1815, Torino e Genova all`Austria

TORINO E GENOVA ALL'AUSTRIA NEL 1815
un'ucronia di Massimiliano Paleari
il Congresso di Vienna del 1815 seguito alla disfatta di Napoleone sancì il
ritorno di Casa Savoia a Torino. Lo Stato Sabaudo non solo fu restaurato nella
sua interezza, ma potè anche ingrandirsi a spese della ricostituita Repubblica
Ligure, ponendo così paradossalmente le premesse per il suo successivo
fondamentale ruolo nelle vicende risorgimentali italiane. Ma se le Potenze
vincitrici avessero deciso diversamente, stabilendo l'annessione del Piemonte e
della Liguria all'Austria? Come si sarebbe modificata la linea del tempo? La
risposta nella seguente ucronia.
Da qui inizia il resoconto ucronico degli eventi
Nel 1814 si discute dell'assetto da dare alla nostra penisola. Una delle
questioni aperte è quella delle sorti del Piemonte e della Liguria. Sulle prime le
Potenze vincitrici sembrano orientate a consentire un ritorno di Casa Savoia a
Torino, sia in virtù del principio di legittimità (per la verità non sempre seguito
alla lettera), sia per ripristinare la funzione di “cuscinetto” tra Francia e Austria
dello Stato Sabaudo. Si ipotizza addirittura un'annessione della Liguria, dove si
è riformata un'effimera Repubblica, al Piemonte, in modo anche da ridurre
future possibili tentazioni di influenza francese su quest'area. Alla fine però
prevale un'altra tesi. Sia Metternich per conto dell'Austria vincitrice, che
Talleyrand in nome della Francia convengono che in nome della realpolitik il
modo migliore per evitare tensioni e “turbolenze” nell'Italia nord occidentale
sia quella di eliminare ogni “cuscinetto”, tra i due Stati. In fondo, ragionano
non a torto i due Statisti, la secolare politica di Casa Savoia è sempre stata
quella di allearsi ora con l'una, ora con l'altra Potenza, anche nel corso dello
stesso conflitto (ad esempio durante le Guerre di Successione all'inizio del
'700), e niente fa pensare che il Piemonte in prospettiva non riprenda questo
modus operandi. Lungi quindi dal rappresentare un elemento di stabilità, lo
Stato Sabaudo è stato al contrario troppo spesso il “cavallo di Troia” a volte
della Francia, a volte dell'Austria. Meglio quindi, sottolinea in particolare
Metternich, eliminare ogni ambiguità e portare direttamente il confine
franco/austriaco sullo spartiacque naturale rappresentato dall'arco alpino
occidentale. Talleyrand non può che abbozzare, anche perché la Francia si vede
offrire la Savoia come contropartita. Per zittire le proteste di Vittorio Emanuele
I, stufo di regnare sulla sola Sardegna e infuriato per la perdita del territori di
origine della Casata (la Savoia per l'appunto), oltre che del Piemonte, gli viene
assegnata la Corsica tolta alla Francia. Quest'ultima ovviamente fa notare che
la Corsica non è una conquista della Francia rivoluzionaria, ma un “regolare
acquisto” datato 1768 dall'allora Repubblica di Genova (che non aveva più le
risorse per tenere sotto controllo l'isola in preda ai conati indipendentisti
foraggiati dalla stessa Francia). Metternich mette a tacere anche questa
protesta francese assegnando a Parigi la Contea di Nizza. La stessa Gran
Bretagna si fa paladina dell'annessione della Corsica alla Sardegna sabauda. In
fondo, ragiona Londra, meglio che queste isole del Mediterraneo centrale siano
controllate da un piccolo e “influenzabile” Stato piuttosto che dalla Francia,
nemica storica. A completare il quadro dell'assetto territoriale italiano, La
Spezia viene assegnata al Ducato di Parma retto da Maria Luisa d'Austria
(ormai ex consorte di Napoleone), che così può contare su uno sbocco al mare
come il vicino Ducato di Modena. Per il resto i confini della nostra penisola dopo
il 1815 restano quelli della nostra timeline.
