Giovanni Fioriti Editore s.r.l. via Archimede 179, 00197 Roma tel. 068072063 - fax 0686703720. E-Mail [email protected] – www.fioriti.it www.clinicalneuropsychiatry.org res ipsa loquitur Cognitivismo Clinico: diretta da Francesco Mancini Il disturbo bipolare. Un approccio terapeutico cognitivo. di Cory F.Newman et al. La terapia cognitiva può essere usata per aiutare i pazienti bipolari, fornendo loro un arsenale di abilità di auto aiuto mirate a ridurre le reazioni soggettive agli eventi stressanti e a costruire un migliore senso di auto efficacia di fronte alle varie difficoltà della vita. Lo sviluppo di modelli d’intervento cognitivocomportamentale mirati al Disturbo Bipolare risale all'inizio degli anni ’90. I pazienti furono ben lieti di poter aggiungere la terapia cognitiva al piano farmacologico in atto e il feedback verbale e scritto di vari pazienti indicava che il modello li faceva sentire più forti, che regnava un'atmosfera di collaborazione tra terapeuta e paziente e che le abilità di auto aiuto erano state insegnate in un modo graduale e facile da apprendere. Questo manuale di trattamento è stato appositamente sviluppato per insegnare questo modello. INDICE Prefazione IX Capitolo 1 DISTURBO BIPOLARE: DIAGNOSI, EPIDEMIOLOGIA, EZIOLOGIA E PROGNOSI 1 Aspetti diagnostici 1 Diagnosi e comorbilità Epidemiologia e decorso del disturbo bipolare Fattori eziologici 5 7 8 2 Indicatori prognostici Conclusioni 12 19 Capitolo 2 IL RUOLO DELLA COGNIZIONE NEL DISTURBO BIPOLARE E IL SUO TRATTAMENTO 21 Presentare il modello di trattamento ai pazienti Test empirici del modello di trattamento Attuali direzioni nella costruzione di un modello cognitivo del disturbo bipolare Conclusioni 22 28 30 43 Capitolo 3 COME MODERARE LA MANIA E L’IPOMANIA 45 Educare il paziente a riconoscere l’ipomania e la mania 45 Testare la realtà delle convinzioni e dei pensieri iperpositivi 52 Ridurre l’impulsività e l’imprudenza 60 Modulare il tono dell’umore 68 Contrastare la disorganizzazione e la distraibilità 72 Conclusioni 74 Capitolo 4 TRATTAMENTO CLINICO DELLA DEPRESSIONE, DEL SENSO DI SFIDUCIA E DELL’IDEAZIONE SUICIDARIA IN PAZIENTI CON DISTURBO BIPOLARE 75 Assessment 76 Interventi 80 Conclusioni 94 Capitolo 5 FARMACOTERAPIA E TERAPIA COGNITIVA NEI PAZIENTI CON DISTURBO BIPOLARE 97 I farmaci standard 97 Sviluppi recenti nella farmacoterapia Casi speciali nella farmacoterapia del disturbo bipolare Fare pace con i farmaci Quando i pazienti seguono il piano di trattamento in modo adeguato Il modello cognitivista e la collaborazione con altre figure professionali Conclusioni 101 105 109 126 127 129 Capitolo 6 IL DISTURBO BIPOLARE E LA FAMIGLIA 131 Casi clinici esemplificativi Emotività espressa (EE) in famiglia I colloqui con la famiglia e con la coppia Questioni particolari riguardanti le famiglie Conclusioni 132 134 137 152 156 3 Capitolo 7 STIGMA, PERDITA E ACCETTAZIONE 159 Perdite nel campo sentimentale e nel campo lavorativo Autoaccusa, stigma e il dilemma dell’autoapertura Accettazione Conclusioni 160 162 178 179 Capitolo 8 TERAPIA COGNITIVA PER PAZIENTI CON DISTURBO BIPOLARE: IL CASO DI “CARLOS” 181 Fase 1: inizio del trattamento Fase 2: applicare il modello cognitivo nel quotidiano Fase 3: utilizzo della terapia cognitiva per gestire problemi gravi 182 189 194 Fase 4: consolidamento dei risultati raggiunti e prevenzione del rischio di ricaduta Conclusioni 209 212 EPILOGO E INDIRIZZI FUTURI 213 BIBLIOGRAFIA 217 PREFAZIONE Negli anni ottanta, iniziarono ad apparire in letteratura vari resoconti di casi i quali indicavano come la terapia cognitiva (A.T. Beck et al. 1979) potesse essere usata per aiutare i pazienti bipolari, fornendo loro un arsenale di abilità di auto aiuto mirate a ridurre le reazioni soggettive agli eventi stressanti e a costruire un migliore senso di auto efficacia di fronte alle varie richieste della vita (Chor et al. 1988, Jacobs 1982). Questi dati avevano senso logico. La terapia cognitiva, dopotutto, si occupa esattamente dello stress, all’interno dell’ipotesi diatesi-stress del disturbo bipolare. Si tratta in sostanza di modificare globalmente l’approccio del paziente alla vita: le convinzioni su di sé e sulla propria malattia, il modo di rappresentarsi le situazioni, di definire e di risolvere i problemi e di attivare il sistema di supporto; la capacità di riconoscere e di utilizzare le proprie risorse personali e il modo di vedere il futuro. Tutte queste variabili influenzano l’esperienza soggettiva dello stress, cosicché, rispetto al paziente non “equipaggiato”, quello che conosce le strategie