paper epistemologico - Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale

Francesca D'Ingianna
Paper epistemologico
Riflessioni in favore dell'integrazione dei livelli di analisi
sociologica
Cosa vuol dire e come è possibile collegare il macro e il micro?
Indice:
1) Introduzione
Macro vs. Micro nel dibattito sociologico
2) “The Micro-Macro Link”: un libro, molte critiche, alcune proposte
Dal riduzionismo al collegamento: l'analisi di Alexander e Giesen
3) Coleman: “Micro-fondamenti e comportamenti macro-sociali”
La “Coleman Boat”
4) Collins: “La connessione micro-macro come problema teorico basato
empiricamente”
Le catene di rituali di interazione
5) Una proposta più recente: la sociologia analitica
6) Conclusioni
1
1)
Introduzione
Macro vs. Micro nel dibattito sociologico
Cosa si intende con micro e macro in sociologia e soprattutto è possibile (e utile) e in che
modo un collegamento tra questi due ambiti? Sono questi gli interrogativi che guidano le
pagine che seguono.
La sociologia si presenta come una disciplina attraversata da diverse fratture e
contrapposizioni, approcci e obiettivi di ricerca diversi. Queste divisioni non devono essere
considerate sorprendenti dato che si tratta di una disciplina relativamente giovane nel
campo del sapere scientifico, né necessariamente negative in quanto segno della fertilità
del campo di studio che produce tale differenziazione. È però altrettanto vero che le
contrapposizioni metodologiche e teoriche hanno spesso impedito un confronto non
competitivo alla ricerca degli elementi di complementarietà tra i metodi, le elaborazioni
concettuali e i risultati di ricerca provenienti dai diversi approcci (Abbott, 2004).
Una delle tante dicotomie è appunto quella solitamente definita come “macro-micro”. Si
tratta di un tema chiave nella teoria sociologica contemporanea e che risulta in parte
trasversale rispetto ad altre dicotomie tradizionali quali “positivismo vs. comprensione
interpretativa”o “approccio quantitativo vs. qualitativo” (Sparti, 2002). Non per questo si
tratta di una contrapposizione argomentata con meno forza lungo tutta la storia della
sociologia, collegata ad altre dicotomie concrete quali “individuo vs. società” o “azione vs.
ordine”. Gran parte degli approcci micro si sono sviluppati proprio come attacchi contro la
tradizione macro e strutturalista, compresi l'interazionismo simbolico e l'etnometodologia
(Collins, 1988). L'attacco alla macrosociologia mainstream si basava proprio sulla
mancanza di peso dato alla contingenza, al soggetto e all'azione (Giglioli, 1989 e Ghisleni,
2004). Dall'altra parte, la microsociologia è stata accusata di ripiegarsi sul privato
dimenticando la dimensione politica del mondo sociale che può essere compresa solo a
livello macro (Gouldner, 1970, citato in Collins, 1988). Ovviamente nel dibattito si sono
inserite anche polemiche politiche non strettamente disciplinari, ma gli aspetti
epistemologici e teorici non mancavano e restano validi.
Il dibattito micro-macro dunque si presenta nella storia della sociologia come connesso
agli scopi e agli oggetti della disciplina. Studiare la società significa occuparsi di variabili
aggregate, regolarità del sistema, oppure capire come e perché gli individui agiscono e
costruiscono con il loro agire la realtà sociale? A seconda della preferenza teorica ed
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epistemologica, si è solito etichettare un approccio come micro o macro, nonché in base
all'ampiezza dell'unità di analisi empirica.
In realtà il significato dato ai termini micro e macro non è stato univoco, in quanto la loro
valenza cambia a seconda di come e a che livello è stata posta la questione, e il dibattito
sulla possibilità o meno di una connessione si può dire ancora in corso.
Lo scopo di queste pagine non può essere né il dar conto in modo esaustivo di questo
dibattito, né tanto meno di dirimere in modo risolutivo questioni su cui ben più autorevoli
autori si sono cimentati dando soluzioni diverse, complesse e comunque non
unanimemente accettate dalla comunità scientifica. Piuttosto, quello che si propone è di
evidenziare alcune proposte che, soprattutto negli ultimi 20 anni, si sono distinte rispetto
alla ricerca delle modalità di superamento di queste contrapposizioni verso un
collegamento tra macro e micro.
Aldilà degli obiettivi specifici ed esplicitati di ogni approccio, si può affermare che l'obiettivo
della sociologia è sia spiegare le regolarità del sistema sociale, ma anche dar senso alla
complessità e alle “situazioni di intoppo” (Sparti, 2002) di cui si compone la società,
composta dagli individui e dalle loro molteplici attività. Andare oltre il banale “prima l'uovo o
la gallina” non può che aiutare nella comprensione di questo articolato oggetto di studio.
Per motivi di sinteticità, pur menzionando anche altri autori, si prenderanno in analisi un
tentativo di sintesi della tematica elaborata negli anni '80 e in particolare due proposte che
hanno avuto un più risonanza anche in seguito e si cercherà di porre qualche spunto di
riflessione critica che vada oltre quanto la letteratura sul tema offre.
2)
“The Micro-Macro Link”: un libro, molte critiche, alcune proposte
Nel 1984 in Germania si tenne una conferenza organizzata dall'American Sociological
Association (ASA) e dalla Deutsche Gesellschaft für Soziologie (DGS) da cui poi scaturì
nel 1987 la pubblicazione di un volume che raccoglieva gran parte dei contributi presentati
nell'occasione: “The Micro-Macro Link”.
