1 IL TENTATIVO DI FONDARE UNA METAFISICA CRISTIANA NEL PENSIERO RUSSO DELL'OTTOCENTO Svetlana Gretchoukhina Nella Russia di fine Ottocento–inizio Novecento, un gruppo di pensatori ha cercato di formulare un principio filosofico teocentrico, o addirittura cristocentrico che fosse il fondamento ontologico della conoscenza e dell‟essere. Il pensatore per eccellenza, che ne ha formulato i principi, proponendo un possibile schema della visione cristiana della metafisica, è senz‟altro Vladimir Solov‟ev. Subito dopo la sua morte, i suoi ardenti seguaci, personaggi molto significativi per la storia della cultura e della chiesa russa, come Florensky, Elczaninov, Ern, Berdjaev, Trubezkoj, Bulgakov, cercarono di sviluppare il suo patrimonio intellettuale. Tra loro, Vladimir Ern – probabilmente fu l‟unico, ad intraprendere la strada della riflessione puramente filosofica, mentre gli altri si addentrarono piuttosto nelle questioni teologiche spirituali. Data questa premessa, e tenendo conto, dell‟impossibilità in cosí breve tempo, di analizzare tutte le particolarità e l‟andamento della riflessione, che giustifichino una tale direzione di pensiero, mi limito a presentare in modo molto conciso, a livello dei principi, senza entrare nella articolazione dell‟argomento, la visione della possibile metafisica propriamente cristiana, basandosi sui testi di Solov‟ev, che erano ripresi da Vladimir Ern, nel suo tentativo di formulare una possibile metafisica cristiana. Per domandarsi alla fine, se tale metafisica abbia ragione di essere, e se questo tipo di metafisica può chiamarsi cristiana. La prima cosa da dire, è che il problema, che avevano davanti a sé i pensatori già nominati, era lo stesso, sorto dopo Kant, riguardante la possibilità di una conoscenza metafisica in genere. Tutti i pensatori russi dell‟epoca erano implicati in un modo o nell'altro nella polemica con l‟empirismo da una parte e con il razionalismo dall‟altra. Da notare, che ciò che criticavano i nostri autori, non era il dualismo gnoseologico in sé, ma l‟unilateralità della conoscenza empirica, e della conoscenza razionale, ammettendo, senza il minimo di dubbio, come vera: 1) l‟inconoscibilità delle essenze delle cose; 2) l‟impossibilità di tale capacità astrattiva dell‟intelletto umano per conoscere le cose in sé. La via d'uscita dalla contraddittorietà delle conoscenze empiriche e razionali prese a sé stante si è vista nella sintesi organica di questi due tipi di conoscenza nella suprema conoscenza, chiamata teosofia, formando tutte insieme un'unica conoscenza integrale della totalità dell‟essere, come la chiamò Solov‟ev prima, e in seguito anche Ern1. (Da notare: non essere in quanto essere, ma totalità dell‟essere) Questa possibilità della conoscenza integrale è garantita da un a priori – dal Principio assoluto, conosciuto grazie all'intuizione intellettuale, che sarebbe un‟intuizione mistica. Cosí la scissione tra conoscenza empirica e conoscenza razionale veniva a colmarsi attraverso la conoscenza mistica. “ Il misticismo per il suo carattere assoluto ha il significato primario, in quanto definisce il Principio supremo e il fine ultimo della conoscenza.” La parte della teosofia che considera il Principio assoluto come suo oggetto proprio nelle sue caratteristiche proprie, universali e necessarie – Solov‟ev la chiamerà logica organica, Ern invece logismo, ambedue usano questo denominativo, non nel senso della logica, come disciplina, che studia le leggi del pensiero, ma come scienza del Logos, o del Principio assoluto. Questa 1 “Ñâîáîäìàÿ òåîcîôèÿ åcòü î_ãàìè†åcêèé cèìòåç òåîëîãèè‚ ôèëîcîôèè è îïûòìîé ìàóêè ‚ è òîëüêî òàêîé cèìòåç íîæåò çàêë߆àòü â cåáå öåëüìóß ècòèìó çìàìèÿ: âìå åãî è ìàóêà ‚ è ôèëîcîôèÿ‚ è òåîëîãèÿ cóòü òîëüêî îòäåëüíûå ÷àcòè èëè còî_îìû‚ îòî_âàììûå î_ãàìû çìàìèÿ è ìå íîãóò áûòü òàêèí îá_àçîí ìè â êàêîé còåïåìè àäåêâàòìû càíîé öåëüìîé ècòèì唂 Â. ÑÎËÎÂÜÅÂ, Ôèëîcîôcêîå íà÷àëî öåëüíîãî çíàíèÿ‚ in: Ñîá_àíèå cî÷èíåíèé, Èçä. 2-å, ÑÏá 1911, ò.1, c.290. 