Capitolo 4
Linee di sintesi e di prospettiva
Filippo Dettori, Luca Ghirotto, Luisa Pandolfi
Il progetto si proponeva di avviare una comprensione delle dinamiche interne alle pratiche/teorie
didattiche dei docenti nel confronto con le diversità culturali, con una ricerca qualitativa di tipo
partecipato, anche allo scopo di individuare bisogni e piste di formazione.
In questo capitolo –quindi- si abbozzano anzitutto (1) un’interpretazione (tutta da vagliare e
corroborare) delle dinamiche riscontrate nei contesti in esame e (2) l’individuazione di bisogni e
percorsi formativi per lo sviluppo di competenze didattiche interculturali che si riferiscono in
particolare a contesti scolastici che, come nei casi presi in esame nella ricerca, si trovano in una fase
iniziale di confronto con alunni di cultura diversa.
Infine, si prende in esame la metodologia utilizzata per l’analisi dei dati e ci si sofferma sulle
ragioni per cui si è deciso di avvalersi dell’ausilio di NVivo, un software per l’analisi qualitativa dei
dati. Rendere conto del percorso di analisi e dei modi in cui i gruppi di ricerca giungono a
determinate conclusioni, è un passaggio fondamentale per comprendere la coerenza interna che
dovrebbe sussistere, nelle ricerche qualitative, tra la raccolta dati e la loro analisi.
La conclusione, pertanto, si configura come un momento meta-riflessivo sulle strategie messe in
campo per analizzare i dati, costruire descrizioni tematiche e interpretazioni concettuali;
l’applicazione alla ricerca della pratica adottata nel lavoro con le insegnanti, per discutere la validità
della ricerca e i suoi limiti procedurali, dal punto di vista di un ‘amico critico’ ed ‘osservatore
partecipante’ nel e del percorso.
Una lettura condivisa dai ricercatori e che motiva ed apre a nuove prospettive di ricerca.
4.1 Ipotesi d’interpretazione delle dinamiche didattiche nel confronto con le diversità culturali
Dall’analisi delle tematiche di fondo prese in esame nel terzo capitolo, si sono estrapolate delle
categorie (insieme di più temi collegati tra loro) di riflessione trasversale in grado di esplicitare le
questioni nodali più profonde. Non si tratta, infatti di dati concettuali espressi in modo esplicito dai
partecipanti ma di osservazioni e di riflessioni emergenti da un’interpretazione dei dati. Una sorta di
“etichette” date dagli osservatori-ricercatori inerenti l’analisi dei dati (videoregistrazioni, commenti
delle insegnanti alle videoregistrazioni, resoconti degli incontri di restituzione).
Il software NVivo è stato utilizzato per sostenere la significatività delle categorie individuate. A
questo livello di astrazione dai dati, infatti, come già rilevato, il ricercatore non è più legato ai dati
iniziali, ma a una loro concettualizzazione. Per comprendere se questa categoria è rilevabile da tutte
le fonti di dati, si sono costruiti dei modelli, models in NVivo, in grado di rendere in maniera
visibile le ricorrenze di determinate categorie nei dati. Un ulteriore aiuto alla concettualizzazione è
stato fornito da NVivo nella visualizzazione ad albero delle parole utilizzate dai partecipanti.
Dalla codifica focalizzata delle restituzioni degli insegnanti e delle videoregistrazioni, in
particolare, si è potuto rilevare queste categorie:

Ambivalenza didattica: la tendenza degli insegnanti è quella di “trattare” le diversità
individualmente. La didattica è considerata lo strumento per accogliere le differenze individuali
in classe. Per raggiungere tali obiettivi di inclusione, l’insegnante sa di dover sostenere
individualmente l’alunno nel portare a termine il compito, la richiesta, la consegna. Il
raggiungimento di questo obiettivo è ostacolato da due ordini di fattori. Il primo è proprio la
rilevazione della diversità culturale, il secondo è la difficoltà “oggettiva” di individualizzare i
percorsi e le proposte didattiche.
1


La diversità diviene così il motore del processo in cui le competenze didattiche degli insegnanti
sono chiamate a mettersi in gioco. La diversità culturale è, però, ostacolo all’inclusione del
bambino straniero: questa emerge come qualcosa che è lasciato al bambino stesso, alle sue
competenze e alle sue abilità, molto più che a quelle dei docenti. L’insegnante sembra chiamarsi
fuori.
La ricerca di supporto, di cooperazione, di aiuto e formazione, che nasce dalla situazione di
difficoltà e inadeguatezza in cui gli insegnanti esercitano la loro professione. La percezione di
inadeguatezza (rispetto a varie dimensioni che si rifanno alle tematiche sopra citate e, con
particolare forza, agli aspetti di gestione educativa della diversità: situazioni problematiche,
famiglie poco collaborative) motiva l’esigenza e la domanda di aiuto, di supporto e la richiesta
di cooperazione sia tra colleghi, che tra alunni e con le famiglie.
Queste categorie sono trasversali e sottostanti alle tematiche emergenti. Ad esempio, l’ambivalenza
rimanda alle dimensioni contrastanti che si ritrovano in molte tematiche. Nella tematica
“complessità del lavoro dell’insegnante” si evince come il ruolo docente sia vissuto dagli
intervistati sia come professione appassionante e impegnativa, sia come fonte di difficoltà e fatica.
Il docente infatti si percepisce come un professionista chiamato a svolgere un importante e
complesso ruolo sociale, ma allo stesso tempo si trova a dover fronteggiare richieste complicate e
bisogni molto differenti fra di loro, in termini sia prettamente didattici che relazionali. Anche la
dimensione relazionale è vissuta in maniera ambivalente, infatti si evincono delle divergenze tra le
insegnanti rispetto: allo stile educativo; alla percezione della diversità, sia come risorsa positiva, ma
anche come elemento di ostacolo; all’esperienza della videoregistrazione, vissuta sia con ansia e
disagio, ma anche come opportunità positiva per la crescita professionale.
Uno dei rischi che si intravede è che l’ambivalenza possa bloccare il cambiamento, in quanto la
mancanza di riferimenti certi impedisce ai docenti di assumersi delle responsabilità e di prendere
decisioni che incidono negli interventi educativi.