Il testo, dopo un lungo e ambizioso saggio introduttivo che inquadra il tema dal punto di
vista dei curatori, è composto da saggi di approcci parzialmente differenziati (la maggior
parte degli autori possono essere definiti come strutturalisti e neo-funzionalisti) e non
sempre avendo davvero come intento il link quanto più o il micro o il macro e sostenendo i
motivi della precedenza di uno rispetto all'altro. Il libro infatti ricevette proprio per questo
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motivo anche recensioni negative (Ritzer, 1988 e Huff, 1989). La critica si rivolse non tanto
al tema, riconosciuto unanimemente come centrale per la teoria sociologica, quanto più al
fatto di non aver davvero dato risposte volte a collegare realmente i due livelli senza che si
desse una priorità a uno dei due. Le posizioni neo-funzionaliste e positiviste risultavano
sovra-rappresentate, mentre quelle interpretative e marxiste erano praticamente assenti;
in particolare c'erano alcune assenze eccellenti quali Habermas e Giddens che pur si
occupavano del tema1. Il volume inoltre presentava un'ambiguità rispetto allo scopo
generale: semplice integrazione di teorie micro e macro o sviluppo di un'unica prospettiva
teorica che permettesse di trattare in modo integrato con i livelli micro e macro della realtà
sociale? Si tratta di due obiettivi diversi e tra gli autori dei contributi non c'era chiarezza e
soprattutto unanimità rispetto alla scelta di uno dei due. È pur vero che, entrambi sono
comunque utili per lo sviluppo della tematica. Però il problema risiedeva nel fatto che da
un lato nelle conclusioni dei curatori si sottolineava che dare priorità a uno dei due livelli o
considerarli indipendenti era un errore, dall'altro in quest'errore sembravano cadere gran
parte dei contributi selezionati. L'argomentazione di Ritzer (con cui si concorda e che si
cercherà di difendere anche nelle conclusioni di queste riflessioni) è che per evitare il
rischio di replicare forme di riduzionismo (o preferenze per) macro e micro, quello che
serve è una nuova teoria che affronti il collegamento in modo bilanciato e considerando il
micro-macro come un continuum, nonché un'integrazione del lavoro dei teorici con quello
di metodologi e ricercatori empirici.
Le recensioni più entusiaste (Heckarthorn, 1990) invece sottolineavano non solo
l'importanza dello sforzo di affrontare il collegamento tra macro e micro e di aver coinvolto
tradizioni teoriche diverse (teoria della scelta razionale, azione interpretativa e psicologia
del profondo) ma soprattutto la rilevanza di alcuni contributi, in particolare quelli di
Coleman e Collins (rispettivamente del primo e del secondo approccio). Sono inoltre
questi due autori ad essere tuttora spesso citati e le cui proposte teoriche ed
epistemologiche su come collegare macro e micro sono tra quelle che hanno avuto più
seguito fino ai giorni nostri. Per questo motivo dedicheremo un'attenzione particolare ai
loro saggi contenuti in “The Micro-Macro Link”.
Prima però è doveroso vedere direttamente le proposte principali contenute nel saggio
introduttivo del volume, per dar conto degli intenti (più o meno realizzati) dei curatori di un
testo così ambizioso.
1 Habermas in realtà partecipò al convegno ma non inviò poi nessun contributo; Giddens non fu neanche
invitato, in quanto l'unico rappresentante europeo (non tedesco) presente fu Boudon.
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Dal riduzionismo al collegamento: l'analisi di Alexander e Giesen
L'argomentazione principale degli autori per risolvere la dicotomia macro vs. micro e per
poter trovare il collegamento tra i due è di vedere i due termini come una distinzione
analitica e non collegata a contrapposizioni concrete, come “individuo vs. società” o
“azione vs. ordine”.
Infatti propongono un excursus della storia intellettuale e un quadro di analisi del rapporto
micro-macro molto utile per inquadrare il tema in termini epistemologici.
Essi mostrano come a più riprese i termini micro-macro si siano sovrapposti a distinzioni
epistemologiche, ontologiche e politiche che li rendevano alternative incompatibili. Anche
se la sociologia con la sua enfasi sui processi empirici ha cercato di andare oltre queste
contrapposizioni, in realtà ha solo spostato la dicotomia su ambiti diversi, senza superarla
del tutto. Però già la sociologia classica tradusse il dibattito filosofico su individuo e società
promettendo una più sintetica e meno antagonistica concettualizzazione della relazione tra
i due: “da un lato l'esplicito impegno disciplinare per la 'società' creò un interesse
intrinseco nella connessione tra comportamento individuale e collettivo [...]. Dall'altro lato,
l'esplicita enfasi empirica della nuova disciplina forzò perfino i teorici macro come Marx e
Durkheim a cercare di fondare i loro riferimenti alle forze collettive nelle attività degli
individui osservabili e agenti.” (Pag. 13, traduzione mia).
Gli autori proseguono sottolineando come “i teorici sociologici separarono le domande
ontologiche da quelle epistemologiche e riformularono entrambi i temi in termini più
strettamente sociologici. Per la teoria sociologica, l'epistemologia diventa “il problema
dell'azione”: l'attore conoscente è razionale o interpretativo? Ma sebbene l'azione sia
postulata, la fonte ultima di questa conoscenza resta da decidere. Può essere posta
dentro o fuori l'individuo conoscente. Questo è il problema dell'ordine, e indica la
ripresentazione sociologica della questione ontologica. La questione dell'ordine per la
sociologia riguarda la fonte ultima delle forme sociali; non riguarda la domanda ontologica
se queste forme o gli individui che possono o no sostenerle siano reali. L'origine delle
forme può essere concepita individualisticamente, nel cui caso il “credito” per le forme
sociali, il ruolo di variabile indipendente, è dato ai micro-processi in modo contingente.