Ricapitolando così le varianti ucroniche qui emerse, notiamo:
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l'influenza dell'Austria sull'Italia è ancora maggiore rispetto a quella
esercitata nella nostra timeline; il Regno Lombardo/Veneto, qui
ribattezzato Regno del Nord Italia, si estende fino alle Alpi occidentali
inglobando il Piemonte e quasi tutta la Liguria;
i Savoia devono accontentarsi di regnare sulla Sardegna e sulla Corsica;
la Francia ha perso la Corsica ma ha conservato le conquiste
rivoluzionarie della Savoia e della Contea di Nizza;
il restaurato Ducato di Parma si è annesso La Spezia e con essa ha
acquisito un importante sbocco sul mare.
Le speranza dei patroti italiani vengono incanalate anche in quuesta timeline
inizialmente dalle società segrete, e in particolare dalla Carboneria, che
raccoglie adepti un po' ovunque, in particolare tra gli ex ufficiali napoleonici e
tra i ceti intermedi. Al nord comunque l'esercito asburgico, che mantiene sul
confine francese un importante dispositivo militare, rappresenta una buona
opportunità di impiego per molti militari italiani già appartenenti alla Grande
Armata napoleonica. In questo modo le “sirene rivoluzionarie” risultano meno
attrattive per questa categoria. Altri esponenti moderati guardano invece con
qualche speranza al Granduca di Toscana, e perfino al Duca di Modena, a cui
vengono rivolti appelli di riforme in senso liberale e di costituzione di una
confederazione italica. Si aggiunge infine il movimento neoguelfo, che però non
trova per il momento nessun riscontro oltretevere.
I Savoia risultano invece completamente fuori gioco, confinati come sono sulle
due isole del Tirreno e alle prese tra l'altro con non pochi problemi in Corsica,
scossa periodicamente da fremiti indipendentisti e finanche filofrancesi.
Nel 1821 una insurrezione nelle Legazioni Pontificie viene rapidamente domata,
così come il moto costituzionale napoletano e un'analogo tentativo di
sollevazione di alcumi reggimenti piemontesi che gridano “w la costituzione”.
L'Austria fa buona guardia su tutta la penisola.
Nel 1831 altra fiammata rivoluzionaria, che divampa sorattutto nel Ducato di
Modena e ancora nelle Legazioni. Si tratta però del “canto del cigno” della
“vecchia” carboneria e degli ultimi reduci del decenno napoleonico. Ancora una
volta l'Austria mette a tacere tutti quanti e ristabilisce lo status quo.
Subito dopo però è la stessa Austra a farsi promotrice di una federazione
doganale tra il Regno del Nord Italia e i Ducati centrali, sul modello dello
Zollverein tedesco. Lo spazio economico comune fa da volano ad altre limitate
riforme, che tuttavia contribuiscono ad ammodernare questa parte della
penisola.
Nel 1847 il nuovo Papa Pio IX, anche sull'onda di pressanti richieste di piazza,
decide di far entrare le Legazioni Pontificie all'interno della federazione
doganale ad egida austriaca. Non però il restante territorio dello Stato
Pontificio, con la motivazione che l'arretratezza di quest'ultimo avrebbe
comportato l'annichilimento della gracile economia locale non più protetta da
alti dazi doganali.
Il 1848 è l'anno delle grandi rivoluzioni. Sull'onda delle notizie provenienti da
Parigi, da Budapest e da Vienna anche la nostra penisola si infiamma, da sud a
nord. A Venezia, Milano e Genova scoppiano vittoriose rivolte che costringono
gli Austriaci a ripiegare in parte su Torino, stranamente tranquilla, in parte
verso il quadrilatero. A Napoli Ferdinando II è costretto ad acconsentire che
parte del suo esercito si metta in marcia verso nord in aiuto degli insorti. Lo
stesso devono fare il Papa e il Granduca di Toscana. E' una vera e propia
commedia degli equivoci applicata alla politica...
A Vienna comunque le autorità costituite stanno riprendendo il controllo della
situazione. Paradossalmente saranno proprio le unità militari delle “etnie”
periferiche dell'Impero il braccio armato della restaurazione asburgica: la
rivolta ungherese sarà schiacciata con l'aiuto determinante delle truppe croate;
in Italia settentrionale saranno soprattutto i reggimenti piemontesi a riportare
all'obbedienza Milano e Genova.
