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La genetica dell’atopia
Mauro Baldini, Lucia Boselli, Grazia Fenu, Matteo Giampietri, Giovanni Paci
Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, Clinica Pediatrica II, Università di Pisa
[email protected]
Introduzione
togenesi dell’atopia (es. Interleuchina- (IL-) 4 e IL-13,
note per essere i principali fattori dello switch isotipico che porta alla sintesi delle IgE. Nel secondo, si utilizza la strategia del linkage tra markers microsatelliti
(segmenti di DNA di sede cromosomica nota e di lunghezza variabile, così da fornire un pool molto variabile di alleli con elevato livello di eterozigoti nella popolazione) e fenotipo di studio (es. livelli di IgE totali)
nel tentativo di individuare aree cromosomiche che
siano sedi di geni coinvolti nella modulazione di quel
fenotipo. Le regioni cromosomiche che hanno fornito un segnale di linkage replicato in più studi sono
2q, 3q, 5q, 6p, 7q, e 12q per le IgE totali sieriche, 3q,
4q, 6p, 11q e17q per l’atopia e 15q per la conta degli
L’atopia è una tendenza familiare o individuale a produrre anticorpi IgE in risposta a basse dosi di antigeni
(solitamente proteine) e, di conseguenza, a sviluppare tipiche manifestazioni cliniche come l’asma, la rinocongiuntivite, o la dermatite atopica. Nell’atopia è indubbio che i fattori genetici giochino un ruolo importante. Sfortunatamente, la caratterizzazione e la comprensione dei meccanismi propri della predisposizione genetica all’atopia è complicata dal fatto che essa
è una condizione genetica complessa, con coinvolgimento di molteplici geni che singolarmente contribuiscono in modo parcellare all’effetto fenotipico complessivo, come è caratteristico delle malattie poligeniche come l’asma, il diabete, l’ipertensione arteriosa e
la schizofrenia. Un’ulteriore complicazione allo studio
della genetica dell’atopia può derivare dal fenomeno
della eterogeneità genetica, per il quale geni diversi,
in gruppi etnici diversi, possono essere responsabili
dell’espressione del medesimo tratto fenotipico.
Infatti, negli ultimi anni si è compreso che nessuno
dei geni che sembrano contribuire alla patogenesi
dell’atopia è un “gene dell’atopia” in tutte le popolazioni e che è inoltre cruciale considerare il contesto
ambientale anche negli studi genetici. Infatti, la variabilità legata alle interazioni tra geni ed ambiente
è tale da proporre scenari nei quali una determinata mutazione può aver effetti opposti a seconda del
contesto di esposizione ambientale nel quale la si osserva.
Individuare i “geni di malattia”
La ricerca di varianti genetiche in grado di modulare la risposta IgE è tuttora molto intensa e si basa
sia sull’approccio del “gene candidato”, sia sugli studi di linkage seguiti da positional cloning. Nel primo
caso, la ricerca si orienta su geni già identificati e la
cui funzione sia plausibilmente coinvolta nella pa-
Otranto - Daniele Bove
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eosinofili del sangue periferico 1. Una volta ottenuto
un segnale di linkage, si concentra l’attenzione sull’area cromosomica così individuata e, con tecniche
di positional cloning, si cerca di scoprire il gene responsabile del suddetto segnale di linkage; ci si basa
cioè semplicemente sulla conoscenza della posizione del gene nel genoma senza avere alcuna idea sulla funzione del gene stesso (poiché questo è il cammino opposto a quello tradizionalmente impiegato
nella genetica classica, viene spesso definito come
“reverse genetics”).
Indipendentemente da come si arrivi ad individuare il
gene da studiare, il passo successivo è indagare se tale gene presenti delle mutazioni che possano essere
associate alla malattia di interesse. Le varianti più comuni sono i polimorfismi dei singoli nucleotidi (SNP),
caratterizzati dalla possibilità di avere uno di due diversi alleli ad un determinato locus (al contrario della
stragrande maggioranza dei loci del genoma umano,
che hanno identici alleli conservati e trasmessi immutati su entrambi i cromosomi omologhi).