Viceversa, l'origine delle forme può essere concepita come emanata da qualche fonte
aldilà di qualsiasi individuo particolare, nel qual caso l'attore individuale, la cui esistenza
per se è ancora riconosciuta, può essere concepito come la vittima di circostanze collettive
o del loro più o meno volontario (in quanto socializzato) medium. [...] Per la teoria
sociologica, il micro può essere concepito come un livello di analisi che merita una
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considerazione indipendente anche se l'individuo può non essere considerato,
ontologicamente o metafisicamente, come l'origine dell'ordine in se stesso. Dato che la
sociologia insiste su una focalizzazione empirica, e dato che la sua vocazione disciplinare
è diretta alla società, i temi della contingenza e della libertà non sono intrinsecamente
connessi a una focalizzazione sull'individuo per se. È per questo motivo che la disputa
empirica si estende così largamente.” (Pag. 14, traduzione mia).
Viene dunque distinta la questione dell'azione come separata da quella dell'ordine;
quest'ultimo
si
articola
come
posizione
collettiva
vs.
concezione
individualista
(responsabilità primaria degli individui), mentre rispetto alla prima si hanno due tipi diversi
di comprensione dell'azione: strumentale-oggettiva vs. interpretativa-soggettiva.
In base a queste distinzioni, gli autori identificano cinque possibili approcci alla relazione
micro-macro (tra parentesi le scuole o gli autori che vi fanno rientrare):
1. Individui razionali e intenzionali creano la società attraverso atti contingenti di
libertà; teoria individualista che sottolinea il carattere razionale e oggettivo
dell'azione; quindi focus empirico micro su costi, investimenti e opportunità;
(economia politica classica, utilitarismo e comportamentismo; teoria dello scambio
di Homans)
2. Individui interpretativi creano la società attraverso atti contingenti di libertà; teoria
individualista ma azione soggettiva; quindi focus empirico micro sui processi
interpretativi e su come sono condotti in modo contingente; (pragmatismo e
psicoanalisi)
3. Individui socializzati ri-creano la società come una forza collettiva attraverso atti
contingenti di libertà; teoria collettiva rispetto all'ordine e teoria soggettivista
dell'azione che dà autonomia analitica al livello micro: l'individuo socializzato ricrea
nel processo di riproduzione; (Weber, Garfinkel)
4. Individui socializzati riproducono la società traducendo l'ambiente sociale esistente
nell'ambito micro; teoria collettiva rispetto all'ordine con approccio interpretativo
all'azione: la percezione soggettiva è centrale, anche se si insiste sul fatto che i
contenuti di questa percezione si trovano oltre la contingenza degli atti individuali;
quindi c'è un interesse per i processi empirici in quanto personalità e interazioni che
sono “nastri trasportatori” dei fatti collettivi: soggettività individuale solo come mera
riproduzione, non c'è autonomia analitica del micro e quindi manca il peso della
contingenza; (Durkheim, Parsons, a volte Weber)
5. Individui razionali e intenzionali aderiscono alla società alla società perché sono
obbligati dal controllo sociale esterno; teoria collettiva rispetto all'ordine con
6
approccio oggettivista all'azione: non viene dato ruolo empirico alle percezioni
soggettive dell'ordine e quindi non si ha focus sul micro. (Marx nei lavori tardi e più
influenti; Weber quando parla della “gabbia d'acciaio”, strutturalisti)
Confrontando questi cinque approcci, secondo Alexander e Giesen, il terzo è quello che
riesce meglio sintetizzare di più il legame micro-macro rispetto a quanto fatto dai sociologi
classici (che hanno scelto uno degli altri); in alternativa propongono di combinare diverse
opzioni, ma non sono del tutto chiari sulle modalità con cui ciò può essere realizzato.
A nostro parere, l'analisi e la schematizzazione proposta sono utili e condivisibili. Il modo
con cui vengono classificati alcuni autori però lascia qualche perplessità in più. Valga da
esempio emblematico quanto viene detto a proposito di Weber. Per quanto lo identificano
come l'autore che per primo ha cercato di fare un tentativo di formulazione sintetica, sono
molto netti nel considerare i lavori tardi di Weber all'interno della quinta opzione e dunque
come un tipo di approccio che nega la rilevanza del livello micro, soprattutto in quanto non
ha compiuto ricerca empirica. In realtà, qualsiasi posizione che comunque tratta un
argomento anche se decidendo poi di considerarlo irrilevante, comunque mette a tema il
legame tra i livelli. Inoltre, a rigore, per avere certezza dell'irrilevanza di qualcosa, va prima
studiata per confermare empiricamente questa irrilevanza. Invece al massimo si può dire
che Weber pose entrambi i livelli come rilevanti e con un peso differente a seconda degli
oggetti di analisi e dei periodi storici considerati. Rispetto a un'ipotesi plausibile sul fatto di
non avere fatto ricerche specifiche micro, le ragioni posso essere diverse e non solo
dovute a delle scelte epistemologiche. Si trattava infatti in un'epoca di fondazione e
radicamento di una nuova disciplina,con uno sviluppo metodologico non ancora come lo
intendiamo al giorno d'oggi. Inoltre di certo c'era una preoccupazione verso alcune
tematiche macro, il che non vuol dire ignorare il micro o considerarlo irrilevante. Quello
che più conta per attribuire una posizione epistemologica è quanto elaborato
esplicitamente a riguardo da parte di un autore e su questo Weber è certamente più
articolato. Se poi non si vede un conseguente lavoro empirico completo e coerente con
quelle scelte esplicite, ci si può domandare il perché, ma non attribuire una nuova
posizione astraendola da un'interpretazione degli scritti non espliciti sul tema.