E Garibaldi? In questa timeline è cittadino francese fin dalla nascita. Di animo
irrequieto, imbarcatosi fin da ragazzo sulle navi come mozzo a girare il mondo,
è diventato uno dei primi esploratori dell'Africa nera. Di lui le cronache
ricordano il pittoresco tentativo di ritagliarsi un proprio Regno nell'interno
dell'attuale Senegal dopo aver sposato la figlia di un capotribù locale.
Al 1848 segue nell'Impero Asburgico (quindi anche nella nostra Italia
settentrionale) il decennio centralista, il tentativo vale a dire di governare il
composito Stato senza tener conto delle variagate istanze autonomiste, prime
fra tutte quella ungherese e italiana. Lentamente comunque le cose cambiano.
Accantonati i sogni di indipendenza, sia gli Italiani che gli Ungheresi (o per
meglio dire le loro componenti liberal moderate) iniziano una azione politica
convergente volta a trasformare pacificamente l'assetto istituzionale
dell'impero. Tra i politici italiani impegnati in tal senso si distinguerà un certo
Camillo Benso Conte di Cavour, che vede negli ampi spazi asburgici la
possibilità di interessanti sbocchi commerciali per le nascenti moderne
agricolture e industrie “padane”.
Nel 1866 gli Austriaci non devono dirottare truppe in Italia, ma anzi possono
contare sui fedeli reparti dell'Imperial Regio Esercito del Nord Italia. A Sadowa
così i Prussiani non riescono a strappare una vittoria schiacciante sull'Austria, e
la guerra termina con un compromesso. Gli Asburgo di fatto riescono a
conservare la propria egemonia sugli Stati tedeschi del sud, Baviera in primis,
mentre la Prussia deve accontentarsi del nord della Confederazione Germanica.
Nel 1868 l'Austria si trasforma in un Impero tricefalo. Sono istituiti tre
parlamenti: uno a Milano per il Regno del Nord Italia; uno a Budapest per la
grande Ungheria e naturalmente quello di Vienna. Trieste, città multietnica e
simbolicamente punto di incontro delle varie componenti dell'Impero, diviene
accanto a Vienna la seconda capitale federale! Al Regno del Nord Italia viene
unito anche il litorale dalmata. Primo Ministro del Regno del Nord Italia è
nominato nel 1868 proprio Cavour (in questa timeline è meno stressato,
pertanto non si ammala e non muore nel 1861). I tre Regni sono largamente
autonomi al proprio interno, sul modello della monarchia bicefala della nostra
timeline. L'Imperatore d'Austria con una solenne cerimonia a Monza viene
incoronato nuovamente Re del Nord Italia con la Corona Ferrea. Certo, non
sono risolti tutti i problemi dell'Impero Asburgico. Resta il nodo ad esempio
dello status degli Slavi dell'Impero, per il momento ancora abbastanza quieti,
ma le cui élités intellettuali hanno iniziato un processo di “alfabetizzazione
nazionale” delle rispettive nazioni. In Italia resta inoltre irrisolto il nodo dei
rapporti con i piccoli Stati dell'Italia centrale, i cui Sovrani tendono a
rapportarsi con la corte imperiale di Vienna (contando sui legami dinastici),
piuttosto che con le autorità milanesi, temute per i continui tentativi di
espandere le competenze della confederazione doganale fino ad erodere uno
dopo l'altro i loro effettivi poteri.
Nel 1870 non c'è nessuna guerra tra la Prussia e la Francia, pertanto
Napoleone III continua a regnare a Parigi. In compenso scoppia un piccolo
conflitto in Italia. A Ferrara e a Bologna si hanno gli ennesimi disordini. Questa
volta l'intervento austriaco porta ad una richiesta di annessione da parte dei
notabili locali al Regno d'alta Italia, sempre più insofferenti per l'arretrato e
caotico governo pontificio che contrappongono all'operoso, civile e ordinato
territorio asburgico a nord del Po. In realtà Francesco Giuseppe non sarebbe
entusiata di ampliare in questo modo l'Impero. Teme infatti le prevedibili
reazioni del Papa e dei Cattolici. Alla fine però, pressato dal Parlamento di
Milano, acconsente. Finisce anche l'indipendenza di San Marino, inglobata nel
Regno del Nord Italia. Ne deriva un contenzioso tra Vienna e Roma, che
provoca turbolenze all'interno dell'Impero. Sono in particolare i Croati, gli
Sloveni e gli Slovacchi a sventolare nelle manifestazioni di piazza le bandiere
pontificie e a mescolare all'elemento della solidarietà nei confronti del Pontefice
quello della rivendicazione delle proprie prerogative nazionali. I manifestanti in
realtà non chiedono l'indipendenza, ma l'estensione del sistema federale
“tricefalo” anche a loro. Cosa in realtà più facile da dirsi che da farsi. Intanto
gli Slavi dell'impero non rappresentano un blocco unitario, ma sono divisi tra
Boemi, Moravi, Slovacchi, Sloveni, Croati, Serbi, Ruteni e altre componenti
minori. Inoltre ognuna delle tre parti dello Stato asburgico ha i “propri” Slavi.
