Un modello neurofisiologico del fenomeno della coscienza

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Andrea Castiglione Humani
UN MODELLO NEUROFISIOLOGICO DEL FENOMENO DELLA COSCIENZA
A neurophysiological model of the phenomenon of consciousness
Riassunto
L’evoluzione ontogenetica del SNC: dai livelli corrispondenti
all’informazione
non
cognitiva,
all’interpretazione
organizzata del mondo esterno. Il ruolo della dopamina nel
sistema della ricompensa. La questione del linguaggio: dal
Segno al Sistema. L’ipotesi del libero arbitrio. La relazione
determinante fra l’individuo e l’ambiente. La cultura come
meccanismo adattativo. Il meccanismo delle dipendenze da
sostanze chimiche, e dai comportamenti compulsivi.
Summary
The ontogenetic evolution of the Central Nervous System:
from Cognitive process to a structured interpretation of the
World. The role of Dopamine in the Reward system.
Assumption about the free-will. Key relation between
individual and environment. Culture as adaptive process. The
process about chemical addiction and compulsive behaviors.
Parole chiave: nuclei cerebrali profondi, neocortex
associativo, informazione non cognitiva e cognitiva,
coscienza, pensiero simbolico, circuito della gratificazione,
dipendenze
Key words: Deep brain nuclei, associative neocortex,
cognitive and non cognitive information, symbolic
conception, reward process, addictions.
IL CERVELLO NEL SUO FARSI
Disegno di Leonardo: più che all’anatomia, l’autore sembra
alludere alla concezione neoplatonica dei processi della
conoscenza. Royal Library, Castello di Windsor
Alla fine del primo mese della
gravidanza le cellule staminali, che
daranno poi luogo al SNC dell’adulto,
si dispongono a formare una sorta di
tubo lungo l’asse cranio-caudale
dell’embrione. Nei mesi successivi,
proliferando, le cellule discendenti
dalle staminali aumenteranno lo
spessore della parete di questa cavità,
soprattutto a livello dell’encefalo; e, in
misura ben più limitata, lungo quello
che diventerà il midollo spinale.
Paradossalmente dunque il cervello,
l’organo più significante del corpo
umano, esordisce in forma di cavità, di
vuoto; e nell’adulto le vestigia che
resteranno di quest’originaria struttura
tubolare saranno i quattro ventricoli
sequenziati nell’encefalo, ed il canale
liquorale nel midollo spinale.
Il
processo
di
strutturazione
ontogenetica dell’encefalo si deve
considerare da un doppio punto di
vista: come sovrapposizione di livelli
successivi, da quelli più profondi ed arcaici a
quelli via via sempre più superficiali e
recenti, paragonabili ad una stratificazione
geologica; fino ad arrivare alla corteccia di
materia grigia, spessa circa tre millimetri. Ed
allo stesso tempo questa struttura si realizza
con la migrazione radiale dei singoli neuroni,
nati dalla proliferazione e maturazione delle
cellule staminali.
Ognuno di essi parte dallo spessore della
parete del primigenio tubo neurale (più tardi
dei ventricoli cerebrali, anch’essi in via di
formazione) e, attraversando gli strati già
formati in precedenza, va a dislocarsi in un
punto, estremamente esatto, del neocortex
che lo attende. Qui giunto, il giovane
neurone dovrà stabilire collegamenti
sinaptici (10.000 – 50.000 circa) con altri
neuroni vicini e lontani, i suoi futuri
interlocutori di circuito. Se si è resettato
correttamente, questi corrispondenti lo
valideranno
inviandogli
dei
segnali
molecolari di conferma; mentre in caso di
errore la cellula imperfetta morirà. E non è
una selezione naturale da poco: su 1.000
miliardi di neuroni al momento del loro
massimo sviluppo, solo 100 miliardi
sopravviveranno.
E’ rilevante che la facoltà di esistere di una
cellula non le è intrinseca, ma è eteroindotta:
e sono le altre sue simili che, accreditandola
o meno, ne decidono la vita o la morte.
Il centro di gravità si sposta dal singolo alla
relazione:
il rapporto dinamico e
comunicativo che intercorre fra l’individuo e
il suo ambiente diventa il momento che
definisce l’esistere; così come, ai livelli
superiori, può divenire la matrice ontologica
dell’Io.
