Mitologia Fiscale

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Mitologia Fiscale
Chi si occupa di marche da bollo, con un minimo di ricordi scolastici, rimane quanto meno perplesso quando
legge, a proposito delle fascette per profumerie e medicinali, che alcuni contrassegni furono privatamente stampati su carta con filigrana "Serpente di Galeno", fornita
dallo Stato: non è fantasia dei cataloghi, ma la definizione ufficiale che si legge nei decreti ministeriali. Tuttavia
Galeno, che è personaggio storico del II secolo d.C. e non
trattava serpenti, è manifestamente confuso con Esculapio (Asclepio), figlio di Apollo e della Ninfa Coronide, il
dio greco della medicina, che l'iconografia classica raffigura in età avanzata, appoggiato a un bastone cui è attorcigliato un serpente, appunto il bastone o verga di Esculapio.
In realtà, qualora si osservi la filigrana, il disegno in questione coincide con il caduceo, bastone con due serpenti
Il foglio formato ridotto con filigrana caduceo
A fianco un ingrandimento
attorcigliati le cui teste si contrappongono in alto: è simbologia derivata da miti orientali, che ha avuto seguito sia
nell'ambito dei commerci, quale attributo del dio grecoromano Mercurio (Ermes), sia nella medicina, come, senza uscire dal nostro campo, si può osservare nelle contromarche della previdenza dei medici e nelle marche
della previdenza dei veterinari. Varia soltanto la testa del
bastone: il volto di Esculapio nella filigrana, lo stetoscopio per i medici, le ali per i veterinari.
Sulla stessa carta filigranata furono stampate le fascette
per l'imposta di fabbricazioni sugli organi di illuminazione, sebbene i cataloghi attestino una filigrana corona, non
riscontrata. Le ultime giacenze furono infine utilizzate
per la stampa delle marche per diritti metrici della RSI,
che videro solo postuma emissione durante la Luogote-
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nenza, con la censura dello stemma repubblichino. In
questo caso i cataloghi, non influenzati da definizioni ufficiali, correttamente riferiscono di una "filigrana caduceo", che tuttavia è ancora il fantasioso "serpente di Galeno".
Se l'attribuzione a Galeno del serpente di Esculapio può
essere considerato un errore marchiano, vera e propria
impostura è la Dea Roma, come viene ufficialmente definita per la prima volta la figura femminile rappresentata a
sinistra nel trittico delle marche per i trasporti, poi divenuta simbolo primario delle marche da bollo repubblicane, tanto da divenire il logo della nostra associazione. Effettivamente nella Roma antica esisteva un tempio dedicato alla dea Roma, deificazione della città (Divae Urbis
Romae): lo menzionano sia Tito Livio che Tacito. Tuttavia, le due statue rimaste nella scultura romana e le raffigurazioni che si trovano sulle monete repubblicane e imperiali, nonché nel tardo
impero (IV-V secolo d.C.) su particolari
medaglioni bronzei, denominati contorniati, sebbene rappresentino la dea in
aspetti diversi tra loro, non hanno neppur
vaga somiglianza con il disegno della
marca da bollo.
In realtà, la dea raffigurata nel tondo delle marche, come
si rileva dall'elmo con i grifoni a quattro zampe, è
chiaramente Pallade Atena, protettrice di Atene,
identificata nella mitologia latina con la dea Minerva. La
raffigurazione sembra tratta, con qualche libertà, dalla
statua di Atena Farnese Albani, conservata nel Museo
Nazionale di Napoli. Di per sé stessa Minerva, pur
essendo divinità dell'antichità classica, non era
sufficientemente rappresentativa della romanità, di cui il
fascismo aveva promosso il culto: è bastato, con un gioco
di prestigio, cambiarne il nome, per farne la protettrice
non più di Atene ma di Roma e così soddisfare le
esigenze propagandistiche del ventennio. In realtà, la
confusione risale a tempo anteriore, ma il fascismo ne
profittò consapevolmente.
L'impostura sopravvisse per alcuni decenni al fascismo,
anche quando non ne era rimasta ragione alcuna. Infatti,
nei decreti di emissione, relativi alle marche della Luogotenenza e della Repubblica per il bollo ordinario, per le
concessioni governative e per l'imposta sull'entrata, Minerva è ancora definita Dea Roma. Agli effetti burocratici, nessun rilievo ebbe la circostanza che era caduto il regime, che esaltava la romanità: siccome in precedente decreto era stata chiamata Dea Roma, tale rimase successivamente; occorrerà attendere gli anni '90 per vedere ufficialmente definita col suo vero nome la dea rappresentata
sulle marche da bollo da oltre cinquant'anni.
Minerva - Dea Roma, comunque, non va confusa con
l'Italia turrita, che è tutt'altra storia. Invece, i fiammiferi
Minerva, ancor oggi venduti dai tabaccai, traevano nome
dalla raffigurazione della dea sulle prime confezioni apparse sul mercato.
Marco Locati
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