s apere di Scienze Le fasi del sonno e la natura dei sogni Eva Filoramo È ormai risaputo che trascorriamo all’incirca un terzo della nostra vita dormendo. Le ore dedicate al riposo non sono un lusso continuo, ma constano di un’alternanza di diverse fasi in cui, di volta in volta, siamo apparentemente sul punto di risvegliarci oppure sprofondiamo in uno stato di completa paralisi muscolare. Questi stadi, che tutti noi – oltre a viverli – abbiamo avuto modo di osservare trovandoci accanto a qualcuno che stava dormendo, sono stati oggetto di ricerche scientifiche approfondite rese possibile dal fatto che essi sono associati a cambiamenti nell’attività elettrica cerebrale facilmente riscontrabili con la tecnica dell’elettroencefalogramma. L’attività di osservazione delle fasi del sonno prende il nome di polisonnografia e richiede ai soggetti interessati di dormire con una serie di elettrodi montati sullo scalpo. Gli elettrodi identificano gli sbalzi di tensione nel flusso di corrente ionica in alcune aree strategiche della corteccia cerebrale; le fluttuazioni della corrente vengono poi interpretate e tradotte su uno schermo come onde di frequenza e ampiezza diverse. A questi dati sono associati quelli sulle variazioni nel tono muscolare del soggetto (raccolti contestualmente); durante il sonno, infatti, la nostra attività muscolare è pari a zero, con l’eccezione – come vedremo – di possibili movimenti della zona oculare. In concomitanza con lo stato di veglia, la corteccia emette tante piccole onde ad alta frequenza, e l’attività muscolare è variabile. Quando un soggetto si addormenta, l’attività muscolare diminuisce fino ad annullarsi. I ricercatori hanno identificato quattro distinte fasi del sonno (un tempo erano cinque), che si suddividono a loro volta in due gruppi. Vi è il sonno ortodosso: onde ampie, a bassa frequenza, caratteristiche di un’attività cerebrale in cui tutta la corteccia fa la stessa cosa (motivo per cui è detto anche sonno sincronizzato). Si tratta della fase di sonno profondo, quella che rende più traumatico il risveglio, ed è a sua volta suddivisa in tre fasi leggermente diverse a seconda del tipo di onde emesse. Al sonno ortodosso si alternano, all’incirca ogni 90 minuti, le fasi di sonno paradosso o paradossale. In questi intervalli di tempo, l’attività cerebrale presenta una somiglianza sbalorditiva con lo stato di veglia: la corteccia fa tante cose diverse contemporaneamente, proprio come quando siamo svegli e stiamo continuamente elaborando tutti i molteplici aspetti della nostra esperienza del mondo (per questo è noto anche come sonno desincronizzato). Durante le fasi di sonno paradossale, in cui l’attività cerebrale è così intensa, dal punto di vista del tono muscolare siamo invece completamente paralizzati, con un’eccezione. Si tratta infatti della famosa fase di sonno Rem, caratterizzata dai movimenti rapidi degli occhi in diverse direzioni (Rem, infatti, sta proprio per Rapid Eye Movement). Le fasi del sonno Rem durano alcuni minuti e tendono a essere sempre più frequenti e più lunghe nel corso della notte (l’ultima può durare anche un’ora!). Comunemente, si tende ad associare la fase Rem al momento in cui si sogna. Tutto risale a quando, nel 1961, il neurobiologo lionese Michel Jouvet condusse una serie di esperimenti in cui soggetti addormentati venivano svegliati proprio durante il picco dei movimenti oculari: i soggetti, invariabilmente, raccontavano di essere stati interrotti nel bel mezzo di un sogno – cosa che invece non succedeva se il risveglio avveniva durante una fase di sonno non Rem. Questo portò Jouvet a introdurre il concetto di sonno paradossale e ad associarlo al momento in cui hanno luogo i sogni. Ma c’è un problema: altri esperimenti hanno evidenziato che talvolta anche soggetti svegliati in una delle fasi del sonno ortodosso (non Rem) asseriscono di essere stati destati proprio mentre stavano sognando. È quindi progressivamente emersa l’idea che il sogno non sia caratteristico di una certa fase del sonno, anche se resta pur sempre vero che, a seconda delle fasi del sonno, i sogni possono essere più o meno “razionali”: un sogno in cui conduciamo un’auto per andare al lavoro – e non succede assolutamente nient’altro – è caratteristico della n. 7 • marzo 2016 Sd 115 s apere di Scienze fase ortodossa, mentre