Corso di Laurea:
SERVIZI SOCIALI
Modulo didattico (CFU: 6):
Psicologia Sociale e della Devianza
DISPENSE
Docente: Prof.ssa Stefania Attanasio
Emali: [email protected]
a.a. 2010-11
Psicologia Sociale e della Devianza
Prof. Stefania Attanasio
CFU 6
Testo d’esame:
Palmonari A., Cavazza N., Rubini M. (2002) Psicologia Sociale. Il Mulino, Bologna
Patrizi P., De Gregorio E. (2009) Fondamenti Di Psicologia Giuridica. Il Mulino, Bologna
(Escluse pag 69-96)
Ausili Didattici
Obiettivi del corso
Il corso si propone di presentare e sistematizzare i principali costrutti di psicologia sociale,
attraverso una puntuale ricostruzione degli aspetti teorici e applicativi più rilevanti, e di esplicitarne
il valore in termini di categorie teoriche che hanno contribuito allo studio del comportamento
deviante.
Lo studio della psicologia sociale sarà funzionale e supportivo a quello della psicologia giuridica
che definisce il fenomeno deviante analizzandone le diverse dimensioni: comportamentali,
normative e sociali.
Verrà, infine, approfondita la dimensione comportamentale della devianza analizzando nello
specifico i processi psicologici che sottendo i comportamenti criminali e che evidenziano la matrice
psico-sociale di tali atti.
Alcune definizioni
Psicologia sociale: È una disciplina legata al dominio tradizionale delle psicologie.
Studia i modi e le forme dell’articolazione tra il mondo psichico e quello sociale
Sul piano metodologico la P.S. è nata come disciplina dell’indagine sul campo e della ricerca sul
terreno. Utilizza l’intervista, i questionari, tecniche proiettive, l’osservazione, esperimenti sul
campo o in laboratorio
Psicologia giuridica: Settore emergente della psicologia contemporanea.
Si interessa dei problemi che riguardano il rapporto dell’individuo o delle collettività con la legge,
intesa non solo come presupposto o applicazione della giustizia, ma anche come fondamento della
convivenza e come punto di riferimento dell’agire sia di coloro che vivono in conformità ad essa sia
di coloro che, invece, si comportano in modo deviante rispetto ad essa.
Devianza: È una condotta di una persona o di un gruppo che viola le aspettative di ruolo, le norme
sociali e i valori della maggioranza dei membri di una collettività e che per questa ragione suscita
una qualche forma di reazione sociale.
§ è un atto, un’azione, anche verbale
§ è relativo ad uno specifico contesto normativo
§ produce una reazione sociale.
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LA COGNIZIONE SOCIALE
Dal Palmonari-Cavazza-Rubini Pag 16-22 (cap.1)
La Social Cognition è una proposta teorica, un approccio empirico e concettuale, rappresentata da
un insieme di modelli destinati a studiare e comprendere fenomeni psicosociali di diversa natura e
complessità.
Focus: strutture cognitive interessate nel giudizio e nel comportamento sociale e dei processi
mediante i quali tali strutture operano.
Le strutture cognitive sono la base per la formulazione di giudizi e per l’attivazione di
comportamenti.
Le strutture cognitive sono gli schemi
La strutture cognitive operano mediante diversi processi: euristiche; attribuzioni causali; inferenze
causali; covariazione; atteggiamenti
I principi base della Social Cognition sono:
1. La realtà non esiste indipendentemente dalla mente che la percepisce e la modella: l’individuo è
un elaboratore attivo di informazioni (Kant, Lewin)
soggetto passivo à soggetto attivo
2. I diversi elementi sono raccolti, nella mente, in unità di significato (approccio olistico) che
servono a darci un senso che và oltre la loro somma
approccio elementaristico à approccio olistico
3. Approccio genotipico à approccio situazionistico
4. Cognizione e motivazione sono interdipendenti
La Social Cognition ha sviluppato teorie e modelli coerenti con un idea generale dell’ESSERE
UMANO.
L’individuo, in qualità di soggetto pensante, è stato di volta in volte inteso come:
§ Ricercatore di coerenza
§ Scienziato ingenuo
§ Economizzatore di risorse cognitive
§ Tattico motivato
Criteri discriminanti tra queste modalità di concepire l’individuo sono:
1. Rilievo dato a fattori cognitivi o a fattori motivanti
2. Elementi considerati nella spiegazione della realtà
3. Calcolo tra tali elementi
Cogn./Motiv. Elementi
Ric. Coer.
C=M
Processi
Credenze
Spiegazioni = f(C, S)
Sentimenti
F. situazionali Spiegazione = ∑ (F.S.)
F. disposizionali oppure
Spiegazione = ∑ (F.D.)
Bisogno
Coerenza
Logicità
Sci. Ing.
C>M
Ec. Ris.
C>M
Tatt. Mot.
C<M
Spiegazione = modello attribuzionale
Velocità
normativo/ euristiche
Informazioni
Spiegazione = f(Sé: scopi, motivi, bisogni, Utilità
strumentali al sé autostima)
Con. Mot.
C<M
Inf. tratte dalla
memoria
Schemi
spiegazione = f(bisogno di chiusura
cognitiva)
No
ambiguità
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Principi generali su cui verte l’elaborazione dell’informazione
- Bisogni di risparmiare risorse cognitive
- Processi consapevoli e inconsapevoli
- Egocentrismo dei processi di pensiero
- Resistenza al cambiamento
- Accessibilità temporanea e cronica
LA CONOSCENZA
Dal Palmonari-Cavazza-Rubini Pag 22-32 (cap.1)
La conoscenza è
la raccolta di informazioni in modo da selezionarle e sintetizzarle in strutture che
permettano inferenze rapide su precipitati cognitivi e comportamentali
Conoscenza = è la fase di acquisizione
(informazioni à schemi à precetti)
Il giudizio è
il processo attraverso cui la mente umana, cogliendo relazioni o operando distinzioni tra più
precetti, determina la formulazione o l’espressione di un apprezzamento o di una valutazione.
Giudizio = è la fase di elaborazione dati
(Somma dei precetti à giudizio)
La conoscenza avviene attraverso un processo di Categorizzazione degli stimoli sociali
Esemplari simili vengono inseriti in un insieme significativo sulla base degli elementi di familiarità
La categorizzazione permette di:
§ ordinare il mondo sociale
§ prevedere l’ambiente
§ trattare gli stimoli non come novità ma in relazione alla loro categoria di appartenenza
§ facilitano i processi di conoscenza top-down, basati su script e pre-concetti, più rapidi ma
meno precisi di quelli bottom-up
La categorizzazione NON è un processo meramente cognitivo
1. Cognizione della psicologia sociale: tratta le modalità attraverso cui la vita mentale (cognizione)
delle persone influenza l’essere insieme agli altri (vita sociale)
2. Psicologia sociale della cognizione: considera cosa accade alla vita mentale delle persone
(cognizione) quando sono insieme ad altri (vita sociale)
Lo Schema è una struttura cognitiva che contiene informazioni su un particolare oggetto di
conoscenza (un oggetto, una situazione …) inclusi gli attributi che lo caratterizzano e i loro
reciproci legami.
Come funzionano gli schemi?
Uno stimolo esterno viene colto dall’individuo attraverso gli organi di senso, e come stimolo
percettivo giunge al cervello. Qui avviene il riconoscimento, ovvero l’attivazione degli schemi che
possediamo; se lo stimolo è nuovo va ricercata la sua categoria di appartenenza per similitudine e
non per coincidenza. Ne deriva la formulazione di un Precetto, ovvero l’elaborazione di uno stimolo
percettivo attraverso la sua categorizzazione.
Sistono diversi tipi di schemi che, pur funzionando allo stesso modo, guidano alla conoscenza di
oggetti sociali diversi:
1. Schemi di persona
2. Schemi di sé
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3. Schemi di ruolo
4. Schemi di eventi
Spesso non procediamo ad un’attenta analisi delle informazioni provenienti dall’esterno: preferiamo
elaborarle sommariamente sulla base degli schemi che possediamo e di alcune strategie cognitive
che permettono di arrivare rapidamente alla soluzione del problema.
Euristiche sono strategie di pensiero che semplificano e accorciano il tempo dei percorsi di
conoscenza
Pro = risparmio tempo ed energie
Contro = errori nella conoscenza, e quindi nei giudizi
Tipi di euristiche:
1. Euristiche della rappresentatività
2. Euristiche della rappresentatività
3. Euristiche dell’ancoraggio e accomodamento
4. Euristiche della simulazione
Euristica della rappresentatività
Utilizzata per giudicare la probabilità che un esemplare appartenga ad una certa categoria.
Per ricondurre un oggetto sociale (persona, situazione, ecc) ad uno schema ci basiamo sul grado di
rappresentatività dell’esemplare presentato rispetto alla categoria di appartenenza, dimenticando o
trascurando altre informazioni importanti che permetterebbero una lettura più accurata e aderente
alla realtà
Euristica della disponibilità:
Utilizzata per giudicare la probabilità che un determinato evento si verifichi o sia diffuso,
Si basa sulla disponibilità dell’informazione in memoria, la facilità con cui recuperiamo dalla
memoria degli esempi.
Maggiore è la disponibilità in memoria maggiore è la frequenza stimata.
- disponibilità in memoria = frequenza reale NO ERRORE
- disponibilità in memoria ≠ frequenza reale ERRORE
Frequenza di rievocazione dipende:
• Esperienza
• Salienzaàfacilità di memorizzazione à facilità di recupero
• Percezione di facilità
Euristica dell’ancoraggio e dell’accomodamento
Utilizzata quando dobbiamo emette giudizi a partire da informazioni incerte o ambigue
Per emettere il giudizio cerchiamo punti di riferimento a cui ancorarci e poi lo accomodiamo in
base alle informazioni date
Rischio di errore: sovrastimare la credibilità dei punti di ancoraggio
Euristica della simulazione
Utilizzata nella costruzione di scenari ipotetici quando immaginiamo come potrebbero evolvere
certi eventi. L’euristica della simulazione della vita quotidiana non tiene conto dei possibili eventi
improvvisi che possono modificarla
(pensiero controfattuale)
• Ragionamento controfattuale: ragionare su cosa sarebbe potuto succedere se le cose
fossero andate diversamente
• Se solo …
• Impatto sulle spiegazioni del passato e sulle emozioni ad esso collegate
• Più è facile annullare mentalmente un esito, più forte la reazione emotiva ad esso
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L’INFERENZA O ESPRESSIONE DI GIUDIZIO
Dal Palmonari-Cavazza-Rubini Pag 32-39 (cap.1)
Un altro tema del giudizio sociale è il modo in cui le persone cercano spiegazioni per il proprio e
altrui comportamento. Il giudizio è il processo che le persone mettono in atto per spiegare gli eventi
sociali, spinti dal bisogno di comprendere le cause degli eventi sociali, al fine di controllarli,
prevederli e quindi mettere in atto comportamenti appropriati
Questo tipo di spiegazione è indotto dall’inferenza delle cause che stanno dietro a specifiche azioni
e sentimenti.
I processi che le persone mettono in atto per spiegare gli eventi sociali sono teorizzati nei seguenti
modelli:
§ 1. Attribuzione causale,
§ 2. Inferenza corrispondente
§ 3. Modello ANOVA
Attribuzione causale di Heider = ricerca le cause per spiegare perché si ottengono determinati
risultati, bisogno di comprendere il mondo e le sue regole.
Stabilisce se la causa del comportamento sta nella persona che lo ha prodotto (causa interna),
nell’ambiente circostante (causa esterna) o in ambedue.
Weiner, 1986 arricchisce il modello di attribuzione causale descrivendolo come composto da 3
elementi:
- luogo di controllo (Locus o origine della causalità: la causa di un comportamento può risiedere in
fattori interni o personali -motivazioni, abilità- o in fattori esterni o situazionali),
- stabilità (cause stabili nel tempo o meno),
- controllabilità (cause controllabili dal soggetto)
Implicazioni:
a) Le attribuzioni causali influenzano le aspettative per il futuro
b) Le auto-attribuzioni causali influenzano le prestazioni
Emozioni derivanti dai processi di autoattribuzione (esempi):
• Successo: locus interno à orgoglio
• Successo: locus esterno à gratitudine
• Insuccesso: locus esterno, incontrollabile à rabbia
• Insuccesso: locus interno, controllabile à colpa
• Insuccesso: locus interno, stabile à sfiducia
Inferenze corrispondenti di Jonas e Davis = i modi in cui le persone effettuano stabili
attribuzioni circa le disposizioni di chi compie un’azione.
Stiamo parlando del modo in cui le persone, sulla base dei comportamenti osservati e delle
caratteristiche dei contesti in cui tali comportamenti hanno avuto luogo, producono inferenze su
quanto sia da attribuire la spiegazione a fattori disposizionali o a fattori situazionali.
È un processo sequenziale a più fasi:
1) Riconoscimento del carattere intenzionale dell’azione osservata
Mediante il principio d’eliminazione (scarto delle eventualità meno probabili)
2) Libertà di scelta percepita
3) Inferenza
Portare a termine con successo procedure d’inferenza corrispondente consente di anticipare i
probabili comportamenti di un individuo in circostanze analoghe
Quali sono le informazioni più importanti da cui trarre inferenze corrispondenti?
In primo luogo si riconosce il carattere intenzionale dell’azione osservata (libera scelta), se:
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a) si è certi che la persona conosca i possibili effetti della sua azione e possegga le capacità
necessarie per dar luogo all’azione e produrre gli effetti osservati;
b) l’attore si trovava in condizioni di libera scelta.
Oltre alla “libera scelta”, tuttavia, vi sono altri fattori che interferiscono nel rapporto
Comportamento ß disposizione dell’attore
§ Gli effetti non comuni
Se il comportamento osservato è frutto di una scelta, le differenze specifiche tra le diverse
alternative ci informano sulle preferenze, i gusti e le caratteristiche della persona che ha operato
la scelta. Minori sono gli effetti che un comportamento condivide con altre possibili scelte, più è
facile decidere quale effetto possa aver motivato il comportamento
§ La desiderabilità sociale
Un comportamento eseguito per compiacere gli altri non dice nulla su chi abbiamo di fronte, un
comportamento socialmente sanzionato è molto più informativo. Fare qualcosa a dispetto della
disapprovazione altrui segnala una forte motivazione interna e quindi diventa diagnostico delle
disposizioni interne della persona.
§ Le aspettative legate ai ruoli rivestono un peso importante in quanto le attribuzioni interne
sono più probabili per i comportamenti che contrastano con le nostre aspettative.
Un comportamento conforme al proprio ruolo non dà molte informazioni, un comportamento
difforme dà molto di più
Covariazione di Kelley = per giungere a un giudizio causale le persone valutano le informazioni
riguardanti la covariazione di tre elementi informativi:
- distintività: l’effetto si produce solo quando l’entità è presente?
- coerenza temporale e nelle modalità: l’effetto si manifesta tutte le volte in cui l’entità è
presente allo stesso modo?
- consenso: tutte le persone presenti percepiscono l’effetto come dovuto alla presenza dell’entità?
Il risultato di tale processo è un’attribuzione causale disposizionale se l’effetto presenta alta
distintività, alta coerenza e alto consenso. È un’attribuzione situazionale, di contro, se si registra
bassa istintività, bassa coerenza e basso consenso.
I tre fattori non hanno uguale valore predittivo: le informazioni riguardanti la coerenza nel tempo
sono le più importanti
Nei processi di inferenza si riscontrano delle tendenze sistematiche che possono indurre a degli
errori (biases)
1. Self serving bias: tendenza ad attribuire i propri successi a cause interne e gli insuccessi a cause
esterne
Due spiegazioni possibili:
- spiegazione cognitiva: in genere le persone hanno più esperienze di successi che di insuccessi,
e fanno ricorso a questa conoscenza personale nella formulazione di giudizi di causalità rispetto
ai propri risultati
- spiegazione motivazionale: indipendentemente dalle esperienze reali di successi ed insuccessi,
le persone sono motivate a valorizzarsi e a considerare se stesse positivamente
2. Errore fondamentale di attribuzione: Tendenza a sovrastimare il peso di fattori disposizionali
(interni e stabili) e sottostimare il peso di fattori situazionali nelle spiegazioni causali (esterni e
instabili)
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3. Differenza attore/osservatore: La tendenza generale ad attribuire cause diverse allo stesso
comportamento a seconda che il punto di vista sia quello di chi compie l’azione (attore) o di chi la
osserva (osservatore).
Interpretazione situazionalista nel primo caso, disposizionalista nel secondo
Spiegazioni
- Gilbert (1989): esistono due fasi nel processo attribuzionale. Inizialmente l’individuo compie
una attribuzione disposizionale automatica; se il contrasto fra evidenza e attribuzione è troppo
grande, aggiusta il giudizio in base alle influenze situazionali
- Heider (1958): le cause vengono attribuite a fattori salienti dal punto di vista percettivo; l’attore
è percepito come figura saliente, la situazione o sfondo rimane in ombra.
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LA RSPONSABILITÀ
Patrizi – De Gregorio pag. 53-95 + 181-210 (cap.2 e 6)
CAPITOLI 2 E 6: mappa concettuale
Il capitolo 2, sulla responsabilità, si allaccia a quello sopra-esposto in quanto l’attribuizione di
responsabilità è piegato attraverso i modelli teorici propri dell’inferenza e del giudizio.
Modelli teorici che spiegano la Responsabilità:
§
§
§
§
§
§
§
§
§
Modello di attribuzione (Heider, 1944 e 1958)
Modello dell’inferenza corrispondente (Jones e Davis, 1965)
Modello ANOVA (Kelley, 1967 e 1972)
I livelli di responsabilità giuridica (Hamilton, 1978)
Modello categoriale (Hart, 1968)
Modello di Agency (Bandura, 1986, 1991, 2000)
Prospettiva etogenetica (Harré, 1979)
Prospettiva relazionale (Zamperini, 1998)
Modello promozionale (De Leo, 1985 e 1986).
Costrutti individuali
Costrutti relazionali
Costrutti relazionali
+ C. di promozione
Responsabilità
Da wikipedia
Il termine responsabilità assume un ampio spettro di significati, a seconda delle branche dello
scibile in cui lo si consideri. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, con questo termine si designa il
complesso di conseguenze che normalmente discendono da un’azione umana.
Dal Dizionario della Lingua Italiana
La condizione di dovere rendere conto di atti, avvenimenti e situazioni in cui si ha una parte, un
ruolo determinante. Consapevolezza delle conseguenze dei propri comportamenti e modo di agire
che ne deriva
Heider definisce la responsabilità come il riflesso della “causazione personale autentica” ovvero
la responsabilità di un’azione si ha nel solo caso in cui il soggetto ha piena intenzione a svolgere
quell’azione.
In riferimento al costrutto “Attribuzione causale” un soggetto è detto responsabile di un’azione
quando i fattori che spiegano quell’azione sono di tipo personali e nulli quelli situazionali.
Cosicché, se il soggetto esprime piena intenzionalità nel perseguire le conseguenze proprie di
quell’azione, è definito responsabile.
Intenzionalità e conseguenze sono parametri per misurare presenza o assenza di responsabilità.
Heider individua 5 livelli di responsabilità.
1° livello: quando le conseguenze di un’azione sono da attribuire a fattori indirettamente connessi
al soggetto.
2° livello: quando il soggetto è condizione necessaria per il verificarsi dell’evento, ma manca
l’intenzionalità a conseguire gli effetti negativi assolutamente non prevedibili.
3° livello: livello 1 e 2 nel caso in cui, però, le conseguenze erano prevedibili.
4° livello: si ha piena responsabilità quando un evento è da attribuire al soggetto che ha
consapevolezza e intenzionalità nel conseguire le conseguenze delle sue azioni
5° livello: nessuna attribuzione causale, né diretta né indiretta, ma situazionale.
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A.C. I.
PI
PD
PI/
PD
PD
√
S
P.
√
√
LEGENDA
Attribuzione Causale:
personale diretta (PD),
personale indiretta (PI),
situazionale (S);
Intenzione; Prevedibilità
Esempi dei 5 livelli di responsabilità.
1° livello: Vittorio Emanuele, il “principe”, non poteva, fino a poco tempo fa, guidare su strade
italiane a causa dell’
2° livello: guidare con cautela e investire una persona che si precipita sulla strada in modo
improvviso
3° livello: guidare nei centri abitati a velocità sostenuta
4° livello: commettere un reato intenzionalmente
5° livello: gli incidenti non imputabili al soggetto, perdere il controllo dell’auto a causa di
un’improvvisa frana che invade la carreggiata
Per Jonas e Davis, secondo il modello dell’inferenza corrispondente, le persone spiegano gli eventi
riconducendoli ad elementi disposizionali del soggetto, ovvero producendo “inferenze sul grado di
responsabilità dell’attore e sulle sue disposizioni stabili”.
Secondo questo modello teorico la responsabilità, pertanto, presuppone l’intenzionalità, ovvero la
scelta consapevole dell’effetto conoscendo gli effetti alternativi e avendo la capacità per
conseguirli.Quanto più sono presenti costrizioni legate all’ambiente o alla situazione, tanto più gli
effetti non possono essere attribuiti all’attore.
Riprendiamo anche il contributo di Kelley
per giungere a un giudizio causale le persone valutano le informazioni riguardanti la covariazione di
tre elementi informativi:
- distintività: l’effetto si produce solo quando l’entità è presente?
- coerenza temporale e nelle modalità: l’effetto si manifesta tutte le volte in cui l’entità è
presente allo stesso modo?
- consenso: tutte le persone presenti percepiscono l’effetto come dovuto alla presenza dell’entità?
Il risultato di tale processo è un’attribuzione causale disposizionale al soggetto che compie l’azione
se l’effetto presenta bassa distintività, alta coerenza e basso consenso
I tre fattori non hanno uguale valore predittivo: le informazioni riguardanti la coerenza nel tempo
sono le più importanti
Immaginiamo il caso di qualcuno sorpreso mentre sta commettendo un furto
Le riflessioni che si compiono secondo il modello Anova sono SE…:
§ La sua azione non può essere considerata come una risposta a specifiche circostanze
(“bassa specificità”),
§ Si tratta di una persona che in passato ha commesso altri furti
(“alta coerenza”),
§ La disonestà non è caratteristica del suo gruppo
(“basso consenso”)….
Allora…
…il fatto sarà attribuito alla responsabilità individuale piuttosto che alle circostanze.
Alta specificità, bassa coerenza à fatto circostanziale
Alto consenso, alta coerenza à fatto indotto dal gruppo di appartenenza
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Hamilton definisce la responsabilità come:
dovere di rispondere per una data azione sulla base di una data regola.
Quindi si passa da responsabilità in termini di “essere la causa di un’azione” al “sostenere il peso
delle conseguenze di un’azione”
L’originalità del contributo di Hamilton risiede nelle implicazioni di questa definizione:
- regola implicata
- aspettative circa ciò che si sarebbe dovuto fare
- ruolo sociale dell’attore.
Si ha, pertanto, uno spostamento da un approccio individualista ad uno di relazione.
Hamilton rilegge i livelli di responsabilità heideriani e, trasponendoli in un contesto giuridico,
attribuisce ad ognuno di loro un grado specifico di responsabilità
1° livello: Responsabilità legale
2° livello: responsabilità oggettiva
3° livello: responsabilità per colpa
4° livello: responsabilità per dolo
5° livello: responsabilità con attenuanti di vario tipo.
Anche Hart, al fine di evidenziare le diverse sfumature del significato del concetto di
responsabilità, aveva individuato 4 categorie:
1. Responsabilità-soggezione à rendere conto
2. Responsabilità di ruolo à dovere di rispondere per una mancanza attinente il proprio ruolo
(per mancanza o eccesso)
3. Responsabilità causale à attribuzione causale
4. Responsabilità-capacità à capacità di intendere e volere.
Bandura introducendo il concetto di human agency, secondo cui l’individuo non solo reagisce a
stimoli esterni e biologici, ma agisce anche attivamente come “attore sociale” in quanto entità
protagonista e caratterizzata da una capacità d’azione significativa in un contesto popolato da altri
attori sociali, definisce la responsabilità in termini relazionali.
Bandura non tratta il costrutto direttamente ma fornisce concetti utili ad arricchire il suo significato:
- Human agency
- anticipazione
- apprendimento e rinforzo capacità di anticipazione
Un’implicazione delle riflessioni di Bandura relative alla capacità di apprendimento sociale è
l’attivazione di meccanismi di autoregolazione mediante i quali si può realizzare il “disimpegno
morale”
Disimpegno morale = ricostruzione cognitiva (ante e a posteriori) della condotta riprovevole, si
modifica la sua rappresentazione per ridurre la dissonanza con i criteri morali interiorizzati.
1. Giustificazione morale
2. Etichettamento eufemistico
3. Confronto vantaggioso
4. Spostamento di responsabilità
5. Diffusione di responsabilità
6. Distorsione delle conseguenze
7. Deumanizzazione della vittima
8. Attribuzione di colpa
Harrè, secondo la prospettiva etogenica, i concetti cardine del costrutto responsabilità sono:
- Rilevanza del ruolo (secondo Hamilton: legale, oggettivo, colpa, dolo, attenuata)
- Aspettative del contesto sociale
L’attenzione si sposta dalle “cause” dell’azione alle “ragioni” che rappresentano, nella scelta
dell’azione effettuata, le anticipazioni della prospettiva futura.
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Responsabilità è un costrutto che si forma
nella relazione sé-altri all’interno dell’ordine sociale e morale di appartenenza.
La responsabilità secondo Zamperini trascende il singolo, si definisce nella interazione sociale.
Deriva da:
1. Modalità di confrontarsi con le reciproche aspettative sui percorsi d’azione (ante, in itiner, a
posteriori)
2. Elaborazione sociale e normativa degli effetti dei propri comportamenti.
3. Riflesso della responsabilità della comunità di appartenenza sulla responsabilità del singolo.
L’originalità del contributo di DeLeo è nel sottolineare, come Zamperini, che la responsabilità è
frutto di un processo relazionale, la cui funzione costruita culturalmente e socialmente serve per
connettere aspetti psicologici (il Sé e e prestazioni sociali), aspetti interpersonali e normativi, aspetti
istituzionali e sociali.
Responsabilità è un processo in divenire che costruisce abilità, competenze, interazioni, ruoli,
sistemi di aspettative e risposte responsabilizzanti.
IMPLICAZIONI DEL CONCETTO DI RESPONSABILITÀ
Il Diritto
1. Scuola classica (Carrara): l’individuo è libero e capace di gestire le proprie azioni
responsabilità = libero arbitrio
pena = proporzionata al danno
2. Scuola positiva (Ferri): l’individuo è influenzato da cause costituzionali, fisiche, psicologiche e
sociali.
responsabilità = intenzione
Pena = solo se attestata l’intenzione
3. Pedagogia della responsabilità (Ancel).
responsabilità = conoscenza critica del reo
pena = rieducazione
CAPITOLO 6
L’Etica: comportamento virtuoso e conforme alla norma della società. Il modello deontologico;
l’etica comunicativa secondo Apel e Habermas; l’etica del vantaggio reciproco.
La Fiducia: l’aspettativa che un soggetto, con determinate caratteristiche d’onestà e di trasparenza e
in situazioni di rischio percepito, compia azioni volte a produrre risultati positivi per chi gli concede
fiducia. Fiducia e cooperazione.
Il Capitale sociale (Putnam): è l’attribuzione agli altri generalizzati di un elevato credito in termini
di fiducia, sostegno, influenza, aspettativa di impegno reciproco.
La Capacitazione sociale (Sen): livelli di soddisfazione, partecipazione e attivazione dei cittadini
nel proprio contesto di appartenenza legati alle reali possibilità di scelta d’azione.
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L’ATTEGGIAMENTO
Dal Palmonari-Cavazza-Rubini Pag 41-72 (cap.2)
“Il concetto di atteggiamento è probabilmente il più caratteristico e necessario della psicologia
sociale americana contemporanea”
Allport (1954)
Perché?
Indicatori attraverso i quali è possibile prevedere le azioni delle persone.
Per modificare il comportamento della gente un buon punto di partenza è cambiarne gli
atteggiamenti.
Il concetto di atteggiamento in psicologia sociale è importante perché:
§ lo scopo della psicologia è di studiare il comportamento, e si assume che gli atteggiamenti
influenzino il comportamento
In particolare:
§ gli atteggiamenti sociali costituiscono degli indicatori attraverso i quali è possibile
prevedere le azioni delle persone.
Inoltre nella ricerca socio-psicologica è opinione diffusa che:
§ per modificare il comportamento della gente un buon punto di partenza consista nel
cambiarne gli atteggiamenti;
E’ chiaro allora che: il concetto di atteggiamento sociale assume un ruolo di primaria importanza
in un modello psico-sociale del comportamento.