La sostanza grigia che costituisce il
neocortex è caratteristica, per aspetto e
capacità, della specie umana; e gestisce le
funzioni intellettive superiori. Sul Neocortex,
come in sorta di mappamondo, sono
disegnati
territori
e
regioni
che
corrispondono alle specifiche funzioni
motorie e sensitive dell’individuo. Essi sono
intervallati da spazi che non corrispondono
ad attività così esattamente definibili: le aree
associative, il livello più alto in cui si elabora
l’informazione, il luogo del pensiero astratto,
quello che Cartesio avrebbe potuto
considerare la giunzione fra Res Cogitans e
Res Extensa. Nelle altre specie animali
questo livello è ridotto, o assente del tutto.
Esistono poi anche altri neuroni, differenti,
che costituiscono i Nuclei Grigi nelle
profondità del mesencefalo. Questi sono
genericamente simili nell’uomo e nelle
specie animali filogeneticamente precedenti:
discendendo
progressivamente,
corrispondono
appunto
ai
livelli
mammaliano e rettiliano dell’encefalo. Qui è
la casa degli istinti basici; in questa
topografia carsica sono governate le pulsioni
ancestrali, elementari. Fino ad arrivare ai
Nuclei Grigi più intimi: quelli che
controllano funzioni puramente biologiche in
cui il pensiero, e le emozioni, sono del tutto
assenti (ad eccezione dei meccanismi di
somatizzazione); come il ritmo cardiaco, la
temperatura corporea, la pressione arteriosa.
I CIRCUITI
PIACERE
CEREBRALI
DEL
Una
schematica
rappresentazione
simbolica riferiva alla corteccia cerebrale i
vissuti della coscienza, ed ai Nuclei Grigi
profondi le esperienze subconscie. In
realtà qui non si tratta di una descrizione
per metafora, ma di un meccanismo di
causa efficiente. Fra i siti più interessanti
in questa memoria stratigrafica la moderna
indagine neurofunzionale ha identificato,
nel sistema mesolimbico, l’Amigdala
quale sede della paura e della rabbia; e
nell’Accumbens il passaggio obbligato di
tutti i circuiti del piacere. Salendo in
planimetria, ed in gerarchia, si passa da
simili emozioni primordiali a vissuti
sempre più complessi: come la gelosia,
l’invidia, la vergogna o la gratitudine; che,
integrandosi, compongono il sentimento di
sè medesimo.
L’Amigdala riceve connessioni, dirette e
veloci, dall’occhio e dall’orecchio; quando
si tratti di segnali di allarme, la sua
reazione è immediata e violenta. Il
neocortex è raggiunto solo in un secondo
momento dagli stessi messaggi visivi e
uditivi, e impiega del tempo per elaborarli
razionalmente: la sua risposta al pericolo,
al “nemico”, sarà certamente più
ragionevole, ma meno rapida ed efficace
di quella istintuale, che troppo spesso avrà
il sopravvento. E anche le fibre nervose
“di controllo”, che tornano dal neocortex
verso l’amigdala, sono più scarse di quelle
che conducono le loro pulsioni primitive
dal nucleo profondo alla superficie
cosciente.
I neuroni della sostanza grigia, corticale e
profonda, comunicano fra loro tramite
linguaggi chimici, le cui parole sono i
neurotrasmettitori. Ed ogni popolazione
neuronale usa il proprio “idioma”: sui 100
miliardi di neuroni dell’encefalo, circa 1
milione si esprime con la noradrenalina; e
solo 200.000 utilizzano la serotonina. Non
sono molti; ma le loro connessioni sono
strategiche, e sufficienti per modulare
l’attività cerebrale nel suo complesso.
Un insieme di neuroni interconnessi, che
coordina patterns di comportamenti
finalizzati, è un circuito; nel suo ambito,
non tutte le molecole-segnale si
equivalgono. Alcune delle più semplici
(acido glutammico, GABA, glicina)
gestiscono solo risposte di tipo eccitatoreinibitore, come dire spento-acceso. Altre,
ben più sofisticate (come l’anandamide,
equivalente endogeno della cannabis),
agiscono come direttori d’orchestra,
modulando le affinità fra effettori e
recettori, e regolando così
complessivo della trasmissione.
l’effetto
Secondo le attuali conoscenze, ma in
attesa di saperne di più, alla dopamina è
riservata la gestione del Piacere nella sua
accezione più totalizzante. E’ questo il
neuromodulatore che, interagendo anche
con le endorfine ed altri effettori, traduce
qualsiasi vissuto gratificante (dal sesso
alla contemplazione artistica, passando per
le vittorie sportive e i piaceri del cibo.......)
in un’attivazione della “shell” del nucleo
Accumbens.
