Luigi Dotti Psicodramma e teatro: riflessioni sullo psicodramma nate dall’attività con i bambini (Pubblicato sulla rivista Psicodramma Classico, anno VII, numero1-2, novembre 2006, Milano – www.psicodrammaclassico.it ) Sommario. L’autore, prendendo spunto dalla sua esperienza psicodrammatica con i bambini, puntualizza alcuni aspetti centrali dello psicodramma. In particolare viene sottolineato non solo lo stretto rapporto tra teatro e psicodramma, ma anche l’apporto operativo che la cultura e l’approccio teatrale possono portare allo psicodramma. Vengono suggeriti alcuni criteri metodologici e spunti tecnici da tener presenti nel lavoro con i bambini, ma validi in generale nell’attività psicodrammatica con gli adulti. Nella cultura italiana, le parole dramma e in misura ancor maggiore psicodramma rimandano a significati connotativi di tragedia, eccessività, teatralità esibita e perdita di controllo. Per questo motivo si è cercato di privilegiare una definizione di psicodramma legata all’etimologia. Drama (da drào = fare) in greco significa semplicemente “azione”; psiche è “l’anima, il soffio vitale” e, per estensione, nella moderna concezione della psicologia, “le relazioni, il mondo relazionale”. Pertanto lo psicodramma è un metodo che utilizza l’azione per esplorare il mondo psichico e relazionale. D’altro lato, questa definizione, rassicurante rispetto alle fantasie che la parola psicodramma evoca, rischia di far perdere di vista il significato profondo del dramma connesso alla cultura teatrale. Non dimentichiamo che la nascita dello psicodramma è legata alle sperimentazioni teatrali di J.L. Moreno (Teatro della Spontaneità, Giornale Vivente). Il Dramma evoca la scena, il teatro, lo spettacolo, lo spettatore e il pubblico. “Il termine teatro che deriva probabilmente dal greco theaomài, letteralmente: “sto a vedere” – “assisto a”, ben si definisce nella sua qualità di evento che si mostra, o meglio, che si realizza (cioè si attua nell’accezione aristotelica) in quanto viene visto. Da ciò una prima considerazione: il teatro esiste in quanto evento prodotto in presenza di un pubblico, intendendo con questa parola una o più persone che assistono al suo manifestarsi... Lo specifico teatrale è la COMPRESENZA nello stesso tempo e nello stesso luogo di un agente (attore) e uno spettatore” (Magnani S., Comunicare a teatro, pag. 17) Quindi il dramma teatrale è un evento pubblico, comunitario, che vede la compresenza di attore e spettatore. Possiamo pertanto integrare l’iniziale definizione di psicodramma con questi ultimi importanti elementi. Lo psicodramma è un evento pubblico, comunitario, gruppale e relazionale, che ha per oggetto il mondo interno e il mondo relazionale delle persone, e che utilizza l’azione, la scena e il mezzo teatrale per realizzarsi (ossia la compresenza nello stesso tempo e nello stesso spazio di agente(attore) e osservatore (spettatore). Teatro Ora che abbiamo incluso la dimensione teatrale nella definizione di psicodramma, poniamo attenzione ad alcuni aspetti del teatro che riguardano direttamente la teoria e la pratica dell’approccio psicodrammatico. Alcuni brani dal testo di Silvia Magnani ci riportano all’essenza dell’evento teatrale. Nella ritestualizzazione spettacolare, a differenza di altre forme artistiche, si assiste ad un uso contemporaneo di più sistemi segnici: lo spettacolo teatrale è la più mimetica delle arti, la più aderente al quotidiano. Ma se lo spettacolo teatrale è la mimesi del quotidiano, esso NON è il quotidiano. Sulla trasposizione scenica dal reale allo spettacolare regna la Prima Convenzione Teatrale: lo spettacolo è realmente (la realtà spettacolare), ma ciò che in esso si compie non è reale. L’attore agisce nel tempo e nello spazio ma non è il personaggio. L’azione è effettivamente compiuta, ma non ha la dimensione della storia. La scena rappresenta i luoghi, ma non è il luogo ecc. Alla prima convenzione teatrale si deve la possibilità del primo livello di fruizione dello spettacolo: L’ESTRANEITA’ DELLO SPETTATORE: lo spettatore assiste e non partecipa perché sa che ciò che avviene non accade realmente ... ... Per questa ragione è necessario che esista un luogo della quotidianità ove ciò che avviene è