Corso di Laurea: SERVIZI SOCIALI Modulo didattico (CFU: 6): Psicologia Sociale e della Devianza DISPENSE Docente: Prof.ssa Stefania Attanasio Emali: [email protected] a.a. 2010-11 Psicologia Sociale e della Devianza Prof. Stefania Attanasio CFU 6 Testo d’esame: Palmonari A., Cavazza N., Rubini M. (2002) Psicologia Sociale. Il Mulino, Bologna Patrizi P., De Gregorio E. (2009) Fondamenti Di Psicologia Giuridica. Il Mulino, Bologna (Escluse pag 69-96) Ausili Didattici Obiettivi del corso Il corso si propone di presentare e sistematizzare i principali costrutti di psicologia sociale, attraverso una puntuale ricostruzione degli aspetti teorici e applicativi più rilevanti, e di esplicitarne il valore in termini di categorie teoriche che hanno contribuito allo studio del comportamento deviante. Lo studio della psicologia sociale sarà funzionale e supportivo a quello della psicologia giuridica che definisce il fenomeno deviante analizzandone le diverse dimensioni: comportamentali, normative e sociali. Verrà, infine, approfondita la dimensione comportamentale della devianza analizzando nello specifico i processi psicologici che sottendo i comportamenti criminali e che evidenziano la matrice psico-sociale di tali atti. Alcune definizioni Psicologia sociale: È una disciplina legata al dominio tradizionale delle psicologie. Studia i modi e le forme dell’articolazione tra il mondo psichico e quello sociale Sul piano metodologico la P.S. è nata come disciplina dell’indagine sul campo e della ricerca sul terreno. Utilizza l’intervista, i questionari, tecniche proiettive, l’osservazione, esperimenti sul campo o in laboratorio Psicologia giuridica: Settore emergente della psicologia contemporanea. Si interessa dei problemi che riguardano il rapporto dell’individuo o delle collettività con la legge, intesa non solo come presupposto o applicazione della giustizia, ma anche come fondamento della convivenza e come punto di riferimento dell’agire sia di coloro che vivono in conformità ad essa sia di coloro che, invece, si comportano in modo deviante rispetto ad essa. Devianza: È una condotta di una persona o di un gruppo che viola le aspettative di ruolo, le norme sociali e i valori della maggioranza dei membri di una collettività e che per questa ragione suscita una qualche forma di reazione sociale. § è un atto, un’azione, anche verbale § è relativo ad uno specifico contesto normativo § produce una reazione sociale. 2 LA COGNIZIONE SOCIALE Dal Palmonari-Cavazza-Rubini Pag 16-22 (cap.1) La Social Cognition è una proposta teorica, un approccio empirico e concettuale, rappresentata da un insieme di modelli destinati a studiare e comprendere fenomeni psicosociali di diversa natura e complessità. Focus: strutture cognitive interessate nel giudizio e nel comportamento sociale e dei processi mediante i quali tali strutture operano. Le strutture cognitive sono la base per la formulazione di giudizi e per l’attivazione di comportamenti. Le strutture cognitive sono gli schemi La strutture cognitive operano mediante diversi processi: euristiche; attribuzioni causali; inferenze causali; covariazione; atteggiamenti I principi base della Social Cognition sono: 1. La realtà non esiste indipendentemente dalla mente che la percepisce e la modella: l’individuo è un elaboratore attivo di informazioni (Kant, Lewin) soggetto passivo à soggetto attivo 2. I diversi elementi sono raccolti, nella mente, in unità di significato (approccio olistico) che servono a darci un senso che và oltre la loro somma approccio elementaristico à approccio olistico 3. Approccio genotipico à approccio situazionistico 4. Cognizione e motivazione sono interdipendenti La Social Cognition ha sviluppato teorie e modelli coerenti con un idea generale dell’ESSERE UMANO. L’individuo, in qualità di soggetto pensante, è stato di volta in volte inteso come: § Ricercatore di coerenza § Scienziato ingenuo § Economizzatore di risorse cognitive § Tattico motivato Criteri discriminanti tra queste modalità di concepire l’individuo sono: 1. Rilievo dato a fattori cognitivi o a fattori motivanti 2. Elementi considerati nella spiegazione della realtà 3. Calcolo tra tali elementi Cogn./Motiv. Elementi Ric. Coer. C=M Processi Credenze Spiegazioni = f(C, S) Sentimenti F. situazionali Spiegazione = ∑ (F.S.) F. disposizionali oppure Spiegazione = ∑ (F.D.) Bisogno Coerenza Logicità Sci. Ing. C>M Ec. Ris. C>M Tatt. Mot. C<M Spiegazione = modello attribuzionale Velocità normativo/ euristiche Informazioni Spiegazione = f(Sé: scopi, motivi, bisogni, Utilità strumentali al sé autostima) Con. Mot. C<M Inf. tratte dalla memoria Schemi spiegazione = f(bisogno di chiusura cognitiva) No ambiguità 3 Principi generali su cui verte l’elaborazione dell’informazione - Bisogni di risparmiare risorse cognitive - Processi consapevoli e inconsapevoli - Egocentrismo dei processi di pensiero - Resistenza al cambiamento - Accessibilità temporanea e cronica LA CONOSCENZA Dal Palmonari-Cavazza-Rubini Pag 22-32 (cap.1) La conoscenza è la raccolta di informazioni in modo da selezionarle e sintetizzarle in strutture che permettano inferenze rapide su precipitati cognitivi e comportamentali Conoscenza = è la fase di acquisizione (informazioni à schemi à precetti) Il giudizio è il processo attraverso cui la mente umana, cogliendo relazioni o operando distinzioni tra più precetti, determina la formulazione o l’espressione di un apprezzamento o di una valutazione. Giudizio = è la fase di elaborazione dati (Somma dei precetti à giudizio) La conoscenza avviene attraverso un processo di Categorizzazione degli stimoli sociali Esemplari simili vengono inseriti in un insieme significativo sulla base degli elementi di familiarità La categorizzazione permette di: § ordinare il mondo sociale § prevedere l’ambiente § trattare gli stimoli non come novità ma in relazione alla loro categoria di appartenenza § facilitano i processi di conoscenza top-down, basati su script e pre-concetti, più rapidi ma meno precisi di quelli bottom-up La categorizzazione NON è un processo meramente cognitivo 1. Cognizione della psicologia sociale: tratta le modalità attraverso cui la vita mentale (cognizione) delle persone influenza l’essere insieme agli altri (vita sociale) 2. Psicologia sociale della cognizione: considera cosa accade alla vita mentale delle persone (cognizione) quando sono insieme ad altri (vita sociale) Lo Schema è una struttura cognitiva che contiene informazioni su un particolare oggetto di conoscenza (un oggetto, una situazione …) inclusi gli attributi che lo caratterizzano e i loro reciproci legami. Come funzionano gli schemi? Uno stimolo esterno viene colto dall’individuo attraverso gli organi di senso, e come stimolo percettivo giunge al cervello. Qui avviene il riconoscimento, ovvero l’attivazione degli schemi che possediamo; se lo stimolo è nuovo va ricercata la sua categoria di appartenenza per similitudine e non per coincidenza. Ne deriva la formulazione di un Precetto, ovvero l’elaborazione di uno stimolo percettivo attraverso la sua categorizzazione. Sistono diversi tipi di schemi che, pur funzionando allo stesso modo, guidano alla conoscenza di oggetti sociali diversi: 1. Schemi di persona 2. Schemi di sé 4 3. Schemi di ruolo 4. Schemi di eventi Spesso non procediamo ad un’attenta analisi delle informazioni provenienti dall’esterno: preferiamo elaborarle sommariamente sulla base degli schemi che possediamo e di alcune strategie cognitive che permettono di arrivare rapidamente alla soluzione del problema. Euristiche sono strategie di pensiero che semplificano e accorciano il tempo dei percorsi di conoscenza Pro = risparmio tempo ed energie Contro = errori nella conoscenza, e quindi nei giudizi Tipi di euristiche: 1. Euristiche della rappresentatività 2. Euristiche della rappresentatività 3. Euristiche dell’ancoraggio e accomodamento 4. Euristiche della simulazione Euristica della rappresentatività Utilizzata per giudicare la probabilità che un esemplare appartenga ad una certa categoria. Per ricondurre un oggetto sociale (persona, situazione, ecc) ad uno schema ci basiamo sul grado di rappresentatività dell’esemplare presentato rispetto alla categoria di appartenenza, dimenticando o trascurando altre informazioni importanti che permetterebbero una lettura più accurata e aderente alla realtà Euristica della disponibilità: Utilizzata per giudicare la probabilità che un determinato evento si verifichi o sia diffuso, Si basa sulla disponibilità dell’informazione in memoria, la facilità con cui recuperiamo dalla memoria degli esempi. Maggiore è la disponibilità in memoria maggiore è la frequenza stimata. - disponibilità in memoria = frequenza reale NO ERRORE - disponibilità in memoria ≠ frequenza reale ERRORE Frequenza di rievocazione dipende: • Esperienza • Salienzaàfacilità di memorizzazione à facilità di recupero • Percezione di facilità Euristica dell’ancoraggio e dell’accomodamento Utilizzata quando dobbiamo emette giudizi a partire da informazioni incerte o ambigue Per emettere il giudizio cerchiamo punti di riferimento a cui ancorarci e poi lo accomodiamo in base alle informazioni date Rischio di errore: sovrastimare la credibilità dei punti di ancoraggio Euristica della simulazione Utilizzata nella costruzione di scenari ipotetici quando immaginiamo come potrebbero evolvere certi eventi. L’euristica della simulazione della vita quotidiana non tiene conto dei possibili eventi improvvisi che possono modificarla (pensiero controfattuale) • Ragionamento controfattuale: ragionare su cosa sarebbe potuto succedere se le cose fossero andate diversamente • Se solo … • Impatto sulle spiegazioni del passato e sulle emozioni ad esso collegate • Più è facile annullare mentalmente un esito, più forte la reazione emotiva ad esso 5 L’INFERENZA O ESPRESSIONE DI GIUDIZIO Dal Palmonari-Cavazza-Rubini Pag 32-39 (cap.1) Un altro tema del giudizio sociale è il modo in cui le persone cercano spiegazioni per il proprio e altrui comportamento. Il giudizio è il