Le principali definizioni e descrizioni dell’Atteggiamento sono riconducibili ai seguenti autori:
§ Thomas e Znaniecky (1918) – processo mentale individuale
§ Allport (1935) – stato mentale neurologico di prontezza
§ Rosenberg e Hovland (1960) – costrutto psicologico tripartito
§ Fazio (1986) – struttura cognitiva
Thomas e Znaniecky (1918) i primi autori a parlare di atteggiamenti:
“processo mentale individuale che determina le risposte sia attuali sia potenziali di ogni individuo
al mondo sociale …… un atteggiamento è sempre rivolto verso un oggetto”
Ø Atteggiamenti = processi di conoscenza sociale che determinano l’azione
Ø Valori sociali = ogni oggetto che ha significato in connessione con determinate azioni
dell’individuo (es. una moneta)
Aspetti positivi
Ø Definizione innovativa per l’epoca
Critiche:
Ø Definizione aspecifica
Ø Atteggiamenti considerati solo come processi individuali
Allport (1935): Atteggiamenti: stato mentale neurologico di prontezza, organizzata attraverso
l’esperienza, che esercita un’influenza direttiva o dinamica sulla risposta dell’individuo nei
confronti di ogni oggetto o situazione con cui entra in contatto
Aspetti innovativi:
Ø Atteggiamento come stato non direttamente osservabile, ma inferibile sulla base della
risposta: variabile interveniente fra stimolo e risposta
Critiche:
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Ø Definizione generica: Definizione che copriva tutti gli stati psicologici in relazione ai quali
la persona manifesta una certa prontezza nel fornire una risposta (stati mentali, set di tipo
motorio, disposizioni stabili)
Ø L’aspetto valutativo passa in secondo piano
Rosenberg e Hovland (1960): Modello Tripartito: Gli atteggiamenti sono un costrutto
psicologico costituito da 3 componenti:
Ø Componente cognitiva: informazioni e credenze verso un oggetto
Ø Componente affettiva: reazione emotiva verso l’oggetto
Ø Componente comportamentale: azioni di avvicinamento o allontanamento dall’oggetto
Critiche:
Ø La ricerca ha studiato soprattutto la componente valutativa
Fazio (1986): nell’ambito della Social cognition definisce l’atteggiamento come:
struttura cognitiva costituita dall’associazione in memoria tra la rappresentazione dell’oggetto e la
sua valutazione ed è caratterizzata da:
Ø Disponibilità: associazione tra oggetto e valutazione immagazzinata nella memoria a lungo
termine
Ø Accessibilità: tempo e sforzo richiesti per il recupero mnestico di tale struttura
Questa definizione non è in contrapposizione con il modello tripartito
Aspetti innovativi:
Ø Introduce il concetto di “forza dell’associazione tra oggetto e valutazione” misurato
attraverso il tempo di latenza (tempo che occorre all’individuo per formulare la valutazione
dal momento in cui appare lo stimolo)
COME SI FORMANO GLI ATTEGGIAMENTI?
Gli atteggiamenti sono frutto di apprendimento e quindi derivano dall’esperienza:
§ Esperienza diretta
§ Esperienza mediata
§ Comunicazione
§ Processi di mera esposizione
Esperienza diretta: Porta a una forte associazione in memoria tra la rappresentazione dell’oggetto
e la sua valutazione
Es: atteggiamento verso un partito politico = f(militanza in un partito)
Sono gli atteggiamenti PIÙ resistenti.
Esperienza mediata: si basano sull’osservazione del comportamento altrui.
Es: atteggiamento verso un partito = f(valutazione di leader, esponenti, militanti che conosciamo).
Ruolo dei media
L’associazione tra la rappresentazione dell’oggetto e la sua valutazione è meno forte, è
l’Atteggiamento MENO resistente al cambiamento
Comunicazione: Modalità importante di formazione di atteggiamenti. Ruolo dei gruppi di
riferimento (identità sociale)
Associazione tra rappresentazione e oggetto molto debole, difficile recupero dalla memoria
Atteggiamento MOLTO MENO resistente al cambiamento
Processi di mera esposizione (Zajonc, 1968):
14
Il ripetersi dell’esposizione rende l’associazione automatica (memory based). La familiarizzazione
di un oggetto porta normalmente ad atteggiamenti più favorevoli
Es: Pubblicità commerciale e politica
COME CAMBIANO GLI ATTEGGIAMENTI?
Il cambiamento di atteggiamenti può avvenire attraverso:
§ Mera esposizione
§ Processo di dissonanza cognitiva
§ Modello della probabilità di elaborazione – ELM (Petty e Cacioppo)
§ Modello euristico-sistemico – ES (Chaiken)
§ Modello unimodale (Kruglanski et al.)
Mera esposizione
Processo individuale legato all’esperienza diretta
- L’esposizione ripetuta ad uno stimolo porta a modificare l’atteggiamento relativo
Variabili:
Ø Caratteristiche della fonte: la sua immagine, il suo rapporto con il pubblico
Ø Caratteristiche del messaggio: basato su contenuti informativi, emotivi, persuasivi
Ø Caratteristiche del ricevente: più o meno propensi, con maggiori o minori strategie e capacità di
elaborazione.
Dissonanza cognitiva (Festinger, 1957)
Processo di natura motivazionale
Deriva dal bisogno di mantenere coerenza tra le proprie cognizioni (credenze e valori) e/o
comportamenti
Si modifica l’elemento dissonante meno resistente al cambiamento
I modelli ELM, ES e Unimodale, spiegano il cambiamento dell’atteggiamento indotto da un
messaggio persuasivo.
Modello della probabilità di elaborazione –ELM (Petty e Cacioppo)
Atteggiamento varia per esposizione ad un messaggio persuasivo attraverso 2 distinti percorsi:
a) Percorso centrale:
- elaborazione attenta delle argomentazioni e delle informazioni
- richiede risorse cognitive:
- focalizzazione dell’attenzione
- comprensione delle argomentazioni
- confronto e integrazione fra informazioni e credenze possedute
b) Percorso periferico:
- basato su elementi che non hanno a che fare con le argomentazioni ma sul modo in cui
vengono presentate e su elementi del contesto (attrattività della fonte, musica, colori vivaci)
Variabili:
§ Motivazione: rilevanza del messaggio
§ Abilità: capacità stabili (intelligenza, ecc) e condizioni contingenti (allerta, ecc)
Esperimento di Petty, Cacioppo e Goldman (1981)
Studenti ascoltano una comunicazione sulla necessità di istituire un esame generale prima della fine
del corso.
Tre condizioni sperimentali (manipolazione di tre variabili indipendenti)
§ Rilevanza personale della comunicazione (alta motivazione vs. bassa motivazione)
§ Qualità delle argomentazioni a sostegno dell’utilità dell’esame (forte vs. debole)
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§ Livello di expertise della fonte (alto vs. basso)
Risultati:
Processo centrale se:
- Si verifica la Condizione di alta rilevanza personale (alta motivazione)
- Il contenuto del messaggio è persuasivo
- Il soggetto capace di elaborare le informazioni
Processo periferico se:
- Si verifica la condizione di bassa rilevanza personale (bassa motivazione)
- il processo di persuasione è influenzato dal livello di expertise della fonte
- Il soggetto non in grado di elaborare le informazioni:
Modello euristico-sistemico –ES (Chaiken)
Due processi di elaborazione che non si escludono a vicenda:
a) processo sistematico:
- elaborazione approfondita del messaggio (come processo centrale)
b) processo euristico:
- applicazione di euristiche utilizzate come modalità per arrivare ad un giudizio.
Il processo sistematico e il processo euristico sono influenzati da:
- Motivazione
- Abilità cognitiva
Modello unimodale (Kruglanski et al.)
Nasce dalla critica ai modelli a due vie: rappresenterebbero soltanto gradi differenti di un unico tipo
di elaborazione dell’informazione.
Il cambiamento di atteggiamento consiste nella:
- Verifica ipotesi
- Generazione di inferenze da informazioni rilevanti
- Cambiamento attraverso un ragionamento di tipo sillogistico (se…..allora….) basato sulle
credenze rilevanti che un individuo ha già in memoria
Motivazione: influenza la probabilità di dare avvio, di continuare e orienta la direzione
dell’elaborazione
Abilità cognitiva Software = disponibilità e accessibilità in memoria di informazioni Hardware =
allerta e energia cognitiva
Esempio. “il segretario dell’ONU dice che le bombe a grappolo sono da abolire perché colpiscono
la popolazione civile”
§ Credenza in memoria: “se un arma colpisce i civili e non i militari allora è da abolire”
le bombe a grappolo colpiscono i civili quindi sono da abolire
§ Credenza in memoria “se una persona autorevole esprime un parere allora questo è valido”
Il segretario dell’ONU è una persona autorevole quindi ciò che sostiene (l’abolizione delle bombe a
grappolo) è giusto
COME SI RILEVANO GLI ATTEGIAMENTI?
Premesso che gli Atteggiamenti sono:
Ø Costrutti non osservabili
Ø Inferibili da alcuni indicatori (risposte manifeste e comportamenti)
Esistono due tipi di strumenti:
- Le scale
- Misure indirette e/o fisiologiche
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Le scale permettono di misurare:
• La natura e l’intensità delle opinioni
• La frequenza dei comportamenti
Ricordiamo quelle di:
• Scale di atteggiamento Thurstone e Chave (1929) e Guttman (1941)
• Scala Likert
• Differenziale semantico di Osgood
La Scala di atteggiamento Thurstone e Chave (1929) e Guttman (1941)
Era costituito da una serie di item il cui “valore” variava in funzione del contenuto.
Critiche:
• Erano strumenti poco standardizzati
• la costruzione richiedeva un forte dispendio di tempo e risorse
• difficile le operazioni statistiche dei risultati
• non garantivno la validità esterna
Scala Likert (1932):
è costituita da item (affermazioni favorevoli o sfavorevoli) che coprono gli aspetti rilevanti nell’area
semantica dell’oggetto studiato
i soggetti devono indicare su una scala di risposta il grado di accordo o disaccordo con le
affermazioni
Esempio: La mia famiglia dovrebbe eliminare la carne dalla dieta
Totale disaccordo 1 2 3 4 5 6 7 Pieno accordo
Consente di effettuare operazioni statistiche come l’aggregazione delle risposte sullo stesso oggetto,
il calcolo della media
Differenziale semantico di Osgood, Suci e Tanenbaum (1957)
È composto da un insieme di coppie di aggettivi bipolari separati (in genere) da sette spazi che
rappresentano una gradazione da uno all’altro oggetto di atteggiamento posto all’inizio del
questionario
Esempio: Come giudica il conformismo?
___ Cattivo
Buono ___ ___ ___ _X_ ___ ___
___
Brutto
Bello
___ ___ ___ ___ _X_ ___
___
Intelligente
Stupido _X_ ___ ___ ___ ___ ___
Gli autori hanno rilevato che le coppie di aggettivi si raggruppano sistematicamente in tre fattori:
Valutazione; Potenza; Attività
Critiche: Problema legato alla desiderabilità sociale
Misure indirette o fisiologiche:
Risposta elettrogalvanica (capacità della pelle di condurre elettricità)
Attività dei muscoli del viso in risposta a messaggi controattitudinali.
Vantaggi:
Risposte non influenzate dalla desiderabilità sociale
Critiche:
Metodologie troppo intrusive
Tempo di latenza nella espressione della risposta:
Strategie supportive alle scale o questionari. Si utilizzano un software che permette di calcolare il
tempo tra la domanda (apparizione dello stimolo sullo schermo di un computer) e risposta (digitata
sulla tastiera).
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GLI ATTEGGIAMENTI SONO PREDITTIVI DEL COMPORTAMENTO?
Fin dagli anni ‘60 si è arrivati alla conclusione che non è sempre possibile prevedere i
comportamenti dagli atteggiamenti
Prima ricerca che mette in dubbio la relazione tra atteggiamenti e comportamenti: La Piere (1934)
La Piere viaggiò attraverso gli Stati Uniti con una coppia di cinesi visitando oltre 200 alberghi e
ristoranti. In quegli anni esisteva un diffuso pregiudizio verso i cinesi, nonostante ciò:
§ La coppia di cinesi ricevette solo un netto rifiuto
Sei mesi più tardi La Piere mandò un questionario agli stessi albergatori e ristoratori:
Il 92% di esercenti si dichiarava indisponibile ad accogliere i turisti cinesi.
Al pregiudizio razziale espresso attraverso il questionario non era associato un comportamento reale
discriminatorio
Ricerca di La Piere (1934) evidenzia la bassa correlazioni tra atteggiamento (rilevato con
questionari) e comportamento.
à Critica costrutto di atteggiamenti
à Critica alle metodologie
Fishbein e Ajzen (1975) formulano le critiche alla metodologia adottata dal La Piere contestando:
• Utilizzo di misure molto generali dell’atteggiamento per prevedere specifici
comportamenti;
• mancano fattori situazionali e contingenti
• criteri comportamentali
E spiegano che l’Atteggiamento è predittivo del comportamento inserendo l’atteggiamento in un
modello che prende il nome di
Teoria dell’azione ragionata.
Atteggiamento
Credenze circa le
conseguenze del
comportamento
Atteggiamento
(valutazione del
comportamento)
Norme soggettive
Credenze circa le
norme sociali
intenzione
comportamento
Percezione delle
aspettative degli
“altri significativi”
Critiche:
Il comportamento sembra sotto il completo controllo dell’individuo ma non è così per i:
- Comportamenti che derivano dall’abitudine (es. mangiare carne)
- Comportamenti che sono frutto di dipendenza (es. fumare)
- Comportamenti che derivano da stati emotivi (es. piangere)
Ajzen (1988) ha riformulato la teoria introducendo come fattore causale insieme agli atteggiamenti
verso il comportamento e alla pressione sociale:
⇒ La percezione del controllo sul comportamento
Teoria del comportamento Pianificato
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Atteggiamento
Norme soggettive
Intenzione
Comportamento
Percezione di controllo
del comportamento
Fazio e Williams (1986) secondo l’approccio social-cognition, dimostrarono che le persone
elaborano selettivamente l’informazione in funzione della qualità degli oggetti di atteggiamento
à La valutazione tendenziosa (=non accurata) delle informazioni rilevanti per l’atteggiamento si
verifica quando:
- gli atteggiamenti dei soggetti sono forti,
- facilmente accessibili (quando, per esempio, è frutto di esperienza diretta).
In questo caso vengono messi in atto comportamenti direttamente coerenti con l’atteggiamento.
à Nel caso in cui l’associazione fra rappresentazione dell’oggetto e la sua valutazione è debole o
non è disponibile, allora si ricorre al processo previsto dal modello dell’azione ragionata di Fishbein
e Ajzen
19
DEVIANZA COME AZIONE
Patrizi – De Gregori Pag. 19-52 (cap.1)
La devianza è la condotta di una persona o di un gruppo che viola le aspettative di ruolo, le norme
sociali e i valori della maggioranza dei membri di una collettività e che per questa ragione suscita
una qualche forma di reazione sociale.
Quando parliamo di Devianza facciamo riferimento ad un’azione e non ad un comportamento, per
quanto nel linguaggio comune i due termini vengono utilizzati come sinonimi.
Definendolo come azione possiamo utilizzare le teorie dell’azione per comprendere i processi
psico-sociali che sottendono queste specifiche azioni.
Comportamento: sequenza di movimenti fisici, è l’aspetto osservabile dell’azione
È oggettivo, osservabile, misurabile
Azione: è un comportamento dotato di “significato” e di intenzione. Comprende: scopi, obiettivi,
attribuzione di senso al contesto
Atto: è la dimensione di significato sociale dell’azione:
Per. Es.: gesto motorio compiuto con un arto superiore (comportamento) à condotto con
un’intenzionalità specifica (azione) à che costruisce ed è costruita in termini di significato (atto) =
SALUTO
Attività: è un’azione che si protrae nel lungo termine per obiettivi lungimiranti: Sistema di azioni
(specifiche + routinarie)
Azione
Presuppone dei processi cognitivi, affettivi e valutativi; un’intenzionalità; che non possono essere
direttamente osservati, ma devono essere inferiti.
Lo stesso vale per gli scopi e i fini per cui vengono messi in atto
La dimensione valutativa rimanda al contesto in cui si costruiscono e condividono i sistemi di
significazione della realtà.
I termini costruttivi dell’azione umana sono:
1. Anticipazioni, mete e obiettivi
2. Regolazione e finalizzazione
Human Agency: la caratteristica intenzionale e finalizzata dell’agire umano, indica il meccanismo
pro-attivo dell’azione
Approccio positivista:
Spiega le azioni sociali in termini di rapporto lineare
causa à effetto (=devianza)
E che pertanto la devianza è un comportamento anti-funzionale, individuabile e combattibile.
Cause:
Fattori psico-individuali: tratti di personalità (Big-five); stati mentali anormali ereditari (Eysenck);
ecc.
Fattori psico-analitici: pulsioni interne che sfuggono al controllo cosciente della persona
Fattori biologici: inferiorità biologica (Hooton), forma del corpo (Glueck e Glueck; Sheldon;
Kretshmer; Lombroso), deficienza nutrizionale (Hippchen), anormalità cromosomica (West) e,
considerando la media per gruppi 'razziali', dimensione dei genitali, natiche e cervello (Rushton).
Approccio costruttivista:
Spiega le azioni sociali in termini di un processo di costruzione
Soggetto à azione (= devianza)
Il soggetto, interagendo con il contesto, costruisce percorsi di azione che sono allo stesso tempo
esito e causa di processi di definizione cognitivo-affettiva-valoriale.
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Cause:
Processi psico-sociali che sottendono l’azione umana: cognizione, valutazione, intenzione,
atteggiamenti …
Motivazioni e scopi;
Processi di attribuzione di significato e di valore del contesto alla realtà condivisa.
Secondo un approccio costruttivista la devianza non si offre in modo diretto che può essere
osservato in laboratorio o in un’indagine sul campo (comportamento);
La devianza appare sempre attraverso un apparato rappresentativo fortemente connotato:
- nelle forme giuridiche dell’imputazione e del reato, o
- nelle categorizzazioni psicosociali di comportamento trasgressivo, deviante, antisociale,
criminale.
Nel rapporto figura-sfondo la figura è rappresenta dall’azione e non dal soggetto, ed è ‘imputazione
a definire gli obiettivi ed il senso stesso della conoscenza. Tali aspetti (azione e imputazione)
costituiscono le chiavi
d’accesso alla persona, ai suoi scopi, alle sue intenzioni e motivazioni.
Atteggiamento
Approccio positivista:
Si studiava la personalità dell’attore, la sua storia, il suo ambiente
Approccio costruttivista:
Studia l’azione come unità d’analisi e include dimensioni individuali e sociali.
Caratteristiche dell’azione:
- Consapevolmente pianificata;
- Diretta ad uno scopo;
- Accompagnata da emozioni;
- Condotta e controllata socialmente
Seguono alcuni modelli teorici che spiegano come viene messa in atto un’azione
Teoria del comportamento Pianificato
Atteggiamento
Credenze circa le
Atteggiamento
conseguenze del
(valutazione del
comportamento
comportamento)
Norme soggettive
Credenze circa le
norme sociali
intenzione
comportamento
AZIONE
Percezione
delle
aspettative
degli
“altri significativi”
Percezione di controllo
Senso di controllo
Credenze di
comportamentale
gestione del
comportamento
≡Autoefficacia percepita di
A.Bandura
Bandura teorizza un altro modello che spiega l’Azione: determinismo triadico reciproco
Azione = funzione(ambiente/contesto, persona e comportamento)
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Sistema organizzativo e di coordinamento fra la persona e il suo mondo (interno ed esterno) e
fornisce le coordinate che mediano tra indefiniti campi di possibilità e libertà di scelta dell’azione.
L’uomo è:
- Categoriale: conosce attraverso categorie o schemi;
- Riflessivo e auto-regolativo;
- Proattivo;
- Apprende con processo vicario.
L’Azione per il modello Goal Directed Action (GDA) di DeLeo e Patrizi (1992)
Qualsiasi azione è sempre volta al raggiungimento di uno scopo (esplicito o implicito). È possibile
pianificare uno scopo persino nelle azioni apparentemente non pianificate.
L’azione viene considerata come la risultante di tre dimensioni che interagiscono circolarmente nel
senso di una continua reciproca influenza :
1) Comportamento manifesto;
2) Cognizioni (coscienti): rimanda al modello dell’azione ragionata componendosi di: piani
d’azione, intenzione, emozioni, monitoraggio delle mete di processo.
3) Significati sociali.
L’azione conduce al raggiungimento di 2, che in quanto goal sono anticiazioni che orientano
l’azione stessa:
1. Effetto Pragmatico-strumentale;
2. Effetto Espressivo-comunicazionale.
Gli effetti pragmatico-strumentali riguardano ciò che la persona anticipa di ottenere in senso
concreto, tangibile, strumentale.
Gli effetti espressivi riguardano il Sé e le relazioni, il modo in cui ci poniamo di fronte agli altri, il
senso di identità e di unicità che produciamo agendo.
È possibile avvicinarsi alla devianza considerandone gli aspetti comunicativi (secondo effetto).
La devianza amplifica la comunicazione, evidenzia i messaggi, attiva attenzioni.
Ci può essere incongruenza tra finalità strumentali e finalità espressive con conseguente prevalenza
dell’una sull’altra.
4 principali effetti Espressivo-comunicazionali che l’attore sociale anticipa attraverso la devianza:
- Effetti Sé;
- Effetti di relazione;
- Effetti di controllo;
- Effetti di cambiamento
Effetti Sé: sono gli effetti che l’azione produce sul sistema agente e sulla sua organizzazione
L’individuo sperimenta se stesso, definisce la propria soggettività in interazione, lascia tracce
personali, assume feedbacks à schemi del sé; gestione delle impressioni; processo di elaborazione
dell’identità; coerenza di sé attraverso il riferimento ai gruppi di appartenenza;
conformità/negoziazione rispetto alle norme;
Effetti Sé sono fonte di equilibrio in condizioni percepite come altamente sfidanti, minacciose,
eccedenti le risorse di cui si crede di disporre.
In fase di insorgenza della devianza in caso di bassa autoefficacia
Effetti di relazione: implica la definizione della relazione, ne stabilisce obiettivi, ruoli e dimensioni
di potere personale.
Non necessariamente è la relazione con la vittima la quale ha una posizione di rilievo ma non
necessariamente è l’interlocutore primario dell’autore del crimine.
Effetti di Relazione possono riguardare la vittima o ciò che essa rappresenta (omicidi seriali),
oppure possono essere rivolti ad altri sistemi di relazione significativi per l’autore ed essere volti a
confermare appartenenze e adesioni o di contro autonomia e contrasto (violenze sessuali di gruppo)
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Effetti di controllo: sono gli effetti di relazione rivolti, nello specifico, alle agenzie di controllo e
alle norme imposte da queste e interiorizzate dall’attore.
Per agenzie di controllo si intende per esempio la famiglia o lo Stato che impostano norme esplicite
ed implicite.
Atti devianti volti al raggiungimento di questo fine sono le azioni di terrorismo, i disordini nelle
scuole o in occasione del G8.
Effetti cambiamento: sono gli effetti perseguiti per il mantenimento di un equilibrio o, al contrario,
per innescare meccanismi di controllo. Esempi del primo caso sono la tossicodipendenza o gli
attentati a personaggi scomodi, del secondo caso le devianze adolescenziali o gli omicidi del
“genitore carnefice”
Le teorie dell’ATTIVITÀ
Teoria dell’attività di Alexei Leont’ev.
Attività è un sistema di azioni condotte in un tempo determinato per obiettivi non contingenti e
immediati.
Acquista rilievo la cultura del contesto.
Per cultura si intende: l’insieme di valori dominanti, opinioni atteggiamenti e norme che sono la
base per giustificare decisioni e comportamenti.
La cultura si manifesta attraverso artefatti e segni e norme e valori. Questi elementi attribuiscono
significato all’insieme di azioni condotte per il raggiungimento di uno scopo à sistema di attività.
Attività deviante = carriera deviante
Carriera: sistema di azioni che si sviluppa in un processo sequenziale. Per cui le variabili
intervenienti nello sviluppo di questo percorso agiscono con modalità progressiva e cumulativa.
Carriera deviante di Becker (1963)
1° fase: Infrazione. È la trasgressione della norma non dettata da una specifica motivazione volta
alla devianza
2° fase: etichettamento. Riconoscimento pubblico come soggetto deviante, definizione di uno status
a cui il soggetto comincia ad attenersi
3° fase: inserimento nel gruppo dei devianti. La carriera deviante comincia attraverso un azione di
“differenzazione” e approda ad un processo di “identificazione e condivisione”
Non esistono comportamenti devianti ma identità devianti collegati a segnali indiziari
(abbigliamento, modo di parlare, paese di origine):
“I gruppi sociali creano la devianza stabilendo le regole la cui infrazione costituisce la devianza e
applicando queste regole a persone particolari, che etichettano come outsider.
Da questo punto di vita, la devianza non è una qualità dell’azione commessa, ma piuttosto la
conseguenza dell’applicazione, da parte di altri, di regole e sanzioni al trasgressore.
Il deviante è uno cui l’etichetta è stata applicata con successo; il comportamento deviante è il
comportamento così etichettato dalla gente”
Howard Saul Becker, Outsiders, 1987, p. 15.
Carriera deviante di DeLeo e Patrizi (1992 e 1999)
La carriera deviante è un percorso costruito in modo attivo da soggetto attraverso fasi di
attribuzione di significato che presuppongono una “coerenza psicologica” di fondo.
1° fase: antecedenti storici. Condizioni iniziali del soggetto, fattori di rischio a-specifici
2° fase: crisi. Esperienza di azioni devianti
3° fase: stabilizzazione. Fissazione della devianza attraverso un percorso di definizione sociale.
Fattori di rischio:
1. Età in cui il comportamento deviante si manifesta
23
2. variabili individuali: aggressività, genere maschile; abuso di sostanze; bassa autoefficacia;
impulsività
3. Variabili familiari: genitori devianti; pratiche educative carenti o non funzionali; scarso
monitoring genitoriale; depressione materna; basso status socio-economico; storie di abusi
4. Fattori scolastici: abbandono della scuola; basso interesse allo studio; basse aspirazioni
professionali
5. Variabili relazionali: frequenza o appartenenza a gruppi devianti; appartenenza a gruppi
stigmatizzati;
6. Sociali: esposizione a forme di violenza e pregiudizio; ecc.
24
IMPRESSIONI E REPUTAZIONE
Dal testo Palmonari – Cavazza - Rubini: pag.62-72 (cap.2)
Visto come le persone formulano “giudizi” su eventi sociali (attribuzione causale),
vediamo ora come le persone formulano “giudizi” sulle persone (impressione)
L’impressione è la rappresentazione di una persona.
L’insieme di sistemi che ci portano alla costruzione di questa rappresentazione prende il nome di
percezione sociale
Ha la funzione di regolare il nostro comportamento e di consentire di avere delle aspettative sul
comportamento degli altri, mette nelle condizioni di operare nei contesti relazionali.
Attraverso quali processi si giunge a farsi un’idea, a formarsi delle impressioni sulle persone?
Formarsi un’impressione è processo attraverso il quale organizziamo le informazioni relative ad un
individuo in una struttura coerente di conoscenze. Tale struttura porta alla definizione di una
rappresentazione cognitiva che non corrisponde ad una conoscenza accurata. I modelli principali
che descrivono le modalità con cui si formano le impressioni sono:
à Asch: Modello configurazionale
à Anderson: Modello algebrico
à Fiske e Neuberg: Modello del continuum
à Smith e Zàrate: Modello di somiglianza
à Kruglanski: Modello unimodale
Il modello configurazionale di ASCH (olistico)
E' un modello di tipo gestaltico, che ritiene che le informazioni ricevute su una persona
costituiscano un sistema organico che tende alla buona forma, l’impressione, pertanto, è il risultato
di un processo percettivo diverso dalla somma dei singoli elementi di informazione che lo hanno
generato. Ogni persona che incontriamo viene vista come “unità”, un insieme inestricabile di
caratteristiche che interagendo fra di loro danno luogo ad un “percetto” complesso.
Esperimento:
per verificare il proprio modello, Asch ha condotto un noto esperimento: divide due gruppi e
presenta un signor X, da ad ogni gruppo una lista di aggettivi che caratterizzano questo signor X.
Al primo gruppo vengono proposti le seguenti caratteristiche: intelligente, industrioso, caldo,
risoluto, pratico, prudente.
Nella seconda lista gli aggettivi sono identici ma il termine “ caldo “ viene sostituito con la parola “
freddo “.
Chiese ai due gruppi di descrivere come immaginavano la personalità dell’individuo X e constatò
che entrambi organizzavano i vari tratti in un insieme perfettamente coerente di personalità, ma ne
ricavavano impressioni radicalmente diverse. Il gruppo A descrisse una persona nel complesso
positiva, felice, soddisfatta e benvoluta; il gruppo B configurò invece una persona negativa, infelice,
pessimista, solitaria: una sola parola aveva provocato due impressioni radicalmente diverse sul
quadro della personalità globale
Conclusioni
Asch giunge ad una serie di conclusioni che contribuiscono a rafforzare il suo modello.
Innanzitutto è possibile osservare come tutti i soggetti intervistati fossero in grado di portare a
termine rapidamente il compito, ad indicare che costruire un’impressione complessa a partire da
pochi elementi informativi risulta un compito assolutamente naturale. In secondo luogo, le persone
non si limitano a rievocare i tratti menzionati dallo sperimentatore, magari utilizzando dei sinonimi,
ma traggono inferenze da quanto udito e “completano” la descrizione della persona. Infine, lo stesso
insieme di tratti può suscitare impressioni diverse da soggetto a soggetto a testimonianza del fatto
che la formazione di impressioni di personalità è un processo attivo in cui ognuno impiega elementi
disponibili sulla base della propria esperienza personale.
25
È importante l’ordine in cui vengono fornite le informazioni (effetto primancy). Nell’esperimento di
Asch la prima lista portava a formare un’impressione più positiva che la seconda. I primi elementi
descrittivi che vengono letti creano lo sfondo interpretativo sulla base del quale si dà significato alle
successive informazioni e hanno un peso maggiore nel determinare l’impressione finale. In certe
condizioni, pertanto, la percezione di persone può basarsi su un’elaborazione di impressioni topdown, categoriale, fondata sugli schemi pregressi e sulla ricerca di un’immagine unitaria e coerente
Il modello algebrico di Anderson (1981) (elementarista) = teoria dell' integrazione delle
informazioni
Il modello algebrico proposto da Anderson (1981) assegna, una priorità ai dati sulle teorie o
categorie (bottom-up).
