Oltre la dicotomia, al di là dell’integrazione. Riflessioni a margine di alcuni percorsi di ricerca Sintesi intervento a cura di Mariella Pacifico ∗ A distanza di più di quindici anni dallo storico convegno su La sfida dei metodi qualitativi il quadro della ricerca sociale è cambiato, e non di poco. Le svolte teoriche del pensiero contemporaneo non solo hanno sollecitato uno sguardo plurale sulla realtà sociale, ma hanno avuto un impatto anche nel dibattito metodologico stimolando nuove sensibilità verso il mondo empirico: come comprendere la realtà, come produrre la conoscenza e come dar conto di tale produzione. Si è assistito, per così dire, ad una rivoluzione metodologica (Tom e Lyn Richards 1991) che incorpora la consapevolezza della natura interpretativa della conoscenza e la necessità di porre attenzione a come tradurre nella pratica una tale tensione. Si dibatte sul ruolo della teoria e si sollevano non poche problematiche sulla validità e qualità dei risultati di ricerca (tra i tanti: Hammersley 2008; Miles e Huberman 1994, 2002; Wolcott 1994, 2005; Seale 2004). Nello spazio di oltre quindici anni, il campo della ricerca qualitativa è sempre più eterogeneo. Non pochi studiosi hanno trovato modo di capitalizzare le nuove tensioni teoriche, dimenandosi tra vecchi e nuovi metodi, dando spazio alla soggettività e alla dimensione della riflessività e, per questo, sono una testimonianza di diversificate strategie di ricerca (la grounded theory, lo studio dei casi, l’approccio biografico, etnografico, etc.). Così come diverse sono le tecniche di acquisizione dei dati: l’intervista qualitativa, l’osservazione partecipante, i focus group, le video-riproduzioni, etc. Gli stessi sviluppi tecnologici hanno arricchito ma anche complessificato il lavoro di ricerca; hanno ispirato nuovi metodi di collezione dei dati e, nello stesso tempo, hanno indotto rilevanti cambiamenti non solo nel modo di condurre la ricerca ma anche nel modo di produrre analisi e diffondere le informazioni. E, tuttavia, sono proprio queste molteplici opzioni metodologiche che mettono in campo altri aspetti, che chiamano in causa e ci interrogano sulle trasformazioni del linguaggio della ricerca, sollecitando una più accurata attenzione verso le procedure di analisi. Se è vero che la diversità delle prospettive teoriche costituisce una risorsa è altrettanto vero che la frammentazione nelle pratiche di ricerca vanifica il vantaggio che ne può derivare da queste risorse. Il quadro che emerge dalla letteratura sembra rispecchiare una rottura nella comunicazione dovuta non solo alla molteplicità dei linguaggi - molteplicità degli approcci teorici e metodologici, con proprie terminologie specialistiche che rendono difficile una reciproca comprensione - ma anche assunzioni totalmente differenti sulla natura delle questioni che si mettono in campo: contrastanti concezioni della qualità; contrapposte distinzioni delle tecniche di osservazione; differenti modi di pensare alla ricerca qualitativa tra coloro che si muovono in ambiti disciplinari differenti; confuse conoscenze relativamente alle funzioni dei software dedicati all’analisi dei dati qualitativi, etc. Penso che, oggi più che mai, si subisca e si avverta il peso dell’indeterminatezza dei quadri teorici di riferimento: rispetto al periodo della crisi delle rappresentazioni e dei momenti metodologici controversi e frammentati degli anni ottanta e novanta (Denzin 2005) si è amplificata la dimensione dell’indistinto (Geertz 1980), la metodologia della ricerca sembra mostrare il suo lato più ‘indisciplinato’. Si ha la percezione che si produca un corto circuito tra i vari linguaggi (non tanto per la molteplicità degli approcci teorici, quanto per il corredo di termini specialistici e di asserzioni sulle questioni messe in campo sotto l’unica etichetta di ricerca qualitativa) che alimenta la percezione della debolezza della ricerca all'esterno e all'interno del nostro (in)disciplinare quadro metodologico. La percezione è che si vivano paradossi, tra l’altro non nuovi alla disciplina: da un lato si esalta il pluralismo, la varietà delle strategie analitiche grazie all’esplosione delle nuove tecniche e procedure di raccolta dei dati qualitativi, dall’altro, si tace sul valore euristico di alcune procedure, assistendo nei fatti ad una ricostruzione acritica degli ‘oggetti’ sottoposti ad analisi (si pensi agli usi e agli abusi della triangolazione, dei mixed methods…). L’immagine che ne