La nomenclatura degli SNP prevede l’uso del segno
“–” in caso di SNP nel promoter (regione deputata alla trascrizione del DNA in mRNA) e del segno “+” in
caso di SNP che interessi la regione che codifica per
la proteina, [caratterizzata dalla sequenza di esoni ed
introni (coding region)] e la regione regolatoria immediatamente seguente alla coding region. In altre parole, se un gene è lungo 3.000 coppie di basi (la coppia
di basi è l’unità di misura della lunghezza del DNA;
in questo esempio, significa che alle 3.000 basi di un
filamento si contrappongono le 3.000 basi del filamento complementare secondo la regola della corrispondenza A:T e G:C nella doppia elica del DNA) ed
ha un promoter di 1.200 coppie di basi, le posizioni
dei 3.000 singoli loci di quel gene si conteranno in
una sequenza lineare da -1200 a -1 per il promoter e
da +1 a +1.800 per la regione codificante la proteina.
Al segno ed al numero della base del locus dove si localizza l’SNP fa seguito una coppia di lettere indicanti
l’allele wild-type (prima) e quello “mutato” (dopo): per
esempio, -570CT significa che nel promoter del gene,
in posizione -570 (se ho la sequenza del gene, partendo da -1, cioè dalla ultima base del promoter, risalirò la sequenza contando da destra verso sinistra fino a 570) posso trovare nella popolazione non solo il
più comune allele C, ma anche l’allele T.
Ne consegue che la popolazione potrà essere stratificata in tre gruppi (omozigoti per l’allele wild-type CC,
eterozigoti CT ed omozigoti per l’allele mutato TT):
la significativamente maggiore distribuzione di un
particolare tratto fenotipico (es. elevati livelli di IgE)
all’interno dei gruppi che recano l’allele mutato può
indicare che tale allele è l’“allele di malattia” (es. atopia).
Sebbene questo approccio abbia identificato geni ad
elevata probabilità di contribuire allo sviluppo dell’infiammazione allergica nell’uomo 2, esistono molte
difficoltà nell’inquadrare il contributo relativo degli
stessi. Non solo per il fatto che ogni gene coinvolto
probabilmente contribuisce solo in modo parcellare
all’effetto fenotipico, ma anche perché, nell’ambito di
ciascun singolo gene, spesso esistono più SNPs presenti in gruppi in stretto linkage disequilibrium (LD)
(tanto più stretto quanto minore è la distanza tra
SNPs sul cromosoma), rendendo molto difficile distinguere quale SNP sia in realtà responsabile dell’effetto fenotipico di quel particolare gene.
Indagare gli effetti biologici delle
varianti geniche
IL-13 fornisce un eloquente esempio di entrambe
queste difficoltà. IL-13, citochina prodotta dalle cellule Th2, è un mediatore di fondamentale importanza
nell’infiammazione allergica ed è in grado di indurre
isolatamente le principali alterazioni riscontrabili nei
modelli sperimentali di asma. IL-13 promuove l’iperreattività bronchiale indotta dagli allergeni, il danno
cellulare dell’epitelio, l’iperplasia delle cellule mucipare e l’eosinofilia. Tutti questi effetti sono mediati
dall’interazione di IL-13 con il recettore di IL-4 (IL-4R)
e dalla successiva fosforilazione del fattore di trascrizione noto come “signal transducer and activator of
transcription (STAT) 6” 3. IL ruolo centrale di IL-13 nell’infiammazione allergica è stato ulteriormente avvalorato dalla scoperta che IL-13 è secreta non solo dalle
cellule T, ma anche da altri tipi cellulari e soprattutto
dagli eosinofili. Queste cellule, reclutate nel polmone
attraverso l’azione combinata, Th2-dipendente, di IL5 e di eotaxins rilasciate da cellule epiteliali, sono una
fonte importante di IL-13 e della conseguente diretta capacità di questa molecola di innescare iperreattività bronchiale ed aumento della flogosi allergica a
livello del polmone 3. Il locus IL-13 situato sul braccio lungo del cromosoma 5q contiene un blocco di
SNPs in quasi completo LD: +1923CT nel terzo introne, +2044GA nel quarto esone, e +2525GA, +2580CA,
e +2749CT nella regione regolatoria immediatamente seguente alla coding region. Due SNPs nel promoter (-1512AC e -1112CT) sono anch’essi in forte LD,
sebbene non completo, con gli SNPs più distali 4. Data l’importanza di IL-13 nell’infiammazione allergica,
non sorprende che siano state osservate associazio-
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zione di STAT6 nei monociti e lo switching isotipico
delle IgE nelle cellule B 5. Questi risultati dimostrano che IL-13+2044GA è un polimorfismo funzionale,
poiché la sostituzione aminoacidica indotta dal cambio di nucleotide G/A modifica le proprietà biologiche di IL-13, incrementandone alcune funzioni. Inoltre, suggeriscono che gli SNPs nella coding region
di IL-13 possono giocare un ruolo particolarmente
importante nell’attribuire un’aumentata suscettibilità all’allergia e potrebbero anche essere un futuro
target terapeutico. Si deve comunque sottolineare
che questi risultati non ci dicono se IL-13+2044GA
sia l’unico SNP funzionale nel gruppo di SNPs in LD
che interessano la coding region e la regione regolatoria ad essa immediatamente seguente, i quali dovranno essere anch’essi studiati funzionalmente per
valutarne l’eventuale ruolo nel contribuire al rischio
di sviluppare infiammazione allergica.
