La chiesa della SS. Annunziata Maurizio Dealessi Molti nostri concittadini, specialmente di giovane età, poco si interessano di conoscere i rari edifici storico-artistici che la nostra città ancora conserva, specie se situati nella parte storica e poco frequentata, siano essi edifici civili o sacri. Sicuramente molti non si sono mai soffermati, anche per sola curiosità, ad ammirare l’artistica costruzione di Via Pastrengo, che come ben dice il Gasparolo nelle sue “Memorie storiche Valenzane” “è a dolersi che non abbia un piazzale davanti per conferire tutto quel pregio che si merita” È la chiesa della SS. Annunziata, popolarmente detta di S. Rocco, perché in essa è eretta la confraternita istituita sotto la protezione del santo. È senza dubbio l’edificio sacro più artistico ed elegante della città che, purtroppo, non tutti hanno avuto il piacere di visitare, pur essendo l’edificio aperto ai fedeli tutti i giorni. È la chiesa che fu costruita ad iniziare dal 1699 dalle suore del Monastero delle Agostiniane, fondato dalle pie zitelle che vivevano insieme sotto l’invocazione di Maria SS. Annunziata. L’anno di fondazione di questa pia congregazione è incerto: il 1431 o il 1443, anche se le date potrebbero essere la prima di fondazione e di approvazione da parte del Pontefice Eugenio IV e la seconda di perfezionamento del monastero che però non era ubicato nella località indicata, ma pare fosse consorte al fianco ed al lato posteriore del palazzo De Cardenas (successivamente della famiglia Trecate) e precisamente in via Frontoni, ultimo tratto di via Cavour e via Mazzini. In quella località era anche costruita l’antica chiesa dedicata all’Annunziata, che non presentava alcuna particolarità notevole, ma che, come l’attuale, era divisa in due parti: la “chiesa interiore” per le monache, e la “chiesa esteriore” per i fedeli (cf Gasparolo). Le monache, fino alla fine del Cinquecento, vivevano in assoluta povertà e talora richiedevano l’intervento del Duca per essere soccorse nelle loro ristrettezze. All’inizio del Seicento invece incominciò per loro un periodo di maggiore floridezza, perché incominciarono a possedere case e terreni o portali dalle novizie o avuti in eredità da notabili della città ed, a seguito di frequenti e notevoli elargizioni, anche di interi patrimoni. In questo periodo il numero delle monache era rilevante fino a raggiungere il numero di 45. Però durante guerre ed assedi, il numero diminuiva considerevolmente fino a ridursi a 4 o 5. Notizie più dettagliate si possono avere leggendo le “Memorie storiche valenzane”, del Gasparolo, valente ricercatore negli archivi della città. Da parte nostra invece privilegiamo le notizie relative al trasferimento di sede e la costruzione del tempio che è argomento della nostra ricerca. Infatti, nel 1600, durante l’assedio, il monastero fu quasi completamente demolito dalle bombe e le monache si ricoverarono in un primo tempo provvisoriamente presso l’ospedale del Santissimo, così detto perché di proprietà della compagnia del SS. allora molto fiorente in città. Notarono però che, ad assedio ultimato, non era possibile far ritorno nel loro monastero, quasi distrutto, con conseguente necessità di provvedere alla ricostruzione che nello stesso sito era però impossibile, perché il governo del momento aveva deliberato di occupare una grande parte del sedime del monastero per erigere nuove fortificazioni; bisognava quindi ricercare in un’altra parte della città la loro abitazione. Accettarono quindi in cambio il locale dell’ospedale, a cui era annessa una vecchia chiesa. Le monache però richiesero un indennizzo per la parte distrutta e si rivolsero al magistrato che, fatta effettuare la stima, sentenziò doversi versare alle monache la somma di L. 9.390. L’abitazione accettata non aveva le comodità dell’antico monastero, ma esse si adattarono alla meglio e cominciarono invece a considerare la possibilità di costruire una nuova chiesa, essendo la vecchia molto degradata e quasi inagibile. La nuova chiesa Non si conosce il nome di chi eseguì i disegni. Benché Valenza a quel tempo risentisse, nel costume e nel gusto, del lungo e non ancora cessato dominio lombardo-spagnolo, le caratteristiche stilistiche e l’impiego dei materiali propendono assai a farla ritenere opera di artista piemontese che doveva avere presenti