Fisiologicamente, le esperienze di
incentivazione attivano in questa sede
risposte dopaminergiche direttamente
proporzionali alla natura ed all’intensità
dello stimolo. In origine servirono per
motivare,incrementandoli,i comportamenti
utili per la sopravvivenza della specie (la
riproduzione sessuale ), e dell’individuo
(mangiare, bere).
Patologicamente, le sostanze da abuso
inducono un’increzione di dopamina
ingente, che mima il reward, ma che
soverchia qualsiasi soddisfazione che si
possa ottenere per le vie ortodosse; e che
tuttavia non comporta nessun vantaggio
per l’affermazione dell’individuo, nè della
specie.
L’effetto alterato delle dipendenze si
raggiunge:
1) Con un aumento della quantità di
dopamina riversata nello spazio della
sinapsi; che è indotto da sostanze come
l’eroina, e i derivati della cannabis.
2) Con un’inibizione dell’eliminazione
della dopamina dallo spazio sinaptico,
bloccando la sua distruzione enzimatica o
la sua ricaptazione dentro il neurone che
l’aveva secreta; come fanno la cocaina e
l’anfetamina.
3) Potenziando l’affinità fra l’effettore ed
il suo recettore.
E’ evidente che le attivazioni cerebrali di
gratificazione così perseguite implicano
una mera reazione biochimica locale, del
tutto sganciata dalle oggettive esperienze
relazionali con l’ambiente. Il principio del
piacere, forzando ogni censura, perde la
sua subordinazione nei confronti del
principio di realtà; in quelli che,
giustamente, sono chiamati “paradisi
artificiali”.
Forse meno chiaro, o sottostimato, è che
questi falsi vissuti offrono piaceri
assolutamente superiori a qualsiasi altro,
incluso quello sessuale: il meccanismo
patologico del reward scardina così tutti
quelli fisiologici. Pertanto non c’è da
stupirsi che il tossicodipendente, diventato
abituale,
trovi
difficoltà
quasi
insormontabili a rinunciare al suo vaso di
Pandora, ed accontentarsi di gratificazioni
ben più ordinarie, per varie ed intense che
possano essere.
I ripetuti insuccessi terapeutici di
recupero, e il parziale fallimento di tante
campagne di prevenzione, non si possono
comprendere se non alla luce di tale
perentorio legame fra il soggetto e la “sua”
sostanza; è ben difficile contrastare il
principio del piacere, nella sua accezione
primordiale.
Figura 1 Cervello di Pierre Paul Broca (1824-1880),
Museo di Anatomia dell’Università di Parigi . Come
estremo atto di dedizione, lo studioso delle aree del
neocortex preposte al linguaggio ha disposto che il
suo stesso cervello fosse destinato alla scienza.
LA
TRANSIZIONE
DAL
NON
COGNITIVO AL COGNITIVO
Funzionalmente,
l’organizzazione
biologica delle informazioni si adegua a
leggi di causa – effetto in modo puramente
meccanicistico, come accade nei viventi
filogeneticamente anteriori: i quali per
sussistere devono ricevere, elaborare e
poter trasmettere messaggi. Nella specie, il
sistema di gestione dati è la trasmissione
genetica; nell’individuo, i tre sistemi
coordinati sono il nervoso, l’endocrino e
l’immunitario. Le loro facoltà sono
intrinseche al sistema stesso, non essendo
governate da nulla che assomigli ad una
“mente” consapevole e regolatrice.
Essi, oltre ad interagire, condividono la
caratteristica di essere “ridondanti”:
dispongono cioè di un margine di
sicurezza, un potenziale di riserva molto
superiore a quanto sarebbe strettamente
indispensabile per svolgere il loro compito
di trattare informazioni. Per esempio i
linfociti T possono archiviare, ed
utilizzare, i dati antigenici di altri cloni
cellulari virtualmente illimitati.
Anche nei nuclei cerebrali profondi la
gestione dell’informazione pare quasi
robotica. Ma, avvicinandosi alle funzioni
superiori del SNC, questi automatismi
vincolanti vengono sostituiti da una
crescente consapevolezza di sè medesimo,
fino alla pienezza dell’intelletto nel suo
complesso: la distinzione fra i livelli più o
meno evoluti nell’encefalo dei viventi si
può misurare in termini di autocoscienza,
che è la premessa immediata di quel che
comunemente si chiama il libero arbitrio.
L’equazione “libertà o necessità” trova qui
la sua antinomia più manifesta.