Ogni tratto possiede un significato non modificabile con una sua valutazione costante.
L’impressione finale che ricaviamo dai singoli tratti che caratterizzano una persona è un
combinazione algebrica (ad esempio la somma) delle valutazioni associate a singoli tratti
Esperimento
Anderson sottopone un gruppo di soggetti alla formulazione di giudizio sul valore di singoli tratti di
personalità. Utilizzando un sofisticato modello di misura di tipo psicofisico, l’autore chiede ad ogni
partecipante di esprimere un valore numerico a tratti quali: generoso, caldo, gentile, freddo,
intelligente, determinato, ecc.
A questo punto divide il campione in 2 gruppi. Ad uno presenta una persona X e chiede loro di
formulare un’impressione a partire da alcuni tratti di personalità che lo contraddistinguono:
intelligente, industrioso, caldo, risoluto, pratico prudente.
Al secondo gruppo viene presentata una lista di aggettivi identici, ma il termine “caldo” viene
sostituito con la parola “freddo”.
Il primo gruppo formulerà un’impressione positiva del soggetto X, il secondo gruppo, invece,
un’impressione negativa.
Conclusioni:
Anderson dimostra come il giudizio complessivo lungo una dimensione favore-sfavore di una
persona, di cui sono note solo alcune caratteristiche, possa essere stimato con precisione a partire
dalla conoscenza del valore attribuito da ciascun soggetto ai singoli tratti.
Le info che riceviamo (singoli tratti) subiscono una elaborazione grazie a due prospettive diverse:
La prospettiva funzionale per cui i soggetti attribuiscono dei valori ai tratti delle persone in base a
ciò che intendiamo fare con quella persona.
La prospettiva analitica (analisi di valori) = algebra cognitiva, è il sistema matematico mediante il
quale attribuiamo una misura di valori alle info ricevute sulla persona stessa in seguito
all'acquisizione di dati (i tratti).
Tutte le operazioni compiute sono descrivibili algebricamente.
Ogni tratto percepito acquisisce un valore numerico in base allo scopo che ci avvicina ad una
persona, chiamato processo di integrazione .
I valori numerici, attribuiti in base ai nostri scopi possono essere ascrivibili ad una scala a due poli
= buono o cattivo…approccio o allontanamento. Possono dunque essere espressi lungo un
continuum di avvicinamento-allontanamento. L'impressione globale si raggiunge a partire da liste di
tratti
Per Anderson, una volta attribuito un valore numerico ad un tratto questo non varia; perché non
varia il motivo che ha determinato l'avvicinamento o l' allontanamento a quella persona (Invarianza
di significato).
Il modello del continuum di Fiske e Neuberg (1987)
Il modello del continuum prevede che non vi sia un’unica modalità di analisi delle informazioni
disponibili per formulare un’impressione sulle persone che incontriamo. A seconda della
26
motivazione all’accuratezza e della quantità di risorse di elaborazione disponibili, la valutazione
viene costruita utilizzando strategie diversificate.
Esperimento
Ad alcuni soggetti venivano presentate informazioni su cinque diverse persone e veniva loro
anticipato che una di queste sarebbe stata loro partner in un successivo compito sperimentale in cui
avrebbero dovuto collaborare alla soluzione di problemi. In questo modo viene manipolata la
variabile motivazione, incrementando l’interesse per la persona con cui si aspettano di intrattenere,
di lì a poco, una relazione sociale di reciproca interdipendenza. Questa motivazione viene a
mancare nella valutazione delle altre quattro persone che vengono loro descritte. Al termine di
questa fase ai soggetti viene proposto un compito inferente della durata di 15minuti, in seguito
viene chiesto loro di ricordare i tratti e le caratteristiche delle persone che sono state descritte.
I risultati mostrano come la persona con cui i partecipanti all’esperimento si aspettano di interagire
sia ricordata meglio rispetto alle altre e le informazioni che le riguardano presentano una più
articolata organizzazione in memoria. Gli altri soggetti vengono descritti riconducendoli a grandi
categorie a cui era possibile ricondurli per i tratti impiegati per descriverli. Un soggetto indicato
come sportivo, per esempio, viene rcordato come atletico, competitivo, collaborativo, ecc.
Conclusioni:
Il processo di formazione di impressioni segue un modello che si struttura come una sequenza di
fasi, distribuiti lungo un continuum. Innanzitutto una persona viene categorizzata sulla base di tratti
percettivi evidenti quali colore della pelle, abbigliamento, capelli. Questa operazione è del tutto
automatica ed inevitabile. Le categorie coinvolte in questa fase sono dette “privilegiate”, vale a dire
di uso comune (processo top-down). La formulazione di impressioni si ferma sul polo destro di un
continuum.
Se la persona su cui formulare un impressione in qualche modo suscita interesse, si approfondisce il
processo di elaborazione. Il sistema cognitivo impiega una certa quantità di risorse destinata ad una
analisi più raffinata delle caratteristiche della persona da giudicare. Queste risorse vengono
utilizzate per l’attivazione di un categorie di giudizio specifiche con le quali il soggetto da valutare
viene confrontato. Se le categorie risultano adatte a descriverlo il processo può arrestarsi, e il
processo di formulazione dell’impressione si colloca nella zona centrale del continuum.
Infine, se le caratteristiche della persona non combaciano a sufficienza con le categorie di giudizio
attivate è possibile formulare il giudizio basandolo sulle caratteristiche individuali che vengono
integrate fra loro fino a formare un’immagine coerente della persona al prezzo di un’ulteriore
impiego di risorse di elaborazione (processo bottom-up) in questo caso l’impressione si colloca in
prossimità del polo sinistro del continuum.
Impressioni formulate con largo impiego di informazioni stereotipiche sono valutazioni olistiche,
impressioni individualizzate sono invece ottenute aggregando fra loro le informazioni specifiche di
un singolo individuo in modo algebrico.
Le modalità che consentono la formazione dei diversi tipi di informazioni dipendono da gradi
diversi di:
- Motivazione all'accuratezza da parte di che raccoglie i dati
- Disponibilità di risorse cognitive di cui disponiamo in quel momento
- Quantità di informazioni che la persona è disposta a dare.
In particolare maggiori sono le RISORSE di elaborazione di cui disponiamo più profonda sarà la
nostra elaborazione.
Il modello basato sul ricordo di esemplari di Smith e Zarate (1992)
Il modello di formulazione delle impressioni di Smith e Zarate basato su esemplari parte da
assunzioni estremamente semplici.
Ogni persona che si incontra lascia una traccia nella memoria. Per persone incontrate con una certa
frequenza (amici, colloghi, ecc) questa traccia è ricca di informazioni e molto articolata. Per le
persone che si incontrano occasionalmente o una sola volta la traccia è decisamente scarna.
27
Ogni persona adulta mantiene in memoria il ricordo di un vasto numero di persone. Queste tracce
mnestiche vengono dette “modelli”. Oltre alle persone reali, anche i personaggi di celluloide o
quelli della carta stampata lasciano un ricordo e divengono modelli di impressioni sociali.
Le matrici di correlazione dei tratti sono dette teorie implicite di personalità. Le teorie implicite di
personalità possono essere anche errate e pertanto fuorvianti
Esperimento:
Due gruppi di soggetti vengono invitati a partecipare ad un test di personalità.
Il 1° gruppo viene trattato in modo educato, il 2° viene maltrattato dallo sperimentatore che
consegna i test.
Alla fine della compilazione i soggetti devono riconsegnare il test
A riceverli ci sono due sperimentatori. Di queste due persone una era pettinata e vestita come lo
sperimentatore “scortese”.
Nello condizioni in cui chi forniva il questionario si era comportato in modo formale e neutro a
ciascuno dei colleghi addetti al ritiro dei questionari fu consegnato approssimativamente la stessa
percentuale dei test. Nell’altra condizione, invece, il collega “simile” allo sperimentatore ricevette
un numero significativamente inferiore di riconsegne.
Evidentemente i soggetti si erano formati delle aspettative sul suo probabile comportamento a
partire dagli indici di somiglianza pur non avendo alcuna ragione concreta per prevedere un
comportamento parimenti sgarbato da parte del collega ricercatore.
Conclusioni:
La memoria contiene rappresentazioni di esemplari specifici che possono essere interrogate e
utilizzate per la formulazione di giudizi anche senza che il soggetto ne sia consapevole. (Primo
assunto) Le tracce dell'esperienza passata delle persona incontrate non sono sempre rievocabili
volontariamente, ugualmente esse ci guidano nelle impressioni. Le tracce sono esemplari di
memoria.
L’effetto degli esemplari conosciuti sui giudizi o decisioni dipende dalla loro somiglianza con lo
stimolo target. La somiglianza non è una caratteristica fissa ma contestuale. Incontrare una persona
in spiaggia o in biblioteca implica l’utilizzo di dimensioni diverse per valutare quali esemplari in
memoria richiamare come modelli (Secondo assunto)
I soggetti che si richiamano alla memoria per valutare chi si ha di fronte, vengono richiamati in base
alle caratteristiche di somiglianza con la persona che si vuole valutare e a seconda del fatto che con
quella persona si prospetta la possibilità di collaborare, competere o non fare proprio nulla (Terzo
assunto).
Modello unimodale di kruglanski et al. (1999)
Il modello esclude la possibilità di distinguere due processi di formulazione delle impressioni (come
già era stato affermato per gli atteggiamenti).
L’impressione si forma attraverso un processo di elaborazione cognitiva di informazioni (siano esse
categoriali o individuali).
L’estensione di tale processo e l’accuratezza dell’impressione prodotta varia il funzione della
Motivazione e delle risorse disponibili.
LA REPUTAZIONE
La reputazione è una forma di conoscenza dei soggetti sociali mediata dall’esperienza di altri. È
l’esito della percezione di sociale “condivisa” di un soggetto.
La conoscenza degli altri si realizza attraverso 3 modalità:
1. Osservazione diretta à impressioni;
2. Auto-oresentazione dei soggetti che intendiamo conoscere
3. Informazioni fornite da altri à reputazione
Conditio sine qua non: struttura sociale à matrice collettiva alle informazioni che compongono la
reputazione
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Contenuti: qualità umane variabili; caratteristiche di interesse collettivo; tratti difficilmente
osservabili; caratteristiche relativamente rare
Funzione:
- controllo sociale: la reputazione permette di anticipare le aspettative di comportamento e, pertanto,
giustifica azioni anticipatorie di inclusione o esclusione sociale.
- autocontrollo: tendiamo a scegliere quella particolare combinazione di gesti e di parole finalizzata
a proteggere la nostra reputazione, e dunque a sollecitare reazioni sociali di tipo inclusivo e
cooperativo.
Formazione:
Processo che mette a confronto le impressioni dei membri di una comunità fino a definire
un’immagine condivisa (reputazione) che se si caratterizza in modo negativo diventa una forma di
etichettamento a cui il soggetto potrebbe attribuire un ruolo di autodefinizione: presentazione del sé.
Quando l’oggetto sociale di cui si forma l’impressione e/o la reputazione è non un singolo ma un
gruppo sociale, si rileva/definisce di quel gruppo l’ entitatività
Con il termine entitatività si fa riferimento all’insieme di caratteristiche correlate che permettono di
percepire un gruppo come un’unità.
Non a tutti i gruppi si attribuisce un’elevata entitatività.
Il concetto di entitatività si attribuisce anche al singolo quando lo si considera conforme ad un
“tipo”, ovvero quando si correlano tutti gli elementi che lo contraddistinguono in un profilo
tipizzato.
È l’esito del giudizio configurazionale di Asch
L’applicazione del modello di Asch a gruppi sociali porta a individuarne l’entitatività e può indurre
a formulare giudizi stereotipali e pregiudizievoli.
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RAPPRESENTAZIONE SOCIALE
Dal testo Palmonari – Cavazza - Rubini: pag.73-106 (cap.3)
Definizione di Rappresentazione Sociale:
L’elaborazione che un gruppo o una comunità fa di un oggetto sociale (o di un gruppo) in modo da
permettere ai propri membri di comportarsi e di comunicare in modo comprensibile. (Moscovicì,
1961, 1962)
Non sono “opinioni su…” o “atteggiamenti verso…” ma “teorie” o “branche di conoscenza vere e
proprie” utili per organizzare la realtà.
Sono sistemi di: valori, idee, pratiche che si formano all’interno e grazie alla comunicazione
interpersonale e sociale.
Le rappresentazioni sociali sono un sistema di riferimento che consente di attribuire un senso
all’inatteso; una categoria che serve a classificare circostanze, eventi ed individui; una teoria che ci
consente di deliberare su di essi.
Le rappresentazioni sociali sono, dunque, l’elaborazione di un oggetto sociale da parte di una
comunità (ri-costruzione) , che permette ai suoi membri di comportarsi e di comunicare in
modo comprensibile
Il termine “rappresentazione” indica sia l'atto con il quale la coscienza riproduce un oggetto
esterno (per esempio una cosa), o un oggetto interno (uno stato d'animo), sia il contenuto stesso di
tale operazione riproduttiva.
le R.S. sono una forma di sapere pratico perché si inscrivono nelle esperienze e negli avvenimenti
vissuti dagli individui e scambiati nelle collettività (Moscovici 1994)
“Una forma di conoscenza socialmente elaborata e condivisa, avente un fine pratico e concorrente
alla costruzione di una realtà comune ad un insieme sociale”(Jodelet, 1989)
Moscovici impostò la sua elaborazione teorica sulla nozione di “rappresentazioni collettive”
impiegato da Durkheim in un saggio 1898.
Per Durkheim
- le rappresentazioni collettive sono l’oggetto principale della sociologia e riguardano quelle
forme intellettuali che comprendono la religione, la morale, il diritto, la scienza, ecc.
- le rappresentazione collettive devono essere distinte dalle rappresentazioni individuali che sono
oggetto della psicologia
Moscovici, pur ispirato da Durkheim, preferisce parlare di rappresentazioni sociali
Il concetto di rappresentazioni sociali si differenzia da quello di rappresentazioni collettive sotto
due aspetti: specificità e flessibilità
Specificità della nozione di rappresentazione sociale
Durkheim: rappresentazioni collettive sono un insieme molto vasto di prodotti della mente che
un’unica disciplina non è in grado di interpretare.
Moscovici: rappresentazioni sociali riguardano un modo specifico di esprimere le conoscenze in
una società o nei gruppi che la compongono. Conoscenza condivisa spesso sotto forma di teoria del
senso comune.
Le rappresentazioni sociali per Moscovici possono:
- essere condivise dai membri di un gruppo ampio e fortemente strutturato, anche se non elaborate
dal gruppo stesso
- essere il prodotto di idee o conoscenze di sottogruppi, in contatto più o meno stretto, in un dato
contesto sociale
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-non essere condivise dall’intera società ma soltanto da alcuni gruppi più o meno ampi e essere
elaborate negli incontri e nei conflitti determinati dalle relazioni tra i gruppi diversi
Stabilità e flessibilità delle rappresentazioni sociali
Secondo Durkheim: le rappresentazioni collettive sono forze stabilizzatrici della realtà sociale,
entità statiche e assai poco mutabili (es. un’ideologia che persiste anche se dimostrata infondata)
Secondo Moscovici: le rappresentazioni sociali danno corpo alle idee incarnandole in esperienze ed
interazioni nel presente
Collegano il sapere e le conoscenze alla vita concreta
In questa prospettiva sono relativamente dinamiche, mobili, circolanti e possono formarsi con
facilità
COME SI FORMANO LE RAPPRESENTAZIONI SOCIALI?
Quali sono i processi che trasformano un elemento socialmente rilevante in rappresentazioni
sociali?
Esempio: come la conoscenza della psicoanalisi si è diffusa nella popolazione francese negli anni
’50
Metodologia di studio:
- Inchiesta per gruppi socialmente significativi di persone
- Questionari
- Analisi del contenuto della stampa
I processi alla base delle rappresentazioni sociali sono:
Ø Ancoraggio
Ø Oggettivazione
Lo scopo di questi processi è di ridurre la paura o lo stupore che un oggetto o fenomeno nuovo
produce
Ancoraggio: Permette di classificare, denominare e spiegare qualcosa che non è familiare
mettendolo in rapporto con le categorie sociali già possedute dall’attore sociale
Oggettivazione: Dà consistenza materiale alle idee e dà corpo a degli schemi concettuali traducendo
in immagini i concetti astratti
Esempio: rappresentazione sociale della psicoanalisi
Ancoraggio: Rapporto paziente e terapeuta inteso come forma laica di confessione che permette di
individuare categorie di persone (con o senza complessi) ed eventi (traumatici e non traumatici).
Oggettivazione: Ritenzione selettiva di alcune informazioni sulla psicoanalisi e
decontestualizzazione di esse, riorganizzazione di tali informazioni in uno schema figurativo:
concreto, accessibile e coerente: Conscio, rimozione, inconscio à Complessi
(attenzione: esclusione del concetto “scomodo”, libido)
Naturalizzazione: le immagini da elementi del pensiero divengono elementi della realtà, categorie
sociali sicure che ordinano eventi concreti (es. inconsci inquieti, complessi aggressivi)
Hewstone (1983) mostra che l’oggettivazione può esprimersi attraverso processi di:
- Personificazione: associazione di idee scientifiche e teorie con una personalità di spicco che
diviene simbolo dell’oggetto sociale
Esempio: Freud per la Psicoanalisi, Leonardo per il Rinascimento
- Figurazione: metafore e immagini sostituiscono nozioni complesse
Esempio: problemi di surplus agricoli della CEE espressi in “fiumi di vino” o “montagne di frutta,
pomodori” e non in termini economici
- Ontologizzazione: proprietà fisiche per rappresentare un’idea
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Esempio: la mente come un computer
QUALI SONO LE FUNZIONI DELLE RAPPRESENTAZIONI SOCIALI?
Le funzioni delle rappresentazioni sociali sono sostanzialmente 2:
- Rendere familiare ciò che è estraneo e distante dalla esperienza dei membri di un gruppo
- Permettere una continuità tra vecchio e nuovo, provocando modificazioni di valori e sentimenti
Moscovicì aveva individuato 3 funzioni (che chiama ipotesi) da lui stesso definite non scevre di
limiti
1) Ipotesi dell’interesse
2) Ipotesi dell’equilibrio
3) Ipotesi del controllo
Limiti:
• generalità
• non falsificabilità
• concezione meccanicistica del controllo sociale
Ipotesi dell’interesse:
Un individuo o un gruppo costruiscono immagini nel tentativo di conciliare obiettivi contrapposti
tra due gruppi sociali o tra l’individuo e la società
Tali immagini sono distorsioni della realtà obiettiva con lo scopo di favorire una delle posizioni in
campo, in genere quella che ha più potere
2) Ipotesi dell’equilibrio:
Le rappresentazioni sociali sono mezzi per risolvere tensioni psichiche o emotive dovute a
insuccesso o a non integrazione sociale
Compensazioni immaginarie con lo scopo di ricostruire l’equilibrio interno nell’individuo o nel
gruppo
3) Ipotesi del controllo:
Rappresentazioni sociali come filtri usati dai gruppi nei confronti di informazioni provenienti
dall’esterno per controllare la lealtà dei propri membri.
Hanno la funzione di manipolare il processo di pensiero e la struttura della realtà per controllare i
comportamento dei propri membri
COME SI MODIFICANO LE RAPPRESENTAZIONI SOCIALI?
Per Moscovici le R.S. si possono modificare per azione di specifici sistemi di comunicazione:
- Diffusione
- Propagazione
- Propaganda
Essi attivano diverse organizzazioni cognitive che inducono alla modifica di una R.S. in termini di:
- Opinione asserzione valutativa su un oggetto sociale che ha caratteri di instabilità, plasticità e
specificità. Non ha rapporti diretti e immediati con i comportamenti
- Atteggiamento orientamento positivo o negativo verso l’oggetto sociale. Si rivela attraverso
comportamento globale
- Stereotipi risposta stabile e priva di ambiguità nel rifiutare o accettare un oggetto sociale
Moscovici studiò come 3 settori di stampa francese presentavano alla fine degli anni ’50 la
psicoanalisi:
- Stampa a grande diffusione (indipendente)
- Stampa cattolica
- Stampa militante comunista
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Rilevò tra di essi l’esistenza di differenze significative nel modo di trattare la psicoanalisi.
Diffusione: metodo di comunicazione della stampa indipendente
- Scopo: creare un sapere comune senza preoccuparsi della sua unitarietà, puntando piuttosto ad
adattarsi alle esigenze del pubblico
- Informazioni debolmente organizzate e a volte contraddittorie
- Giornalisti trasmettono l’informazione come ricevuta dagli specialisti
- Difficilmente, con questo tipo di informazioni i lettori si pongono in modo coerente verso la
psicoanalisi
- Genera opinioni
Propagazione: metodo di comunicazione della stampa cattolica
- Scopo: fornire elementi che portino gli individui ad assumere una posizione interessata e anche
critica verso la psicoanalisi
- Psicoanalisi supera il positivismo materialista e anti-religioso: adattamento del sapere
psicoanalitico ai principi religiosi
- Genera atteggiamenti
Propaganda: metodo di comunicazione della stampa comunista
- Scopo: produrre nei lettori una presa di posizione negativa e di netto contrasto nei confronti
della psicoanalisi
- Psicoanalisi come ideologia mistificatrice importata dagli Stati Uniti
- Urss paese della pace vs. gli Stati Uniti paese della guerra: Psicologia riflessologica russa
(scienza) vs. psicologia americana (pseudoscienza o scienza borghese)
- Genera stereotipi
Sistemi comunicativi diversi attivano un organizzazione cognitiva che induce alla modifica delle
R.S. esprimendole in termini di opinioni, atteggiamenti e stereotipi.
Moscovicì individua 2 sistemi cognitivi:
1) Sistema operatorio: che procede ad associazioni, inclusioni, inferenze, discriminazioni e
deduzioni
2) meta-sistema: che controlla, verifica, seleziona la materia prodotta dal primo sistema cognitivo
sulla base di regole siano esse logiche o no.
§ Il metasistema è costituito da regolazioni sociali che controllano, verificano e dirigono le
operazioni cognitive
§ I principi organizzativi del metasistema variano a seconda dei diversi sistemi in cui il
pensiero adulto si attiva
Pertanto, secondo Moscovici:
- Lo studio delle rappresentazioni sociali riguarda l’analisi delle regolazioni effettuate dal
metasistema sociale sul sistema cognitivo
- Questo implica che sia specificato il rapporto tra il soggetto e il sistema dei rapporti sociali in
cui è inserito (es. capo, dipendente, esecutore)
- Il controllo sociale sul cognitivo si evidenzia studiando come le rappresentazioni sociali sono
espresse in diversi sistemi di comunicazione
SVILUPPI TEORICI DELLA TEORIA DI MOSCOVICI’
Lo studio delle rappresentazioni sociali segue attualmente 2 direttrici:
à Contributo della scuola di Aix-en-Provence: approccio strutturalista analizza:
- la struttura della rappresentazione sociale
- come la struttura della rappresentazione può modificarsi
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à Contributo della scuola di Ginevra: approccio socio-dinamico analizza:
- come gli attori sociali elaborano e organizzano la conoscenza della realtà
- come si articola la condivisione della realtà simbolica e livello di consenso
AIX EN PROVENCE
Si caratterizza per un’impostazione strutturalista.
Struttura delle rappresentazioni sociali:
- nucleo centrale
- elementi periferici
Gli aspetti delle R.S. sono:
Aspetti normativi: guidano la formulazione dei giudizi e delle valutazioni degli oggetti sociali (per
es. di fronte ad un nuovo oggetto)
Aspetti funzionali: regolano il rapporto tra oggetto e pratiche sociali (per es. il come si fa)
Nucleo centrale:
- Componente non negoziabile che determina la natura, il significato e l’organizzazione della
rappresentazione sociale
- Rappresenta la base sociale e collettiva su cui si esercita il consenso quasi unanime
- È un sistema in quanto un cambiamento nel nucleo modifica la rappresentazione e perché un
cambiamento negli elementi della periferia lascia, il più delle volte e nel breve e medio periodo,
il nucleo e la rappresentazione intatte
Il nucleo ha diverse funzioni:
- Funzione stabilizzatrice: assicura stabilità e coerenza poiché è la parte consensuale e non
negoziabile della rappresentazione sociale
- Funzione generatrice: assicura il significato degli elementi del nucleo centrale e degli elementi
periferici
- Funzione organizzatrice: organizza il legame tra nucleo centrale e elementi periferici
Proprietà del nucleo centrale:
- Salienza quantitativa: elementi su cui c’è il maggior grado di accordo
- Salienza qualitativa: elementi senza i quali la rappresentazione cambia
L’attivazione differenziata dei contenuti del nucleo centrale dipende:
- dalla finalità della situazione
- dalla distanza tra gruppo sociale e oggetto della rappresentazione
- dal contesto di enunciazione
Elementi periferici:
- Elementi che “generalmente” fanno parte della rappresentazione
- Assicurano flessibilità alla rappresentazione
- Assicurano la possibilità di integrare l’eterogeneità dei contenuti e dei comportamenti
- Assicurano l’evoluzione della rappresentazione sociale: i cambiamenti si verificano prima negli
elementi periferici e poi nel nucleo
Metodi di studio delle rappresentazioni sociali:
Ø Metodo del rifiuto:
Ø Metodo dello scenario ambiguo
Ø Metodo della messa in discussione
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Moliner (1995) propone di distinguere tra funzione descrittiva e funzione valutativa degli elementi
delle rappresentazioni sociali
Elementi centrali
Elementi periferici
Polo descrittivo
Definizioni
Descrizioni
Caratteristiche che definiscono tutti gli Caratteristiche più frequenti e
aspetti delle rappresentazioni
probabili
Polo valutativo
Norme
Criteri per valutare l’oggetto della
rappresentazione
Aspettative
Caratteristiche desiderabili
dell’oggetto della rappresentazione
SCUOLA DI GINEVRA
Doise, ispirandosi al rapporto tra sistema e metasistema cognitivo elaborato da Moscovici,
puntualizza tre assunzioni principali:
•
R.S sono principi organizzatori delle relazioni simboliche
•
Implicano diversi gradi di intensità di adesione
•
L’appartenenza a diversi gruppi influenza l’intensità di adesione ad una R.S
1) Le rappresentazioni sociali possono essere considerate come principi organizzatori delle
relazioni simboliche tra individui e i gruppi, di conseguenza:
Le rappresentazioni sociali sono elaborate entro sistemi di comunicazione che necessitano di quadri
di riferimento comuni per gli individui e i gruppi
2) Gli individui possono differire a seconda dell’intensità della loro adesione ai vari aspetti delle
rappresentazioni sociali:
Occorre individuare i principi organizzatori alla base delle differenze individuali in un campo
rappresentazionale
3) Le differenze fra le prese di posizione individuali sono ancorate:
• alle appartenenze a gruppi
• alle realtà simboliche che caratterizzano tali gruppi
• alle esperienze socio-psicologiche condivise dagli individui
• alla loro credenze circa la realtà sociale
Di conseguenza, per Doise lo studio delle rappresentazioni sociali deve:
• Individuare il campo di riferimento comune della rappresentazione sociale (processo di
oggettivazione)
• Una volta identificato il campo di riferimento comune deve mettere a fuoco le diverse prese di
posizione che modulano le differenti organizzazioni del campo descritto
• Infine deve individuare i rapporti sociali alla base delle prese di posizione individuale (processo
di ancoraggio)
Secondo Doise esistono diverse modalità di ancoraggio che possono intervenire
contemporaneamente nella costruzione delle rappresentazioni sociali:
ancoraggio sociologico: rapporto generativo fra inserimento di un soggetto in un quadro ben
definito di rapporti sociali e la presa di posizione specifica dello stesso attore sociale
ancoraggio socio-psicologico: il modo in cui gli individui elaborano diverse prese di posizione in
funzione della loro appartenenza a gruppi o a categorie sociali
ancoraggio psicologico: rapporto fra le diverse prese di posizione e adesione a diverse credenze o
sistemi di valore.
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SE’ E IDENTITÀ
Dal testo Palmonari – Cavazza - Rubini: pag. 107-145 (cap. 4)
Patrizi – De Gregori pag. 97-132 (cap. 3)
Sé e Identità
Spesso i due termini vengono considerati come sinonimi e utilizzati indistintamente.
In realtà è opportuno distinguere:
Sé: l’insieme di aspetti individuali e le componenti intrapsichiche del soggetto. La SocialCognition
individua le radici del Sé socialenelle relazioni interpersonali, trascurando le relazioni intergruppi
Auto-riconoscimento personale in termini di rappresentazione di sé in prima persona.
Identità: dimensione sociale dello sviluppo individuale che rimanda all’idea di “appartenenze”. Di
tradizione europea, enfatizza il ruolo prominente dell’appartenenza di gruppo e delle relazioni
intergruppo. Si focalizza sugli antecedenti e conseguenze delle identità collettivamente condivise
Auto-riconoscimento basato sull’appartenenza sociale e etero-riconoscimento da parte degli altri.
L’elaborazione di Codol (1980) è quella che meglio esprime l’interdipendenza fra i concetti di Sé
e di identità
Il sentimento di un’identità personale si basa su due elementi essenziali del processo di percezione
di sé:
§ Il Sé come oggetto unico, il sentimento della differenza: il riconoscimento della propria
differenza, attraverso il confronto con gli altri, permette la presa di coscienza di sé
§ Coerenza e stabilità dell’immagine di sé, il sentimento dell’unità e dell’identità con sé
stesso: l’immagine di sé presenta una certa costanza nel tempo
Sé differente dagli Altri
Sé coerente e stabile
identità
Prima di addentrarci nello studio delle diverse teorie relative al Sé e all’identità ricordiamo che il
fine del corso è lo studio della Psicologia Sociale e la sua declinazione in ambito criminale.
