più alle fasi tardoimperiali di IV secolo d.C.) sia quello più evidente e rilevabile nel corso delle indagini e che esso celi e renda spesso “inaccessibili” le non meno importanti e apprezzabili evidenze più antiche. La città antica conosce infatti fasi di vita che talvolta dalla Protostoria (VIII secolo a.C.), ma più spesso dall’età tardorepubblicana romana (II secolo a.C.) giunge fino alla tarda Antichità e alcune volte all’Altomedioevo e attraverso il Medioevo e i secoli successivi fino all’età moderna. Questo stato delle cose pone come prima e più seria problematica il contrasto tra un’esigenza di “esporre” e ridare visibilità a tutte le fasi di vita del centro e la frequente impossibilità di dare risalto alle fasi più antiche della città perché sepolte al di sotto di realtà più tarde e inamovibili. Ciò comporta per il futuro la necessità di operare scelte ardue e precise su “quali” e “quante” fasi valorizzare in ciascun Progetto scientifico - 39 contesto. In taluni casi potrà risultare opportuno conservare a vista l’intero palinsesto monumentale al fine di restituire con adeguate finestre stratigrafico-strutturali l’immagine della continuità di vita di Aquileia e del crescere progressivo della città; è evidente che in questi casi la leggibilità dei singoli complessi sarà pesantemente compromessa. In altri casi sarà necessario orientarsi, con scelte più nette, in due direzioni a seconda dei contesti: verso la conservazione a vista dei soli complessi più recenti, mascherando i più antichi nei siti di più fitta sovrapposizione o verso la conservazione in evidenza dei complessi più antichi, con parziale rimozione e “sacrificio” di quelli più recenti nei casi di minore crescita verticale. È evidente quindi che per ciascuna area archeologica si tenterà di indicare le fasi più apprezzabili e rappresentate su cui puntare gli sforzi di interpretazione e presentazione. Oltre che per la sovrapposizione fisica tra resti di diverse epoche, la visibilità degli edifici antichi e le potenzialità di una loro adeguata visualizzazione è condizionata e spesso compromessa anche da altri due fattori, costituiti rispettivamente dalla loro quota relativa rispetto al piano di campagna attuale e dalla loro quota assoluta di giacitura. Si è notato che, in seguito alle vicende fluvio-alluvionali, edilizie e agrarie post-antiche, il ricco palinsesto stratificato è rimasto sepolto a profondità assai diverse rispetto al piano di campagna attuale; i più tardi tra i livelli antichi sono talvolta sepolti ad appena poche decine di centimetri dal piano di vita attuale e si prestano pertanto ad una possibilità di intervento (per scavo, consolidamento e musealizzazione) assai agevole; altre volte essi si trovano invece ricoperti da coltri di terreno naturale o antropico assai più consistenti e qualsiasi intervento si presenta assai disagevole. Inoltre, a causa dell’assetto altimetrico della città piuttosto differenziato nelle diverse zone del paese moderno, le realtà archeologiche si trovano a quote assolute sul livello del mare molto diverse; ove queste si trovano a quote molto basse (talvolta prossime allo 0 s.l.m. o di poco superiori) la presenza costante della falda freatica rende del tutto irraggiungibili i livelli più profondi delle stratificazioni e le strutture più antiche. Un secondo evidentissimo tema che interessa il paesaggio archeologico aquileiese è costituito dalla discontinuità delle evidenze antiche visibili e visitabili a causa di una storia degli interventi di scavo condizionata dalla fitta frequentazione antropica dell’area della città antica e dai conseguenti limiti imposti alle indagini dalla fitta maglia delle proprietà. Questo stato di cose pone in evidenza per il futuro la necessità di ricreare quanto più possibile l’originaria continuità fisico-areale tra i vari complessi attraverso selezionate (e non indistinte) operazioni di estensione dei terreni demaniali e di avanzamento in esse delle indagini. Il fine di questa operazione programmatica è la ricomposizione di contesti architettonici spesso visibili per porzioni incomplete. 5.2 Le aree archeologiche: conoscenze, criticità, esigenze e priorità Introduzione Al fine di costituire una base di conoscenza adeguata sulle singole aree dove sono presenti e talvolta visitabili i resti archeologici e una visione globale delle risorse potenziali per futuri interventi, il presente Progetto scientifico cercherà di specificare per ogni porzione di città antica in luce i seguenti elementi: a) caratteri storici, architettonici e urbanistici generali (storia delle scoperte, descrizione, posizione e cronologia) b) specifiche e distintive valenze attuali e potenziali per la comunicazione della storia urbana (importanza e unicità, quale fase rappresenta o potrebbe rappresentare) c) criticità nella conoscenza, nello stato strutturale e nelle possibilità di fruizione (sicurezza e quantità informazioni, degrado, fruibilità e comprensibilità) 40 - PIANi di valorizzazione di aquileia d) interventi da eseguire per l’interpretazione e la presentazione dei siti (scavi, consolidamenti, ricostruzioni, divulgazione) e) priorità degli interventi da eseguire in ciascuna area nel quadro complessivo delle zone archeologiche urbane (alta, media, bassa) f) bibliografia essenziale (edizioni più recenti) 5.2.1 Il foro a) caratteri storici, architettonici e urbanistici generali L’area del foro è posta in posizione topografica mediana nel quadro della città antica. È oggi posta lungo la strada regionale 352 ed è da questa “attraversata” in piena sovrapposizione. L’area venne parzialmente indagata già nel XIX secolo, ma furono le indagini di G. Brusin negli anni ‘30 del secolo scorso che permisero il suo pieno riconoscimento architettonico e funzionale e la parziale ricostruzione in elevato tramite l’anastilosi di alcune colonne del porticato. Scavi sono stati intrapresi in questo contesto anche in epoca successiva e sono tuttora in corso. Il complesso è ora oggetto di interventi di resturo e consolidamento. Si tratta del centro civico primo e più importante della città di Aquileia dove si svolgevano tutti i più importanti eventi di natura religiosa, amministrativa, giudiziaria e commerciale della città antica. Gli scavi hanno rivelato che la piazza civica occupa questa sede fin da età repubblicana. Le evidenze attualmente visibili sono tuttavia quelle relative alla grande ristrutturazione che la piazza subì tra la fine del I secolo a.C. e la metà del I secolo d.C. Si tratta di una piazza di notevolissime dimensioni (142 x 56 m) circondata sui lati da portici con attici decorati alle cui spalle si aprivano diversi edifici di natura pubblica, tra cui un edificio templare noto solo da un’iscrizione, la basilica civile, posta a chiudere il lato sud, il Comitium e varie botteghe. Il complesso subisce diversi interventi di ristrutturazione nella media e tarda età imperiale e resta in uso fino agli inizi del V secolo d.C. b) specifiche e distintive valenze attuali e potenziali per la comunicazione della storia urbana Il complesso riveste la massima importanza nel quadro delle aree archeologiche cittadine in quanto costituisce un elemento di massima rarità nella città, essendo per indole un ambito unico per ogni centro urbano, e di massima importanza per la storia politica, economica e architettonica della città. Il suo valore particolare deriva anche dallo stato di conservazione e di visibilità quasi ottimali. Il suo ruolo futuro per la comunicazione dei valori storici della città antica è di conseguenza prioritario rispetto a quello di qualsiasi altro polo e forse pari solo a quello delle basiliche paleocristiane. Si tratta di uno dei pochi complessi forensi romani noti dell’intera Italia settentrionale e certamente il meglio conservato. c) criticità nella conoscenza, nello stato strutturale e nelle possibilità di fruizione Il complesso monumentale risulta visibile per una estensione considerevole e appaiono così sufficientemente chiari i suoi caratteri architettonici distintivi. Inoltre grazie agli scavi recenti è oggi una delle zona della città meglio conosciute per l’evoluzione subita nel tempo e meglio comprensibile da parte dei visitatori. L’area del foro risulta però fruibile solo dall’esterno tramite osservazione dai suoi margini meridionale e orientale. Progetto scientifico - 41 L’aspetto più critico dell’assetto attuale dell’area è rappresentato dalla presenza della strada regionale 352 che “attraversa” la piazza su un terrapieno spezzandone l’originaria unità in due settori orientale e occidentale tra loro non comunicanti, né sotto il profilo della percezione visiva né sotto il piano della fruizione. Inoltre sono ancora poco noti i margini occidentali della piazza e gli edifici (portico e ambienti) qui presenti. Una grande estensione di parti architettoniche (in alzato e di rivestimento pavimentale) appare esposto all’aggressione degli agenti atmosferici, che investono soprattutto il rivestimento in lastre lapidee della piazza, sottoposte a fonomeni di sfaldamento. d) interventi da eseguire per l’interpretazione e la presentazione dei siti Il più significativo e impegnativo intervento da eseguire può essere individuato nella deviazione della strada regionale 352 lungo altra traccia e nello scavo del suo sedime fino a rimettere in luce per intero la piazza dai suoi limiti orientali a quelli occidentali. Altri interventi possono essere individuati nello scavo delle aree dei portici occidentali e orientali e degli ambienti ad essi retrostanti, nonché in una più razionale sistemazione degli elementi architettonici presenti all’interno della piazza, in vista di una loro maggiore comprensione da parte del pubblico. Sotto il piano della mitigazione del degrado strutturale sono da prevedere interventi di monitoraggio dei processi di alterazione della pietra e piani di consolidamento mirati. Sul piano della divulgazione appaiono necessari il potenziamento dell’apparato divulgativo e la creazione di percorsi di fruizione che consentano di accedere a porzioni più ampie della piazza e al settore posto ad ovest della strada regionale 352. e) priorità degli interventi da eseguire nel quadro complessivo delle zone archeologiche urbane - media per l’estensione degli scavi - alta per il monitoraggio dei processi di degrado - alta per gli aspetti della divulgazione f) bibliografia essenziale F. Maselli Scotti, M. Rubinich, I monumenti pubblici, il foro, in Moenibus et portu celeberrima. Aquileia, storia di una città, a cura di F. Ghedini, M. Bueno, M Novello, Roma 2009, pp. 93-100. 42 - PIANi di valorizzazione di aquileia 5.2.2 La domus cd. delle Bestie ferite a) caratteri storici, architettonici e urbanistici generali La domus, posta in uno degli isolati a nord del foro e non distante dal limite settentrionale dello spazio urbano, venne identificata negli anni Sessanta del secolo scorso, in seguito a scavi di emergenza connessi alla progettazione di una lottizzazione comunale; grazie all’importanza dei resti rinvenuti, i lavori furono interrotti e il terreno demanializzato. Lo scavo non fu tuttavia portato a termine, né adeguatamente documentato. Le indagini sono state riprese nel 2007 da parte del Dipartimento di Archeologia dell’Università di Padova e sono tuttora (2011) in corso. Gli interventi del secolo scorso e quelli presenti hanno potuto rimettere in luce una corte lastricata e numerosi vani di una ricca residenza privata con ambienti dotati di tessellati geometrici e figurati. Tra i vari spazi di residenza spicca una grande sala absidata con mosaico a scena di caccia alle fiere (da cui il nome alla casa). La casa conosce fasi di vita che vanno almeno dal I secolo d.C. al IV secolo d.C. b) specifiche e distintive valenze attuali e potenziali per la comunicazione della storia urbana Si tratta di uno dei molti esempi di residenze private note in città. Un carattere distintivo è costituito dal buono stato di conservazione dei tappeti musivi e dalla buona leggibilità architettonica delle parti conservate. Rappresenta in modo compiuto l’articolazione che molte delle case aquileiesi assumono nel corso del IV secolo d.C., mentre appare meno riconoscibile l’assetto della casa e dell’area nelle fasi più antiche. Un valore aggiunto in chiave di fruizione è rappresentato dalla prossimità con gli assi stradali moderni di maggiore transito. c) criticità nella conoscenza, nello stato strutturale e nelle possibilità di fruizione Gli scavi recenti, grazie all’attenta indagine stratigrafica, stanno recuperando in modo completo la storia dell’evoluzione della casa e in parte la sua articolazione architettonico-funzionale, che resta tuttavia non del tutto percepibile per l’estensione dell’edificio nel contiguo appezzamento di terreno a ovest, ad oggi di proprietà privata. Complessivamente questa residenza è comunque una delle meglio note in ambito aquileiese. Lo stato delle strutture presenta tuttavia problemi non marginali di conservazione per la spoliazione praticata in età medievale di molte strutture murarie e per la conservazione delle restanti per una parte di alzato modesta. I tappeti musivi sono conservati in modo discreto ma richiedono opere di restauro e integrazione. Per quanto riguarda la fruizione, quest’area presenta grandi potenzialità in quanto posta a ridosso dell’asse viario della strada regionale 352 e all’ingresso del paese. L’edificio è però oggi noto solo per una parte in quanto si estende oltre i limiti della proprietà demaniale e non è attualmente inserito fra le aree aperte al pubblico. d) interventi da eseguire per l’interpretazione e la presentazione dei siti In questo caso appaiono prioritari il completamento dell’indagine di scavo e la sua estensione nell’appezzamento contiguo, così da ottenere una visione completa della residenza e, auspicabilmente, comprendere il suo rapporto con l’asse generatore urbano che correva al di sotto della moderna strada regionale 352. Collegata al completamento dell’indagine appare l’esigenza di consolidamento delle strutture e il restauro dei pavimenti per giungere alla copertura dell’area e alla sua fruizione. La ricchezza e il notevole pregio decorativo dei pavimenti musivi, rendono necessario provvedere all’allestimento di sistemi di copertura di almeno parte delle strutture, che ne garantiscano adeguate forme di conservazione, in vista della futura, auspicata, apertura dell’area alla publlica fruizione. Progetto scientifico - 43 L’inserimento di quest’area nel piano di valorizzazione impone la realizzazione di apparati divulgativi. e) priorità degli interventi da eseguire area nel quadro complessivo delle zone archeologiche urbane - media per il completamento degli scavi e i consolidamenti - alta per il consolidamento e i restauri - alta per gli aspetti della divulgazione f) bibliografia essenziale M. Bueno, M. Salvadori, Aquileia (Ud). Il progetto di indagine della casa delle Bestie Ferite (Università di Padova, Università del Molise), in Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia, 2, 2007, pp. 128-132. J. Bonetto, M. Novello, Il Progetto “Via Annia” ad Aquileia: la Casa delle Bestie ferite, in Via Annia. Adria, Padova, Altino, Concordia, Aquileia. Progetto di recupero e valorizzazione di un’antica strada romana, Atti della Giornata di Studio (Padova, 19 giugno 2008), a cura di F. Veronese, Padova 2009, pp. 145-161. 44 - PIANi di valorizzazione di aquileia 5.2.3 Il Sepolcreto a) caratteri storici, architettonici e urbanistici generali Il cosiddetto Sepolcreto, la sola necropoli oggi visitabile di Aquileia, è posta ad occidente del nucleo urbano lungo una via minore diretta verso sud-ovest. Fu rimesso in luce nel 1939 da G. Brusin, restaurato e in parte ricostruito in diverse sue porzioni. Si tratta di cinque recinti funerari di diversa dimensione ma accomunati da un medesimo muro di fondo. Al loro interno sono presenti sepolture ad incinerazione e ad inumazione databili tra fine del I secolo e III secolo d.C. b) specifiche e distintive valenze attuali e potenziali per la comunicazione della storia urbana Il carattere che conferisce valore particolare a quest’area archeologica è la sua unicità nel panorama archeologico aquileiese. Si tratta infatti dell’unica testimonianza rimasta in vista e in situ delle numerose e grandiose aree cimiteriali che la città aveva costituito lungo le sue strade extraurbane. Grazie anche ai restauri e alle ricostruzioni eseguiti costituisce un ottimo esempio dell’assetto di una necropoli nel corso dell’età imperiale con esempi differenziati di forme di sepoltura. c) criticità nella conoscenza, nello stato strutturale e nelle possibilità di fruizione La porzione di necropoli ricostruita e visibile è molto limitata rispetto all’insieme delle necropoli aquileiesi, ma lo stato delle conoscenze ad essa relativa è relativamente buono. Le strutture appaiono in stato di conservazione discreto, sebbene siano rilevabili tracce di degrado materico delle parti antiche. I problemi maggiori per la conservazione e la fruizione derivano dalla presenza di acqua di falda in risalita a livello del piano d’uso antico. La fruizione, grazie alle opere infrastrutturali, è sufficientemente garantita, anche se non ottimale e la comprensione delle realtà antiche è buona. d) interventi da eseguire per l’interpretazione e la presentazione dei siti La possibilità di estendere le indagini e aumentare la porzione di necropoli visibile appare interessante, ma di difficile realizzabilità e non urgente al fine dell’interpretazione delle realtà già in luce. L’area richiede invece interventi di manutenzione straordinaria per quanto riguarda il drenaggio delle acque e la sistemazione delle infrastrutture di fruizione. Vanno potenziati gli apparati per la divulgazione. e) priorità degli interventi da eseguire nel quadro complessivo delle zone archeologiche urbane - bassa per la prosecuzione delle indagini - alta per il drenaggio idrico e le infrastrutture di fruizione (passerelle) - media per gli aspetti della divulgazione f) bibliografia essenziale A. Fiorino, Il restauro archeologico di G. B. Brusin. L’esempio del sepolcreto, in «Bollettino del Gruppo Archeologico Aquileiese», 15, 2005, pp. 25-46. A. Giovannini, Le necropoli, in Moenibus et portu celeberrima. Aquileia, storia di una città, a cura di F. Ghedini, M. Bueno, M Novello, Roma 2009, p. 183. Progetto scientifico - 45 5.2.4 Le grandi terme a) caratteri storici, architettonici e urbanistici generali La cd. Grandi Terme si trovano nel settore sud-occidentale della città antica poco a nord del luogo dove venne scoperto l’anfiteatro. Si tratta di uno dei più grandi edifici di Aquileia romana con un’estensione di circa 2 ettari e venne rimesso in luce parzialmente con ripetute indagini condotte dalla Soprintendenza nel corso del secolo scorso. Dal 2002 gli scavi sono ripresi da parte dell’Università di Udine. Il gigantesco complesso ruotava attorno ad una grande salone centrale di 47 x 20 m pavimentato in marmo e circondato da coppie di vasche per i bagni freddi. Ai limiti nord e sud si trovavano due grandi saloni e in altra posizione spazi per i bagni, spazi riscaldati da forni e vani di servizio. L’edificio venne realizzato nella prima metà del IV secolo e, in base ad un’iscrizione che menziona le Thermae Felices Constantinianae, si pensa che esso sia stato costruito su committenza imperiale. Assai ricche erano le decorazioni pavimentali realizzate in marmo, mosaico di vari tipi e lastre di pietre locali ed importate. b) specifiche e distintive valenze attuali e potenziali per la comunicazione della storia urbana È l’unico impianto termale visibile della città antica ed è il maggiore degli edifici pubblici noti per dimensioni. Costituisce inoltre un ottimo esempio della grande vitalità urbanistica degli inizi del IV secolo d.C. e del ruolo tenuto in questa fase storica dalla casa imperiale nella crescita del centro urbano. Si tratta quindi di un edificio altamente rappresentativo in chiave storica, sebbene, come si dirà (cfr. infra), di difficile presentazione per ragioni tecniche. c) criticità nella conoscenza, nello stato strutturale e nelle possibilità di fruizione Grazie agli scavi più recenti l’edificio delle Grandi Terme inizia ad essere ben conosciuto sotto il profilo della storia edilizia, delle caratteristiche planimetriche e delle forme decorative. Il monumento ha subito tuttavia in età altomedievale una serie sistematica di spoliazioni delle strutture murarie e, in parte, delle decorazioni che hanno ridotto drasticamente la consistenza e la leggibilità delle fabbriche antiche. Queste sono oggetto di pesante degrado a causa soprattutto dell’asporto delle murature perimetrali degli ambienti e della creazione di profonde fosse che alimentano il dissesto statico delle pavimentazioni. Il complesso antico, al momento non accessibile al pubblico, appare pertanto oggi poco comprensibile e di difficile sistemazione in previsione di una sua possibile fruizione. Un aspetto positivo nelle prospettive di fruizione del complesso è rappresentato dallo stato demaniale dell’intero lotto di terreno in cui l’edificio è posto. d) interventi da eseguire per l’interpretazione e la presentazione dei siti Il monumento necessità di essere ulteriormente indagato attraverso scavi stratigrafici sia condotti in estensione sia mirati a chiarire specifici dettagli architettonici per ottenere una lettura più certa di alcune parti e per restituire visibilità fuori dal suolo di altre più ampie porzioni del complesso. Agli scavi dovranno essere affiancati notevoli interventi di consolidamento e di riassetto dell’edificio che si presentano onerosi per l’imponenza delle strutture e per l’estensione del complesso. La presentazione dell’edificio dovrà tenere conto dello stato molto lacunoso delle strutture e della loro estensione; pertanto potrà essere eseguita solo in parte lasciando a vista le strutture antiche e per la parte maggiore del complesso ricostruendo l’articolazione dell’edificio con opportuni apparati strutturali e infrastrutturali (viali, limiti fisici, indicatori cromatici e