Per ciò che invece concerne la categoria diversità e normalizzazione, la prima è intesa come
divergenza rispetto alla norma e come diversificazione didattica. Essa rappresenta lo strumento
attraverso cui gli insegnanti affrontano e tentano di gestire l’ambivalenza provocata da situazioni
divergenti e di svantaggio: l’insegnante, infatti, mediante l’individualizzazione, la diversificazione
delle pratiche e la presa in carico emotiva, affronta i casi percepiti come ‘diversi’ tramite interventi
differenziati, anche se l’obiettivo è il ritorno alla ‘normalità’ di riferimento. Lo sforzo di rispondere
ai bisogni specifici di ogni allievo che i docenti cercano di mettere in atto mediante la realizzazione
di piani educativi personalizzati, di fatto spesso contrasta con la richiesta che da sempre caratterizza
l’istituzione scolastica, che tende a normalizzare e a riportare tutti a traguardi comuni.
Nello specifico invece della categoria richiesta di supporto, essa è intesa come la ricerca di un aiuto
esterno, di cooperazione, di formazione che nasce dalla percezione di inadeguatezza (rispetto ad
alcune situazioni) in cui gli insegnanti esercitano la loro professione. Va precisato che in
riferimento ai soggetti coinvolti nella ricerca, essi solo da poco si confrontano con classi
multietniche e, pertanto, l’esigenza di una formazione mirata è piuttosto recente.
Si hanno così nei dati tre principali categorie in relazione tra di loro. I dati a nostra disposizione non
hanno permesso la costruzione piena e soddisfacente di una teoria delle competenze interculturali
dei docenti: l’intento del gruppo di ricerca, d’altra parte, è stato quello di comprendere le dinamiche
interne ai contesti studiati con una ricerca qualitativa di tipo partecipato il cui punto di approdo è
stata la formulazione di un modello interpretativo che prendesse le mosse dalle concettualizzazioni
fatte, un modello che è stato visualizzato grazie a NVivo e che viene qui di seguito introdotto:
2
L’analisi concettuale messa in campo dal gruppo di ricerca ha fatto emergere questo processo in
relazione alle riflessioni degli insegnanti nell’esaminare le proprie pratiche didattiche, in particolare
nel trattare le diversità individuali. La categoria più forte è quella che è stata nominata
“ambivalenza”, uno snodo concettuale importante per spiegare teoricamente che cosa accade
quando l’insegnante è chiamato a mettere in gioco competenze e capacità per offrire un percorso
didattico ed educativo a bambini e bambine straniere. NVivo è stato di aiuto nel rendere il processo
enucleato un modello visibile: in questo modo è stata resa chiara la serie di passaggi concettuali tra
le categorie costruite a partire dai dati. In particolare, è stata rilevata una direttrice che dalla
rilevazione della diversità suscita l’ambivalenza professionale, sfondo di riferimento generale della
ricerca. Che cosa succede poi nei contesti studiati? Dopo aver compreso l’atteggiamento, la
“postura docente” in relazione ad alunni stranieri, quali processualità? Nel modello teorico che è
stato introdotto, si sostiene che l’ambivalenza potrebbe definire ora una modalità di intervento volta
a stabilire sia implicitamente che esplicitamente una “normalità” cui i docenti fanno riferimento,
come possibilità per risolvere la difficoltà della diversità, anche culturale; ora una richiesta di
supporto. In tal senso emerge più volte nelle diverse fasi della ricerca la necessità di un formazione
mirata che parta proprio dal contesto didattico quotidiano in cui operano i docenti ed al contempo
valorizzi le esperienze e le competenze didattiche dei professionisti coinvolti. La formazione in
questo senso ha dunque il compito di stimolare la riflessione critica e la problematizzazione da parte
degli insegnanti, prendendo le mosse da casi ed interventi educativi specifici.
4.2. Bisogni e percorsi formativi
Secondo il modello di Bennet, l’acquisizione delle competenze interculturali avviene attraverso lo
sviluppo di sei fasi, suddivise in stadi etnocentrici (rifiuto, difesa e minimizzazione) e stadi
etnorelativi (accettazione, adattamento e integrazione).
Si è cercato di individuare in quali fasi si trovano i soggetti coinvolti nella ricerca, sulla base degli
elementi emersi dall’analisi dei dati effettuata utilizzando Nvivo.
Un primo risultato di tale comparazione ha portato i ricercatori a ritenere che il gruppo di docenti
che ha collaborato non si colloca in modo esclusivo in un unico stadio, al contrario è possibile
individuare più tratti appartenenti a diversi stadi che convivono fra loro in una prospettiva
evolutiva. Infatti si può certamente riscontrare nelle restituzioni e nei commenti dei docenti una
tendenza alla fase dell’integrazione, che presuppone la consapevolezza che il proprio sé è un
processo dinamico e la propria identità va considerata in relazione alle opportunità che può offrire
l’incontro con l’altro. Questo si riscontra dalle affermazioni delle docenti che si sovrappongono alle
frasi emblematiche proposte dal modello di Bennet: “Qualunque sia la situazione, io posso,
3
generalmente, affrontarla attraverso una varietà di punti di vista culturali” e “Le mie competenze
relative al processo decisionale sono accresciute avendo molteplici cornici di riferimento”. Le
docenti più volte hanno definito la diversità culturale come un arricchimento e un’opportunità di
crescita personale e sociale. Le stesse hanno anche dichiarato di essere sicure nello svolgimento
della loro professione e nella progettazione degli interventi didattici che sono finalizzati a
promuovere l’integrazione.
Certamente, prendendo in esame il modello di Bennet, si può affermare che le caratteristiche
prevalenti rilevate ci riportano a individuare il terzo e il quarto stadio: la minimizzazione delle
differenze e accettazione delle differenze, come maggiormente rispondenti alla realtà studiata.
Nel terzo stadio infatti, si riconoscono e si rispettano le differenze, ma si tende a minimizzarle,
prendendo in considerazione tratti culturali superficiali, nella convinzione che tutti gli esseri umani
siano uguali: “I costumi e le usanze sono diversi, certo, ma quando tu riesci a conoscerli sono belli
tanto quanto i nostri”. Ciò si deduce dal tentativo esplicitato dalle maestre di affrontare le situazioni
problematiche, inaspettate che si discostano dalla norma, attraverso delle strategie didattiche che,
seppure individualizzate ed orientate alla personalizzazione dei percorsi, di fatto sono finalizzate
alla normalizzazione.
