Tartini "Il trillo del diavolo" - spazio21.conservatorio.ch Coming Soon!

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Giuseppe Tartini (Pirano, 12 aprile 1692 – Padova, 26 febbraio 1770) è stato un violinista e
compositore italiano.
La vita
Nacque a Pirano in Istria, il 12 aprile del 1692. Entrò dapprima alla scuola dell'Oratorio di San
Filippo Neri, ma essendosi ben presto distinto per le sue brillanti disposizioni, fu inviato a
Capodistria per completare i suoi studi al collegio dei padri delle scuole. Fu lì che ricevette le
prime lezioni di musica e violino. L'arte della scherma gli divenne egualmente familiare, tanto
che in poco tempo superò il suo maestro.
I suoi genitori avevano creduto di poterlo far entrare come francescano nel monastero dei
minoriti, ma non potendo riuscirvi, lo mandarono, nel 1710, all'Università di Padova per
studiarvi la giurisprudenza e intraprendere la carriera di avvocato. Le sue grandi capacità gli
resero questo studio così facile che ebbe anche il tempo di perfezionarsi nella scherma e di
segnalarsi per parecchi duelli. Questa passione divenne tanto forte che Tartini volle andare a
Parigi o a Napoli per divenire maestro d'armi, e avrebbe certo messo in atto questo progetto
senza esitare se non si fosse innamorato di una damigella a cui dava lezioni e che sposò poi
in segreto. Questo matrimonio gli attirò la collera dei genitori che l'abbandonarono al suo
destino. Tartini si trovò, pertanto, tanto più imbarazzato, visto che appartenendo sua moglie
alla famiglia del vescovo di Padova (Giorgio Cornaro), aveva da temere la persecuzione di
quest'ultimo. Non gli restò altra scelta che lasciarla a Padova e fuggire a Roma, travestito da
pellegrino. Non trovando sicurezza in nessun luogo, errò di città in città. Il convento dei
minoriti ad Assisi, il cui guardiano era un suo parente, gli offrì infine un asilo sicuro contro l'ira
del cardinale.
Dimorò due anni in questo monastero e si applicò allo studio del violino che aveva quasi
completamente trascurato a Padova. Le lezioni di padre Boemo, celebre organista di questo
convento, completarono la sua iniziazione all'arte della musica. Un altro vantaggio che ebbe
per lui questo ritiro isolato, fu il totale cambiamento del carattere. Da violento e superbo che
era, divenne amabile e modesto e perse per sempre, grazie a questa vita tranquilla, i difetti
che erano stati all'origine di tutte le sue sventure. Il suo nascondiglio era rimasto a lungo
sconosciuto; ma un incidente imprevisto lo fece scoprire: suonando il violino nel coro della
chiesa, un colpo di vento sollevò la tenda che lo nascondeva alla vista dei presenti e fu
riconosciuto. Tartini si credette perduto, ma quale fu la sua sorpresa quando seppe che il
cardinale l'aveva perdonato e lo cercava per condurlo nelle braccia della sua sposa!
Di ritorno a Padova, fu chiamato a Venezia per far parte di un'accademia che doveva nascere
sotto gli auspici del re di Polonia. Vi si recò con la sua sposa, ma lì ebbe occasione di
ascoltare il famoso violinista Veracini e fu tanto colpito dalla sua tecnica ardita e nuova che
preferì lasciare la città l'indomani stesso, piuttosto che entrare in concorrenza con lui. Inviò la
sua sposa a Pirano, presso suo fratello e si ritirò ad Ancona per dedicarsi liberamente allo
studio. In questa città trovò impiego suonando nell'orchestra del teatro "La Fenice" e qui, nel
1714, elaborò un modo nuovo di suonare il violino scoprendo il fenomeno del terzo suono
(toni risultanti o toni di Tartini) ovvero della risonanza della terza nota dell'accordo, quando si
fanno sentire le due note superiori.
Nel 1721 fu messo a capo dell'orchestra di Sant'Antonio di Padova, questa cappella, una
delle meglio assortite d'Italia, aveva quaranta musicisti, di cui sedici cantanti. Nel 1732 fu
chiamato a Praga per l'incoronazione dell'imperatore Carlo VI. Vi rimase per tre anni con il
suo amico Antonio Vandini, violoncellista al servizio del conte Kinsky. È in questa città che
Quantz lo sentì, e ne parlò in questi termini: « Tartini è un violinista di prim'ordine, ricava dei
suoni molto belli dal suo strumento, le sue dita e il suo archetto gli obbediscono egualmente
bene, esegue i passaggi più difficili senza pena, fa con perfezione e con tutte le dita, trilli e
anche doppi trilli e suona molto nel registro acuto, ma la sua esecuzione non ha niente di
toccante, il suo gusto non è nobile e spesso è del tutto contrario alla buona maniera. »
Tartini ha senza dubbio saputo acquisire in seguito dal punto di vista dell'espressione e del
gusto ciò che gli mancava allora, a giudizio di Quantz, poiché, ogni volta che sentiva suonare
con destrezza, ma senz'anima, diceva: «questo è bello! Questo è difficile, ma non parla
all'anima!». Da Praga tornò a Padova con il suo amico Vandini. A partire da quest'epoca nulla
poté più convincerlo ad accettare di mettersi al servizio di uno straniero, per quanto
vantaggiose fossero le proposte che gli venivano fatte. Nel 1728 fondò a Padova una scuola
di musica e pochi maestri hanno formato così tanti buoni allievi. Lo si chiamava il maestro
delle nazioni. La sua scuola ha fornito grandi musicisti a Francia, Inghilterra, Germania e Italia.