deriva sembra assimilarsi a quella di un alveare dove il ronzio è rappresentato dall’emergere delle diverse tecniche pronte ad occupare le cellette dove si annidano le differenti prospettive teoriche. L’impressione è che ci soffermiamo più a pensare con quali tecniche analizzare i fenomeni, disperdendo uno sguardo critico sulla natura di questi ultimi e distogliendo lo sguardo su cosa e come produciamo i nostri significati. In questo scenario si affacciano gli interrogativi sull’uso degli strumenti di lavoro e più in generale, sui prodotti delle ricerche. L’enfasi, nei discorsi ricorrenti, sui software più adeguati a soddisfare un orientamento teorico piuttosto che un altro (NVivo? Atlas.ti? Aquad?...) sembra spostare l’attenzione su un piano rispetto al quale la riflessione critica pare destinata a perdere la sua funzione. Sembra che si celebri il programma più innovativo piuttosto che assumerlo come un strumento al servizio del lavoro di ricerca. Più in generale, sembra che si disperda una riflessione su ciò che attiene al campo della metodologia e ciò che è puro prodotto di una tecnologia, seppure utile. Parto dalla constatazione che manca ancora una massa critica di resoconti di ricerca che, oltre a trasmettere conoscenza, metta in campo il processo della sua produzione. Probabilmente tacitiamo ancora sulla necessità di un protocollo di lavoro condiviso che si affidi, questa volta senza diffidenze e/o pregiudizi, a strumenti capaci di rendere visibile il lavoro di analisi, per condividere conoscenze, saperi e pratiche. Le riflessioni che sono derivate dalle diverse svolte teoriche (linguistic turn ma non solo) ci hanno insegnato che l’oggetto di studio non esiste indipendentemente dal nostro operare, ovvero dalla definizione del progetto di analisi, dagli strumenti utilizzati, dalle decisioni e dalle scelte che si praticano, attraverso le teorie e i modelli circolanti, attraverso i discorsi che si mettono in campo, nei contesti e nell’arco di tempo in cui si concretizzano. In questa prospettiva, ciò che emerge come rilevante è il processo, ovvero l’insieme delle pratiche che regolano il lavoro di ricerca, le procedure che vengono messe in campo, il percorso autoriflessivo attraverso cui si producono i significati, in breve come si perviene ai risultati: i testi di un’intervista, per esemplificare, sono coaguli di schemi cognitivi e stereotipi sociali che necessitano di un processo di lavoro per essere decodificati; i memo o i diversi appunti che aiutano a contestualizzare il contenuto dei resoconti sono tutti elementi che non hanno a che fare con le questioni teoriche ma con il processo di lavoro e, come tali, sono parte costitutiva del processo conoscitivo, hanno la funzione di far trasparire la soggettività di ogni trascrizione della realtà ma anche di rendere esplicita la concatenazione dei ragionamenti prodotti nel faticoso processo di concettualizzazione e formazione degli schemi teoretici. Non si vuole qui negare che una tale pratica sia assente nei preziosi prodotti di ricerca di cui oggi godiamo ma penso che non si avvantaggia la metodologia della ricerca se non si favorisce una piena trasparenza del processo di analisi ovvero un protocollo di lavoro che dia visibilità al come le tecniche in genere si coniugano con le preoccupazioni di natura metodologia, cosa implicano in termini di organizzazione, gestione e analisi dei dati, dunque, attraverso quali procedure di manipolazione dei dati si produce conoscenza. ∗ Mariella Pacifico insegna Metodologia e Tecnica della Ricerca Sociale e Metodi di Analisi dei Dati Qualitativi all’Università di Salerno. Tra i suoi interessi di ricerca: la struttura e la dinamica del mercato del lavoro delle donne; i luoghi e i produttori di cultura nel Mezzogiorno; la domanda di formazione e i processi di valutazione dell’offerta formativa. Attualmente si occupa dei cambiamenti che hanno fatto seguito allo sviluppo della tecnologia informatica, con un’attenzione privilegiata alle metodologie di analisi e alla costruzione degli strumenti di indagine. Tra le sue pubblicazioni: Immagini e rappresentazioni di una professione non realizzata. Profili lavorativi e professionali dei laureati in Sociologia (1996), Introduzione alla Metodologia e alle Tecniche della Ricerca Sociale (2004), Struttura e dinamica del lavoro femminile nella provincia di Salerno (2006), (con L. Coppola) NVivo: una risorsa metodologica. Procedure per l’analisi dei dati qualitativi (2010).