Ricordando che la psicologia sociale e, nello specifico, la social cognition studia le modalità con cui
gli individui attribuiscono un senso alla loro esistenza e interpretano il comportamento proprio e
altrui, approcci teorici diversi dalla social cognition contribuiscono a definire alcuni degli aspetti da
essa trattata.
La psicologia cognitivista offre modelli e metodi di studio utili a descrivere i meccanismi di
apprendimento, del pensiero e della memoria;
La psicologia gestaltica chiarisce il metodo fondamentale per cogliere gli spetti olistici dei processi
di pensiero.
La psicoanalisi spiega i processi di interiorizzazione e di evoluzione individuale.
In merito al capitolo sul Sé e l’identità, pertanto, sono tre gli approcci teorici da tenere in particolare
considerazione perché propri della psicologia sociale, e sono:
- L’approccio dell’interazionismo simbolico (di Mead)
- l’approccio Gestaltico (Asch, Lewin)
- L’approccio Scial Cognition (Markus e Higgins)
I contributi teorici Psicanalitici (di Erikson e Marcia); del cognitivismo (Neisser), devono essere
considerati in termini di rapporto e di supporto al filone psicosociale.
Schema riassuntivo degli approcci:
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Approcci:
Autori
Definizioni
Dettagli:
Filosofia
James
Io: soggetto che conosce
Me: oggetto conosciuto
Struttura rigida e gerarchica
Psicoanalisi
Erikson Identità processo di acquisizione
Marcia per fasi.
Acquisizione-bloccomoratoria-diffusione
Social-cognition Markus Sé come struttura cognitiva di
Higgins riferimento
Schemi di Sé; Sé possibili; Sé e
culture
Cognitivismo
Neisser Sé e processi di auto-conoscenza
Sé ecologico-interper-sonaleesteso-privato-concettuale
Gestalt
Lewin
Asch
L’Io transfenomenico è unità
olistica e attiva
Teoria del campo;
Effetto Zeigarnik
Interazionismo
simbolico
Mead
Sé= Io+Me f(interazione sociosimbolica)
Linguaggio – gioco
Altro generalizzato.
Interazionismo
simbolico
Athens
Identità violente = processo di
violentizzazione
Comunità fantasma
Interpretazioni situazioni
Approccio filosofico:
- I. Kant (1787): distinse Sé come oggetto (Sé empirico) e Sé come soggetto (Io puro)
- A. Schopenhauer (1819): parla di “Io conosciuto” ed “io conoscitore”
- W. James (1891) distingue due componenti del Sé:
Io: soggetto consapevole, in grado di conoscere, prendere iniziative e riflettere su di Sé
Me: quanto del Sé è conosciuto dall’Io (il modo in cui mi vedo); include una componente
materiale (il Me corporeo), una sociale (il Me in rapporto con gli altri) e una spirituale (il Me
consapevole e capace di riflessione)
- il Me Corporeo: include le conoscenze che l’individuo possiede a proposito del proprio
corpo ma che si estende anche a domini confinanti come i vestiti, la casa, la proprietà, la
famiglia.
- il Me Sociale: attiene alle molteplici immagini che gli altri hanno dell’individuo e si articola
in tante rappresentazioni quante sono le diverse forme di rapporto che lo uniscono agli altri
significativi.
- il Me Spirituale: attiene alle conoscenze che l’individuo possiede rispetto alle sue facoltà
psicologiche, ai suoi tratti di personalità, disposizioni, atteggiamenti, motivazioni e interessi.
Questa impostazione fa riferimento a un concetto di Sé piuttosto rigido, organizzato in forma
gerarchica, dove è assegnato minor valore al Me corporeo e maggior valore al Me spirituale
Dal contributo di James, lo psicologo Gordon Allport (1961), uno dei padri fondatori della
psicologia sociale, sostenne che la distinzione tra Io e Me dovesse essere netta:
L’Io non è oggetto diretto di conoscenza, pertanto deve essere studiato dalla Filosofia;
Il Me, di contro, è assegnato alla Psicologia
James era contrario a questa netta separazione. Io e Me sono distinti analiticamente ovvero
descrivono lo stesso flusso di coscienza, l’uno in termini di pensatore (Io), l’altro come pensato di
sé (Me).
James affermava pertanto che Io e Me sono inscindibili poiché il «pensiero è esso stesso il
pensatore» come un fiume è inscindibile rispetto all’acqua.
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APPROCCIO PSICANALITICO:
Secondo l’approccio psicoanalitico il Sè diviene la possibilità dell'Io di pensare e osservare se
stesso, in quanto contrapposto all'oggetto.
Il Sé assume le caratteristiche di una vera struttura psichica che si inserisce come elemento della
dinamica interpersonale.
È all’approccio psicanalitico che si deve la definizione del concetto di “identità”
La formazione dell'identità è un processo che deriva dall'assimilazione e dall'integrazione delle
diverse esperienze di sé che si hanno nell'arco della vita. Questa esperienza globale di sé (secondo
alcuni autori), coincide con il sentimento d'identità.
Si indica con l’espressione identità personale la consapevolezza della distinzione fra sé e le altre
entità diverse da sé.
La nozione di “identità” è stata elaborata in modo approfondito da Erikson, la cui tesi è stata in
seguito approfondita da Marcia
Secondo E.H. Erikson (1968) l'identità consiste nell'idea di essere distinto e separato dagli altri.
L’acquisizione dell’identità è il risultato positivo di uno dei conflitti vitali che la persona affronta
nel corso della vita; caratterizza in particolare l’adolescenza, ma se si propone in ogni transizione.
Ognuno può avere più identità (individuali, familiari, di gruppo, sociale, etnica, religiosa, culturale,
ideologica, nazionale, regionale, professionale); queste identità possono essere in rapporto
armonico o in contrasto tra loro e, in entrambi i casi, qualche volta in modo produttivo altre in
modo controproducente.
Quando ci si sente sicuri all'interno di una collettività, normalmente si tende ad affermare la
propria individualità, al contrario. In condizione di insicurezza dovuta a conflitti, si accentua il
proprio bisogno di assomigliare ad altri, di fondersi con il gruppo adottando comportamenti e
atteggiamenti tendenti al conformismo.
J.E.Marcia (1980) descrive il processo attraverso cui si costruisce l’identità personale:
§ Acquisizione dell’identità: l’individuo raggiunge questo stato attraverso un processo di
esplorazione di varie alternative possibili a cui segue l’impegno in rapporto ai ruoli sociali
prescelti
§ Blocco dell’identità: l’individuo si impegna in certi ruoli e valori ispirati alle figure di
identificazione infantili, in assenza di una fase precedente di conflitto ed esplorazione
§ Moratoria: l’individuo non attua alcun impegno preciso ma procede nello sforzo di
esplorazione della realtà
§ Diffusione dell’identità: l’individuo passa da una identificazione momentanea all’altra,
senza sviluppare alcun reale interesse e senza impegnarsi in alcun ruolo
L’APPROCCIO SOCIO-COGNITIVISTA
Nella prospettiva della “social cognition” il sé è concepito come un sistema di conoscenze, una rete
di informazioni che guida la percezione, l’elaborazione e l’integrazione delle esperienze
Il Sé dal punto di vista strutturale è visto come uno schema.
Lo schema di sé è la struttura cognitiva di cui l’individuo dispone per organizzare in memoria le
informazioni riguardanti i propri attributi, i propri ruoli, le esperienze passate e le aspettative future.
Schemi di sé (Markus, 1977):
- strutture affettivo-cognitive capaci di organizzare l’elaborazione di informazioni riguardanti il
sé
- corrispondono alle dimensioni su cui una persona si descrive
- possono essere sia di tipo positivo (sono onesta) che negativo (sono pigro)
- non sono facilmente modificabili
Come si forma la rappresentazione di sé?
La rappresentazione mentale di sé consiste in una cerchia di concetti che a tale costrutto si
riferiscono: ciascuno di essi è collegato a un contesto specifico ed è tale rappresentare il modo in
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cui l’individuo ritiene di comportarsi nelle diverse situazioni. Il sé viene concepito come una
collezione di elementi collegati a strutture di conoscenza saldamente ancorate a domini specifici
Sé operante (working self) è la rosa di attributi del sé attivati in una specifica situazione.
Esempio: il operante è dato da quei particolari contenuti che emergono in una situazione di classe
per uno studente. Egli avverte come particolarmente accessibili quelle parti di sé che risultano
salienti in quella situazione: le dimensioni e gli attributi più legati alla condizione universitaria, alle
prestazioni intellettuali, alla motivazione allo studio, al rapporto con i docenti e con i compagni
(efficienza, competenza, rispetto delle regole, ecc.)
Basterà spostarsi in altro ambiente, per esempio in un campo sportivo, per cambiare riferimento e
contenuti che diventano accessibili: in questo caso le dimensioni e gli attributi che emergono
possono riguardare la prestanza fisica, le procedure di allenamento, i rapporti con i compagni di
squadra (tenacia, determinazione, competizione, ecc)
Schema di sé = struttura cognitivo-affettiva che rappresenta le proprie esperienze in un particolare
dominio.
Gli schemi di Sé:
§ Permettono all’individuo di autodefinirsi;
§ Servono a ricordare le informazioni rilevanti che ad essi stessi si riferiscono e quindi
§ Servono ad organizzare la propria condotta sintonizzandola sui tratti e gli attributi più
ricordati e dunque a trovare una conferma delle proprie aspettative.
I processi mediante i quali gli individui mettono in azione le concezioni che hanno elaborato a
proposito di sé, modificano la loro condotta o intervengono sull’ambiente sociale per rendere
compatibili i risultati attesi con l’auto-percezione che essi elaborano e gli scopi personali che
perseguono.
Markus e Nurius (1986): il concetto di sé comprende concezioni ipotetiche di sé o sé possibili, che
rappresentano le idee delle persone circa quello che possono, vorrebbero o temono di diventare
Funzionano come guide e incentivi per il comportamento rivolto al futuro (sé da perseguire o da
evitare)
“Ottimismo irrealistico”: il contenuto dei sé attesi è in genere positivo
§ Interpretazione motivazionale: bisogno di riduzione dell’ansia
§ Interpretazione cognitivista: nel valutare la probabilità di un evento negativo, l’individuo
ricorre a una “euristica della disponibilità”: pensando al numero di eventi dello stesso tipo
successi in passato a lui e ad altri (ad esempio, i coetanei), finisce per sottostimare la
probabilità che tale evento lo riguardi
Higgins (1987): tre aspetti della rappresentazione di sé
§ sé reale (come sono)
§ sé ideale (come vorrei essere)
§ sé normativo (come dovrei essere)
La differenza tra sé ideale e sé normativo risiede nel sistema normativo a cui i due si ancorano.
Sé ideale: il soggetto impiega come riferimento un ideale nel quale egli si riconosce o al quale
aspira;
Sé normativo: il soggetto individua come riferimento ciò che gli altri significativi gli propongono e
gli suggeriscono
Higgins sostiene che l’incoerenza tra sé effettivo, ideale e normativo dà luogo a situazioni
coinvolgenti dal punto di vista emotivo. In alcuni casi mette in atto azioni capaci a ridurre lo stato di
contrasto e il disagio che ne deriva. Altre volte l’incoerenza rimane non risolta e in questi casi, a
seconda del confronto operato, ne derivano vissuti emozionali diversi:
Discrepanza fra sé reale e sé ideale: l’individuo vive emozioni legate al senso di mancanza,
impotenza, scoraggiamento. Si traducono in sensazione di disappunto, insoddisfazione, tristezza.
Esempio: sono grasso e vorrei essere magro
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Discrepanza fra sé reale e sé normativo: l’individuo vive emozioni legate all’agitazione e ansia. Si
traducono in paura e inquietudine.
Esempio: sono pigro e dovrei essere più attivo
Gi individui elaborano schemi di sé che si differenziano non solo per il grado di coerenza ma anche
per complessità. Se organizzano la propria esistenza sulla base di una prospettiva molto lineare e
circoscritta, la complessità del concetto di sé sarà limitata. Se agiscono in una molteplicità di
scenari sociali, elaborano concetti di sé articolati e complessi
Il grado di complessità influenza in termini emotivi le reazioni alle situazioni di cambiamento
Minore e la complessità maggiore è il grado di preoccupazione in caso di situazione di crisi che
investe il ruolo in cui si esaurisce lo schema di sé.
Maggiore è la complessità, maggiori sono le vie di fuga che la persona può individuare e le attività
alternative per mantenere positivo il concetto di sé.
Lo sviluppo del concetto di sé avviene in stretta connessione alle idee proprie dei gruppi e del
contesto culturale rispetto a cosa significhi essere una persona “come si deve”
Oyserman e Markus (1998): le varie culture elaborano diverse rappresentazioni sociali che
riguardano le caratteristiche ritenute appropriate e positive del Sé
Le differenze sono evidenti se si confrontano le culture sulla base della dimensione individualismo collettivismo
Culture individualiste
• Il Sé è l’unità di base
• Il principale compito di sviluppo è il raggiungimento di un senso di realizzazione personale
• L’elaborazione della propria unicità è alla base dell’identità
• Sono valorizzate caratteristiche come intelligenza e competenza
• La distinzione più saliente è fra Sé e non-Sé, e in seconda istanza fra ingroup e outgroup
Culture collettiviste
• Il gruppo è l’unità di base
• Il principale compito di sviluppo è il raggiungimento di obiettivi comuni
• L’identità è organizzata intorno al senso di affiliazione
• Sono valorizzate caratteristiche come costanza e persistenza
• La distinzione più saliente è fra ingroup e outgroup; ostilità a priori nei confronti dell’outgroup
APPROCCIO COGNITIVISTA
Neisser è il principale esponente dell’approccio cognitivista che tratta il Sé, e nello specifico, i
processi e le forme di conoscenza di Sé
Egli si interessa al tema sostenendo che il concetto di Sé è come una teoria che il soggetto elabora
su se stesso.
Per Neisser l'individuo elabora la conoscenza di sé ricorrendo dapprima alla percezione, poi alla
memoria e infine al pensieri. I risultato di queste elaborazioni sono schemi, o insiemi di
rappresentazioni di sé, che ogni soggetto utilizza nel rapporto tra mondo interno e mondo esterno
Neisser (1988), in una sintesi degli studi sull’argomento, individua 5 tipi di conoscenza di Sé
- Sé ecologico
- Sé interpersonale
- Sé esteso
- Sé privato
- Sé concettuale
Sé ecologico
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-
ha origine dalla percezione del proprio corpo e delle sue parti rispetto agli altri oggetti dello
spazio percettivo
- compare precocemente (all’età di circa tre mesi)
- si basa su due tipi di informazioni: la percezione ottica, e l’esperienza del sentirsi agire
- non è in un primo momento oggetto di riflessione
Sé interpersonale
- è il Sé coinvolto in un’interazione immediata con un’altra persona
- compare precocemente: già a 2-3 mesi esiste una coordinazione nelle interazioni madre bambino che crea intersoggettività
- si basa essenzialmente su informazioni di tipo cinetico
- è difficilmente esperito come distinto dal Sé ecologico
Sé esteso
- si definisce in rapporto a esperienze significative del passato e ad aspettative per il futuro
- a tre anni, il bambino è consapevole dell’esistenza di Sé al di fuori del momento presente
- non è indipendente dal Sé concettuale, che guida ciò che “scegliamo” di ricordare
Sé privato
- riguarda la consapevolezza che alcune esperienze non sono condivise con altri
- secondo la maggior parte degli studi, questa consapevolezza si sviluppa intorno ai 4 anni e
mezzo
Sé concettuale, o concetto di sé
- è costituito da un insieme di assunzioni o sub-teorie che riguardano i ruoli sociali (ad es., essere
padre), il corpo, la mente, nonché tratti che l’individuo si attribuisce (ad es., essere intelligente)
- si costruisce soprattutto su idee elaborate nel sociale e comunicate verbalmente
- comprende aspetti che riguardano gli altri quattro tipi di conoscenza di Sé (ad es., ricordi di
esperienze passate)
- contribuisce a tenere insieme gli altri Sé creando un senso di unicità e coerenza
APPROCCIO GESTALTICO:
La psicologia della Gestalt offre contributi teorici che influenzano fortemente la psicologia sociale e
successivamente i paradigmi di ricerca nel settore della cognizione sociale.
Relativamente al Sé, vanno ricordati Lewin e Asch
Come non partire da Lewin.
La teoria del campo di Lewin, secondo cui la condotta è funzione della persona e dell’ambiente,
induce ad un altro concetto chiave: campo psicologico definito come l’insieme dei fattori
classificati facendo riferimento a 2 coppie di costrutti:
a) Persona e situazione
b) Cognizione e motivazione
L’articolazione tra sfera individuale-soggettiva e sociale-oggettiva è dinamica, attiva e si
concretizza nell’agire.
Campo psicologico = Totalità di fatti coesistenti nella loro interdipendenza
Quali fatti?
1. Mondo personale – Life space
2. Spazio di frontiera (tra LS e ambiente esterno)
3. fatti presenti ma non in diretto contatto con il mondo psicologico
L’ellisse indica lo spazio psico-ambientale in cui è inserito l’individuo, al di
là c’è il mondo esterno sconosciuto e ininfluente per la sua vita.
Il cerchio interno è la dimensione psichica e mentale dell’individuo con i
suoi problemi e bisogni.
Gli spazi circoscritti tra il cerchio e l’ellisse sono quelle che Lewin chiama
“ Regioni Psicologiche”, che possono essere anche fisiche e sociali ma sono
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aree esterne di forte interesse per l’individuo (il lavoro, la scuola, il proprio quartiere).
L’Io, pertanto, secondo la prospettiva Lewiniana, costituisce una entità complessa costituita da
sottosistemi interdipendenti ma allo stesso tempo relativamente autonomi, caratterizzati da confini
più o meno fluidi.
L’interazione tra questi sistemi è regolata da processi cognitivi e motivazionali.
La motivazione al raggiungimento di uno scopo comporta uno stato di tensione psicologica, che
non riguarda l’Io nella sua totalità ma alcuni sottosistemi, e che viene superato quando l’obiettivo
viene raggiunto
Esempio: “effetto Zeigarnik”. L’interruzione di un compito durante la sua esecuzione, provocando
uno stato di tensione, rende migliore il ricordo di tali attività rispetto a compiti completati
(Zeigarnick, 1928)
I gestaltisti, non parlano di Sé, ma parlano di Io fenomenico.
S. Asch (1955), distingue tra:
§ Io fenomenico o Sé: complesso di vissuti e qualità che l’individuo ritiene pertinente a se
stesso
§ Io reale o transfenomenico: l’Io nella sua completezza oggettiva
Secondo Asch, il Sé è inserito come qualsiasi altro soggetto in un campo e sottoposto alle stesse
forze, fino a dare luogo a una percezione di sé.
Si forma sia grazie al rapporto con gli altri, attraverso il quale il soggetto percepisce la propria
specificità, sia grazie al ruolo attivo dell’individuo.
L’APPROCCIO DELL’INTERAZIONISMO SIMBOLICO
Mead (1934) segue un approccio psico-sociale in quanto sottolinea la funzione congiunta e
interattiva della mente, dell’organismo e del suo ambiente.
Egli, pertanto, presta interesse al modo in cui l’esperienza umana e il comportamento emergono nei
contesti di interazione sociale.
Il Sé è risultato e conseguenza dell’interazione sociale.
Il Sé non esiste alla nascita.
La capacità di conoscere il Sé emerge quando sono presenti due condizioni:
- la capacità di produrre e rispondere a simboli
- la capacità di assumere gli atteggiamenti degli altri
Nello specifico, Mead è esponente dell’interazionismo simbolico
Per interazionismo simbolico si intende una corrente di pensiero secondo cui è possibile considerare
“reale” ciò che si attesta essere “pratico” ed “utile”
Credenze e convinzioni (Sé) nel momento in cui orientano atteggiamenti e comportamenti, ovvero
svolgono una funzione pratica ed utile, sono “reali”
Per cui, è reale non ciò che è esatto o fondato, ma ciò che è dato in un sistema simbolico. La realtà è
mediata dai significati condivisi e prodotti dall’interazione degli individui.
Secondo quest’approccio teorico, pertanto, il Sé sociale si fonda sulla condivisione di significati
nell’interazione e attraverso un processo di oggettificazione l’individuo si riconosce come persona
in funzione del fatto che è “altro per gli altri”
Il processo di oggettificazione si realizza attraverso le relazioni con gli altri significativi sin
dall’infanzia. Questo percorso si snoda lungo un continuum che garantisce continuità e coerenza
all’identità pur presentando degli elementi malleabili e flessibili che permettono l’adattamento alle
circostanze e alla variazione delle relazioni significative.
Il processo di oggettificazione si sostanzia nell’assunzione di ruoli altri rispetto al sé, e rivolgendosi
(= conoscendo) il Sé dal punto di vista di quel ruolo.
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Il processo di assunzione dei ruoli e della prospettiva altrui si realizza attraverso due stadi
successivi: il gioco semplice e il gioco organizzato
◊ Gioco semplice (play): il bambino è in grado di assumere, in successione temporale, i ruoli di
persone presenti nel suo ambiente sociale: gioca ad essere la mamma o il dottore, ecc.
◊ Gioco organizzato (game): il bambino assume contemporaneamente i ruoli di tutti i partecipanti al
gioco
Il Sé oggettificato viene, quindi, internalizzato ovvero tradotto in una rappresentazione individuale
di sé.
È evidente la componente sociale del Sé. Il Sé non è solo un unità somato-psichica come per
W.James, ma un essere costituito dai rapporti sociali.
Questa definizione del Sé rimanda al contributo di C.H. Cooley (1908) il quale conia l’espressione
looking glass self o sé rispecchiato, per esprimere l’idea che la conoscenza di Sé si realizza
osservando il modo in cui ci considerano gli altri.
Tre concetti chiave del modello di Mead devono essere ben specificati:
1. Linguaggio
2. Altro generalizzato
3. Istituzione
Il linguaggio: è lo strumento attraverso il quale gli individui interagiscono. Si sostanzia nella
costruzione, trasmissione e condivisione di significati (semiotica). Attraverso il processo dialettico
di esteriorizzazione, oggettivazione e interiorizzazione dei sistemi simbolici condivisi, lungo il
continuum della socializzazione, l’individuo costruisce la realtà soggettiva.
Anche il Sé, pertanto, viene costruito attraverso questo processo e dunque attraverso il rapporto con
la società.
In questi termini si fa riferimento più che al Sé, all’identità.
L’identità è formata da processi sociali. Una volta cristallizzata, viene mantenuta, modificata o
anche rimodellata dalle relazioni sociali
L’Altro generalizzato è per Mead non una persona specifica ma una categoria sociale
astratta.Nasce dalla trasformazione in schema di riferimento di persone vicine e affettivamente
significative per il soggetto. Sono gli altri significativi incontrati nel processo di socializzazione
primaria e secondaria.
L’istituzione è il complesso tipizzato degli schemi di condotta, ovvero quell’agire, indotto dal
processo di costruzione del reale per condivisione di significati, caratterizzato da abitualizzazione e
consuetudinarietà.La costruzione della realtà attraverso un processo di tipizzazione viene
oggettivata nell’istituzione composta da segni intesi come indici generalizzati di significato.
L’istituzione ha funzione di controllo della realtà.
Athens e le identità violente
Dal Patrizi-DeGregorio Pag 112-132
Athens L.H. Sviluppa l’approccio interazionista (Mead) in ambito criminologico.
La differenza è che Mead parla di Altro Generalizzato, mentre Athens di Comunità fantasma.
La comunità fantasma riveste il ruolo di “interlocutore principale” nella costruzione del Sè: essa
non è altro che il distillato delle nostre esperienze passate “significative” così come da noi vissute,
interpretate e rivisitate nel presente nel corso di un processo dialogico e dialogante con i nostri “altri
significativi”.
L’attributo “fantasma” è dovuto al fatto che questa comunità di opinioni esiste solo e sempre nella
forma delle rappresentazioni mentali che il soggetto se ne fa; al tempo stesso, però, tale comunità è
ben lontana dall’essere “fantasma” nelle nostre vite reali, in quanto attraverso il soliloquio agisce
realmente nei mondi sociali e nelle azioni che gli individui decidono di intraprendere
Athens fornisce una spiegazione alternativa alla tradizionale prospettiva che spiega il
comportamento criminale violento prevalentemente assegnandolo all’universo della malattia
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mentale. Nella logica comune, ma anche in molte logiche scientifiche, infatti, non si ritiene
possibile che una persona cosiddetta “normale” possa commettere certi tipi di azioni che per gravità
e mancanza di provocazione appaiono assolutamente irrazionali e incomprensibili. Athens riesce,
invece, a rintracciare e a descrivere con successo quei percorsi psico-sociali che conducono un
individuo a realizzare atti violenti mostrando come tali percorsi non siano segnati da una natura
irrazionale e incontrollabile, che si suppone spesso alla base dei cosiddetti raptus, ma piuttosto siano
costruiti e collocati dentro itinerari interpretativi che è possibile ricostruire a partire dalla
prospettiva di chi li ha vissuti
Sviluppa l’approccio interazionista (Mead) in ambito criminologico.
La chiave della teoria di Athens è che la violenza è frutto di un processo decisionale, antecedente
alle interpretazioni, che porta persone cresciute in contesti simili a conclusioni diverse.
Nelle situazioni violente i soggetti considerano, decidono e scelgono quando e dove agire in modo
aggressivo interpretando le situazioni con paura, rabbia o addirittura odio al pari di chiunque altro;
gli attori violenti decidono di agire in modo violento
Athens si avvale di un modello cosiddetto “processuale”, in base al quale i fenomeni sono intesi
quali esiti di processi di sviluppo le cui fasi iniziali non determinano automaticamente le ultime:
l’evento finale, in questo caso l’azione violenta, rappresenta sempre il risultato mai scontato di un
lungo e difficoltoso processo interpretativo e simbolico sviluppato, e solo eventualmente portato a
conclusione, dal suo attore.
Quattro possibili tipologie di interpretazione delle situazioni violente :
1. difesa fisica: interpretando inizialmente l’atteggiamento della vittima come il prodromo (o
l’avvio) di un attacco fisico e convincendosi poi della necessità di una risposta di tipo
aggressivo. Emozione predominante è la paura
2. frustrativa: poiché dettata dalla resistenza o dal ripetuto tentativo di convincimento da parte
della vittima alla cooperazione; in tale modo l’emozione predominante del perpetratore è
quella della rabbia dovuta alla frustrazione delle sue originarie intenzioni
3. Malefica: deriva viceversa da una valutazione ribaltata della vittima, ovvero come colei che
lo sminuisce o lo offende; essa viene considerata malvagia e pertanto punibile solo con
un’azione di tipo violento. L’emozione predominante in questo caso è l’odio
4. frustrativo-malefico: che combina le caratteristiche delle due precedenti classificazioni. La
resistenza frustrante o l’insistenza della vittima porta il perpetratore a concludere
necessariamente che la vittima stessa sia malvagia o malefica e meritevole, di conseguenza,
di una risposta violenta. Emozioni: rabbia-odio
Athens imposta la spiegazione dello sviluppo violento di un soggetto sul presupposto che “le
persone sono ciò che sono per il risultato delle esperienze sociali significative vissute nel corso
delle proprie vite” ma anche che “le esperienze sociali si costruiscono spesso sulla base delle
precedenti esperienze in modo tale da farne intuire un determinato processo di sviluppo”.
Individua quattro fasi del processo definito di <violentizzazione>, ovvero di quel meccanismo
attraverso cui le persone, nel corso delle esperienze della loro vita, possono accedere alla successiva
fase dello sviluppo della violenza.
1. Brutalizzazione;
2. Belligeranza;
3. Prestazioni violente;
4. Virulenza
Brutalizzazione: è composta da tre esperienze più elementari: le quali implicano implicano,
ciascuna a modo suo, che una persona subisca un trattamento aspro e crudele per mano altrui e che
questo produca un impatto durevole e radicale nel prosieguo delle loro vite. Nel dettaglio:
sottomissione violenta: avviene quando alcune figure di fiducia o particolarmente autoritarie,
appartenenti ad uno dei gruppi primari del soggetto, usano la violenza o costringono il soggetto a
sottomettersi alla loro autorità (es. la coercizione).
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Nell’orrificazione personale, invece, il soggetto non subisce direttamente una sottomissione
violenta ma testimonia alla somministrazione di questo trattamento ad un’altra persona membra,
anch’essa, del suo gruppo primario (es. parente o amico molto stretto).
Nell’addestramento violento al soggetto viene assegnato il ruolo di novizio violento da parte di
una persona facente parte del suo gruppo primario il quale, generalmente in maniera informale ed
implicita, lo stimolerà continuamente a generare una condotta violenta.
Belligeranza: Al termine della prima fase il soggetto rimane profondamente turbato, disturbato ed
ansioso di sapere il motivo di tale trattamento; esso si convince progressivamente dell’esistenza di
un futuro gravido di rischi verso cui lui si sente impotente ed umiliato. In tale seconda fase infatti,
l’individuo così a lungo brutalizzato sceglie di adottare una soluzione che, per quanto ancora
condizionata dal fatto di commettere atti di grave violenza solo in reazione ad eccessive
provocazioni, attende ora solo il momento del passaggio all’atto. Questo, allorché accadrà, condurrà
sicuramente il soggetto ad una serie di conflitti che non segneranno ancora il passaggio alla fase
successiva, quella definita della prestazione violenta, fin tanto che l’individuo stesso non
comprenderà appieno il significato del proprio successo attraverso l’attribuzione pubblica di
soggetto socialmente pericoloso.