All’alba della scienza moderna, la
dialettica sul libero arbitrio è stata definita
da Cartesio: la nostra coscienza
indipendente ha facoltà di scegliere
liberamente fra le nostre pulsioni. Ma già
Spinoza gli contesta l’illusione della
libertà: noi siamo coscienti dei nostri
desideri, ma inconsapevoli delle cause dei
desideri medesimi. Nietzsche considera
che, credendoci superiori agli istinti,
diventiamo complici delle più forti fra le
nostre pulsioni. E il nostro io cosciente ha
scarse opportunità di autonomia, obietta
Freud, se la maggior parte della nostra
psiche è inconscia. Mentre i sociologi, da
Durkheim a Bordieu, aggiungono che i
nostri arbitraggi, liberi nell’apparenza, in
realtà sono il mero sintomo della nostra
appartenenza, non scelta, a gruppi sociali
predeterminati; e restano quindi ancorati
ad una sorta di necessità.
Quest’evoluzione
del
pensiero
epistemologico troverà il suo riscontro,
immediato
e
speculare,
nella
configurazione anatomofisiologica del
Sistema Nervoso Centrale.
L’informazione non è di per sè
conoscenza: essa è quello che è, ci viene
dalle cose esterne, come materia
elementare; mentre la conoscenza è dare
un significato a quel che si percepisce,
organizzando una visione del mondo
congruente al vissuto individuale. E, in
conseguenza, è conferire un senso alla
propria esperienza dell’ambiente, e del
proprio esistere. Qui, il termine di “senso”
attraversa il labile confine fra “sensazione,
percezione” e “significato, razionalità
dell’esperienza umana”. Il soggetto
senziente trasforma l’informazione dei
circuiti
di
base
in
conoscenza,
investendola di libido; ed incardinandola
in un paradigma, come potrebbe essere
una teoria scientifica, oppure la propria
intelligenza morale.
L’informazione
gestita
nel
livello
cerebrale arcaico è pertanto “non
cognitiva”: esiste, produce conseguenze,
ma “non sa” di esistere. Mentre quella
elaborata nella mente evoluta è transitiva e
riflessiva allo stesso tempo, ha nozione sia
del sè, che dell’altro da sè, che della
relazione ontologica intercorrente fra i due
termini: e allora è “cognitiva”, non è più
riconducibile a processi automatici, e
trascende i meccanismi propri del mondo
fisico e biologico.
La relazione con la realtà sensibile supera
la
semplice
rappresentazione:
e,
sviluppandosi, la mente crea il mondo di
cui ha bisogno.
Il singolo dato di realtà, una volta
selezionato e assunto, può essere
metabolizzato diventando un segno. Ora,
una lettera possiede un significato in
quanto appartiene ad un alfabeto, quale
che esso sia; così una parola, formata da
varie lettere, ha senso in quanto appartiene
ad un vocabolario (ed un numero a un
insieme, ecc........). I segni-informazioni
che originano dall’ambiente esterno hanno
in comune con quelli elaborati dal
complesso neuro-endocrino-immunitario il
fatto che acquistano un significato nel
momento in cui vengono inseriti in un
sistema (la struttura sintattica, o il circuito
sinaptico, o altro) che preesiste loro e che
li corriferisce al proprio interno. Così
inteso, il linguaggio (meglio: il sistema) si
autocostituisce come la sorgente della
diversità.
Una volta assimilato nel sistema con la
designazione, cioè con l’unificazione di un
significante ad un senso, il segnosignificante acquisisce la sua valenza
specifica, in grazia del suo rapporto con
gli
altri
segni;
ed
evolve
dall’irriconoscibile al riconoscibile.
I linguaggi dei livelli evoluti sono
compatibili con i linguaggi dei livelli
inferiori; ma non sono ad essi riducibili, in
un ordine superiore di complessità. Ne
consegue che l’uomo cosciente fa uso dei
meccanismi neurofisiologici, ma senza
esser governato da essi.
SISTEMI E RELAZIONI
Il pensiero astratto, inizialmente, si
struttura sulla fiducia nella capacità della
ragione di formulare una conoscenza
complessiva del reale, e nella validità
universale delle sue leggi.
Ma prima o poi l’esperienza delle cose,
passando dal livello logico al piano
ontologico, pone in evidenza i limiti di
una simile costruzione simbolica: che non
può più pretendersi un monolite compatto
e levigato, e comincia a sfaldarsi
assecondando la frantumazione degli
esseri contingenti, e dei loro eventi. E
conseguentemente rivela, nell’ambito
delle categorie del pensiero tradizionale,
teorico, le sue intime contraddizioni e
discontinuità.