materici) sul moderno piano di campagna. Da parte dell’Università di Udine sono già state realizzate forme di ricostruzione virtuale al calcolatore che potranno integrare gli apparati sul terreno. e) priorità degli interventi da eseguire in ciascuna area nel quadro complessivo delle zone archeologiche urbane 46 - PIANi di valorizzazione di aquileia - media per la prosecuzione degli scavi - alta per le opere di consolidamento - media per le opere di presentazione e ricostruzione - alta per le opere di divulgazione f) bibliografia essenziale F. Maselli Scotti, M. Rubinich, I monumenti pubblici, le Grandi Terme di località Braida Murada, in Moenibus et portu celeberrima. Aquileia, storia di una città, a cura di F. Ghedini, M. Bueno, M Novello, Roma 2009, pp. 108-110. Progetto scientifico - 47 5.2.5 Domus cd. dei Putti danzanti (via Gemina) a) caratteri storici, architettonici e urbanistici generali L’ampio settore della città antica posto a settentrione di via Gemina, nei pressi del campo sportivo, venne indagato già negli anni Trenta e Sessanta del secolo scorso da G. Brusin e L. Bertacchi. Essa restituì evidenze importanti della città antica, tra cui un tratto di strada lastricata con orientamento nord-sud e chiare tracce di abitazioni private. Gli scavi sono ripresi nel 2005 da parte dell’Università di Trieste in un settore apparentemente meno toccato dalle indagini precedenti e nell’area già indagata del kardo nord-sud. Nella prima zona sono venuti alla luce una serie di ambienti di una ricca domus (cd. “dei Putti danzanti”) di cui sono stati riconosciuti diversi ambienti mosaicati e alla quale è stato riferito anche il celebre mosaico del cd Tappeto fiorito rinvenuto nella finitima casera dei Carabinieri. Certamente la casa, attribuita ad un facoltoso notabile aquileiese, conosce importanti rifacimenti nel corso del IV secolo d.C., ma è certo che nella stessa area siano presenti edifici di maggiore antichità per i quali è stata proposta una destinazione funzionale quali terme pubbliche. b) specifiche e distintive valenze attuali e potenziali per la comunicazione della storia urbana L’edificio in corso di scavo costituisce uno dei più interessanti esempi di residenze private di Aquileia romana, caratterizzate da ornamenti particolarmente pregiati, riferibili al IV sec. d.C. Costituisce quindi un buon esempio della grande vitalità dell’edilizia privata del periodo. Un valore aggiunto di questo contesto in chiave di fruizione è rappresentato dalla prossimità con la sede stradale moderna, con l’area del foro e con l’area del porto. c) criticità nella conoscenza, nello stato strutturale e nelle possibilità di fruizione Grazie agli scavi recenti, condotti con metodo stratigrafico, si comincia a conoscere con affidabilità la storia di questo quartiere urbano e particolarmente della domus di IV secolo d.C. Ciononostante appaiono serie difficoltà nel restituire per intero la pianta dell’edificio residenziale, che si estende con buon margine di probabilità anche nelle contigua e inaccessibile proprietà dell’Arma dei Carabinieri. L’edificio si presenta inoltre in più parti pesantemente spogliato, anche se conserva tratti di strutture murarie e rivestimenti pavimentali largamente conservati. L’area presenta una potenziale buona fruibilità e un prevedibile discreto grado di comprensione al termine degli interventi di scavo. d) interventi da eseguire per l’interpretazione e la presentazione dei siti La prosecuzione degli scavi appare assolutamente necessaria per cercare di ricostruire per la massima estensione possibile la planimetria della casa. Appare altresì necessario che gli scavi futuri si concentrino dapprima esclusivamente sulla residenza stessa per giungere ad una sua ricostruzione. Complementari alle indagini appaiono, ai fini della presentazione dell’area, al momento non aperta al pubblico, opere consistenti di consolidamento e di riassetto delle strutture antiche. Si devono inoltre prevedere apparati divulgativi e un collegamento fisico d’accesso con la via Gemina. e) priorità degli interventi da eseguire nel quadro complessivo delle zone archeologiche urbane - media per la prosecuzione degli scavi - media per le opere di consolidamento - alta per la divulgazione f) bibliografia essenziale F. Fontana, E. Murgia, Aquileia (Ud). Lo scavo del Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università di Trieste: via 48 - PIANi di valorizzazione di aquileia Gemina, in Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia, 2, 2007, pp. 121-127. Progetto scientifico - 49 5.2.6 Il porto a) caratteri storici, architettonici e urbanistici generali Le strutture del porto di Aquileia furono viste già nel corso del XIX secolo, ma solo gli scavi degli anni Venti e Trenta del secolo scorso operati da G. Brusin, permisero di riconoscere con chiarezza le loro caratteristiche e la loro funzione. Scavi ulteriori sono stati condotti negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso dall’Ecole francaise de Rome e dall’Università di Trieste. Il porto costituisce uno dei monumenti simbolo della città per l’enorme importanza che esso rivestì nella storia dell’insediamento. La maggior parte delle strutture fu realizzata nel corso del I secolo d.C. dopo la demolizione di quartieri di abitazione e di altre realtà più antiche. Le strutture si estendono per un’ampiezza eccezionale di oltre 400 metri lungo la riva occidentale dell’odierno corso d’acqua Natissa, un tempo grande fiume (Naitso cum Turro) che lambiva la città e ne costituiva la via di congiunzione con il mare e i commerci internazionali. Si articola in una lunga banchina posta a limitare l’alveo del fiume, largo in antico fino a 50 m, verso ovest con un doppio livello di carico segnalato da due serie di anelli per l’ormeggio. Alle spalle della banchina si situano magazzini e ambienti a destinazione commerciale tra i quali si trovano almeno tre passaggi di comunicazione (a rampa o a gradini) tra il sistema stradale urbano e la banchina. Lungo la linea di carico venne realizzata nel IV sec. la nuova cinta difensiva che in parte ridusse le potenzialità del complesso portuale. La sua pressoché completa cessazione d’uso dovette intervenire dopo il 361 d.C. quando l’alveo venne colmato e il fiume perse l’importanza fino ad allora tenuta. b) specifiche e distintive valenze attuali e potenziali per la comunicazione della storia urbana Si tratta di un complesso unico in Aquileia e unico (per dimensioni e importanza) in tutta l’Italia settentrionale con riferimenti comparativi solo in ambito laziale. Le strutture, grazie agli imponenti scavi di G. Brusin sono inoltre in gran parte dissepolte e ben visibili per un’estensione notevolissima così da rendere percepibile l’assetto architettonico del complesso nonostante la sovrapposizione di più fasi edilizie. Esso costituisce quindi una parte della città antica di massimo valore storico e di primaria importanza per la narrazione al pubblico dell’intera storia urbana, segnatamente per la comprensione dell’importante ruolo commerciale rivestito dal centro altoadriatico, che grazie ad esso svolgeva funzioni commerciali di grande portata. Particolarmente però meritano di essere evidenziate le parti relative alle strutture del I secolo d.C. che costituiscono il riflesso della prima grande esplosione commerciale della città. c) criticità nella conoscenza, nello stato strutturale e nelle possibilità di fruizione Nonostante il carattere frettoloso degli scavi condotti nel secolo scorso le strutture del porto risultano abbastanza ben conosciute sotto il profilo della storia evolutiva. Questo risultato è stato raggiunto anche grazie agli scavi più recenti che hanno fatto luce sulla storia evolutiva delle strutture e sull’assetto paleoidrografico dell’area di Aquileia. Gli edifici che compongono il porto di Aquileia presentano uno stato di conservazione problematico sia per la presenza di acqua in risalita dal vicino alveo del Natissa e dal livello di falda sia per la presenza di un quadro vegetazionale spesso lussureggiante, molto invasivo e lesivo dell’integrità strutturale. d) interventi da eseguire per l’interpretazione e la presentazione dei siti Gli interventi più urgenti da eseguire riguardano il monitoraggio statico delle banchine e la valutazione dei processi di degrado del pur compatto ed eccellente materiale da costruzione utilizzato per le banchine del porto (pietra d’Istria). Al pari appare indispensabile rivedere il sistema di drenaggio delle acque nell’area compresa tra la passeggiata archeologica e le banchine ed avviare programmi sistematici di limitazione della vegetazione, particolarmente lungo 50 - PIANi di valorizzazione di aquileia le banchine nel settore meridionale. Gli apparati di divulgazione vanno potenziati per chiarire in modo più completo l’antico assetto dell’area portuale stravolto dalle opere degli anni Venti e Trenta del secolo scorso. In alcuni tratti si potrà intervenire per migliorare l’accessibilità del complesso e delle strutture, al momento visibili solo dalla passeggiata archeologica Un possibile riassetto delle strutture finalizzato ad una loro più efficace presentazione potrà prevedere interventi volti a rendere meglio comprensibili le diverse fasi del complesso, caratterizzato dalla sovrapposizione di più fabbriche non coeve. In particolare, in alcune zone si potrà scegliere di valorizzare fasi diverse, lasciando a vista le opere riferibili alla fase di I secolo d.C. e a mascherare gli interventi più tardi al fine di agevolare la comprensibilità dei resti in luce. In altre settori, maggiormente significativi per la lettura delle fasi più tarde della città e segnatamente del sistema murario tardoantico, si potrà invece privilegiare la valorizzazione delle strutture difensive, che devono essere rese comprensibili tramite adeguati sistemi didattco-informativi. e) priorità degli interventi da eseguire nel quadro complessivo delle zone archeologiche urbane - alta per gli interventi di monitoraggio - alta per gli interventi di drenaggio e diserbo - media per gli interventi di riassetto strutturale - media per gli apparati di divulgazione f) bibliografia essenziale F. Maselli Scotti, M. Rubinich, I monumenti pubblici, il porto, in Moenibus et portu celeberrima. Aquileia, storia di una città, a cura di F. Ghedini, M. Bueno, M Novello, Roma 2009, pp. 103-106. Progetto scientifico - 51 5.2.7 L’area ad ovest del foro a) caratteri storici, architettonici e urbanistici generali A sud-ovest dell’area del foro romano di Aquileia furono rimessi in luce e lasciati a vista alcuni complessi edilizi di straordinaria importanza per la storia della città, ma di assai difficile lettura. Si tratta di almeno due assi stradali tra loro ortogonali e di una serie di edifici, posti a sud del loro incrocio, che si sovrappongono in un palinsesto di ardua interpretazione. Secondo L. Bertacchi un’area scoperta e lastricata qui individuata e visibile può essere identificata con il più antico foro della città databile all’epoca della fondazione. L’ipotesi non è da tutti accolta e si preferisce pensare ad un piazzale di carattere pubblico dall’incerta funzione. Immediatamente ad ovest dello spazio aperto, e forse ad esso connessi, sono stati identificati labili indizi relativi alle strutture del teatro di Aquileia di cui si conservano i gradoni in Museo. L’area venne sconvolta in epoca post-attilana (post 452 d.C.) dalla costruzione della linea di fortificazione con mura a salienti triangolari che si sovrappose alla piazza e al teatro defunzionalizzandoli. Altre strutture presenti non sono intelleggibili. b) specifiche e distintive valenze attuali e potenziali per la comunicazione della storia urbana L’area si presenta di grande importanza perché conserva la sovrapposizione fisica di edifici pubblici di grande importanza per comprendere la storia dell’evoluzione della città nelle sue articolazioni architettoniche e nella sua forma urbanistica. È un caso in cui la conservazione del palinsesto strutturale, peraltro non scomponibile, può fornire una lucida visione diacronica delle trasformazioni cui la città andò incontro nei secoli con particolare evidenza delle altrove poco documentate fasi post-antiche. È anche l’unico caso in cui si conserva un tratto molto evidente delle fortificazioni tarde della città. c) criticità nella conoscenza, nello stato strutturale e nelle possibilità di fruizione Le conoscenze su quest’area sono appena sufficienti a tracciare un quadro ricostruttivo della zona, ma sono peraltro molto lacunose su numerosi dettagli di ordine storico e architettonico. Il complesso soffre di processi di degrado strutturale e di drenaggio delle acque, mentre non è attualmente raggiungibile da alcun percorso di fruizione e quindi non visitato. La comprensibilità da parte del pubblico è bassa anche per l’assenza di qualsiasi apparato divulgativo. d) interventi da eseguire per l’interpretazione e la presentazione dei siti L’area necessita di nuove approfondite analisi strutturali dell’esistente e di nuovi scavi mirati a risolvere dubbi storicocronologici e architettonici. Nell’eventualità di conservare a vista il ricco ed unico palinsesto si presenta anche la necessità di operare consolidamenti delle strutture e riassetti delle stesse con interventi moderatamente invasivi di ricostruzione. In ogni caso è richiesta cura per la crescita incontrollata della vegetazione e per il drenaggio delle acque. Da progettare ex novo sono il sistema di accesso all’area dalle strade pubbliche moderne, i percorsi di fruizione interni (passerelle) e gli apparati divulgativi. e) priorità degli interventi da eseguire in ciascuna area nel quadro complessivo delle zone archeologiche urbane - alta per l’analisi strutturale e gli scavi stratigrafici - alta per le opere di consolidamento e drenaggio - alta per la realizzazione dei percorsi di collegamento e gli apparati divulgativi 52 - PIANi di valorizzazione di aquileia 5.2.8 L’area dei fondi ex CAL ed ex Beneficio Rizzi a) caratteri storici, architettonici e urbanistici generali L’area dei Fondi ex-C.A.L. e Beneficio Rizzi è ubicata lungo la via Giulia Augusta nel settore meridionale della città antica. Essa fu indagata a più riprese nel secolo scorso e fu oggetto di estesi interventi di ricostruzione delle strutture murarie con opere sovrapposte all’antico; comprende due aree, separate da terrapieni, in cui si osserva la presenza di almeno sei nuclei residenziali privati, caratterizzati da una lunga continuità di vita. Si tratta di domus di notevole pregio, centrate su corti porticate allestite a giardino, attorno a cui si articolano, secondo schemi architettonici non sempre chiari e definiti, grandi ambienti di rappresentanza, appartamenti destinati alla vita della famiglia, piccoli impianti termali ad uso privato, decorati da ricchi tappeti musivi. Importante appare la fase tardoantica, quando gli edifici vennero dotati di grandi ambienti absidati, un tempo interpretati come “oratori” cristiani ed ora, invece, più verosimilmente identificati con le grandi sale di rappresentanza di pregio ampiamente diffuse in tutto il mondo romano nella tarda Antichità. b) specifiche e distintive valenze attuali e potenziali per la comunicazione della storia urbana L’area dei fondi ex CAL ed ex Beneficio Rizzi costituisce una delle più estese aree di Aquileia dove si possa apprezzare il dispiegarsi dei quartieri di abitazione. In particolare l’area offre esempi diversificati dell’edilizia residenziale propria dell’Italia settentrionale per tutta la durata dell’età imperiale (I-IV secolo d.C.). c) criticità nella conoscenza, nello stato strutturale e nelle possibilità di fruizione Le conoscenze scientifiche su quest’area della città antica sono estremamente lacunose, a fronte della ricchezza di realtà strutturali in essa visibili. Gli scavi condotti in quest’area fino ad oggi non hanno infatti chiarito la storia evolutiva degli edifici, la loro cronologia relativa e assoluta, la loro articolazione architettonica. Si tratta quindi di un complesso di grande interesse ed estensione, ma, al momento, di difficile lettura e presentazione. Piuttosto grave è anche lo stato del degrado delle strutture, lasciate a vista dopo gli scavi del Novecento e progressivamente aggredite da agenti atmosferici, dall’acqua di risalita e dalla vegetazione. Solo un ambiente di una casa risulta protetto da un apposito edificio di copertura, isolato però nello scenario archeologico e fonte di disorientamento per la comprensibilità dell’area e non sufficiente, tuttavia, a proteggere il pavimento musivo in esso contenuto dall’aggressione dei sali e dell’umidità provenienti dal sottosuolo, senza un’adeguata, continua, manutenzione. d) interventi da eseguire per l’interpretazione e la presentazione dei siti La più urgente necessità per quest’area appare un intervento volto a contrastare l’effetto deleterio della risalita dell’acqua di falda a ridosso delle strutture e un programma di contrasto al progressivo avanzamento dei fronti di vegetazione. Al pari le strutture richiedono mirate opere di salvaguardia con consolidamenti e coperture. Sul piano dell’interpretazione e della presentazione dei complessi edilizi sarà necessario un articolato programma di analisi strutturali dell’esistente e di saggi di scavo mirati per la ricostruzione della storia architettonica delle diverse domus presenti. In taluni settori appaiono necessari anche saggi di scavo in estensione per restituire la completa articolazione degli edifici. Sul piano della presentazione appaiono indispensabili interventi di riassetto delle strutture per evidenziare, in ciascuna residenza, alcune specifiche fasi architettoniche di migliore leggibilità e per mascherare altre realtà non coeve, Progetto scientifico - 53 eventualmente con demolizione di superfetazioni moderne (restauri anni ‘50/’70 del secolo scorso); inoltre sono richiesti apparati divulgativi sul posto e l’estensione del sistema infrastrutturale di fruizione (passerelle) per accedere alle parti più occidentali del fondo. e) priorità degli interventi da eseguire nel quadro complessivo delle zone archeologiche urbane - alta per le opere di drenaggio e contrasto alla vegetazione - media per le opere di consolidamento e protezione - media per le indagini di scavo - media per le opere di presentazione 54 - PIANi di valorizzazione di aquileia 5.2.9 Fondi ex Pasqualis a) caratteri storici, architettonici e urbanistici generali L’area venne indagata negli anni Cinquanta del secolo scorso da G. Brusin che vi individuò due complessi a destinazione commerciale. Essi si pongono effettivamente in una posizione strategica a ridosso della riva settentrionale del corso del Natissa, un tempo grande fiume che lambiva la città e costituiva la base della sua vocazione commerciale. Tale spazio si pone in ideale continuità con le strutture portuali e i suoi magazzini che, più a nord, costeggiano sempre la riva occidentale del corso d’acqua. Gli edifici individuati sono tre e sono considerati tra loro simili nonostante le lacune di conoscenza derivate da uno scavo non esaurientemente edito. Si tratta di aree scoperte che vengono pavimentate in arenaria e in materiale di reimpiego; attorno ad esse si dispongono larghi porticati sostenuti da sostegni lignei che alloggiavano le attività di scambio delle merci. Secondo gli studiosi questi impianti sono databili ad epoca tardoimperiale. Nella stessa area sono visibili alcuni tratti della doppia cortina difensiva che proteggeva la città da sud con una barriera riferibile al IV secolo d.C. e una seconda più esterna (di raddoppiamento) del V secolo d.C. b) specifiche e distintive valenze attuali e potenziali per la comunicazione della storia urbana Si tratta dell’unico complesso destinato agli scambi della merce noto e conservato a vista di Aquileia e costituisce quindi un elemento di grande rilevanza, considerata la fortissima vocazione commerciale della città. Sulla base di quanto noto dallo scavo di G. Brusin esso non presenta tra l’altro vistose sovrapposizioni strutturali e pertanto può ben rappresentare la grande attività della città nel corso del III e IV secolo d.C. c) criticità nella conoscenza, nello stato strutturale e nelle possibilità di fruizione Gli scavi condotti nel secolo scorso hanno lasciato aperti numerosi dubbi circa la datazione dei tre edifici, la loro articolazione complessiva e la relazione con lo spazio circostante. Dei tre edifici visti all’epoca ne sono tra l’altro visibili solamente due. È da segnalare uno stato di degrado delle strutture rimaste a vista a causa dell’aggressione da parte di agenti atmosferici e dell’invadente vegetazione. Anche per la contiguità con i percorsi stradali moderni si tratta tuttavia di un ambito ad alta potenzialità di fruizione e facilmente comprensibile. d) interventi da eseguire per l’interpretazione e la presentazione dei siti Per la piena comprensione dei resti appare necessario un intervento di scavo stratigrafico dell’area, che potrà essere limitato peraltro ad alcuni settori critici e funzionale a rimettere in luce il terzo edificio interrato dopo gli scavi degli anni Cinquanta. Opere indispensabili, da eseguire sistematicamente, riguardano anche il diserbo meccanico e chimico, mentre appaiono necessari mirati interventi di consolidamento delle strutture. Sul piano della presentazione dei resti risulta indispensabile definire percorsi di visita all’interno dei fondi e predisporre idonei apparati divulgativi. È possibile prevedere un impiego della Stalla Pasqualis inclusa nei fondi in questione a scopo espositivo/didattico. e) priorità degli interventi da eseguire nel quadro complessivo delle zone archeologiche urbane - media per gli interventi di scavo - alta per gli interventi di consolidamento e diserbo - alta per la realizzazione di percorsi di fruizione e apparati divulgativi Progetto scientifico - 55 f) bibliografia essenziale F. Maselli Scotti, M. Rubinich, I monumenti pubblici, I mercati, in Moenibus et portu celeberrima. Aquileia, storia di una città, a cura di F. Ghedini, M. Bueno, M Novello, Roma 2009, pp. 107-108. 