Il quarto stadio si colloca nella prospettiva etno relativa, che ha origine con l’accettazione della
diversità culturale. Ciò implica il rispetto per le differenze, considerando i comportamenti
all’interno del loro contesto culturale. Acquisire la consapevolezza dei propri riferimenti valoriali e
della costruzione culturale di questi valori significa percepire i valori stessi come processi e
strumenti per organizzare il mondo. Per comprendere il significato attribuito dall’autore a questo
stadio si riportano le seguenti affermazioni: “Più numerose sono le culture che conosci, migliori
sono i confronti che puoi fare”; “A volte può essere disorientante comprendere che i valori sono
differenti nelle varie culture e che questo deve essere rispettato, ma ancora c’è il bisogno di
mantenere i propri valori di fondo”. È possibile cogliere questi elementi nell’atteggiamento di
apertura delle docenti, le quali manifestano riconoscimento ed accettazione della diversità seppure
guardata attraverso la lente della loro cultura.
Tuttavia, in alcuni momenti, si riscontrano dagli atteggiamenti documentati nelle videoregistrazioni
e dalle parole delle stesse maestre, una certa tendenza alla regressione verso il secondo stadio
(difesa contro le differenze) che si caratterizza per una modalità polarizzata di pensiero (noi/loro),
accompagnata dall’espressione di stereotipi negativi che vedono la propria cultura in posizione
privilegiata. Tale tendenza si rispecchia, per esempio, nella seguente frase proposta da Bennet
“Possiamo insegnare a queste persone un sacco di cose”.
A titolo esemplificativo si propone di seguito una tabella di sintesi in cui alcune espressioni e
situazioni incontrate nella ricerca sono associate alle fasi proposte nel modello di Bennet.
Fase di sviluppo della
sensibilità
interculturale
secondo il Modello
DMSI di Bennet
Espressioni
rivelatrici del livello
indicate nel modello
DMSI
Rifiuto
“Finché parliamo la
stessa lingua, non ci
sono problemi”.
delle differenze
Alcune frasi delle insegnanti
coinvolte nella ricerca
4
Situazioni di vita
scolastica emerse dai
video
Difesa
contro le differenze
Minimizzazione
delle differenze
Accettazione
delle differenze
Adattamento
alle differenze
“Possiamo insegnare
a queste persone un
sacco di cose”.
“E’ sicuramente più difficile
(lavorare con allievi stranieri),
giocano troppi fattori: stili di vita
e sistemi educativi troppo diversi.
Questi bambini hanno regole
diverse. Ad esempio con i
senegalesi c’è più apertura,
mentre con i nigeriani abbiamo
più problemi”. (Incontro di
restituzione della scuola I1a
del 16.06.2011).
In aula la bambina straniera
è seduta vicino alla maestra.
Questo sebbene faciliti il
lavoro individualizzato e di
supporto, allo stesso tempo,
rallenta un processo di
socializzazione e scambio
con
i
compagni.
(Videoregistrazione
del
03/12/2010,
momento
selezionato:
01.24.4801.26.10. Scuola I1a).
“I costumi e le
usanze sono diversi,
certo, ma quando tu
riesci a conoscerli
sono
belli
tanto
quanto i nostri”.
“I bambini cinesi non sono
fastidiosi, rispettano le regole e
non urlano.”
In
classe
l’insegnante
durante
la
spiegazione
utilizza un linguaggio che
non tiene conto delle
difficoltà linguistiche degli
alunni stranieri che faticano
a seguire il discorso.
(Videoregistrazione
del
22/02/2011,
momento
selezionato:
00.55.0000.56.31. Scuola P1a).
“A volte può essere
disorientante
comprendere che i
valori sono differenti
nelle varie culture e
che
questo
deve
essere rispettato, ma
ancora c’è il bisogno
di mantenere i propri
valori di fondo”.
I bambini stranieri hanno le loro
peculiarità individuali, così come
tutti gli altri alunni. Per favorire
l’integrazione siamo partiti dal
loro ambiente familiare, ad
esempio abbiamo cercato di
ricreare un po’ il loro mondo
(attraverso
canzoni,
parole,
ecc..)”. (Incontro di restituzione
della
scuola
I2b
del
13/12/2011 ).
I genitori di allievi stranieri
che
accompagnano
i
bambini in classe si
soffermano a parlare sia con
le insegnanti che con i
genitori
di
nazionalità
italiana.
“Io so che loro
stanno
realmente
provando, con fatica,
ad adattarsi al mio
modo di vivere, così
è giusto che io vada
incontro a loro”.
Noi incoraggiamo sempre il
pensiero divergente e la diversità,
non l’omologazione, perché la
diversità è una risorsa (Incontro
di restituzione della scuola P3b
del 08.09.2011 ).
In classe è appeso un
cartellone con l’alfabeto
cinese, che un bambino
utilizza per insegnare ai
compagni la sua lingua.
“I bambini rumeni vivono negli
spazi e negli ambienti degli adulti
e questo non è un bene.
Sicuramente sono stili di vita
differenti, ma non è giusto che i
bambini abbiano lo stesso modo di
vivere di un adulto”. (Incontro
di restituzione della scuola I1a
del 16.06.2011).
5
(Videoregistrazione
del
19/10/2010,
momento
selezionato:
00.49.0000.01.20. Scuola I1a)
Videoregistrazione
del
22/02/2011,
momento
selezionato:
00.53.0500.55.00. Scuola P1a)
Integrazione
delle differenze
“Le mie competenze
relative al processo
decisionale
sono
accresciute avendo
molteplici cornici di
riferimento”
“Abbiamo fatto un progetto di
due anni sull’intercultura, sugli
stili di vita, i giochi, le
filastrocche, ecc.. La diversità
culturale è comunque un grande
arricchimento!
Spesso
dalle
relazioni che si creano a scuola si
formano delle relazioni anche
fuori, quindi dall’integrazione
scolastica si passa all’integrazione
sociale”.
(Incontro
di
restituzione della scuola I1a
del 16/06/2011 ).
In
aula
l’insegnante
coinvolge ogni alunno nella
valutazione
del
lavoro
svolto.
Dedicando
a
ciascuno (a prescindere
dalla nazionalità) uno spazio
di
confronto
e
di
valorizzazione delle abilità
raggiunte.