cognitivo-comportamentali di auto aiuto può avere notevoli vantaggi nel far fronte alle situazioni difficili, potenzialmente in grado di scatenare oscillazioni cliniche del tono dell’umore e vari problemi comportamentali. E anche ragionevole ritenere che i pazienti in possesso di buone abilità psicosociali siano meglio in grado di non incorrere in problemi evitabili, rispetto ai pazienti che possiedono abilità meno sviluppate. A propria volta, ciò porta a scontrarsi con un minor numero di eventi stressanti, con una conseguente riduzione della probabilità che avvengano ricadute indotte dallo stress, all’interno della diatesi biologica tipica dei pazienti con disturbo bipolare. Oltre ad agire in direzione di una riduzione dello stress, la terapia cognitiva può essere usata per aiutare i pazienti ad aumentare la propria disponibilità a proseguire correttamente la farmacoterapia, sempre fondamentale (Cochran 1984, Rush 1988). Almeno in parte, questo approccio si basa sul fatto che i pazienti presentano convinzioni errate sulla propria malattia, 4 sui farmaci prescritti e sul proprio “rapporto” con i farmaci. La terapia cognitiva può essere utilizzata per verificare tali convinzioni, per ridurre le paure immotivate e per modificare gli assunti relativi al trattamento che risultino potenzialmente antiterapeutici. Lo studio della Cochran (1984), in particolare, ha costituito un lavoro fondamentale. Si è trattato di uno studio doppio cieco disegnato al fine di dimostrare che la terapia cognitiva era più efficace del trattamento usuale nel migliorare l’uso corretto del litio nei pazienti bipolari, sia durante la terapia sia al follow-up. I risultati ottenuti iniziarono a diffondere un certo interesse nello sviluppo di modelli di intervento cognitivo comportamentale mirati al disturbo bipolare. All’inizio degli anni ’90, facemmo partire uno studio pilota all’università della Pennsylvania, nel corso del quale valutammo i pazienti bipolari offrendo loro fino a un anno di terapia cognitiva basata su sedute settimanali, in coordinamento con l’intervento farmacoterapeutico, fornito dalla stessa struttura. I terapeuti che applicavano la terapia cognitiva si attennero al manuale di trattamento appositamente sviluppato per questo progetto (Newman e A.T. Beck 1992). Per lo più, i pazienti furono ben lieti di poter aggiungere la terapia cognitiva al piano farmacologico in atto. Il feedback verbale e scritto di vari pazienti indicava che il modello li faceva sentire più forti, che regnava un’atmosfera di collaborazione tra terapeuta e paziente e che le abilità di auto aiuto erano state insegnate in un modo graduale e facile da apprendere. Questo libro rappresenta lo sviluppo e l’espansione del manuale originale. Affronta la maggior parte delle strategie e delle tecniche associate alla terapia cognitiva standard e ne prende liberamente a prestito altre dai metodi empiricamente sostenuti, utilizzati nel trattamento della depressione unipolare e dei disturbi d’ansia. Tuttavia, al fine di adattare la terapia cognitiva all’intervento su pazienti con disturbo bipolare, abbiamo tenuto conto della forte componente biologica presente nell’ipomania e nella mania; abbiamo incorporato la letteratura sullo stress, sulla sua percezione soggettiva e sul ruolo giocato da questo fenomeno nell’attivazione di episodi depressivi e maniacali; abbiamo anche prestato grande attenzione alla natura longitudinale del disturbo e all’alto rischio di suicidio. Abbiamo motivo di ritenere che la terapia cognitiva offra le basi per un’efficace tecnologia clinica nella battaglia contro una malattia psichiatrica grave e minacciosa che, fin qui, ha sfidato ogni tentativo puramente farmacologico. Riteniamo inoltre che l’uso della terapia cognitiva, soprattutto se iniziata precocemente, eviti al paziente una serie di infruttuosi tentativi di intervento farmacologico, spesso via via più complicati. Riteniamo anzi che un intervento precoce di terapia cognitiva possa condurre a una maggiore continuità nella cura farmacologica, con un minore numero di interruzioni, di cambiamenti e di effetti collaterali. Nel corso degli anni durante i quali abbiamo sviluppato il presente volume, abbiamo avuto il piacere di osservare il lavoro di stimati colleghi che, autonomamente rispetto al nostro impegno, hanno applicato la terapia cognitiva al trattamento dei pazienti con disturbo bipolare, ivi inclusa la ricerca clinica condotta nel Regno Unito (ad esempio Lam et al. 1999, Palmer et al. 1995, Scott 1996a), e il lavoro di vari colleghi negli Stati Uniti (ad esempio