56 - PIANi di valorizzazione di aquileia 5.2.10 L’area di Monastero a) caratteri storici, architettonici e urbanistici generali Posta nell’immediato suburbio nord-orientale della città, la basilica di Monastero prende il nome dal convento di suore benedettine qui presente almeno fin dal X secolo che ne fece la sua sede di culto; scavato a più riprese dal Majonica, dal Brusin e dalla Bertacchi, il complesso costituisce uno dei due poli di assoluto rilievo della fase cristiana antica di Aquileia e risale probabilmente ad un’epoca compresa tra la fine del IV secolo e la metà del V secolo d.C. Le indagini condotte tra la fine del XIX secolo e la metà del secolo scorso hanno dimostrato che la prima chiesa si articolava in un’unica navata di circa 48 x 16 m con abside semicircolare all’interno e poligonale all’esterno; la facciata era scandita da un nartece a tre porte corrispondenti alle tre porte della chiesa. Tutta la navata originaria è rivestita da tappeti musivi geometrici recanti 39 iscrizioni votive. Discussi sono gli interventi subiti dall’edificio per la ripavimentazione della navata e la divisione di questa in tre navate con pilastri, opere da alcuni poste nel V secolo, da altri tra VIII e IX secolo. È stata ipotizzata, ma senza argomenti validi, la sua identificazione come sinagoga della comunità ebraica di Aquileia. L’assetto attuale delle architetture è l’esito di ricostruzioni anche moderne, quando la facciata venne spostata ad Occidente in parziale sovrapposizione al quadriportico realizzato di fronte all’antica chiesa. La chiesa è stata trasformata in Museo delle antichità cristiane. b) specifiche e distintive valenze attuali e potenziali per la comunicazione della storia urbana L’edificio riveste straordinaria importanza per la sua articolazione architettonica, per le sue dimensioni, che ne fanno una delle più grandi chiese del periodo, per lo stato di conservazione dei tappeti musivi e di parte delle strutture. Rappresenta in modo eccellente la fase tardoantica e altomedievale della città con riferimento all’edilizia religiosa e alla comunità cristiana della città. c) criticità nella conoscenza, nello stato strutturale e nelle possibilità di fruizione La ricostruzione della storia della chiesa e dei complessi annessi (monastero e quadriportico) è oggetto di dibattito tra gli studiosi ma discretamente chiara, come chiara, sebbene non ottimale, è la lettura architettonica del complesso. Le strutture appaiono in stato di conservazione discreto sebbene si noti l’emergere frequente di acqua di falda. Il complesso è fruibile e comprensibile nei suoi tratti essenziali. L’apparato divulgativo appare sufficientemente idoneo seppur passibile di potenziamento. d) interventi da eseguire per l’interpretazione e la presentazione dei siti Alla luce dei recenti restauri, il sito presenta una fruibilità superiore, anche se continuano a essere necessarie opere di manutenzione in ragione della presenza di acqua di falda in emersione, particolarmente nella zona del nartece. Trattandosi di fabbriche conservate per molti metri in alzato e dotate di copertura, appaiono anche necessari interventi di monitoraggio dell’assetto statico e strutturale del complesso al fine di scongiurare rischi di dissesto per degrado o in caso di eventi sismici. Meno importanti, sebbene auspicabili, appaiono invece interventi di scavo per il chiarimento di alcuni dubbi legati alla storia dell’edificio e il potenziamento dell’apparato divulgativo. Più sentita è invece l’esigenza di legare questo polo ai percorsi di visita urbani. e) priorità degli interventi da eseguire nel quadro complessivo delle zone archeologiche urbane Progetto scientifico - 57 - alta per le opere di monitoraggio statico e strutturale - alta per le opere relative al drenaggio delle acque - media per interventi di approfondimento conoscitivo tramite scavi - media per il potenziamento dell’apparato divulgativo f) bibliografia essenziale G. Cuscito, Lo spazio cristiano, La basilica di Monastero, in Moenibus et portu celeberrima. Aquileia, storia di una città, a cura di F. Ghedini, M. Bueno, M Novello, Roma 2009, pp. 149-151. 58 - PIANi di valorizzazione di aquileia 5.2.11 Complesso paleocristiano di piazza Capitolo a) caratteri storici, architettonici e urbanistici generali Il complesso di culto cristiano di Piazza Capitolo costituisce un documento eccezionale in tutto il mondo occidentale ed unico in Italia settentrionale per importanza storica, rarità e dimensione delle evidenze archeologiche e architettoniche. Noto da sempre, ricevette attenzioni e indagini particolari dalla fine del XIX secolo con scavi condotti al tempo del dominio austriaco da parte del conte Karl Lanckoronski che nel 1893 mise in luce in parte i ricchissimi tappeti musivi, poi completamente esposti nel 1909. Posto nei pressi dell’angolo sud-orientale della cinta, il primo impianto è databile ai tempi del vescovo Teodoro (308-319 ?) e costituisce uno dei primissimi edifici di culto cristiani già attivi nel secondo decennio del IV sec. d.C., antecedente di tante chiese romane e latore di un modello architettonico del tutto originale. Esso risulta composto da tre aule poste all’interno di un isolato della città romana e sovrapposte a residenze urbane di pregio. Le due aule parallele presentano misure di 37 x 17/20 m e sono decorate da tappeti musivi straordinariamente conservati per un’estensione di circa 1300 mq; la ricchezza iconografica dei mosaici e i resti di decorazioni parietali ad affresco hanno suscitato vivi dibattiti tra gli studiosi per la loro interpretazione e rappresentano un patrimonio di valore unico per le antichità cristiane del Mediterraneo. Già forse entro la metà del IV secolo l’aula nord fu sostituita da una basilica di enormi dimensioni (73 x 31 m) divisa in tre navate da quattordici colonne e dotata di un quadriportico ad occidente (rinvenuto negli scavi del 1970) da dove, a partire da allora, doveva avvenire l’ingresso in chiesa. Alla stessa epoca, nella seconda metà del IV secolo, fu realizzata anche la seconda basilica sovrapposta all’aula teodoriana meridionale (67 x 29 m), a tre navate, dotata di un nartece e di un complesso antistante in cui fu incluso il grande battistero con pianta esagonale. Nell’XI secolo, per opera del Patriarca Popone, la chiesa settentrionale venne definitivamente demolita e su di essa fu realizzato il campanile (1031), mentre la chiesa meridionale subì importanti rimaneggiamenti nella stessa epoca con l’aggiunta dell’abside, il potenziamento del transetto e la trasformazione della cripta. Dopo il terremoto del 1348 fu risistemata la copertura in forme gotiche. b) specifiche e distintive valenze attuali e potenziali per la comunicazione della storia urbana Il complesso paleocristiano di piazza Capitolo costituisce uno dei più estesi e importanti centri del Mediterraneo per la storia dell’architettura cristiana più antica. Il suo valore è quindi indiscutibilmente massimo non solo in funzione della divulgazione della storia di Aquileia, ma pure di tutte le regioni contermini. È inoltre il più straordinario documento della forza economica, sociale e religiosa della comunità aquileiese nella prima metà del IV sec. d.C. e nei decenni successivi. Presenta un valido palinsesto stratigrafico e strutturale del passaggio dalla città romana alla città cristiana. c) criticità nella conoscenza, nello stato strutturale e nelle possibilità di fruizione Il complesso è discretamente noto nelle sue articolazioni architettoniche e nella sua storia evolutiva. Lo stato strutturale appare buono, sebbene la complessità e la dimensione delle fabbriche richiedano analisi approfondite che impediscono di giungere in questa sede a conclusioni sullo stato di salute degli edifici. La fruibilità del complesso (dotato alla fine degli anni ’90 di passerelle atte a veicolare la fruizione turistica in modo da non calpestare il mosaico) e la sua comprensibilità appaiono buone. d) interventi da eseguire per l’interpretazione e la presentazione dei siti Il complesso costituito dalle due Basiliche, dal Battistero e dal Campanile richiede in primo luogo interventi di monitoraggio statico e strutturale continui e dettagliati per mitigare ogni rischio per opere d’arte e persone legato a Progetto scientifico - 59 possibili crolli dovuti a degrado o a eventi sismici. Inoltre, il tappeto musivo necessita di continua manutenzione e pulizia, a causa dell’umidità di risalita dal sottosuolo e dei relativi sali, che determinano il formarsi di una patina superficiale che ne mette a rischio la conservazione, nonché la leggibilità. L’apparato divulgativo appare passibile di sensibile potenziamento, di razionalizzazione e di una trasformazione funzionale a rendere chiari i temi disseminati nel tappeto musivo. Meno indispensabili appaiono nuovi interventi di scavo, sebbene le conoscenze non siano in ogni zona complete ed esaustive. e) priorità degli interventi da eseguire nel quadro complessivo delle zone archeologiche urbane - alta per il monitoraggio - media per gli apparati di divulgazione - bassa per nuovi interventi di scavo f) bibliografia essenziale G. Cuscito, Lo spazio cristiano, La basilica di Monastero, in Moenibus et portu celeberrima. Aquileia, storia di una città, a cura di F. Ghedini, M. Bueno, M Novello, Roma 2009, pp. 133-142. 60 - PIANi di valorizzazione di aquileia 5.3 I Musei Aquileia dispone attualmente di due strutture museali di rilievo nazionale e internazionale. Essi costituiscono parti essenziali del sistema di conoscenze e di valorizzazione del sito poiché conservano la quasi totalità dei reperti recuperati nel corso dei ritrovamenti e delle indagini condotte in città e nel territorio dal XIX secolo ad oggi. La loro esposizione risulta quindi essenziale per la comprensione della storia della città e complementare alla presentazione delle aree archeologiche. Da molto tempo è stata progettata, ma non completata, la realizzazione di due ulteriori strutture museali, l’una destinata a diventare Antiquarium del foro presso l’Essiccatoio nord, l’altra a costituire un Museo della ceramica presso gli edifici dell’area ex Pasqualis. Questi progetti museali non sono però attualmente in corso di esecuzione. 5.3.1 Museo archeologico Nazionale (villa Cassis) a) Storia della Collezione Aquileia conosce le prime raccolte museali presso la sede del Battistero e della Chiesa dei Pagani di fronte alla Basilica cristiana di piazza Capitolo (cd. Museo Eugeniano). Il trasferimento delle collezioni nella sede attuale di villa Cassis fu operato nel 1882 con l’inaugurazione dell’Imperial Regio Museo dello Stato asburgico in Aquileia. La sede fu ampliata nel 1898 e nel 1957 con le grandi gallerie di esposizione realizzate nello spazio del parco della villa. Il Museo fu diretto da H. Majonica tra il 1883 e il 1914, da G. Brusin tra il 1920 e il 1952, da B. Forlati Tamaro tra il 1953 e il 1959 e successivamente da L. Bertacchi, da F. Maselli Scotti, da L. Fozzati e Paola Ventura. Tra il 1954 e il 1955 subì il primo e unico riallestimento complessivo, a cui sono seguiti in anni recenti interventi successivi di riallestimento di alcune sale. b) Situazione attuale e criticità Attualmente il Museo presenta un allestimento di carattere tipologico, frutto dell’impostazione culturale che ne vide la nascita, alla fine dell’800, sotto l’influenza della Scuola di Vienna, articolandosi in un lungo percorso interno alla villa ed esterno ad essa lungo le ariose Gallerie Lapidarie: al piano inferiore i rilievi, ritrattistica, scultura, monumenti sepolcrali; al primo piano le cosiddette arti minori con sale dedicate alla glittica, ai vetri, al vasellame, ai bronzi etc.; al secondo piano i gioielli, le collezioni di oggetti d’ambra, le monete; nelle gallerie lapidarie il materiale epigrafico, i mosaici etc. L’assetto attuale offre un eccellente spaccato delle straordinarie produzioni artigianali e artistiche della città antica in ambienti complessivamente idonei alle esposizioni, sebbene decisamente ristretti rispetto all’entità delle collezioni. Viene però a mancare nell’attuale forma di allestimento sia una prospettiva di illustrazione storica della città sia il tentativo di ricostituzione dei vari contesti della città antica. L’attuale visita al Museo non si avvale inoltre di un apparato didattico e divulgativo sufficientemente articolato. c) esigenze di intervento La necessità di storicizzazione e ricontestualizzazione dei manufatti è avvertita in ragione delle attuali tendenze museografiche, che segnalano l’esigenza di istituire presso i grandi siti archeologici veri e propri “Musei delle città” in cui siano raccolte in ordine cronologico le testimonianze dell’evolversi dei centri raggruppate per contesti funzionali e topografici originari (pubblici, privati, necropolari, etc.). Per il futuro si pone quindi la necessità di addivenire a nuove forme di presentazione museale della storia urbana. Ciò Progetto scientifico - 61 potrà essere realizzato secondo due modalità attuative, su cui gli Enti preposti sono chiamati a decidere, rappresentate rispettivamente da: a) La sistemazione dell’esistente allestimento impostato su base tipologica e “antiquaria” presso la villa Cassis. Quest’ultimo dovrebbe essere riportato quanto più possibile alle sue forme e alla sua concezione originarie, mantenendo l’impostazione di antiquarium derivata dalla sua origine storico-culturale di fine Ottocento. Tale operazione dovrà essere esplicitata mediante il potenziamento degli apparati didattici, ampliati con specifici approfondimenti sulla storia della sede museale e le diverse classi di materiali contenute al suo interno. In questa prospettiva si rendono necessari interventi strutturali di restauro della villa, con eventuale rimessa in luce degli originari sistemi decorativi ottocenteschi (in particolare le pitture parietali in stile pompeiano, in parte conservate al di sotto delle successive risistemazioni). A questi si aggiunge la necessità di intervenire con il rinnovamento delle sale e delle strutture espositive, tramite la sostituzione di alcune vetrine ora non più adatte ai più moderni criteri espositivi, per ragioni legate alla illuminazione, al controllo dell’umidità e della temperatura (con problemi di natura conservativa nel caso di alcuni materiali, fra tutti le ambre). b) Contestualmente alla sistemazione del già esistente Museo, si auspica la realizzazione di una nuova struttura museale di tipo storico e contestuale in altra sede. La nuova sede museale dovrà avere una impostazione completamente differente rispetto a quella esistente, qualificandosi come vero e proprio museo della città. Essa dovrà essere funzionale a raccontare la storia dell’evoluzione del centro di Aquileia e del suo territorio, dall’antichità ai giorni nostri, attraverso sezioni tematiche impostate su base cronologica. Per un allestimento di questo tipo fondamentali saranno i risultati delle nuove ricerche impostate secondo le più moderne metodologie interdisciplinari, che ai dati storico-archeologici permetteranno di aggiungere una più completa conoscenza ecosistemica del paesaggio. Indipendentemente dalle scelte che in merito saranno compiute, l’integrazione sinergica del Museo e/o dei Musei nel quadro dei sistemi di valorizzazione della città antica impongono altre due prospettive operative: a) la creazione di un fitto programma di didattica museale dedicato alle Scuole e legato alla lettura dello spazio urbano, dei suoi contesti e dei manufatti conservati in Museo e provenienti dalla città e dal territorio; b) il diretto coinvolgimento della struttura museale nelle attività di ricerca e divulgazione che sono condotte dai diversi gruppi di ricerca nell’ambito della città antica. A tal fine le sedi museali possono assumere il ruolo dirigenziale e logistico per l’organizzazione di manifestazioni di raccordo tra i diversi attori della ricerca scientifica e di polo di diffusione delle conoscenze acquisite tramite incontri a più livelli di approfondimento. Un’altra questione comunque di particolare importanza riguarda la grande quantità di materiali archeologici derivata da più di un secolo di ricerche archeologiche condotte in città e conservata nei magazzini del Museo. Tali materiali richiedono un inderogabile intervento di risistemazione, riordino e catalogazione per lotti tipologici, al fine di renderli pienamente disponibili sia per la comunità scientifica sia per eventuali forme di visite guidate o di esposizioni temporanee tematiche. In tale senso, vanno incrementate le forme di collaborazione con le Università attualmente esistenti (relativamente, ad esempio, allo studio di alcune classi di materiali) ed eventuali altri enti, per lo studio e la catalogazione dei materiali e la loro successiva pubblicazione, da organizzare per tipologie e/o contesti di rinvenimento, nell’ambito di una collana dedicata. Allo stesso modo appaiono inderogabili programmi complessivi di digitalizzazione dei ricchissimi Archivi del Museo che 62 - PIANi di valorizzazione di aquileia conservano in forma scritta, grafica e fotografica un’inestimabile memoria delle attività svoltesi ad Aquileia dalla fine del XIX secolo ad oggi. La creazione di archivi digitali potrà semplificare in modo esponenziale la ricerca su interventi del passato e loro esiti e costituire la base per ogni ulteriore intervento archeologico sul campo, studio mirato e attività di esposizione museale. Progetto scientifico - 63 5.3.2 Museo paleocristiano di Monastero (Chiesa di Monastero) a) Storia della Collezione La chiesa di Monastero, già grande basilica paleocristiana e chiesa del monastero femminile delle Benedettine di Santa Maria, venne venduta nel 1784 al conte Raimondo Della Torre-Hofer e Valsassina e fu trasformata in complesso produttivo agricolo mantenendo quasi per intero la volumetria dell’antico edificio di culto. Dopo vari passaggi di proprietà e trasformazioni architettonico-funzionali passò in proprietà statale nel secondo dopoguerra e dal 1961 divenne oggetto di opere di valorizzazione con la trasformazione di una sua parte in struttura museale. A questo fine fu utilizzato lo spazio compreso tra l’antica facciata della chiesa del V secolo e il suo rifacimento tardo settecentesco, avanzato di alcune decine di metri. In quest’area, in parte coincidente con il nartece, fu realizzata una struttura sopraelevata per l’esposizione su due piani di mosaici, rilievi e iscrizioni (circa 130) della fase cristiana antica di Aquileia dal IV al X secolo d.C. Di particolare interesse i manufatti e i mosaici recuperati nel 1894 durante lo scavo della Basilica paleocristiana rinvenuta presso il fondo Tullio in località Beligna, interpretata come la Basilica Apostolorum realizzata sullo scorcio del IV sec. d.C. e forse citata da Cromazio di Aquileia. In questo contesto le realtà archeologiche in situ e i manufatti esposti vivono così in un rapporto di simbiosi e complementarità per illustrare il periodo della cristianizzazione della regione di Aquileia. b) situazione attuale e criticità L’esposizione, curata ed efficace, è in parte basata su un criterio di raccolta per contesto (materiali dalla Basilica della località Beligna) e in parte su un criterio tipologico (raccolta di rilievi e iscrizioni). L’apparato didattico appare idoneo ad illustrare la collezione e a far luce sulla fase tardoantica e paleocristiana della città. c) esigenze di intervento A parte le esigenze di verifica statica e di risoluzione dei problemi di drenaggio che affliggono l’edificio (cfr. supra), la Collezione appare ben integrata nello spazio moderno che riprende l’edificio antico e risulta di grande fascino per l’illustrazione della fase cristiana della comunità aquileiese. In prospettiva questo polo museale potrebbe vedere potenziate le sue funzioni di polo museale di riferimento per la storia post-antica e medievale di Aquileia, dopo opportuni adeguamenti e integrazioni degli spazi espositivi. Nell’attesa di tali eventuali accrescimenti, questa struttura museale non richiede al momento interventi di miglioramento, se si eccettua un possibile potenziamento delle strutture didattiche e una migliore integrazione nei percorsi cittadini di visita. 5.4 Gli itinerari urbani Introduzione L’aspetto di gran lunga più limitante per un’efficace valorizzazione del patrimonio archeologico di Aquileia è costituito dalla palese disarticolazione del patrimonio antico conosciuto. Le aree archeologiche e i poli museali fin qui descritti e analizzati costituiscono infatti segmenti spaziali isolati e spesso limitati di un originario continuum urbano che il tempo ha spezzato e frammentato. Nell’impossibilità di ricomporre tale unità urbana antica, per evidenti ragioni legate al 64 - PIANi di valorizzazione di aquileia tessuto edilizio e infrastrutturale contemporaneo, la possibilità di ottenere una soddisfacente forma di fruizione della città antica esige in primo luogo di tessere una trama solida che leghi le diverse aree archeologiche e ne faccia poli di un sistema urbano antico. Si pone cioè la necessità di costruire una modalità di fruizione che unisca e integri in un’unica rete i diversi gangli vitali dell’organismo cittadino antico conducendo il visitatore attraverso percorsi fisici e mentali tra monumenti e aree archeologiche. L’importanza dei percorsi è quindi quanto mai evidente ad Aquileia e a tal fine il presente Progetto scientifico propone alcuni tracciati attraverso l’area urbana antica che leghino secondo logiche topografiche e tematiche le aree archeologiche oggi disunite. 