Virulenza: Il soggetto, in tale momento è pronto ad attaccare fisicamente le persone con
l’intenzione di ferirle gravemente o di ucciderle alla minima provocazione, divenendo così un
criminale ultraviolento.
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LE RELAZIONI SOCIALI
Dal testo Palmonari – Cavazza - Rubini: pag.147-159 (cap.5)
Le definizioni di relazioni interpersonali e attrazione variano in funzione del modello teorico di
riferimento. Consideriamone alcune:
- la R.I. è un processo di conoscenza e amicizia che si sviluppa in termini di attrazione.
L’attrazione è una particolare forma di atteggiamento. (teorie della forma).
- l’A. è un comportamento indotto da rinforzi (prospettiva comportamentista)
- L’R.I è un’interazione fondata sullo scambio (teorie dello scambio) o sull’equità (teorie
dell’equità)
- La R.I. è una serie di interazioni che avvengono nel tempo e che possiedono proprietà
emergenti che non si trovano nelle singole persone. (teoria dell’interdipendenza)
- la R.I. è un processo mentale e cognitivo che si caratterizza per specifici elementi quali fiducia,
rispetto, cura, ecc. (prospettiva cognitivista)
- la R.I. è un processo fondato sulla condivisione e costruzione sociale (prospettiva
interazionista)
- L’attrazione è la scelta del compagno come genitore della propria prole (teoria socioevoluzionista)
Secondo una prospettiva psico-sociale Lo studio delle relazioni sociali ha origine nell’eredità di
Kurt Lewin secondo cui le relazioni non possono essere studiate a partire dagli individui, ma
dall’interazione fra:
• le proprietà dei partner
• le proprietà della situazione ( fisica e sociale)
Scegliamo di selezionare due tra le diverse prospettive teoriche che hanno trattato il tema delle
relazioni sociali:
1. teoria della interdipendenza (Kelley e Thibaut, 1959) e successivi sviluppi.
2. approccio cognitivo (Baldwin, 1992)
La teoria della interdipendenza di Kelley (di chiara matrice Lewiniana) definisce una relazione
interpersonale in termino di interconnessione tra comportamenti, emozioni e pensieri di due
persone.
L’interdipendenza viene definita come influenza reciproca tra i partner dell’interazione:
influenza estesa a molti contesti e non limitata nel tempo
Da un lato vengono studiati i vari aspetti dell’interdipendenza:
nella soluzione dei conflitti;
nell’autovalutazione
nella scelta se mantenere o chiudere una relazione insoddisfacente.
Dall’altro lato studia i processi e i fattori causali che spiegano l’interazione come:
caratteristiche peculiari dei partner (es. personalità)
caratteristiche comuni dei partner (es. somiglianza di atteggiamenti)
caratteristiche dell’ambiente sociale (es. reti di rapporti in cui si inserisce la relazione
caratteristiche dell’ambiente fisico (es. elementi di facilitazione)
Metodo di studio più adeguato è ricerca longitudinale
Approccio cognitivo (Baldwyn)
La relazione interpersonale presuppone un processo di conoscenza dell’altro e della relazione stessa
che segue i criteri propri di ogni processo conoscitivo, e dunque utilizza schemi, script, biases
Balwyn si focalizza sui tre componenti della struttura cognitiva dello schema di relazione:
il sé in relazione
le credenze riguardanti il partner
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lo script interpersonale (sequenza attesa delle interazioni)
Oggetti di studio:
1. Somiglianze e differenze tra le rappresentazioni di sé e degli altri significativi
2. Componenti automatiche degli script di relazione
L’Attrazione quale esito di somiglianze e differenze tra le rappresentazioni di sé e degli altri
significativi:
Negli anni ’50-60 prevalevano i modelli teorici dell’equilibrio cognitivo secondo cui si tende a
scegliere come partner persone che aiutano a mantenere una visione del mondo coerente, quindi
preferibilmente persone con cui si condividono opinioni, comportamenti e atteggiamenti
In un esperimento-tipo veniva chiesto ad un campione di giovani universitari di esprimere un
giudizio su sconosciuti sulla base di questionari da questi compilati composto da affermazioni
inerenti diversi argomenti (per es. sport, fumo, ruolo donna, sistema fiscale). Lo sperimentatore
manipolava la similitudine/diversità degli atteggiamenti rispetto al soggetto sperimentale e ne
misurava l’impressione espressa in termini positivi o negativi.
- Equilibrio cognitivo (Festinger)
- Si ricordano meglio le “strutture equilibrate”
- Si completano le strutture incomplete per raggiungere il massimo equilibrio possibile
L’Attrazione quale esito di somiglianze e differenze tra le rappresentazioni di sé e degli altri
significativi:
In contrapposizione all’idea della tendenza nelle relazioni a raggiungere l’equilibrio, la stabilità
l’omeostasi, vari studiosi negli anni ’80 propongono una concezione dialettica.
In linea con un’antica tradizione filosofica, essi propongono che i processi sociali siano
caratterizzati da polarità e opposizioni, quali:
- apertura/chiusura,
- stabilità/cambiamento,
- autonomia/connessione,
- novità/prevedibilità.
Essi sostengono che i processi di opposizione sono di natura dinamica, non si annullano ma si
trasformano nel tempo.
Componenti automatiche degli script di relazione
Individuato il caso archetipico dell’amicizia, è stato in seguito analizzato la struttura e la sfocatezza
delle concezioni più comuni dell’amicizia.
L’Amicizia veniva definita in termini di:
- Uguaglianza; godimento della reciproca compagnia; fiducia; rispetto; cura; disponibilità;
spontaneità; comprensione; intimità.
In letteratura si trovano elaborazioni di tassonomie per classificare le tipologie di relazioni.
Sono tassonomie di tipo descrittivo e, pertanto, non individuano le cause o le conseguenze
associate ai diversi tipi di relazioni, ma individuano le caratteristiche proprie delle divere relazioni
in termini di emozioni, comportamenti, ecc.
A tal fine sono state elaborate alcune scale per quantificare i diversi tipi di sentimenti
Rubin (1973) elabora la:
Liking scale (grado di piacevolezza attribuito al partner)
Love scale:
- Attaccamento (presenza fisica)
- Prendersi cura (interesse e desiderio di aiutare il partner)
- Intimità (contatto stretto e confidenziale in un clima di fiducia)
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Sono state inoltre condotte ricerche volte a misurare la correlazione tra le singole componenti di una
relazione e alcune variabili. Esse hanno evidenziato: Differenze di genere: le donne ottengono
punteggi superiori agli uomini sulle dimensioni relative all’attaccamento e al prendersi cura
Comunicazione non verbale: esiste una correlazione positiva tra i punteggi della Love Scale e
indicatori di comunicazione non verbale (es. durata contatto visivo)Interessante a tal proposito sono
gli studi di Gottman che suggeriscono come certe modalità comunicative costituiscono un buon
pronostico per lo sviluppo della relazione:- Malintesi irrisolti, decisioni rinviate, comportamenti di
fuga rendono la relazione pacifica ma non duratura; la comunicazione anche di paura, tristezza,
collera e disprezzo sono connessi inizialmente con bassi livelli di soddisfazione della relazione ma a
lungo andare sono correlati a relazioni soddisfacenti
Sternberg e Barnes (1988) teorizzano “Il Triangolo dell’Amore” :
Secondo la teoria delle componenti, definiscono la relazione d’Amore come un costrutto costituito,
al pari degli atteggiamenti, da tre componenti:
1. Componente emotiva: intimità (comprensione, complicità)
2. Componente cognitiva: livello di impegno/decisione verso il partner
3. Componente motivazionale: passione (attrazione, desiderio
sessuale, sensazione di essere innamorati)
Le tre componenti entrano in diversa misura:
• nei diversi tipi di relazione
• nelle diverse fasi della relazione
Aspetti innovativi del modello teorico:
• Esce dalla dicotomia amore/amicizia, dando una visione più completa delle relazioni
umane
• Strumento in grado di valutare le diverse componenti
• Potenzialità applicativa: è possibile confrontare i giudizi dei membri di una coppia
Intimità
Attrazione
Sì
Infatuazione
No
Amore abitudinario
No
Amore romantico
Sì
Amicizia profonda
Sì
Amore fatuo
Amore completo
No
Sì
Passione
No
Sì
No
Sì
No
Sì
Sì
Impegno/decisione
No
No
Sì
No
Sì
Sì
Sì
Hazan e Shaver (1987; 1990): Gli stili di relazione degli adulti sono connessi con il legame di
attaccamento che i soggetti hanno stabilito con le figure adulte (genitori)
a) bambini che hanno sviluppato un attaccamento sicuro = adulti fiduciosi, in grado di stabilire
rapporti significativi, pronti all’impegno, alla accettazione della dipendenza reciproca e non
preoccupati per il futuro
b) bambini che hanno sviluppato un attaccamento avoidant (insicuro-evitante) = distaccati,
insofferenti rispetto alle relazioni troppo strette e alla possibilità di dipendenza
c) bambini che hanno sviluppato un attaccamento ambivalente (ansioso, insicuro) = preoccupati di
non essere amati, incerti, ansiosi e desiderosi di fondersi con il partner
I modelli di attaccamento sviluppatisi in età infantile definiscono specifici modelli operativi interni
(schemi).
- Scegliere un partner con modelli di attaccamento simili ai propri può attrarre per la
maggiore facilità con cui si riesce a interagire insieme utilizzando schemi interattivi già noti
e disponibili;
48
-
i soggetti insicuri tendono a scegliere partner con modelli comportamentali complementari
potendo così confermare i propri modelli operativi interni. Per esempio: il tipo ansiosoambivalente, che dipende fortemente dal partner ma ne diffida mettendo continuamente in
discussione l’affidabilità, conferma le proprie aspettative negative in un partner evitante,
incapace di dedicarsi totalmente e di instaurare una forte intimità.
Critiche al modello di Hazan e Shaver
Davvero questi stili sono stabili nel corso della vita?
Risposta da parte di Hazan e Hutt (1990)
Una ricerca ha rilevato il cambiamento nello stile d’attaccamento in età adulta nel 25%dei casi
prevalentemente in direzione insicuro à sicuro.
La formazione delle relazioni è influenzata da condizioni fisiche e sociali:
Diversi contributi teorici spiegano l’avvio di una relazione interpersonale fondata sull’attrazione in
termini di:
1. Prossimità
2. Somiglianza
3. Bellezza fisica
4. Tratto di personalità: apertura agli altri.
Prossimità: la vicinanza crea occasioni di contatto che aumentano la familiarità tra le persone
Somiglianza: la percezione di somiglianza aumenta l’attrazione tra le persone
Esempio : Legge di attrazione di Byrne (1971):
più il partner è percepito come avente opinioni simili, maggiore è l’attrazione verso di esso. La
condivisione delle opinioni rende gli altri attraenti.
Occorre, tuttavia, distinguere i casi in cui la somiglianza NON induce attrazione:
- Quando costituisce una minaccia al proprio senso di unicità
- Quando induce un senso di inadeguatezza.
Critiche:
Newcomb (1961): la prossimità fisica prevale rispetto alla percezione di somiglianza
Rosembaum “La Legge della Repulsione” (1986): più che attrazione verso le persone simili si
tratta di repulsione verso le persone diverse
La bellezza fisica: secondo alcuni studi le persone attraenti sono meno sole, più popolari e
posseggono più abilità sociali.
- Perché? Stereotipo condiviso che associa alla bellezza qualità positive (bello e buono):
- Profezia che si auto-avvera : Le persone attraenti ricevendo
feedback positivi sviluppando
maggiori e migliori competenze sociali
Apertura agli altri (self disclosure): Secondo Collins e Miller (1994): esiste una relazione tra
tendenza ad aprirsi agli altri e l’attrazione:
- Le persone che si aprono agli altri sono più sono apprezzate
- L’apertura genera un comportamento di reciprocità: le persone si
aprono maggiormente
verso coloro da cui sono attratte
Quali sono gli elementi necessari per garantire stabilità e soddisfazione in una relazione
significativa?
Principali oggetti di studio sono le relazioni tra le coppie di sposi: l’interesse per quest’ambito di
studi è dettato da una duplice esigenza:
Esigenza sociale = aumento di divorzi nelle società moderne
Esigenza metodologica = inizio e fine della relazione sanciti da atti formali
Due approcci di studio relativi alla soddisfazione delle relazioni:
49
- Teoria dello scambio
- Teoria dell’equità
Teoria dello Scambio (Homans, 1961): un individuo rimane in una relazione finché i benefici
ricevuti superano i costi
La soddisfazione è influenzata da:
- Profitti (materiali o simbolici) = valutazione dei costi – benefici (sulla base delle
norme sociali o delle aspettative personali)
- Valutazione delle alternative = altri partner o rimanere soli (influenzata
dalla autostima dei soggetti)
- Investimento = tempo, sforzo e risorse poste nella relazione
Aspetti innovativi:
Variabili associate alla durata delle relazioni
Critiche:
- Non considera le differenze individuali nell’impegnarsi in una relazione o nella capacità di
tollerare la solitudine
- Modello economico di difficile applicazione ad un fenomeno complesso come le relazioni umane
- Non considera le emozioni e i comportamenti impulsivi
Teoria dell’Equità (Walster, Walster e Berscheid, 1978):
In una relazione soddisfacente un individuo e il proprio partner ricevono benefici commisurati ai
costi. Rischi possono verificarsi quando un individuo percepisce uno squilibrio (un partner riceve di
più e uno di meno)
- Le ricerche evidenziano differenze legate al genere:
- Le donne sono più a disagio quando sono il partner più beneficiato
- Gli uomini sono più a disagio quando sono il partner meno beneficiato
Aspetti innovativi:
È applicabile soprattutto alle prime fasi della relazione e al mantenimento delle relazioni di lavoro o
di amicizia
Critiche:
Difficile applicazione alle coppie che hanno una lunga storia
Secondo Clark e Mills (1982) si applica alle relazioni di scambio (es. relazioni di lavoro fra
estranei) più che alle relazioni di condivisione (es. relazioni tra genitori e figli)
Critiche alla teoria di scambio e alla teoria dell’equità:
- Si fondano su un ragionamento di tipo “problem solving”
- Sottovalutano il ruolo degli obiettivi, delle aspettative e dell’evolversi di essi nel tempo
- Sottovalutano il ruolo di pressioni sociali, resistenza al cambiamento e delle abitudini
- Non sono in grado di elaborare un quadro teorico generale che spieghi le cause
- Si riferiscono a culture individualistiche (occidentali)
Influenze culturali nello sviluppo delle relazioni
Individualismo (soprattutto culture occidentali)
Importanza della realizzazione dei singoli: gli scopi, gli obiettivi dell’individuo sono più importanti
di quelli della collettività
La scelta del partner viene fatta sulla base delle esigenze personali
Collettivismo (soprattutto culture orientali)
Interdipendenza tra le persone: gli scopi e gli obiettivi del gruppo più importanti di quelli
individuali
La scelta del partner viene fatta dalla famiglia per soddisfare le esigenze della collettività
50
COMUNICAZIONE
Dal testo Palmonari – Cavazza - Rubini: pag.159-174 (cap.5)
“…la comunicazione è apparsa come una realtà a più facce, la preferenza per l’una o per l’altra
delle quali ha dato luogo a dei paradigmi scientifici contrapposti”
F. Casetti, voce Comunicazione in G. Betterini, A. Bellotto (a cura di)
Questioni di storie della radio e della televisione, Milano, Vita e Pensiero, 1985, pag. 7
Le 6 definizioni tratte dalla letteratura sono:
1. Si ha comunicazione ogni qualvolta una proprietà, una risorsa, uno stato
viene trasmesso da un soggetto ad un altro comprendendo nella categoria dei soggetti anche quelli
inanimati.
2. È costituita dal passaggio o trasferimento di informazioni da un soggetto (la fonte, l’emittente) ad
un altro (il ricevente, il destinatario) per mezzo di veicoli di varia natura: ottici, acustici, elettrici,
idraulici ecc
3. quando due o più soggetti giungono a condividere i medesimi significati
4. È quella assimilabile allo schema stimolo risposta, dove ogni comportamento di un essere vivente
che ne influenza un altro rappresenta una forma di comunicazione
5. Si riferisce allo scambio di valori sociali che si effettua secondo regole prestabilite: infatti con
riferimento esclusivo alle società umane, si definisce comunicazione qualsiasi scambio di valori
sociali condotto secondo determinate regole
6. La formazione di un’unità sociale a partire da individui singoli, mediante l’uso di un linguaggio o
di segni o anche l’avere in comune elementi di comportamento, o modi di vita, grazie all’esistenza
di insiemi di regole
I campi di studio:
Sintassi: inerente i problemi relativi alla trasmissione dell’informazione (codifica, canali, rumori,
ecc.)
Semantica: inerente il valore e i significati simbolici dei messaggi
Pragmatica: campo di studio comportamentale che studia l’interdipendenza tra individui ed
ambiente in relazione alle specifiche modalità di scambio comunicativo interpersonale e l’influenza
che la comunicazione ha sui comportamenti.
Gli approcci teorici:
1. Matematico cibernetico
2. Semiotico
3. Ermeneutico
4. Pragmatico
5. Semio-pragmatico
6. Pragmatico-relazionale
7. Psicologico-relazionale
8. Sociologico
Matematico cibernetico
Nell’ambito di questo approccio viene formulata la teoria dell’informazione, di carattere
ingegneristico, ( C. Shannon e W. Weaver) ed ha principalmente analizzato l’invio e il trasporto
delle informazioni.
Semiotico
La semiotica si occupa di segni. Il processo di significazione è la capacità di generare significati
ed implica la capacità di un messaggio di essere dotato di senso
Ermeneutico
51
L’ermeneutica è la comunicazione assunta come interpretazione. Si comprende il dettaglio
partendo dall’intero, costituito da un atto di comprensione intuitiva e autoreferenziale
Pragmatico
La pragmatica si occupa dei rapporti che intercorrono tra un testo e il suo contesto Si prendono in
considerazione i processi impliciti della comunicazione, è dal contesto che si può inferire ciò che il
testo non dice.
Semio-pragmatico
La prospettiva semio-pragmatica traccia una distinzione nella comunicazione tra significato
naturale e convenzionale, dove quest’ultimo è dato dal voler dire qualcosa da parte del parlante a
qualcun altro. All’intenzionalità informativa viene aggiunta quindi l’intenzionalità comunicativa
Pragmatico-relazionale
La Scuola di Palo Alto è l’esponente di questo approccio. In linea con la pragmatica sostiene che
comunicazione e comportamento sono sinonimi. Ne deriva l’assioma “non si può non comunicare”
L’innovazione risiede nel definire la comunicazione come dialogo, e quindi come “processo di
interazione tra le diverse persone che stanno comunicando” (Watzlawick 1971)
Psicologico-relazionale
Principale esponente: Bateson. Questi ha sottolineato come gli individui attraverso la
comunicazione giocano la propria identità; Tramite la comuni-cazione si definisce la relazione
interpersonale e si definisce il sé e l’altro.
Sociologico
In ambito sociologico, la comunicazione si regge sullo scambio di simboli, “il cui significato è
appreso nel corso del processo di socializzazione e di inculturazione specifico di una cultura”
(Reimann, 1982) In sociologia della comunicazione il principale presupposto a cui si fa riferimento
è quello della costruzione sociale della realtà.
Due scuole di pensiero risolvono diversamente l’interrogativo: La comunicazione è un fenomeno
intenzionale?
1) La comunicazione è sempre un fenomeno intenzionale con scopi strumentali: indurre una
risposta negli altri
Esempio: Miller e Steinberg (1975): intenzione di comunicare e influenzare sono sinonimi
2) La comunicazione va oltre l’intenzionalità di chi lo attua
Modello pragmatico della comunicazione (Watzlavick et al. 1976): ogni comportamento in una
interazione fornisce informazione sull’ambiente e sulla relazione fra gli attori
Shannon e Weaver: comunicazione = tutti i processi attraverso i quali una mente ne influenza
un’altra (linguaggio scritto, parlato, teatro..)
Burgoon e coll. (1994): propongono una posizione intermedia tra le due scuole di pensiero che
considera sia l’intenzionalità degli interlocutori sia la percezione di tale intenzionalità
Fonte non ha intenzione di
Fonte ha intenzione di
comunicare
comunicare
A. Comunicazione
B. Comunicazione attribuita
Ricevente percepisce una
intenzione di comunicare
Ricevente non percepisce
una intenzione di
comunicare
C. Tentativo di comunicazione D. Comportamento
Il modello di Shannon e Weaver (1949) mira a descrivere la struttura e le funzioni della
comunicazione
Le componenti sono:
52
• Una fonte traduce un pensiero in un codice che lo rende messaggio
• Il messaggio viene veicolato da un canale
• Il ricevente retrotraduce il codice in pensiero (decodifica)
• Rumore fisico (interferenze) o rumore psicologico (stati mentali)
Un evoluzione del modello porta ad ampliare l’elenco delle componenti a 10:
1. Emittente
6. Decodifica
2. Destinatario
7. Risposta
3. Canale
8. Feedback
4. Messaggio
9. Campo d’esperienza
5. Codifica
10. Rumore
Vi sono due sistemi di Comunicazione
1. Comunicazione verbale: le parole e le frasi, con il loro contenuto sintattico e semantico
2. Comunicazione Non-Verbale:
§ Comunicazione paraverbale: il modo in cui emettiamo le parole (tono, volume, timbro di
voce, ritmo)
§ Comunicazione non-verbale: è il linguaggio del corpo, l’insieme dei gesti, posture, contatto
visivo e molto altro
Sistema verbale: La scelta dei termini, la declinazione del verbo, l’uso di avverbi e la costruzione
della sintassi permettono di rendere chiaro il messaggio, ovvero il senso che vogliamo dare alle
nostre parole.
Ogni messaggio trasmesso è portatore di un senso
Il linguaggio è un codice simbolico:
§ Accomuna tutte le società umane
§ Le differenzia da quelle non umane
§ È un codice governato da regole (grammatica, sintassi, semantica)
Le parole sono segni.
I segni hanno due livelli di significazione:
1. un valore denotativo (significato)(l’oggetto cui la parole si riferisce)
2. un valore connotativo (significante)(quell’insieme di significati e valori aggiunti di cui il segno
è simultaneamente portatore in una determinata cultura
Nel sistema verbale occorre prestare attenzione a:
§ Alla denotazione. Nella lingua italiana non sempre è univoca.
§ Alla scelta dei segni, al loro significato connotativo. Non sempre è condiviso tra i due
interlocutori.
§ Alla semantica e sintassi: la posizione di una parola in una frase, così come di un’icona su
uno sfondo, è di per sé sufficiente ad attribuirgli un determinato senso anziché un altro.
§ Al contesto. Il modo in cui si contestualizzano i contenuti crea un forte punto di vista che
guida l’interlocutore verso l’interpretazione del messaggio.
Il modello delle categorie linguistiche (Semin 2000):
§ Linguaggio è un mediatore tra cognizione e realtà
§ Oltre al contenuto, il linguaggio ha proprietà strutturali in grado di influenzare gli altri
§ Gli autori rilevano 4 categorie linguistiche
1) Verbi descrittivi di azione (DAV)
53
2) Verbi interpretativi di azione (IAV)
3) Verbi di stato (SV)
4) Aggettivi (ADJ)
VERBI ESEMPI
DAV
A
schiaffeggia
B
CARATTERISTICHE
•
•
•
•
IAV
A
perseguita
B
§
§
§
SV
A
odia
B
§
§
ADJ
B
è
violento
§
§
Fa riferimento a un singolo
evento
Fa riferimento a un contesto
specifico
È essenziale alla comprensione
della frase
Descrive oggettivamente un
comportamento osservabile
Si riferiscono a un singolo evento
Si riferiscono a un contesto
specifico
Non sono essenziali alla
comprensione della frase
Si riferiscono a stati psicologici
Danno adito a interpretazione del
comportamento
Si riferiscono a tratti e
disposizioni di personalità
Non fanno riferimento a
situazioni o contesti
CRITERI DI CLASSIFICAZIONE
§
§
§
§
§
§
§
§
§
§
§
§
Fanno riferimento ad una attività
specifica
Implicano una caratteristica fisica
invariante
Hanno inizio e fine precisi
Non hanno connotazioni positive o
negative
Fanno riferimento a categorie generali
di comportamento
Hanno inizio e fine ben precisi
Hanno connotazione positiva o
negativa
Si riferiscono a stati mentali ed emotivi
Non hanno un inizio e una fine
Hanno connotazione positiva o
negativa
Danno descrizioni valutative e durature
delle caratteristiche della personalità
Non sono legati a una situazione
specifica
Sistema non verbale
Comunicazione non verbale
a) Segnali paralinguistici
b) Espressioni del volto (mimica)
c) Comportamento spaziale (prossemica)
a) Segnali paralinguistici
- Tono, intensità, sottolineature = informazioni su sesso, età
- Vocalizzi, colpi di tosse, riso, pianto = informazioni su stati d’animo regolano i turni di parola
b) Espressioni del volto: espressione di emozioni e atteggiamenti
Esistono regole culturali per il controllo delle espressioni
Esempio : Regole che sanciscono la durata del contatto visivo: più il partner è intimo maggiore è
la durata dello sguardo
c) Comportamento spaziale: posizione del corpo, contatto fisico, gesti
È la comunicazione più primitiva e precede l’apprendimento del linguaggio
I comportamenti spaziali sono influenzati da:
• Fattori culturali
• Differenze di status
• Differenze di genere
Fattori culturali (Hall, 1964)
§ Culture di contatto = stile di comunicazione tattile e olfattive
§ Culture non di contatto = stile di comunicazione visiva
Differenze di status
§ È più probabile che persone di status superiore sfiorino quelle di status inferiore
Differenze di genere
§ È più probabile che un uomo sfiori una donna del contrario
54
Prossemica: distanza tra gli interlocutori
Regola il grado di intimità tra le persone
Secondo Hall (1966) ci sono 4 zone di distanza progressiva a seconda del livello di intimità:
• zona intima: occupata tra persone in relazione molto stretta
• zona personale: distanza tra due interlocutori
• zona sociale: occupata da un gruppo di persone che comunicano
• zona pubblica: separa un interlocutore dal suo pubblico
Anche la distanza interpersonale varia in funzione di:
• fattori culturali
• età
• Genere
Gesti: simboli che si esprimono nello spazio discorsivo comune agli interlocutori.
Argyle (1975) distingue tra:
• Gesti illusori e altri segnali correlati al linguaggio (indice che indica la direzione)
• Segni convenzionali e linguaggio dei segni (pollice verso l’alto)
• Movimenti che esprimono stati emotivi e atteggiamenti interpersonali (sfregarsi le mani)
• Movimenti che esprimono la personalità e lo stile personale
• Movimenti usati come rituali e nelle cerimonie (stingersi la mano destra quando ci si
presenta)
Precisato che il valore della comunicazione verbale incide in misura minoritaria rispetto a quella
non-verbale negli scambi comunicativi, si riconosce alla comunicazione non verbale le seguenti
importanti funzioni:
• Funzione chiarificatrice: riduce l’ambiguità del linguaggio
• Fornisce informazioni sugli stati d’animo e sugli atteggiamenti degli interlocutori
• Definisce il tipo di relazione che intercorre fra i parlanti: grado di intimità
• Regola l’avvicendarsi dei turni di parola
• Permette agli individui di presentare se stessi
La comunicazione cooperativa è una conversazione nella quale gli attori sociali riconoscono almeno
uno scopo comune o insieme di scopi comuni.
La comunicazione è coordinata da regole implicitamente riconosciute dai partecipanti che se ne
servono per interpretare l’interazione e il contenuto della comunicazione.
Autori di riferimento:
- Grice (1975)
- Giglione (1986)
Secondo Grice (1975) le regole proprie della comunicazione cooperativa sono: :
- Massima di quantità: dare l’informazione necessaria
- Massima di qualità: presunzione di verità, si presuppone che la probabilità che gli altri dicano
cose vere (o che le ritengano tali) sia superiore della probabilità che dicano il falso
- Massima di relazione: l’informazione deve essere pertinente
- Massima di modo: essere brevi, ordinati nell’esposizione e non prolissi
Ghiglione analizza la comunicazione cooperativa secondo un approccio psico-socio-pragmatico
I soggetti che interagiscono in una comunicazione cooperativa agiscono in qualità di:
- intralocutori: detentori di conoscenze, credenze, atteggiamenti, ruoli, ecc.
- Interlocutori: attore coinvolto in una interazione.
55
Modello della comunicazione cooperativa è definisce questa comunicazione in termini di contratto
il quale si basa su due principi fondamentali:
- Condivisione di regole
- Negoziazione di scopi
Le regole del contratto sono schematizzate in:
• Principio di pertinenza: è il riconoscimento delle competenze necessarie per lo
svolgimento dello scambio comunicativo
• Principio di coerenza: gli attori sociali riconoscono di funzionare secondo regole simili
• Principio di reciprocità: gli interlocutori si riconoscono a vicenda il diritto di entrare in
comunicazione
• Principio di influenza: lo scambio comunicativo è portatore di poste in gioco e costruzione
della realtà.