Ecco che la Realtà si adegua malvolentieri
all’Idea, ed alle sue sistematizzazioni.
Allora, è necessario cambiare idea:
storicamente, è già successo molte volte.
Com’è avvenuto col pensiero postmoderno, che ha rimesso in discussione la
possibilità di confermare dei significati
univoci all’interno di un orizzonte
assoluto. E li ha sostituiti con l’interazione
incessante fra gli enti del mondo e le idee
soggettive che noi ce ne facciamo: quelli
validando queste, se del caso.
Ora, se un sistema può essere strutturato,
ciò implica la possibilità simmetrica che
possa essere anche de-strutturato; e senza
che
ne
venga
necessariamente
compromesso il suo ambito di validità
relativa (ad un sistema di riferimento
predeterminato).
Fra i vissuti più evoluti, la contemplazione
artistica è un progresso dall’informe al
formato; essa consiste nell’assumere
informazioni attraverso i sensi, per
esempio guardando un quadro: la mente
sistematizza queste nuove percezioni, cioè
le filtra e le interpreta confrontandole con
dati affini, preesistenti nello schedario
della memoria, e classificandole in
conseguenza.
In
funzione
di
quest’integrazione del nuovo percepito
con quelli antecedenti, quasi potenziali
matrici di stampa, si specifica il gusto
individuale, ciò che piace all’uno o
all’altro di noi, che suscita emozione.
E, come abbiamo visto a proposito del
libero arbitrio, la risposta soggettiva allo
stimolo artistico è preliminarmente
influenzata dai connotati della collettività
di appartenenza; e dall’eredità del sapere
tradizionale, l’imponente trasferimento di
conoscenze fra generazione e generazione.
Una simile struttura mentale è il ricalco, in
qualche misura, delle strutture efficienti
del
cervello.
Nell’encefalo,
il
collegamento fra i livelli arcaici e quelli
più evoluti è assicurato tramite assoni che
trasferiscono i messaggi dai nuclei
profondi, le regioni degli istinti, alle aree
corticali del pensiero logico, dove
stabiliscono collegamenti selettivi in tempi
e modi predeterminati, secondo percorsi
carichi di rimandi e di interferenze. Come
accade, per esempio, nelle aree del
neocortex fronto-mediano anteriore, sede
del pensiero intuitivo. Oppure nella
corteccia prefrontale, che controlla i
comportamenti convenzionali alle usanze
sociali ed alle norme culturali: esse non
vengono messe in rete prima dei 18 anni
di età; e difatti per i più giovani sono
ammesse licenze ed esperienze, che invece
sono disapprovate negli adulti.
Lo schema organizzativo dei circuiti
corticali è ben più dinamico di quanto si
pensasse; continuamente nel corso della
vita le loro sinapsi si possono disattivare,
mentre altre nuove si instaurano in
conseguenza delle esperienze personali,
soprattutto di quelle che abbiano carattere
ripetitivo: un’addestramento sportivo,
imparare a suonare uno strumento
musicale,
una
psicoterapia;
non
tralasciando un ambiente familiare
patogeno......
In conclusione le proiezioni verso il
neocortex, superando la soglia fra l’istinto
e la riflessione, implicano l’affermazione
della funzione astratta; che abbandona
progressivamente
l’assetto
liquido
dell’esistenza
fisiologica,
per
differenziarsi in un sistema di riferimento
consolidato,
formato
da
processi
consapevoli e finalizzati.
Ma, attraverso i medesimi assoni, dal
nucleo accumbens dopaminergico e
dall’amigdala si può realizzare anche un
trasloco delle forze istintuali che, non
ancora dotate di filtri sociali, irrompono
verso la coscienza con tutta la loro potenza
pulsionale, prendendo il sopravvento sulla
fragile complessità del paradigma
teleologico.
Mentre il pensiero simbolico evolve dal
mondo implicito della singola sinapsi
verso il programma corticale nel suo
insieme, la formula chimica delle
emozioni, che è alla base “sensu stricto”
delle tossicodipendenze, procede in
conseguenza verso vissuti ben più
complessi: che possono a loro volta
indurre
dipendenze.