5.4.1 Itinerari topografici Una prima serie di percorsi può essere definita sulla base di un criterio topografico con tre opzioni basate sui tempi a disposizione del singolo “utente” o gruppo di utenti. Il percorso, in tutte le varianti, conduce il visitatore a toccare tutti i poli fondamentali della vita pubblica e privata dell’antica città con soste presso le strutture museali. Queste prime proposte mirano espressamente a fornire una panoramica complessiva dell’edilizia e degli spazi dell’antica colonia poiché si fondano sul concetto, ritenuto basilare dalla moderna storiografia, di città intesa come un contesto sistemico complesso in cui spazi pubblici, privati, sacri e profani concorrono in forma sinergica a definire la realtà cittadina antica. Oltre a sottolineare quindi la complessità tipologica e funzionale delle realtà urbane, questo percorso a largo raggio topografico mira anche a evidenziare la straordinaria estensione areale del nucleo urbano antico di Aquileia, conducendo il visitatore a toccare il cuore dell’abitato, i suoi quartieri centrali, le sue aree liminali e il suo suburbio. Il percorso topografico mira infine a fornire una visione completa dell’offerta archeologica della città a quanti richiedano un’approfondita esperienza di immersione nell’antico; esso non esclude tuttavia la possibilità, a chi maggiormente interessato, di seguire successivamente i percorsi tematici che si propongono di seguito. Il punto di partenza e di arrivo è identificato presso il parcheggio posto lungo viale Stazione e presso l’attuale (2011) punto di accoglienza dei turisti. Qui si può immaginare l’allestimento di un punto di orientamento divulgativo con affissione di mappe complessive della città, consegna del materiale didattico-divulgativo e degli strumenti di ausilio alla circolazione per la città antica. Per tali funzioni può essere individuata nelle immediate vicinanze la sede della Mostra documentaria sulla storia di Aquileia dell’Associazione Nazionale per Aquileia che potrebbe in futuro costituire un ottimo polo di riferimento per introdurre il fruitore alla visita della città. Dal punto di partenza il percorso topografico segue un andamento tendenzialmente circolare senza segmenti ripetuti che porta il visitatore a concludere la visita presso il punto di partenza. Il percorso tiene conto delle aree archeologiche già attrezzate per la fruizione o in corso di scavo che siano comunque attualmente (2011) visitabili o visibili dai limiti esterni. Le durate delle visite dipendono dal mezzo di spostamento (piedi, bicicletta, auto/moto) e sono pertanto puramente indicative. Progetto scientifico - 65 Itinerario A - Lunga durata 1. Foro 2. Grandi Terme 3. Sepolcreto 4. Museo Archeologico 5. Fondi CAL 6. Fondi Pasqualis 7. Complesso cristiano di piazza Capitolo 8. Fondi ex Cossar 9. Porto 10. Domus a nord di via Gemina 11. Museo paleocristiano di Monastero 12. Domus delle Bestie ferite Itinerario B - Media durata 1. Foro 2. Grandi terme 3. Sepolcreto 4. Museo Archeologico 5. Fondi CAL 6. Complesso cristiano di piazza Capitolo 7. Fondi ex Cossar 8. Porto 9. Domus a nord di via Gemina Itinerario C - Breve durata 1. Foro 2. Museo Archeologico 3. Complesso cristiano di piazza Capitolo 4. Fondi ex Cossar 5. Porto 66 - PIANi di valorizzazione di aquileia 5.4.2 Itinerari tematici Riprendendo ed elaborando una recente proposta di percorsi tematici attraverso Aquileia (S. Blason Scarel, Itinerari, in Moenibus et portu celeberrima. Aquileia, storia di una città, a cura di F. Ghedini, M. Bueno, M. Novello, Roma 2009, pp. 293-301), si formulano tre ipotesi fondate su criteri tematici e storici. Itinerario D – La grande architettura pubblica di Aquileia Foro Porto Mura del porto Mura repubblicane dei fondi ex Cossar Mercati Pasqualis Mura tardoantiche dei fondi ex Pasqualis Grandi Terme Circo (presso cimitero) Museo Il primo percorso intende offrire al visitatore una panoramica sui più importanti complessi pubblici dove si svolgeva la vita della città dall’età tardorepubblicana fino all’età tardoantica. Il patrimonio architettonico monumentale di Aquileia nel campo dell’edilizia pubblica è assolutamente straordinario, sebbene non sempre di nitida lettura e inficiato dai pesanti spogli tardoantichi, e offre la possibilità di una visita tematica in grado di ripercorrere tappe storiche e peculiarità della città altoadriatica. Il percorso attraverso i monumenti pubblici segue una logica cronologica e tematica articolandosi dapprima nella visita del cuore più antico della città, costituito dal foro, e spostandosi quindi verso il porto per prendere visione così dei due più antichi complessi pubblici oggi visibili. In prosecuzione, la visita della lunga riva portuale e dei magazzini, con le fortificazioni sovrapposte alle banchine, delle difese repubblicane presso i fondi ex Cossar e dell’area ex Pasqualis, con i mercati e le fortificazioni tarde, illumina la duplice polarità tematica del commercio e della difesa che costituiscono i leit motiv della storia di Aquileia. Il percorso prosegue con la visita a due grandiosi complessi di epoca medio e tardo imperiale rappresentati dalle Grandi Terme e dal Circo. Questi costituiscono esempi eccellenti dell’architettura del periodo e soprattutto esempi della grandissima vitalità del centro di Aquileia tra III e IV secolo d.C., anche in relazione alla committenza imperiale che sta alle loro spalle e che risulta appunto tipica delle grandi metropoli tardoimperiali; ma la scelta di articolare il percorso fino a toccare questi complessi, non particolarmente “appariscenti” sotto il profilo monumentale, è voluta e mirata anche ad illustrare un’altra problematica storica cruciale per Aquileia. In epoca post-antica gran parte degli edifici pubblici vennero spogliati e depredati delle loro strutture fino ad essere ridotti a ruderi scomposti. La visita alle Grandi Terme e all’area del Circo permettono di capire in un crescendo quanto i più grandiosi edifici pubblici aquileiesi vennero trasformati nel tempo e quasi azzerati (Grandi Terme) fino praticamente a scomparire e a lasciare solo una flebile Progetto scientifico - 67 traccia sul terreno (Circo). Il percorso attraverso l’edilizia pubblica mira anche a far percepire la straordinaria competenza e capacità ingegneristica dei progettisti romani, resa palese dalla scelta dei materiali lapidei (differenziati a seconda dei contesti e dell’uso), dalla grandiosità e raffinatezza delle opere edilizie e dalla fine sapienza nella “costruzione” dello spazio urbano. Tutti questi elementi si colgono dalla lettura dell’apparato monumentale urbano che fecero di Aquileia moenibus et portu celeberrima. Sono toccati così in primo luogo il foro, che costituiva dall’epoca repubblicana il centro dell’amministrazione della città; è visibile nella sua sistemazione del I secolo d.C. con la grande piazza lastricata (ai due lati della moderna strada regionale 352), i porticati e, a sud, le tracce della basilica civile che chiudeva lo spazio aperto da questo lato. Segue la lunga passeggiata del porto, vero cuore economico pulsante della città. L’assetto visibile e visitabile è l’esito di diverse fasi edilizie delle strutture portuali e di quelle difensive, che in parte si sovrapposero alle banchine. Queste tuttavia sono ben leggibili e presentano i caratteristici doppi livelli di carico con gli anelli di ormeggio. Si tratta della più grande struttura portuale nota dell’Italia settentrionale antica e appare di straordinaria rilevanza per la sua lunghezza riconosciuta di oltre 400 m. Il fiume che vi scorreva di fronte aveva una larghezza di oltre 40 m. Alla vista del porto segue il transito per l’area dei fondi ex Cossar dove sono in corso di valorizzazione (2011) le difese repubblicane che qui avevano il loro angolo sud-orientale con una torre quadrata. Difese e mercati si alternano in questo percorso come nella storia della città, che vide sempre affiancati il suo ruolo di baluardo dell’impero e di Roma e grande emporio. Presso le aree dei mercati dei fondi ex Pasqualis si scoprirono almeno tre aree aperte (di cui due visibili) che costituivano spiazzi per la compravendita di merci affiancati da tettoie lignee; nello stesso terreno (verso l’estremità sud) sono però visibili altri tratti delle difese tardoantiche con la linea di IV secolo e il suo raddoppiamento del V secolo. Dalla zona meridionale dell’abitato si può quindi spostarsi verso l’area occidentale ed apprezzare l’enorme complesso delle Grandi Terme del IV sec., che divenne il vero polo di aggregazione sociale della città imperiale; si tratta di un fulgido esempio, purtroppo conservato in modo molto lacunoso, della grande architettura aquileiese del IV secolo con i suoi 2 ettari di estensione. Lo componevano un enorme frigidarium centrale con aule a nord e a sud di esso, vasche per i bagni e spazi accessori secondo lo schema delle grandi terme imperiali diffuse in tutto l’impero dal II secolo in poi. Appare suggestivo prevedere come possibile conclusione del percorso anche il transito per l’area del Circo dove, pur in assenza di strutture, il microrilievo del terreno in corrispondenza dello spazio del moderno cimitero rende la pur pallida ma seducente idea della grandezza dell’edificio per le corse dei carri. Era la sede delle grandi manifestazioni ed “epifanie” imperiali e venne integralmente demolito e spogliato per il riuso dei materiali edilizi. L’osservazione sul terreno dei complessi monumentali deve concludersi con la visita al Museo, dove vengono esposti numerosi manufatti che da tali contesti pubblici provengono. In particolare appaiono di straordinaria rilevanza il nucleo di iscrizioni pubbliche, i frammenti di monumenti pubblici e alcuni rilievi o complessi statuari che decoravano gli spazi pubblici della piazza forense e di altri edifici. Itinerario E - Aquileia privata Domus delle Bestie ferite 68 - PIANi di valorizzazione di aquileia Domus a nord di via Gemina Fondo ex Cossar Fondi CAL e Beneficio Rizzi Sepolcreto Museo Il secondo percorso mira a condurre il visitatore ad esplorare la grande architettura residenziale domestica di Aquileia. Il centro adriatico è, tra tutti i siti urbani cisalpini, quello che più di ogni altro ha restituito testimonianze eccelse delle forme del vivere privato, caratterizzate particolarmente per l’ampiezza e l’articolazione degli spazi domestici e per un patrimonio di rivestimenti musivi pressoché unico in Italia. Questo percorso attraverso le espressioni archeologiche di committenza privata costituisce un metodo di esplorazione della città antica che permette di conoscere la società aquileiese antica; come insegnano i più recenti sviluppi della storiografia archeologica i gruppi sociali antichi trovavano proprio nelle domus forme ideali di autorappresentazione, riflettendovi le proprie possibilità economiche, i propri gusti, le proprie ideologie attraverso il tempo. Le molte case di Aquileia guidano attraverso un percorso evolutivo che dalle sobrie residenze di prima età imperiale conduce alle sfarzose dimore tardoimperiali dove il dominus dominava la scena domestica e i suoi clientes da sontuosi salotti absidati. Attraverso le domus è però anche possibile ottenere una percezione precisa di aspetti importanti della cultura artistica del periodo romano imperiale, grazie all’osservazione delle decine di tappeti musivi geometrici, monocromi, bicolori e policromi figurati che contraddistinguono il panorama aquilieiese. Il panorama delle domus appare tuttavia estremamente frammentato nello spazio, privo di esemplari di residenze apprezzabili per l’intera loro estensione e spesso di non facile lettura. Questo stato di cose appare dovuto ad una tormentata storia degli studi e degli scavi che ha dovuto fare i conti più volte con esigenze di adeguare i progetti di indagine al fitto tessuto catastale privato contemporaneo e alla cronica procedura d’urgenza delle ricerche. Negli ultimi decenni, grazie all’intervento di enti di ricerca, è tuttavia intervenuta una programmazione diversa che permette di bilanciare certe aporie con scavi programmati su superfici estese, tuttavia non ancora conclusi (2011). Il percorso attraverso le case di Aquileia romana si articola all’interno di questo difforme panorama di testimonianze toccando sia complessi residenziali da molto tempo noti e variamente ricomposti sia aree in cui sono in corso di svolgimento programmi di indagine e valorizzazione di residenze private. Qui, alla “scoperta” delle novità il visitatore può aggiungere l’interesse per l’osservazione delle più moderne metodologie di ricerca presso le domus romane. Il percorso tocca inizialmente proprio due delle aree in coso di scavo (domus delle Bestie ferite e domus a nord di via Gemina). Nel primo spazio il visitatore è portato ad osservare una ricca abitazione frequentata almeno dalla prima età imperiale e profondamente rinnovata nel corso del IV secolo con il rifacimento dei tappeti musivi e la realizzazione di un grande vano absidato con mosaico a tema di caccia. Nel secondo caso sono visibili tratti rilevanti di una ricca domus di IV secolo sovrapposta a più antiche strutture. Il percorso tocca poi una delle aree di maggior interesse per lo studio delle case di Aquileia: i fondi ex Cossar. Da questa zona, in cui si riconoscono almeno tre grandi residenze, provengono mosaici di particolare pregio oggi conservati al Museo (il cd. Asaratos oikos e la Nereide) e qui è attualmente (2011) in corso di svolgimento un programma di valorizzazione di una delle case dell’area inserita tra due arterie urbane. Progetto scientifico - 69 L’aspetto di particolare interesse della visita delle residenze dei fondi ex Cossar è rappresentato dalla possibilità di osservare eccezionalmente in questo sito l’assetto di una casa del I secolo d.C. nella sua interezza. In tutti gli altri casi le residenze sono visibili quasi esclusivamente nella sistemazione che acquisirono nel corso del IV secolo d.C. Segue la visita dei fondi ex CAL e Beneficio Rizzi; qui furono indagate e ricomposte almeno cinque abitazioni i cui limiti e la cui effettiva estensione non sono tuttavia ben percepibili. Qui si trova musealizzato e racchiuso da strutture uno dei grandi ambienti che in età tardoimperiale ricevette una sontuosa sistemazione architettonica per accogliere i ricevimenti dei domini. Segue e conclude la visita del Sepolcreto, dove la dimensione privata della vita si declinava nella dimora eterna. Il contesto acquista rilievo perché costituisce l’unica area funeraria visibile dell’antico centro e per la possibilità di apprezzare con efficacia, grazie anche al restauro operato, l’assetto di un antico sepolcreto. Alcuni recinti funerari della prima e media età imperiale accolgono sepolture di tipo ad incinerazione e a inumazione e l’immagine complessiva dell’area restituisce efficacemente anche le tendenze all’autorappresentazione delle famiglie dei defunti attraverso la morte. Il naturale completamento del percorso attraverso le testimonianze della vita privata di Aquileia è costituito dalla visita al Museo, dove nei decenni scorsi sono stati esposti tutti i manufatti di maggior pregio che costituivano l’apparato funzionale e semantico delle domus e delle tombe. Particolarmente nel corpo del Museo sono di assoluta importanza tutti i manufatti della vita quotidiana provenienti dalle domus o i rilievi e le sculture funerarie; nelle Gallerie Lapidarie del Museo si trovano invece frammenti di tappeti musivi in eccezionale quantità, iscrizioni, monumenti e rilievi funerari. Itinerario F - Aquileia cristiana Complesso teodoriano Campanile Basilica patriarcale romano-gotica Episcopio Battistero Basilica di Monastero/Museo paleocristiano di Monastero Il terzo percorso tematico si sviluppa in diversi settori dell’area urbana di Aquileia per permettere al visitatore di apprezzare la straordinaria fioritura architettonica e artistica che Aquileia conobbe da quando, nel corso del IV secolo d.C., la nuova fede cristiana assunse ruolo manifesto di guida spirituale della comunità locale. Questo determinò la nascita di una serie di edifici di culto che assunsero caratteri, dimensioni e visibilità preminenti sullo scenario urbano fino a condizionarne le logiche distributive e funzionali. Per queste evidenze, di natura esclusivamente religiosa, Aquileia rappresenta oggi in tutto l’Occidente europeo uno dei siti dove più ampie e significative sono le testimonianze archeologiche del primo periodo di vita delle comunità cristiane. Alle straordinarie opere architettoniche il percorso affianca produzioni artistiche di altrettanto valore, illustrate soprattutto dai tappeti musivi che costituiscono i documenti più estesi e più importanti dello specifico genere in tutto l’orizzonte dell’Occidente cristiano. Tali documenti artistici e i relativi contesti conferiscono un interesse particolare al 70 - PIANi di valorizzazione di aquileia Percorso anche per la loro datazione particolarmente antica per lo specifico genere di manufatti: essi si datano infatti nella prima metà del IV secolo d.C. e si pongono tra i più antichi documenti di arte cristiana dell’Occidente. In chiave storica il percorso mira a far comprendere fenomeni di enorme portata per la storia di Aquileia e pure ampiamente paradigmatici per la storia evolutiva di numerosi centri urbani norditalici nel passaggio tra età antica ed epoca medievale. L’osservazione dei complessi cristiani di Aquileia permette infatti in alcuni casi di osservare nitidamente la trasformazione degli assetti architettonici delle città romane, palesata dai radicali mutamenti che intervengono in molti isolati della città per la loro trasformazione in ambiti dedicati alla nuova religione. Al pari l’analisi delle nuove realtà cristiane illustra la progressiva metamorfosi dell’organizzazione generale dello spazio urbano, che trova nei nuovi poli religiosi punti di riferimento gravitazionale in grado di mutare le dinamiche di aggregazione edilizia e funzionale. Un aspetto di particolare rilevanza che questo percorso permette di cogliere è anche l’eccellente stato di conservazione di alcune strutture cristiane antiche, che non si riscontra, all’opposto, in alcuno di tutti i complessi monumentali antichi presentati lungo gli altri percorsi. La continuità di funzione e d’uso, tenacemente difesa tra alto e basso Medioevo dalle comunità locali, permise la lunga sopravvivenza strutturale di alcuni edifici di culto e permette oggi al visitatore di svolgere una visita di carattere “immersivo” in monumenti tardoantichi e medievali giunti pressoché intatti nella loro realtà fisica. Solo nei casi delle basiliche di piazza Capitolo e di Monastero è infatti oggi possibile rivivere “con gli occhi del fruitore antico” lo spazio architettonico utilizzato nel IV secolo e apprezzare in forma molto prossima al vero e non virtuale, come accade per quasi tutti i contesti archeologici, le volumetrie e le forme complete dei grandi edifici antichi. Nel quadro complessivo del percorso un posto di assoluto rilievo è tenuto dalla visita del Museo paleocristiano posto nel quadro monumentale della Basilica di Monastero. Tale raccolta ha infatti carattere cronologico e tematico raccogliendo la maggior parte dei documenti relativi ad Aquileia cristiana e assumendo un valore strettamente complementare alle visite svolte. La traccia del percorso muove da piazza Capitolo e dalla visita dell’articolato complesso basilicale qui presente. Dall’ingresso nella Basilica romano-gotica si accede verso settentrione all’area archeologica circostante le fondazioni del campanile (Cripta degli Scavi). Qui si osserva una mirabile successione stratigrafica e strutturale che illustra l’evolversi della città dall’epoca antica al pieno Medioevo. A pavimenti e murature di alcune domus romane si sovrappongono infatti i resti dell’aula teodoriana nord riccamente mosaicata, datata alla prima metà del IV sec., e le tracce della prima grande basilica post-teodoriana (nord) a pianta rettangolare con battistero a vasca esagonale cinta da struttura a stella, realizzata già forse verso la metà dello stesso secolo. Sulle vestigia di questa prima grandiosa costruzione si osserva poi la netta successione delle fondazioni a gradini del campanile datato all’XI secolo (con rinforzi del XIV secolo) che sigilla e chiude questa successione. Nell’area della Basilica romano-gotica si può invece osservare lo straordinario tessellato dell’aula teodoriana sud, che per le dimensioni di quasi 750 mq e l’animata iconografia appare come il più importante documento artistico della cristianità delle origini. Sovrapposte alla chiesa teodoriana si notano tracce della ben più ampia basilica post-teodoriana (sud), a pianta rettangolare e si apprezzano forme e dimensioni della maestosa basilica patriarcale romano-gotica che è oggi ancora utilizzata, pur con varianti dei secoli successivi, come luogo di culto. All’esterno della chiesa la recente (2009) ristrutturazione della piazza Capitolo ha riprodotto sulla pavimentazione in arenaria le linee planimetriche essenziali del grande quadriportico che poco dopo la metà del IV secolo venne eretto Progetto scientifico - 71 di fronte alla basilica post-teodoriana nord. È stato ipotizzato che su di esso, da nord, si aprisse l’Episcopio, identificato da alcuni in un edificio indagato tra il piazzale stesso e l’edificio della Stalla Violin (presso la quale sono visibili alcuni tappeti musivi) che immette nell’area archeologica dei fondi ex Cossar. Sempre all’esterno del complesso basilicale, ma ad esso strettamente connesso, è il gruppo monumentale costituito dalla cosiddetta Chiesa dei Pagani e dal Battistero. Questo gruppo è posto in asse con la Basilica romano-gotica ed è ad essa connesso tramite il nartece. Si compone di uno spazio quadrangolare (Chiesa dei pagani) che immette nell’aula al centro della quale è la vasca battesimale esagonale del V sec. inquadrata in un ambiente a pianta ottagonale. Questo vano è compreso a sud e a nord tra due serie di ambienti mosaicati, di cui quello meridionale (cd. Südhalle) è recentemente (2011) oggetto di restauro conservativo e risulterà tra breve visibile. Le tappe conclusive del percorso dedicato ad Aquileia cristiana sono rappresentate da un altro straordinario luogo di culto presso la località suburbana di Monastero, dove si sviluppò tra fine del IV e il V secolo d.C. un’altra grandiosa costruzione per il culto cristiano. La basilica originaria, di quasi 50 m di lunghezza con nartece, era decorata da tappeti musivi e fu annessa in età altomedievale al monastero delle Benedettine di Santa Maria. Dopo la chiusura del Convento nel 1782 l’edificio basilicale fu sconsacrato e convertito in edificio ad uso agricolo (follatoio). Ne vennero conservata in modo ottimale la volumetria con lo spostamento verso ovest e ricostruzione della facciata. Oggi si può accedere all’edificio e ammirare la straordinaria costruzione che evoca da vicino l’impianto antico. Nello spazio tra la facciata antica e quella moderna trova posto un’importante collezione di manufatti d’arte e iscrizioni cristiane costituita nel 1961 per illustrare la vita della comunità di Aquileia tra IV e IX secolo d.C. In essa tra l’altro si trovano esposti anche porzioni significative di una terza grande basilica cristiana indagata a sud della città presso il fondo Tullio in località Beligna, non visibile perché ricoperta subito dopo gli scavi. 