La comunicazione presuppone la presenza di una certa competenza comunicativa perché:
§ È un’attività sociale congiunta e coordinata
§ Implica sia l’acquisizione del linguaggio sia le competenze necessarie per usarlo:
- norme che regolano le espressioni verbali e non verbali
- regole che governano l’interazione
§ Implica la gestione del controllo
§ Implica l’uso di risorse disponibili
§ Implica il mantenimento dell’equilibrio fra i vari sistemi coinvolti
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AGGRESSIVITÀ E ALTRUISMO
Dal testo Palmonari – Cavazza - Rubini: pag.177-201 (cap.6)
Dal testo Patrizi – De Gregorio: pag 156-180 (cap. 5)
Storr (1968) definisce l’aggressività una parola-valigia, “entro la quale si può mettere di tutto”
L’aggressività è un fenomeno poli-dimensionale, è caratterizzata da diversi processi emotivi e
cognitivi che inducono a differenti tipi di condotta aggressiva.
Aggessivity o aggresiviness ≠ aggrssion
Aggressività ≠ comportamento agressivo
Aggressività = tendenza costante ad un’azione o reazione aggressiva
Aggressioni =
§ Azioni dirette a danneggiare direttamente o indirettamente un individuo della propria specie
(Merz, 1965);
§ Meccanismi interni o esterni che producono un danno, sia che si tratti di un danno
fantasticato, progettato o realizzato (Becker, 1969).
Queste definizioni comportano la necessità di appurare l’intenzionalità di un atto, prima di definirlo
aggressivo. Infatti, un comportamento apparentemente aggressivo può in realtà avere motivazioni
diverse dal desiderio di danneggiare altri.
Occorre distinguere i comportamenti aggressivi nel seguente modo:
§ attivi vs. passivi: sebbene i primi siano più eclatanti, anche i secondi (ad esempio, non aiutare
un compagno in difficoltà) possono produrre danni rilevanti. Non a caso, le più recenti ed
innovative proposte educative (apprendimento cooperativo e prosocialità) sottolineano
l’importanza d’insegnare a bambini ed a ragazzi ad aiutare i propri compagni;
§ diretti vs. indiretti: nel primo caso, c’è un contatto non mediato (di tipo corporeo o visivo) tra
le persone. Nel secondo caso, invece, non si verifica un contatto diretto, come avviene, ad
esempio, nelle maldicenze;
§ autodiretti vs. eterodiretti: è opportuno mantenere distinti i comportamenti aggressivi diretti
contro terzi da quelli rivolti a se stessi, in quanto le cause ed i fattori di mantenimento possono
essere radicalmente diversi.
La pervasività dei comportamenti aggressivi ha portato ad una proliferazione di teorie
interpretative, che tuttavia mancano spesso di solide basi scientifiche.
§ Teorie innatistiche: l’etologia e la psicanalisi;
§ Teorie della frustrazione
§ Teorie situazionali
§ Il modello del condizionamento operante
§ Il modello cognitivo-comportamentale
§ Teoria apprendimento sociale: Il modeling
§ Teoria dell’obbedienza all’autorità
§ Teoria della deindividuazione (dal testo Patrizi-DeGregorio)
§ Teoria della norma emergente (dal testo Patrizi-DeGregorio)
Teorie innatistiche
Nel corso del XX secolo, si sono sviluppate teorie che vedono il comportamento aggressivo come il
risultato di istinti innati.
I due riferimenti fondamentali sono la psicoanalisi di Freud e l’etologia di Lorenz.
57
In entrambi i casi si postulano delle innate pulsioni aggressive, responsabili delle più diverse forme
di etero ed autoaggressività, dai piccoli atti autolesionistici fino alle guerre mondiali.
Tuttavia, esse mancano completamente prove empiriche o sperimentali in grado di avallare l’idea di
un uomo naturalmente aggressivo (ipotesi che, d’altro canto, viene ampiamente smentita dai più
recenti studi sulla prosocialità).
Inoltre, l’assunzione di un’aggressività come tratto immutabile della costituzione umana implica
rinunciare, fin dall’inizio, a qualsiasi intervento di tipo educativo o riabilitativo.
In definitiva, gli approcci innatistici mostrano al contempo la loro inconsistenza scientifica e la loro
inutilità operativa.
Teoria etologica di Lorenz (1969)
Studiando il comportamento aggressivo, in molte specie animali, attribuisce l’origine all’istinto.
L’aggressività è una pulsione che si carica per forza endogena e che, raggiunto un certo livello
d’intensità, spingerebbe l’organismo in circostanze nelle quali può essere soddisfatta.
Ha la funzione di aiutare la specie nella sopravvivenza.
Può essere intraspecifica (quando si attua tra membri della stessa specie) ed intraspecifica (tra
membri di diversa specie).
Si distinguono 3 specifiche funzioni:
- Finalità evoluzionistiche
- Lotta per il territorio
- Principio organizzativo, ordinatorio
Logica del modello idraulico: Lorenz sostiene che l’aggressività non si può eliminare ma si può
cercare di incanalarla e dirigerla verso forme di scarica non pericolose come attività sportive,
artistiche…
Catarsi: “Il manifestarsi di un qualsiasi atto aggressivo riduce l’istigazione all’aggressività
stessa”. Questo meccanismo Scarica l’energia aggressiva prodotta dalla frustrazione e Provoca una
diminuzione della tendenza ad altre risposte aggressive
Critiche:
- Unilateralità e rigidità
- Non scientificità
- Mera registrazione dell’evidenza
Teoria psicanalitica di Freud (1969)
Il concetto di aggressività in Freud si è sviluppato in 3 momenti:
1°: è un aspetto della pulsione sessuale (libido)
2°: è uno strumento all’autoconservazione e all’ampliamento dell’Io
3°: l’uomo si caratterizza per la presenza di 2 istinti, uno teso verso il piacere (Eros), l’altro verso la
distruzione (Thanatos)
Per evitare l’autodistruzione, l’energia distruttiva che deriva dal secondo istinto va allontanata
dall’individuo, indirizzandola verso l’esterno.
E. Fromm, altro psicanalista, si distingue da Freud distinguendo:
- Aggressività benigna, ha base biologica, serve all’uomo per difendere i propri interessi, ed è
una reazione innata;
- Aggressività maligna, ha la sia radice nella struttura caratteriale dell’uomo, ha dunque
origine sociale e può trasformarsi in distruttività.
Teoria della frustrazione di Dollard e Miller (1939)
I due autori in questione hanno ipotizzato uno stato di frustrazione come base per lo sviluppo di
atteggiamenti aggressivi.
In altre parole, la persona vivrebbe uno stato di tensione, causato da una situazione frustrante.
2 diverse situazioni frustranti:
58
1. la persona non riesce a raggiungere obiettivi importanti, a causa di una serie di ostacoli di diversa
natura;
2. vengono fatte delle promesse alla persona, senza che poi vengano mantenute.
Quella di Dollard e Miller è una delle prime teorie sull’aggressività supportata da rilevanti dati
empirici e sperimentali.
Gli esperimenti hanno dimostrato che:
La frustrazione induce all’aggressività solo se sin da bambini è stata appresa
come risposta tipica e dominante ad un aumento di tensione
Teoria situazionale di Berkowitz (1967)
Adesione di massima all’ipotesi originaria “Frustrazione-Aggressività”, tuttavia non accetta
l’universalità del rapporto.
Propone una versione riveduta dell’ipotesi frustrazione aggressività
Tra i concetti di frustrazione e aggressività introduce Variabili intervenienti: Condizioni o Stimoli
ambientali appropriate per l’aggressività.
La reazione emotiva che segue la frustrazione non provoca direttamente aggressività ma solo una
disposizione favorevole (Arausal). Questa disposizione all’aggressività si traduce in veri e propri
atti aggressivi solo se si associa con:
§ un’abitudine all’aggressione appresa attraverso l’dentificazione con modelli aggressivi
(teoria dell’apprendimento sociale di Bandura);
§ stimoli appropriati che riattivano precedenti abitudini aggressive rimaste fino a quel
momento inoperanti.
Modello condizionamento-operante (l’approccio comportamentista).
Una risposta aggressiva emessa dal soggetto può essere mantenuta come stile abituale d’interazione,
nel momento in cui permette di raggiungere un obiettivo desiderato.
In questo senso, allora, molti comportamenti aggressivi vengono rinforzati (più o meno
consapevolmente) dall’ambiente di vita del soggetto:
- in primo luogo, è possibile che l’atto aggressivo del soggetto procuri direttamente una
conseguenza premiante. Ad esempio, un bambino, mostrandosi aggressivo verso un compagno,
ottiene da quest’ultimo un giocattolo gradito;
- in secondo luogo, il comportamento aggressivo può essere rinforzato, nella misura in cui permette
di evitare una conseguenza sgradita. Così, ad esempio, l’aggressività verbale del bambino potrebbe
indurre l’insegnante a rinunciare ad assegnargli un particolare compito. Chiaramente, il bambino
avrà appreso in tal modo un’ottima strategia per evitare incarichi indesiderati.
Modello cognitivo-comportamentale di Ferguson e Rule (1983)
In quest’ottica la condotta aggressiva si configura propriamente come una condotta interpersonale e
sociale: fa parte di una strategia di adattamento e di una rete di significati e di norme sociali che ne
regolano l’innesco, le espressioni e le risonanze interne.
L’aggressività è frutto di un processo di categorizzazione, di attribuzione, di gestione dell’immagine
di sé.
Un comportamento aggressivo può essere provocato non solo da situazioni frustranti, ma anche da
situazioni generalmente avversive o, addirittura, non avversive.
Si pensi, ad esempio, a tutti gli atti di aggressività premeditati con freddezza, al fine di raggiungere
un obiettivo desiderato. Questo permette di comprendere quegli atteggiamenti aggressivi reiterati
nel tempo, proprio perché in passato rinforzati dall’ambiente e, quindi, visti dal soggetto come un
ottimo mezzo per raggiungere i propri fini.
Il contributo fondamentale di quest’approccio cognitivo-comportamentale, però, è stato quello di
ipotizzare una serie di fattori intrinseci al soggetto, che possono mediare tra situazione
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potenzialmente elicitante ed atto aggressivo. Questo permette di spiegare perché persone diverse
reagiscono in modo differente alla stessa situazione:
- da un lato, infatti, il soggetto può esercitare un adeguato livello di auto-controllo sulle risposte
emozionali e comportamentali. In altre parole, di fronte ad una situazione potenzialmente aversiva,
la persona può riuscire a controllare e mitigare il proprio stato di tensione;
- dall’altro lato, nel corso dello sviluppo, il soggetto può aver imparato strategie alternative a quella
aggressiva. Ad esempio, di fronte ad una situazione frustrante, invece di essere travolto dalla
collera, il soggetto potrebbe ricorrere a strategie razionali di problem-solving.
Ovviamente, più la persona presenta una serie di abilità in questi due ambiti, minori sono le
possibilità di scatenare risposte aggressive
Teoria dell’apprendimento sociale di Bandura (1961, 1963)
L’apprendimento di condotte aggressive avviene soprattutto attraverso l’osservazione di modelli.
Ad esempio, nel corso dell’infanzia, la presenza di genitori o di insegnanti incapaci a controllare la
propria collera può costituire una condizione rilevante per lo sviluppo di condotte aggressive nel
bambino.
Inoltre, la possibilità d’imitare il modello è potenziata nel momento in cui osserviamo che il
comportamento aggressivo permette di ottenere dei vantaggi (rinforzo vicario).
Teoria dell’obbedienza di Milgram (1963)
ll comportamento aggressivo può essere indotto per mera obbedienza.
L’Obbedienza è una particolare forma di conformità che si esplicita quando tra la fonte di influenza
e il bersaglio vi è una differenza di tipo qualitativo (differenza di status)
Sulla base dell’autorità che gli è riconosciuta un individuo esercita in modo esplicito e diretto una
pressione su altri individui.
Comportamenti di obbedienza: esito delle pressioni esercitate dal contesto e dalle situazioni in cui le
persone agiscono
Stato eteronomico: stato mentale che dispone un individuo a orientare il proprio comportamento
secondo le disposizioni date da qualcuno di status superiore à Non responsabile di ciò che fa, ma
percezione di essere uno strumento che esegue ordini impartiti da altri.
Variabili intervenienti:
§ vicinanza fra soggetto sperimentale e vittima
§ vicinanza fra soggetto sperimentale e ricercatore (autorità)
Condizioni che favoriscono l’obbedienza:
§ Legittimità dell’autorità
§ Adesione al sistema di autorità
§ Pressione sociale
Teoria della deindividuazione di Zimbardo (1971-2007)
Il ricercatore attraverso una serie di esperimenti, il più noto dei quali condotto presso l’università di
Stanford, studia l’innesco di modelli comportamentali aggressivi indotti da:
- Dinamiche di gruppo (senso di appartenenza, distinzione ingroup-outgroup, norme di
gruppo, diffusione di responsabilità)
- Elementi situazionali: anonimato, ridotta prospettiva temporale, contesto elicitante violenza.
La teoria della deindividuazione spiega l’aggressività in termini di riduzione del controllo sul
comportamento individuale indotto dai fattori sopraindicati. Un soggetto per il solo fatto di essere
inserito all’interno di un gruppo la cui norma condivisa è quella dell’aggressività riduce fino ad
annullare l’autopresentazione e la responsabilità delle proprie azioni dando vita all’effetto lucifero.
Il modello viene ripreso da Turner e Killiman nella teoria della norma emergente (1972).
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Altruismo
L’altruismo è un aspetto cruciale della vita di relazione.
L’altruismo è l’azione che un individuo può compiere a vantaggio di una o più persone senza
aspettarsi alcuna ricompensa esterna concreta.
Comportamento prosociale: è un’azione compiuta al fine di beneficiare un’altra persona.
Altruismo: è il desiderio di aiutare un’altra persona anche se comporta un costo personale e senza
l’aspettativa di ottenere qualcosa in cambio.
Tuttavia non è sempre chiaro e univoco il modo in cui un comportamento altruistico viene
interpretata dai soggetti coinvolti.
Occorre distinguere tra:
1) altruismo altruistico dettato esclusivamente dalla motivazione di aiutare l’altro
2) altruismo egoistico quando sono presenti motivazioni “altre”, come l’ aspirazione a farsi
riconoscere come uno altruista, il desiderio di visibilità, il ritorno d’immagine
Modelli teorici:
- Modello biologico-evoluzionistico
- Teorie di personalità o individualistico
- Teoria dell’altruismo reciproco o interpersonale
- Teoria dell’apprendimento sociale
- Teoria dello sviluppo cognitivo
- teorie dei sistemi sociali
Psicologia evoluzionistica: settore della psicologia che cerca di spiegare il comportamento sociale
sulla base di principi evoluzionistici (ad es. principio della selezione naturale).
Darwin: l’altruismo non è coerente con il principio della selezione naturale.
Hamilton (1964) sosteneva che si può parlare di altruismo geneticamente fondato, se lo si intende
basato su un meccanismo attraverso il quale il patrimonio genetico cerca di conservarsi e
moltiplicarsi attraverso soggetti consanguinei (figli, fratelli, nipoti, ecc.), così che i geni buoni si
accumulino di generazione in generazione (selezione di parentela)
Burnestein, Crandall e Kitayama (1994) dimostrano sperimentalmente che le persone tendono ad
aiutare con più probabilità coloro con cui è più stretta la parentela e solo quando la loro vita è
direttamente minacciata
Probabile si verifichi condotta altruistica se:
§ è a vantaggio di un individuo legato da stretto grado di parentela con il benefattore (alta
comunanza di geni);
§ prezzo pagato da chi si sacrifica è ripagato dal beneficio complessivo per la conservazione
dello stesso patrimonio genetico nella generazione successiva
Ma: non previsti e non spiegati atti altruistici verso persone con cui non si hanno legami di
parentela
Teorie di personalità o individualista:
Secondo alcune ricerche, la personalità altruistica sarebbe associata a tratti di personalità come: alta
stima di sé, alta competenza morale, locus of control interno, basso bisogno di approvazione
esterna, forte senso di responsabilità sociale, stabilità delle credenze nel mondo giusto
Penner e al. (1995) hanno distinto due fattori: “empatia verso gli altri” e “propensione all’aiuto”
Secondo altri studi, il fattore che meglio permette di predire il comportamento di aiuto è la
percezione della propria efficacia
Critiche:
- La dimensione di personalità spesso non è sufficiente per prevedere la messa in atto di
comportamenti altruistici; è necessario considerare anche altri livelli, quali ad esempio le
caratteristiche del
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Teoria dell’altruismo reciproco (Trivers, 1971): atto altruistico verso chi non è legato da vincoli
di parentela è selezionato se:
§ comporta un danno per il benefattore più basso del beneficio che ricava chi viene aiutato
§ ci sono particolari condizioni che rendono probabile che il benefattore, o suoi successori,
possano a loro volta essere oggetto di comportamenti altruistici da parte di chi è aiutato
Aiutare gli altri può avere dei vantaggi:
§ probabilità di essere ricambiati
§ sollievo
§ approvazione sociale, autostima.
Ma se vi sono costi alti, la probabilità di aiuto diminuisce
Teoria dell’apprendimento sociale
Secondo l’approccio di Bandura l’attenzione viene posta sulle variabili ambientali e relazionali e
sullo studio dei processi alla base dell’assimilazione delle norme sociali
Forme di comportamento pro-sociale: apprese osservando o imitando modelli del contesto
sociale (es. genitori o altri adulti significativi) e rappresentano l’esito di rinforzi diretti
Teoria dello sviluppo cognitivo (Kohlberg, 1973): studia strutturazione del pensiero e modo in cui
il ragionamento si organizza
Strutture cognitive non statiche, attraversano una serie di stadi sequenziali e si modificano,
costituendo dei processi tesi a comprendere e attribuire significato a ciò che accade nel contesto
sociale
Bambini costruiscono proprie norme attraverso esperienze personali.
No accettazione passiva di norme stabilite dall’esterno
Rinforzo, modellamento e imitazione modelli à input rielaborati cognitivamente e inseriti in
sistemi di idee organizzati, che guidano elaborazione di informazioni successive e orientano il
comportamento sociale
Strutture cognitive fondamentali per sviluppo morale. No unico e univoco processo di
interiorizzazione: livelli cognitivi che bambini e adulti sviluppano si trasformano ripetutamente nel
corso della vita
Variabili situazionali:
• L’intervento di soccorso a qualcuno in difficoltà è molto più probabile se l’individuo ritiene di
essere l’unica persona presente nella situazione
• La numerosità dei presenti influisce sulla decisione di aiutare: più sono le persone che assistono
alla richiesta di aiuto, minore è la probabilità che l’individuo intervenga in soccorso della
“vittima”
• Interpretazione in termini di diffusione della responsabilità: non potendo osservare i
comportamenti reciproci, ciascuna delle persone presenti finisce per pensare che qualcun altro
abbia già provveduto al soccorso
Teorie dei sistemi sociali
L’altruismo è inteso come azione elicitata da un contesto normativo caratterizzato da doveri di
reciprocità.
Concetti rilevanti secondo tale approccio sono:
- Aspettativa di reciprocità
- norma di autosufficienza
- giustizia sociale
Il riferimento alle cornici normative implica una forte dipendenza dal contesto specifico in cui gli
eventi avvengono e l’attivazione dei seguenti elementi:
- Processi cognitivi
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- Aspetti prettamente psicologico-sociale
- Relazionali
- Normativi
L’esperimento di “Kitty Genovese” condotto da Bierhoff evidenza le ragioni del mancato
intervento d’aiuto che egli individua in:
- diffusione di responsabilità,
- ignoranza collettiva,
- timore della valutazione
Anche Bandura analizza i fenomeni di mancato intervento individuandone le cause nei concetti di:
- Neutralizzazione della norma
- disimpegno morale (vedi lezione sulla responsabilità diap.14)
Considerati come meccanismi giustificatori NON necessariamente attivati successivamente
all’azione di non aiuto per giustificare il proprio comportamento, MA anche ex-ante l’azione per
modificare la rappresentazione della realtà e per ridurre la dissonanza con i criteri morali
interiorizzati.
Empatia
EMPATIA: capacità di sentire come la persona si sente
Hoffman (1975):
Elementi caratterizzanti l’empatia sono la compassione, la tenerezza, la simpatia verso una persona
in difficoltà
A questi si aggiunge un processo cognitivo: l’osservatore assume la prospettiva dell’altro
L’empatia rende più probabile l’attuazione di una risposta di aiuto
Tuttavia, l’osservazione della sofferenza altrui può attivare due emozioni:
- disagio personale
- reale preoccupazione per l’altra persona
Quale di queste emozioni motiva il comportamento di aiuto?
Cialdini et al. (1973): Ipotesi del sollievo dallo stato negativo
- I comportamenti di altruismo derivano da una motivazione fondamentalmente egoistica:
rimuovere l’angoscia causata dall’osservazione della sofferenza altrui
- La percezione di diffusione di responsabilità rende la fuga una risposta funzionale alla
riduzione dell’angoscia
Batson et al. (1989): Modello dell’empatia - altruismo
- Se le persone percepiscono la vittima simile a sé, decidono di aiutarla anche se potrebbero
sottrarsi alla vista delle sue sofferenze
Critica di Cialdini et al. (1997):
- Se la somiglianza percepita è forte, si crea un senso di unità interpersonale che causa una certa
sovrapposizione sé - altro: risulta difficile distinguere motivazioni altruistiche ed egoistiche
Quando si prova empatia?
Empatia disposizionale o stabile o cronica: tendenza generalizzaa a percepire una forte somiglianza
di atteggiamenti e a partecipare alle vicissitudini altrui.
Empatia situazionale: evocata da situazioni specifiche. Si prendere la prospettiva della persona in
stato di bisogno:
§ Indotta dalla situazione
§ Somiglianza (in diversi aspetti)
§ Affetto (relazioni di condivisione)
Come incrementare i comportamenti prosociali?
Fare leva su :
§ la norma della reciprocità.
§ Il senso di responsabilità sociale
63
§
§
il senso di giustizia
i vantaggi personali dell’aiuto (autostima, etc.)
Aumentare l’empatia:
§ somiglianza con la persona in stato di bisogno
§ mettersi nei panni dell’altro
Per i casi di emergenza:
§ rendere consapevoli del ruolo delle condizioni sociali ed ambientali
l’Umore
Un altro concetto chiave per l’attivazione di un comportamento pro-sociale o altruistico è l’umore
L’umore positivo può agire indirettamente sul comportamento attraverso la mediazione di altri
processi psico-cognitivo:
- interpretazione realtà in termini di equità
- Arousal positivo
- Stereotipizzazione del comportamento
L’umore positivo induce comportamenti prosociali, e questi, a loro volta, rafforzano e perdurano
l’umore positivo
Anche l’umore negativo elicita comportamenti di aiuto:
- Per lo stereotipo secondo cui “fare del bene fa star bene”
- Per ridurre il senso di colpa che generalmente è alla base di un umore negativo
- Per la teoria dello scambio sociale
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GRUPPO
Dal testo Palmonari – Cavazza - Rubini: pag. 203-230 (cap.7)
In sociologia, si opera una distinzione tra i concetti di:
Gruppo sociale: numero limitato di individui che interagiscono con regolarità
Esempio: una famiglia, un circolo sportivo
Aggregato: insieme di individui che si trovano nello stesso luogo e allo stesso momento,
senza condividere un legame preciso
Esempio: gli spettatori in una sala cinematografica
Categoria sociale: raggruppamento statistico; insieme di individui che hanno una
caratteristica comune
Esempio: le donne; i vegetariani
In psicologia, una definizione seminale è quella di Kurt Lewin (1948):
Un gruppo è una totalità dinamica, cioè un’entità diversa (non superiore) rispetto alla somma degli
individui che lo compongono
Il criterio fondamentale per la definizione di gruppo è l’esistenza di interazione o altri tipi di
interdipendenza fra gli individui che lo compongono; ad esempio, essi condividono uno scopo o un
destino comune
La somiglianza fra i componenti non è sufficiente a definire un gruppo
Non c’è nessuna limitazione numerica
Esempio: un insieme di persone con un obiettivo condiviso
Principali criteri per poter parlare di “GRUPPO” nell’ottica della Psicologia sociale:
1. Le relazioni tra i membri: dirette o indirette, ma ugualmente pregnanti per il senso
d’appartenenza.
2. La consapevolezza dei membri di far parte di quel determinato gruppo, cioè le persone hanno una
percezione comune della loro identità e si definiscono come appartenenti a quel gruppo.
3. Le persone che si sentono parte di un gruppo sono definite anche dagli esterni come appartenenti
a quel determinato gruppo.
Vi sono sentimenti associati all’appartenenza, che generalmente sono di tipo positivo
(soddisfazione, orgoglio) ma che possono includere anche connotazioni negative.
5. Il perseguimento di uno scopo comune, che crea interdipendenza fra gli individui e azioni
coordinate in vista degli obiettivi.
6. I gruppi che durano nel tempo hanno una struttura interna.
Un gruppo è tanto più gruppo quanto più possiede queste caratteristiche.
Temi classici:
§ Sistema di status
§ I ruoli
§ Le norme di gruppo
§ Le reti di comunicazione
§ Il potere nel gruppo
§ La leadership
Status
Definizioni
Si riferisce alla posizione occupata dall’individuo nel gruppo, unitamente alla valutazione di tale
posizione in una scala di prestigio (Scilligo, 1973)
Il pattern generale di influenza sociale fra i membri di un gruppo (Levine e Moreland, 1990)
Uno status elevato è rivelato da due indicatori fondamentali:
Tendenza a promuovere iniziative (idee ed attività)
Consenso sulla valutazione del prestigio connesso alla
posizione dell’individuo nel gruppo
(Brown, 1988)
65
Le differenziazioni di status sono funzionali rispetto al bisogno di prevedibilità e ordine
§ Come si forma?
- nel tempo sulla base di alcuni comportamenti;
- da subito, “a pelle”;
- sin dalle prime interazioni in funzioni delle aspettative.
§ Che funzione ha?
- garantisce prevedibilità nelle relazioni;
- costituisce un parametro di autovalutazione;
- alimenta aspettative sulle proprie capacità.
§ A cosa bisogna prestare attenzione?
- ai cambi di status;
- all’adeguamento
Metodi di studio dello status:
§ Osservazione dei comportamenti verbali e non verbali
- Indicatori non verbali di status elevato: postura eretta, voce ferma, contatto visivo
- Indicatori verbali di status elevato: turni di parola più lunghi, critiche, comandi,
interruzioni frequenti degli interlocutori
§ Raccolta delle valutazioni dei membri del gruppo:
- Ciascun appartenente al gruppo valuta gli altri in termini di popolarità, influenza,
competenza
- Come evidenziato da Sherif (1948) esiste una maggiore concordanza rispetto alle
valutazioni dei livelli estremi della struttura gerarchica
Come si produce un sistema di status?
Due spiegazioni teoriche:
§ Teoria degli “stati di aspettativa” (Berger et al., 1980)
Sin dai primi incontri, le persone si formano aspettative, in base alle caratteristiche personali
esibite, rispetto al possibile contributo di ogni individuo al raggiungimento degli scopi di gruppo; le
posizioni vengono attribuite in base a tali aspettative
§ Corrente etologica (Mazur, 1985)
L’assegnazione di status avviene in base ad una distinzione iniziale fra ipotetici “vincitori” e
“perdenti”, effettuata valutando la forza di ciascuno a partire da caratteristiche quali statura,
muscolatura, espressione facciale
Ruolo
Definizioni:
§ Insieme di aspettative condivise
circa il modo in cui dovrebbe comportarsi una persona
che occupa una certa posizione
e da parte di altri nei confronti
della persona in questione
Il ruolo è rivelato dal comportamento consueto messo in atto dal soggetto nel gruppo e assunto
dagli altri membri nei suoi confronti
§ Quali sono generalmente i ruoli all’interno di un gruppo?
- leader;
- nuovo arrivato;
- capro espiatorio;
- clown;
- invisibile;
- bastian contrario.
§ Che funzione ha?
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- permette il raggiungimento degli scopi del gruppo
- garantisce ordine e prevedibilità;
- definisce chi ciascuno è nel gruppo.
§ A cosa bisogna prestare attenzione?
- ai conflitti (per assegnazione, per modalità di svolgimento)
- alla reciprocità
Conflitti legati al ruolo:
§ Conflitti a livello personale:
- Incompatibilità fra ruolo giocato nel gruppo ed altri ruoli sociali
- Assenza di motivazione a sostenere il ruolo
§ Conflitti a livello di gruppo:
- Assenza di accordo nel gruppo rispetto alla persona che ricopre un determinato ruolo
- Assenza di accordo rispetto al modo in cui un ruolo viene interpretato
§ Jackson e Schuler (1985):
- i conflitti di ruolo nei gruppi di lavoro comportano un aumento della tensione e un decremento
di produttività
Norme
Definizioni:
§ Le nome costituiscono aspettative condivise rispetto al modo in cui dovrebbero comportarsi
i membri del gruppo (Levine e Moreland, 1990); riguardano un set di comportamenti e
opinioni cui ci si aspetta che i membri si uniformino
§ Permettono di definire la “latitudine” entro la quale sono accettate le differenze individuali
§ Non hanno lo stesso carattere di obbligatorietà per tutti i membri: le persone di status
elevato sono più vincolate alle norme centrali
Che cosa succede a chi non rispetta le norme?
§ I devianti ricevono più comunicazioni; questo stato termina quando essi si riavvicinano alle
opinioni della maggioranza. Se invece persistono nella posizione assunta, il gruppo finisce
per abbandonarli a se stessi
§ Come si formano?
- in modo istituzionale;
- per negoziazione dell’intero team;
- per generalizzazione di comportamenti in funzione dell’obiettivo del gruppo
§ Che funzione hanno?
- avanzamento del gruppo
- mantenimento;
- definizione delle relazioni con l’ambiente sociale.