Pagin si recò espressamente a Padova per formarsi sotto la sua direzione. I suoi altri allievi
furono Nardini, Pasqualino Bini, Alberghi, Domenico Ferrari, Carminati, Madame Sirmen e
Lahoussaye e Capuzzi. Oltre tali nomi, deve essere ricordato, fuori dalla scuola strettamente
violinistica, il più famoso dei suoi allievi, il grande compositore Antonio Salieri, che da Tartini
prese lezioni durante i suoi anni giovanili a Venezia. Sembra che la moglie di Tartini fosse una
vera Santippe a questo riguardo e che egli avesse per lei la pazienza e la dolcezza di un
Socrate: nutriva più famiglie indigenti e fece allevare più orfani a sue spese. Dava anche
lezioni gratuite a quelli che volevano apprendere la musica e non avevano mezzi per pagarlo.
Il posto che occupò per trent'anni, non gli rendeva che 400 ducati e non era obbligato a
suonare che alle feste, ciò nonostante, non lasciava passare una settimana senza suonare
più volte.
In età molto avanzata, fu colpito dallo scorbuto. Nardini, suo allievo favorito, partì da Livorno
alla notizia della sua malattia e gli prodigò le sue cure fino all'ultimo momento. Tartini morì il
26 febbraio 1770. Aveva lasciato tutti i suoi scritti al suo protettore il conte di Thurn und Taxis
e aveva chiesto a padre Colombo di pubblicare il suo trattato del suono. Il suo corpo fu
deposto nella chiesa di Santa Caterina, una cerimonia funebre, ordinata dal suo successore,
Giulio Meneghini, fu celebrata in suo onore nella chiesa dei serviti. L'abate Fanzago
pronunciò il suo elogio e la cappella di Sant'Antonio eseguì un requiem di composizione di
Vallotti.
Le leggende dopo la morte
A Padova molti testimoni riferiscono di aver visto nell'ex chiesa di Santa Caterina, di notte,
l'ombra di una figura femminile che si muove come se stesse ballando al suono di una
misteriosa musica. Altre volte, invece, è stata avvistata una figura incorporea dall'aspetto di
un uomo vestito in abiti che si usavano nel settecento, mentre suona appassionatamente un
violino. Proprio in questo edificio, che ora ospita la facoltà di Statistica dell'Università di
Padova Giuseppe Tartini è stato sepolto assieme alla moglie. Poiché la tomba del
compositore è stata aperta e trovata inspiegabilmente vuota, si è diffusa la convinzione che le
strane figure viste nei pressi dell'ex-chiesa di Santa Caterina, siano i fantasmi di Tartini e della
moglie.
“Il trillo del diavolo” Sonata per violino e basso continuo in Sol minore.
La storia de “Il trillo del diavolo” inizia con un sogno fatto una notte del 1713: come raccontò
all'astronomo francese Jérôme Lalande, Tartini avrebbe sognato di stipulare un patto col
diavolo, avendolo poi al proprio servizio. L'aneddoto è così raccontato da Tartini stesso:
« Una notte sognai che avevo fatto un patto e che il diavolo era al mio servizio. Tutto mi
riusciva secondo i miei desideri e le mie volontà erano sempre esaudite dal mio nuovo
domestico. Immaginai di dargli il mio violino per vedere se fosse arrivato a suonarmi qualche
bella aria, ma quale fu il mio stupore quando ascoltai una sonata così singolare e bella,
eseguita con tanta superiorità e intelligenza che non potevo concepire nulla che le stesse al
paragone. Provai tanta sorpresa, rapimento e piacere, che mi si mozzò il respiro. Fui svegliato
da questa violenta sensazione e presi all'istante il mio violino, nella speranza di ritrovare una
parte della musica che avevo appena ascoltato, ma invano. Il brano che composi è, in verità il
migliore che abbia mai scritto, ma è talmente al di sotto di quello che m'aveva così
emozionato che avrei spaccato in due il mio violino e abbandonato per sempre la musica se
mi fosse stato possibile privarmi delle gioie che mi procurava. »
La trascrizione finale del brano vide la luce solo 17 anni dopo il sogno, e venne data alle
stampe solamente nel 1798, dopo la morte dell'autore con il nome di Sonata per violino in sol
minore.
La sonata inizia con un "Larghetto affettuoso" in 6/8, dalla struttura molto semplice, lineare,
rappresenta il tema base di tutta la sonata, il secondo è un "allegro" in 2/4, molto più
complesso del primo movimento su cui è basato, viene poi un "andante in tempo ordinario".
Nei tempi centrali domina il gioco ora concitato ora conciso del violino, senza alcun eccesso
ornamentale e virtuosistico. Nell'ultimo movimento l'impeto drammatico dell'Allegro si alterna,
con straordinaria efficacia, alla passionalità lirica dell'Andante, con due idee, l'una patetica
l'altra drammaticamente irresistibile, a imprimere gli accenti più vigorosi all'originalità
dell'invenzione tecnica.
Una stampa del sogno come descritto da Tartini 
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