L'Austria propriamente detta ingloba il Regno di Boemia e gli Sloveni.
L'Ungheria gli Slovacchi e i Croati. Persino il Regno d'Italia deve vedersela con
minoranze slave in Friuli e in Dalmazia.
All'inizio del 1871 Napoleone III sbarca truppe a Civitavecchia con l'intento di
difendere il Papa da “ulteriori aggressioni”. In realtà in questo modo intende
rimettere piede nelle vicende italiane, oltre ad accattivarsi le simpatie degli
influenti cattolici francesi. Immediatamente sale la tensione tra Vienna e Parigi.
L'Austria esige un immediato reimbarco delle truppe francesi presenti nello
Stato Pontificio, offrendo nello stesso tempo al Papa un Patto di inviolabilità
delle frontiere e di assistenza militare in caso di disordini. Pio IX è incerto sul
da farsi ma a questo punto si inserisce nella vicenda il Cancelliere prussiano
Bismarck, desideroso di sfruttare la querelle austro/francese per riprendere il
proprio progetto egemonico sull'intera Germania bloccato dopo la mezza
sconfitta di Sadowa di 5 anni prima. Bismarck solletica la vanità di Bonaparte,
in fondo desideroso di ripercorrere almeno in parte le orme dell'ingombrante
avo. L'accordo prevede mano libera della Francia sull'Italia, in cambio di un
appoggio francese alle mire prussiane sulla Germania. In entrambi i casi
l'ostacolo maggiore è rappresentato proprio dall'Austria.
La guerra scoppia in primavera con il solito pretesto (un preteso sconfinamento
nelle Romagne di gendarmi asburgici all'interno del territorio pontificio). I
Francesi ammassano sul Reno un'armata, mentre un'altra è inviata al Passo del
Moncenisio e lungo la riviera. Infine i Francesi portano a 20000 uomini il corpo
di spedizione romano, che va a sommarsi ai 15000 dell'esercito pontificio.
Napoleone presenta la guerra come una crociata cattolica contro l'empia
Austria, non curandosi del paradosso di avere come alleata la luterana Prussia.
I Prussiani iniziano le operazioni in Sassonia, alleata di Vienna. In Italia Parma,
Modena e Firenze si schierano con l'Austria. Napoli per il momento si dichiara
neutrale.
Il conflitto è inizialmente favorevole a Napoleone. I Francesi riescono a passare
le Alpi e costringono gli Astriaci a ripiegare dietro il Ticino. In Piemonte restano
in mano austriaca solo le piazzeforti di Casale Monferrato e di Alessandria. In
Liguria i Francesi si spingono fino a Savona. Vienna ha preferito stare sulla
difensiva al nord per cercare prima di tutto di eliminare la pericolosa presenza
francese nell'Italia centrale. Prima che possa essere effettuato il
ricongiungimento con il corpo di spedizione francese, i Pontifici sono battuti
dagli Austriaci a Castelfidardo e poco dopo cade Ancona. Il piccolo esercito
toscano e alcune unità austriache si avvicinano intanto a Civitavecchia, ma
subiscono una sconfitta a opera del contingente francese e sono inseguite fino
a Grosseto. Intanto aumenta anche la pressione della Prussia in Germania, che
ha costretto l'esercito della Sassonia a ripiegare verso sud. L'Austria insomma
è in difficoltà un po' su tutti i fronti, anche se il suo esercito si mostra compatto
e fedele all'imperatore, comprese le componenti slave di cui si temevano
possibili defezioni o ammutinamenti.