§ A cosa bisogna prestare attenzione?
- al conformismo
- al cambiamento
A che cosa servono le norme?
Cartwright e Zander (1968) individuano quattro funzioni:
• Avanzamento del gruppo: le pressioni verso l’uniformità possono servire al raggiungimento
degli obiettivi
• Mantenimento del gruppo: alcune norme, come ad esempio le richieste per incontri regolari,
permettono al gruppo di preservarsi
• Costruzione della realtà sociale: formazione di una concezione comune della realtà sociale, utile
per fronteggiare situazioni non familiari e come riferimento per l’autovalutazione individuale
• Definizione dei rapporti con l’ambiente sociale: permettono di definire le relazioni con altri
gruppi, organizzazioni, istituzioni, e stabilire quali gruppi siano “alleati” o “nemici”
67
Comunicazione
Definizione:
§ Strumento necessario alla partecipazione sociale e alla co-costruzione della realtà sociale
La Rete di comunicazione è l’insieme dei canali di comunicazione presente in un gruppo”
§ Quali sono le reti di comunicazione?
- centralizzata o a ruota;
- a catena;
- a Y;
- circolare
§ Che funzione ha?
- rende possibile il passaggio di informazioni.
§ A cosa bisogna prestare attenzione?
- eccesso vs penuria di canali;
Tre correnti di studio sulle comunicazioni nei gruppi:
§ Bales e al. (1951): studiano le strutture di comunicazione nei gruppi di discussione;
evidenziano che la quantità di comunicazioni date e ricevute riproduce la gerarchia di status
Esempio: in una struttura centralizzata il leader riceve e trasmette più comunicazioni di tutti
§ Festinger (1950) e Schachter (1951): analizzano i processi comunicativi in rapporto ad altri
fenomeni di gruppo.
Esempio: studi sulle comunicazioni verso i devianti
§ Bavelas (1948) e Leavitt (1951): propongono un modello di descrizione delle reti di
comunicazione che riprende l’idea lewiniana di rappresentazione del campo psicologico
mediante mappe topologiche
Due indici quantitativi per descrivere diversi tipi di rete:
- Indice di distanza: il numero minimo di legami di comunicazione che un individuo deve
attraversare per comunicare con un altro
- Indice di centralità: la misura in cui un flusso di informazioni nel gruppo è centralizzato in una
persona [Leavitt, 1951]
Il tipo di rete di comunicazione influenza:
§
L’efficienza di gruppo nella risoluzione di compiti
- La natura del compito è una variabile fondamentale:
i gruppi centralizzati
risolvono più rapidamente compiti semplici, i gruppi decentralizzati i compiti complessi
§
La soddisfazione o il morale dei membri del gruppo
- Nelle reti decentralizzate il morale medio del gruppo è più elevato; nelle reti centralizzate
la persona in posizione centrale è più soddisfatta.
Critiche:
Questi risultati, ottenuti con studi di laboratorio, sono applicabili per i gruppi naturali?
Potere
Definizioni:
§
Capacità di influenzare o di controllare altre persone (Levine e Moreland, 1990).
§
Secondo French e Raven (1959), il potere costituisce una influenza potenziale di O su P
(French e Raven, 1959)
E’ necessario tenere in considerazione il fatto che, nella realtà, il potere raramente deriva da
un’unica fonte; le relazioni fra O e P sono caratterizzate da molte variabili, ciascuna delle quali può
essere una base di potere.
Forme del potere (French e Raven, 1959)
§ Il potere di ricompensa: si basa sull’abilità di O di dare o promettere ricompense, materiali o
simboliche, a P
68
§
Il potere coercitivo: la base del potere è nella minaccia o attuazione di sanzioni punitive di
O su P
§ Il potere legittimo: P ha interiorizzato norme che stabiliscono che O ha il diritto legittimo di
influenzare P, ad esempio in base a una designazione sociale (elezioni)
§ Il potere d’esempio: si basa sull’identificazione di P con O
§ Il potere di competenza: P ritiene O un esperto in un determinato ambito, ed ha fiducia che
O dica la verità
Critiche: la tipologia di French e Raven non considera né i rapporti economici, né le motivazioni di
chi accetta la fonte di influenza
Leadership
Definizioni:
§ La leadership implica l’influenza di un membro del gruppo sugli altri (rispettivamente, leader e
seguaci) in vista del raggiungimento degli obiettivi del gruppo (Hollander, 1985)
§ Il leader è colui che mostra più iniziativa nel dirigere, suggerire, consigliare, proporre idee
rispetto agli altri membri del gruppo; occupa una posizione elevata nella gerarchia di status e
ricopre una posizione centrale nella rete di comunicazione nel gruppo (Turner, 1991)
§ Moscovici (1976) propone una distinzione tra influenza e potere, in riferimento ai processi di
influenza sociale minoritaria e maggioritaria: mentre la prima produce accettazione soggettiva,
la seconda implica coercizione e acquiescenza pubblica
Su cosa si basa la capacità di influenzare?
1. La teoria del “grande uomo”
2. lo studio delle diverse funzioni
3. l’approccio situazionista
1. La teoria del “grande uomo”
§
Esistono alcuni tratti di personalità che distinguono i leader dagli altri: un individuo con
tali caratteristiche è un leader “naturale” indipendentemente dalla situazione
§
I tratti più tipici di un leader: propensione alla responsabilità ed alla esecuzione del
compito, tenacia nel perseguire gli obiettivi, originalità nell’affrontare i problemi, tendenza a
prendere l’iniziativa, fiducia in sé, capacità di tollerare le frustrazioni, abilità
nell’influenzare gli altri… (Stodgill,1974)
Critiche: I comportamenti delle persone variano a seconda delle situazioni ed i tratti non sono
statici ma dinamici (Hollander, 1985)
2. Lo studio delle funzioni e dello stile di leader
Bales e Slater (1955) distinguono due tipi di funzioni del leader:
§ Leader socioemozionale: presta attenzione ai sentimenti dei membri del gruppo; è teso ad
assicurare armonia nel gruppo
§ Leader centrato sul compito:concentrato sulla realizzazione del compito e
sull’organizzazione del lavoro di gruppo
Secondo gli Autori, i due ruoli sono complementari, e difficilmente possono essere svolti dalla
stessa persona
§ Critiche all’approccio situazionista:
§ trascura troppo le caratteristiche delle persone con ruoli di leader
§ la definizione della situazione (centrata sulle richieste relative al compito) è riduttiva e
considera poco elementi importanti come la storia, la struttura, le risorse del gruppo
3. Approccio situazionista
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Si fonda sull’idea che in situazioni diverse il leader deve assolvere funzioni diverse. Tale ruolo può
quindi essere assunto da diversi membri del gruppo, caso per caso
Esperimento di Carter e Nixon (1949): variando il tipo di compito, osservano che persone
diverse emergono come leader
Fattori situazionali collegati all’emergere di un leader: natura del compito; presenza nel gruppo di
un membro con esperienza di leader, grandezza del gruppo, stabilità ambientale…
Critiche all’approccio situazionista:
§ trascura troppo le caratteristiche delle persone con ruoli di leader
§ la definizione della situazione (centrata sulle richieste relative al compito) è riduttiva e
considera poco elementi importanti come la storia, la struttura, le risorse del gruppo
4. Modello della contingenza (Fiedler, 1964)
§
Idea interazionista: l’efficienza del leader dipende dalla corrispondenza fra stile adottato e
controllo della situazione
Stile di leadership misurato mediante punteggio Lpc (Least Preferred Co-worker): descrizione su
scale bipolari (collaborativo / non collaborativo; amichevole / ostile…) del collaboratore con cui la
persona trova più difficile lavorare
Alto Lpc = leader centrato sulle relazioni
Basso Lpc = leader centrato sul compito
Fattori presenti nella situazione:
Qualità dei legami leader membri
Livello di struttura del compito (es., chiarezza dello scopo)
Potere del leader (es., controllo di sanzioni e premi)
Le ricerche compiute sulla base del modello di Fiedler hanno evidenziato che le combinazioni
efficaci di stile di leadership e situazione sono le seguenti
Leadership centrata sulla relazione à Controllo moderato della situazione
Leadership centrata sul compito à Controllo alto o basso della situazione
Problemi:
Il punteggio Lpc rimanda per alcuni aspetti ad una stabilità comportamentale del leader, che ricorda
in parte le teorie dei tratti
Modelli transazionali
- Si centrano sulla relazione bidirezionale fra leader e membri del gruppo
- Dinamica processuale: il leader può influenzare i membri del gruppo, e questi ultimi possono
influenzare, con le loro aspettative e le loro richieste, il leader stesso. E’ perciò riconosciuto un
ruolo più attivo dei membri del gruppo
Esempio: Studio di Merei (1949) in una scuola materna. Bambini più grandi, introdotti in un
gruppo esistente, divennero leader solo se prima di introdurre innovazioni di gioco furono capaci di
adattarsi alle norme, al comportamento ed alle “tradizioni” del gruppo esistente.
Teoria di Hollander (1978)
La sequenza di adesione iniziale alle norme del gruppo e di successiva introduzione di idee nuove
riveste un ruolo centrale
Introduce la nozione di “credito idiosincratico”, che il leader deve conquistare nei contatti iniziali
con il gruppo
Quattro fonti di legittimità:
- conformità iniziale alle norme di gruppo
- essere stato scelto dal gruppo
- competenza rispetto agli scopi del gruppo
- adesione o “lealtà” alle norme di gruppo
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Presa di decisione nei gruppi
Dall’assunzione di rischio alla polarizzazione:
Secondo il senso comune, i gruppi sono luogo di ricerca del compromesso: sono perciò poco
efficaci nella presa di decisioni
§ Effetto di normalizzazione (Sherif,1935): le risposte di gruppo in una prova di giudizio
tendono a concentrarsi attorno alla media dei giudizi individuali
§ Stoner (1961), sulla base di evidenze empiriche inattese, propone una posizione molto
diversa: le decisioni prese in gruppo sono decisamente più rischiose delle decisioni che i
singoli prenderebbero individualmente
Decisione rischiosa = decisione in cui si mette in gioco qualcosa di acquisito, rischiando di
perderlo, in vista dell’ottenimento di qualcosa di molto più rilevante
Metodologia utilizzata da Stoner: Tre fasi
Decisione individuale à Subito dopo, formazione di gruppi e decisione di gruppo à Nuova
decisione individuale dopo alcune settimane
Diffusione della responsabilità: discutendo con altri, un individuo si sente meno direttamente
responsabile (Wallach, Kogan e Bem, 1964). Tuttavia, la stessa interpretazione era stata in
precedenza avanzata per spiegare perché i gruppi appaiono conservatori nelle loro decisioni
Familiarità: la discussione di gruppo aumenta la familiarità dei singoli rispetto a problemi delicati
“Rischio come valore”: nel corso della discussione di gruppo, diventa saliente un valore proprio
della cultura americana, ossia l’apprezzamento per chi sa correre dei rischi (Brown, 1965)
Limiti riscontrati alla teoria di Stoner
§ Effetto “storia”: E’ possibile costruire storie che spingono a scelte orientate verso la cautela
invece che verso il rischio
§ Ogni storia utilizzata mostra uno spostamento di intensità e direzione caratteristico
§ E’ possibile prevedere la direzione e l’intensità dello spostamento a partire dal pattern dei
giudizi ottenuto nella fase di decisione individuale. Dopo la discussione di gruppo:
- gli item con punteggio iniziale in favore del rischio mostrano uno spostamento consistente
verso il rischio;
- gli item con punteggio iniziale in favore della cautela mostrano invece uno spostamento
consistente verso la cautela
Effetto polarizzazione
Moscovici e Zavalloni (1969): Gli effetti della discussione di gruppo sono limitati alle situazioni di
assunzioni di rischio? O sono in rapporto ad un processo socio psicologico più ampio?
Replica dello studio di Stoner, utilizzando un tradizionale questionario di atteggiamenti invece di
dilemmi alla Stoner.
Risultato: gli atteggiamenti del gruppo sono più estremi di quelli dei singoli individui che ne fanno
parte.
L’estremizzazione non è indifferenziata
Polarizzazione degli atteggiamenti = incremento dato dal gruppo ad un orientamento già
presente nei singoli componenti
Cosa succede quando nei gruppi il conflitto è totalmente assente? Secondo Janis quando in un
gruppo le discussioni e i disaccordi sono ridotti al minimo si crea un processo collusivo dello
pensiero gruppale (group thiking)
Analisi di decisioni “disastrose” prese da gruppi di esperti: ad es., il tentativo americano di invadere
Cuba nel 1961
Caratteristiche del processo decisionale:
§ Forte coesione di gruppo
§ Isolamento del gruppo rispetto a informazioni esterne
71
§ Pressione a decidere in tempi brevissimi
§ Quasi sempre, presenza di un leader molto direttivo
Conseguenze:
§ Forti pressioni alla ricerca dell’accordo; autocensura; fiducia nella “moralità interna” del
gruppo
§ Percezione di unanimità; decisione disastrosa
72
RELAZIONI INTER-GRUPPI
Dal testo Palmonari – Cavazza - Rubini: pag. 233-267 (cap.8)
Quali sono le caratteristiche del comportamento intergruppi?
§ Tajfel (1981): si può immaginare che comportamento interpersonale e comportamento
intergruppi siano posti su un continuum teorico
§ Comportamento interpersonale: principalmente basato sulle caratteristiche individuali degli
attori in interazione
Esempio: rapporto tra innamorati
§ Comportamento intergruppi: principalmente basato sulle appartenenze a gruppi o categorie
sociali degli attori in interazione
Esempio: scontro fra combattenti di due eserciti opposti
Comportamento intergruppi: prevarrà in presenza della credenza secondo cui i confini tra due
gruppi sono rigidi: per modificare la propria condizione, l’individuo deve operare come membro del
gruppo per perseguire un cambiamento sociale
Comportamento interpersonale: prevarrà in presenza della credenza secondo cui i confini tra i
gruppi sono permeabili: per modificare la propria condizione, l’individuo può passare da un gruppo
all’altro.
La percezione di una situazione sociale come rilevante per l’appartenenza di gruppo dipende
- dalla consapevolezza di tale appartenenza
- dall’ampiezza delle valutazioni positive e negative ad essa associate
- dall’estensione dell’investimento emozionale ad essa associato
La ricerca sul comportamento intergruppi si è focalizzata principalmente sulle cause che
determinano il pregiudizio
Esistono varie spiegazioni del pregiudizio e della discriminazione nei confronti di gruppi estranei.
Questi possono dipendere:
§ da variabili di personalità (Adorno, 1950),
§ dalla competizione per uno stesso bene (Sherif, 1966),
§ per effetto del “destino comune” (Rabbie e Hirwitz, 1969),
§ dalla semplice appartenenza di gruppo (Tajfel, 1978).
La personalità autoritaria. Secondo Adorno (1950), il pregiudizio nei confronti dell’outgroup
dipende da caratteristiche di personalità. Traendo spunto dalle teorie psicoanalitiche, Adorno
sostiene che l’ostilità verso alcuni gruppi dipende dal tipo di educazione ricevuto durante l’infanzia.
Secondo questa prospettiva, quando i genitori sono troppo severi, il bambino svilupperebbe
aggressività nei loro confronti. Non potendo palesare tale aggressività, per timore delle
conseguenze, essa viene ridiretta nei confronti di persone più deboli o inferiori. Il risultato è una
persona sottomessa all’autorità, e ostile nei confronti delle minoranze etniche.
Partendo da questi presupposti Adorno creò la Scala-F, per rilevare le tendenze fasciste o
democratiche delle persone.
Gli individui che ottenevano alti punteggi sulla Scala-F avevano avuto un educazione rigida e
conservatrice e manifestavano pregiudizio nei confronti di vari gruppi.
Al contrario, chi otteneva bassi punteggi aveva avuto un educazione equilibrata e non manifestava
alcun tipo di pregiudizio.
Limiti:
§ Quando si focalizza la causa del pregiudizio su fattori di personalità di dimenticano i fattori
socioculturali che, invece, sono molto rilevanti (perché mostrano pregiudizio sia persone
con alti punteggi sia persone con bassi punteggi di autoritarismo?).
73
§
§
Le spiegazioni basate sulle differenze individuali non sono in grado di spiegare
l’uniformità del pregiudizio (è possibile che un’intera popolazione abbia la stessa
personalità?).
Le spiegazioni basate sulle variabili di personalità non tengono conto della specificità
storica del pregiudizio, ovvero non tengono conto dell’aumento del pregiudizio che si
verifica in alcuni periodi storici (è possibile che di colpo tutte le famiglie abbiano cambiato
il modo di educare i figli?)
Teoria del conflitto realistico
Secondo Sherif alla base de conflitti tra gruppi vi sono gli scopi conflittuali
Nelle situazioni intergruppi, riveste molta importanza la natura degli scopi di due gruppi.
§ Quando gli scopi sono incompatibili, ovvero quando un gruppo per ottenere qualcosa deve
farlo a scapito di un altro gruppo, si adotta un orientamento competitivo ed aumenta il
pregiudizio e l’ostilità nei confronti dell’altro gruppo.
§ Quando gli scopi sono concordanti, ovvero quando i gruppi hanno bisogno l’uno dell’altro
per raggiungerli, i due gruppi adottano un orientamento cooperativo e le relazioni tra i
gruppi sono più armoniose.
Il conflitto e pregiudizio, quindi, potrebbe dipendere dalla presenza di scopi incompatibili. La
soluzione consiste quindi nell’eliminare questi scopi, sostituendoli con scopi cooperativi (Scopo
sovraordinato)
La teoria del conflitto realistico proposta da Sherif (1966) sostiene, appunto, che i conflitti tra i
gruppi sorgano dalla competizione per le risorse.
Gli atteggiamenti e il comportamento intergruppi riflettono gli interessi oggettivi del proprio
gruppo nel confronto con gli altri gruppi.
§
§
Quando gli interessi sono in conflitto, aumenteranno gli atteggiamenti negativi, il
pregiudizio e la discriminazione.
Quando gli interessi dei gruppi sono comuni, il comportamento dei due gruppi sarà più
amichevole e cooperativo, e diminuirà il pregiudizio.
Teporia del destino comune
Rabbie e Horwitz (1969) ipotizzarono che la condizione essenziale di discriminazione intergruppi
possa essere determinata dalla percezione di una interdipendenza nel destino dei membri del
gruppo. Hanno analizzato il favoritismo per il proprio gruppo (ingroup bias) nel contesto dei gruppi
minimi.
Conflitto e pregiudizio tra gruppi per semplice appartenenza al gruppo come causa di
pregiudizio
§ I gruppi minimi o gruppi minimali sono gruppi in cui la categorizzazione ingroup/outgroup
viene effettuata in base ad un criterio debole.
§ Inoltre, tra i due gruppi mancano le condizioni che di solito sono associate al conflitto
intergruppi (ad es., competizione per uno stesso bene che solo uno dei due gruppi può
ottenere).
L’appartenenza ad un gruppo produce ingroup bias quando tale appartenenza coincide con
un’esperienza comune: La condivisione di un destino comune, da sola, può generare
favoritismo per l’ingroup.
Teoria della categorizzazione
Tajfel e collaboratori minimizzarono ulteriormente le caratteristiche della situazione intergruppi.
L’obiettivo era di definire le condizioni minime in cui un individuo effettua delle distinzioni tra il
proprio gruppo di appartenenza e un altro gruppo.
74
L’ipotesi era che la semplice appartenenza di gruppo (senza conflitto o destino comune) avrebbe
prodotto favoritismo per l’ingroup, la sola categorizzazione ingroup/outgroup avrebbe prodotto
discriminazione
La discriminazione outgroup per Tajfel:
§ non dipende da attrazione personale per i membri dell’ingroup
§ non dipende da precedenti ostilità tra i gruppi
§ non dipende dalla presenza di un conflitto di interessi tra i gruppi
§ non dipende dall’interesse personale
§ non dipende dalla presenza di un destino comune
§ La discriminazione è determinata dalla categorizzazione
Tajfel concluse che la semplice categorizzazione ingroup/outgroup è sufficiente a creare
discriminazione
Critiche:
§ Ricerche condotte solo in laboratorio lontano da contesti di vita reali;
§ Situazione artificiosa;
§ I gruppi non sono tutti uguali, ma si differenziano in modo significativo;
§ Il funzionamento dei gruppi nel mondo reale non è paragonabile ai gruppi minimi;
§ Nel mondo reale quasi mai possiamo pensarci come membri di un solo gruppo per volta.
§ Alcune ricerche successive hanno evidenziato l’esistenza di un favoritismo per l’outgroup
Spiegazioni della discriminazione nei gruppi minimi:
1. Ruolo delle norme
La consapevolezza dei membri di appartenere ad un gruppo genera associazioni con squadre, il che
rende saliente un tipo di norma competitiva
Questa competitività non si manifesta del tutto perché nelle varie culture è saliente anche un’altra
norma, la norma dell’imparzialità
Critiche
§ Se si spiega il comportamento tramite le norme si dovrebbe essere in grado di prevedere in
quali situazioni si adotta la norma competitiva e in quali si adotta la norma dell’imparzialità
§ Le spiegazioni di tipo normativo sono troppo generali non consentono di prevedere
variazioni sistematiche che si possono osservare all’interno di una cultura
2. La categorizzazione
L’individuo ha bisogno di organizzare l’ambiente in cui vive e lo fa tramite il processo di
categorizzazione. Gli elementi del mondo fisico e sociale, quindi, vengono divisi in categorie in
base alle loro somiglianza.
Doise (1976) - Una conseguenza della categorizzazione è la differenziazione categoriale, processo
tramite cui si massimizzano le differenze tra gli elementi che appartengono a gruppi diversi e si
minimizzano le differenze tra gli elementi che appartengono allo stesso gruppo. Questo processo
aiuta a discriminare i membri di una classe da chi non fa parte della stessa classe.
Critiche: Anche la spiegazione basata sulla categorizzazione non è sufficiente. Essa non spiega,
infatti, per quale motivo quando si differenzia lo si fa sempre a favore del proprio gruppo e mai
dell’altro.
Sviluppo della teoria dell’Identità Sociale (SCT)
Abbandono dell’interpretazione normativa di Tajfel e al. (1971): è difficile spiegare perché
l’introduzione di una divisione in gruppi attivi tali prescrizioni normative
Elaborazione di un quadro teorico diverso:
Il confronto intergruppi attiva negli appartenenti un bisogno di specificità positiva del proprio
gruppo rispetto all’outgroup.
Attraverso il raggiungimento di tale specificità positiva, il gruppo contribuisce a fornire ai suoi
membri un’identità sociale positiva
75
Identità sociale: l’insieme degli aspetti del concetto di sé che derivano dall’appartenenza ad un
gruppo
Teoria dell’identità sociale di Taijfel (1978)
Tajfel definisce l’identità sociale come “quella parte del concetto di sé di un individuo che deriva
dalla consapevolezza di appartenere ad un gruppo (o gruppi) sociale unita al valore e al significato
emotivo attribuito a tale appartenenza”.
Dato che gli individui preferiscono avere un’immagine di sé positiva, piuttosto che negativa, e dato
che una parte dell’immagine dell’individuo proviene dall’appartenenza di gruppo, ne deriva che gli
individui preferiscono appartenere a gruppi valutati positivamente.
Per giudicare il valore del proprio gruppo lo si confronta con altri gruppi
L’esito di questi confronti è importante poiché influenza direttamente l’autostima delle persone.
Per questo motivo si tende a distorcere il confronto, nel tentativo di creare una specificità o
distintività positiva per il proprio gruppo, ovvero nel tentativo di differenziare positivamente il
proprio gruppo dall’altro.
Teoria della categorizzazione di Sé (SIT) (Turner et al., 1987)
Obiettivo: spiegare gli antecedenti e le conseguenze della formazione psicologica di un gruppo,
partendo dal processo cognitivo di categorizzazione
Tre livelli fondamentali di categorizzazione di sé:
livello sovraordinato: Sé come essere umano (identità umana)
livello intermedio: Sé come membro di un gruppo (identità sociale)
livello subordinato: Sé come individuo unico (identità personale)
Conseguenze della categorizzazione di sé a livello intermedio:
accentuazione del carattere prototipico e stereotipico del gruppo
depersonalizzazione della percezione di sé, che comporta un incremento della somiglianza percepita
fra sé ed i membri del proprio gruppo
Teoria della categorizzazione di Sé (Turner et al., 1987)
Differenze fra teoria della categorizzazione di Sé (SCT) e teoria dell’Identità Sociale (SIT):
1. la SIT considera l’identità sociale come un aspetto di Sé derivante dall’appartenenza di gruppo;
per l’SCT essa costituisce un livello di astrazione della rappresentazione cognitiva del sé
2. la SIT distingue fra agire nei termini del Sé ed agire nei termini del gruppo; la SCT considera
comportamento individuale e di gruppo come un agire nei termini del Sé, un Sé che opera a diversi
livelli di astrazione.
Secondo la teoria della categorizzazione di Turner in una determinata situazione l’impiego di
categorie sociali salienti è determinato dal:
- Modello “Accessibilità per Fit” (corrispondenza): la categorizzazione sociale utilizzata sarà
quella che massimizza l’interazione fra accessibilità della categoria (rispetto alle intenzioni
presenti ed all’esperienza passata) e la corrispondenza fra stimoli e specificazioni categoriali
- Principio del metacontrasto: la categorizzazione saliente sarà quella che minimizza le
differenze intracategoriali e massimizza le differenze intercategoriali
Critiche: è difficile predire con esattezza quale categorizzazione di sé sarà saliente in contesti in cui
le categorizzazioni possibili sono numerose (Hogg e McGarty, 1990)
Scuola di Ginevra: prospettiva critica nei confronti di SIT e SCT
Concetto di covariazione (Deschamps, 1984): le dinamiche sociali a livello interindividuale ed
intergruppi sono per vari aspetti interdipendenti, e non antagoniste come previsto da SIT e SCT
Introduzione della variabile dominanti - dominanti nelle relazioni intergruppi:
nei gruppi dominanti, i membri si considerano come punto di riferimento in relazione al quale
vengono definiti gli altri: quando l’appartenenza di gruppo è resa saliente, essi aumentano il proprio
impegno a differenziarsi dagli altri membri del gruppo
76
nei gruppi dominati, i comportamenti vengono in genere definiti nei termini delle categorizzazioni
imposte su di loro
La teoria di Hinkle e Brown
La teoria dell’identità sociale prevede che vi sia una relazione tra il livello di identificazione e il
favoritismo per l’ingroup, nel senso che maggiore è l’identificazione più si dovrebbe
discriminare a favore del proprio gruppo
Tuttavia, in una rassegna di studi condotta da Hinkle e Brown si è visto che non sempre si trova
questa relazione
I due autori hanno, quindi, ipotizzato che le previsioni della teoria dell’identità sociale possano
valere solo per alcune persone o gruppi
Hinkle e Brown propongono di dividere le persone e i gruppi in quattro tipi derivati dall’incrocio di
due dimensioni:
- Collettivismo/Individualismo
- Orientamento Autonomo/Relazionale
Individualismo/Collettivismo
§ Il collettivismo può essere definito come un modello sociale che considera individui
strettamente legati tra loro, individui che si vedono come parti di una o più collettività (la
famiglia, i colleghi di lavoro, la nazione); essi sono motivati nel loro comportamento più dagli
obiettivi del gruppo d’appartenenza, che dagli obiettivi personali e seguono le norme imposte
dalla collettività
§ L’individualismo può essere definito come quel modello sociale che prende in esame
individui slegati tra loro, che si percepiscono come indipendenti da qualsiasi gruppo sociale,
motivati nel loro comportamento più dalle loro preferenze, dai propri bisogni e diritti, che da
quelli del gruppo; essi danno la priorità agli obiettivi personali e, prima di associarsi con altri,
fanno un’analisi razionale dei costi e dei benefici derivanti da tale unione.
Orientamento Autonomo/Relazionale.
Questa dimensione si riferisce alla tendenza a valutare l’ingroup confrontandolo o meno con altri
gruppi
§ L’orientamento è autonomo nel caso in cui un gruppo viene valutato senza essere confrontato
con altri gruppi
§ L’orientamento è relazionale, invece, nel caso in cui un gruppo viene valutato tramite il
confronto con altri gruppi
Secondo i due autori gli individui e i gruppi che mostreranno ingroup bias saranno quelli
collettivistici con orientamento relazionale; lo stesso non dovrebbe valere per gli individui e i
gruppi individualistici con orientamento autonomo.
In molti casi i gruppi che si confrontano non hanno lo stesso status.
Per i membri dei gruppi di status inferiore il confronto con i gruppi di status superiore potrebbe
portare ad un esito negativo, con conseguente calo dell’autostima.
Le strategie per ripristinare la positività dell’identità sociale possono essere sia individuali sia
collettive e dipendono tre fattori.
§ Permeabilità/Impermeabilità dei confini dei gruppi
§ Legittimità/Illegittimità delle relazioni di status
§ Stabilità/Instabilità delle relazioni di status
Il tipo di strategia collettiva adottata dai membri del gruppo di status inferiore dipende dalla
stabilità e dalla legittimità delle relazioni di status.
Quando le relazioni di status sono legittime e stabili si può ripristinare la positività dell’identità
sociale:
- cambiando il gruppo di confronto, cioè confrontandosi con un gruppo di status inferiore;
77
- modificando le dimensioni di confronto, cioè trovando dimensioni in cui il proprio gruppo è
superiore all’altro.
Quando, invece, le relazioni di status sono percepite illegittime e instabili è possibile ripristinare
un’identità sociale positiva:
- chiedendo un confronto diretto con il gruppo dominante, con lo scopo di modificare lo status dei
due gruppi.