processo che le persone mettono in atto per spiegare gli eventi sociali, spinti dal bisogno di comprendere le cause degli eventi sociali, al fine di controllarli, prevederli e quindi mettere in atto comportamenti appropriati Questo tipo di spiegazione è indotto dall’inferenza delle cause che stanno dietro a specifiche azioni e sentimenti. I processi che le persone mettono in atto per spiegare gli eventi sociali sono teorizzati nei seguenti modelli: § 1. Attribuzione causale, § 2. Inferenza corrispondente § 3. Modello ANOVA Attribuzione causale di Heider = ricerca le cause per spiegare perché si ottengono determinati risultati, bisogno di comprendere il mondo e le sue regole. Stabilisce se la causa del comportamento sta nella persona che lo ha prodotto (causa interna), nell’ambiente circostante (causa esterna) o in ambedue. Weiner, 1986 arricchisce il modello di attribuzione causale descrivendolo come composto da 3 elementi: - luogo di controllo (Locus o origine della causalità: la causa di un comportamento può risiedere in fattori interni o personali -motivazioni, abilità- o in fattori esterni o situazionali), - stabilità (cause stabili nel tempo o meno), - controllabilità (cause controllabili dal soggetto) Implicazioni: a) Le attribuzioni causali influenzano le aspettative per il futuro b) Le auto-attribuzioni causali influenzano le prestazioni Emozioni derivanti dai processi di autoattribuzione (esempi): • Successo: locus interno à orgoglio • Successo: locus esterno à gratitudine • Insuccesso: locus esterno, incontrollabile à rabbia • Insuccesso: locus interno, controllabile à colpa • Insuccesso: locus interno, stabile à sfiducia Inferenze corrispondenti di Jonas e Davis = i modi in cui le persone effettuano stabili attribuzioni circa le disposizioni di chi compie un’azione. Stiamo parlando del modo in cui le persone, sulla base dei comportamenti osservati e delle caratteristiche dei contesti in cui tali comportamenti hanno avuto luogo, producono inferenze su quanto sia da attribuire la spiegazione a fattori disposizionali o a fattori situazionali. È un processo sequenziale a più fasi: 1) Riconoscimento del carattere intenzionale dell’azione osservata Mediante il principio d’eliminazione (scarto delle eventualità meno probabili) 2) Libertà di scelta percepita 3) Inferenza Portare a termine con successo procedure d’inferenza corrispondente consente di anticipare i probabili comportamenti di un individuo in circostanze analoghe Quali sono le informazioni più importanti da cui trarre inferenze corrispondenti? In primo luogo si riconosce il carattere intenzionale dell’azione osservata (libera scelta), se: 6 a) si è certi che la persona conosca i possibili effetti della sua azione e possegga le capacità necessarie per dar luogo all’azione e produrre gli effetti osservati; b) l’attore si trovava in condizioni di libera scelta. Oltre alla “libera scelta”, tuttavia, vi sono altri fattori che interferiscono nel rapporto Comportamento ß disposizione dell’attore § Gli effetti non comuni Se il comportamento osservato è frutto di una scelta, le differenze specifiche tra le diverse alternative ci informano sulle preferenze, i gusti e le caratteristiche della persona che ha operato la scelta. Minori sono gli effetti che un comportamento condivide con altre possibili scelte, più è facile decidere quale effetto possa aver motivato il comportamento § La desiderabilità sociale Un comportamento eseguito per compiacere gli altri non dice nulla su chi abbiamo di fronte, un comportamento socialmente sanzionato è molto più informativo. Fare qualcosa a dispetto della disapprovazione altrui segnala una forte motivazione interna e quindi diventa diagnostico delle disposizioni interne della persona. § Le aspettative legate ai ruoli rivestono un peso importante in quanto le attribuzioni interne sono più probabili per i comportamenti che contrastano con le nostre aspettative. Un comportamento conforme al proprio ruolo non dà molte informazioni, un comportamento difforme dà molto di più Covariazione di Kelley = per giungere a un giudizio causale le persone valutano le informazioni riguardanti la covariazione di tre elementi informativi: - distintività: l’effetto si produce solo quando l’entità è presente? - coerenza temporale e nelle modalità: l’effetto si manifesta tutte le volte in cui l’entità è presente allo stesso modo? - consenso: tutte le persone presenti percepiscono l’effetto come dovuto alla presenza dell’entità? Il risultato di tale processo è un’attribuzione causale disposizionale se l’effetto presenta alta distintività, alta coerenza e alto consenso. È un’attribuzione situazionale, di contro, se si registra bassa istintività, bassa coerenza e basso consenso. I tre fattori non hanno uguale valore predittivo: le informazioni riguardanti la coerenza nel tempo sono le più importanti Nei processi di inferenza si riscontrano delle tendenze sistematiche che possono indurre a degli errori (biases) 1. Self serving bias: tendenza ad attribuire i propri successi a cause interne e gli insuccessi a cause esterne Due spiegazioni possibili: - spiegazione cognitiva: in genere le persone hanno più esperienze di successi che di insuccessi, e fanno ricorso a questa conoscenza personale nella formulazione di giudizi di causalità rispetto ai propri risultati - spiegazione motivazionale: indipendentemente dalle esperienze reali di successi ed insuccessi, le persone sono motivate a valorizzarsi e a considerare se stesse positivamente 2. Errore fondamentale di attribuzione: Tendenza a sovrastimare il peso di fattori disposizionali (interni e stabili) e sottostimare il peso di fattori situazionali nelle spiegazioni causali (esterni e instabili) 7 3. Differenza attore/osservatore: La tendenza generale ad attribuire cause diverse allo stesso comportamento a seconda che il punto di vista sia quello di chi compie l’azione (attore) o di chi la osserva (osservatore). Interpretazione situazionalista nel primo caso, disposizionalista nel secondo Spiegazioni - Gilbert (1989): esistono due fasi nel processo attribuzionale. Inizialmente l’individuo compie una attribuzione disposizionale automatica; se il contrasto fra evidenza e attribuzione è troppo grande, aggiusta il giudizio in base alle influenze situazionali - Heider (1958): le cause vengono attribuite a fattori salienti dal punto di vista percettivo; l’attore è percepito come figura saliente, la situazione o sfondo rimane in ombra. 8 LA RSPONSABILITÀ Patrizi – De Gregorio pag. 53-95 + 181-210 (cap.2 e 6) CAPITOLI 2 E 6: mappa concettuale Il capitolo 2, sulla responsabilità, si allaccia a quello sopra-esposto in quanto l’attribuizione di responsabilità è piegato attraverso i modelli teorici propri dell’inferenza e del giudizio. Modelli teorici che spiegano la Responsabilità: § § § § § § § § § Modello di attribuzione (Heider, 1944 e 1958) Modello dell’inferenza corrispondente (Jones e Davis, 1965) Modello ANOVA (Kelley, 1967 e 1972) I livelli di responsabilità giuridica (Hamilton, 1978) Modello categoriale (Hart, 1968) Modello di Agency (Bandura, 1986, 1991, 2000) Prospettiva etogenetica (Harré, 1979) Prospettiva relazionale (Zamperini, 1998) Modello promozionale (De Leo, 1985 e 1986). Costrutti individuali Costrutti relazionali Costrutti relazionali + C. di promozione Responsabilità Da wikipedia Il termine responsabilità assume un ampio spettro di significati, a seconda delle branche dello scibile in cui lo si consideri. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, con questo termine si designa il complesso di conseguenze che normalmente discendono da un’azione umana. Dal Dizionario della Lingua Italiana La condizione di dovere rendere conto di atti, avvenimenti e situazioni in cui si ha una parte, un ruolo determinante. Consapevolezza delle conseguenze dei propri comportamenti e modo di agire che ne deriva Heider definisce la responsabilità come il riflesso della “causazione personale autentica” ovvero la responsabilità di un’azione si ha nel solo caso in cui il soggetto ha piena intenzione a svolgere quell’azione. In riferimento al costrutto “Attribuzione causale” un soggetto è detto responsabile di un’azione quando i fattori che spiegano quell’azione sono di tipo personali e nulli quelli situazionali. Cosicché, se il soggetto esprime piena intenzionalità nel perseguire le conseguenze proprie di quell’azione, è definito responsabile. Intenzionalità e conseguenze sono parametri per misurare presenza o assenza di responsabilità. Heider individua 5 livelli di responsabilità. 1° livello: quando le conseguenze di un’azione sono da attribuire a fattori indirettamente connessi al soggetto. 2° livello: quando il soggetto è condizione necessaria per il verificarsi dell’evento, ma manca l’intenzionalità a conseguire gli effetti negativi assolutamente non prevedibili. 3° livello: livello 1 e 2 nel caso in cui, però, le conseguenze erano prevedibili. 4° livello: si ha piena responsabilità quando un evento è da attribuire al soggetto che ha consapevolezza e intenzionalità nel conseguire le conseguenze delle sue azioni 5° livello: nessuna attribuzione causale, né diretta né indiretta, ma situazionale. 9 A.C. I. PI PD PI/ PD PD √ S P. √ √ LEGENDA Attribuzione Causale: personale diretta (PD), personale indiretta (PI), situazionale (S); Intenzione; Prevedibilità Esempi dei 5 livelli di responsabilità. 