vero e un “luogo dell’azione teatrale”, luogo deputato per eccellenza, nel quale vige la prima convenzione teatrale: la falsità... ... Così un sistema scenico quotidiano trasportato senza mutamenti nel luogo dell’azione teatrale è inadeguato a veicolare il significato atemporale, generale e pubblico del testo spettacolare: allo stesso modo una trasposizione del codice segnico spettacolare nella vita quotidiana, vezzo di alcuni attori, spesso indica una inadeguatezza da parte del soggetto ad affrontare il reale in quanto tale, un trascinamento a scopo difensivo di significati spettacolari nel privato... ... Ogni segno del quotidiano che trapassi nello spettacolo dovrà in un certo senso subire un processo di falsificazione per divenire credibile”. (Magnani S., cit., pagg. 50-51). Possiamo dare in questo contesto al termine falsificazione un significato più ampio; falsificare è risignificare, ridefinire, ricreare, reinterpretare, generalizzare, universalizzare... Da questo punto di vista il teatro consente di creare nuove possibilità o versioni della realtà (sia esterna che interna), più che riprodurre una copia della realtà stessa. “...Molti anni fa Checco Rissone, mio insegnante di recitazione alla Civica Scuola d’Arte Drammatica di Milano, spiegava: “metti in un vaso una rosa e ponila sulla scena, sarà la più misera delle rose, qualche spettatore non la noterà nemmeno; ma poni sulla scena una rosa finta, essa diventerà tutte le rose possibili, sarà La Rosa”... (Magnani S., cit., pag. 52) Esiste una “... Seconda Convenzione Teatrale: il teatro RAPPRESENTA la realtà (cioè ciò che propone è falso, ma in qualche modo pur sempre attinente al reale). Il teatro rimanda alla realtà superiore del sentire umano prima che essa si frammenti nel divenire storico. Attraverso la rappresentazione di singoli nuclei situazionali, il testo spettacolare si riferisce ad elementi universali del pensiero e della coscienza. Da questo deriva il Secondo Livello di Fruizione dello spettacolo: LA CATARSI DELLO SPETTATORE. Il rimando dal particolare (che si rappresenta) al generale (che si sottende) permette di produrre nello spettatore il fenomeno catartico attraverso il quale... lo spettatore è portato ad interrogarsi, a riconoscere le proprie passioni, e (nella visione che ne è stata data da Aristotele) a superarle attraverso un processo di purificazione. Ecco allora che i segni del testo spettacolare non solo non devono essere i segni del quotidiano, necessitano cioè di falsificazione, ma devono includere in sé elementi relativi a nuclei di significato appartenenti alla comune esperienza umana dell’attore e dello spettatore. (Magnani S., cit., pag. 53). Connessioni In altri termini, le due convenzioni teatrali rimandano all’essenza del GIOCO INFANTILE, del GIOCO SIMBOLICO e del GIOCO DI RUOLO. In queste esperienze il bambino vive una realtà “come se”, una realtà fittizia, ma le emozioni che la attraversano sono vere. Troviamo in questo parallelismo una prima connessione tra il mondo dell’infanzia e la dimensione teatrale. Il Teatro si configura, da questo punto di vista, come spazio di gioco dell’adulto, che mantiene le caratteristiche basilari del gioco infantile. Le due convenzioni teatrali, e con loro il gioco infantile, richiamano altresì il concetto di SEMIREALTA’ psicodrammatica. Per Grete Leutz la semirealtà psicodrammatica è una zona franca, uno spazio di sperimentazione, di libertà e di spontaneità, senza le conseguenze della realtà quotidiana. La scena psicodrammatica diventa lo spazio del possibile, della trasformazione e del cambiamento. “Lo psicodramma è un modo per cambiare il mondo, qui ed ora, usando le fondamentali regole dell’immaginazione” (J.L. Moreno). Nella possibilità di sperimentazione e cambiamento troviamo quindi una seconda connessione più specifica tra teatro, semirealtà psicodrammatica e mondo dell’infanzia. Infine teatro, gioco e semirealtà richiamano anche il concetto di OGGETTO TRANSIZIONALE (Winnicot), oggetto che rimanda ad altri oggetti, persone, relazioni o emozioni. Il peluche può essere la mamma, le sue coccole, il suo calore, il suo odore..., ma non è la mamma. Il teatro, la scena psicodrammatica e il gioco possono costituire un medium (o oggetto transizionale) che connette e dà accesso al mondo interno da un lato e al mondo socio-relazionale dall’altro. Nella funzione esercitata dagli oggetti (comprese le persone) intermediari per fronteggiare la realtà esterna vediamo un’ultima connessione tra teatro, gioco, psicodramma e oggetto transizionale da un lato e mondo dell’infanzia dall’altro. I bambini capiscono subito l’essenza del teatro (le due convenzioni di cui sopra) e della semirealtà psicodrammatica, perché hanno vissuto da poco o stanno vivendo in prima persona l’esperienza del gioco, del gioco simbolico, del gioco di ruolo e dell’oggetto transizionale. Nel bambino la separazione tra realtà e fantasia non è ancora consolidata, o irrigidita, a seconda dei punti di vista. Il bambino mantiene un’elasticità ed una capacità di passaggio più facile, potremmo dire più giocosa, dalla dimensione del reale a quella della fantasia, e viceversa. Il teatro, il laboratorio teatrale e l’attività psicodrammatica possono quindi diventare per il bambino: 1. Autorizzazione al ‘come se’, al gioco. Questo tipo di gioco si connota come spazio di spontaneità che consente l’espressione di contenuti e istanze personali; diventa luogo di sperimentazione di ruoli nuovi e di possibilità di variazione/cambiamento della realtà quotidiana; 2. Opportunità di essere visto, di mostrarsi e di essere riconosciuto dai pari e dall’adulto. Il teatro della quotidianità vede spesso il bambino nella posizione di spettatore del mondo degli adulti, delle loro norme e regole di comportamento; l’attività psicodrammatica e teatrale mette al centro il bambino (protagonista come singolo o gruppo) e rovescia momentaneamente la posizione sia dell’adulto che del gruppo(o sottogruppo) dei pari. Chi nella quotidianità chiede ascolto e autorità (l’adulto), nell’attività drammatica dà ascolto e autorità al bambino. Il bambino stesso ha l’opportunità di invertire il ruolo con l’adulto e di guardare dall’esterno come osservatore/pubblico altri bambini, che nella quotidianità rischia di non vedere veramente, travolto dal flusso dell’azione e delle relazioni; 3. Accesso alla dimensione rituale del teatro. L’ingresso nella semirealtà e nelle convenzioni teatrali segnala anche l’accesso ad una dimensione rituale, che valorizza e dà dignità all’attore- protagonista bambino, al gruppo e ai contenuti che essi esprimono. E’ la cornice del rituale che garantisce il rispetto, l’ascolto e la possibilità attuare il passaggio tipico del teatro dalla quotidianità all’universalità, dalla prospettiva del singolo all’umanità condivisa del gruppo e della comunità Psicodramma = psicoscena Viviamo in una cultura logocentrica, che inevitabilmente influenza il nostro approccio alla realtà. Gli stessi psicodrammatisti non sono immuni da questo condizionamento: vi sono psicodrammatisti che apparentemente lavorano con metodi d’azione, ma mantengono un approccio logocentrico, che privilegia il discorso sull’azione rispetto al qui ed ora scenico. Nello psicodramma pensiamo per scene, più che pensare sulle scene. Il valore centrale dello psicodramma è ciò che succede nella scena. Il lavoro psicodrammatico è un lavoro della persona sulla scena più che un lavoro del personaggio sulla scena, tipico del teatro: ma pur sempre di lavoro sulla scena si tratta, non di un discorso che ha come pretesto la scena. A questo proposito, Ottavio Rosati (2006) sostiene che sarebbe più opportuno chiamare psicoscena lo psicodramma e socioscena il sociodramma. La psicoscena vede l’individuo in scena, con la sua soggettività, la sua unicità e insindacabilità. La socioscena vede invece la centralità del gruppo, del dato socioculturale e dei ruoli sociali sulla scena. Il gioco di ruolo infantile in questa prospettiva è una socioscena che rivela o rimanda ad una psicoscena: attraverso l’interpretazione di ruoli sociali reali o fantastici il bambino gioca la sua problematica e le sue relazioni personali. Con i bambini, molto più che con gli adulti, non è tanto importante da dove si parte (dallo psichico o dal sociale): la soggettività e l’individualità del bambino si travasa inevitabilmente sulla scena. In ogni drammatizzazione psicodrammmatica c’è la magia dell’individuo, della sua