72 - PIANi di valorizzazione di aquileia 6. Il territorio 6.1 Quadro generale Nello studio e nella valorizzazione di un grande centro urbano dell’Antichità l’attenzione rivolta verso gli spazi cittadini non può prescindere da un’attenta parallela considerazione dell’organizzazione delle campagne. I centri abitati antichi – e Aquileia non fa eccezione – erano infatti centri ad economia prevalente agricola che fondavano la loro esistenza sull’unità inscindibile tra spazio compreso tra le mura e spazio esterno ad esse. Aquileia nasce come grande colonia di popolamento la cui prima finalità era costituita dalla difesa delle estreme propaggini d’Italia. Per questo fin dalle origini dell’insediamento una delle preoccupazioni primarie fu costituita dall’organizzazione e dalla gestione del territorio. Nel corso del II sec. a.C. sembra che la città abbia preso possesso di gran parte delle regioni della pianura friulana e di parte della zona pedemontana; in questo vasto settore fu organizzato un disegno di centuriazioni – una rete di strade e fossati ortogonali che componevano una scacchiera di appezzamenti suddivisi tra gli abitanti - che divenne la base del controllo militare del quadrante nord-est dell’Italia e assieme base delle fortune economiche della città. All’interno degli spazi suddivisi delle campagne si organizzavano infatti sia le produzioni agrarie funzionali alla vità della popolazione e allo scambio del surplus, sia le attività allevatorie per le quali la colonia divenne da presto celebre. L’insediamento nelle campgane è stato indagato a più riprese e vede la diffusione di modelli architettonici diversi come le fattorie destinate alla residenza del colono, impegnato direttamente nella conduzione dei fondi, o come le villae rusticae in grandi di accogliere sistemi socio-produttivi più complessi. Oltre alle risorse agricole presenti nella fascia di pianura e a quelle pastorali- pascolative abbondanti nella fascia pedemontana, il territorio aquileiese poteva offrire per lo sviluppo della città anche una particolare abbondanza di materiali da costruzione grazie alla presenza presso il Carso triestino di bacini abbondanti di un calcare chiaro bioclastico denominato Pietra di Aurisina dalla località prossima alle cave. Questo materiale dal colore chiaro e ben lucidabile (tanto da essere denominato, impropriamente, marmo del Carso) fu cavato da età romana e fino ad epoca modernacontemporanea presso cave di grandi dimensioni tuttora attive e visitabili. Dal punto di vista infrastrutturale la città si dotò pure di arterie di comunicazione efficenti per la relazione con le altre città della regione e con gli spazi marittimi. Tra le prime si possono ricordare almeno le vie Annia e Postumia, mentre tra le seconde il canale Anfora che dalla periferia urbana occidentale conduceva agli spazi lagunari di Marano e quindi al mare aperto. Altre strade mettevano in comunicazione la città con i settori orientali della pianura friulana (verso l’Isonzo e Trieste) e con l’area prealpina (valli del Natisone e del Vipacco). Nella ricostruzione della relazione tra la città e il mare un problema assai complesso è rappresentato dallo spazio oggi occupato dalla Laguna di Grado. Secondo gli studi geomorfologi generalmente accolti tale vasto specchio d’acqua si sarebbe formato solo a partire dall’Altomedioevo a spese di una fascia di terre emerse durante l’età romana e dotate di uno scalo a mare divenuto poi il fondamentale insediamento di Grado. 6.2 Percorsi e sistemi di valorizzazione Le evidenze dell’antropizzazione del territorio, sopra succintamente descritte, non presentano particolari evidenze sul terreno e non si prestano a forme di valorizzazione e visita di grande effetto. Tuttavia il loro indubbio valore storico e la stretta relazione, pure menzionata, tra la città e suo hinterland conducono a ritenere indispensabile un legame tra le logiche di fruizione e valorizzazione della città e alcuni percorsi territoriali che tocchino aree o centri di interesse Progetto scientifico - 73 storico. Un primo orizzonte di riferimento per possibili percorsi territoriali è sicuramente rappresentato dall’area suburbana della città, dove da sempre appaiono diffuse le tracce dell’attività commerciale e produttiva della città antica. Sebbene in questo caso i resti non siano sostanzialmente rimasti a vista e quindi non siano apprezzabili, si possono prevedere itinerari tematici con apposita forma di segnaletica e pannellistica che mettano in evidenza i punti di interesse (canali navigabili, tratti stradali, Basilica Apostolorum di Beligna, Fornaci, residenze extraurbane) che animavano un tempo in forme sontuose un suburbio di grandi dimensioni. Un secondo ambito di interesse può essere rappresentato dallo spazio tra la città e il mare con possibili itinerari di visita legati alle tracce fossili del Canale artificiale Anfora e agli spazi lagunari contermini. Di massima importanza appare in questo settore il collegamento della visita di Aquileia con l’area urbana di Grado e le sue fondamentali evidenze archeologiche e museali. Queste integrano, soprattutto per le fasi tardoromane e altomediavali, le realtà aquileiesi, e rendono l’immagine della continuità di vitalità dello spazio nordadriatico anche oltre la fine del mondo antico. Inoltre, verso occidente, si presentano interessanti possibilità di collegamento attraverso la laguna con altre aree archeologiche degne di importanza, come le ville del litorale, tra cui la villa di recente scoperta a Lignano. Un terzo ambito di palese interesse in relazione alla città è quello costituito dal territorio posto ad oriente della città, con particolare riferimento all’Isonzo, che era attraversato da un ponte romano di cui restano pochi avanzi, e alla sede del Lacus Timavi, ricordato da più fonti come sede di un oracolo presso la riemersione del fiume carsico prima della foce. Nella quadrante orientale del territorio aquileiese un’attenzione particolare per la creazione di percorsi e forme di valorizzazione potranno occupare i centri di estrazione della pietra di Aurisina, che mirabilmente illuminano i processi di urbanizzazione e spiegano da soli la grande monumentalizzazione dello spazio cittadino aquileiese. In particolare, appare assolutamente auspicabile l’attivazione di visite didattiche presso i loci estrattivi attualmente attivi (Cava Caharjia, Cava Romana, Bacino Ivere). Un possibile percorso orientale di visita del territorio potrà prevedere come naturale esito il raggiungimento del polo urbano triestino ricco di evidenze archeologiche e di un’esposizione museale. Infine la quarta possibile proiezione territoriale dei percorsi territoriali potrà riguardare il quadrante settentrionale della pianura friulana, dove pur labili possono essere colte le tracce della centuriazione, con prosecuzione delle visite verso il polo museale udinese e, ancor più a nord, verso il centro urbano alpino di Iulium Carnicum (Zuglio), dotato di un’estesa area archeologica e di una ricca collezione museale, e verso il passo di Monte Croce Carnico, dove sono tuttora visibili importanti iscrizioni su roccia lungo strade romane che univano Aquileia al Norico. 74 - PIANi di valorizzazione di aquileia Sezione II Fondi ex Cossar Progetto scientifico - 75 Introduzione Tra le diverse aree archeologiche in cui si articolano le testimonianze visibili dell’antica Aquileia l’area dei fondi ex Cossar riveste un ruolo di primo piano e riceve in questa sede un’analisi di dettaglio in ragione della priorità ad essa attribuita nella scala cronologica di interventi da eseguire. L’area si trova nella zona sud orientale di Aquileia, circa 200 m a settentrione dell’area delle Basiliche cristiane. Nell’ambito della città antica questo spazio di circa 10.683 m2 era compreso tra due assi stradali minori posti ad est della cosiddetta via Giulia Augusta e tra il primo e il secondo decumano a sud del decumano massimo. Questa parte della città si trovava all’interno delle mura repubblicane e occupava l’estremo angolo sud-orientale dello spazio cittadino originario. 1. Storia degli studi L’area dei fondi ex Cossar conosce una lunga storia delle ricerche, che inizia nel XIX secolo con la scoperta dei mosaici del cd. Asarotos Oikos e del Ratto d’Europa, poi strappati e oggi conservati presso il Museo Nazionale di Aquileia (Bertacchi 1983, pp. 209-226). Sempre nell’Ottocento fu probabilmente portato alla luce un tratto di strada urbana, orientata in direzione nord-sud (l’unico riferimento ad esso si trova in Buora 2000, p. 138). Le indagini proseguirono nel Novecento con varie campagne di scavo condotte tra il 1924 e il 1957 da G. Brusin, allora direttore delle ricerche archeologiche ad Aquileia. In quegli anni furono individuati numerosi resti architettonici nei quali si poterono riconoscere alcune ricche domus adorne di tappeti musivi geometrici, figurati, in bianco e nero e policromi, databili tra il I e il IV secolo d.C. Gli esiti degli scavi non vennero mai editi in forma sistematica, ma solo presentati sinteticamente in diverse sedi editoriali con metodi di presentazione di volta in volta mutevoli. I riferimenti topografici in quelle relazioni erano del tutto approssimativi, le osservazioni sulle strutture poco chiare; l’attenzione di Brusin era concentrata, infatti, quasi esclusivamente sulla scoperta dei mosaici. Nel 1924 lo studioso intraprese i primi scavi programmati; ne rimane testimonianza nella relazione pubblicata nel ’27 (brusin 1927, pp. 274-277) e nell’archivio del Museo Nazionale di Aquileia in cui abbiamo ritrovato due piante (Archivio MAN, n. 19) relative all’intervento avvenuto in quegli anni. Grazie ad esse è possibile determinare con una discreta precisione la zona dove venne effettuato il saggio. Lo scavo può essere così posizionato nella parte più meridionale del fondo, a sud delle case attualmente in vista, in prossimità dell’entrata al sito dalla piazza Capitolo. Vennero alla luce in quell’occasione diversi tessellati da assegnare probabilmente ad almeno tre fasi di vita della domus oggetto di scavo. Nel 1929-30 in seguito a lavori agricoli effettuati a circa quaranta metri dall’area indagata nel ’24, emersero nuovi mosaici che portarono all’esecuzione di scavi da parte della Direzione del museo; è sempre Brusin a comunicarlo nelle Notizie degli Scavi del 1931 (brusin 1931, pp. 125-133). Dalla descrizione dei mosaici ritrovati e dall’osservazione dei pavimenti ancora in situ, se ne deduce che egli, dall’ambiente del mosaico con “la scena della pesca” (primo ritrovamento) si spinse verso sud fino a intravvedere il mosaico col “tralcio di vite con fiocco” che si trova nella parte meridionale dell’area demaniale. Da un articolo pubblicato nel 1932 nella rivista “Aquileia Nostra”, apprendiamo che Brusin ritrovò in quegli anni, a sud-est delle case, un tratto delle mura repubblicane risalenti al II sec. a.C. e il loro angolo sud-orientale, protetto da un 76 - PIANi di valorizzazione di aquileia torrione quadrangolare (brusin 1932, cc. 136-137). Individuò inoltre un condotto conservatosi integro per 3,30 m e al di sopra del cunicolo, lungo i bordi, le selci poligonali della strada (brusin 1932, cc. 142-146). Nel 1941 lo studioso (brusin 1941, cc. 1-30) riprese gli scavi in questa zona della città che a suo dire, sembrava essere tra le più interessanti di Aquileia. Solo due dei mosaici da lui ritrovati sono attualmente visibili: si tratta del pavimento col “tralcio di vite con fiocco” (in parte già intravisto negli scavi del ’29-’30) e di quello ad esso perpendicolare. Altri tre tessellati figurati e geometrici si trovavano nella zona ad occidente dell’attuale area archeologica. Di questi mosaici resta testimonianza in alcune planimetrie conservate in archivio (MAN, n. 19) che documentano operazioni di scavo e strutture murarie attualmente non visibili. Nel 1951 le indagini archeologiche interessarono la zona del mosaico con “la scena di pesca” già indagata nel 1929-30, ma non in modo esauriente. Nella relazione che ne seguì, pubblicata solo sette anni dopo lo scavo, Brusin non descrisse nuove scoperte, presentò invece in dettaglio il mosaico sopra citato (brusin 1957, pp. 191-209). Nuovi scavi furono effettuati nel 1957, ne riferiscono Brusin e Luisa Bertacchi (Bertacchi 1977, pp. 429- 444; Brusin 1958, p. 243; Brusin 1958, pp. 411- 412; Bertacchi 2003, p. 49). Si scavò, inizialmente, nella parte settentrionale del fondo riportando in luce il mosaico del “Pastore in abito singolare” ed un ambiente, forse un portico, sul lato est. Quattro anni più tardi, in seguito allo strappo del mosaico del “Pastore”, si scoprì un nuovo tessellato figurato al di sotto del quale si rinvennero quattro ambienti ornati da mosaici geometrici e figurati (brusin 1961, pp. 2-7). In quegli anni fu individuata anche un’altra strada lastricata, con la rispettiva cloaca per lo smaltimento delle acque (Brusin 1958, p. 411). Gli scavi proseguirono più a sud dove Brusin rinvenne altri tre mosaici policromi (Brusin 1958, p. 243). Infine negli anni ’60, in seguito alla decisione della Soprintendenza alle antichità delle Venezie di trasformare una vecchia stalla di proprietà dello Stato a ingresso agli scavi del fondo ex Cossar da Piazza Capitolo, appurata la presenza di resti antichi, fu avviata un’indagine completa (Bertacchi 1960, pp. 3-6; Bertacchi 1960, p. 294). La Bertacchi attribuì le strutture rinvenute ad un edificio a destinazione pubblica in relazione alla basilica post teodosiana, databile nel V secolo d.C. Non sono note relazioni di scavo riferibili ai mosaici rinvenuti nella parte nord-occidentale dei fondi ex Cossar e risulta difficile attribuirli agli interventi di Brusin o della Bertacchi. Dalle testimonianze d’archivio, in particolare foto e planimetrie, sembrerebbe invece attribuibile alla studiosa la scoperta, ad est del mosaico del “Buon Pastore in abito singolare”, di una struttura circolare tangente ad un’altra di forma quadrangolare affiancate da canalette per lo scolo dell’acqua. La scoperta di un settore della città antica così ricco di testimonianze portò alla creazione di un’area archeologica di notevoli dimensioni. Agli anni ‘60 del secolo scorso risale il progetto di valorizzazione dell’area, attuato dalla Bertacchi attraverso la ricostruzione di alcune strutture murarie, il consolidamento dei mosaici, e la costruzione di due “palafitte” in cemento, destinate a sopraelevare i mosaici “del Pastore in abito singolare” e “della Pesca”, in modo tale da lasciare a vista le pavimentazioni più antiche ad essi sottoposte. I principali interventi effettuati furono illustrati dalla stessa studiosa in un articolo sulla rivista “Aquileia Chiama”(Bertacchi 1979, pp. 6-8). Il dibattito sulle abitazioni di Aquileia e su quelle dei fondi ex Cossar è stato arricchito da importanti contributi negli Progetto scientifico - 77 ultimi anni. M. Verzàr-Bass e G. Mian si sono occupate delle abitazioni aquileiesi al fine di individuarne lo sviluppo e le forme (Verzàr-Bass, Mian, 2001, pp. 559-628); F. Ghedini e M. Novello (ghedini, novello, 2009, pp. 111-125) hanno individuato le caratteristiche principali delle domus aquileiesi e di quelle dei fondi ex Cossar. Infine P. Duprè e M. Novello (c.s) hanno analizzato le case dei fondi ex Cossar descrivendone gli ambienti e la loro funzione. 2. Il quadro archeologico 2.1 Le mura Uno degli aspetti più significativi dell’area archeologica dei fondi ex Cossar è costituito dal rinvenimento di uno dei più importanti e meglio conservati tratti delle fortificazioni più antiche della città risalenti al II secolo a.C. Si tratta dell’angolo sud-orientale del circuito repubblicano che venne rimesso in luce negli anni Trenta del secolo scorso da G. Brusin proprio nell’angolo meridionale dell’area demaniale presso l’apertura di collegamento con l’area del porto fluviale. Nell’occasione lo scavo poté rimettere in evidenza una torre quadrata di 7,4 m di lato, con spazio centrale cavo, e due tratti di cortina di poche decine di metri di lunghezza ad essa congiunti con direzione rispettiva nord-sud ed estovest. Lo scavo fu concluso in tempi piuttosto ristretti e la sola relazione rimasta non è purtroppo soddisfacente sotto il punto di vista della precisione planimetrica e informativa generale. In particolare la relazione dell’epoca non indica con precisione la profondità dei rinvenimenti, le caratteristiche strutturali e materiche, le dimensioni complete delle varie porzioni architettoniche. Nel corso dell’intervento non vennero inoltre affrontate le spinose questioni relative alla datazione dell’opera architettonica, sulla cui cronologia esatta permangono quindi alcuni dubbi. Al termine dell’intervento le strutture antiche vennero ricoperte. Questo complesso architettonico, benché non più visibile, riveste un’importanza straordinaria in quanto costituisce un cospicuo lacerto della più antica realizzazione ad oggi nota della colonia repubblicana, costituita, appunto, dalla cinta muraria; la rilevanza del tutto particolare di essa risiede anche nel suo valore di indicatore topografico di primo livello per definire l’estensione dell’area urbana verso est e verso sud all’atto della fondazione del 181 a.C. e per molti decenni successivi. Infine si tratta dell’unica testimonianza della specifica tipologia (mura di difesa) passibile di recupero e piena valorizzazione in tutto il contesto aquileiese. Ad oggi di essa nulla è tuttavia visibile e appare indicata sul terreno solo da una netta depressione risultante dal riempimento dell’area scavata con terra di riporto cedevole 2.2 Le strade L’area dei fondi ex Cossar e le proprietà attigue rivestono un’importanza particolare nel quadro della città antica anche per la presenza di almeno due assi viari già noti da letteratura specialistica. Si data al 1893 la pubblicazione della Fundkarte von Aquileia di E. Majonica, primo direttore del Museo di Aquileia sotto il dominio austriaco; in questa fondamentale opera viene rappresentata un’arteria stradale dotata di orientamento approssimativo nord-sud tracciata ad ovest dei fondi ex Cossar e posizionabile nella proprietà attigua. Tale strada costituiva uno degli assi portanti dell’organizzazione urbana aquileiese e trova prosecuzione in piazza Capitolo dove il suo prolungamento venne individuato non molti anni orsono. 