Videoregistrazione
del
03/12/2010,
momento
selezionato:
01.02.0001.04.22. Scuola I1a).
Analizzando sia i video che le affermazioni dei docenti coinvolti nella ricerca, si evince che,
nonostante si ravvisino delle criticità da affrontare e cercare di superare, l’atteggiamento e
l’orientamento didattico osservato e analizzato si muove nella direzione dell’integrazione. Va
tuttavia evidenziato che le competenze didattiche interculturali rilevate si collocano ancora ad un
livello iniziale; ciò è dovuto prevalentemente alla scarsità di occasioni di confronto con un
fenomeno (quello della diversità culturale) recente, poco omogeneo (che riguarda solo poche
scuole) e numericamente esiguo. Pertanto, emerge chiaramente l’importanza, sottolineata dalle
stesse insegnanti, di una formazione mirata che per un verso valorizzi le buone prassi che via via si
stanno consolidando ed, al contempo, preveda un arricchimento del repertorio di competenze
posseduto. Le insegnanti infatti, in alcune occasioni hanno espressamente richiesto momenti di
formazione, di supporto didattico, di lavoro di équipe e di rete anche attraverso il confronto con
professionisti più esperti appartenenti ad altre realtà territoriali. Nella tabella che segue verranno
sintetizzate alcune possibili ipotesi di attività di formazione.
Bisogni formativi
Ipotesi di formazione
Maggiore apertura verso la diversità.
Incontri con associazioni
l’integrazione interculturale
Maggiori capacità di progettare interventi didattici
interculturali.
Incontri con docenti e ricercatori che da anni
lavorano in classi con un elevato numero di
alunni con cittadinanza non italiana.
Maggiori competenze di valutazione dei processi
interculturali degli alunni.
Realizzazione di un portfolio.
Perfezionare le proprie capacità auto valutative.
Videoregistrazione e analisi critica e riflessiva
dei filmati mediante momenti di confronto.
Acquisire capacità di lavorare in èquipe.
Simulazioni e giochi di ruolo.
Migliorare i rapporti scuola-famiglia.
Formazione sull’ascolto empatico/ attivo e sulle
competenze relazionali.
6
che
valorizzano
Nella prospettiva di sviluppare percorsi che nascano dal coinvolgimento dei professionisti a partire
dalle loro esperienze lavorative quotidiane, la ricerca mette a disposizione un ampio materiale video
che potrebbe essere utilizzato sia nella formazione iniziale, sia in quella in servizio, per promuovere
attività riflessive utili a sviluppare competenze didattiche interculturali.
Di seguito, quindi, a titolo esemplificativo vengono ripresi alcuni episodi emblematici evidenziati
dalla ricerca, indicandone il contenuto didattico ed il possibile utilizzo formativo.
È interessante notare che dalle videoregistrazioni della stessa scuola sono tratti sia il primo episodio
– che evidenzia una percezione della diversità come ostacolo, da normalizzare- sia l’ultimo – che
evidenzia, invece, una rilevante attenzione al punto di vista di ciascun alunno-; a riprova
dell’ambivalenza, evidenziata come sfondo in cui si collocano le competenze didattiche ed
interculturali nelle scuole che hanno partecipato alla ricerca e presente, probabilmente,
ogniqualvolta ci si confronta con le diversità (culturali). La formazione, quindi, è impegnata
anzitutto a rispondere al bisogno di saper cogliere e gestire l’ambivalenza dell’azione didattica,
tipicamente impegnata su dilemmi quali ‘autorità/libertà’, ‘insegnare/apprendere’ ecc., che il
confronto con le diversità evidenzia ed enfatizza.
Le regole sono uguali per tutti!
Tematica emergente
Possibile utilizzo formativo
(P1a- registrazione del
26/10/2010
da 00.19.24 a 00.20.44)
All’interno di una classe di Scuola
Primaria è presente un alunno, con
evidenti difficoltà, il quale cerca di
attirare l’attenzione su di sé mettendo
in atto comportamenti disfunzionali.
rifiuta di fare ciò che gli viene detto
dall’insegnante, piange e, in generale,
disturba lo svolgimento della lezione.
L’analisi dei ricercatori evidenzia
che la prossemica dell’intervento
didattico indica vicinanza ed
attenzione alla soggettività ma la
comunicazione verbale mira non
tanto ad aiutarlo per superare i
suoi problemi di attenzione ma
a riportarlo alla
L’insegnante gli si avvicina, sedendosi soprattutto
accanto a lui con un atteggiamento disciplina della classe, con l’intento
affettuoso; gli parla e tra l’altro ad un di ristabilirne l’equilibrio. In sintesi,
certo punto, afferma: “tu fai parte di
la diversità dei comportamenti è
un gruppo, vero? Nel gruppo per stare
bene, tutti devono rispettare le stesse considerata come un ostacolo al
regole!”. Poi si allontana ed aspetta normale lavoro con la classe
Il caso può essere utile per:
-
-
-
che l’allievo si rimetta a lavorare.
-
7
Comprendere la difficoltà nella
gestione
di
situazioni
complesse e problematiche;
Studiare
le
dinamiche
interpersonali, relazionali e
comunicative sia fra allievo e
insegnante che fra allievo –
allievo;
Analizzare l’importanza delle
regole in un contesto didattico;
Ragionare
sulle
strategie
didattiche individualizzate e
finalizzate a promuovere le
potenzialità di ogni allievo.
Valutare
l’efficacia
degli
interventi
individualizzati
rispetto alla finalità dell’azione
didattica scelta dal docente
Un lungo saluto
Tematica emergente
Possibile utilizzo formativo
I1a - registrazione del
19/10/2010
da 00.47.00 a 00.49.00
Nel momento dell’accoglienza in una
Scuola
dell’Infanzia,
un
padre
accompagna la figlia in aula e la prende
sulle ginocchia: appare molto triste e
non riesce ad andare via. La situazione
si protrae per lungo tempo ed entrambi
sono tristi e poco interessati a quanto
avviene in classe.
La bambina si richiude in se stessa
quando è con i compagni di scuola
e si rifugia tra le braccia del padre
quando è presente. Per le
insegnanti è difficile intervenire
perché il problema è attribuito ai
conflitti
familiari
che
pesantemente
L’insegnante riferisce di conflitti interferiscono
famigliari e che la bambina “resterà di anche sulle dinamiche relazionali
cattivo umore per tutta la mattina e scolastiche, quindi le difficoltà
non parteciperà ad alcuna attività”;
delle e con le famiglie sono
infine commenta: “Avrei dovuto trovare
considerate
“elemento
di
una scusa al genitore …”
disturbo e di interferenza” allo
svolgimento dell’azione didattica.