Secondo la teoria dell’identità sociale, i fenomeni di discriminazione più forti si avranno quando
i confini intergruppi sono percepiti impermeabili e l’inferiorità dell’ingroup è percepita illegittima
e/o instabile
In riferimento alle teorie sopra-riportate sulla relazione tra gruppi, le strategie utili a ridurre i
conflitti intragruppi sono:
1. Creazione di scopi sovra-ordinati
2. Ridefinizione dei confini della categoria
a) creando una sovra-categoria inclusiva
b)incrociando le categorie
3. Creando occasione di contatto
Scopi sovraordinati
In riferimento al modello teorico di Sherif, una strategia per ridurre il conflitto consiste
nell’introduzione di scopi sovra-ordinati. Tuttavia, questo porta alla riduzione del conflitto solo se:
§ l’esito della cooperazione è positivo
§ i gruppi hanno ruoli distinguibili e complementari
Ridisegnare i confini della categoria
Secondo il modello di Taijfel, la semplice categorizzazione ingroup/outgroup produce
discriminazione. Un modo per ridurre la discriminazione consiste nel ridisegnare i confini delle
categorie
Questo si può fare in due modi:
§ creando un ingroup comune
Bisogna passare, quindi, da una situazione in cui esiste un noi e un loro, ad una situazione in
cui esiste un NOI più inclusivo.
§ incrociando le categorie
Fa riferimento all’incrocio di una dimensione di categorizzazione (ad es., italiano-albanese)
con una seconda (ad es., maschio-femmina), in modo da formare quattro gruppi (italiano/maschio,
italiano/femmina, albanese/maschio, albanese/femmina).
La categorizzazione incrociata dovrebbe ridurre la discriminazione perché intervengono
processi simultanei di differenziazione intercategoriale e assimilazione intracategoriale che si
neutralizzano.
Creare occasioni di contatto
Secondo questa ipotesi il contatto positivo tra membri di gruppi diversi riduce il pregiudizio.
Tuttavia, gli effetti del contatto dipendono da vari fattori:
§ il contatto deve essere intimo e prolungato;
§ i gruppi devono godere di uguale status nella situazione di contatto;
§ i gruppi devono cooperare nel raggiungimento di obiettivi comuni;
§ l’integrazione dei gruppi deve essere favorita dalle istituzioni.
Contatto interpersonale o intergruppi?
§ Secondo alcune teorie il contatto, per essere efficace, deve avvenire a livello
interpersonale, tra individui decategorizzati, che si percepiscono come individui singoli.
Infatti, se la categorizzazione produce pregiudizio, l’eliminazione della categorizzazione
dovrebbe ridurre il pregiudizio.
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Secondo altre teorie il contatto, invece, deve avvenire a livello intergruppi, tra individui che si
percepiscono membri dei rispettivi gruppi. In questo modo, gli atteggiamenti positivi nei confronti
dei membri dell’outgroup con cui si interagisce possono estendersi all’outgroup in generale.
Stereotipi e Pregiudizi
- stereotipo sociale = immagine semplificata di una categoria di persone o un evento, condivisa
nei tratti essenziali da molte persone; si accompagna in genere al pregiudizio
- pregiudizio = giudizio o opinione a priori, in genere con connotazione negativa, verso persone,
gruppi o altri oggetti sociali salienti
E ancora, occorre distinguere tra:
- razzismo = la convinzione che determinati difetti di una certa categoria di individui non possano
essere eliminati o corretti: per questo è inevitabilmente associato alla strategia dell’allontanamento;
- eterofobia = senso di ansia di fronte all’estraneo
- inimicizia competitiva = intesa come spinta alla separazione ed all’antagonismo generata da
esigenze personali e sociali di distinzione dagli estranei
Secondo Tajfel (1981) gli stereotipi costituiscono prodotti peculiari del processo cognitivo di
categorizzazione.
Devono essere differenziati dagli stereotipi sociali che:
- vengono condivisi da molte persone all’interno di gruppi o istituzioni sociali
- costituiscono immagini semplificate al massimo di una categoria sociale, un’istituzione o un
evento
- consentono la spiegazione di eventi complessi, la giustificazione di azioni progettate o
commesse verso altri gruppi;
- permettono la differenziazione positiva del proprio gruppo rispetto a questi ultimi
Secondo Taguieff (1988) occorre distinguere tra tre livelli di razzismo, considerato equivalente
all’eterofobia
- Razzismo primario: è la naturale reazione di antipatia all’estraneo, che può condurre ad
aggressività. E’ universale
- Razzismo secondario: si basa sull’esistenza di una teoria che, rappresentando l’“Altro” come
una minaccia per il proprio gruppo, fornisce basi logico-razionali alla discriminazione
- Razzismo terziario: fonda la discriminazione su argomentazioni che si riferiscono alla biologia
Scheda riassuntiva
Interpersonaleàßintergruppi (taijfel)
2. Relazione tra gruppi:
- SIT Tajfel
- SCT di turner
- covarianza, della scuola di Ginevra
- modello Hinkle Brown (C/I A/R)
3. Conseguenze relazione tra gruppi:
- Autostima f(ingroup/outgroup) e f(status)
- Conflitto (Sherif, Rabbie e Hirwitz, Taijfel) à strategie di riduzione conflitto
- Stereotipi e pregiudizi (taijfel)
- Razzismo (taguieff)
79
INFLUENZA SOCIALE
Dal testo Palmonari – Cavazza - Rubini: pag. 269-290 (cap.9)
Il termine “influenza” deriva dal latino influere, che significa "fluire, scorrere dentro“.
Il termine si presta a molteplici significati, tra questi è possibile soffermarsi, in particolare, su uno
di uso comune:
influenza intesa come "azione esercitata da qualche cosa su luoghi, fenomeni o persone …“
Un'altra definizione un po' più analitica indica l'influenza come "Autorità, ascendente, peso o
(persino) prestigio": si dice, per esempio, di chi ha molta influenza su qualcuno.
Ne deriva il significato del verbo "influenzare“: determinare, modificare qualche cosa esercitando
la propria influenza (per esempio, influenzare le idee, le decisioni, la scelta di qualcuno….)
L’influenza sociale è il modo attraverso cui i pensieri, i sentimenti e i comportamenti delle persone
vengono influenzati dalla presenza reale o immaginaria degli altri.
Il processo di influenza sociale implica che il “bersaglio”, il destinatario, compia un
riaggiustamento comportamentale cognitivo e dei propri sentimenti a causa del comportamento,
idee e sentimenti dati dalla “fonte” o agente di influenza.
L'influenza non si basa necessariamente su messaggi e argomentazioni perché possono influenzare
anche immagini e comportamenti.
L’influenza sociale assume forme sia dirette (come la pubblicità) che indirette (a livello di cultura).
Differenzazioni:
- Influsso questo termine evoca un’accezione del cambiamento di tipo arcano e incontrollabile.
Dal momento che a volte l'influenza agisce in modo ragionato su persone inconsapevoli e non in
modo irrazionale allora i ricercatori non adoperano questo sinonimo.
- Suggestione Il termine, in un primo momento utilizzato in sostituzione a quello di influenza,
indica un processo capace di indurre le persone ad accettare in modo arbitrario opinioni e
valutazioni senza tener conto della loro qualità
- Persuasione La persuasione è solo uno dei possibili tipi di influenza sociale e agisce con
messaggi relativamente complessi in cui chi li espone da degli argomenti a supporto della
propria posizione. Lo abbiamo studiato nel capitolo degli atteggiamenti e nello specifico dei
processi attraverso cui essi possono essere modificati
- Conformismo è il tipo di influenza originata da una fonte maggioritaria.
- Conversione è l’influenza del singolo o di una minoranza sulla maggioranza.
L’influenza sociale ha diversi livelli che variano per:
- Intensità: livello di profondità a cui agisce
- Persistenza: durata nel tempo dei suoi effetti
- Resistenza: capacità di far fronte a tentativi di contro-influenza, resistendo ad
argomentazioni contrarie a quelle espresse dalla fonte
In funzione di queste variabili si possono registrare le seguente conseguenze dell’influenza sociale:
Compiacenza: modificazione pubblica della propria posizione non per convinzione. Ci si aspetta di
ottenere qualche ricompensa o riconoscimento a livello sociale o di evitare delle sanzioni.
Il “bersaglio” non cambia le proprie convinzioni à cambiamento fittizio e poco duraturo.
Identificazione: ci si conforma a ciò che è sostenuto dalla “fonte” in pubblico e in privato, per
cercare di stabilire una relazione positiva con essa attraente.
Il “bersaglio” crede in ciò che sostiene la “fonte”, il contenuto del messaggio è più o meno rilevante
Interiorizzazione: “fonte” riconosciuta particolarmente competente, abile e degna di ascolto.
“Bersaglio” non solo è favorevole ad essere influenzato, ma inserisce i messaggi della “fonte” nel
proprio sistema di credenze e di valori.
Processo persistente che perdura anche quando la “fonte” non c’è.
Diverse le spiegazioni del perché i soggetti vengono influenzati.
80
1. Spiegazione di Deutsch e Gerard (1955) che distinguono influenza informazionale da
influenza normativa;
2. Modello funzionalista di Sherif e Asch
3. Modello generico di Moscovicì
Secondo Deutsch e Gerard (1955) è necessario distinguere tra:
§ influenza informativa: la forza che spinge un individuo isolato ad accettare le informazioni
degli altri come prova circa la realtà (vedi Sherif)
§ influenza normativa: la forza che spinge un soggetto, in quanto membro di un gruppo, a
rispondere alle attese positive di uno o più membri del proprio gruppo (vedi Asch)
L’influenza normativa risulta essere più forte di quella informativa
In molte situazioni ci sentiamo insicuri su cosa fare o pensare. Non abbiamo i dati sufficienti per
fare una scelta precisa.
Disponiamo però di una buona fonte di conoscenze: il comportamento degli altri.
Se ci conformiamo a questo comportamento, non lo facciamo perché siamo degli smidollati senza
fiducia in noi stessi, ma perché esso è fonte di informazioni che ci aiutano a risolvere l'ambiguità
della situazione.
A ciò si è dato il nome di influenza sociale informativa.
Fattori fondamentali sono:
§ Importanza per l’individuo della decisione da prendere
§ L'ambiguità della situazione è il primo fattore. Quanto più siamo incerti, tanto più faremo
affidamento sugli altri.
§ Quando la situazione è una crisi. In questi casi non abbiamo il tempo per fermarci a pensare
alla migliore azione da seguire, e quindi è più facile che ci affidiamo al comportamento
altrui. Il problema è che spesso anche gli altri sono nel panico.
§ Quando gli altri sono degli esperti. Quanto più una persona appare esperta o al corrente di
una questione, tanto più viene ritenuta affidabile come guida. Ma non sempre gli esperti
sono fonti affidabili.
E' possibile resistere a forme illegittime o imprecise di influenza sociale informativa attivando la
propria razionalità.
Esiste un'altra ragione, oltre al bisogno di informazioni, che ci spinge verso il conformismo solo per
il desiderio di essere graditi e accettati dagli altri.
Ci conformiamo così alle norme sociali del gruppo che sono regole che descrivono i
comportamenti, i valori e le credenze accettabili. Chi non segue le regole viene percepito come
diverso, difficile e infine deviante. I membri devianti possono essere presi in giro, puniti e respinti
dagli altri.
L'essere umano è un animale sociale, che ha bisogno delle relazioni di gruppo. Ci conformiamo
quindi per poter continuare a restare nel gruppo e trarre i benefici dell'appartenenza, secondo il
principio dell'influenza sociale normativa (studi di Asch).
Bisogno di
Padronanza
Bisogno di
Affiliazione
Mi conformo al gruppo perché ritengo
che esso esprima una posizione corretta
Influenza informativa
Mi conformo al gruppo per mostrare la
mia identificazione al gruppo.
Influenza normativa
Adesione
interna alle
norme di
gruppo
Modello funzionalista
Elementi cardine:
81
1) Influenza sociale è distribuita in modo disuguale ed è esercitata secondo una modalità
unilaterale. Solo chi ha potere ha influenza. Chi ha potere costituisce la maggioranza.
2) La funzione dell’I.S. è di mantenere e rinforzare il controllo sociale
3) Le relazioni di dipendenza determinano la relazione e la rilevanza dell’I.S. esercitata in un
gruppo. Asimmetria legata a status, ruolo e competenza.
4) Il consenso che l’influenza è tesa a raggiungere è basato sulla norma dell’obiettività.
Quando non c’è obiettività verità = ampiezza consenso
5) Tutti i processi sono visti nella prospettiva del conformismo. E il conformismo è sottofondo
comune di questi processi.
Sherif (1935): quali sono i meccanismi che in situazioni ambigue portano alla formazione delle
norme che orientano il comportamento dei membri di un gruppo? Il conformismo.
Esempio: esperimento sull’effetto autocinetico
§ La situazione era ambigua.
§ I partecipanti non avevano feedback
sulle risposte corrette e sbagliate.
§ Non c’era una risposta corretta !
Asch (1955): i fenomeni di convergenza delle norme accadono anche in situazioni non ambigue e i
fenomeni di consenso sociale sono spiegati in modo razionale in termini di paura di non essere
aderenti alle regole del gruppo.
Esperimento: compito percettivo non ambiguo:
Conformismo: la convergenza delle idee, opinioni e comportamenti verso la norma di un gruppo.
§ Adesione personale: le persone ritengono intimamente che le norme di gruppo siano giuste
e quindi le fanno proprie.
§ Conformismo pubblico o acquiscenza: solo a parole le persone ritengono che la norma sia
giusta.
La spinta a conformare il proprio giudizio a quello degli altri è:
- Un processo di ragionamento e non di suggestione
- Determinato da informazioni sulla realtà
- Finalizzato a ottenere una visione oggettiva del mondo
Conformismo: la convergenza delle idee, opinioni e comportamenti verso la norma di un gruppo.
Asch distingue:
§ Adesione personale: le persone ritengono intimamente che le norme di gruppo siano giuste
e quindi le fanno proprie.
§ Conformismo pubblico o acquiscenza: solo a parole le persone ritengono che la norma sia
giusta.
Cosa accade a chi si contrappone alla norma del gruppo?
Questo aspetto viene trattato da Schachter (1951) il quale introduce la riflessione sulle dinamiche
di emarginazione e allontanamento del deviante (= di colui che la pensa diversamente).
Modello genetico
Elementi cardine sono:
1. L’influenza non è necessariamente asimmetrica (dalla maggioranza alla minoranza)
2. L’influenza sociale non è solo funzionale al conformismo e all’uniformità, ma anche al
cambiamento sociale e all’innovazione.
3. Il modello genetico dell’influenza sociale permette di superare i limiti del modello funzionalista
e di affrontare nuovi problemi non considerati dal modello funzionalista.
4. La realtà è il risultato di un processo costruttivo in cui maggioranza e minoranza interagiscono
costruendo il contesto sociale.
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5. Tutti i soggetti (e gruppi) inseriti nel contesto sociale possono essere considerati fonte o
bersaglio di influenza
6. L’accento è spostato da fattori predeterminati come “assetto del gruppo” e “potere” al
negoziato.
Maggioranza: non è intesa solo a livello quantitativo, ma come gruppo che assume e diffonde le
norme dominanti.
Minoranza: non è intesa solo a livello quantitativo, ma come gruppo che si batte contro le norme
dominanti;
Influenza maggioritaria = esiste una collaborazione tra chi riceve l’influenza e chi la esercita. Essa
induce alla condiscendenza (compliance) che generalmente provoca un cambiamento delle risposte
manifeste. (influenza = potere)
Influenza minoritaria = definisce una posizione antagonista e alternativa alla maggioritaria =
conflitto à negoziazione. Induce alla conversione che produce un cambiamento delle risposte
latenti (influenza ≠ potere; influenza = prestigio o carisma, ovvero indotta da fattori emozionali e
non razionali)
Secondo Moscovicì La fonte di influenza non è fondata su relazione di potere ma ha sede nei
significati che emergono dall’insieme dei comportamenti dei soggetti (minoritari) durante gli
incontri e le interazioni con i loro interlocutori
Importanza dello stile di comportamento adottato dalla minoranza nell’interazione e nei negoziati
con la maggioranza: la consistenza
1) Consistenza sincronica del comportamento:
- Unanimità totale nell’espressione delle posizioni minoritarie
2) Consistenza diacronica del comportamento:
- Ripetizione ferma e sistematica di una risposta in occasioni successive
- Ripetizione non contraddittoria della risposta
Fornisce informazioni:
- Sul modo di vedere la realtà della minoranza
- Sulla minoranza stessa: fermezza e sicurezza di sé attraverso sacrifici personali (rappresaglie,
incomprensioni, scherzi)
La consistenza diacronica
§ Fornisce informazioni:
- Sul modo di vedere la realtà della minoranza
- Sulla minoranza stessa: fermezza e sicurezza di sé attraverso sacrifici personali
(rappresaglie, incomprensioni, scherzi)
§
Perché abbia influenza deve:
- essere riconosciuta dalla maggioranza
- essere attribuito al comportamento della minoranza caratteristiche di sicurezza e
autonomia
Un altro elemento importante nell’influenza minoritaria è: lo stile di negoziato.
§ Rigido: intransigente rifiuta ogni compromesso. In questo caso la minoranza è considerata
estremista e fatica a esercitare influenza
§
Flessibile: disponibile a fare concessioni per non accentuare il conflitto. La minoranza
esercita meglio la propria influenza
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Perché lo stile flessibile è più efficace dello stile rigido?
Posizione rigida à Conflitto à Strategie di riduzione del conflitto à Screditare la minoranza
Le minoranze vengono screditate attraverso:
§ L’attribuzione di un errore sistematico (es. dogmatismo)
§ La naturalizzazione, ovvero attribuendo la causa dei comportamenti a proprietà
idiosincratiche della minoranza:
- Biologizzazione (perché è una donna, perché è tarato)
- Psicologizzazione (per il carattere, per intelligenza limitata)
- Riduzione al sociologico (è un comunista)
L’influenza maggioritaria e l’influenza minoritaria hanno effetti diversi?
§ Influenza maggioritaria porta a condiscendenza:
- Un cambiamento a livello manifesto (sociale)
- Raramente a un cambiamento a livello profondo
§ Influenza minoritaria porta a conversione:
- Un cambiamento a livello latente
- Qualche volta a un cambiamento a livello manifesto
Esempio: esperimento dell’after-effect di Moscovici e Personnaz (1976)
Il conflitto nel processo di influenza
Come si attivano i processi di influenza maggioritari e minoritari?
Di fronte a una maggioranza consistente che trasmette un messaggio in contrasto con le opinioni
condivise:
- L’individuo considera il messaggio vero, legittimato dal prestigio, dalla numerosità o dal potere
della fonte
- L’individuo, se non è d’accordo, si sente deviante e si adegua per non essere diverso
I processi di influenza minoritaria richiedono:
- Elaborazione più prolungata
- Attività cognitiva
- Confronto fra sé e fonte di influenza
- Validazione della posizione innovativa
Teorie dell’elaborazione del conflitto (Perez e Mugny, 1993):
I livelli di influenza (manifesta o latente) sono effetto del modo in cui il soggetto si rappresenta la
situazione
In un primo tempo di fronte a una minoranza consistente che trasmette un messaggio in contrasto
con le opinioni condivise:
- L’individuo scredita la fonte (deviante) e il messaggio (falso)
- L’individuo si identifica con la maggioranza e rifiuta la minoranza
I sentimenti di identificazione con la maggioranza e di differenziazione verso la minoranza che va
contro le opinioni condivise, divengono salienti.
Di conseguenza:
- la coesione tra i membri della maggioranza viene rinsaldata
Successivamente se la minoranza è consistente (conferma la propria definizione di realtà) il
conflitto continua e porta i membri della maggioranza:
- a considerare il punto di vista della minoranza
- Rielaborazione psicologica della categorizzazione della fonte
- Rielaborazione degli attributi della fonte
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- Rielaborazione dei contenuti del messaggio
- a cercare un principio organizzatore delle posizioni minoritarie
L’attività di validazione delle ragioni della minoranza può portare la maggioranza ad esternare,
almeno parzialmente, l’accettazione delle tesi minoritarie
Secondo Perez e Mugny (1989):
§ Questo lungo processo può spiegare la distanza di tempo o la forma indiretta con cui
l’influenza minoritaria di manifesta
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DIMENSIONI SPAZIOALI DEI COMPORTAMENTI SOCIALI
Patrizi – De Gregori pag.133-154 (cap.4)
La figura del criminologo nasce per fronteggiare una realtà, quella del crimine e della devianza,
estremamente complessa e sfaccettata. Per questo la criminologia moderna ha come oggetto di
studio un ambito molto ampio e diversificato ed opera in stretto rapporto interdisciplinare con altre
scienze criminali, umane e sociali quali ad esempio:
- la criminalistica (le tecniche dell’investigazione criminale)
- il diritto penale,
- la psicologia giuridica (la psicologia applicata al diritto),
- la sociologia,
- la psicologia (clinica, sociale, ambientale).
Uno dei principali contributi della psicologia, e nello specifico la psicologia sociale e ambientale, è
la dimensione fisiospaziale del comportamento.
Il riferimento è a 2 specifiche teorie:
1. Teoria del campo di K. Lewin
2. Teoria dei sistemi di U. Bronfenbrenner
Lewin, con la sua formazione gestaltista orientata ad analizzare i fenomeni nella loro totalità e con
la sua drammatica esperienza di rifugiato, focalizza il suo interesse per i problemi concreti della vita
umana e fonda un metodo per la comprensione scientifica dei fatti sociali.
La teoria di campo mira a spiegare il comportamento in relazione alla situazione in cui il
comportamento stesso si verifica
Bisogna quindi definire il carattere della situazione in un momento dato, definendo questa come
“campo psicologico” o spazio vitale.
Di questo spazio vitale fanno parte tutti gli eventi suscettibili di influire su una determinata persona,
siano essi passati, presenti o futuri.
Il campo è definito come una totalità di fatti coesistenti nella loro interdipendenza
I tre ordini di fatti presenti nel campo psicologico sono in INTERDIPENDENZA tra di loro
Esistono tre tipologie di fatti:
1. SPAZIO DI VITA: dato dalla persona e dalla rappresentazione psicologica dell’ambiente
(dimensione soggettiva)
2. FATTI SOCIALI E/O AMBIENTALI: processi e fatti che accadono nel mondo fisico e sociale
senza influenzare momentaneamente lo spazio di vita (dimensione oggettiva)
3. ZONA DI FRONTIERA: tra lo spazio di vita ed il mondo esterno (confine tra oggettivo e
soggettivo)
Il comportamento è un prodotto dell’interazione tra persona e ambiente, ma è anche un elemento
attivo nella loro costruzione C= f(P, A)
Lo spazio vitale può presentare gradi molteplici di differenziazione, a seconda della quantità e
qualità delle esperienze che l’individuo è venuto accumulando
Per illustrare tale differenziazione, Lewin rappresenta il campo come diviso in regioni, separate da
frontiere.
§ Lewin postulò l’esistenza di uno stato di equilibrio fra la persona e il suo ambiente
§ Quando questo equilibrio è turbato, si sviluppa una tensione (motivazione/bisogno) che
porta a uno spostamento mirante a ristabilire l’equilibrio
§ Nel campo agiscono forze che determinano l’avvicinamento a regioni con valenza positiva e
l’allontanamento da regioni con valenza negativa
Bronfenbrenner ha cercato di ampliare il costrutto di ambiente ecologico.
Secondo l’autore, infatti per comprendere il comportamento umano è necessario analizzare il
comportamento di più persone in interazione. Non è sufficiente limitarsi ad un solo contesto di
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analisi, bensì è indispensabile considerare alcune caratteristiche dell’ambiente che vanno oltre la
situazione immediata.
L’ambiente ecologico = serie ordinata di strutture concentriche incluse l’una nell’altra, per un totale
di 4 livelli:
1. Microsistema: strutture di cui la persona ha esperienza diretta (casa, classe, gruppo lavoro)
2. Mesosistema: insieme di microsistemi a cui l’individuo partecipa e loro reciproche
interconnessioni (rapporto genitori e amici)
3. Esosistema: situazioni ambientali a cui l’individuo non partecipa direttamente ma che
influenzano gli ambienti con cui è in contatto (luogo di lavoro genitori)
4. Macrosistema: livello che condiziona tutti i livelli più bassi (sistema culturale)
Concetto di luogo
Un luogo è il risultato di relazioni fra:
- Azioni: quello che le persone fanno,
- Concezioni: i significati che attribuiscono a ciò che esse stesse e altri fanno
- Attributi fisici: ovvero lo spazio fisico
L’insieme di questi elementi è da intendersi in senso olistico
Edward Hall, antropologo, studia l’uso dello spazio personale e interpersonale.
Con un approccio etologico spiega come la delimitazione dei confini di uno spazione personale
induce ad un sentimento di sicurezza.
Critiche:
- concezione passiva e reattiva dell’individuo
- trascura meccanismi spaziali umani funzionali all’assetto ambientale e ai fattori situazionali
e relazionali
- una lettura prettamente descrittiva o unidimensionale non consente la comprensione dei
motivi che guidano l’azione delle persone in termini di gestione dello spazio che li circonda
è possibile distinguere 4 zone di distanza personale:
1) intima: fino a 45 cm.
2) personale: 45-120 cm
3) sociale: 120-300 cm
4) pubblica: oltre 3 metri
La prossemica (studio della gestione dello spazio interpersonale) permette di rilevare aspetti
comunicativi e relazionali importanti.
La prossemica deve tenere conto delle differenze culturali.
David Canter, grazie al costrutto di luogo, e in conformità all’approccio Leviniano, sviluppa un
filone di studi centrato sull’utilizzo della psicologia amabientale in ambito investigativo e nello
specifico nei casi di crimini seriali.
L’assunto di base del suo contributo è:
- La ricerca psicologica deve avere valenza applicativa e non mera speculazione teorica
- l’individuo è soggetto attivo e protagonista di scelte. Pertanto ogni sua azione può essere
sottoposta al vaglio di un analisi psicologica volta alla rilevazione dei significati e
presupposti psico-cognitivi che sono alla base delle sue azioni, compreso la scelta dei luoghi
in cui conduce le proprie azioni à profilo geografico.
Il profilo geografico è lo studio sul comportamento spaziale dei criminali. L’obiettivo del profilo
geografico è quello di delimitare un’area geografica quale probabile luogo di residenza del reo,
autore di una serie di crimini.
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La presunta conoscenza della zona in cui è più probabile che il ricercato risieda permette un
razionale impiego delle forze impegnate nelle indagini e rappresenta un criterio aggiuntivo per
l’elaborazione della lista dei sospetti.
Il metodo del profilo geografico si fonda su una componente qualitativa e su una quantitativa.
§ I metodi qualitativi: Possiamo definire questa componente come soggettiva, in quanto
basata sulla ricostruzione e interpretazione della mappa mentale del reo
§ I metodi quantitativi: è la componente d’analisi descrittiva che studia le topografie dei
luoghi, misura univariata di tendenza centrale del valore spaziale ovvero il centro di gravità,
valore che minimizza la somma delle distanze dei vari punti all’interno di una loro
disposizione spaziale
Canter parte da un’analisi quantitativa, attraverso il metodo detto appunto Canter che egli applica
con l’ausilio di un software:
DragnetTM E’ un software definito “geographical prioritisation package”.
Il modello di Canter si basa sull’applicazione del concetto di sfera criminale (offender circle
concept) che individua due tipi di comportamenti criminali:
§ i residenti (marauder) che utilizzano la propria area come centro attorno al quale si sviluppa
l’attività predatoria (che secondo gli studi di Canter si sono l’87% dei casi)
§ i pendolari (commuter) che compiono i delitti fuori dal luogo di residenza
Il modello analizza i siti del crimine nell’insieme piuttosto che uno alla volta e incrociando i dati
relativi la percentuale cumulativa dei casi di crimine commessi dal reo e l’area geografica in cui essi
hanno luogo definisce una curva di tendenza la cui pendenza indica se ci troviamo di fronte ad un
caso di Marauder o di Commuter.
Sulla base della definizione della categoria del reo, il DragnetTM procede:
1. Considerando le localizzazioni della serie di crimini, delle quali vanno indicate le coordinate
2. Indicando un gruppo di aree circostanti di priorità in relazione alla probabile
localizzazione della residenza del reo.
3. Disegna una mappa di priorità a diversi colori, a seconda dei quali si ha una maggiore o
minore possibilità che l’abitazione del reo si trovi in quella zona.
L’esempio riportato a lato è relativo ai dati degli attentati del cosiddetto Unabomber del Triveneto
elaborati con una versione semplificata di DragnetTM
Il profilo geografico è diverso dal profilo psicologico dell’autore di reato.
Quest’ultimo consiste nella stesura del profilo psicologico di un autore di reato desunta dalle
informazioni che esso lascia, in merito al reato compiuto.
Il principale obiettivo è quello di fornire informazioni agli investigatori utili nella identificazione e
cattura di un soggetto sconosciuto.
Ogni azione dice qualcosa su chi la compie. Il modo in cui agiamo, interagiamo con gli altri e
utilizziamo lo spazio circostante, suggerisce qualcosa sulla nostra personalità e sul modo in cui ci
relazioniamo alle cose o alle persone.
Pensiamo a quante informazioni possiamo trarre dalla stanza di una persona; la tendenza
all’ordine o al disordine, lo stile di vita, gli interessi... Allo stesso modo la scena del crimine
fornisce informazioni sull’autore del reato, sul suo stato mentale e sul rapporto con la vittima.
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