ni tra SNPs di IL-13 e fenotipi correlati all’allergia. IL13+2044GA è fortemente associato con elevati livelli
di IgE totali nel siero, asma, atopia, dermatite atopica e con un fenotipo inclusivo di eosinofilia, valori di
IgE totali e positività a skin prick test 2. IL13-1112CT è
associato con asma, iperreattività bronchiale e e con
positività ai prick test, IgE totali e sensibilizzazione a
cibi e allergeni outdoor 2.
L’associazione tra infiammazione allergica e polimorfismi di IL-13 è complessivamente molto stretta e, cosa molto importante, è stata replicata in vari studi eseguiti su popolazioni di varie etnie 2. Tuttavia, l’identificazione dei meccanismi che sottendono queste associazioni è resa molto complicata dalla presenza dell’esteso LD che caratterizza questi polimorfismi. Questo fenomeno non consente di distinguere se una variante genica giochi un ruolo causale nella determinazione del fenotipo o se sia invece meramente, per
quanto fortemente, ad esso associata. Ne consegue
che volendo individuare, nel gruppo degli SNP in LD,
quello realmente in grado di modificare l’espressione
o la funzione del gene e decifrare i meccanismi molecolari attraverso i quali la variabilità genetica aumenta
la suscettibilità alla infiammazione allergica, non possiamo prescindere da studi di natura funzionale.
SNPs di significativa frequenza si ritrovano in ogni
elemento funzionale del gene e possono quindi in
teoria modulare la funzione della proteina, la trascrizione e la stabilità dell’mRNA ed anche la struttura
della cromatina. Tuttavia, gli studi funzionali su IL13 si sono focalizzati soprattutto sugli SNPs localizzati nella coding region. In particolare, la variante IL13+2044GA situata nel quarto esone del gene è di
particolare interesse perché determina una diversa
lettura del codice genetico, con conseguente significativa diversità nella struttura della proteina. Infatti, se nella posizione +2044 del gene IL-13 è presente l’allele G si otterrà una catena proteica che in posizione 130 ha l’aminoacido Arginina (R) caratterizzato da una carica positiva; se invece è presente l’allele A, la catena proteica avrà in posizione 130 un
aminoacido neutrale come la Glutamina (Q) 4. La sostituzione aminoacidica ha luogo nella alfa (a)-elica D, la regione di IL-13 che sembra interagire con
il complesso recettoriale IL-4Rα/IL-13Rα1. Ciò potrebbe determinare una diversa affinità recettoriale
e, conseguentemente, una variabile espressione degli eventi di signaling cellulare dipendenti da IL-13.
Confrontando direttamente l’attività di IL-13 wildtype e di IL-13R130Q espresse in forma ricombinante, è stato osservato che, a concentrazioni comprese
ampiamente nel range fisiologico, IL-13R130Q è significativamente più attivo nell’indurre la fosforila-
L’importanza dell’interazione geni-geni e
geni-ambiente
Nel gruppo degli SNPs del promoter, si è osservato
che IL-13–1112CT induce aumento della trascrizione
di IL-13 in cellule CD4+Th2 6 e tale effetto potrebbe sinergizzare con quello descritto per IL-13+2044GA, in
un quadro di interazione tra SNPs nello stesso gene
che potrebbe essere ulteriormente amplificato dalla
interazione tra geni diversi ma coinvolti nell’ambito
di una complessa via patogenetica comune.