Il giardino simbolico
Il caso può essere utile per:
-
-
-
-
Comprendere le molteplici
difficoltà che caratterizzano il
rapporto scuola-famiglia;
Individuare
le
modalità
comunicative più efficaci per
affrontare con il genitore
eventuali difficoltà dell’alunno;
Soffermarsi sulle strategie di
miglioramento del rapporto fra
docenti e genitori di alunni
stranieri.
Valutare il grado di interazione
e collaborazione esistente fra
la scuola e le famiglie e
individuare
modalità
di
miglioramento.
Tematica emergente
Possibile utilizzo formativo
Un esercizio di logico-matematica che
richiede buone capacità di astrazione è
stato ricondotto all’esperienza diretta
dei bambini per agevolare la
comprensione dei concetti topologici. Il
fatto che gli obiettivi di apprendimento
siano collegati ai momenti ludici e siano
ricollegabili all’esperienza diretta di
ciascuno, rende più piacevole l’attività
ed aumenta i livelli di attenzione. In
sintesi, l’episodio evidenzia: Attenzione
alla soggettività / valorizzazione
dell’esperienza
Il caso può essere utile per:
(P3b - registrazione del
27/10/2010
da 00.31.30 a 00.36.30)
L’insegnante di una scuola primaria
alla lavagna dice: “Disegniamo i
giardini di Via Montello, quelli dove
andate a giocare voi e anch’io da
piccola”.
L’attività suscita entusiasmo e
partecipazione degli alunni che
suggeriscono tutti gli elementi da
inserire nella mappa collegandoli
spontaneamente alla loro esperienza
di gioco (l’altalena, lo scivolo, ecc.).
L’insegnante aggiunge alla mappa ciò
che è sfuggito alla descrizione dei
bambini (le strade, le aiuole). Poi, ogni
bambino è chiamato a tracciare un
percorso ideale nella mappa-giardino.
8
-
-
-
Progettare interventi didattici
finalizzati a valorizzare le
esperienze personali;
Favorire la partecipazione sia
individuale che di gruppo nella
risoluzione di un problema.
Valutare in che misura
l’attività didattica attuata
risponda
all’esigenza
di
coinvolgere in modo attivo
tutti gli alunni.
Mani cantanti
Tematica emergente
Possibile utilizzo formativo
(I2b - registrazione del
14/10/2010
da 01.22.40 a 01.28.80)
Nell’ambito
di
una
Scuola
dell’Infanzia, si sta svolgendo
un’attività di canto, l’insegnante
replica con le mani del bambino il
ritmo della canzone che viene
cantata da tutti gli altri.
L’insegnante coinvolge il bambino Il caso può essere utile per:
disabile in un’attività di gruppo,
sostituendo la parola con i gesti. - Evidenziare come l’utilizzo
della comunicazione non
per aiutarlo a seguire il lavoro
verbale possa essere di aiuto
comune. La prossemica supporta
nella relazione con allievi di
le attività individualizzate mirate a
cultura diversa che hanno
favorire l’integrazione anche nel
difficoltà nella comprensione
della lingua italiana;
caso di un bambino con una
Soffermarsi sulla rilevanza
gravissima disabilità. L’episodio
della prossemica e della
evidenzia
una
attenzione
gestualità nel lavoro con allievi
contestualizzata alla soggettività
particolarmente problematici.
-
Ti sembra giusto
fare questo?
(I1a - registrazione del
03/12/2010
da 00.04.34 a 00.05.00)
In una sezione di Scuola
dell’Infanzia un bambino ha
picchiato un compagno. Le
insegnanti affrontano la
situazione problematica con
i bambini, ascoltano la loro
versione e poi chiedono: “Ti
sembra
giusto
fare
questo?”.
Riflettere sull’importanza della
comunicazione non verbale e
su come questa incida nella
relazione educativa.
Tematica emergente
Possibile utilizzo formativo
Le insegnanti ascoltano il punto di vista dei
bambini e cercano di comprendere insieme a
loro le motivazioni dei comportamenti attivati.
Non si limitano solo a sanzionarli ed a ribadire le
regole disciplinari ma suggeriscono modalità
diverse di relazione e di gestione dei conflitti.
Sono attente non solo ai saperi ma al saper
essere di ciascuno. Curano gli aspetti relazionali
e propongono alternative comportamentali più
efficaci e corrette di quelle attivate dai bambini.
In particolare aiutano i bambini a sostituire
l’agito violento con l’espressione verbale, ossia,
ad esprimere a parole ed in modo corretto il
conflitto anziché rispondere con l’aggressione
diretta. Emerge, quindi, la complessità del
ruolo docente che non si limiti all’esercizio di
un’autorità ascritta.
Il caso può essere utile per:
9
-
-
-
ragionare sui metodi e le
strategie di gestione dei
conflitti
e
delle
dinamiche di gruppo;
riflettere sulle molteplici
variabili che incidono
nella
relazione
educativa:
emotive,
contestuali, personali,
culturali e sociali.
Valutare la qualità delle
dinamiche
relazionali
fra:
o docenti;
o docenti - allievi;
o allievi – allievi.
4.3. Uno sguardo sulla ricerca1
La Grounded Theory è un “metodo generale”2 di ricerca, per lo più utilizzato in ambito qualitativo
come strumento per la costruzione di teorie e di modelli interpretativi fondati sui dati riguardanti
processi psico-sociali. La GT prevede la trattazione abduttiva dei dati e l’induzione delle categorie
interpretative. È un metodo che prevede contemporaneamente la raccolta e l’analisi dei dati. Per
quel che riguarda nello specifico l’analisi dei dati, la GT suggerisce dei passaggi metodologici
chiari: una volta raccolti i dati, questi sono trattati come testi e sottoposti a codifiche, etichettature e
concettualizzazioni. Da queste etichette si costruiscono categorie che, con il procedere della raccolta
e dell’analisi dei dati, si arricchiscono di proprietà e significato. Nel proseguire dell’analisi dei dati,
le categorie, cioè insiemi di concettualizzazioni e di etichette, sono poste in dialogo con le altre
categorie costruite dai dati. Si cerca così di raggiungere un livello di astrazione tale da permettere la
costruzione di una vera e propria teoria, e quindi la comprensione della relazione tra le diverse
categorie concettuali costruite.