78 - PIANi di valorizzazione di aquileia Una seconda arteria, parallela a quella riportata nell’opera del Majonica, venne poi riportata in luce nel corso degli scavi della prima metà del Novecento e appare oggi visibile nell’area dei fondi ex Cossar per un’estensione di circa 41 m in stato di conservazione solo parziale. La parte di gran lunga più lacunosa risulta essere la fascia centrale dell’antica sede stradale, dove l’assenza del rivestimento lapideo è sostanzialmente ubiquitaria ed è dovuta ai ripetuti interventi subiti nel tempo dall’opera infrastrutturale per lo spoglio e la verifica del condotto fognario sottoposto alla via. L’intervento è ben documentato grazie alla pur scarna relazione di G. Brusin (Brusin 1932, cc. 142-146 e fig. 11), in cui viene riferito l’esito dell’indagine realizzata nel 1932 allo scopo di verificare la presenza e l’andamento del condotto fognario, già intravisto in un intervento precedente. Lo sterro allora eseguito rimise in luce per una notevole estensione il collettore sottoposto alla sede stradale lungo il suo asse mediano, già all’epoca spogliato dei suoi basoli di rivestimento. Si poté verificare che il canale di scolo delle acque, costruito integralmente in laterizi sesquipedali e rinvenuto anche integro per una breve estensione di m 3,3, presentava un’altezza interna di m 1,2 con copertura a volta a tutto sesto in laterizi di taglio dello spessore di m 0,45. La larghezza della base del condotto, composto da “lastre di macigno” a m - 3,2 dal p.c. dell’epoca, risultava di m 0,8, mentre le spallette laterali misuravano m 0,45.Una conferma dei caratteri strutturali del collettore e della loro omogeneità lungo il percorso di quest’arteria proviene dalla relazione di uno scavo condotto l’anno precedente da G. Brusin (1931: Brusin 1931, cc 73-74) lungo il medesimo asse stradale nel tratto più settentrionale (part. cat. 598/4, tra la ex stazione ferroviaria e il porto); qui strada e collettore presentano infatti le medesime peculiarità dimensionali e edilizie con la sola differenza di un’altezza leggermente superiore (1,4 m) del cunicolo. Sebbene in alcune parti ancora ben conservata, la cloaca appariva in entrambi gli scavi pure largamente demolita per l’asporto e il riutilizzo dei laterizi; gli scavi del 1931 e del 1932 non giunsero a determinare l’epoca dello spoglio del condotto ed è quindi solo possibile ipotizzare genericamente che esso sia avvenuto tra l’Alto Medioevo e l’età moderna. Tutti gli interventi di G. Brusin non furono purtroppo accompagnati da adeguati rilievi della stratificazione del terreno e raccolta dei manufatti, né da operazioni di rilievo grafico e fotografico: oltre alle brevissime descrizioni testuali, vennero edite solo un paio di stampe di lastre fotografiche (conservate presso l’Archivio del Museo Nazionale di Aquileia, senza numero di inventario) scattate al termine degli interventi, mentre non furono eseguiti rilievi planoaltimetrici del condotto e dei resti della strada. Al termine degli scavi operati da G. Brusin la lunga trincea venne ricolmata con riporti di terreno molto eterogenei; dallo studio delle foto d’archivio sembra che successivamente l’area della strada sia stata completamente ricoperta per essere disseppellita solo alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso (primavera 1959-primavera 1960), quando, tra l’altro, venne in parte ricostruito il rivestimento in basoli della strada. Da alcune fotografie conservate presso l’Archivio del Museo Nazionale è stato possibile infatti stabilire che gli elementi lapidei che rivestono la sede stradale lungo il suo limite orientale non costituiscono manufatti originali, ma blocchi lapidei utilizzati per la riproposizione di parte del rivestimento antico. Molti furono i dubbi lasciati aperti dall’intervento di G. Brusin del 1932; tra essi si possono ricordare le irrisolte problematiche relative all’epoca della costruzione, alla tecnica di costruzione e all’età dello spoglio della strada e del condotto, ma non meno pesanti risultano i dubbi sull’esatta caratterizzazione tecnico-edilizia del manufatto e sulle sue caratteristiche plano-altimetriche, tra cui la direzione di deflusso delle acque e l’esatta quota del fondo del canale, solo approssimativamente posta a –3,2 da un generico piano campagna (Brusin 1932, c. 145). Progetto scientifico - 79 Lo scavo condotto nel 2009 ha interessato la parte settentrionale del tratto di strada visibile ed ha permesso di ricostruire l’intera sequenza di riporti funzionali alla costruzione della strada. Si tratta di una serie di accumuli di terreno diversificato per tessitura e inclusi che viene chiuso da un livello di ghiaia e sabbia su cui sono alloggiati i basoli trachitici. La datazione delle strada dovrebbe ricadere entro la seconda metà del I secolo d.C. 2.3 Le domus L’area dei fondi ex Cossar è nota in letteratura soprattutto per la presenza di alcune domus di particolare importanza nello scenario archeologico di Aquileia. Si tratta di una serie di residenze messe in luce nel corso delle indagini del secolo scorso e articolate in una serie molto nutrita di vani per lo più decorati da mosaici. A partire dal 1859, anno del primo ritrovamento di mosaici nei fondi ex Cossar e nelle aree adiacenti, diversi resti architettonici insieme a numerosi rivestimenti pavimentali sono venuti alla luce in questo sito. Da subito attribuiti ad un grande e prestigioso complesso residenziale, questi ritrovamenti furono oggetto di imponenti opere di ripristino strutturale che intaccarono a fondo le stratificazioni e produssero rilevanti manomissioni dell’apparato strutturale originario, condizionando di fatto l’interpretazione delle evidenze e rendendo per il futuro quanto mai ardua la rilettura delle opere antiche presenti nell’area. Di seguito molti studiosi si sono impegnati nella formulazione di ipotesi circa il numero di abitazioni presenti, circa le rispettive fasi d’uso, i limiti tra una domus e l’altra come sull’articolazione dei vari ambienti interni alle case. M. Donderer, in un suo volume del 1986, riteneva plausibile l’esistenza di un’unica abitazione che occupava l’intera area; più recentemente si è affermata l’opinione che le abitazione siano almeno tre e queste vengono identificate in letteratura con i nomi dei più bei mosaici ritrovati in ognuna di esse: “Casa del tralcio di vite con fiocco”, “Casa con la scena di pesca”, “Casa con il pastore dall’abito singolare”. Le case non sono state scavate finora in modo integrale ed esaustivo; esse sicuramente proseguono ad ovest dell’attuale limite del sito (oltre il quale vi è un terreno di proprietà privata). È poi da tenere in assoluta considerazione l’ipotesi che nell’area dell’isolato oggetto di indagine (occupato dai fondi ex Cossar e dal terreno adiacente) esistessero in antico più di tre case oggi ricostruibili sulla base dei resti visibili: oltre alle tre “rivolte” verso il secondo cardine minore, altre tre potevano essere aperte verso il primo cardine minore (di cui una parte ancora sotterrata ad ovest oltre il limite del fondo ex Cossar), mentre altre ancora, come suggerisce il rinvenimento di un triclinio, potevano trovarsi a sud della porzione indagata in direzione delle basiliche. Data l’impossibilità, allo stato attuale delle ricerche, di poter capire l’effettivo numero complessivo delle abitazioni presenti nell’isolato ci limiteremo in questa sede a considerare il numero minimo di abitazioni a cui i resti visibili potrebbero appartenere. In sintesi l’esame dei resti, lo studio dei dati d’archivio, la revisione della documentazione di scavo e gli studi più recenti sembrano indicare, come si spiegherà, che le parti di abitazioni romane presenti nell’area e attualmente visibili siano da riferire a tre abitazioni. Inoltre è importante premettere che dalle notizie in nostro possesso sembra che la suddivisione delle case sia stata adottata fin dai primi secoli (seppure con aggiunte o modifiche degli ambienti) senza cambiamenti radicali nei limiti di proprietà o nel numero delle unità. Alcuni dubbi permangono, per la verità, sui limiti divisori tra la casa centrale e quella settentrionale; solo nuovi scavi in quei specifici settori potranno forse colmare le nostre lacune. Le ricostruzioni delle planimetrie delle tre domus e della sequenza temporale dei vani risultano comunque ancora alquanto difficoltose a causa del rifacimento di gran parte delle murature. 80 - PIANi di valorizzazione di aquileia Pure dal punto di vista cronologico i problemi non mancano, poiché una suddivisione in fasi è possibile solamente in base alla datazione stilistica dei mosaici, non essendo possibile formulare ipotesi in base alle tecniche edilizie utilizzate o alla lettura stratigrafica. Per questo motivo, considereremo come nuova fase la comparsa di nuovi rivestimenti pavimentali in nuovi vani, così come il cambiamento di un pavimento in un vano già esistente. In seguito alla ricostruzione delle murature operata nel secolo scorso nessun ingresso alle case è oggi ipotizzabile sebbene un tratto di strada sia presente e visibile sul sito; inoltre ancora non sono chiari i rapporti tra la strada stessa e le case. La numerazione degli ambienti delle descrizioni seguenti è quella adottata dall’Università di Padova per la classificazione architettonica delle strutture. Casa I Di una prima casa sono noti solo resti rappresentati nella relazione pubblicata da G. Brusin nelle Notizie degli Scavi del 1927 (8) e posizionabili, con approssimazione, presso l’area meridionale dei fondi ex Cossar, parzialmente al di sotto di edifici contemporanei che ne impedirono una lettura precisa. Si tratta di una parte di un ricco triclinio pavimentato in tessellato con conformazione a T. Casa II Cd. Casa del mosaico col tralcio di vite con fiocco La casa è la più meridionale del fondo ex Cossar e la più prossima all’ingresso al sito da piazza Capitolo. Essa comprende gli ambienti 1-12, 69-77. Il limite settentrionale di proprietà che la separa dalla casa centrale sembra essere abbastanza chiaro, testimoniato dalla presenza di un lungo muro divisorio tra le due abitazioni. Non si sa da quale parte si trovasse l’ingresso; i resti in vista sembrano essere equidistanti tra i due cardini orientale e occidentale. Non tutti gli ambienti sono provvisti di rivestimento pavimentale, per cui risulta difficile in mancanza di essi, di notizie circa le tecniche edilizie e di informazioni precise riguardanti la stratigrafia ritrovata al momento dello scavo, ipotizzare a quale fase di vita della domus essi appartenessero. Dalla datazione dei mosaici venuti alla luce in questo settore si possono ipotizzare quattro diverse fasi di vita della casa: la prima fase si data tra la fine del I sec a. C. e l’inizio del I d. C; la seconda copre la seconda metà del I sec. d. C; la terza fase si colloca nel II secolo d. C.; l’ultima fase coinciderebbe con il periodo tardo-antico, non meglio precisabile. Il terzo secolo non sembra essere rappresentato da mosaici all’interno di quest’abitazione. I FASE: fine I sec. a. C. - inizio I sec. d. C. La prima fase della domus dovrebbe risalire alla fine del I sec. a. C - inizio I sec d. C., epoca durante la quale avvenne, con buona probabilità, la costruzione dell’edificio e la prima pavimentazione dei vani. A questa prima fase sono attribuibili i mosaici degli ambienti 3, 4, 7. Il vano 3, con orientamento nord-sud, si trova nella parte sud-ovest della casa; è decorato dal mosaico con il tralcio di vite con fiocco (da cui viene il nome all’abitazione) ed è interpretabile come triclinio o come oecus corinzio privo di colonne. Non sono state ritrovate strutture murarie che delimitassero l’ambiente, ma il ritrovamento del mosaico integro non lascia dubbi circa la grandezza originaria del vano, uguale a Progetto scientifico - 81 quella ricostruita e tuttora visibile. In base alla scansione pavimentale del mosaico, siamo in grado di affermare che l’ingresso all’ambiente doveva avvenire da sud. In questa parte meridionale è presente, immediatamente al di fuori del vano 3, un lacerto di mosaico monocromo. Si può considerarlo contemporaneo al mosaico del tralcio di vite con fiocco essendo adiacente al vano 3 e stilisticamente compatibile con questa fase; inoltre si troverebbe alla stessa quota dei pavimenti di fine I sec. a. C. Non conosciamo la grandezza originaria di questo vano: P. Dupré lo identifica come soggiorno. A nord dell’ambiente 3 e perpendicolare ad esso, si trova l’ambiente 7: qui sono stati ritrovati due livelli pavimentali. Il più antico è un tessellato monocromo ascrivibile stilisticamente alla fine del I sec. a. C e anch’esso in quota con i due di cui si è precedentemente parlato. A questa prima fase potrebbero anche appartenere due avanzi pavimentali in cocciopesto ritrovati da Brusin nel 1941 a sud-est del mosaico del tracio di vite con fiocco. Non possiamo affermare con assoluta certezza che questi piani appartenessero alla domus che si sta descrivendo, ma risulta essere un’ipotesi accettabile. Non abbiamo purtroppo ulteriori informazioni a proposito del vano che li ospitava. II FASE: seconda metà- fine I sec. d. C. Alla seconda fase di vita della domus, compresa tra la seconda metà e la fine del I secolo d. C, possiamo attribuire quattro nuovi mosaici appartenenti a quattro diversi vani (1-5-76-77) e la ripavimentazione del vano 7. Il vano 5 con orientamento est-ovest, si trova nel settore est dell’abitazione; è decorato con un reticolato di croci e ottagoni ed è datato alla fine del I sec. d. C. Probabilmente in origine era un vano di soggiorno; al momento dello scavo nessuna muratura che lo delimitasse è stata ritrovata. Il vano 1 è quello più occidentale della casa: non conosciamo la grandezza originaria dell’ambiente e attualmente il mosaico che lo decora è visibile solo in parte poiché sembra continuare verso ovest oltre il limite del fondo ex Cossar. E’ decorato con una composizione geometrica di quadrati e losanghe e identificato anch’esso come vano di soggiorno. Ad ovest del vano 1, nel campo attualmente di proprietà privata, si trovano altri due ambienti affiancati e oggi non visibili, decorati rispettivamente con un reticolo di fasce intersecanti e con ottagoni adiacenti formanti quadrati. Anche in questo caso il fatto di non aver ritrovato strutture murarie ci impedisce di formulare ipotesi più precise sulla grandezza del vano e sul rapporto con gli ambienti vicini. Infine, in questa fase, il mosaico del vano 7, appartenente alla prima fase di vita della domus, viene sostituito con un altro la cui decorazione a T con pannello in opus sectile suggerisce la funzione tricliniare del vano. Proprio in base alla decorazione si suppone che l’ingresso avvenisse da ovest; non si sa invece se con la ripavimentazione dell’ambiente si fossero apportate modifiche anche a livello strutturale. I pochi dati a disposizione anche per questa fase impediscono una ricostruzione organica dell’articolazione della domus. III FASE: II sec. d. C. Alla terza fase d’ uso della domus, inquadrata nel II secolo d. C, sono attribuibili solo due rivestimenti pavimentali. Il primo mosaico va a sostituire quello del tralcio di vite con fiocco del vano 3; si tratta di un tessellato policromo con composizione ortogonale di stelle di due quadrati impostato 12 cm più in alto rispetto a quello della fine del I a. C. Non sembrano esserci stati cambiamenti architettonici nel vano al momento dell’impostazione del nuovo pavimento. L’altro ambiente riconducibile a questa fase è il vano 75, allineato agli ambienti 76-77; esso era decorato con un quadrato con cerchio inscritto campito da una stella a sei punte con esagono centrale. A differenza dei due mosaici vicini, datati al I 82 - PIANi di valorizzazione di aquileia sec. d. C, quest’ultimo risalirebbe al II secolo d. C. IV FASE: età tardoantica Le ultime fasi di vita della domus sono difficilmente riconoscibili; possiamo solo notare la suddivisione dell’ambiente 3 (che diventa l’ambiente 72) con un tramezzo da nord a sud e la costruzione nello stesso vano di un’intercapedine pavimentale con una serie di pilastrini al di sopra del tessellato policromo di II sec. d. C . per un altro pavimento di cui non ci resta documentazione. Nell’ambito della casa meridionale ci sono poi una serie di ambienti (2, 6, 8-12, 69-71, 73-74), dei quali non è possibile stabilire la fase di appartenenza. P. Dupré e M. Novello ipotizzano ci fosse un portico a pilastri o un’ipotetica corte nell’ambiente 69. Quest’affermazione sarebbe suffragata solo dalla presenza di un pilastro tra gli ambienti 8 e 10 e dalla presunta grandezza del vano. Il muro più ad est potrebbe essere il muro di delimitazione della casa, avendo una spessore decisamente maggiore rispetto alle altre strutture murarie (0,70 m contro gli 0,40 m circa). I vani 6, 9, 12, 70, 73, erano forse dei corridoi o degli ambienti di servizio per la loro forma stretta e allungata. I vani 8, 10, 11, 71, 74 rimangono invece di incerta funzione, non avendo in merito ad essi elementi sufficienti per nessun tipo di ipotesi funzionale. Il vano 2 infine, doveva essere un ambiente di rappresentanza con rivestimento in opus sectile, oggi perduto, di cui non si conosce la datazione. L’unica soglia conservatasi dell’intera abitazione divide l’ambiente 12 dal 10: si tratta di due lastre di pietra lunghe in tutto 1,03 m e larghe 0,50 m circa. Altri lacerti di pavimenti, appartenenti a vani non posizionabili con esattezza sulla planimetria, sappiamo essere stati ritrovati negli scavi del ’41 da G. Brusin. Non possiamo essere certi che questi ambienti appartenessero alla domus che si sta descrivendo; tuttavia, dalle poche notizie sulla loro posizione ricavate dall’articolo sopra citato, possiamo ritenere plausibile l’ipotesi che facessero parte di quest’abitazione. Al momento degli scavi, si ritrovò a sud-est dell’ ambiente 3 un vano composto da quattro livelli pavimentali sovrapposti. Il primo piano era occupato da un tessellato policromo sotto al quale vi era un altro tessellato bicromo, mentre gli ultimi due livelli, erano occupati dai due avanzi di piani in cocciopesto di cui si è parlato in precedenza, attribuendoli alla prima fase di vita della casa; alla stessa profondità di questi ultimi, vennero recuperati pezzi di affresco colorato. Non esistono invece riferimenti cronologici per i due tessellati, per cui risulta difficile ipotizzare a quale fase essi appartenessero. Inoltre, sia a sud che a nord dell’ambiente 3, vennero individuati altri due tessellati allo stesso livello tra loro e sullo stesso asse. Anche in questo caso non siamo in grado di dire se si possa trattare di due ambienti della casa e quale sia la loro datazione. Infine sempre a nord dell’ambiente 3, si trovò una situazione confusa con vari lacerti di rivestimento pavimentale, alcuni in tessellato, altri in cubetti di cotto con resti di strutture murarie. Così come per i precedenti casi, ancora una volta non sappiamo se siano resti di un’ulteriore abitazione oppure vani della domus del mosaico col tralcio di vite con fiocco finora descritti. Casa III Cd. Casa del mosaico con la scena di pesca È questa la casa centrale tra quelle visibili nel fondo ex Cossar. L’abitazione presenta un’estensione considerevole in senso est-ovest anche se non possiamo sapere, allo stato attuale delle ricerche, se questa domus occupasse l’intero Progetto scientifico - 83 isolato o ci fosse un’altra casa più ad ovest oltre il limite del fondo demaniale. Essa attualmente si articola in gran parte intorno alla corte (ambiente 28), sistemata a giardino, e delimitata da un quadriportico mosaicato. Sul lato sud del peristilio vi sono una fila di ambienti (15-20) considerati un appartamento risalente alla fase tardo-repubblicana della casa e poi inglobato all’interno della domus più grande. Probabilmente un secondo nucleo abitativo si articola attorno all’ambiente 80. Ancora non è del tutto chiaro il limite nord della casa: P. Dupré pone come ambienti più settentrionali i vani 41-46, 48 e 81-82; osservando la pianta generale delle abitazioni, i resti sul sito e le strutture murarie, ritengo sia più plausibile escludere i vani appena menzionati dalla casa centrale, attribuendoli invece alla casa settentrionale. Qualche incertezza rimane comunque sull’attribuzione degli ambienti 47 e 80 all’una o all’altra abitazione: in quest’analisi verranno considerati parte della domus centrale, seppur con alcune incertezze a riguardo di cui si parlerà più avanti. Dalla datazione dei mosaici venuti alla luce in questo settore si possono ipotizzare quattro diverse fasi: la prima si data tra la fine del I sec a. C. e l’inizio del I d. C.; la seconda comprende tutto il I sec. d. C. ; la terza tutto il II secolo d. C; l’ultima fase si articola durante il IV secolo d. C. I FASE: fine I sec. a. C. - inizio I sec. d.C. La prima fase di vita della domus dovrebbe risalire alla fine del I sec. a. C. - inizio I sec. d.C.; in questo momento potrebbe essere avvenuta la costruzione dell’edificio e la prima pavimentazione dei vani. Non sappiamo dove fosse situato l’ingresso dell’abitazione, ma è probabile si trovasse nella parte orientale, in asse con l’ambiente 78. All’età augustea risalirebbe l’ambiente 79, costituito da muri in laterizi e pavimento in mattoni disposti a spina di pesce; lungo 5 m e largo 3, poteva forse essere un corridoio o più probabilmente una cantina. Allo stesso periodo risalirebbero gli ambienti 15-20 (disposti in fila lungo il muro meridionale che divide la casa sud da quella centrale), il 22 e probabilmente una prima fase del peristilio. Nell’ambiente 15 vi è un tessellato diviso da una fascia in due settori: quello est è decorato da un reticolato romboidale, quello ovest da un doppio reticolato di linee bianche e nere. Il mosaico diviso in tre (o due ?) unità decorative suggerisce l’identificazione del vano in un triclinio. La decorazione pavimentale ci permette inoltre di affermare che l’ingresso doveva avvenire da ovest. Di fianco a questo, con orientamento nord-sud, si trova il vano 16 decorato da un tessellato a scacchiera in bianco e nero, un tempo vano di soggiorno. Ancora più ad ovest, vi sono i vani 17 e 20. Il primo è decorato con un tessellato bordato da una fascia nera e scandito in due unità decorative, separate da una fascia nera. Questa decorazione induce ad identificarlo con un cubicolo dal quale si accedeva dalla parte nord; l’altro invece, di dimensioni più piccole, si trova subito a nord del vano 17 e, sebbene sia decorato da un tessellato monocromo attribuibile a questa fase, non sappiamo quale fosse la sua funzione originaria. Ad ovest troviamo i vani 18 e 19, decorati rispettivamente da un pavimento con inserti marmorei e da un cementizio a base litica con inserti marmorei. Entrambe le stanze sono identificabili in soggiorni ed attribuibili senza dubbio a questa fase proprio grazie alla decorazione pavimentale tipica di questo periodo. L’ambiente 22 non fa parte del cosiddetto appartamento tardorepubblicano, si trova ad ovest del vano 79 e attualmente non è del tutto visibile. Anch’esso era probabilmente in origine un soggiorno ed è decorato da un tessellato in bianco e nero con triangoli e bordo a meandro di svastiche. Le notizie di scavo riguardanti gli ambienti appena descritti sono praticamente nulle, motivo per il quale non sappiamo se le murature presenti, ricostruite, ricalcassero esattamente quelle antiche, anche se ciò è naturalmente probabile. Non ci sono notizie riguardanti la sistemazione del peristilio in questa prima fase di vita della domus. 