È stato infatti dimostrato che la suscettibilità a sviluppare asma è marcatamente più alta in soggetti che
presentano l’associazione combinata di SNPs sia per
il gene di IL-13 sia per i geni dei suoi recettori (IL-4R,
IL-4RA) 7 8. Essendo le malattie genetiche complesse
la risultanza di combinazioni e interazioni di piccoli difetti genici piuttosto che di singole maggiori alterazioni geniche, il decifrare il relativo contributo
di questi difetti alla patogenesi dell’atopia, non può
non andare oltre il semplice approccio di studiare “un
gene alla volta” sinora generalmente utilizzato. Ci sarà sempre più bisogno di investigare più geni integrati contemporaneamente nell’ambito di un design
di via patogenetica comune.
Se è indispensabile ragionare in termini di interazioni
tra geni piuttosto che di singoli effetti genici, è ancor
più imperativo considerare che gli effetti potenziali di
tali geni non possono prescindere dal contesto ambientale nel quale essi operano. E quando si parla di
contesto ambientale, si deve considerare il termine in
una accezione molto ampia, che spazia dalle esposizioni più grossolane e immediatamente comprensibi-
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li (es. dieta, fumo di sigaretta, inquinamento atmosferico) a quelle più sottili e in qualche modo criptiche
(es. diverso microambiente dei diversi tipi cellulari in
cui le stesse varianti geniche si trovano ad operare).
La ricerca su CD14, il gene che codifica per il recettore del lipopolisaccaride batterico (LPS, principale costituente della parete dei batteri Gram negativi e noto anche come endotossina) espresso su macrofagi e
monociti, può fornire un esempio della complessità
dell’interazione tra geni ed ambiente 9.
Lo studio di CD14 è stato promosso da due considerazioni. La prima è che CD14 si trova sul braccio lungo
del cromosoma 5, un’area riportata più volte come sede di linkage con tratti fenotipici come elevati livelli di
IgE totali, asma e iperreattività bronchiale 2. La seconda è che CD14 poteva rientrare in una via patogenetica proposta per spiegare le basi biologiche della cosiddetta “ipotesi igienica”. Tale teoria, prendendo spunto
dalla osservazione epidemiologica di una inversa relazione tra marker di pressione infettiva e prevalenza di atopia riscontrata nel mondo occidentale negli
ultimi decenni, suggerisce che le abitudini di vita dei
paesi “occidentalizzati” improntate al perseguimento
del miglioramento delle condizioni igieniche abbiano ridotto significativamente l’esposizione ad agenti infettivi 10. È stato ipotizzato che tale “deprivazione”,
specialmente durante le epoche più precoci della vita, possa avere un ruolo favorente il consolidamento
della risposta immunitaria orientata naturalmente alla
nascita verso il fenotipo immunologico Th2, favorendo il successivo sviluppo delle malattie allergiche, tipicamente contraddistinte dalla prevalente espressione di pattern citochinico di tipo Th2 (IL-4, IL-13) e la cui
prevalenza nel terzo mondo, al contrario di quella delle malattie infettive, è quasi trascurabile 11. È stato dimostrato che l’esposizione precoce a derivati microbici quali LPS è in grado di stimolare la produzione di
IL-12 da parte di cellule presentanti l’antigene come
le cellule dendritiche 12; tale evento rappresenterebbe
un passaggio critico nella differenziazione delle cellule T-helper (Th) di memoria, orientandone la risposta
nei confronti dell’antigene in senso prevalentemente
Th-1 con produzione di un pattern citochinico con prevalenza di risposte di tipo Interferon- (IFN-) a e conseguente minor probabilità di sviluppare atopia.