specificità, un misto di determinazione e indeterminazione. Per fare psicodramma in modo professionale è necessario avere conoscenze teoriche e tecniche, ma anche riuscire a spogliarsi di esse per prendere il ruolo che accoglie la molteplicità e diversità dell’altro, in un rapporto continuo tra creatività e vuoto, in una oscillazione tra affetto e significazione, e tra strutturazione e destrutturazione (vedi fig. 1). STRUTTURAZIONE DESTRUTTURAZIONE Cosmo Caos Apollineo Dionisiaco Veglia Sonno Realtà Vuoto Insieme identitario Indeterminazione creativa Linguaggio quotidiano Linguaggio poetico Determinazione (definizione) Ambiguità Scena del protagonista Molteplicità di scene Scene simultanee Fig. 1 – L’oscillazione tra strutturazione e destrutturazione (M. Buchbinder, 2006)) Nel lavoro con i bambini questa oscillazione va tenuta particolarmente presente; l’adulto/conduttore deve essere in grado di consentire il passaggio fluido da un piano all’altro, di giocare con la destrutturazione per favorire una nuova strutturazione, di minare la strutturazione rigida e disfunzionale per immergersi nella destrutturazione, traendone spunto per nuovi equilibri, in un circolo virtuoso e incessante... Teatro della spontaneità Il teatro della spontaneità sta allo psicodramma come il bambino sta all’adulto, filogenesi dello strumento e ontogenesi della persona si accompagnano. Il teatro della spontaneità segna la nascita dello psicodramma, è in un certo senso uno psicodramma infantile, non maturo. Lo psicodramma, d’altro lato, per diventare uno strumento maturo ha dovuto assumere anche gli elementi adultizzati e logocentrici della cultura degli adulti. E’ necessario avere questo sguardo alla nascita dello psicodramma per lavorare con i bambini in modo non adultizzato: trasporre semplicemente il metodo psicodrammatico (pensato fondamentalmente dagli adulti per gli adulti) al modo di funzionamento infantile può essere un procedimento non solo inadeguato, ma anche dannoso. Per questo motivo vanno recuperati, nel lavoro con i bambini, alcuni elementi del teatro della spontaneità e del Playback Theatre (che è una moderna versione del teatro della spontaneità), che si sono persi o rarefatti nell’evoluzione del metodo psicodrammatico. Mi riferisco in particolare alle dimensioni della teatralizzazione, al lavoro sulla spontaneità e sul ruolo in situ, al role playing e al role creating. La modalità psicodrammatica con i bambini Chi opera con i bambini corre costantemente il rischio di proporre un modello comunicativo e relazionale adultocentrico. Nell’attività psicodrammatica in particolare, un primo segnale di tale atteggiamento è l’impiego eccessivo della parola, del verbale. L’adulto si sente in dovere di spiegare, di commentare, di chiarire e di elaborare soprattutto, e talvolta quasi esclusivamente, con lo strumento verbale. Un altro segnale è l’accentuazione dell’atteggiamento introspettivo. L’adulto in questo caso si comporta con il bambino come il terapeuta si pone con il paziente adulto: stimola i processi introspettivi e l’analisi dei contenuti, dei vissuti e degli eventi che il bambino vive o propone. Un ulteriore segnale è la sovrabbondanza di interpretazioni. Ci si riferisce all’interpretazione verbale, ovviamente. L’adulto si sente in dovere di fornire e dare interpretazioni, invece che consentire al bambino un’interpretazione (di una scena, di un ruolo). Queste modalità adultocentriche travasate sull’infanzia espongono al rischio di interventi abusanti, manipolatori o comunque ambigui (dato il dislivello di potere tra adulto e bambino). In particolare, i bambini che hanno vissuto nella loro storia esperienze abusanti con gli adulti necessitano di sperimentare la possibilità di autorealizzazione, autoaffermazione e autostima, più che di sostituire un abuso traumatico con una relazione abusante più ‘buona’, ma comunque dal sapore di dipendenza e di delega all’altro. Le modalità psicodrammatiche dal significato abusante sono segnalate da: •Accentuazione dell’atteggiamento pedagogico riparatorio; l’adulto si pone come colui che ha le soluzioni o conosce i passi da percorrere per raggiungerle •interventi prescrittivi: “secondo me tu dovresti fare così...” •interventi