84 - PIANi di valorizzazione di aquileia FASE II: seconda metà- fine I sec. d. C. Alla seconda metà-fine del I secolo d. C., possiamo attribuire una serie di mosaici alcuni dei quali simili tra loro per i motivi decorativi e sicuramente contemporanei. Uno dei vani più grandi dell’intera casa, viene impostato al di sopra del precedente vano 79. Questo nuovo ambiente (78) era mosaicato con un tessellato bianco con cornice nera; ad esso si accedeva da est da una soglia ancora in situ in tessellato bianco e nero con quadratini divisi per diagonale. Era un grande ambiente di rappresentanza di 13,40 x 7,78 m limitato da strutture murarie che non si sono conservate se non nella ricostruzione novecentesca. Ad est di questo ambiente avviene probabilmente in questa fase la monumentalizzazione dell’area con l’allargamento del quadriportico (ambienti 25-28) che viene mosaicato in tessellato punteggiato di dadi bianchi su fondo nero. Sempre in questa fase viene forse chiuso il braccio nord del peristilio con la costruzione dell’ambiente 29 il quale viene pavimentato con un mosaico simile a quello del quadriportico. Alcuni dubbi sulla sistemazione di questo braccio nord rimangono: non è chiaro se questo vano facesse parte inizialmente del portico e sia stato poi chiuso e mosaicato con un tessellato simile a quello del quadriportico, o se fosse stato pensato come ambiente autonomo fin dall’inizio. Il braccio ovest del peristilio è mosaicato sebbene non restino in situ particolari tracce di questa sistemazione, rivelata dai primi scavi. A sud-ovest del peristilio si trova il vano 21 con mosaico monocromo bianco: questo ambiente avrebbe la funzione di passaggio-smistamento. La connessione con il peristilio, datato su base stilistica nell’ultimo quarto del I sec. d. C., induce ad ascrivere l’ambiente alla medesima fase. Al momento dello scavo in questo ambiente sono venuti in luce i muri settentrionale e meridionale, spessi 0,56 m: lo zoccolo delle pareti era affrescato in giallo e rosso “chiazzato” e “il riquadro vero e proprio, aveva su fondo scuro fronde verdi”. Il muro meridionale era affrescato anche sul lato opposto. Inoltre è probabile che in questa fase l’ambiente 15 venga nuovamente mosaicato con un tessellato policromo con poligoni bordati da una treccia, datato da G. Brusin al I sec. d. C. Un secondo nucleo abitativo gravitava intorno a quella che sembrerebbe una seconda corte della casa: l’ambiente 80. In esso vi sono lacerti di mosaico monocromo ed un probabile avanzo di lastricato che fanno pensare ad una corte mosaicata. Su di essa si apriva l’ambiente 47 possibile peristilio porticato (ancora in posto vi è la traccia di una colonna) con pavimento del tutto simile a quello del quadriportico principale della domus. Alcuni dubbi sorgono a proposito di questi due ambienti: ci si chiede se questa seconda corte faccia parte della casa centrale o non sia piuttosto parte di un’abitazione diversa. Come si vedrà nel paragrafo successivo, l’ingresso all’ambiente 91 avveniva da ovest cioè proprio dall’ambiente 80. Questo farebbe supporre l’appartenenza dei vani alla medesima domus. Tuttavia l’ambiente 91 è da attribuire ad una terza fase di vita dell’abitazione, fase in cui i limiti delle domus o la funzione degli ambienti potrebbero essere cambiati. A questa fase è da attribuire inoltre il vano 23 situato a sud del vano 80. Esso è in luce solo per un breve tratto e sembra continuare verso ovest oltre il limite del fondo ex Cossar. Questo ambiente, decorato da un tessellato con pannello bordato da una treccia su fondo bianco, è interpretato come soggiorno. A nord del vano 78 troviamo l’ambiente 31, in origine cucina, per la presenza di una struttura rettangolare sul lato est che potrebbe essere interpretata come focolare. Il vano è mosaicato con un tessellato monocromo. L’attribuzione dell’ambiente a questa fase di I secolo d. C è suggerita dalla posizione del vano nel nucleo dell’abitazione in cui si trovano pavimenti databili su base stilistica nell’ultimo quarto del I sec. d. C. Da notare il passaggio presente tra il vano stesso e il peristilio: sembrerebbe che i due ambienti fossero in comunicazione tra loro sebbene risulti insolito un accesso diretto dal peristilio alla cucina. Osservando la pianta di fase, si nota “un buco” in questo periodo tra gli ambienti 90-31 e 31-29. Probabilmente tra questi vi erano vani di cui oggi non rimane testimonianza. Progetto scientifico - 85 FASE III: II sec. d. C. A questa terza fase sono attribuibili, sempre in base alla datazione stilistica dei mosaici, solo due vani: il 91 ed il 30. Entrambi si trovano a nord del vano 78, divisi tra loro dall’ambiente 31. Il vano 91 è decorato da un mosaico policromo con pannello rettangolare ornato da quadrati e triangoli. Nella fascia ad “U”, vi è una fila di quadrati sulla diagonale. Nella parte ovest è presente una fascia ripiena di girali d’acanto che rappresenta l’ingresso al vano situato quindi nella parte occidentale. La scansione pavimentale induce a considerare questo ambiente un triclinio. Dal rilievo si nota come il muro che delimita a nord l’ambiente, non si leghi alla struttura muraria che delimita a nord il vano 31; tra i due sembra esserci un’intercapedine. Si potrebbe supporre che l’ambiente 91 fosse stato aggiunto alla casa solo in un momento successivo. Il vano 30 occupa l’angolo nord occidentale del peristilio; è decorato da un tessellato policromo al cui centro si trovano un cervo, un cane e un albero nel mezzo. Da notare l’insolita posizione del riquadro figurato orientato in senso est-ovest, mentre la soglia in pietra, conservatasi, si trova sul lato sud. L’ambiente in origine doveva essere un soggiorno. Probabilmente il vano fu aggiunto alla casa solo dopo la chiusura del braccio nord del peristilio IV FASE: IV sec. d. C. A quest’ultima fase possiamo attribuire un solo cambiamento all’interno della domus: riguarda il grande ambiente di rappresentanza ad ovest del peristilio. Il vano decorato fin dal I secolo d. C. con un mosaico in bianco e nero, viene coperto da un nuovo mosaico meglio conosciuto con il nome di “Mosaico con la scena di pesca” (il pavimento dà il nome alla casa). Si tratta di un tessellato policromo datato al IV secolo d. C.; le dimensioni del vano non sembrano mutare con il cambiamento del rivestimento pavimentale. L’ambiente considerato da Brusin un oratorio privato, viene oggi da tutti considerato un ambiente di rappresentanza. Sappiamo inoltre che il vano 91 viene in età tardo-antica diviso tramite un tramezzo murario in due distinti vani. Il mosaico pavimentale più antico non viene sostituito con due nuovi pavimenti, ragione per cui risulta oggi difficile datare in modo più preciso questo cambiamento strutturale. Di alcuni vani la funzione e la datazione rimangono purtroppo ignote. Gli ambienti 13 e 14 ad esempio, non sono databili a causa dell’assenza di rivestimenti pavimentali e la non affidabilità delle strutture murarie, opera di ricostruzione da parte di Brusin. L’unica ipotesi plausibile potrebbe riguardare il vano 14, che per la sua forma stretta e allungata farebbe pensare ad un corridoio o ad un ambiente di servizio. Casa IV Cd. “Casa del mosaico col pastore dall’abito singolare” Quest’ultima abitazione è posta nella zona più settentrionale del fondo ex Cossar. Come per le altre due domus, anche in questo caso non sappiamo da quale parte si trovasse l’ingresso, ma in egual modo la successione di un ambiente di rappresentanza e di un probabile ambiente aperto nel lato est, ci suggeriscono un’entrata su questo lato della casa, verso la strada lastricata orientale. La domus comprende gli ambienti 41-46, 48-67, 81-93. Osservando il rilievo delle abitazioni, i resti sul sito e le strutture murarie, ritengo più corretto comprendere i vani 41-46, 48 e 81-82 all’interno di questa casa piuttosto che in quella centrale, come invece supposto da P. Dupré. Questo ritiene inoltre che i resti 86 - PIANi di valorizzazione di aquileia in vista potrebbero appartenere a due diverse case: un lungo muro dividerebbe in due unità abitative la parte ovest dell’abitazione gravitante intorno alla corte 54 e comprendente gli ambienti 46, 48, 52-55, 59, 64-65, 89, da quella est gravitante intorno alla corte 88 e comprendente gli ambienti 49, 92, 50, 83-88, 51, 56-58, 60-61,66-67, 90. A favore di questa ipotesi di divisione l’autore nota che nella parte ovest della casa i vani hanno notevoli dimensioni e ricchi mosaici, ad eccezione degli ambienti 46 e 48; nella parte est invece gli ambienti hanno dimensioni più ridotte rispetto al nucleo ovest, ma sono comunque riccamente mosaicati. In assenza di dati certi che confermino questa ipotesi, preferiamo descrivere le strutture architettoniche e i resti pavimentali presenti come parte di un’unica domus. Le fasi di vita dell’abitazione sono ricavabili esclusivamente sulla base della datazione stilistica dei mosaici. A differenze delle precedenti case nelle quali si è evidenziata una prima fase di fine I a. C - inizio I d. C., nella casa settentrionale si riscontrano maggiori incertezze nella datazione dei mosaici più antichi dell’abitazione. In attesa di nuovi studi che datino i mosaici in modo preciso, reputo sia più prudente considerare la prima fase di pavimentazione musiva dell’area come pertinente ad un lungo periodo corrispondete al I sec. d. C. Una seconda fase comprenderà il II-III sec. d. C, mentre la terza fase coinciderà con il IV sec. d. C e l’età tardo-antica. I FASE: I sec. d. C. La prima grande fase di vita della casa settentrionale del fondo ex Cossar, può quindi essere posta entro il I sec. d. C., epoca nella quale vennero probabilmente costruiti i primi ambienti e impostati i rispettivi rivestimenti pavimentali. A questa fase sono da attribuire la maggior parte dei vani della domus. Partiremo nella descrizione dai vani più a sud da me considerati parte della casa settentrionale, ma annoverati da Dupré tra quelli più a nord della casa centrale. Si tratta degli ambienti: 41, 93, 94, 46 affiancati tra loro. Il vano 41 è un piccolo ambiente, quasi quadrato, decorato da un mosaico bicromo campito da uno stralcio centrato di una composizione ortogonale di stelle di otto losanghe tangenti per due sommità; il quadrato centrale è decorato da un vaso biansato. Questo vano è interpretato come ambiente di soggiorno. Nel catalogo Tess troviamo un’ulteriore informazione, forse ricavata dalle foto d’archivio, secondo la quale esso si trovava in origine al di sotto dei vani 56-57. Proseguendo verso ovest si trova il vano 93 di cui si conserva il pavimento in cubetti di cotto; doveva essere, in origine, un ambiente di servizio. Di seguito si trova l’ambiente 94 di cui restano due lacerti pavimentali: uno dei due è costituito da cubetti di cotto e pavimentava forse il vano in questa prima fase d’uso; anche questo doveva essere un ambiente di servizio. Il vano 46 è il più occidentale della parte meridionale della casa, confinante con il vano 47 appartenente alla casa centrale. E’ pavimentato da un mosaico bianco con cornice marginale nera e viene identificato come soggiorno. Non si hanno purtroppo notizie più precise su questi ambienti e su eventuali strutture murarie ritrovate. A nord dei vani appena descritti, vi sono altri due ambienti di piccole dimensioni attribuibili a questa fase: il 49 e 50. Il primo vano ha un pavimento scansito in tre unità decorative di cui la centrale con funzione di fascia divisoria. L’unità a est, a fondo bianco, racchiude un pannello quadrato a fondo bianco ornato da scaglie marmoree policrome e tessere, mentre l’unità ad ovest, a fondo bianco, è abbellita da scaglie policrome e tessere disposte in modo meno fitto. La decorazione pavimentale è tipica delle stanze da letto; proprio grazie alla particolare decorazione musiva possiamo desumere si accedesse da est. Il vano 50 è pavimentato da un mosaico in bianco e nero con stralcio centrato di una composizione di stelle di quattro punte tangenti, formanti losanghe; è stato identificato come vano di soggiorno. A nord dei vani appena descritti, si trovano in questa fase, quattro ambienti di dimensioni simili tra loro: sono gli ambienti 84-87. Di questi, tre hanno mosaico in bianco e nero con un clipeo Progetto scientifico - 87 (ambiente 84), una decorazione geometrica (ambiente 85), un kantaros (ambiente 87), mentre il quarto vano è rivestito in cotto (ambiente 86). I tre vani mosaicati erano ambienti di soggiorno, del quarto invece non si conosce esattamente la funzione, ma, probabilmente, proprio grazie al suo rivestimento pavimentale, si può desumere fosse un ambiente di servizio. L’ambiente 87 viene in un secondo momento tagliato in due parti da nord a sud da un grosso muro di funzione non chiara. Il momento di questo cambiamento è ignoto, ma avvenne sicuramente prima dell’obliterazione dei vani da parte dell’ambiente 83 avvenuta nel II-III sec. d. C. Ad ovest degli ambienti appena descritti troviamo in questa fase i vani 52 e 53. Il primo ambiente è pavimentato da un tessellato in bianco e nero con un pannello quadrangolare, conservato solo in parte. Quest’ultimo è bordato da fasce bianche e nere alternate ed è ornato da un reticolato di fasce monocrome nere, gli scomparti sono caricati da due quadrati delineati inclusi, l’uno dentro l’altro. Dupré considera l’ambiente una grande sala di rappresentanza. Del vano 53 sono stati ritrovati solo piccoli lacerti di mosaico bianco; non si riesce a capire quale fosse la funzione originaria della stanza, viene comunque datato con qualche incertezza al I sec. d. C. Gli ultimi tre ambienti attribuibili a questa prima fase si trovano nella parte nord della domus: si tratta dei vani 59, 65 e 67. Il primo è un ambiente molto grande, un tempo sala di rappresentanza, decorato con un tessellato bicromo bordato da una fascia nera, che racchiude al centro del campo bianco un pannello rettangolare a fondo nero ornato da una composizione ortogonale, di stelle di otto losanghe tangenti per due sommità, formanti quadrati. Il vano 65 è un po’ più piccolo del precedente, era un soggiorno decorato con un tessellato bicromo bordato da fasce bianche e nere alternate, il cui campo bianco racchiude al centro un pannello rettangolare. Quest’ultimo, è decorato da una composizione triassiale di stelle di sei punte tangenti, formanti losanghe, in colori contrastanti, con le stelle iscritte negli esagoni di un nido d’ape delineato; al centro degli esagoni compresi nelle stelle si trova un fiore bianco di sei foglie. Il vano 67 è stato datato grazie al tessellato che lo pavimenta, ma non siamo in grado di specificarne la funzione. Il mosaico è a fondo bianco e racchiude al centro un pannello quadrato decorato da una composizione ad alveare di losanghe e di esagoni grandi e piccoli, adiacenti. Negli esagoni piccoli figurano esagoni concentrici, mentre in quelli grandi compaiono rispettivamente un kantharos, una brocca e due coppe biansate affrontate. Nel catalogo Tess viene riportata la notizia secondo la quale all’occasione l’ambiente poteva fungere da triclinio. Inoltre T. Clementi, in base a fotografie d’archivio, afferma che l’attuale posizione del pavimento, ad est del vano 66, non sarebbe quella originale (che sarebbe invece in corrispondenza del vano 49, immediatamente a nord-est del vano 46). FASE II: II-III sec. d. C. Nel II-III sec. d. C., vediamo la comparsa di sette nuovi mosaici, uno dei quali va ad obliterare i quattro ambienti 84-87, un altro sostituisce un mosaico già esistente (ambiente 94), gli altri invece (ambienti 56, 57, 60, 64, 66) occupano vani di cui non si hanno notizie precedenti questo secolo. I nuovi rivestimenti pavimentali occupano in particolar modo la parte più settentrionale dell’abitazione. Il vano 83, come accennato sopra, si imposta al di sopra dei precedenti vani 84-87 occupando l’intera superficie precedentemente occupata da quattro diverse stanze. Il mosaico che decora l’ambiente è un tessellato policromo suddiviso in due unità decorative: l’unità minore presenta un reticolato disegnato da una treccia a due capi policroma, che determina quadrati e rettangoli; si conservano soltanto un quadrato decorato da una testa di leone e un rettangolo ornato da un busto femminile. La decorazione dell’unità maggiore è quasi completamente distrutta: resta parte di una figura geometrica disegnata da una treccia a due capi policroma su fondo scuro, e di una figura disegnata da onde correnti. Il mosaico è stato restaurato in antico con tessere bianche e nere disposte a caso. A sud del vano 83 si trova il vano 94 pavimentato nella prima fase di vita della domus da 88 - PIANi di valorizzazione di aquileia cubetti di cotto. Nel II-III sec. d.C., l’ambiente fu nuovamente pavimentato con un mosaico policromo con decorazione geometrica, vegetale e figurata. Con il nuovo pavimento cambiò la funzione del vano: da ambiente di servizio diventò ambiente di soggiorno. Del mosaico resta oggi un piccolo lacerto con un germano reale. Attualmente alcuni cubetti di cotto si vedono a pochi cm dal mosaico più recente: potrebbe essere un residuo dell’antico pavimento in cotto o forse resti di un ulteriore ambiente. A nord di 83, si trovano due vani: il 56 e il 57. In letteratura essi sono considerati un unico ambiente, ma attualmente sul sito si possono chiaramente vedere i resti di una struttura muraria che divide lo spazio in due vani. Tale pavimento, di cui si conserva un lacerto, è un tessellato policromo ornato da una composizione ortogonale di ottagoni irregolari adiacenti caricati da una figura omologa che racchiude un quadrato dai lati concavi campito di giallo o di rosso; i cerchi racchiudono un cerchio diviso in quattro quadranti alternativamente bianchi e colorati (rossi o gialli). Si osserva che uno dei cerchi, più grande degli altri, racchiude scaglie marmoree policrome, forse appartenenti ad una originaria decorazione in opus sectile. P. Dupré e M. Novello ritengono fosse un ambiente di rappresentanza; T. Clementi invece sempre in base alla datazione stilistica del mosaico, suppone che il vano sia di IV sec. d. C.. A nord di questi vani si trova l’ambiente 60 probabilmente un tempo vano di rappresentanza, decorato con un tessellato policromo con composizione centrata in un quadrato e attorno al quadrato, di quattro semistelle di otto losanghe adiacenti. L’ambiente 64 è quello più a nord del lato occidentale; era probabilmente un ambiente di soggiorno o rappresentanza mosaicato con un tessellato policromo con composizione di stelle di otto losanghe tangenti per due sommità. L’ultimo ambiente, il 66, è pavimentato da un tessellato policromo con cornice nera su fondo bianco e pannello centrale con un volto di donna, unico lacerto superstite. Anche quest’ultimo era in origine un ambiente di rappresentanza. Purtroppo niente di più si può dire su questi ambienti; nessuna notizia ci risulta a proposito di strutture murarie antiche ritrovate al momento dello scavo. III FASE: IV sec. d. C. A quest’ultima fase possiamo attribuire un solo rivestimento pavimentale: si tratta del cd. Mosaico del pastore dall’abito singolare del vano 51. Questo ambiente, un tempo considerato un oratorio privato per il soggetto che decora il mosaico, viene oggi considerato un grande ambiente di rappresentanza. Il nuovo mosaico si imposta sul precedente tessellato policromo di II-III sec. d. C. e viene datato alla fine del IV sec. d. C. E’ un tessellato policromo con decorazione geometrica, vegetale e figurata. Nel settore est abbiamo un quadrato con cerchio inscritto caricato da un tondo bordato da treccia. Al centro del tondo vi è una figura maschile con un singolare abito di foggia orientale e ai lati una capra e una pecora oggetto di goffi restauri e riprese datati tra V e VI sec. d.C. Nella corona circolare tralcio di vite con uccelli; negli spazi di risulta angolari i busti delle stagioni. Nel settore ovest: composizione di cerchi secanti in colori contrastanti. Dobbiamo infine rilevare alcuni cambiamenti avvenuti in vani già esistenti forse in età tardo-antica. Ci si riferisce ai vani 93 e 94. Nel primo caso l’ambiente viene diviso in due locali minori (ambienti 42 e 43) e in una probabile intercapedine per mezzo di due tramezzi murari; la pavimentazione in cubetti di cotto non cambia. L’ambiente 94 viene anch’esso diviso in due vani minori (ambienti 44 e 82) per mezzo di un setto murario trasversale. Ci sono infine una serie di ambienti, probabilmente afferenti alla casa settentrionale, per i quali risulta impossibile, a causa della mancanza di elementi significativi, una collocazione all’interno di una specifica fase. Di alcuni vani riusciamo a riconoscere la funzione per la presenza di lacerti pavimentali o grazie alle strutture ritrovate, ma non siamo ugualmente Progetto scientifico - 89 in grado di formulare una datazione; per altri invece sia la funzione che la datazione risultano ignote. Di quest’ultima categoria fanno parte gli ambienti 45, 81, 58, 89 e 90; su di essi nessuna ipotesi può essere formulata. Si ricorda peraltro che nell’ambiente 90 sono state ritrovate tracce di lastricato. Il vano 54, sebbene non abbia restituito tracce di rivestimenti pavimentali, viene considerato da P. Dupré e M. Novello la corte inerente la parte occidentale della casa per le grandi dimensioni e la mancanza di mosaici. Dei vani 61, 55, 48 e 92 si può cautamente ipotizzare la funzione: il 61, probabile vano di soggiorno, era decorato da un tessellato con cornice marginale nera e fondo bianco racchiudente un pannello con all’interno due cerchi con raggi neri su fondo bianco; nessuna datazione esiste a proposito di questo mosaico. Il vano 55 poteva essere un ambiente di servizio: sono stati ritrovati infatti lacerti di cubetti di cotto. Nella parte est della casa, ad est della grande sala di rappresentanza, sono stati ritrovati resti di una struttura circolare congiunta con un’altra quadrangolare solo parzialmente in luce e due canalette di scolo per l’ acqua. Oggi queste strutture sono probabilmente rinterrate. La struttura circolare più piccola è stata identificata da Dupré come un pozzo, mentre nelle altre lo stesso autore ha riconosciuto un avanzo di un piccolo impianto termale con laconicum o più probabilmente una fontana. Non esiste nessuna notizia edita sullo scavo di queste strutture o sul loro ritrovamento e sappiamo della loro esistenza solo grazie ad una pianta d’archivio MAN n. 19, 15 e 17. Questo documento seppur importante per una maggiore conoscenza della casa settentrionale, non ci permette di poter ipotizzare una datazione di questo settore. Possiamo però affermare che questa fontana doveva sicuramente far parte di uno spazio aperto, una corte, in probabile connessione con la sala di rappresentanza ad ovest. 