Continuando il loro excursus, gli autori (e soprattutto Alexander in un altro saggio della
stessa pubblicazione), vedono Parsons come colui che tentò la seconda formulazione
sintetica del collegamento tra micro e macro. Senza addentrarci in specificazioni teoriche
che esulano dall'interesse di questo paper, essi sottolineano come le prime elaborazioni di
Parsons furono importanti: il concetto di internalizzazione per la sua teoria volontaristica
dell'azione e il concetto di “ruolo”. La debolezza sul rapporto micro-macro restò però su
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due aspetti: aver poi abbandonato l'attenzione verso il micro e l'aver sostituito il concetto di
contingenza con quello di un individuo relativamente socializzato, il che lo rende più vicino
alla quarta opzione (vedi elenco sopra), senza arrivare alla terza.
Gli autori concludono il loro saggio evidenziando come, dopo un periodo in cui le
dicotomie si erano nuovamente rafforzate, gli anni '80 segnino una fase differente nel
dibattito teoretico in cui si ha uno sforzo senza precedenti all'interno di ogni tradizione
teorica e da entrambe le parti (macro e micro) verso un raccordo tra i due livelli. Vengono
menzionati diversi contributi, inclusi alcuni non coinvolti nel volume da loro curato, ma
sottolineano come il problema che impedisce spesso un vero collegamento tra macro e
micro è la “fedeltà ai (propri) punti di partenza” e che “ solo fondando un punto di partenza
teorico radicalmente diverso,si può creare un collegamento micro-macro genuinamente
inclusivo. Questo modello inclusivo non combinerebbe semplicemente 2 o 3 delle opzioni
teoriche in maniera ad hoc. Piuttosto, fornirebbe un modello sistematico in cui tutte e
cinque le opzioni sono incluse come dimensioni analitiche della realtà empirica in quanto
tale. Ciò può essere realizzato sulla base di una comprensione dell'ordine emergentista, o
collettiva, una comprensione dell'azione multidimensionale, e una comprensione analitica
delle relazioni tra i diversi livelli di organizzazione empirica.”
La proposta è dunque molto ambiziosa e viene dato rimando ai saggi a loro firma nel
volume per questa proposta di modello. Se da parte di chi scrive l'intento di Alexander e
Giesen è condiviso, il punto debole è che la loro elaborazione rimane per lo più teorica e
dunque metodologicamente contiene le stesse debolezze che si possono attribuire a
Giddens o ad Habermas per la mancanza di applicazione empirica dei concetti elaborati.
Per una trattazione adeguata del collegamento tra macro e micro è necessario andare
oltre un'elaborata dichiarazione d'intenti. Solo in questo modo si può avere un passo in
avanti ai fini di ricerca per un'adeguata comprensione della realtà sociale. È forse per
questo motivo che non fu il volume in sé ad avere risonanza (molto poche sono le citazioni
che il volume ha ricevuto), quanto più alcuni contributi poi ulteriormente sviluppati da parte
di alcuni dei sociologi coinvolti nella pubblicazione. È a questi autori che rivolgeremo
dunque l'attenzione per analizzare brevemente le loro proposte, anche in base alla loro
applicabilità empirica.
In particolare abbiamo deciso di concentrare la nostra attenzione su due autori, Coleman e
Collins, in quanto le loro proposte in quegli anni hanno tuttora risonanza e in quanto
rappresentanti di due approcci epistemologici sull'azione diversi: uno della scelta razionale
(strumentale-oggettiva) e l'altro interpretativo.
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3)
Coleman: “Micro-fondamenti e comportamenti macro-sociali”
Il saggio di Coleman contenuto in “The Micro-Macro Link” si intitola significativamente
“Microfoundations and Macrosocial Behavior”, indicando proprio la necessità per la
sociologia di capire come solo considerando il livello micro si possano trovare le
spiegazioni dei risultati macro.
Coleman inizia la sua argomentazione sottolineando come, da una parte, la teoria sociale
si concentra sul livello macro di spiegazione del funzionamento del sistema sociale (o di
un suo aspetto) e, dall'altra, la ricerca empirica consiste nell'osservazione e analisi del
comportamento individuale. Questo ha comportato un vuoto di collegamento tra teoria e
ricerca, che spesso corrisponde alla mancanza di una transizione appropriata dal micro al
macro, nonostante il tema sia non nuovo e centrale nella disciplina e si tratta del
“movimento dal livello individuale, dove le osservazioni sono compiute, al livello sistemico,
dove si situa il problema di interesse” (pag. 154, traduzione mia). Coleman infatti
sottolinea come anche l'elaborazione di Durkheim e Weber coinvolgesse tale questione,
più o meno esplicitamente. Il problema secondo Coleman però è che spesso la questione
viene risolta con una semplice aggregazione di credenze e comportamenti individuali, il
che rende la teoria debole o poca chiara perché appunto non spiega adeguatamente le
modalità di passaggio dal micro al macro, di cui non si può dar conto solo con la semplice
aggregazione che “magicamente produce un prodotto sociale” (p.157).