le linee del Guarini, e, poiché la costruzione dovette, poco dopo la posa della prima pietra avvenuta, come dice il Gasparolo, nel luglio del 1699, subire una prima sospensione dei lavori, il progettista o chi diresse in seguito l’opera, “ebbe probabilmente commerci culturali – non solo da orecchiante – con appartenenti al gruppo dei juvariani, se non il maestro stesso” come afferma con convinzione il prof. Alfo Volmi, esimio docente nell’Istituto Statale d’Arte di Valenza, il quale prosegue: “A ciò si è indotti a credere non solo per le belle ed armoniche proporzioni dell’insieme sia dell’interno come della facciata, ma anche per la delicatezza dei profili delle modanature”. È a pianta centrale con transetto appena segnato dalle due opposte cavità nelle quali trovano posto, a destra e a sinistra di chi entra, due altari in stucco di semplice architettura denunciante la costruzione coeva dell’edificio. Una ben voltata cupoletta che si innalza per diciotto metri copre il centro di questa prima parte dell’edificio nel qual trova ben risalto l’altare maggiore in marmo, corredato da buon gioco prospettico trovato da chi, senza essere un grande artista, decorò la sovrastante volta al principio del secolo scorso. Ai lati dell’altare maggiore appaiono due finestrelle munite d’inferriata destinate a permettere alle suore agostiniane di clausura di poter assistere, senza essere viste, alla celebrazione della messa nell’aula principale. Sono ancora intatte non avendo subito alcun danno nel tempo. Dietro l’altare maggiore un grande e ben conservato coro era riservato alle suore dell’annesso monastero, demolito nella metà del secolo scorso per permettere la costruzione di due condomini e della scuola materna. Per l’ingresso al grande coro rettangolare, per tanto tempo trascurato, si presta un passaggio laterale che introduce anche nella sacrestia della chiesa. L’altare maggiore è dedicato alla Vergine Annunziata, titolare della Congregazione, rappresentata in un quadro di buona fattura; l’altare a destra di chi entra è dedicato a S. Giuseppe (come nella antica chiesa distrutta) con la statua di S. Rocco, titolare della Confraternita; quello a sinistra è dedicato a S. Camillo (di dedica più recente) con la statua del contitolare S. Sebastiano. Lodevole è stato il provvedimento dell’amministrazione della Confraternita di S. Rocco “che ha il ben di poter officiare le sue funzioni religiose in un edificio non comune in tutta la provincia” di acquistare ed adattare alla soglia dell’arco trionfale di accesso all’altare maggiore, la bella settecentesca balaustra in marmo a più colori, già eretta nella bella demolita chiesetta seicentesca di S. Giacomo maggiore in via Cavour. Il prezzo dell’acquisto fu di centomila; la rimozione e l’installamento nella nuova sede fu concordato in lire ottantamila. A sinistra della facciata si eleva un campanile pure barocco dalle linee non meno mosse di quelle della chiesa dell’altezza di metri venticinque, ristrutturato con la facciata nell’anno 1984/85. Si accede alla cella campanaria a mezzo di una scalinata a spirale, nell’interno del campanile, formata da gradini in pietra, direttamente infissi nel muro, di notevole effetto scenografico. La facciata della chiesa è in stile barocco, con mattoni a vista e delicate modanature. La pianta è a croce greca con i quattro bracci uguali. Su un’ampia cantoria sopra la porta di ingresso è collocato l’organo racchiuso in cassa di legno addossata alla parete. Raggiungibile mediante un’apertura grigliata posta nel corridoio a fianco del coro, è la cripta posta sotto l’altare maggiore, la cappelletta della Madonna di Lourdes e la sacrestia, che serviva da sepolcreto delle suore di clausura che abitavano il monastero adiacente. Possono essere di particolare pregio una tela secentesca raffigurante il compatrono S. Sebastiano, una tela raffigurate S. Carlo Borromeo, altra con S. Carlo e Sant’Agostino, gravemente danneggiata, ed altre di minor pregio artistico esposte alle pareti del coro della chiesa. Il monastero delle suore della SS. Annunziata fu soppresso nel 1802 ed i locali vennero dati in uso agli impiegati del comune, ma la chiesa in buone condizioni di conservazione ed ancora nuova, fu rispettata, anche perché il comune non necessitava di altri locali e perché potesse ancora officiare, fu data in