normativi, autoritari, moralistici In altre parole, lo psicodrammatista che opera con i bambini corre il rischio di amplificare quelle che sono le caratteristiche di un cattivo psicodramma con gli adulti, proprio per il dislivello di potere e autorità che di fatto esiste in questo contesto, sia esso di tipo terapeutico, formativo o educativo. Un antidoto importante è l’ancoraggio forte al cuore del metodo psicodrammatico, di cui parlavamo più sopra; in definitiva, dare ampio ampio spazio alla scena più che ai discorsi sulla scena. Occorre andare al cuore degli apporti del teatro, dello psicodramma, del teatro della spontaneità e del playback theatre per un proficuo lavoro con i bambini. L’elenco che segue può dare un’indicazione di massima degli aspetti da tener particolarmente presenti e che nel contesto di questo articolo non possono essere approfonditi. 1. Mantenere l’attenzione sul processo s-c (spontaneità-creatività): dare importanza al lavoro sul ruolo in situ e favorire l’addestramento alla spontaneità 2. Ricordare che nella pratica psicodrammatica è l’io che nasce dai ruoli (e non viceversa): l’interpretazione dei ruoli e la scena pertanto diventano centrali 3. Considerare attentamente la funzione degli attivatori corporei: nell’attività con i bambini assumono un ruolo essenziale tutte le esperienze non verbali di tipo relazionale. “A titolo esemplificativo, e per rendere conto dell’ampia gamma di possibilità in tal senso, riporto un elenco di alcuni di questi attivatori corporei, controruoli elementari che si possono arricchire di significati più complessi nella dinamica comunicativa ...: tirare/spingere; guardare/distogliere lo sguardo; pararsi davanti/evitare; stare di fianco/stare di dietro; mettersi più in alto/più in basso; contatto corporeo/non contatto; frenare/immobilizzare/accelerare; avvicinarsi/allontanarsi; abbracciare attivamente/tenere/contatto passivo; caricare/sollevare/trasportare; sorriso/sguardo severo; dondolare; coccolare; solletico/carezza/pizzicotto/stringere; tono di voce dolce/fermo/forte; ecolalia/amplificazione del messaggio/ridimensionamento del messaggio; imitare; sguardo neutro; vestire/spogliare/coprire/scoprire, ecc. La maggior parte di questi controruoli ha una funzione di assegnazione di ruolo, anche se alcuni di essi svolgono maggiormente funzione di doppio o di sostegno identificatorio (es.: il contatto passivo o lo stare di fianco) o di specchio (es.: lo sguardo neutro)”. (L.Dotti, Lo psicodramma dei bambini, 2002, pag. 227) 4. Proporre attività specifiche volte alla consapevolezza del movimento, dello spazio, del tempo e del ritmo 5. Lavorare sui contrasti (cfr Lapierre e Aucouturier): attuare esperienze volte a comprendere eventi ed emozioni per contrasto e differenza rispetto ad altri eventi od emozioni. 6. Stimolare l’esplorazione psicodrammatica del contrasto/conflitto/contrapposizione, dell’ inconciliabilità di bisogni - desideri, di istanze contrapposte (= la condizione di bambino come campo di confronto di bisogni-desideri e dati di realtà, onnipotenza e impotenza, indipendenza e dipendenza dall’adulto) . “La comparsa dell’attore si può far risalire al momento in cui da uno dei due cori della tragedia greca primitiva prese a staccarsi un personaggio che progressivamente acquistò individualità... Il nome greco classico dato a questo primo personaggio: upocritès letteralmente significa ‘risponditore’... Nel nome greco stesso è insita però una profonda intuizione di quello che anche modernamente viene considerato il ruolo dell’attore; un secondo significato della parola upocritès è infatti ‘colui che pone il dubbio (il problema)... Non è quindi fantasioso ritenere che il nucleo dell’evento teatrale sia identificabile nel contrasto, nell’opporsi cioè di una ragione all’altra, in quanto solo nella differenza di finalità o di pensiero sussiste la causa della opposizione dei due cori. L’attore è colui che rende manifesto il conflitto ponendo il problema, addossandosi il peso del contrasto esistente nella realtà, la quale è realtà tragica, in quanto racchiude in sé il problema insolubile” (Magnani S, cit., pag. 29) 7. Valorizzare il gruppo nella sua funzione di uscita dall’egocentrismo sociale e percettivo (cognitivo e affettivo) 8. Fare interventi volti ad accrescere la consapevolezza dell’osservatore (dinamica io - attore io osservatore, consapevolezza dei vissuti propri e dell’altro da sé, agire sapendo di essere guardati – coscienza dell’osservatore) 9. Utilizzare intenzionalmente le modalità di falsificazione spettacolare. Queste modalità, che si traducono spesso in specifiche tecniche psicodrammatiche, hanno particolarmente nel bambino la funzione di rottura del copione, della percezione globale e indifferenziata, e di accesso ad una ristrutturazione percettiva. • • • • • • • • • Amplificazione del segnale (= amplificazione del gesto, della postura, della voce ecc.) Frammentazione del segnale (= considerazione di singole sotto unità) Allungamento del tempo di trasmissione (= alternanza di azione e riflessione, specchio, stop alla fame di azione, alternanza di immobilità e movimento, ripetizione al rallentatore...) Isolamento di un segnale dall’insieme testuale (focalizzazione su un personaggio, su un’emozione, una parola, un gesto, un oggetto ) Reiterazione del segnale (= ripetere più volte un messaggio o un’azione) Dissociazione di testi abitualmente sincronici (= mettere in parole i pensieri nascosti del vari personaggi, doppio, tecnica teatrale dell’ “a parte”, focalizzazione solo sul ruolo, solo sul controruolo...) Sostituzione del destinatario naturale del messaggio (plusrealtà, comunicazione del desiderio, prova di ruolo ecc.) Alterazione di rapporti di prossemica (= cambiamento sociometrico nel gruppo, nell’atomo sociale percettivo, cambiamento nella posizione dei membri del gruppo, ecc. ) Uso di una visione prospettica preferenziale (i vari punti di vista di una storia, il punto di vista dei singoli personaggi, inversione di ruolo, diverse prospettive temporali e spaziali, ecc.) Lavoro sui prerequisiti al lavoro psicodrammatico: decalogo Le numerose esperienze di laboratorio e di psicoterapia con i bambini mi hanno portato a considerare l’importanza di alcuni elementi centrali, di alta valenza educativa e formativa. L’interiorizzazione e l’integrazione di questi aspetti portano benefici a livello individuale e di gruppo in età evolutiva, in particolare se si lavora con i gruppi-classe. La fase di riscaldamento con i bambini è infatti un’attività psicodrammatica specifica (con obiettivi e contenuti che si manifestano nell’attività stessa) e non solo un preambolo per far emergere materiale da esplorare successivamente con il ‘vero’ psicodramma. I punti che vengono elencati di seguito sono stati formulati con lo sguardo rivolto all’infanzia, ma sono ugualmente importanti nel lavoro di formazione dell’attore e in generale nell’attività psicodrammatica con gli adulti. Dieci skill e opportunità formative dell’attività drammatica “1. Ingresso nella dimensione del rituale – La capacità di entrare nella dimensione della semirealtà, del gioco, del ‘come se’, è congeniale al mondo dell’infanzia. Il valore di questo elemento non va ridotto ad acting out, ad automatismo, a spazio di relax contrapposto alle attività ‘serie’ della realtà. Il passaggio nella dimensione della semirealtà va ritualizzato, per segnalarne l’importanza e dare dignità alle storie e alla rappresentazione dei ruoli. 2. Presenza scenica – Entrare in presenza scenica significa prendersi sul serio, prepararsi ritualmente ad assumere un ruolo in un contesto pubblico, prendere contatto con il proprio corpo, il suo tono, la sua postura. La presenza scenica segnala che l’attore non sta interpretando alcun ruolo, oppure che si sta preparando ad assumere un ruolo, oppure che ha concluso l’interpretazione del ruolo. L’alternanza di presenza scenica e interpretazione del ruolo valorizza per contrasto il ruolo e per certi versi assomiglia al dialogo esistente tra musica e silenzio. 3. Saper guardare l’altro – Guardare intenzionalmente l’altro significa occuparsi di lui, accorgersi dell’altro da sé, uscire dall’egocentrismo percettivo ed emotivo. Guardare intenzionalmente un altro significa compromettersi nella relazione in modo diretto, assumendo il rischio della novità, dell’incontro o del rifiuto. Guardare l’altro è al tempo stesso un modo per prendere coscienza di sé, delle proprie emozioni in relazione all’altro (vergogna, paura, desiderio, piacere, imbarazzo, ecc.). 