A questo punto la diplomazia di Vienna riesce a segnare un punto a suo favore.
Grazie anche alle pressioni della giovane moglie bavarese, Francesco II di
Napoli è infine indotto a scherarsi con l'Austria a dispetto della sua profonda
devozione religiosa. Precisando che “non valica il confine pontificio per fare la
guerra al Santo Padre, ma solo per allontanare dall'Italia i Francesi, da sempre
portatori di disordini”, l'esercito borbonico marcia su Roma. A Velletri le deboli
unità pontificie, supportate da poche forze francesi accorse in tutta fretta,
vengono battute dai Napoletani. Contemporaneamente converge su Roma
proveniendo dalle Marche anche la colonna austriaca reduce della vittoriosa
battaglia di Castelfidardo. I Francesi sono costretti a richiamare dal nord del
Lazio tutte le loro forze per parare la minaccia che ormai incombe direttamente
su Roma. I Toscani così possono occupare Civitavecchia il 4 luglio. Nell'area
attorno all'Urbe circa 19000 Francesi e 7000 pontifici si trovano di fatto bloccati
e circondati da 40000 uomini tra Borbonici (22000), Austriaci (15000) e
Toscani (3000). Napoleone ordina al corpo di spedizione francese nel Lazio di
tenere Roma ad ogni costo, ma fatica ad inviare rinforzi anche perché la flotta
napoletana e quella austriaca pattugliano incessantemente il litorale laziale
davanti alla foce del Tevere. I Francesi tentano quindi di sferrare un colpo
mortale agli Austriaci a nord per sbloccare la situazione. Il 10 luglio, dopo aver
superato il Ticino, si combatte a Magenta una importante battaglia. Gli
Austriaci riescono a tenere, anche grazie all'apporto prezioso dei reparti
asburgici appartenenti al Regno del Nord Italia, che si battono accanitamente
contro quello che è percepito come un invasore della patria. Napoleone è
costretto a ripassare il fiume dopo aver subito dure perdite.
Monta intanto in Francia l'ostilità al conflitto da parte di fasce crescenti di
opinione pubblica. I più fanno notare che gli unici ad avvantaggiarsene sono i
Prussiani, che infatti stanno estendendo la loro influenza in Germania, mentre
in Italia la Francia si è impantanata in un conflitto inconcludente senza
nemmeno riuscire a tutelare il Pontefice, chiuso ormai dentro le mura di Roma.
Non sono chiari inoltre gli scopi ultimi di questa guerra, se non il desiderio di
prestigio personale di Napoleone III.
Il 15 agosto Austria e Prussia firmano un armistizio. Ad eccezione della
Baviera, che resta indipendente, tutti gli altri Stati tedeschi entrano a far parte
dell'Impero germanico a guida prussiana. Napoleone è furioso. L'alleato
prussiano, dopo aver raggiunto i suoi scopi, esce dal conflitto infischiandosene
dell'Italia e del Papa. Gli Austriaci sono ora liberi di concentrare le loro forze sul
Ticino e attorno a Roma.
Viene stretto l'anello attorno alla capitale. Il 20 settembre inizia l'assalto
diretto alle mura aureliane. L'artiglieria borbonica con i nuovi canoni rigati apre
dopo alcune ore una breccia a Porta Pia. Nel varco si lanciano le unità ustriache
e napoletane, che tuttavia subiscono dure perdite a causa dell'accanita
resistenza francese e pontificia. Il Papa avrebbe voluto alzare bandiera bianca
dopo una resistenza simbolica, ma ne è dissuaso dal comandante francese che
non può permettere “un'onta così grave all'onore della Francia”. La lotta
continua all'interno della città, dove ormai si combatte casa per casa. Il 23
Francesi e Pontifici controllano ormai solo la parte della città compresa tra le
mura e la riva destra del Tevere. Il 24 finalmente il Pontefice riesce ad imporre
la sua volontà e viene alzata bandiera bianca. Per Napoleone si tratta di una
sconfitta senza precedenti. 19000 Francesi vengono fatti prigionieri in un colpo
solo. Pio IX furioso scomunica tutti coloro che hanno osato ledere le
prerogative temporali della Santa Sede, ma nel 1871 ormai le scomuniche non
hanno più l'effetto dirompente di qualche secolo prima. L'Austria minaccia a
sua volta la creazione di una Chiesa cattolica “conciliare”. I Napoletani si
annettono i Principati pontifici di Benevento e di Pontecorvo, più le Marche
meridionali fino ad Ancona. Il Granducato di Toscana ottiene l'Umbria. Gli
Asburgo ingrandiscono il Regno del Nord Italia con le Marche settentrionali. Al
Papa viene lasciato quindi il solo Lazio, con la garanzia di assoluta integrità
territoriale per il futuro da parte degli Stati confinanti, a patto di non ospirare
più truppe straniere (leggasi Francesi) all'interno del territorio pontificio.