È questo un punto che consideriamo importante: considerare il passaggio dal micro al
macro come risolto semplicemente tramite l'aggregazione di dati individuali sarebbe una
soluzione troppo semplicistica per una società così complessa in cui le influenze
reciproche a vari livelli sono diverse e in cui i processi sociali e le interazioni tra individui
portano a conseguenze sui livelli analitici più macro (e viceversa).
Tornando al saggio di Coleman, egli procede con il considerare la teoria neoclassica del
mercato perfetto come un modello del passaggio dal micro al macro ed evidenzia come lo
stesso schema concettuale (con opportune modifiche) possa essere usato in altre
domande di ricerca sociologica su altri “mercati”: quello matrimoniale o del lavoro. Analizza
poi anche casi in cui uno stesso tipo di schema può essere usato anche se il fenomeno
studiato non include mercati o scambi.
Però l'aspetto più importante (anche se non completamente risolto in questo saggio in
modo chiaro ed esplicito) rimane la necessità di andare oltre la mera aggregazione dei dati
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individuali considerati artificialmente come prodotti in indipendenza gli uni con gli altri.
Negli esempi citati da Coleman, viene sottolineata la rilevanza delle interazioni tra le azioni
degli individui (fino al dilemma del prigioniero) e dei meccanismi istituzionali che danno le
regole di aggregazione delle scelte individuali (come un sistema elettorale che prevede
l'indicazione di un ordine di preferenze e che rende più difficile la mera aggregazione).
Spesso invece gli approcci macro, anche empirici, si limitano all'aggregazione di dati
individuali il che vuol dire descrivere un fenomeno macro, ma non ricercarne le ragioni,
che sono per forza di cose a un livello analiticamente più micro. Inoltre, la semplice
aggregazione potrebbe portare a un risultato macro che fa perdere le differenze micro e
che può essere ovviata con una formulazione delle domande di ricerca più adeguate in
modo da arrivare non solo a una descrizione complessiva di un fenomeno, ma a una sua
spiegazione che rende necessario dar conto di come si arriva al quel risultato macro a
partire dai risultati micro della ricerca empirica.
In questo senso senso riprende le argomentazioni di Boudon contro i modelli a “scatola
nera” che rappresentano i risultati macro dei fenomeni studiati ma non i micro-processi
causali che li producono e dunque descrivono in modo sintetico la relazione statistica
senza però spiegarla.
La “Coleman Boat”
Lo schema che l'autore utilizza per analizzare tutti gli esempi presi in questo saggio, è
noto come “Coleman Boat” proprio dalla forma grafica di “barchetta” che presenta.
Il suo funzionamento è ben spiegato da Barbera e Negri nel loro saggio “La connessione
micro-macro. Azione-aggregazione-emersione” (in Borlandi e Sciolla, 2005). Essi
sottolineano come il modello proposto da Coleman sia sostanzialmente lo stesso di quello
di quello usato da chi propone la spiegazione attraverso meccanismi generativi (come la
sociologia analitica), in contrapposizione ai modelli “black box” o scatola nera che risultano
solo descrittivi (vedi Boudon sopra). La spiegazione per meccanismi non vuole essere
però antagonista all'altra, quanto completarla.
La “Coleman Boat” è una “rappresentazione grafica delle relazioni macro-micro-macro”.
Micro e macro sono appunto intesi come livelli di analisi. Lo schema “articola in modo
dettagliato le tre operazioni necessarie per spiegare gli attributi macro che caratterizzano
un sistema attraverso l'analisi dei micro-eventi che li hanno generati:
1. Dal macro al micro: descrivere come le caratteristiche macro M del sistema nel
tempo t-1 condizionano la situazione micro m in cui sono situati gli attori nel tempo
t. Si tratta dei meccanismi situazionali che definiscono le condizioni date in base a
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cui gli attori agiscono per cambiare la situazione.
2. Dal micro al micro: definire come gli attori , date le condizioni che definiscono la loro
situazione m al tempo t, adottano i comportamenti m' al tempo t+1. Si tratta dei
meccanismi di formazione dell'azione sociale.
3. Dal micro al macro: spiegare come le caratteristiche macro M' al tempo t+2
risultano
dai
comportamenti
individuali
m'.
Si
tratta
dei
meccanismi
di
trasformazione.
M'
M
Macro livello
m
Micro livello
m'
tempo
Quando si arriva al passaggio dal micro al macro se ne sottolinea la crucialità in quanto
“l'oggetto analitico della spiegazione sociologica, infatti, è il funzionamento del sistema
sociale e non il comportamento individuale”. (p. 100). Il livello macro inoltre non può mai
fare completamente a meno del livello micro, ma gli strumenti a disposizione per
ricostruire la relazione micro-macro sono carenti in quanto sono incluse problematiche
come quelle di effetti non intenzionali, interdipendenze strutturali, esternalità, ecc.
Lavorare su questo diventa allora cruciale per il progresso della sociologia per evitare
ulteriori divaricazioni tra teoria sociologica e ricerca empirica. Infatti se si pone attenzione
non semplicemente a una sommatoria di comportamenti individuali isolati, ma si intende il
macro come interazione tra comportamenti micro, le difficoltà di traduzione in disegni di
ricerca empirica è tuttora difficile.
Coleman ha individuato diversi modelli di transizione micro-macro, tra cui quello
dell'interdipendenza processuale (in cui il tempo in cui avvengono le azioni influenza la
configurazione finale macro) e quello dell'interdipendenza relazionale (in cui la
connessione micro-macro è influenzata dalle relazioni tra gli attori, dalla presenza o meno
di legami strutturali, ecc).