Dal momento che CD14 contribuisce a captare LPS
e ad innescare la risposta immunitaria di tipo innato
delle cellule dendritiche, abbiamo ipotizzato che una
sua eventuale variabilità genetica avrebbe potuto
dettare diversi livelli di attività della via patogenetica
suddetta, modulando anche l’espressione fenotipica
(es. livelli di IgE totali). Questo fu il presupposto del
nostro lavoro che individuò un SNP (CD14 C-159T, poi
ribattezzato CD14 C-260T) nel gene di CD14, osservandone l’associazione con variabili livelli di espressione della proteina CD14 solubile e con i livelli di
IgE totali 13 in un campione di bambini reclutati nell’ambito di uno studio longitudinale sui fattori di rischio per asma e malattie allergiche in Tucson, Arizona, USA 14. Osservammo che gli omozigoti per l’allele
T avevano valori più elevati di CD14 solubile nel siero
e che esisteva un rapporto direttamente proporzionale con le risposte IFN-a e inversamente proporzionale con le risposte di tipo IL-4, identificate rispettivamente come marker di risposta Th-1 e Th-2. Inoltre, i
soggetti omozigoti per l’allele T presentavano valori
di IgE totali sieriche significativamente minori rispetto agli altri due gruppi (eterozigoti, omozigoti per l’allele C). Un successivo studio funzionale dimostrò che
il polimorfismo CD14 C-159T era il responsabile della osservata diversa espressione del gene. La presenza dell’allele T piuttosto che dell’allele C determinava
una diversa affinità di legame del promoter del gene
con fattori di trascrizione della famiglia Sp 15.
In particolare, si osservava in cellule della linea monocitica-macrofagica una ridotta affinità di T per Sp3,
che agisce da repressore della trascrizione. Ma il dato più interessante fu il riscontro di una espressione
sostanzialmente equivalente tra gli alleli T e C negli
epatociti. In queste cellule, la concentrazione del repressore Sp3 predomina su quella dell’attivatore Sp1
al punto che il rapporto Sp3/Sp1 è tale da soffocare la ridotta affinità recettoriale dovuta al polimorfismo. Pertanto, oltre a confermare che il cambio di
una singola base è sufficiente ad alterare l’attività di
un promoter, questi studi hanno dimostrato che l’effetto funzionale di un SNP in un promoter può anche
essere modulato dal rapporto complesso, tessutospecifico, tra il microambiente cellulare (fattori di trascrizione nucleare) al quale il promoter è esposto e
la sequenza genetica (SNPs), configurando una sorta
di interazione genetica-ambiente addirittura a livello
intracellulare.
Una conseguenza immediata di questi studi funzionali su CD C-159T è che lo stesso SNP potrebbe determinare diversi pattern di espressione se il gene è
espresso in tempi diversi e in diversi tipi cellulari nei
quali il tipo dei fattori di trascrizione, la loro ratio od
entrambe non siano equivalenti. Si avrebbe pertanto
una situazione nella quale lo stesso SNP potrebbe essere associato ad effetti fenotipici diversi, a seconda
delle esposizioni ambientali a cui è sottoposto.
Detto questo, non sorprende quindi che la associazione di CD14C-159T con IgE totali od altri fenotipi associati all’atopia non sia stata unanimemente
confermata. Ciò che invece è più sorprendente è
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che in un paio di studi (su una comunità di allevatori e su lavoratori di un istituto dove si allevano cavie
da laboratorio) si è osservato che l’allele T, anziché
essere protettivo nei confronti dello sviluppo di atopia, determinava un rischio maggiore di presentare
atopia 16.
Questo dato contraddittorio ha suggerito la possibilità che CD14 C-159T interagisca con livelli ambientali
di LPS (molto elevati nella realtà dei due studi appena citati) nel determinare rischio di (o protezione da)
sviluppo di atopia.
Del resto, recenti esperimenti su cavie hanno dimostrato che la quantità di LPS somministrata al momento della sensibilizzazione allergica è l’unica variabile del profilo di differenziazione immunologica
in senso Th1 piuttosto che Th2 17.
Questa ipotesi è stata recentemente suffragata da
uno studio condotto su bambini delle Barbados, nei
quali il genotipo TT era protettivo nei confronti dello
sviluppo di asma se vivevano in ambienti con bassi livelli di esposizione all’LPS nella polvere di casa, mentre era associato con maggiore rischio di asma nei
bambini esposti ad elevati livelli di LPS 18. Sulla stessa falsariga anche i risultati ottenuti nell’ambito dello studio Allergy and Endotoxin Study Team (ALEX) nel
quale è stato osservato che l’allele CD14 -159 C era
associato con elevati livelli di IgE totali e di IgE specifiche per aeroallergeni nei bambini che avevano un
contatto regolare con gli animali domestici, mentre
una associazione opposta era presente nei bambini
che avevano un regolare contatto con animali da fattoria. Questo effetto modificatore dell’esposizione a
due tipologie diverse di animali non era spiegato da
livelli diversi di endotossina misurata nella polvere
di casa. Comunque, nei bambini con più alti tassi di
esposizione all’endotossina della polvere di casa, l’allele CD14 -159 C era associato a più bassi livelli di IgE
specifiche indipendentemente dall’esposizione agli
animali 19.