un sogno in cui voliamo e succedono tantissime cose (più o meno rispettose delle leggi naturali), per esempio, è più tipico del sonno paradossale. Nella fase Rem, tuttavia, avviene qualcosa di apparentemente inspiegabile: l’attività dei sistemi noradrenergico e serotoninergico, che decresce durante le fasi non Rem, durante il sonno paradossale si arresta completamente. Questi due sistemi, però, sono entrambi responsabili del pensiero cosciente: questo significa, forse, che il sogno non è un pensiero cosciente? Fin dagli albori dell’umanità, i sogni sono stati soggetto e oggetto di speculazioni, miti, narrazioni, divinazioni... I ruoli rivestiti dai sogni nelle culture umane sono tanti quanti le culture stesse, se non di più. Trascorso oltre un secolo dalla pubblicazione de L’interpretazione dei sogni di Sigmund Freud, oggi le neuroscienze continuano ad aprire nuovi punti di vista sulla natura dei sogni, in particolare sul loro substrato biologico. Il neurobiologo francese Jean-Pol Tassin, per esempio, ritiene che i ricordi che si presentano alla mente nel momento del risveglio – ciò che noi chiamiamo sogno – non siano un residuo di una narrazione per immagini fabbricata dal cervello durante il sonno; sarebbe piuttosto il risveglio stesso a generare la costruzione di tali ricordi nella manciata di secondi, o anche meno, che separano lo stato di sonno dallo stato di veglia. Ipotesi interessante, senza dubbio; eppure, com’è possibile che quella che nella nostra percezione è una storia compiuta, per quanto fantasiosa e poco aderente alla realtà, non si sviluppi nell’arco di parecchi minuti ma sia generata invece in un intervallo di tempo così ridotto? Secondo Tassin, i sogni sarebbero simili a un fumetto: poche vignette, poche istantanee sono in grado di evocare una storia che il nostro cervello ricostruisce nella sua interezza in una narrazione che, soggettivamente, può durare anche molto a lungo. Bisogna tener presente che quando l’attività dei neuroni che producono noradrenalina e serotonina è rallentata (nel sonno ortodosso), oppure quando si ferma del tutto 116 Sd n. 7 • marzo 2016 (nelle fasi Rem), il cervello non è più in grado di trattenere le informazioni abbastanza a lungo perché noi possiamo accedervi e, dunque, averne coscienza. Di conseguenza, mentre dormiamo non abbiamo più accesso alla nozione di tempo. Ecco come diventa perfettamente plausibile che un sogno durato 500 millisecondi ci dia l’impressione di essere proseguito per diversi minuti. In aggiunta, anche le nottate di sonno più profondo sono caratterizzate da una serie di microrisvegli che durano qualche frazione di secondo e di cui non abbiamo memoria una volta giunto il mattino. Durante le classiche otto ore di sonno possono essercene da cinque a dieci e, secondo Tassin, forniscono altrettante occasioni per sognare. Il ruolo dei microrisvegli sarebbe proprio quello di garantire al cervello, durante il sonno, brevissimi intervalli in cui si trova in uno stato identico a quello della veglia; questo ci consentirebbe di fissare nella memoria il sogno che si è accompagnato a questo stato di modo che, al mattino, il ricordo che ci accompagna non è quello di esserci svegliati, seppure brevemente, ma quello legato ai sogni. Qual è allora lo scopo dei sogni, secondo questa teoria? A differenza di quanto pensa per esempio Michel Jouvet, per il quale il sogno servirebbe a mantenere integra l’identità del sognatore fino al momento del risveglio, Tassin ritiene che siano le esperienze vissute dall’individuo a delineare la trama dei sogni. Pur senza addentrarci troppo in questi aspetti, con tutti i risvolti psicologici e psicanalitici che si portano dietro, ricordiamo che molti sogni sono dichiaratamente retrogradi: è l’elemento che causa il risveglio – un rumore o una luce, per esempio, o una sensazione fisiologica – a generare il sogno; l’intreccio tuttavia procede all’inverso, terminando proprio con l’elemento scatenante. Secondo Tassin, contrariamente al sonno, i sogni non avrebbero un ruolo biologico definito oltre a quello di agire da “cuscinetto” tra gli stati di sonno e di veglia, tra l’attività cerebrale incosciente e rapida del primo e quella più lenta e consapevole del secondo, consentendo al cervello di non dover passare da una fase all’altra in maniera troppo traumatica.