La proposta di connessione tra macro e micro ha avuto molto seguito, è usata in
sociologia economica e in particolare, rispetto ai nostri interessi specifici, viene utilizzato
come modello base dall'approccio della sociologia analitica, di cui parleremo più avanti
(vedi paragrafo 5).
Ulteriori commenti sul modello di Coleman saranno oggetto dei paragrafi successivi, in cui
11
lo confronteremo con la proposta di Collins. Vediamo dunque prima di tutto cosa propone
un tipo di approccio interpretativo.
4)
Collins: “La connessione micro-macro come problema teorico
basato empiricamente”
Collins è un sociologo solitamente classificato tra i “teorici del conflitto”, ma che ha
utilmente integrato il concetto durkheimiano di rituale, rielaborando anche le proposte a
riguardo di Goffman sull'interazione sociale.
Il contributo di Collins all'interno di “The Micro-Macro Link” è incentrato non solo su una
proposta di connessione tra macro e micro, ma anche sul mostrare le potenzialità di
questa sulle possibilità conoscitive della sociologia e sull'importanza di basare
empiricamente i problemi teorici. Egli significativamente sottolinea che “vale la pena di fare
lo sforzo di connettere teorie micro e macro. Non è assolutamente necessario farlo;
ciascun livello può procedere abbastanza bene senza l'altro. [...] tuttavia il potere teorico
esplicativo a ciascun livello sarebbe innalzato se possiamo mostrare la loro mutua
penetrazione in modo sufficientemente preciso.” (pag. 195, traduzione mia).
Questo è un punto che consideriamo molto importante: il punto non è che le teorie che si
concentrano esclusivamente sul livello micro o su quello macro non siano valide o non
dicano cose che aiutino la conoscenza sociologica. Non si tratta automaticamente di
visioni del mondo incompatibili tra loro, quanto di punti di vista diversi. Tuttavia, manca loro
un salto di qualità di connessione che permetterebbe una visione più completa sul
funzionamento dei meccanismi sociali: una sorta di passaggio, prendendo a prestito il
linguaggio cinematografico, da un “fermo-immagine” a una “panoramica” o a un “pianosequenza”.
Collins articola la sua proposta in due parti: la prima considera come le macrostrutture
siano composte da micro-eventi; nella seconda parla degli effetti del macro sul micro.
Egli argomenta come le macrostrutture consistano in grandi numeri di micro-incontri
ripetuti (e che a volte cambiano) nel tempo e nello spazio; per questo motivo parla di
“micro-traduzione di macrostrutture”. Ciò che è empirico si presenta solo nella forma del
micro, mentre il macro sono sempre concetti che noi applichiamo a questi aggregati micro.
Ci sono solo tre macro-variabili vere e proprie: numeri (di persone e di incontri coinvolti),
tempo (lungo cui si realizzano i vari tipi di incontri) e spazio (in cui sono collocati
fisicamente).
“Le strutture non fanno nulla; sono solo le persone nelle situazioni reali che agiscono.”
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(pag.195) Non si tratta però di una preminenza del micro: questo esercizio di “traduzione”
ha un utilizzo anche nella direzione inversa: “i micro-eventi, il comportamento degli
individui nelle situazioni, sono essi stessi determinati da dove sono collocati nella più
grande rete di micro-incontri attorno ad essi nel tempo e nello spazio. La macrosociologia,
vista così a grana fine, diventa la chiave per comprendere cosa accade nel regno della
microsociologia.”
L'impressione è che, pur con terminologie diverse provenienti dalle rispettive tradizioni di
riferimento, Coleman e Collins esprimano entrambi l'aspetto circolare che c'è tra il micro e
il macro; anche se uno parla di scelte e comportamenti e l'altro si pone l'accento su rituali
e interazioni, la struttura di relazione continua e reciproca tra i due livelli analitici è la
stessa. Cambia la semantica, non la sintassi.
Per spiegare ulteriormente questa interrelazione, Collins sottolinea anche che non solo
non c'è dicotomia tra micro e macro, ma che si tratta di livelli di un continuum che si
muove sulle dimensioni di spazio e tempo. In questo modo si possono distinguere
analiticamente anche le “mesostrutture”: la rete di incontri ripetuti di un individuo, oppure le
organizzazioni. Solo la micro-traduzione, invece che il micro-riduzionismo, delle macro
strutture permette delle “generalizzazioni esplicative più potenti sui livelli delle diverse
dimensioni del macro-continuum”.
Le catene di rituali di interazione
Nella seconda parte del suo saggio, Collins si concentra su quella “direzione inversa” di
cui si è accennato sopra e lo fa proponendo il modello delle catene rituali di interazione
(IR). La terminologia è chiaramente ripresa da Goffman e in questo si vede appieno
l'angolatura soggettivista e interpretativa del suo modello, in quanto sottolinea come “le
interazioni non sono meramente strumentali, ma sono procedure che sia generano che
consumano simboli che rappresentano l'appartenenza di gruppo”.
Collins spiega come ogni interazione dipende dalle motivazioni e dalle risorse di ogni
individuo che vi partecipa, e queste provengono (e dipendono) dagli incontri precedenti.
Per questo motivo si parla di “catene”: ogni conversazione dà qualche forma di incremento
al capitale culturale di ognuno e il risultato di un incontro non può essere in alcun modo
predetto se non si conosce la storia passata di ciascun partecipante in base a cui essi
hanno la propria “miscela” non solo di capitale culturale ma anche di “energie emozionali”.