Kathy Charmaz3 ha riformulato la definizione di GT come “metodo generale” sostenendo che, nella
pratica di ricerca, la GT sarebbe un insieme di metodi o linee guida per raccogliere, analizzare dati
qualitativi e costruire teorie “grounded”, radicate nei dati. Non si tratta, quindi, di un insieme di
regole rigide, ma piuttosto di un insieme di percorsi metodici che permettono al ricercatore di essere
creativo ed euristico, senza che ciò diventi sinonimo di improvvisato o estemporaneo. È secondo
tale accezione che abbiamo utilizzato la GT nell’analisi dei dati di ricerca. La GT come un metodo
di ricerca complesso4 ha suggerito non tanto regole standardizzate per la raccolta e l’analisi dei dati,
quanto dei principi cui ispirarsi per fare in modo che dall’analisi emergessero concettualizzazioni e
modelli teorici in grado di spiegare il fenomeno studiato. È importante, quindi, porre l’accento sul
fatto che la ricerca qui discussa non è una Grounded Theory, ma una ricerca qualitativa che ha
preso, della GT, strategie riconoscibili e codificate di analisi dei dati.
4.3.1 Dati raccolti
Il focus della ricerca era di sondare e comprendere le competenze interculturali degli insegnanti,
partendo dalla loro attività didattica quotidiana e recuperando i loro pensieri sulla pratica. I dati
raccolti, come descritto nel secondo capitolo, si riferiscono a quattro classi di scuola primaria e due
sezioni di scuola dell’infanzia della provincia di Sassari.
Le attività didattiche sono state videoregistrate: si è scelto di condurre tre videoregistrazioni per
ogni scuola. La prima raccolta dati è avvenuta in data concordata con gli insegnanti; la seconda in
data non concordata e la terza di nuovo in data concordata.
Fanno parte dei dati raccolti, inoltre, materiali che possiamo definire extant texts, ovverosia
“documenti vari che il ricercatore non ha modo di modificare”5. Gli extant texts non sono veri e
propri dati, ma una fonte supplementare di informazioni utili, che può far emergere le discrepanze
tra ciò che viene detto di fare e ciò che si fa realmente, in relazione alla capacità riflessiva dei
docenti che hanno partecipato alla ricerca. Abbiamo, infatti, trattato le videoregistrazioni come
fonte primaria di dati ricchi per far emergere soprattutto le interpretazioni e i modi di pensare e dire
le pratiche didattiche. Questi documenti sono una fonte secondaria, ma non per questo meno
importante, che si sono rivelati utili per riflettere su come i docenti comunicano le pratiche, ciò che
1
di Luca Ghirotto
B. Glaser, A. Strauss, The discovery of Grounded Theory: strategies for qualitative research, Aldine Publishing
Company, Chicago, 1967. Edizione italiana: La scoperta della Grounded Theory. Strategie per la ricerca qualitativa.
Armando, Roma, 2009. A cura di Antonio Strati, traduzione di Massimiliano Tarozzi.
3
K. Charmaz, Constructing Grounded Theory, Sage, London, 2006.
4
Ibidem.
K. Charmaz, Grounded Theory. Objectivist and Constructivist Methods, in N. K. Denzin e Y.S. Lincoln (eds.),
Handbook of qualitative research, Sage, Thousand Oaks, 2000.
5
K. Charmaz, Constructing Grounded Theory, Sage, London, 2006, p. 35.
2
10
si fa. Questi documenti non possono essere considerati come oggettivi o riferiti a fatti oggettivi. La
comparazione tra il dichiarato e l’agito ha mostrato la discrepanza che sussiste, consegnando ai
risultati della ricerca una maggiore profondità interpretativa, proprio per il fatto di aver tenuto
dentro la pratica didattica e la riflessione dei docenti sulla pratica. Questi dati costruiti dagli
insegnanti sono stati in seguito commentati dai ricercatori che si sono soffermati su questi report
secondo il criterio della significatività: quali momenti di didattica sono stati pensati dai docenti
come momenti positivi? Quali quelli negativi? Quali relazioni tra gli alunni i docenti hanno
evidenziato? Perché? Queste interpretazioni sono state poi condivise con ciascun docente in incontri
di restituzione.
4.3.2. L’utilizzo di NVivo
La scelta metodologica di utilizzare un CAQDAS (Computer-Assisted Qualitative Data Analysis
Software), cioè un software di analisi qualitativa dei dati che permette ai ricercatori di essere
assistiti durante tutti i passaggi, non è una scelta neutra6. È diventata prassi diffusa l’utilizzo di
software in grado di gestire una grande mole di dati. Da ormai molto tempo i ricercatori quantitativi
utilizzano strumenti computerizzati per creare matrici e costruire correlazioni di rilievo statistico.
Un software per l’analisi qualitativa dei dati potrebbe apparire come un ossimoro: uno strumento
standardizzato, che compie operazioni standardizzate, ma che servirebbe per far emergere
significati e concettualità. Un software va oltre a quello che è un mero supporto tecnico di recupero
dei dati o di gestione dei dati. Utilizzare un software significa, prima di tutto, costruire i dati per
un’analisi di un certo tipo. È importante ricordare che nessun software, per dati qualitativi o
quantitativi che siano, analizza di per sé, ma sostiene un processo di analisi rigoroso che non deve
prestare il fianco a facili procedure computerizzate.
Un software, secondo una definizione molto generica, è l’insieme di istruzioni date a un calcolatore.
Questo significa che il calcolatore può fare operazioni dal numero finito, secondo precisi comandi. I
software, quindi, non possono dare altro che una forma, finita, alle informazioni. I software non
pensano, non creano conoscenza. Sono, piuttosto, prodotti della conoscenza umana che permettono
la gestione dei contenuti della conoscenza stessa. Il software è una sequenza logicamente ordinata
di operazioni che produce soluzioni per una determinata classe di problemi. Un CAQDAS però va
oltre a quello che può essere un aiuto meramente tecnico di recupero o di gestione dati. Scegliere un
CAQDAS è definire in partenza un tipo di analisi: poiché il software per l’analisi dei dati dà un
forma, costruisce di fatto i presupposti per la futura analisi. All’inizio, questo “dare una forma” è, di
fatto, un mettere in ordine. Man mano che si procede con l’utilizzo del software, analizzare i dati
rischia di diventare un lavoro automatico, senza che si giunga a un apporto significativo per una
maggiore comprensione del fenomeno da studiare. Poco dista questo modo di lavorare dalle analisi
quantitative di altri ricercatori.