1° livello: Vittorio Emanuele, il “principe”, non poteva, fino a poco tempo fa, guidare su strade italiane a causa dell’ 2° livello: guidare con cautela e investire una persona che si precipita sulla strada in modo improvviso 3° livello: guidare nei centri abitati a velocità sostenuta 4° livello: commettere un reato intenzionalmente 5° livello: gli incidenti non imputabili al soggetto, perdere il controllo dell’auto a causa di un’improvvisa frana che invade la carreggiata Per Jonas e Davis, secondo il modello dell’inferenza corrispondente, le persone spiegano gli eventi riconducendoli ad elementi disposizionali del soggetto, ovvero producendo “inferenze sul grado di responsabilità dell’attore e sulle sue disposizioni stabili”. Secondo questo modello teorico la responsabilità, pertanto, presuppone l’intenzionalità, ovvero la scelta consapevole dell’effetto conoscendo gli effetti alternativi e avendo la capacità per conseguirli.Quanto più sono presenti costrizioni legate all’ambiente o alla situazione, tanto più gli effetti non possono essere attribuiti all’attore. Riprendiamo anche il contributo di Kelley per giungere a un giudizio causale le persone valutano le informazioni riguardanti la covariazione di tre elementi informativi: - distintività: l’effetto si produce solo quando l’entità è presente? - coerenza temporale e nelle modalità: l’effetto si manifesta tutte le volte in cui l’entità è presente allo stesso modo? - consenso: tutte le persone presenti percepiscono l’effetto come dovuto alla presenza dell’entità? Il risultato di tale processo è un’attribuzione causale disposizionale al soggetto che compie l’azione se l’effetto presenta bassa distintività, alta coerenza e basso consenso I tre fattori non hanno uguale valore predittivo: le informazioni riguardanti la coerenza nel tempo sono le più importanti Immaginiamo il caso di qualcuno sorpreso mentre sta commettendo un furto Le riflessioni che si compiono secondo il modello Anova sono SE…: § La sua azione non può essere considerata come una risposta a specifiche circostanze (“bassa specificità”), § Si tratta di una persona che in passato ha commesso altri furti (“alta coerenza”), § La disonestà non è caratteristica del suo gruppo (“basso consenso”)…. Allora… …il fatto sarà attribuito alla responsabilità individuale piuttosto che alle circostanze. Alta specificità, bassa coerenza à fatto circostanziale Alto consenso, alta coerenza à fatto indotto dal gruppo di appartenenza 10 Hamilton definisce la responsabilità come: dovere di rispondere per una data azione sulla base di una data regola. Quindi si passa da responsabilità in termini di “essere la causa di un’azione” al “sostenere il peso delle conseguenze di un’azione” L’originalità del contributo di Hamilton risiede nelle implicazioni di questa definizione: - regola implicata - aspettative circa ciò che si sarebbe dovuto fare - ruolo sociale dell’attore. Si ha, pertanto, uno spostamento da un approccio individualista ad uno di relazione. Hamilton rilegge i livelli di responsabilità heideriani e, trasponendoli in un contesto giuridico, attribuisce ad ognuno di loro un grado specifico di responsabilità 1° livello: Responsabilità legale 2° livello: responsabilità oggettiva 3° livello: responsabilità per colpa 4° livello: responsabilità per dolo 5° livello: responsabilità con attenuanti di vario tipo. Anche Hart, al fine di evidenziare le diverse sfumature del significato del concetto di responsabilità, aveva individuato 4 categorie: 1. Responsabilità-soggezione à rendere conto 2. Responsabilità di ruolo à dovere di rispondere per una mancanza attinente il proprio ruolo (per mancanza o eccesso) 3. Responsabilità causale à attribuzione causale 4. Responsabilità-capacità à capacità di intendere e volere. Bandura introducendo il concetto di human agency, secondo cui l’individuo non solo reagisce a stimoli esterni e biologici, ma agisce anche attivamente come “attore sociale” in quanto entità protagonista e caratterizzata da una capacità d’azione significativa in un contesto popolato da altri attori sociali, definisce la responsabilità in termini relazionali. Bandura non tratta il costrutto direttamente ma fornisce concetti utili ad arricchire il suo significato: - Human agency - anticipazione - apprendimento e rinforzo capacità di anticipazione Un’implicazione delle riflessioni di Bandura relative alla capacità di apprendimento sociale è l’attivazione di meccanismi di autoregolazione mediante i quali si può realizzare il “disimpegno morale” Disimpegno morale = ricostruzione cognitiva (ante e a posteriori) della condotta riprovevole, si modifica la sua rappresentazione per ridurre la dissonanza con i criteri morali interiorizzati. 1. Giustificazione morale 2. Etichettamento eufemistico 3. Confronto vantaggioso 4. Spostamento di responsabilità 5. Diffusione di responsabilità 6. Distorsione delle conseguenze 7. Deumanizzazione della vittima 8. Attribuzione di colpa Harrè, secondo la prospettiva etogenica, i concetti cardine del costrutto responsabilità sono: - Rilevanza del ruolo (secondo Hamilton: legale, oggettivo, colpa, dolo, attenuata) - Aspettative del contesto sociale L’attenzione si sposta dalle “cause” dell’azione alle “ragioni” che rappresentano, nella scelta dell’azione effettuata, le anticipazioni della prospettiva futura. 11 Responsabilità è un costrutto che si forma nella relazione sé-altri all’interno dell’ordine sociale e morale di appartenenza. La responsabilità secondo Zamperini trascende il singolo, si definisce nella interazione sociale. Deriva da: 1. Modalità di confrontarsi con le reciproche aspettative sui percorsi d’azione (ante, in itiner, a posteriori) 2. Elaborazione sociale e normativa degli effetti dei propri comportamenti. 3. Riflesso della responsabilità della comunità di appartenenza sulla responsabilità del singolo. L’originalità del contributo di DeLeo è nel sottolineare, come Zamperini, che la responsabilità è frutto di un processo relazionale, la cui funzione costruita culturalmente e socialmente serve per connettere aspetti psicologici (il Sé e e prestazioni sociali), aspetti interpersonali e normativi, aspetti istituzionali e sociali. Responsabilità è un processo in divenire che costruisce abilità, competenze, interazioni, ruoli, sistemi di aspettative e risposte responsabilizzanti. IMPLICAZIONI DEL CONCETTO DI RESPONSABILITÀ Il Diritto 1. Scuola classica (Carrara): l’individuo è libero e capace di gestire le proprie azioni responsabilità = libero arbitrio pena = proporzionata al danno 2. Scuola positiva (Ferri): l’individuo è influenzato da cause costituzionali, fisiche, psicologiche e sociali. responsabilità = intenzione Pena = solo se attestata l’intenzione 3. Pedagogia della responsabilità (Ancel). responsabilità = conoscenza critica del reo pena = rieducazione CAPITOLO 6 L’Etica: comportamento virtuoso e conforme alla norma della società. Il modello deontologico; l’etica comunicativa secondo Apel e Habermas; l’etica del vantaggio reciproco. La Fiducia: l’aspettativa che un soggetto, con determinate caratteristiche d’onestà e di trasparenza e in situazioni di rischio percepito, compia azioni volte a produrre risultati positivi per chi gli concede fiducia. Fiducia e cooperazione. Il Capitale sociale (Putnam): è l’attribuzione agli altri generalizzati di un elevato credito in termini di fiducia, sostegno, influenza, aspettativa di impegno reciproco. La Capacitazione sociale (Sen): livelli di soddisfazione, partecipazione e attivazione dei cittadini nel proprio contesto di appartenenza legati alle reali possibilità di scelta d’azione. 12 L’ATTEGGIAMENTO Dal Palmonari-Cavazza-Rubini Pag 41-72 (cap.2) “Il concetto di atteggiamento è probabilmente il più caratteristico e necessario della psicologia sociale americana contemporanea” Allport (1954) Perché? Indicatori attraverso i quali è possibile prevedere le azioni delle persone. Per modificare il comportamento della gente un buon punto di partenza è cambiarne gli atteggiamenti. Il concetto di atteggiamento in psicologia sociale è importante perché: § lo scopo della psicologia è di studiare il comportamento, e si assume che gli atteggiamenti influenzino il comportamento In particolare: § gli atteggiamenti sociali costituiscono degli indicatori attraverso i quali è possibile prevedere le azioni delle persone. Inoltre nella ricerca socio-psicologica è opinione diffusa che: § per modificare il comportamento della gente un buon punto di partenza consista nel cambiarne gli atteggiamenti; E’ chiaro allora che: il concetto di atteggiamento sociale assume un ruolo di primaria importanza in un modello psico-sociale del comportamento. Le principali definizioni e descrizioni dell’Atteggiamento sono riconducibili ai seguenti autori: § Thomas e Znaniecky (1918) – processo mentale individuale § Allport (1935) – stato mentale neurologico di prontezza § Rosenberg e Hovland (1960) – costrutto psicologico tripartito § Fazio (1986) – struttura cognitiva Thomas e Znaniecky (1918) i primi autori a parlare di atteggiamenti: “processo mentale individuale che determina le risposte sia attuali sia potenziali di ogni individuo al mondo sociale …… un atteggiamento è sempre rivolto verso un oggetto” Ø Atteggiamenti = processi di conoscenza sociale che determinano l’azione Ø Valori sociali = ogni oggetto che ha significato in connessione con determinate azioni dell’individuo (es. una moneta) Aspetti positivi Ø Definizione innovativa per l’epoca Critiche: Ø Definizione aspecifica Ø Atteggiamenti considerati solo come processi individuali Allport (1935): Atteggiamenti: stato mentale neurologico di prontezza, organizzata attraverso l’esperienza, che esercita un’influenza direttiva o dinamica sulla risposta dell’individuo nei confronti di ogni oggetto o situazione con cui entra in contatto Aspetti innovativi: Ø Atteggiamento come stato non direttamente osservabile, ma inferibile sulla base della risposta: variabile interveniente fra stimolo e risposta Critiche: 13 Ø Definizione generica: Definizione che copriva tutti gli stati psicologici in relazione ai quali la persona manifesta una certa prontezza nel fornire una risposta (stati mentali, set di tipo motorio, disposizioni stabili) Ø L’aspetto valutativo passa in secondo piano Rosenberg e Hovland (1960): Modello Tripartito: Gli atteggiamenti sono un costrutto psicologico costituito da 3 componenti: Ø Componente cognitiva: informazioni e credenze verso un oggetto Ø Componente affettiva: reazione emotiva verso l’oggetto Ø Componente comportamentale: azioni di avvicinamento o allontanamento dall’oggetto Critiche: Ø La ricerca ha studiato soprattutto la componente