concessione alla Confraternita di S. Rocco, alla quale già nel 1557 troviamo unita, mentre il titolo di S. Sebastiano appare la prima volta in un atto del 7 luglio 1585. La Confraternita però continuò a risiedere fino al gennaio 1838 nell’antica e sua primitiva chiesa posta in via Goito, in condizioni di quasi inagibilità; in detto anno si trasferì in piazza Statuto nella chiesa del soppresso convento dei Cappuccini dopo che il tempio fu restaurato e ceduto dal Can. Canalini. Il prevosto Marchese però cercò di farsi assegnare la chiesa dell’Annunziata come sussidio della parrocchia, ma il suo progetto non ebbe corso. Altri tentativi furono fatti dalla Congregazione della carità che la richiese con il monastero a proprio favore nel 1825, ma anche questo tentativo fallì. Soltanto nel 1835 monastero e chiesa vennero dati ai padri Crociferi di S. Camillo i quali stettero fino al 1866 anno della loro soppressione. Pervenne, per la seconda volta, alla Confraternita di S. Rocco dal Municipio di Valenza in forza dell’atto di permuta 3 ottobre 1868 del notaio Serpentino, con il quale atto la Confraternita cedeva, in cambio, al Municipio la chiesa del soppresso convento dei Cappuccini, in piazza Statuto. L’edificio sacro (con il monastero demolito) ha interesse storico-artistico ed è soggetto ai vincoli citati agli art. 5 e ss. della Legge 20 giugno 1909 n. 364 e art. 1 della Legge 23 giugno 1912 n. 688 per essere stato dichiarato tale con atto di notifica 29 dicembre 1921, attestando la costruzione nel secolo XVII. La chiesa è provvista di una buna dotazione di arredi sacri e suppellettili in genere. Buona parte di essi provengono dalla soppressa Congregazione dei Camillini, oggetti tutti che il Municipio, già rilevatario di chiesa e convento, cedeva con la chiesa stessa alla confraternita nel 1868. L’amministrazione della Confraternita, nella seconda metà di questo secolo, ha ristabilito la funzionalità della chiesa con la celebrazione della messa festiva. Nel 1950, con alquanta difficoltà finanziaria, provvedeva al rinnovo della campana, poiché la precedente, che risaliva al 1907, presentava una fessura che ne rendeva sgradito il suono. La spesa sostenuta, altre alla cessione del bronzo di quella vecchia alla ditta fornitrice, fu di L. 43.500 comprese le spese di rimozione della campana rotta e la spesa della nuova sul campanile. Occorreva però realizzare il restauro di tutto l’interno ed esterno dell’edificio che presentava considerevole degrado, incominciando dalla sostituzione dei banchi per i fedeli, avvenuta nel 1958. Si attendeva intanto che maturassero i tempi per dare inizio al grande progetto. Con il benevolo interessamento dell’amministrazione comunale del tempo, e il provvidenziale aiuto del Vescovo, Mons. Giuseppe Almici, che, informato delle intenzioni dell’amministrazione della Confraternita, personalmente volle rendersi conto della situazione e dell’opportunità di provvedere ai restauri. Si interessò per la ricerca del restauratore degli affreschi nella persona del Maestro Piero Vignoli, al quale conferì l’incarico per il ripristino delle decorazioni e la tinteggiatura di tutto il complesso. Il suo successore, Mons. Ferdinando Maggioni, partecipò all’inaugurazione solenne del restaurato edificio il 30 novembre 1980, plaudendo al compimento dell’opera che ha riportato il tempio alle primitive artistiche condizioni. Infatti furono sostituiti i telai di tutte le finestre e posti vetri adatti, rifatti gli intonaci della cupola e delle pareti della chiesa e del coro, scavata un’intercapedine della profondità di 70 cm per il risanamento e la posa del nuovo pavimento in cotto, in sostituzione di quello primitivo molto deteriorato, installata una rete di distribuzione del gas metano per il riscaldamento con una spesa complessiva di L. 78.437.540. In tempi successivi poi si sono realizzati i restauri esterni della cupola, del campanile e della facciata principale con ripulitura del bellissimo portale di ingresso. Dal 1988 la chiesa della SS. Annunziata è stata dichiarata sede spirituale del Corpo dei Vigili urbani, poiché in essa si onora il patrono del Corpo, S. Sebastiano, la cui statua fu scolpita e benedetta in occasione del 120° anniversario di fondazione del Corpo e la ricorrenza viene ricordata, con funzione particolare, il 20 gennaio di ogni anno.