Basco e Rush 1996, Hirshfeld et al. 1998, Otto et al. 1999). Riteniamo che questo sia l’inizio di una promettente nuova era nel trattamento del disturbo bipolare e che la validità concorrente che deriva dal lavoro dei diversi autori precedentemente citati verrà, col tempo, sostenuta dai dati. Non intendiamo in nessun modo minimizzare le difficoltà poste dalla malattia che stiamo studiando e affrontando, né intendiamo ignorare i complessi processi biologici sottostanti e gli approcci psico-sociali alternativi, attualmente allo studio. Siamo semplicemente entusiasti del fatto che la terapia cognitiva (un modello di psicoterapia a forte supporto empirico) sia stata ritagliata su misura per affrontare le estreme difficoltà dello spettro bipolare, anche in vista della collaborazione con la terapia farmacologica. Ciò aumenta la speranza di un miglioramento delle conoscenze necessarie per aiutare una popolazione di pazienti che ha bisogno di tutta l’assistenza che siamo in grado di fornirle. Vorremmo qui aggiungere una breve nota a proposito della scelta dei termini. Nel corso del volume, usiamo di preferenza il moderno termine disturbo bipolare, come indicato nel titolo del testo. Tuttavia, di tanto in tanto usiamo anche il termine maniaco depressivo, non per confondere le acque, ma piuttosto per mantenere un legame con il passato e per fare riferimento al termine colloquiale con cui, talvolta, ci si riferisce a questa malattia. Si tratta, al contempo, della nostra rispettosa risposta alla Jamison (1995), secondo cui l’evitamento da parte di professionisti del termine maniaco depressivo costituirebbe un tentativo di evitare la questione di quanto l’esperienza di questo disturbo sia, in primo luogo, caotica e dolorosa. Ringraziamo sentitamente Susan Reynolds e Kristine Enderle dell’APA Books (assieme a loro team editoriale, inclusi Casey Reever, Chris Davis e Linda McCarter) per aver sostenuto questo progetto con entusiasmo, con fiducia e con saggi consigli. Il loro sostegno pratico e morale ai fini di questo volume è stato incalcolabile; ci ha permesso di trasformare il primo 5 manuale, ancora informe, in un vero libro. Ringraziamo anche Claudia Baldassano per i suoi esperti consigli in questioni di farmacoterapia e per come queste sono state discusse all’interno del volume. La nostra gratitudine va anche a Jennifer Strauss per i suoi solleciti e utili consigli sull’intero manoscritto, man mano che si sviluppava. I suoi commenti, sempre profondi, e le sue domande, sempre stimolanti, hanno costituito un aiuto prezioso per rendere il testo più conciso e più chiaro. Analogamente, il testo è migliorato grazie ai commenti sempre validi e completi di Randy Fingerhut, particolarmente nel capitolo in cui sono stati passati rassegna il disturbo bipolare e il modello cognitivo. Siamo ugualmente riconoscenti Julie Jacobs per la sua revisione del lavoro finito, immediatamente prima che fosse inviato all’editore. Le sue spiccate abilità, sia come giornalista, sia come psicologa, ne hanno fatto la scelta migliore come revisore finale e le siamo estremamente grati per l‘esperienza e per la diligenza dimostrate in questo compito. Un ringraziamento speciale anche a Tina Inforzato e a Elizabeth Gable dell’Università della Pennsylvania per la sua assistenza amministrativa, sempre leale, efficiente e competente nel corso di tutto il progetto. Esprimiamo anche il nostro apprezzamento a tutti i colleghi, il cui interesse nei confronti della prima versione di questo manuale ci ha fornito la spinta per continuare a lavorare sul disturbo bipolare. Ora che il compito è completato, possiamo ridere allegramente per le decine di volte in cui i colleghi, nel corso degli anni, ci hanno detto (non senza imbarazzo da parte nostra): “È proprio ora che ampliate il manuale per farlo diventare un libro, non credete?” Infine, la cosa più importante: desideriamo riconoscere il contributo fondamentale dei nostri pazienti. Nessuno di loro ha scelto di soffrire di disturbo bipolare, e se fosse dipeso interamente da loro, avrebbero preferito fare qualcosa di diverso dal fornire un doloroso contributo personale allo sviluppo della terapia cognitiva della propria malattia. Tuttavia, il fatto è che i nostri pazienti meritano non solo compassione, ma tutto il nostro rispetto e la nostra gratitudine, perché è stata la loro partecipazione alla terapia cognitiva e la loro battaglia contro il disturbo che ci hanno reso possibile far progredire le conoscenze in questo campo. prezzo: € 25,00, pp. 248 [email protected] www.fioriti.it ISBN: 978-88-95930-58-9