valutativa Fazio (1986): nell’ambito della Social cognition definisce l’atteggiamento come: struttura cognitiva costituita dall’associazione in memoria tra la rappresentazione dell’oggetto e la sua valutazione ed è caratterizzata da: Ø Disponibilità: associazione tra oggetto e valutazione immagazzinata nella memoria a lungo termine Ø Accessibilità: tempo e sforzo richiesti per il recupero mnestico di tale struttura Questa definizione non è in contrapposizione con il modello tripartito Aspetti innovativi: Ø Introduce il concetto di “forza dell’associazione tra oggetto e valutazione” misurato attraverso il tempo di latenza (tempo che occorre all’individuo per formulare la valutazione dal momento in cui appare lo stimolo) COME SI FORMANO GLI ATTEGGIAMENTI? Gli atteggiamenti sono frutto di apprendimento e quindi derivano dall’esperienza: § Esperienza diretta § Esperienza mediata § Comunicazione § Processi di mera esposizione Esperienza diretta: Porta a una forte associazione in memoria tra la rappresentazione dell’oggetto e la sua valutazione Es: atteggiamento verso un partito politico = f(militanza in un partito) Sono gli atteggiamenti PIÙ resistenti. Esperienza mediata: si basano sull’osservazione del comportamento altrui. Es: atteggiamento verso un partito = f(valutazione di leader, esponenti, militanti che conosciamo). Ruolo dei media L’associazione tra la rappresentazione dell’oggetto e la sua valutazione è meno forte, è l’Atteggiamento MENO resistente al cambiamento Comunicazione: Modalità importante di formazione di atteggiamenti. Ruolo dei gruppi di riferimento (identità sociale) Associazione tra rappresentazione e oggetto molto debole, difficile recupero dalla memoria Atteggiamento MOLTO MENO resistente al cambiamento Processi di mera esposizione (Zajonc, 1968): 14 Il ripetersi dell’esposizione rende l’associazione automatica (memory based). La familiarizzazione di un oggetto porta normalmente ad atteggiamenti più favorevoli Es: Pubblicità commerciale e politica COME CAMBIANO GLI ATTEGGIAMENTI? Il cambiamento di atteggiamenti può avvenire attraverso: § Mera esposizione § Processo di dissonanza cognitiva § Modello della probabilità di elaborazione – ELM (Petty e Cacioppo) § Modello euristico-sistemico – ES (Chaiken) § Modello unimodale (Kruglanski et al.) Mera esposizione Processo individuale legato all’esperienza diretta - L’esposizione ripetuta ad uno stimolo porta a modificare l’atteggiamento relativo Variabili: Ø Caratteristiche della fonte: la sua immagine, il suo rapporto con il pubblico Ø Caratteristiche del messaggio: basato su contenuti informativi, emotivi, persuasivi Ø Caratteristiche del ricevente: più o meno propensi, con maggiori o minori strategie e capacità di elaborazione. Dissonanza cognitiva (Festinger, 1957) Processo di natura motivazionale Deriva dal bisogno di mantenere coerenza tra le proprie cognizioni (credenze e valori) e/o comportamenti Si modifica l’elemento dissonante meno resistente al cambiamento I modelli ELM, ES e Unimodale, spiegano il cambiamento dell’atteggiamento indotto da un messaggio persuasivo. Modello della probabilità di elaborazione –ELM (Petty e Cacioppo) Atteggiamento varia per esposizione ad un messaggio persuasivo attraverso 2 distinti percorsi: a) Percorso centrale: - elaborazione attenta delle argomentazioni e delle informazioni - richiede risorse cognitive: - focalizzazione dell’attenzione - comprensione delle argomentazioni - confronto e integrazione fra informazioni e credenze possedute b) Percorso periferico: - basato su elementi che non hanno a che fare con le argomentazioni ma sul modo in cui vengono presentate e su elementi del contesto (attrattività della fonte, musica, colori vivaci) Variabili: § Motivazione: rilevanza del messaggio § Abilità: capacità stabili (intelligenza, ecc) e condizioni contingenti (allerta, ecc) Esperimento di Petty, Cacioppo e Goldman (1981) Studenti ascoltano una comunicazione sulla necessità di istituire un esame generale prima della fine del corso. Tre condizioni sperimentali (manipolazione di tre variabili indipendenti) § Rilevanza personale della comunicazione (alta motivazione vs. bassa motivazione) § Qualità delle argomentazioni a sostegno dell’utilità dell’esame (forte vs. debole) 15 § Livello di expertise della fonte (alto vs. basso) Risultati: Processo centrale se: - Si verifica la Condizione di alta rilevanza personale (alta motivazione) - Il contenuto del messaggio è persuasivo - Il soggetto capace di elaborare le informazioni Processo periferico se: - Si verifica la condizione di bassa rilevanza personale (bassa motivazione) - il processo di persuasione è influenzato dal livello di expertise della fonte - Il soggetto non in grado di elaborare le informazioni: Modello euristico-sistemico –ES (Chaiken) Due processi di elaborazione che non si escludono a vicenda: a) processo sistematico: - elaborazione approfondita del messaggio (come processo centrale) b) processo euristico: - applicazione di euristiche utilizzate come modalità per arrivare ad un giudizio. Il processo sistematico e il processo euristico sono influenzati da: - Motivazione - Abilità cognitiva Modello unimodale (Kruglanski et al.) Nasce dalla critica ai modelli a due vie: rappresenterebbero soltanto gradi differenti di un unico tipo di elaborazione dell’informazione. Il cambiamento di atteggiamento consiste nella: - Verifica ipotesi - Generazione di inferenze da informazioni rilevanti - Cambiamento attraverso un ragionamento di tipo sillogistico (se…..allora….) basato sulle credenze rilevanti che un individuo ha già in memoria Motivazione: influenza la probabilità di dare avvio, di continuare e orienta la direzione dell’elaborazione Abilità cognitiva Software = disponibilità e accessibilità in memoria di informazioni Hardware = allerta e energia cognitiva Esempio. “il segretario dell’ONU dice che le bombe a grappolo sono da abolire perché colpiscono la popolazione civile” § Credenza in memoria: “se un arma colpisce i civili e non i militari allora è da abolire” le bombe a grappolo colpiscono i civili quindi sono da abolire § Credenza in memoria “se una persona autorevole esprime un parere allora questo è valido” Il segretario dell’ONU è una persona autorevole quindi ciò che sostiene (l’abolizione delle bombe a grappolo) è giusto COME SI RILEVANO GLI ATTEGIAMENTI? Premesso che gli Atteggiamenti sono: Ø Costrutti non osservabili Ø Inferibili da alcuni indicatori (risposte manifeste e comportamenti) Esistono due tipi di strumenti: - Le scale - Misure indirette e/o fisiologiche 16 Le scale permettono di misurare: • La natura e l’intensità delle opinioni • La frequenza dei comportamenti Ricordiamo quelle di: • Scale di atteggiamento Thurstone e Chave (1929) e Guttman (1941) • Scala Likert • Differenziale semantico di Osgood La Scala di atteggiamento Thurstone e Chave (1929) e Guttman (1941) Era costituito da una serie di item il cui “valore” variava in funzione del contenuto. Critiche: • Erano strumenti poco standardizzati • la costruzione richiedeva un forte dispendio di tempo e risorse • difficile le operazioni statistiche dei risultati • non garantivno la validità esterna Scala Likert (1932): è costituita da item (affermazioni favorevoli o sfavorevoli) che coprono gli aspetti rilevanti nell’area semantica dell’oggetto studiato i soggetti devono indicare su una scala di risposta il grado di accordo o disaccordo con le affermazioni Esempio: La mia famiglia dovrebbe eliminare la carne dalla dieta Totale disaccordo 1 2 3 4 5 6 7 Pieno accordo Consente di effettuare operazioni statistiche come l’aggregazione delle risposte sullo stesso oggetto, il calcolo della media Differenziale semantico di Osgood, Suci e Tanenbaum (1957) È composto da un insieme di coppie di aggettivi bipolari separati (in genere) da sette spazi che rappresentano una gradazione da uno all’altro oggetto di atteggiamento posto all’inizio del questionario Esempio: Come giudica il conformismo? ___ Cattivo Buono ___ ___ ___ _X_ ___ ___ ___ Brutto Bello ___ ___ ___ ___ _X_ ___ ___ Intelligente Stupido _X_ ___ ___ ___ ___ ___ Gli autori hanno rilevato che le coppie di aggettivi si raggruppano sistematicamente in tre fattori: Valutazione; Potenza; Attività Critiche: Problema legato alla desiderabilità sociale Misure indirette o fisiologiche: Risposta elettrogalvanica (capacità della pelle di condurre elettricità) Attività dei muscoli del viso in risposta a messaggi controattitudinali. Vantaggi: Risposte non influenzate dalla desiderabilità sociale Critiche: Metodologie troppo intrusive Tempo di latenza nella espressione della risposta: Strategie supportive alle scale o questionari. Si utilizzano un software che permette di calcolare il tempo tra la domanda (apparizione dello stimolo sullo schermo di un computer) e risposta (digitata sulla tastiera). 