I dati che i software possono analizzare per le ricerche scientifiche sono di due livelli. Il primo
livello è quello denotativo, in cui i dati sono numeri e variabili, o comunque dati pensati
“oggettivamente” che si riferiscono a una data realtà. In questo caso il dato si riferisce a una sola
cosa, concetto o idea, e non esiste interpretazione o condivisione di significati. In altre parole, il
livello è denotativo quando il significante corrisponde, secondo l’epistemologia di riferimento del
ricercatore, univocamente a un significato. L’uso del linguaggio in questo caso è freddo. Il secondo
livello di analisi dei dati è quello connotativo: i dati sono pensati come densi di significati e,
soprattutto, il ricercatore vuole mantenere nell’analisi un linguaggio che partecipa del contesto e dei
diversi significati che vi sono legati. È a questo livello che l’analisi dei dati qui presentata si situa:
in tal senso l’utilizzo del software non rappresenta una scelta neutra, come ricordato in precedenza,
poiché comporta una riflessione da parte dei ricercatori. Ordinare i dati, che sono significati, che
vivono della loro natura contestuale, è già di per sé analisi.
6
U. Kelle, Computer-Assisted Qualitative Data Analysis, in C. Seale, G. Gobo, J. F. Gubrium e D. Silverman (eds.),
Qualitative Research Practice, Sage, London, 2004.
11
Per l’analisi dei dati sostenuta con il software è stato scelto NVivo. Che cosa è NVivo?
E’ uno dei CAQDAS più utilizzati e flessibili, poiché aiuta a gestire grandi quantità di dati con
un’interfaccia semplice e modalità di utilizzo variegate. Ma perché NVivo? La scelta di questo
software è stata dettata dalla coerenza della sua hidden logic7, cioè la logica nascosta con cui è stato
pensato e costruito il software, in relazione con la scelta del gruppo di ricerca di analizzare i dati
attraverso le strategie della GT8. NVivo, infatti, nasce proprio come software per l’analisi dei dati
secondo una prospettiva GT9 e, come ha mostrato Silvana di Gregorio10, molteplici sono tuttora le
connessioni tra NVivo e la GT. Si possono, con NVivo, mettere in pratica alcune indicazioni sul
fare analisi GT. Per esempio, il processo di fracturing the data11 può essere implementato attraverso
il nominare stringhe di testo, pezzi di video, brani di audio interviste, immagini e così cercare di
fratturare i dati in etichette (o nodes). Dalle etichette si può passare a raggrupparle in categorie che
possano includere non tanto i dati in sé quanto i significati che essi portano. In questo modo “la
codifica porta il ricercatore ad un livello più alto che quello empirico” 12. Solo, però, mantenendo il
livello del significato in un ambito connotativo, cioè facendo in modo che il coding che NVivo
permette non sia fine a se stesso, ma nell’ottica di un theoretical coding e non solo di
un’indicizzazione. Dato che “la codifica costantemente stimola le idee”13, chi analizza può scrivere
e riscrivere descrizioni, memo, annotazioni che possono essere recuperati attraverso le tante
tipologie di linking che NVivo possiede. Anche Charmaz sostiene che NVivo può essere di una
certa utilità: se “la codifica significa categorizzare segmenti di dati con un breve nome che
simultaneamente riassuma e tenga conto di ciascuna parte di dati”14 utilizzare i nodes e nominare
sia parola per parola, sia riga per riga, mettere in relazione categorie e sub-categorie15, è codificare
secondo le potenzialità di NVivo. Naturalmente è necessario a un certo punto liberarsi dall’utilizzo
di NVivo come strumento di analisi e cercare di utilizzarlo come programma per una
modellizzazione visuale. Più i ricercatori si avvicinano alla concettualizzazione, secondo la logica
induttiva, più sentono l’esigenza di non permettere alle procedure del software di interferire con il
lavoro di pensiero e di concetto. Ma è pur sempre vero che se il ricercatore non è in grado di
recuperare i passi che lo hanno portato a concettualizzare, non può un’analisi rigorosa dirsi
grounded. Con NVivo il ricercatore riesce a provare in modo veloce che la tale idea è venuta fuori
dall’analisi dei tali passaggi di testo, o dalle tali categorie che sono composte di quei nodi
concettuali.
L’utilizzo del software, come già detto, deve essere pensato e intenzionale, deve essere critico ed è
necessario che, mentre le concettualizzazioni e le astrazioni dai dati si fanno di volta in volta più
ampie, il ricercatore sappia usare il CAQDAS come strumento per definire report, cioè per
l’esposizione del percorso fatto per arrivare alle categorie principali. È bene ricordare, però, che il
software è uno strumento, molto utile per la gestione di tanti dati e di grande aiuto al ricercatore nel
tenere a mente le connessioni e le varie proprietà delle categorie, ma non ha la capacità di essere di
per sé uno strumento di astrazione.
T. Richards, An intellectual history of NUD*IST and NVivo, in “International Journal of Social Research
Methodology”, 5, 2002, pp. 199-214.
8
Cfr. P. Bazeley, L. Richards, The NVivo Qualitative Project Book. Sage, London, 2000.
9
J. D. Bringer, L. H. Johnston, C. H. Brackenridge, Using Computer-Assisted Qualitative Data Analysis Software to
Develop a Grounded Theory Project, in “Field Methods”, 18, 2006, pp. 245-266.
7
10
S. Di Gregorio, Teaching Grounded Theory with QSR NVivo, in “Qualitative Research Journal”, special
issue, 2003, da www.latrobe.edu.au/aqr.
11
B. Glaser, Theoretical Sensitivity, The Sociology Press, Mill Valley, CA, 1978.
Ivi, p. 55, traduzione in italiano nostra.
13
Ivi, p. 58, traduzione in italiano nostra.
14
K. Charmaz, Constructing Grounded Theory, Sage, London, 2006, p. 43.
15
A. Strauss, J. Corbin, Basics of Qualitative Research: Grounded Theory. Procedures and Techniques, Sage, Newbury
Park, CA, 1998.