La cocente umiliazione patita a Roma induce infine Napoleone ad aprire
trattative con Vienna. Bonaparte è alla disperata ricerca di qualche successo
almeno diplomatico per puntellare il suo zoppicante potere in patria. Dal
momento che controlla ancora il Piemonte e parte della Liguria, conscio di non
poterli occupare indefinitivamente, propone la loro cessione ai Savoia, antichi
Sovrani di Torino, in cambio della Corsica. In questo modo potrebbe almeno
presentarsi ai Francesi con qualcosa in mano. L'Austria però non ne vuole
sapere, e con lei il Primo ministro de Regno del Nord Italia, il piemontese
Cavour, che concepisce il “benessere” dell'Italia centro/settentrionale solo in
un'ottica unitaria e come componente della federazione imperiale asburgica.
Piena unità di intenti quindi tra Milano e Vienna. La guerra riprende e gli
Austriaci, supportati ache da un corpo di spedizione napoletano di 30 mila
uomini (più i contingenti più modesti ma nondimeno presenti dei Ducati
Centrali) passano il Ticino riescono a sconfiggere i Francesi nei pressi di
Novara. Non si tratta di una vittoria decisiva, ma Napoleone è ormai stanco e
ordina di ripiegare. Finalmente il 1 dicembre si giunge ad un armistizio, a cui
seguirà la Pace di Torino. I Francesi sgomberano il Piemonte e la Liguria.
Napoleone ottiene come “contentino” qualche ritocco alle frontiere nelle zone
del Colle di Tenda e del Moncenisio. I prigionieri francesi catturati a Roma
vengono liberati. L'Austria esce dalla guerra come la “padrona” incontestata
d'Italia, mentre ha perso quasi tutta la sua influenza in Germania, con la
parziale eccezione della Baviera. Il Regno del Nord Italia si conferma sempre
più, sia per la fedeltà all'Impero, sia per il suo sviluppo economico, uno dei
“pilastri” della costruzione imperiale asburgica. Il 1895, dopo lunghi negoziati
che coinvolgono il Parlamento federale e quelli austriaco e ungherese, vede la
nascita di una quarta componente federale dell'Impero su un piano di parità
con le altre tre: il vecchio Regno di Boemia diviene Regno di Cecoslovacchia e
di Rutenia. In pratica tutti gli Slavi “del nord”dell'Impero hanno finalmente una
casa comune in cui riconoscersi pienamente. Infine il 28 giugno 1914 nasce il
Regno di Croazia, che comprende anche parte della Slovenia e la BosniaErzegovina. L'Ungheria si è opposta fino all'ultimo, giungendo a minaccciare la
secessione, ma alla fine ha prevalso la moderazione.
L'mpero d'Austria, Ungheria, Nord Italia e delle due Slavie (Cecoslovacchia e
Grande Croazia) è vivo e vegeto ancora oggi. Il mondo è immerso in una
lunghissima Belle Epoque. L'Impero Asburgico sotto Ottone d'Austria è
l'esempio vivente della possibilità di una pacifica convivenza tra etnie diverse
su una base federale. Lo scrittore ungherese Francois Fejto nel 1976 scrive una
strana ucronia, intitolata “Requiem per un Impero Defunto”, in cui immagina
che l'Impero Asburgico, incapace di risolvere i propri problemi interni, ha finito
per dissolversi nel 1918 al termine di un lugo conflitto mondiale, anche per la
miope volontà in tal senso di Usa, Gran Bretagna e Francia. I suoi eredi sono
piccoli e litigiosi Stati, dilaniati da conflitti etnici anche al proprio interno e più
poveri e arretrati rispetto all'Austra Felix che conosciamo.