Il
craving,
l’interazione profonda che si instaura con
gli effetti biochimici del rinforzo positivo
e della ricompensa, si sposta da un mero
”oggetto” chimico, p. es. l’eroina, al
“comportamento” psicosociale che induce
la dipendenza. Ed ecco che incontriamo
colui che dipende dal sesso, chi dallo
shopping compulsivo, e qualcuno che è
workalcoholic, come si dice oggi.
L’esperienza biologica della gratificazione
ottiene
così
una
rappresentazione
cognitiva; diventando una variabile che
dipende dalle esperienze personali, ed è
correlata a fattori sociali e culturali.
E’ evidente che qui si apre un orizzonte
nuovo, il cui postulato di partenza è il
patrimonio di nozioni accumulato dai
nostri seniori attraverso i secoli, fin dal
Paleolitico: l’immenso lavoro che ha
condotto dalle leggi di natura a quelle
dell’uomo, esaltando il discrimine fra le
esperienze del vissuto e la loro
significazione. Un simile passaggio non
genetico di informazioni è senza
precedenti in biologia.
A differenza dell’evoluzione corporea,
quella del pensiero non ci ha lasciato
reperti materiali; se non negli ultimi tempi
del suo farsi, quando il linguaggio assunse
forma scritta, e l’arte divenne oggetto
solido.
Colui che oggi si affaccia al mondo è
immerso a priori in una struttura che lo
anticipa, e lo determina. Egli ne viene
formato, e ne dipende per il suo sviluppo;
ma allo stesso tempo ne sarà l’artefice.
Non si può spiegare la realtà se la riduce al
suo aspetto fenomenico, cioè ai semplici
dati della percezione. Per lui la cultura
rappresenta una strategia adattativa, nel
senso che contiene progettualità e
simbolismi che assumono un significato di
compromesso con l’ambiente; pur non
esaurendosi del tutto in meccanismi con
fine adattativo.
Tali progettualità e simbolizzazioni sono
la capacità di attribuire ad un’azione (o a
una cosa, a un segno) un valore, un
significato che va oltre il segno. In
particolare, il pensiero individuale nasce
nell’atto di conferire nuove distribuzioni
alle cose, ed alle idee.
Il pensiero rimette in discussione il
concetto di “causa” delle cose; che era
dapprima ciò che produce un semplice
effetto misurabile, una causa efficiente;
per poi diventare l’intima ragion d’essere
di qualcosa, il suo fine ultimo; quale
relazione efficace col mondo, nel suo
senso etico.
Al di fuori di tale paradigma, qualsiasi
preteso “senso” non è che un feticcio
fasullo.
IL GIOCO COME SURROGATO DEL
VISSUTO
Fra i modi collaudati della cultura, il gioco
è un vissuto “in vitro” sostitutivo di quel
che si considera essere l’esperienza del
mondo: una combinazione finalizzata che
si riferisce al reale, ma non è reale. Ora le
considerazioni fatte nelle righe precedenti
perdono la loro verità, almeno in parte.
Parliamo di un ente percepito come
conscio, e che al contrario è solo la decima
parte di un iceberg che galleggia
nell’oceano delle pulsioni pre-cognitive:
esso ci parla della “cosa”, e dell’”idea”
che la sottende.
In particolare, il confronto competitivo
con l’ambiente qui non c’è: le risorse
PNEI,
abitualmente
finalizzate
all’affermazione individuale, oppure della
specie, non sono di alcuna utilità allo
scopo.
L’impegno
coinvolgente
e
rischioso che è necessario per costruire un
rapporto con l’Altro è rimpiazzato dal
rituale supplente che sono le regole del
gioco: chiare, accettate, in definitiva
rassicuranti. Quando esse dominano il
campo, il vuoto ontologico ne viene
colmato, e l’incompiutezza del senso
apparentemente risolta. In modo simile, e
più in generale, nella cultura postmoderna
l’Ideale viene sostituito con l’Oggetto del
godimento.
Riassumendo, per il giocatore abituale
(ovvero dipendente), la sua esperienza
appare caricata di motivazione. E’
l’azzardo che ha l’ultima parola,
spiazzando
ogni
altra
attività
convenzionale. Spingendo oltre il limite
l’investimento emotivo che egli fa sul
giocare, e sul setting connesso, il giocatore
arriverà ad uno stato compulsivo:
perdendo l’obiettivo funzionale alla fitness
delle energie impegnate, e con esse la sua
stessa omeostasi.
Ma d’altro lato il gioco, creazione
dell’uomo, ne riconferma paradossalmente
i meccanismi di esplorazione del mondo, e
di autodefinizione; anche al momento che
ne contraddice le finalità ortodosse.
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