12
12
Secondo Charmaz16, sussistono tre fasi principali di codifica nella GT: la prima è la fase iniziale
che comporta i processi di naming o di indexing, detta codifica aperta. La seconda fase è la codifica
focalizzata, durante la quale si selezionano le etichette e i concetti maggiormente densi, e si
abbandonano eventualmente quelle linee che la codifica aperta suggeriva di approfondire, ma che la
codifica focalizzata ha dimostrato essere secondarie (o perché nuove idee sono emerse durante la
codifica o perché hanno perso, a confronto con altri dati, il carattere di significatività). Esiste un
terzo passaggio: è la codifica teorica17, il momento concettualmente più alto, i cui obiettivi sono
quelli di mettere a punto le categorie anche attraverso un’operazione sia di gerarchizzazione che di
approfondimento. Tra queste, dovrebbe emergere la categoria centrale (core category), lo snodo
principale della teoria, che spiega il processo analizzato e serve per integrare e delimitare la teoria
generale.
4.3.3. Validità della ricerca
Per discutere sulla validità di una ricerca qualitativa, è necessario dichiarare il senso con cui si
utilizza il termine. In questo contesto ha, infatti, un valore e un significato differente che se fosse
utilizzato per la ricerca quantitativa. Per validità s’intende quell'insieme di procedure messe in atto
da un gruppo di ricerca per garantire la coerenza interna. Secondo Janice Morse et al.18 è tempo di
riconsiderare l’importanza delle strategie di verifica utilizzati dal ricercatore, o dal gruppo dei
ricercatori, mentre si sta svolgendo la ricerca. Queste strategie devono poter raggiungere e
soddisfare i criteri di affidabilità e validità. La sola presenza di un revisore esterno, dell’audit trail,
non può essere, quindi, garanzia di validità di una ricerca qualitativa. Per garantire la validità come
rigore l’intero processo di ricerca qualitativa deve essere costruito coerentemente con la
metodologia di riferimento, ed è necessario che le strategie di analisi dei dati siano chiare e
condivise.
Grazie a questa idea di validità, garantita in itinere si è in grado di conferire ai risultati di ricerca la
caratteristica affidabilità. La ricerca qualitativa è un processo iterativo, non lineare, in cui i dati sono
sistematicamente controllati e il lavoro concettuale di analisi e il processo di interpretazione sono
monitorati e confermati costantemente.
In questo senso, la scelta di utilizzare un software per l’analisi dei dati è stata in sintonia con la
costruzione della validità interna, qualitativamente intesa. NVivo, in questo caso, ha permesso al
gruppo di ricerca di recuperare, durante tutto il processo di analisi, i dati raccolti senza perdere di
vista l’intero disegno di ricerca, l’obiettivo verso cui si stava andando. La caratteristica iterativa
della ricerca qualitativa è in linea con le possibilità d’azione analitiche permesse dal software.
NVivo ha funzionato per il gruppo di ricerca come una grande scrivania digitale dove tutto era
ordinato, a portata di mano, e, soprattutto, dove lo sguardo di ciascuno poteva recuperare la sinossi
del lavoro di ricerca. Con questa attenzione al dato singolo e, contemporaneamente, all’insieme dei
dati raccolti, il software aumenta la coerenza interna dell’analisi e sostiene la capacità dei ricercatori
di fare connessioni, costruire relazioni tra i dati, tra le categorie e le loro proprietà.
Concludendo, NVivo favorisce una “modalità visiva” di pensiero sui dati e sui concetti: produrre
modelli, schemi, diagrammi e mappe concettuali è un modo per comprendere da un punto di vista
più ampio quali categorie sono maggiormente significative, quali tematiche sono più dense, quali
relazioni tra i concetti emergono. Certo, l’efficacia procedurale di questi dispositivi grafici non
sostituisce la coerenza e il rigore del ricercatore nella formulazione dei risultati: è necessario
l’esercizio di un pensiero critico e di un monitoraggio del processo di analisi molto stringente,
perché, come detto, non è il software che analizza i dati. È necessario, in altri termini, l’attenzione
16
K. Charmaz, op. cit.
Ibidem.
B. Glaser, Theoretical Sensitivity, The Sociology Press, Mill Valley, CA, 1978.
18
J. Morse, M. Barrett, M. Mayan, K. Olson, J. Spiers, Verification strategies for establishing reliability and validity in
qualitative research, in “International Journal of Qualitative Methods”, 1(2), Article 2, 2002, da
www.ualberta.ca/~ijqm.
17
13
costante a non chiudere l’analisi dei dati entro i limiti ammessi dal mezzo19. Nell’assicurare la
validità di una ricerca qualitativa, l’obiettivo non è più quello di eliminare la soggettività del
ricercatore20, in quanto la conoscenza e la scienza sono pratiche intersoggettive e i risultati sono
costruiti nella relazione tra ricercatori e partecipanti. La validità è una questione di chiarezza e di
rigore nel costruire il percorso attraverso il quale raggiungere i risultati, cosicché un esterno possa
comprendere le ragioni per le quali i risultati di una ricerca sono ragionevolmente validi.
Vi è poi un limite procedurale da rilevare: i risultati di ricerca qui discussi in relazione all’analisi
dei dati non derivano dall’implementazione della GT. Si è trattato di un impianto qualitativo di
ricerca che voleva recuperare dal basso, dallo studio delle esperienze didattiche degli insegnanti, i
termini del discorso sulle competenze interculturali. Come abbiamo visto, l’analisi dei dati ha
seguito l’impostazione suggerita dalla GT: le modalità di analisi dei dati della GT permettono ai
ricercatori di strutturare secondo una logica induttiva l’analisi dei dati. Per questo motivo, cioè per
il fatto che la GT sia stata utilizzata come ispirazione metodologica per l’analisi dei dati e non come
metodo generale per l’intero disegno di ricerca, ci è parso onesto rilevarlo come limite21.
19
M. Tarozzi, op. cit.
A. Giorgi, The Question of Validity in Qualitative Research, in “Journal of Phenomenological Psychology”, 33, 2002.
21
E. Welsh, Dealing with Data: Using NVivo in the Qualitative Data Analysis Process, in “Forum Qualitative
Sozialforschung/Forum: Qualitative Social Research”, 3(2), 2002, da www.qualitative-research.net/fqs/fqseng.htm.
20
14