Quindi, se da una parte per esempio le istituzioni sociali sono fatte di catene di interazioni
micro, dall'altra ogni particolare rituale di interazione dipende da altri rituali di interazione, e
dunque la situazione locale micro è influenzata dalla struttura macro intesa come
13
“disposizione di altre situazioni micro attorno ad essa.”
Inoltre le catene rituali possono essere viste da diverse prospettive e a seconda di quella
scelta si possono sviluppare diverse teorie (sull'individuo, sulla micro-negoziazione o su
macro-forme come la stratificazione sociale). Nei suoi esempi Collins pone l'accento sulla
differenza che dal punto di vista empirico si ha utilizzando tecniche qualitative per
descrivere accuratamente queste interazioni che costituiscono e al tempo stesso sono
costituite dalla struttura delle altre interazioni.
Collins infine inserisce i temi della proprietà e del potere, ridefiniti all'interno di questa che
lui definisce “macro-teoria micro-tradotta” (vs. una macro-teoria reificata).
Gli aspetti più significativi della proposta di Collins crediamo però siano proprio
l'accortezza contro il rischio di reificazioni e la capacità di esemplificare la connessione tra
micro e macro tramite le catene di interazioni, nonché l'averlo fatto utilizzando terminologie
e concetti tipici di un approccio micro senza rimanere bloccato nel riduzionismo. Però
l'impressione, almeno in questo saggio, è che l'enfasi sugli aspetti simbolici e di
interazione, se necessari per spiegare la società, non siano sufficienti a dare il quadro
completo del suo funzionamento.
Ecco dunque che i due contributi che abbiamo visto più da vicino sembrano entrambi fare
proposte nella giusta direzione sintattica, ma sono appunto limitate dalla loro semantica,
dai loro approcci di riferimento, dagli oggetti di studio che sembrano loro più rilevanti.
Molto più recentemente, altri hanno ripreso il tema della connessione micro-macro,
rifacendosi alla proposta di Coleman, ma rielaborandola in modo più ampio. Vediamo
brevemente i punti caratterizzanti della cosiddetta “sociologia analitica”.
5)
Una proposta più recente: la sociologia analitica
Per evidenziare i punti fondamentali di questa prospettiva teorica, prenderemo a
riferimento un articolo pubblicato su Rassegna Italiana di Sociologia (Barbera, 2003), che
riprende i punti fondamentali espressi da Goldthorpe in un volume di recente
pubblicazione (Goldthorpe, 2000).
La “sociologia analitica” o “spiegazione attraverso meccanismi generativi” considera le
teorie come strumenti per spiegare e mette al centro del lavoro scientifico l'interazione tra
teoria e ricerca. Si differenzia rispetto al classico approccio positivista in quanto privilegia
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appunto la spiegazione rispetto alla descrizione (e predizione): invece di cercare regolarità
e leggi su cui basare una conoscenza predittiva, dà un ruolo fondamentale alla “casualità
generativa”, alla spiegazione, cioè cerca i “processi causali, osservabili o meno, che
danno conto di come si è generato un fenomeno”. (pag. 538).
Il punto centrale rispetto alla nostra trattazione è che i meccanismi generativi sono a un
livello diverso, inferiore, dal fenomeno che spiegano: si parla di “micro-processi generativi
che danno conto dei macro-fenomeni osservati” e di esplicitare il contesto e dunque le
condizioni entro cui i meccanismi funzionano, entro cui hanno prodotto la relazione
osservata fra due variabili. Però si parla anche di spiegare il macro attraverso una
semplificazione del micro. Dunque sembra che da una parte questo approccio cerchi un
legame micro-macro, dall'altra la sua enfasi sulla modellizzazione rischia di perdere da
un'altra porta quello che ha fatto entrare dalla prima: si disperde la complessità e la
variabilità degli elementi che entrano in interazione e che (forse) possono essere rilevanti
nella generazione di quei fenomeni macro.
In realtà, bisogna sottolineare altri punti qualificanti della sociologia analitica: pur
contrapponendosi
alla
mera
descrizione,
questa
viene
considerata
comunque
complementare e utile, anche se non sufficiente agli obiettivi che invece questi sociologi si
propongono. Inoltre, pur dando enfasi all'utilizzo di modelli, l'argomento principale rimane
la ricerca del processo generativo della relazione empiricamente osservata, il che ci fa
comprendere come anche le tecniche qualitative siano incluse e usate da parte di alcuni
autori. Infine ci sembra particolarmente rilevante il peso dato al lavoro empirico e al suo
rapporto con la teoria. In fondo, la critica maggiore che è stato fatta alle proposte che
abbiamo considerato sopra, è un'accentuazione eccessiva sul lato teorico con poche
messe alla prova di tipo empirico.
Un altro elemento che Barbera evidenzia è che la definizione che viene data di
“meccanismo sociale” contiene tre dimensioni importanti:
•
la prospettiva dinamica, per cui si cercano i processi causali e non gli effetti,
•
la struttura multilivello, in base alla quale si utilizza la “Coleman Boat” e che si
propongono di essere micro-fondative e non micro-riduzioniste,
•
il carattere formale, cioè l'uso dei modelli deduttivi con potere analitico, ma visti più
come strumenti che come fini e soprattutto valutati in base alla loro capacità di
spiegare.
In questo senso, ci sembra di poter dire che il pregio di questo approccio è nell'obiettivo di
una ricerca attenta di bilanciamento tra elementi che di solito invece risultano
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caratterizzazioni
contrapposte
qualitativo/quantitativo,
tra
scuole
sociologiche:
multidimensionale/modelizzazione
teoria/ricerca
elegante.