17 GLI ATTEGGIAMENTI SONO PREDITTIVI DEL COMPORTAMENTO? Fin dagli anni ‘60 si è arrivati alla conclusione che non è sempre possibile prevedere i comportamenti dagli atteggiamenti Prima ricerca che mette in dubbio la relazione tra atteggiamenti e comportamenti: La Piere (1934) La Piere viaggiò attraverso gli Stati Uniti con una coppia di cinesi visitando oltre 200 alberghi e ristoranti. In quegli anni esisteva un diffuso pregiudizio verso i cinesi, nonostante ciò: § La coppia di cinesi ricevette solo un netto rifiuto Sei mesi più tardi La Piere mandò un questionario agli stessi albergatori e ristoratori: Il 92% di esercenti si dichiarava indisponibile ad accogliere i turisti cinesi. Al pregiudizio razziale espresso attraverso il questionario non era associato un comportamento reale discriminatorio Ricerca di La Piere (1934) evidenzia la bassa correlazioni tra atteggiamento (rilevato con questionari) e comportamento. à Critica costrutto di atteggiamenti à Critica alle metodologie Fishbein e Ajzen (1975) formulano le critiche alla metodologia adottata dal La Piere contestando: • Utilizzo di misure molto generali dell’atteggiamento per prevedere specifici comportamenti; • mancano fattori situazionali e contingenti • criteri comportamentali E spiegano che l’Atteggiamento è predittivo del comportamento inserendo l’atteggiamento in un modello che prende il nome di Teoria dell’azione ragionata. Atteggiamento Credenze circa le conseguenze del comportamento Atteggiamento (valutazione del comportamento) Norme soggettive Credenze circa le norme sociali intenzione comportamento Percezione delle aspettative degli “altri significativi” Critiche: Il comportamento sembra sotto il completo controllo dell’individuo ma non è così per i: - Comportamenti che derivano dall’abitudine (es. mangiare carne) - Comportamenti che sono frutto di dipendenza (es. fumare) - Comportamenti che derivano da stati emotivi (es. piangere) Ajzen (1988) ha riformulato la teoria introducendo come fattore causale insieme agli atteggiamenti verso il comportamento e alla pressione sociale: ⇒ La percezione del controllo sul comportamento Teoria del comportamento Pianificato 18 Atteggiamento Norme soggettive Intenzione Comportamento Percezione di controllo del comportamento Fazio e Williams (1986) secondo l’approccio social-cognition, dimostrarono che le persone elaborano selettivamente l’informazione in funzione della qualità degli oggetti di atteggiamento à La valutazione tendenziosa (=non accurata) delle informazioni rilevanti per l’atteggiamento si verifica quando: - gli atteggiamenti dei soggetti sono forti, - facilmente accessibili (quando, per esempio, è frutto di esperienza diretta). In questo caso vengono messi in atto comportamenti direttamente coerenti con l’atteggiamento. à Nel caso in cui l’associazione fra rappresentazione dell’oggetto e la sua valutazione è debole o non è disponibile, allora si ricorre al processo previsto dal modello dell’azione ragionata di Fishbein e Ajzen 19 DEVIANZA COME AZIONE Patrizi – De Gregori Pag. 19-52 (cap.1) La devianza è la condotta di una persona o di un gruppo che viola le aspettative di ruolo, le norme sociali e i valori della maggioranza dei membri di una collettività e che per questa ragione suscita una qualche forma di reazione sociale. Quando parliamo di Devianza facciamo riferimento ad un’azione e non ad un comportamento, per quanto nel linguaggio comune i due termini vengono utilizzati come sinonimi. Definendolo come azione possiamo utilizzare le teorie dell’azione per comprendere i processi psico-sociali che sottendono queste specifiche azioni. Comportamento: sequenza di movimenti fisici, è l’aspetto osservabile dell’azione È oggettivo, osservabile, misurabile Azione: è un comportamento dotato di “significato” e di intenzione. Comprende: scopi, obiettivi, attribuzione di senso al contesto Atto: è la dimensione di significato sociale dell’azione: Per. Es.: gesto motorio compiuto con un arto superiore (comportamento) à condotto con un’intenzionalità specifica (azione) à che costruisce ed è costruita in termini di significato (atto) = SALUTO Attività: è un’azione che si protrae nel lungo termine per obiettivi lungimiranti: Sistema di azioni (specifiche + routinarie) Azione Presuppone dei processi cognitivi, affettivi e valutativi; un’intenzionalità; che non possono essere direttamente osservati, ma devono essere inferiti. Lo stesso vale per gli scopi e i fini per cui vengono messi in atto La dimensione valutativa rimanda al contesto in cui si costruiscono e condividono i sistemi di significazione della realtà. I termini costruttivi dell’azione umana sono: 1. Anticipazioni, mete e obiettivi 2. Regolazione e finalizzazione Human Agency: la caratteristica intenzionale e finalizzata dell’agire umano, indica il meccanismo pro-attivo dell’azione Approccio positivista: Spiega le azioni sociali in termini di rapporto lineare causa à effetto (=devianza) E che pertanto la devianza è un comportamento anti-funzionale, individuabile e combattibile. Cause: Fattori psico-individuali: tratti di personalità (Big-five); stati mentali anormali ereditari (Eysenck); ecc. Fattori psico-analitici: pulsioni interne che sfuggono al controllo cosciente della persona Fattori biologici: inferiorità biologica (Hooton), forma del corpo (Glueck e Glueck; Sheldon; Kretshmer; Lombroso), deficienza nutrizionale (Hippchen), anormalità cromosomica (West) e, considerando la media per gruppi 'razziali', dimensione dei genitali, natiche e cervello (Rushton). Approccio costruttivista: Spiega le azioni sociali in termini di un processo di costruzione Soggetto à azione (= devianza) Il soggetto, interagendo con il contesto, costruisce percorsi di azione che sono allo stesso tempo esito e causa di processi di definizione cognitivo-affettiva-valoriale. 20 Cause: Processi psico-sociali che sottendono l’azione umana: cognizione, valutazione, intenzione, atteggiamenti … Motivazioni e scopi; Processi di attribuzione di significato e di valore del contesto alla realtà condivisa. Secondo un approccio costruttivista la devianza non si offre in modo diretto che può essere osservato in laboratorio o in un’indagine sul campo (comportamento); La devianza appare sempre attraverso un apparato rappresentativo fortemente connotato: - nelle forme giuridiche dell’imputazione e del reato, o - nelle categorizzazioni psicosociali di comportamento trasgressivo, deviante, antisociale, criminale. Nel rapporto figura-sfondo la figura è rappresenta dall’azione e non dal soggetto, ed è ‘imputazione a definire gli obiettivi ed il senso stesso della conoscenza. Tali aspetti (azione e imputazione) costituiscono le chiavi d’accesso alla persona, ai suoi scopi, alle sue intenzioni e motivazioni. Atteggiamento Approccio positivista: Si studiava la personalità dell’attore, la sua storia, il suo ambiente Approccio costruttivista: Studia l’azione come unità d’analisi e include dimensioni individuali e sociali. Caratteristiche dell’azione: - Consapevolmente pianificata; - Diretta ad uno scopo; - Accompagnata da emozioni; - Condotta e controllata socialmente Seguono alcuni modelli teorici che spiegano come viene messa in atto un’azione Teoria del comportamento Pianificato Atteggiamento Credenze circa le Atteggiamento conseguenze del (valutazione del comportamento comportamento) Norme soggettive Credenze circa le norme sociali intenzione comportamento AZIONE Percezione delle aspettative degli “altri significativi” Percezione di controllo Senso di controllo Credenze di comportamentale gestione del comportamento ≡Autoefficacia percepita di A.Bandura Bandura teorizza un altro modello che spiega l’Azione: determinismo triadico reciproco Azione = funzione(ambiente/contesto, persona e comportamento) 21 Sistema organizzativo e di coordinamento fra la persona e il suo mondo (interno ed esterno) e fornisce le coordinate che mediano tra indefiniti campi di possibilità e libertà di scelta dell’azione. L’uomo è: - Categoriale: conosce attraverso categorie o schemi; - Riflessivo e auto-regolativo; - Proattivo; - Apprende con processo vicario. L’Azione per il modello Goal Directed Action (GDA) di DeLeo e Patrizi (1992) Qualsiasi azione è sempre volta al raggiungimento di uno scopo (esplicito o implicito). È possibile pianificare uno scopo persino nelle azioni apparentemente non pianificate. L’azione viene considerata come la risultante di tre dimensioni che interagiscono circolarmente nel senso di una continua reciproca influenza : 1) Comportamento manifesto; 2) Cognizioni (coscienti): rimanda al modello dell’azione ragionata componendosi di: piani d’azione, intenzione, emozioni, monitoraggio delle mete di processo. 3) Significati sociali. L’azione conduce al raggiungimento di 2, che in quanto goal sono anticiazioni che orientano l’azione stessa: 1. Effetto Pragmatico-strumentale; 2. Effetto Espressivo-comunicazionale. Gli effetti pragmatico-strumentali riguardano ciò che la persona anticipa di ottenere in senso concreto, tangibile, strumentale. Gli effetti espressivi riguardano il Sé e le relazioni, il modo in cui ci poniamo di fronte agli altri, il senso di identità e di unicità che produciamo agendo. È possibile avvicinarsi alla devianza considerandone gli aspetti comunicativi (secondo effetto). La devianza amplifica la comunicazione, evidenzia i messaggi, attiva attenzioni. Ci può essere incongruenza tra finalità strumentali e finalità espressive con conseguente prevalenza dell’una sull’altra. 4 principali effetti Espressivo-comunicazionali che l’attore sociale anticipa attraverso la devianza: - Effetti Sé; - Effetti di relazione; - Effetti di controllo; - Effetti di cambiamento Effetti Sé: sono gli effetti che l’azione produce sul sistema agente e sulla sua organizzazione L’individuo sperimenta se stesso, definisce la propria soggettività in interazione, lascia tracce personali, assume feedbacks à schemi del sé; gestione delle impressioni; processo di elaborazione dell’identità; coerenza di sé attraverso il riferimento ai gruppi di appartenenza; conformità/negoziazione rispetto alle norme; Effetti Sé sono fonte di equilibrio in condizioni percepite come altamente sfidanti, minacciose, eccedenti le risorse di cui si crede di disporre. In fase di insorgenza della devianza in caso di bassa autoefficacia Effetti di relazione: implica la definizione della relazione, ne stabilisce obiettivi, ruoli e dimensioni di potere personale. Non necessariamente è la relazione con la vittima la quale ha una posizione di rilievo ma non necessariamente è l’interlocutore primario dell’autore del crimine. Effetti di Relazione possono riguardare la vittima o ciò che essa rappresenta (omicidi seriali), oppure possono essere rivolti ad altri sistemi di relazione significativi per l’autore ed essere volti a confermare appartenenze e adesioni o di contro autonomia e contrasto (violenze sessuali di gruppo) 22 Effetti di controllo: sono gli effetti di relazione rivolti, nello specifico, alle agenzie di controllo e alle norme imposte da queste e interiorizzate dall’attore. Per agenzie di controllo si intende per esempio la famiglia o lo Stato che impostano norme esplicite ed implicite. Atti