4. Ascoltare attentamente la storia dell’altro – Ascoltare la storia dell’altro consente di ritrovare assonanze, risonanze e contrasti utili alla ridefinizione della propria storia e della propria prospettiva. L’ascolto della storia diventa anche una necessità sine qua non, un atto di servizio per l’altro. Per occuparci dell’altro dobbiamo prima ascoltarlo attentamente, per poi dare valore alla sua storia mediante la rappresentazione. 5. Entrare rapidamente e spontaneamente in un ruolo – Questo è esattamente il contrario di quello che viene solitamente insegnato e raccomandato ai bambini: “Rifletti prima di agire, pensa bene alle conseguenze di quello che farai!”. La capacità di entrare spontaneamente in un ruolo non è così scontata; implica una disponibilità a rischiare, a lasciarsi andare al vissuto e ai segnali posturali che il corpo manda. Si attua un apprendimento e una creazione del ruolo in corso d’opera, attraverso l’azione, l’aggiustamento operativo. La consapevolezza dell’io attore avviene solo successivamente, o immediatamente dopo. E’ un processo in fieri e in situ, un apprendimento ad usare la spontaneità e la creatività attraverso l’azione ed il corpo, piuttosto che attraverso l’anticipazione razionale. 6. Capacità di fare degli stop – Particolarmente in età evolutiva è difficile lo stop dell’azione, perché l’inerzia del ruolo agito tenderebbe ad un’espansione o ad una ripetitività non controllata. Lo stop porta ad una consapevolezza posturale e spaziale, consente di guardare l’io attore e di viverlo con un protagonismo rinnovato. 7. Alternanza comunicativa – In stretto collegamento con il punto precedente, lo stop consente di accorgersi dell’altro, introducendo la possibilità dell’alternanza comunicativa, della sperimentazione del ruolo attivo e passivo, dell’io attore e dell’io osservatore. Altrettanto importante è l’alternanza del guardare e dell’essere guardati, vivendo in modo distinto e pieno questi due momenti. 8. Tenere conto dei partner – L’apprendimento ad attuare un lavoro di team, a realizzare una creazione collettiva, è anch’esso antitetico alla cultura individualistica che permea le prestazioni scolastiche. Ha più valore una buona creazione comune ed integrata rispetto ad una brillante performance individuale sconnessa dal team degli attori. Tutto ciò è anche un antidoto benefico rispetto al protagonismo isterico di alcuni bambini. 9. Consapevolezza del pubblico – La consapevolezza del pubblico è la messa in azione dell’io osservatore, la possibilità di confrontarsi con uno specchio sociale. Il processo di teatralizzazione favorito dalla presenza e dalla coscienza del pubblico osservante favorisce il decentramento percettivo, sollecita l’immaginazione morale e aiuta la costruzione del concetto di responsabilità pubblica dell’attore (e, per esteso, della persona). 10. Capacità di chiusura – Un apprendimento non scontato è la capacità di chiudere bene, sostenendo la fase finale di una performance o di un ruolo, e accogliendo l’applauso. Chiudere significa dare un senso conclusivo, gestire la separazione e il cambio di ruolo (l’uscita da un ruolo). Ritualizzare questi passaggi è una metafora della vita”. (da L. Dotti, Storie di vita in scena, Ananke, 2006) Riferimenti bibliografici Bannister A., The Healing Drama: Psychodrama And Dramatherapy With Abused Children, Free Association Books, London, 1997 Boria G., Spontaneità e Incontro nella vita e negli scritti di J. L. Moreno, Upsel, Padova, 1991. Brook P., Lo spazio vuoto, Bulzoni, Roma, 1998 Brini P., “Psicodramma coi bambini: il gruppo importante agente di cambiamento” in Psicodramma, AIPsiM, Milano, 1989. Buchbinder M. J., Poetica de la cura, Letra Viva, Buenos Aires,2001 Consolati L., “Panna dolce e coccodrilli: lo psicodramma coi bambini”, in Psicodramma, AIPsiM, Milano, 1992. Dotti L., “Presentazione di: Basic Psychodramatic Thechniques di D. Bustos”, in Psicodramma, AIPsiM, Milano, 1996. Dotti L., Forma e azione: metodi e tecniche psicodrammatiche nella formazione e nell’intervento sociale, Franco Angeli, Milano, 1998, seconda ed. 2002. 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