In conclusione, sembra possibile che uno stesso polimorfismo genetico sia in grado di promuovere addirittura effetti fenotipici opposti a seconda dell’esposizione ambientale nella quale lo si studia. Questo deve indurre a considerare assolutamente imprescindibile la attenta analisi delle esposizioni ambientali che
possono modulare il rapporto tra genotipo e fenotipo in uno studio di associazione.
ce delle esposizioni ambientali, essa non riesce comunque a superare un ostacolo insormontabile. Se si
osserva l’andamento epidemiologico delle malattie
allergiche, si può notare che il rapido aumento della loro incidenza si è verificato soprattutto nelle ultime decadi. Tale dato non si può ragionevolmente imputare ad una inappropriata o sottostimata diagnosi
nel passato, e si spiega con difficoltà con i tempi della genetica classica, poiché non vi è stato sufficiente
tempo perché l’insorgenza di nuove mutazioni possa giustificare l’incidenza attuale dell’atopia. L’epigenetica può aiutare a fornire il paradigma che ci consente di integrare gli effetti della genetica e dell’ambiente in una cornice temporale consistente con i dati epidemiologici.
Le cellule degli organismi pluricellulari sono geneticamente identiche ma funzionalmente eterogenee a
causa di pattern diversi di espressione genetica. Molte di queste differenze insorgono durante lo sviluppo e sono poi mantenute attraverso la mitosi. Questo
tipo di alterazioni stabili sono dette “epigenetiche”
poiché sono ereditabili nel breve periodo ma non implicano mutazioni del DNA e sono quindi potenzialmente reversibili.
La regolazione epigenetica dell’espressione di un gene è un processo dinamico e lo stato epigenetico di
un gene può cambiare. Questa abilità a cambiare ed
adattarsi in risposta a stimoli ambientali risiede nella modificazione post-sintetica del DNA stesso (per
esempio per metilazione) 20 o di proteine ad esso intimamente associate (acetilazione, metilazione, fosforilazione degli istoni) 21. La parziale stabilità e la plasticità della regolazione epigenetica ne fa un potente strumento per comprendere caratteristiche delle
malattie genetiche complesse altrimenti non spiegabili con la genetica tradizionale 22. Per esempio può
spiegare la discordanza fenotipica spesso osservata
tra gemelli monozigoti (dal 30% al 50% per il diabete,
25% per l’asma), la diversità nell’età di esordio della
malattia e le fluttuazioni nella severità della stessa.
Molto poco si sa riguardo all’interfaccia tra epigenetica ed ambiente. Tuttavia, alcune recenti scoperte nel modello murino hanno indicato la possibilità
che fattori dietetici possano influenzare la metilazione del DNA, uno dei meccanismi di controllo dell’epigenetica 23. Altro controllo epigenetico sembra essere rappresentato dalle Heat Shock Proteins (HSP), proteine in grado di reprimere l’espressione di geni mutati. Nella Drosophila Melanogaster, l’inattivazione di
HSP90 determina l’insorgenza di una varietà di alterazioni fenotipiche dovute a mutazioni silenti accumulate nel tempo dal moscerino, ma in qualche modo rese incapaci di esprimersi grazie a HSP90 24.
Epigenetica: la nuova frontiera
Tuttavia, nonostante l’abilità della “ipotesi igienica” di
integrare dati genetici ed epidemiologici nella corni-
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Conclusioni
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Comprendere il ruolo delle interazioni gene-gene e
gene-ambiente nell’infiammazione allergica IgE mediata così come in tutte le altre condizioni genetiche
complesse non sarà facile e richiederà la costruzione di un network sperimentale che sia in grado di integrare strategie diverse ma complementari. È infatti
assolutamente essenziale porsi l’obiettivo di integrare l’epidemiologia con la genetica e allargare ulteriormente l’orizzonte alla frontiera dell’epigenetica; inoltre, per superare le difficoltà intrinseche degli studi
genetici sull’uomo (per esempio la difficoltà di reclutare popolazioni numericamente sufficienti ad ottenere power statistico adeguato e comparabili in termini di esposizioni ambientali) non si potrà fare a meno di ricorrere a modelli transgenici basati su animali
da esperimento sui quali studiare gli effetti della variabilità genetica umana.
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