devianti volti al raggiungimento di questo fine sono le azioni di terrorismo, i disordini nelle scuole o in occasione del G8. Effetti cambiamento: sono gli effetti perseguiti per il mantenimento di un equilibrio o, al contrario, per innescare meccanismi di controllo. Esempi del primo caso sono la tossicodipendenza o gli attentati a personaggi scomodi, del secondo caso le devianze adolescenziali o gli omicidi del “genitore carnefice” Le teorie dell’ATTIVITÀ Teoria dell’attività di Alexei Leont’ev. Attività è un sistema di azioni condotte in un tempo determinato per obiettivi non contingenti e immediati. Acquista rilievo la cultura del contesto. Per cultura si intende: l’insieme di valori dominanti, opinioni atteggiamenti e norme che sono la base per giustificare decisioni e comportamenti. La cultura si manifesta attraverso artefatti e segni e norme e valori. Questi elementi attribuiscono significato all’insieme di azioni condotte per il raggiungimento di uno scopo à sistema di attività. Attività deviante = carriera deviante Carriera: sistema di azioni che si sviluppa in un processo sequenziale. Per cui le variabili intervenienti nello sviluppo di questo percorso agiscono con modalità progressiva e cumulativa. Carriera deviante di Becker (1963) 1° fase: Infrazione. È la trasgressione della norma non dettata da una specifica motivazione volta alla devianza 2° fase: etichettamento. Riconoscimento pubblico come soggetto deviante, definizione di uno status a cui il soggetto comincia ad attenersi 3° fase: inserimento nel gruppo dei devianti. La carriera deviante comincia attraverso un azione di “differenzazione” e approda ad un processo di “identificazione e condivisione” Non esistono comportamenti devianti ma identità devianti collegati a segnali indiziari (abbigliamento, modo di parlare, paese di origine): “I gruppi sociali creano la devianza stabilendo le regole la cui infrazione costituisce la devianza e applicando queste regole a persone particolari, che etichettano come outsider. Da questo punto di vita, la devianza non è una qualità dell’azione commessa, ma piuttosto la conseguenza dell’applicazione, da parte di altri, di regole e sanzioni al trasgressore. Il deviante è uno cui l’etichetta è stata applicata con successo; il comportamento deviante è il comportamento così etichettato dalla gente” Howard Saul Becker, Outsiders, 1987, p. 15. Carriera deviante di DeLeo e Patrizi (1992 e 1999) La carriera deviante è un percorso costruito in modo attivo da soggetto attraverso fasi di attribuzione di significato che presuppongono una “coerenza psicologica” di fondo. 1° fase: antecedenti storici. Condizioni iniziali del soggetto, fattori di rischio a-specifici 2° fase: crisi. Esperienza di azioni devianti 3° fase: stabilizzazione. Fissazione della devianza attraverso un percorso di definizione sociale. Fattori di rischio: 1. Età in cui il comportamento deviante si manifesta 23 2. variabili individuali: aggressività, genere maschile; abuso di sostanze; bassa autoefficacia; impulsività 3. Variabili familiari: genitori devianti; pratiche educative carenti o non funzionali; scarso monitoring genitoriale; depressione materna; basso status socio-economico; storie di abusi 4. Fattori scolastici: abbandono della scuola; basso interesse allo studio; basse aspirazioni professionali 5. Variabili relazionali: frequenza o appartenenza a gruppi devianti; appartenenza a gruppi stigmatizzati; 6. Sociali: esposizione a forme di violenza e pregiudizio; ecc. 24 IMPRESSIONI E REPUTAZIONE Dal testo Palmonari – Cavazza - Rubini: pag.62-72 (cap.2) Visto come le persone formulano “giudizi” su eventi sociali (attribuzione causale), vediamo ora come le persone formulano “giudizi” sulle persone (impressione) L’impressione è la rappresentazione di una persona. L’insieme di sistemi che ci portano alla costruzione di questa rappresentazione prende il nome di percezione sociale Ha la funzione di regolare il nostro comportamento e di consentire di avere delle aspettative sul comportamento degli altri, mette nelle condizioni di operare nei contesti relazionali. Attraverso quali processi si giunge a farsi un’idea, a formarsi delle impressioni sulle persone? Formarsi un’impressione è processo attraverso il quale organizziamo le informazioni relative ad un individuo in una struttura coerente di conoscenze. Tale struttura porta alla definizione di una rappresentazione cognitiva che non corrisponde ad una conoscenza accurata. I modelli principali che descrivono le modalità con cui si formano le impressioni sono: à Asch: Modello configurazionale à Anderson: Modello algebrico à Fiske e Neuberg: Modello del continuum à Smith e Zàrate: Modello di somiglianza à Kruglanski: Modello unimodale Il modello configurazionale di ASCH (olistico) E' un modello di tipo gestaltico, che ritiene che le informazioni ricevute su una persona costituiscano un sistema organico che tende alla buona forma, l’impressione, pertanto, è il risultato di un processo percettivo diverso dalla somma dei singoli elementi di informazione che lo hanno generato. Ogni persona che incontriamo viene vista come “unità”, un insieme inestricabile di caratteristiche che interagendo fra di loro danno luogo ad un “percetto” complesso. Esperimento: per verificare il proprio modello, Asch ha condotto un noto esperimento: divide due gruppi e presenta un signor X, da ad ogni gruppo una lista di aggettivi che caratterizzano questo signor X. Al primo gruppo vengono proposti le seguenti caratteristiche: intelligente, industrioso, caldo, risoluto, pratico, prudente. Nella seconda lista gli aggettivi sono identici ma il termine “ caldo “ viene sostituito con la parola “ freddo “. Chiese ai due gruppi di descrivere come immaginavano la personalità dell’individuo X e constatò che entrambi organizzavano i vari tratti in un insieme perfettamente coerente di personalità, ma ne ricavavano impressioni radicalmente diverse. Il gruppo A descrisse una persona nel complesso positiva, felice, soddisfatta e benvoluta; il gruppo B configurò invece una persona negativa, infelice, pessimista, solitaria: una sola parola aveva provocato due impressioni radicalmente diverse sul quadro della personalità globale Conclusioni Asch giunge ad una serie di conclusioni che contribuiscono a rafforzare il suo modello. Innanzitutto è possibile osservare come tutti i soggetti intervistati fossero in grado di portare a termine rapidamente il compito, ad indicare che costruire un’impressione complessa a partire da pochi elementi informativi risulta un compito assolutamente naturale. In secondo luogo, le persone non si limitano a rievocare i tratti menzionati dallo sperimentatore, magari utilizzando dei sinonimi, ma traggono inferenze da quanto udito e “completano” la descrizione della persona. Infine, lo stesso insieme di tratti può suscitare impressioni diverse da soggetto a soggetto a testimonianza del fatto che la formazione di impressioni di personalità è un processo attivo in cui ognuno impiega elementi disponibili sulla base della propria esperienza personale. 25 È importante l’ordine in cui vengono fornite le informazioni (effetto primancy). Nell’esperimento di Asch la prima lista portava a formare un’impressione più positiva che la seconda. I primi elementi descrittivi che vengono letti creano lo sfondo interpretativo sulla base del quale si dà significato alle successive informazioni e hanno un peso maggiore nel determinare l’impressione finale. In certe condizioni, pertanto, la percezione di persone può basarsi su un’elaborazione di impressioni topdown, categoriale, fondata sugli schemi pregressi e sulla ricerca di un’immagine unitaria e coerente Il modello algebrico di Anderson (1981) (elementarista) = teoria dell' integrazione delle informazioni Il modello algebrico proposto da Anderson (1981) assegna, una priorità ai dati sulle teorie o categorie (bottom-up). Ogni tratto possiede un significato non modificabile con una sua valutazione costante. L’impressione finale che ricaviamo dai singoli tratti che caratterizzano una persona è un combinazione algebrica (ad esempio la somma) delle valutazioni associate a singoli tratti Esperimento Anderson sottopone un gruppo di soggetti alla formulazione di giudizio sul valore di singoli tratti di personalità. Utilizzando un sofisticato modello di misura di tipo psicofisico, l’autore chiede ad ogni partecipante di esprimere un valore numerico a tratti quali: generoso, caldo, gentile, freddo, intelligente, determinato, ecc. A questo punto divide il campione in 2 gruppi. Ad uno presenta una persona X e chiede loro di formulare un’impressione a partire da alcuni tratti di personalità che lo contraddistinguono: intelligente, industrioso, caldo, risoluto, pratico prudente. Al secondo gruppo viene presentata una lista di aggettivi identici, ma il termine “caldo” viene sostituito con la parola “freddo”. Il primo gruppo formulerà un’impressione positiva del soggetto X, il secondo gruppo, invece, un’impressione negativa. Conclusioni: Anderson dimostra come il giudizio complessivo lungo una dimensione favore-sfavore di una persona, di cui sono note solo alcune caratteristiche, possa essere stimato con precisione a partire dalla conoscenza del valore attribuito da ciascun soggetto ai singoli tratti. Le info che riceviamo (singoli tratti) subiscono una elaborazione grazie a due prospettive diverse: La prospettiva funzionale per cui i soggetti attribuiscono dei valori ai tratti delle persone in base a ciò che intendiamo fare con quella persona. La prospettiva analitica (analisi di valori) = algebra cognitiva, è il sistema matematico mediante il quale attribuiamo una misura di valori alle info ricevute sulla persona stessa in seguito all'acquisizione di dati (i tratti). Tutte le operazioni compiute sono descrivibili algebricamente. Ogni tratto percepito acquisisce un valore numerico in base allo scopo che ci avvicina ad una persona, chiamato processo di integrazione . I valori numerici, attribuiti in base ai nostri scopi possono