2 sarebbe la parte propriamente metafisica, se consideriamo la metafisica, come filosofia Prima, che studia il perché dell‟essere, cercando il fondamento ultimo della realtà2. Il Principio assoluto, che è in primo luogo la condizione necessaria della conoscenza metafisica, o noumenica, in secondo luogo, il criterio della conoscenza vera in genere; e in ultimo luogo, il fondamento e lo scopo della vita morale dell‟uomo, viene conosciuto nel suo contenuto, non nella forma concettuale, data razionalmente, ma grazie alla così detta intuizione intellettuale, o intuizione mistica, causata, si può dire, dall‟ispirazione. Quest‟intuizione intellettuale permette di definire il Principio Assoluto. Questo non lo si può definire in generale come essere, ma piuttosto come principio attivo dell‟essere, o un essente che non è essere, in quanto non può essere predicato di un altro. “ In effetti, esso è il principio di ogni essere, se esso stesso fosse un essere, avremmo un certo qual essere al di sopra di ogni essere. Ma neanche si può definirlo come il non-essere, poiché il non-essere è una privazione.3 Invece, Essente è un principio assoluto al quale appartiene ogni essere. Cosí l‟essente non è essere, non è non-essere, ma ciò che possiede essere. Il fatto di possedere essere significa una forza o una potenza dell‟essere, cioè una possibilità positiva. Cosí essente in quanto tale o il Principio assoluto è ciò che ha in sé la forza positiva dell‟essere4. Invece l‟essere è la manifestazione dell‟essente o il suo rapporto con un altro. In questo senso ogni essere è relativo, solo Essente è assoluto, ed è assoluta unità. Nello stesso Essente, secondo la definizione si distinguono due centri e tre determinazioni: 1) il veramente essente (è il primo centro); 2) la necessità o l‟immediata forza di essere (la materia prima, o il secondo centro) – ed è la seconda determinazione o essenza, in misura in cui determinata dall‟essente è l‟idea; 3) l‟essere o la realtà come il loro comune prodotto dell‟interazione. Abbiamo cosí le tre prime categorie: essente, essenza e essere. Il rapporto tra queste tre categorie presuppone una differenza originaria nell‟essente stesso, cioè nel primo centro5. Questo primo centro è un‟automanifestazione, un‟autoaffermazione dell‟essente stesso, che implica tre momenti: 1) quello che si manifesta in sé , ed è presente solo nello stato latente – Dio Padre; 2) la manifestazione in quanto tale , cioè l‟affermazione di sé in altro o su altro , il palesamento, la determinazione o espressione di quello che viene manifestato , la sua Parola , il Logos, o il Figlio del Padre. 3)il ritorno in sé di quello che si manifesta o autoritrovamento di quello, che si manifesta nel manifestato – lo Spirito Santo. Questi sono i tre principi positivi del Principio Assoluto e della Trinità Suprema. L‟Essente Assoluto in sé che è Padre, quale si autodistingue necessariamente nel Figlio, Logos, pur restando in sé stesso in questa distinzione, affermandosi nello Spirito Santo6. Tra questi principi positivi dell‟Essente quello che propriamente forma e dà il contenuto è il Logos, in quanto principio della determinazione, della distinzione, dello sviluppo interiore e della rivelazione, è il principio della luce in cui si rivela, diventa visibile tutto il contenuto dell„Assoluto. Gli altri due principi positivi e il quarto negativo (che sarebbe un‟altro, posto dal Principio assoluto, o l‟essere reale) sono accessibili e conoscibili solo nella misura in cui sono determinati dal Logos, cioè solo attraverso di Esso7. Logos – è