Di
empirica,
questo
bilanciamento viene a giovare anche la vecchia dicotomia tra macro e micro, di cui ormai è
assodata il considerarla come distinzione analitica di un continuum che serve più alla
sociologia per studiare i suoi oggetti di ricerca, ma con la consapevolezza che nella realtà
empirica una tale distinzione è a dir poco arbitraria.
6)
Conclusioni
Alla fine di questo breve excursus, partito dalle curiosità scaturite dalle ambizioni di un
volume pubblicato vent'anni fa, più che dare delle risposte definitive, vogliamo porre delle
riflessioni e forse più domande che risposte, non solo perché il dibattito non si è concluso,
ma soprattutto perché le domande spesso servono più delle risposte per avanzare nel
sapere.
Se proviamo a fare un confronto tra le proposte descritte, pensiamo che la preferenza
verso una delle argomentazioni proposte non sia possibile: in realtà, come abbiamo avuto
modo di evidenziare caso per caso, ognuna porta dei punti importanti nel dibattito verso la
definizione delle motivazioni e delle modalità per collegare il macro e il micro.
Avevano ragione le recensioni critiche sul volume “The Micro-Macro Link”? In parte sì,
anche se a posteriori ci sembra più importante valorizzare il fatto di aver compiuto il passo
verso l'esplicitazione della problematizzazione di tale tematica che ha caratterizzato la
sociologia fin dalla sua nascita.
Ovviamente questo excursus non contiene tutti i contributi che sono stati dati e di certo
mancano alcuni nomi celebri come Habermas e Giddens. Il motivo è che anche dovuto al
fatto che se le loro proposte sono state forse più articolate, entrambi sono rimasti solo alla
teoria senza addentrarsi nella ricerca empirica, che invece ci sembra un punto
fondamentale se lo scopo è di tipo conoscitivo e sulle possibilità esplicative che la
connessione di macro e micro offre per la comprensione del funzionamento dei processi
sociali.
La Coleman Boat è di certo uno schema efficace nella sua semplicità per descrivere tale
connessione e la sua teorizzazione è utile a fondare le ragioni in favore di essa. Inoltre, la
sociologia analitica ha continuato il percorso, ma leggendo i loro punti caratterizzanti ci
sembra manchi qualcosa. Se si osserva la Coleman Boat, non ci sembra troppo azzardato
pensare che ciascun punto potrebbe essere il vertice di altre “barche” che si sviluppano su
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altre dimensioni. Il meccanismo generativo non è mai uno solo, ma un fenomeno è sempre
il risultato di più fattori, sia di livello inferiore che (forse) uguale o superiore; e ogni
meccanismo potrebbe a sua volta essere considerato come un fenomeno che a sua volta
ha i propri meccanismi generativi. La provocazione che si vuole lanciare è domandarsi se
una proposta autenticamente multi-livello dovrebbe andare oltre il macro-micro e tornare al
concetto di continuum di cui parla Collins.
Sempre a partire dagli spunti ispiratici da Collins, crediamo che se anche in questo caso ci
sembrava che nonostante i pregi mancasse qualcosa, forse la risposta sta nel fatto che se
la connessione tra macro e micro può essere articolata diversamente a seconda degli
approcci d'origine, l'integrazione necessita di andare oltre le divisioni di approccio teorico e
metodologico. Collins aveva l'elemento simbolico e interpretativo che mancava in
Coleman, ma si può fare un'obiezione speculare sul secondo.
Da questo punto di vista la complessa articolazione proposta da Alexander e Giesen torna
utile in quanto vedeva nella combinazione (di approcci teorici ed epistemologici) più
articolata, la proposta più autenticamente fondata sulla connessione.
Ma come andare oltre? Quale può essere il passo successivo? Parlare di integrazione
invece che di connessione è un passo ulteriore che forse è impossibile a livello pratico, ma
crediamo fondamentale come obiettivo di lungo periodo, all'orizzonte del lavoro di ricerca
sociale. Ovviamente ogni progetto di ricerca non può contenere in sé ogni oggetto, ogni
tecnica e ogni livello di analisi. Ma un'accortezza nell'evidenziare i propri confini, dando
dignità a ciò che sta intorno e considerando almeno come contesto gli elementi che non
sono strettamente inclusi, può essere un modo decisivo per avanzare nella conoscenza e
nelle sue possibilità perché forse è proprio da queste contaminazioni che nascono nuove
idee e alcuni ambiti della ricerca sociale potrebbero uscire da impasse e ripetitività. Si
tratta di un discorso che vale prima di tutto per il continuum macro-micro: finché alcuni
elementi saranno tenuti fuori come non rilevanti per un approccio, ce ne sarà un altro che
invece li includerà, con il rischio di riprodurre contrapposizioni e riduzionismi.
Su questo di certo Collins ha ragione: le distinzioni tra livelli sono possibili, ma il salto di
qualità verso la comprensione della complessità sociale richiede non solo connessione ma
integrazione tra livelli di analisi, il che coinvolge approcci epistemologici, teorie e modelli,
ricerche empiriche e tecniche di ricerca: come in un puzzle, è sempre utile cercare il modo
di unire i pezzi.
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Bibliografia
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Alexander, J.C., Giesen, B., Münch, R., Smelser, N.J. (1987), The Micro-Macro Link,
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politica. Tradizioni si ricerca, modelli, teorie, Il Mulino, Bologna.
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Sparti, D. (2002), Epistemologia delle scienze sociali, Il Mulino, Bologna.
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