essere ascrivibili ad una scala a due poli = buono o cattivo…approccio o allontanamento. Possono dunque essere espressi lungo un continuum di avvicinamento-allontanamento. L'impressione globale si raggiunge a partire da liste di tratti Per Anderson, una volta attribuito un valore numerico ad un tratto questo non varia; perché non varia il motivo che ha determinato l'avvicinamento o l' allontanamento a quella persona (Invarianza di significato). Il modello del continuum di Fiske e Neuberg (1987) Il modello del continuum prevede che non vi sia un’unica modalità di analisi delle informazioni disponibili per formulare un’impressione sulle persone che incontriamo. A seconda della 26 motivazione all’accuratezza e della quantità di risorse di elaborazione disponibili, la valutazione viene costruita utilizzando strategie diversificate. Esperimento Ad alcuni soggetti venivano presentate informazioni su cinque diverse persone e veniva loro anticipato che una di queste sarebbe stata loro partner in un successivo compito sperimentale in cui avrebbero dovuto collaborare alla soluzione di problemi. In questo modo viene manipolata la variabile motivazione, incrementando l’interesse per la persona con cui si aspettano di intrattenere, di lì a poco, una relazione sociale di reciproca interdipendenza. Questa motivazione viene a mancare nella valutazione delle altre quattro persone che vengono loro descritte. Al termine di questa fase ai soggetti viene proposto un compito inferente della durata di 15minuti, in seguito viene chiesto loro di ricordare i tratti e le caratteristiche delle persone che sono state descritte. I risultati mostrano come la persona con cui i partecipanti all’esperimento si aspettano di interagire sia ricordata meglio rispetto alle altre e le informazioni che le riguardano presentano una più articolata organizzazione in memoria. Gli altri soggetti vengono descritti riconducendoli a grandi categorie a cui era possibile ricondurli per i tratti impiegati per descriverli. Un soggetto indicato come sportivo, per esempio, viene rcordato come atletico, competitivo, collaborativo, ecc. Conclusioni: Il processo di formazione di impressioni segue un modello che si struttura come una sequenza di fasi, distribuiti lungo un continuum. Innanzitutto una persona viene categorizzata sulla base di tratti percettivi evidenti quali colore della pelle, abbigliamento, capelli. Questa operazione è del tutto automatica ed inevitabile. Le categorie coinvolte in questa fase sono dette “privilegiate”, vale a dire di uso comune (processo top-down). La formulazione di impressioni si ferma sul polo destro di un continuum. Se la persona su cui formulare un impressione in qualche modo suscita interesse, si approfondisce il processo di elaborazione. Il sistema cognitivo impiega una certa quantità di risorse destinata ad una analisi più raffinata delle caratteristiche della persona da giudicare. Queste risorse vengono utilizzate per l’attivazione di un categorie di giudizio specifiche con le quali il soggetto da valutare viene confrontato. Se le categorie risultano adatte a descriverlo il processo può arrestarsi, e il processo di formulazione dell’impressione si colloca nella zona centrale del continuum. Infine, se le caratteristiche della persona non combaciano a sufficienza con le categorie di giudizio attivate è possibile formulare il giudizio basandolo sulle caratteristiche individuali che vengono integrate fra loro fino a formare un’immagine coerente della persona al prezzo di un’ulteriore impiego di risorse di elaborazione (processo bottom-up) in questo caso l’impressione si colloca in prossimità del polo sinistro del continuum. Impressioni formulate con largo impiego di informazioni stereotipiche sono valutazioni olistiche, impressioni individualizzate sono invece ottenute aggregando fra loro le informazioni specifiche di un singolo individuo in modo algebrico. Le modalità che consentono la formazione dei diversi tipi di informazioni dipendono da gradi diversi di: - Motivazione all'accuratezza da parte di che raccoglie i dati - Disponibilità di risorse cognitive di cui disponiamo in quel momento - Quantità di informazioni che la persona è disposta a dare. In particolare maggiori sono le RISORSE di elaborazione di cui disponiamo più profonda sarà la nostra elaborazione. Il modello basato sul ricordo di esemplari di Smith e Zarate (1992) Il modello di formulazione delle impressioni di Smith e Zarate basato su esemplari parte da assunzioni estremamente semplici. Ogni persona che si incontra lascia una traccia nella memoria. Per persone incontrate con una certa frequenza (amici, colloghi, ecc) questa traccia è ricca di informazioni e molto articolata. Per le persone che si incontrano occasionalmente o una sola volta la traccia è decisamente scarna. 27 Ogni persona adulta mantiene in memoria il ricordo di un vasto numero di persone. Queste tracce mnestiche vengono dette “modelli”. Oltre alle persone reali, anche i personaggi di celluloide o quelli della carta stampata lasciano un ricordo e divengono modelli di impressioni sociali. Le matrici di correlazione dei tratti sono dette teorie implicite di personalità. Le teorie implicite di personalità possono essere anche errate e pertanto fuorvianti Esperimento: Due gruppi di soggetti vengono invitati a partecipare ad un test di personalità. Il 1° gruppo viene trattato in modo educato, il 2° viene maltrattato dallo sperimentatore che consegna i test. Alla fine della compilazione i soggetti devono riconsegnare il test A riceverli ci sono due sperimentatori. Di queste due persone una era pettinata e vestita come lo sperimentatore “scortese”. Nello condizioni in cui chi forniva il questionario si era comportato in modo formale e neutro a ciascuno dei colleghi addetti al ritiro dei questionari fu consegnato approssimativamente la stessa percentuale dei test. Nell’altra condizione, invece, il collega “simile” allo sperimentatore ricevette un numero significativamente inferiore di riconsegne. Evidentemente i soggetti si erano formati delle aspettative sul suo probabile comportamento a partire dagli indici di somiglianza pur non avendo alcuna ragione concreta per prevedere un comportamento parimenti sgarbato da parte del collega ricercatore. Conclusioni: La memoria contiene rappresentazioni di esemplari specifici che possono essere interrogate e utilizzate per la formulazione di giudizi anche senza che il soggetto ne sia consapevole. (Primo assunto) Le tracce dell'esperienza passata delle persona incontrate non sono sempre rievocabili volontariamente, ugualmente esse ci guidano nelle impressioni. Le tracce sono esemplari di memoria. L’effetto degli esemplari conosciuti sui giudizi o decisioni dipende dalla loro somiglianza con lo stimolo target. La somiglianza non è una caratteristica fissa ma contestuale. Incontrare una persona in spiaggia o in biblioteca implica l’utilizzo di dimensioni diverse per valutare quali esemplari in memoria richiamare come modelli (Secondo assunto) I soggetti che si richiamano alla memoria per valutare chi si ha di fronte, vengono richiamati in base alle caratteristiche di somiglianza con la persona che si vuole valutare e a seconda del fatto che con quella persona si prospetta la possibilità di collaborare, competere o non fare proprio nulla (Terzo assunto). Modello unimodale di kruglanski et al. (1999) Il modello esclude la possibilità di distinguere due processi di formulazione delle impressioni (come già era stato affermato per gli atteggiamenti). L’impressione si forma attraverso un processo di elaborazione cognitiva di informazioni (siano esse categoriali o individuali). L’estensione di tale processo e l’accuratezza dell’impressione prodotta varia il funzione della Motivazione e delle risorse disponibili. LA REPUTAZIONE La reputazione è una forma di conoscenza dei soggetti sociali mediata dall’esperienza di altri. È l’esito della percezione di sociale “condivisa” di un soggetto. La conoscenza degli altri si realizza attraverso 3 modalità: 1. Osservazione diretta à impressioni; 2. Auto-oresentazione dei soggetti che intendiamo conoscere 3. Informazioni fornite da altri à reputazione Conditio sine qua non: struttura sociale à matrice collettiva alle informazioni che compongono la reputazione 28 Contenuti: qualità umane variabili; caratteristiche di interesse collettivo; tratti difficilmente osservabili; caratteristiche relativamente rare Funzione: - controllo sociale: la reputazione permette di anticipare le aspettative di comportamento e, pertanto, giustifica azioni anticipatorie di inclusione o esclusione sociale. - autocontrollo: tendiamo a scegliere quella particolare combinazione di gesti e di parole finalizzata a proteggere la nostra reputazione, e dunque a sollecitare reazioni sociali di tipo inclusivo e cooperativo. Formazione: Processo che mette a confronto le impressioni dei membri di una comunità fino a definire un’immagine condivisa (reputazione) che se si caratterizza in modo negativo diventa una forma di etichettamento a cui il soggetto potrebbe attribuire un ruolo di autodefinizione: presentazione del sé. Quando l’oggetto sociale di cui si forma l’impressione e/o la reputazione è non un singolo ma un gruppo sociale, si rileva/definisce di quel gruppo l’ entitatività Con il termine entitatività si fa riferimento all’insieme di caratteristiche correlate che permettono di percepire un gruppo come un’unità. Non a tutti i gruppi si attribuisce un’elevata entitatività. Il concetto di entitatività si attribuisce anche al singolo quando lo si considera conforme ad un “tipo”, ovvero quando si correlano tutti gli elementi che lo contraddistinguono in un profilo tipizzato. È l’esito del giudizio configurazionale di Asch L’applicazione del modello di Asch a gruppi sociali porta a individuarne l’entitatività e può indurre a formulare giudizi stereotipali e pregiudizievoli. 