la suprema Verità, che è la forma o l‟idea integrale dell'essere creato, cioè il suo contenuto. Ed è la contemplazione del Logos, il fondamento non soltanto logico, ma, prima di tutto, ontologico, di tutta la conoscenza umana, ma anche dell‟umano volere, in ultimo luogo dell‟essere dell‟uomo. La verità assoluta e il criterio della verità del conoscere umano si identificano. Allora la verità non è adaequatio intellecti ad rem, ma verità assoluta, il Logos, Cristo stesso. Per arrivare alla contemplazione del Logos, sono necessari: un arduo cammino dell‟ascetica e la virtù eroica. Quindi il conoscere – non è un processo puramente razionale astratto, ma un processo esistenziale, che implica tutta la vita dell‟uomo, e tutto il suo essere. Per questo il fine della filosofia, o della metafisica – non è la verità speculativa, ma il senso profondo dell‟esistenza, l‟unione mistica con il 2 Idem, c.308. Idem, c.346. 4 Idem, c.348. 5 Idem, c.356 6 Idem, c.358. 7 Idem, c.359. 3 3 Logos, o la beatitudine. Perciò il punto di partenza della riflessione filosofica è la ricerca del senso della vita8. In questa impostazione sapienziale della metafisica, che va al di là dei concetti astratti, si trova il segreto del fascino del pensiero russo. Rimane da rispondere alla domanda , posta all‟inizio , se alla metafisica , impostata in tal modo, è giusto attribuire l‟aggettivo cristiana. La risposta è ovvia. Certamente si, visto che il principio oggettivo , il fondamento , e il fine di tale metafisica è il Principio assoluto, Dio Trinitario, ed il Logos Divino, o Cristo, come idea integrale della totalità dell‟essere e del sapere umano. Il problema è se in questo caso è legittimo usare il termine metafisica, o filosofia in genere. In altre parole, il problema è dove si trovi il limite necessario tra conoscenza naturale e conoscenza soprannaturale, tra il metodo puramente razionale e l‟intuizione mistica, dove finisce la metafisica e dove comincia la teologia. Ponendo come criterio della nostra conoscenza naturale il Principio assoluto soprannaturale ci si deve domandare se questo principio non travisi la natura stessa della metafisica D‟altra parte , lo schema proposta da Solov‟ev e ripreso come tale da Ern – è senz‟altro una costruzione aprioristica, di tipo geometrico. Si afferma dunque un principio primo, assoluto, un assioma necessario e universale, evidente, grazie alla intuizione intellettuale, che funge da principio fondante per tutte i tipi di conoscenza umana, sia empirica, sia razionale. Ciò è di per se contraddittorio – se noi conosciamo la Verità assoluta a priori, è assurdo continuare a conoscere la realtà circondante, o le verità relative. Ed ancora, allo stesso Principio assoluto si applica un determinato schema della ragione, nel nostro caso è il principio hegeliano dell‟identità e della differenza, pur facendo una distinzione tra la forma concettuale e il contenuto dato nell‟intuizione intellettuale. Addirittura si dà la definizione del Principio assoluto. E cioè si cerca di determinare un Principio Trascendentale, rendendo evidente ciò, che tanto evidente non è. Ed è un ridurre dei concetti teologici, che si basano sui principi rivelati, a concetti filosofici, fondati su un principio trascendente. Fare in questo modo la metafisica, o vedere in questo la filosofia cristiana è una specie di tentazione filosofica, in quanto la ragione umana limitata pretende di comprendere e ridurre a schemi concettuali il Mistero della Trinità, per poi metterLo al suo servizio come criterio apodittico delle verità naturali. Ma risultato di tutto ciò non può essere nient‟altro che l‟annientamento della stessa ragione umana, quale si rivela incapace con le proprie forze, senza intuizione mistica, di conoscere la verità. 8 Idem, c.250.