3. Stato dei resti e criticità Attualmente (2009-2011) l’area archeologica dei fondi ex Cossar appare in evidente stato di degrado strutturale e di illeggibilità architettonica. a) Degrado Il problema principale per la conservazione delle strutture è rappresentato dall’assetto conferito all’area al termine degli interventi degli anni Sessanta, che lasciarono le pavimentazioni e le murature completamente non protette da agenti atmosferici e dalla presenza dei visitatori. La presenza di acque meteoriche stagnanti per molti giorni all’anno e l’esposizione alla luce hanno in primo luogo prodotto nel tempo l’insorgenza di muffe, patine, incrostazioni e altre superfetazioni che hanno mascherato la colorazione dei diversi tipi di pietra impiegati e quasi mascherato i casi di policromia. Altro indesiderato prodotto dell’esposizione continua delle pavimentazioni agli effetti degli agenti atmosferici è costituito dall’effetto meccanico del gelo invernale, che ha in più punti determinato sollevazioni dei rivestimenti o di parti di esse, generando minime ma deleterie cavità in cui l’acqua torna ad innestarsi riproducendo l’effetto di distacco strutturale per gelo. Sempre nel settore del danno meccanico grave azione è prodotta dalle essenze erbacee infiltrate nelle fessurazioni dei pavimenti e nei punti di distacco con esaltazione del fenomeno stesso e progressiva rimozione delle tessere. Sempre alle essenze erbacee è dovuta la progressiva ricopertura di parti sempre più rilevanti di pavimentazioni e di lacerti strutturali. Sugli stessi pavimenti, non minori problemi sono causati dalla presenza incontrollata dei visitatori che producono una doppia forma di danno; da un lato attraverso il continuo calpestio sulle pavimentazioni e dall’altro lato con l’asportazione fisica di tessere musive fino a creare vere e proprie lacune. 90 - PIANi di valorizzazione di aquileia In stato di avanzato degrado si trovano anche le strutture “a palafitta” presenti nel settore della casa centrale e della casa settentrionale. Realizzate in cemento, risentono dell’effetto negativo prodotto dall’acqua, che determina anche corrosione sui materiali metallici con conseguente percolazione del materiale disciolto sui tappeti musivi sottoposti. Minori forme di degrado si osservano sulle murature realizzate tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. b) illeggibilità dei resti archeologici L’illeggibilità architettonica di cui soffre oggi l’area è dovuta sostanzialmente a quattro fattori. Il primo è costituito dalla mancata edizione sistematica degli interventi di scavo e delle piante redatte al termine degli interventi. Le relazioni giunte a noi forniscono solo indicazioni sui singoli vani rimessi in luce ma non giungono a definire o ad ipotizzare l’articolazione dell’area in singoli contesti edilizi. Come spiegato più sopra, ancor oggi permangono dubbi sul numero esatto di case presenti nell’area dei fondi ex Cossar e rimaste a vista. Il secondo è costituito dalle forme del “restauro” ricostruttivo eseguito negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso; allora furono ricostruiti quasi tutti i setti murari individuati senza tuttavia dare conto a livello strutturale dell’eventuale presenza di soglie tra i vari ambienti. È così oggi assai difficile stabilire i limiti di proprietà e soprattutto i percorsi di fruizione antica delle singole case. Inoltre molti dei setti murari ricostruiti seguono solo in parte le tracce delle murature antiche, interrompendosi senza ragione e non ripetendo per intero l’articolazione architettonica degli edifici antichi. Il terzo è costituito dalla ricopertura con terreno di molti resti strutturali visti negli scavi del secolo scorso e potenzialmente utili alla visualizzazione e alla comprensione dei complessi archeologici. Di tali evidenze resta traccia solo in alcune piante inedite, ma non sempre perfettamente intelleggibili, conservate presso il Museo Archeologico Nazionale. Il quarto grave impedimento alla lettura e alla comprensione dei resti archeologici è costituito dal limite fisico degli scavi condotti nel secolo scorso; questi infatti non furono estesi fino a ricomprendere per intero l’estensione delle case rinvenute, ma si bloccarono ad un limite di proprietà moderna. Tutti i resti visibili risultano così estesi oltre l’attuale area archeologica sia verso il sedime della dismessa ferrovia Cervignano-Aquileia- Grado sia soprattutto nel fondo esteso ad ovest dell’area demaniale. In un’ottica più generale la difficoltà che oggi si avverte per la comprensione dell’articolazione delle case antiche dei fondi ex Cossar è dovuto anche al loro stato di conservazione molto modesto sul piano dello sviluppo in alzato. Le murature antiche sono sopravvissute solo per pochi centimetri e le ricostruzioni del secolo scorso le elevano per poche decine di centimetri. Manca quindi la possibilità di ottenere una percezione della volumetria assoluta degli edifici, della loro altezza, della loro relazione con il paesaggio e con la dimensione umana così come dei loro rapporti dimensionali reciproci. Infine le difficoltà di lettura del complesso archeologico residenziale si devono oggi anche alla mancata sottolineatura della relazione tra le case e la viabilità urbana, il cui quadro offriva il contesto più ampio dei percorsi di accesso alle case stesse. L’illeggibilità risulta totale nel caso dei resti delle fortificazioni urbane dell’angolo sud-orientale dell’area demaniale in quanto, come detto, questo complesso monumentale venne ricoperto e si trova oggi sepolto. Progetto scientifico - 91 4. Interventi di ricerca 4.1 Le ricerche bibliografiche e d’archivio La prima necessità per lo svolgimento di un’efficace ricerca sui fondi ex Cossar appare una sistematica ricognizione del materiale d’archivio presente presso il Museo Archeologico Nazionale ed inerente le ricerche pregresse condotte in quest’area. a) archivio grafico. Si prevede la consultazione di tutta la documentazione grafica (piante, sezioni, schizzi, progetti) relativa agli scavi e alle opere realizzate nell’area oggetto di studio; la documentazione più vecchia dovrebbe risalire alla seconda metà dell’Ottocento. Si prevede la riproduzione meccanica fotostatica di tutti i documenti presenti nell’Archivio del Museo e la loro scansione; la conversione in formato digitale dei documenti permetterà la loro integrazione, dopo opportuno adeguamento di scala e di riferimenti geografici, nel rilievo informatizzato complessivo dell’area. b) archivio fotografico. Si prevede lo spoglio sistematico del ricchissimo archivio fotografico del Museo per formare un elenco di consistenza dei documenti fotografici. I più antichi sono costituiti da lastre fotografiche, mentre i più recenti sono realizzati su pellicola sensibile (negativi e positivi) o su supporto digitale. Si prevede, ove possibile, la riproduzione di tutti i documenti su lastra e la scansione di tutti i documenti su pellicola sensibile. L’Archivio conserva un eccezionale fondo di piante (circa 40 documenti) e fotografie (circa 500 negativi e 100 lastre fotografiche) prodotti tra gli anni ’20 e gli anni ’80 del secolo scorso. c) archivio materiale. Si prevede una ricognizione sistematica nelle aree espositive e nei magazzini del Museo di Aquileia per verificare la consistenza e la tipologia del materiale archeologico ivi depositato proveniente dalle precedenti ricerche condotte nei fondi ex Cossar e Vignuda. È possibile ipotizzare la presenza di materiale fittile (reperti ceramici) e lapideo (rivestimenti in marmo e pietra, lacerti musivi) accumulato presso la sede museale negli anni delle ricerche archeologiche condotte da G. Brusin e L. Bertacchi. Lo studio dell’archivio materiale condurrà alla redazione di elenchi delle presenze. d) Spoglio bibliografico. Appare necessario uno spoglio bibliografico sistematico di tutte le notizie e le relazioni edite inerenti a scavi e ricerche condotte nei fondi ex Cossar e Vignuda dalla fine dell’Ottocento agli anni recenti. Lo spoglio porterà a ricostruire la storia delle ricerche nell’area e risulterà fondamentale per la migliore comprensione delle evidenze riportate in luce in passato e tuttora visibili. La conoscenza delle attività pregresse è indispensabile per la conduzione delle future campagne di scavo. Lo spoglio dovrà riguardare in forma sistematica, oltre alle opere generali su Aquileia, le seguenti riviste: A. Aquileia Nostra B. Aquileia Chiama C. Notizie degli Scavi di Antichità D. Quaderni aquileiesi E. Fasti archeologici F. Antichità Altoadriatiche G. Da Aquileia a Venezia, Milano 1980 92 - PIANi di valorizzazione di aquileia 4.2 I rilievi a) L’area dei fondi ex Cossar non è dotata di un rilievo planoaltimetrico completo delle evidenze archeologiche e morfologiche naturali. Si presenta quindi la necessità di redigere tale pianta generale su supporto informatico con aggancio ai riferimenti di coordinate assolute con mezzi GPS differenziali. La pianta appare indispensabile per ogni attività di ricerca o di valorizzazione che l’area in futuro dovrà subire. Alla pianta generale dell’area dovrà essere affiancato un rilievo analitico di dettaglio delle strutture murarie presenti. b) Accanto al rilievo tradizionale topografico può risultare di utilità la realizzazione di rilievi da bassa quota per documentare lo stato di fatto dell’area prima degli interventi e soprattutto per individuare eventuali altre strutture sepolte nelle aree dove non sono previsti interventi. 4.3 Gli scavi Nell’area dei fondi ex Cossar appare necessario programmare un sostanzioso intervento archeologico al fine di colmare le cospicue lacune di conoscenza che ancora permangono sull’assetto urbanistico, architettonico e strutturale delle realtà antiche presenti. Solo attraverso lo scavo si potrà inoltre recuperare il profilo storico, cronologico ed evolutivo delle evidenze che può costituire la base per ogni futura opera di valorizzazione basata sulla conoscenza. Tre sono gli interventi prevedibili e indispensabili: a) Scavo archeologico stratigrafico presso le domus già note. Con queste nuove indagini si punta da un lato ad analizzare nuovamente le evidenze architettoniche già messe in luce nel Novecento, per chiarire molti dubbi ancora non risolti, e dall’altro a condurre nuovi estesi saggi di scavo nell’area delle stesse case per definire compiutamente la loro planimetria, oggi pure per molti aspetti incerta; le indagini in profondità contribuiranno anche in modo decisivo a definire la datazione degli edifici nelle loro diverse fasi e a rilevare eventuali preesistenze strutturali. È auspicabile che le indagini di scavo siano svolte a lotti giustapposti in tempi successivi; si dovrà cioè condurre dapprima saggi nella parte centrale dei fondi ex Cossar, dove sembra potersi definire lo spazio unitario della casa detta “della pesca”, al fine di recuperare dati e indicazioni per ricostruire le vicende storico-edilizie di una residenza nel suo assetto unitario; quindi si potrà, eventualmente, procedere con analisi stratigrafiche nelle case a meridione e a settentrione di quella centrale. b) Scavo archeologico stratigrafico nel terreno posto ad ovest dell’area demaniale. Oltre che nell’area dove già sono presenti ed evidenti i resti delle domus, lo scavo dovrà essere condotto anche nel terreno posto più ad occidente, che oggi ricade in altra proprietà e risulta destinato ad uso agricolo; è evidente infatti che le case romane già note dagli scavi del Novecento si estendono per una parte consistenze verso questo settore. Solo con l’estensione dell’indagine si giungerà ad una conoscenza completa delle case romane e soprattutto si potrà raggiungere la seconda arteria urbana, già nota dalla pianta del Majonica del 1893, così da ottenere una visione totale dell’isolato di abitazioni “da strada a strada”. Questa estensione dello scavo permetterà anche di risolvere una questione cruciale per la lettura architettonico-urbanistica dell’area sud orientale di Aquileia. La visione di una fascia completa di un isolato sarà il primo ed unico esperimento del genere nella città antica e consentirà di avviare riflessioni di particolare rilevanza sulla divisione interna degli isolati e sul rapporto tra le case e l’assetto urbano. c) Scavo archeologico stratigrafico delle mura. Il terzo fondamentale intervento di scavo che si può prevedere riguarda Progetto scientifico - 93 l’area del torrione e delle fortificazioni repubblicane, già viste nel corso del Novecento ma reinterrate. Lo scavo deve necessariamente riportare in luce tale complesso archeologico per verificarne la posizione, l’articolazione, la struttura, la cronologia ed, eventualmente, la relazione con le artiere stradali urbane. Dal punto di vista tecnico-operativo tutti gli scavi dovranno prevedere le seguenti operazioni: d. asporto del terreno seguendo le unità stratigrafiche, intese come porzioni di terreno omogenee e ciascuna rappresentativa di specifica azione antropica: sono i tasselli elementari della ricostruzione della storia dell’uomo in un’area. e. documentazione fotografica e grafica delle unità stratigrafiche f. registrazione informatizzata dei dati di ciascuna unità stratigrafica g. analisi sedimentologica di campioni del terreno h. raccolta, lavaggio, classificazione, schedatura e archiviazione dei reperti mobili (ceramiche, vetri, metalli, fittili da costruzione) i. rilievo plano-altimetrico delle evidenze strutturali con stazione totale laser e restituzione al calcolatore con programmi di grafica vettoriale j. fotomosaico delle creste delle strutture murarie e loro digitalizzazione A queste attività sul campo faranno seguito i processi di elaborazione delle informazioni: a) costruzione della sequenza delle attività antropiche nell’area, dall’origine all’abbandono (diagramma stratigrafico) b) ricostruzione dell’articolazione degli edifici indagati c) ricostruzione tridimensionale degli edifici indagati d) Studio tipologico e cronologico dei reperti per la datazione degli edifici e per lo studio delle dinamiche produttive e commerciali della città antica e) edizioni preliminari degli scavi (relazione di scavo) in pubblicazioni specialistiche e divulgative 5. Interventi di conservazione e divulgazione In via del tutto previsionale si elencano di seguito gli interventi strutturali, infrastrutturali e di presentazione che appaiono indispensabili per gli aspetti della conservazione e della comunicazione nei fondi ex Cossar. Gli interventi che di seguito si delineano potranno essere svolti secondo lotti distinti, privilegiando in prima istanza due settori di particolare importanza e potenzialmente di grande riscontro in termini di valorizzazione. Essi sono la parte centrale dell’area demaniale, occupata da una casa (detta “della pesca”) che sembra essere ad oggi la più grande delle residenze private di Aquileia e di tutta l’Italia settentrionale, e la parte sud-orientale della stessa area archeologica, dove si trovano sepolti i resti delle fortificazioni urbane di epoca repubblicana. a) Rimozione “palafitte”. Appare indispensabile la rimozione fisica delle “palafitte” realizzate tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso per rendere visibili i mosaici di I e di IV secolo originariamente sovrapposti nelle aule centrali delle domus centrale e settentrionale. I manufatti in cemento appaiono profondamente degradati e degradanti, oltre a non apparire oggi idonei per rendere comprensibile l’articolazione delle case. Alla rimozione dei manufatti dovrà 94 - PIANi di valorizzazione di aquileia seguire il restauro dei due pavimenti musivi ad essi sovrapposti (mosaico “della pesca” e del “Pastore in abito singolare”) per una futura ricollocazione nell’area o in strutture museali, cercando in ogni caso di mitigare gli effetti negativi della decontestualizzazione dei manufatti. b) Pulitura e restauro mosaici. Tutti i tappeti musivi appaiono oggi in pessimo stato di conservazione per l’alterazione della loro superficie dovuta ad agenti atmosferici e antropici. Essi appaiono sostanzialmente illeggibili sia nella loro trama geometrica e nel loro decoro figurato sia nei loro aspetti cromatici. Le superfici richiedono per questo una sistematica operazione di pulitura; inoltre, in più punti, è richiesta un’opera di consolidamento strutturale delle opere musive per invertire i processi di distacco e di alterazione meccanica criogenica e antropogenica in atto. In questo senso sono anche da prevedere interventi di monitoraggio per verificare lo stato di salute dei restauri eseguiti nel secolo scorso e per avere piena certezza del loro carattere non lesivo delle pavimentazioni antiche. c) Interventi sulle strutture antiche. È prevedibile che le indagini di scavo condotte nei fondi attigui a quello attualmente di proprietà demaniale riporteranno alla luce consistenti porzioni strutturali delle case oggi parzialmente visibili. Si dovrà pertanto prevedere per questi settori estesi interventi di consolidamento delle opere murarie, delle pavimentazioni (cementizie o musive) e di eventuali rivestimenti parietali (intonaco) riportati in luce. d) Riproposizione dell’articolazione planimetrica. Nelle aree di estensione verso ovest delle indagini e nelle aree già indagate nel secolo scorso sono inoltre da prevedere forme di riproposizione delle tracce delle opere murarie spogliate o parzialmente conservate sotto il piano di campagna al fine di rendere leggibile l’articolazione planimetrica dei complessi. Spesso infatti le ricostruzioni del secolo scorso non hanno “disegnato” per intero un pur verificato quadro architettonico delle case antiche, rendendo di fatto non apprezzabile il loro originario assetto; a questo obiettivo si dovrà invece in futuro tendere. e) Protezione delle domus e ricostruzione plano-volumetrica. Gli interventi di pulitura, consolidamento e riproposizione delle domus necessitano di essere completati da interventi di copertura e ricostruzione volumetrica delle residenze. Si prevede infatti la necessità di avviare una importante fase di riflessione per realizzare forme di copertura dell’area archeologica che permettano di raggiungere due obiettivi: la protezione fisica degli edifici antichi e la riproposizione, in chiave almeno evocativa, del loro sviluppo in alzato e della loro volumetria originaria per ridonare piena visibilità e comprensibilità alle case antiche. Modalità di realizzazione, forme e materiali delle opere dovranno essere individuate tramite appositi concorsi di idee e di progettazione. Si reputa ragionevole realizzare inizialmente questo intervento solo sulla parte centrale del fondo demaniale e sulla corrispondente area del fondo contiguo, dove si estende la domus centrale detta “della pesca”; questo complesso è quello oggi meglio conosciuto e quello su cui si dovranno concentrare le prime indagini archeologiche al fine di restituirne una ricostruzione plano-altimetrica altamente affidabile e, come tale, da utilizzare quale base di conoscenza per le opere di ricostruzione. f) Riproposizione planoaltimetrica del torrione. Come per la casa centrale dei fondi ex Cossar, così appare utile prevedere una riproposizione delle forme in alzato anche per le opere di fortificazione presenti nell’angolo sud-orientale dell’area demaniale. Al termine dello scavo che dovrà essere qui condotto si può prevedere una effettiva difficoltà di lasciare a vista le strutture, sia a causa della loro presumibile profondità sia a causa della probabile emersione della falda idrica. Pertanto si potrà prevedere un intervento di riproposizione delle antiche strutture tramite manufatti ricostruttivi realizzati sul piano d’uso moderno Progetto scientifico - 95 g) Costruzione di percorsi e installazione di apparati divulgativi. Il completamento delle opere di consolidamento, riproposizione e copertura di parte delle aree archeologiche dei fondi ex Cossar dovrà essere accompagnato e seguito dalla definizione di precisi percorsi di fruizione dell’area e delle sue architetture. Tali percorsi dovranno tenere conto della posizione dell’area nel contesto urbano e della conseguente presenza delle due eccezionali polarità archeologicoturistiche del porto da un lato e delle Basiliche di piazza Capitolo dall’altro. I fondi ex Cossar si inseriranno pertanto nel già esistente asse di percorrenza che, con senso doppio, transita appunto tra il porto ad est e le Basiliche ad ovest. All’interno dell’area, da questo tracciato urbano si dovranno staccare percorsi volti alla visita dell’apparato difensivo del torrione d’angolo e dell’area delle domus. In particolare appare opportuno prevedere una traccia che prenda le mosse da una delle strade urbane rimesse in luce, consenta l’accesso alle aree commerciali (botteghe) poste a ridosso del porticato della strada e permetta poi di penetrare in tutti i settori della domus per uscire sulla seconda arteria stradale. In tale modo il visitatore sarà accompagnato ad un’”immersione” realistica nel sistema di utilizzo della città antica. Altri percorsi subordinati potranno portare i visitatori a percorrere gli spazi occupati da pavimenti e strutture relativi alle residenze private poste a settentrione e a meridione rispetto alla casa detta “della pesca” Per quanto riguarda gli apparati divulgativi è da prevedere innanzitutto la rimozione dei vecchi pannelli esistenti e la loro sostituzione con nuovi strumenti di presentazione e divulgazione delle informazioni. Ad apparati fissi di carattere “tradizionale” dovranno essere affiancati mezzi di comunicazione di carattere elettronico statici (stazioni fisse con computer) e mobili per guidare il visitatore ad esplorare ogni dettaglio dell’articolato complesso. h) Stalla Violin. All’area demaniale dei fondi ex Cossar afferisce l’edificio noto come Stalla ex Violin dal nome del proprietario di un tempo. In questo edificio, posto presso l’ingresso meridionale dell’area, potranno essere realizzate opere volte a facilitare la visione e la lettura del ricco edificio antico scoperto al di sotto delle fondamenta. Questo si caratterizza per un apparato musivo pluristratificato di particolare rilievo e posto in contiguità fisica con gli edifici afferenti al gruppo basilicale del IV secolo d.C. già interpretati come Episcopio 6. Bibliografia essenziale (in ordine cronologico) Fasiolo O., 1915, I mosaici di Aquileia, Roma. Costantini C., 1916, Aquileia e Grado, Milano. Brusin G.,1927, Aquileia. Scavi occasionali, in “Nsc”, 8, pp. 263-277. Brusin G., 1929, Aquileia, guida storica e artistica, Udine. Brusin G.,1931, Aquileia. Scoperta di mosaici pavimentali romani e cristiani, in “Nsc”, 7, pp. 125-138. Brusin G.,1933, Aquileia. Trovamenti casuali, in “Nsc”, 9, pp. 105-114. Brusin G., 1934, Gli scavi di Aquileia, Un quadriennio di attività dell’Associazione per Aquileia (1929-1934), Udine. 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