29 RAPPRESENTAZIONE SOCIALE Dal testo Palmonari – Cavazza - Rubini: pag.73-106 (cap.3) Definizione di Rappresentazione Sociale: L’elaborazione che un gruppo o una comunità fa di un oggetto sociale (o di un gruppo) in modo da permettere ai propri membri di comportarsi e di comunicare in modo comprensibile. (Moscovicì, 1961, 1962) Non sono “opinioni su…” o “atteggiamenti verso…” ma “teorie” o “branche di conoscenza vere e proprie” utili per organizzare la realtà. Sono sistemi di: valori, idee, pratiche che si formano all’interno e grazie alla comunicazione interpersonale e sociale. Le rappresentazioni sociali sono un sistema di riferimento che consente di attribuire un senso all’inatteso; una categoria che serve a classificare circostanze, eventi ed individui; una teoria che ci consente di deliberare su di essi. Le rappresentazioni sociali sono, dunque, l’elaborazione di un oggetto sociale da parte di una comunità (ri-costruzione) , che permette ai suoi membri di comportarsi e di comunicare in modo comprensibile Il termine “rappresentazione” indica sia l'atto con il quale la coscienza riproduce un oggetto esterno (per esempio una cosa), o un oggetto interno (uno stato d'animo), sia il contenuto stesso di tale operazione riproduttiva. le R.S. sono una forma di sapere pratico perché si inscrivono nelle esperienze e negli avvenimenti vissuti dagli individui e scambiati nelle collettività (Moscovici 1994) “Una forma di conoscenza socialmente elaborata e condivisa, avente un fine pratico e concorrente alla costruzione di una realtà comune ad un insieme sociale”(Jodelet, 1989) Moscovici impostò la sua elaborazione teorica sulla nozione di “rappresentazioni collettive” impiegato da Durkheim in un saggio 1898. Per Durkheim - le rappresentazioni collettive sono l’oggetto principale della sociologia e riguardano quelle forme intellettuali che comprendono la religione, la morale, il diritto, la scienza, ecc. - le rappresentazione collettive devono essere distinte dalle rappresentazioni individuali che sono oggetto della psicologia Moscovici, pur ispirato da Durkheim, preferisce parlare di rappresentazioni sociali Il concetto di rappresentazioni sociali si differenzia da quello di rappresentazioni collettive sotto due aspetti: specificità e flessibilità Specificità della nozione di rappresentazione sociale Durkheim: rappresentazioni collettive sono un insieme molto vasto di prodotti della mente che un’unica disciplina non è in grado di interpretare. Moscovici: rappresentazioni sociali riguardano un modo specifico di esprimere le conoscenze in una società o nei gruppi che la compongono. Conoscenza condivisa spesso sotto forma di teoria del senso comune. Le rappresentazioni sociali per Moscovici possono: - essere condivise dai membri di un gruppo ampio e fortemente strutturato, anche se non elaborate dal gruppo stesso - essere il prodotto di idee o conoscenze di sottogruppi, in contatto più o meno stretto, in un dato contesto sociale 30 -non essere condivise dall’intera società ma soltanto da alcuni gruppi più o meno ampi e essere elaborate negli incontri e nei conflitti determinati dalle relazioni tra i gruppi diversi Stabilità e flessibilità delle rappresentazioni sociali Secondo Durkheim: le rappresentazioni collettive sono forze stabilizzatrici della realtà sociale, entità statiche e assai poco mutabili (es. un’ideologia che persiste anche se dimostrata infondata) Secondo Moscovici: le rappresentazioni sociali danno corpo alle idee incarnandole in esperienze ed interazioni nel presente Collegano il sapere e le conoscenze alla vita concreta In questa prospettiva sono relativamente dinamiche, mobili, circolanti e possono formarsi con facilità COME SI FORMANO LE RAPPRESENTAZIONI SOCIALI? Quali sono i processi che trasformano un elemento socialmente rilevante in rappresentazioni sociali? Esempio: come la conoscenza della psicoanalisi si è diffusa nella popolazione francese negli anni ’50 Metodologia di studio: - Inchiesta per gruppi socialmente significativi di persone - Questionari - Analisi del contenuto della stampa I processi alla base delle rappresentazioni sociali sono: Ø Ancoraggio Ø Oggettivazione Lo scopo di questi processi è di ridurre la paura o lo stupore che un oggetto o fenomeno nuovo produce Ancoraggio: Permette di classificare, denominare e spiegare qualcosa che non è familiare mettendolo in rapporto con le categorie sociali già possedute dall’attore sociale Oggettivazione: Dà consistenza materiale alle idee e dà corpo a degli schemi concettuali traducendo in immagini i concetti astratti Esempio: rappresentazione sociale della psicoanalisi Ancoraggio: Rapporto paziente e terapeuta inteso come forma laica di confessione che permette di individuare categorie di persone (con o senza complessi) ed eventi (traumatici e non traumatici). Oggettivazione: Ritenzione selettiva di alcune informazioni sulla psicoanalisi e decontestualizzazione di esse, riorganizzazione di tali informazioni in uno schema figurativo: concreto, accessibile e coerente: Conscio, rimozione, inconscio à Complessi (attenzione: esclusione del concetto “scomodo”, libido) Naturalizzazione: le immagini da elementi del pensiero divengono elementi della realtà, categorie sociali sicure che ordinano eventi concreti (es. inconsci inquieti, complessi aggressivi) Hewstone (1983) mostra che l’oggettivazione può esprimersi attraverso processi di: - Personificazione: associazione di idee scientifiche e teorie con una personalità di spicco che diviene simbolo dell’oggetto sociale Esempio: Freud per la Psicoanalisi, Leonardo per il Rinascimento - Figurazione: metafore e immagini sostituiscono nozioni complesse Esempio: problemi di surplus agricoli della CEE espressi in “fiumi di vino” o “montagne di frutta, pomodori” e non in termini economici - Ontologizzazione: proprietà fisiche per rappresentare un’idea 31 Esempio: la mente come un computer QUALI SONO LE FUNZIONI DELLE RAPPRESENTAZIONI SOCIALI? Le funzioni delle rappresentazioni sociali sono sostanzialmente 2: - Rendere familiare ciò che è estraneo e distante dalla esperienza dei membri di un gruppo - Permettere una continuità tra vecchio e nuovo, provocando modificazioni di valori e sentimenti Moscovicì aveva individuato 3 funzioni (che chiama ipotesi) da lui stesso definite non scevre di limiti 1) Ipotesi dell’interesse 2) Ipotesi dell’equilibrio 3) Ipotesi del controllo Limiti: • generalità • non falsificabilità • concezione meccanicistica del controllo sociale Ipotesi dell’interesse: Un individuo o un gruppo costruiscono immagini nel tentativo di conciliare obiettivi contrapposti tra due gruppi sociali o tra l’individuo e la società Tali immagini sono distorsioni della realtà obiettiva con lo scopo di favorire una delle posizioni in campo, in genere quella che ha più potere 2) Ipotesi dell’equilibrio: Le rappresentazioni sociali sono mezzi per risolvere tensioni psichiche o emotive dovute a insuccesso o a non integrazione sociale Compensazioni immaginarie con lo scopo di ricostruire l’equilibrio interno nell’individuo o nel gruppo 3) Ipotesi del controllo: Rappresentazioni sociali come filtri usati dai gruppi nei confronti di informazioni provenienti dall’esterno per controllare la lealtà dei propri membri. Hanno la funzione di manipolare il processo di pensiero e la struttura della realtà per controllare i comportamento dei propri membri COME SI MODIFICANO LE RAPPRESENTAZIONI SOCIALI? Per Moscovici le R.S. si possono modificare per azione di specifici sistemi di comunicazione: - Diffusione - Propagazione - Propaganda Essi attivano diverse organizzazioni cognitive che inducono alla modifica di una R.S. in termini di: - Opinione asserzione valutativa su un oggetto sociale che ha caratteri di instabilità, plasticità e specificità. Non ha rapporti diretti e immediati con i comportamenti - Atteggiamento orientamento positivo o negativo verso l’oggetto sociale. Si rivela attraverso comportamento globale - Stereotipi risposta stabile e priva di ambiguità nel rifiutare o accettare un oggetto sociale Moscovici studiò come 3 settori di stampa francese presentavano alla fine degli anni ’50 la psicoanalisi: - Stampa a grande diffusione (indipendente) - Stampa cattolica - Stampa militante comunista 32 Rilevò tra di essi l’esistenza di differenze significative nel modo di trattare la psicoanalisi. Diffusione: metodo di comunicazione della stampa indipendente - Scopo: creare un sapere comune senza preoccuparsi della sua unitarietà, puntando piuttosto ad adattarsi alle esigenze del pubblico - Informazioni debolmente organizzate e a volte contraddittorie - Giornalisti trasmettono l’informazione come ricevuta dagli specialisti - Difficilmente, con questo tipo di informazioni i lettori si pongono in modo coerente verso la psicoanalisi - Genera opinioni Propagazione: metodo di comunicazione della stampa cattolica - Scopo: fornire elementi che portino gli individui ad assumere una posizione interessata e anche critica verso la psicoanalisi - Psicoanalisi supera il positivismo materialista e anti-religioso: adattamento del sapere psicoanalitico ai principi religiosi - Genera atteggiamenti Propaganda: metodo di comunicazione della stampa comunista - Scopo: produrre nei lettori una presa di posizione negativa e di netto contrasto nei confronti della psicoanalisi - Psicoanalisi come ideologia mistificatrice importata dagli Stati Uniti - Urss paese della pace vs. gli Stati Uniti paese della guerra: Psicologia riflessologica russa (scienza) vs. psicologia americana (pseudoscienza o scienza borghese) - Genera stereotipi Sistemi comunicativi diversi attivano un organizzazione cognitiva che induce alla modifica delle R.S. esprimendole in termini di opinioni, atteggiamenti e stereotipi. Moscovicì individua 2 sistemi cognitivi: 1) Sistema operatorio: che procede ad associazioni, inclusioni, inferenze, discriminazioni e deduzioni 2) meta-sistema: che controlla, verifica, seleziona la materia prodotta dal primo sistema cognitivo sulla base di regole siano esse logiche o no. § Il metasistema è costituito da regolazioni sociali che controllano, verificano e dirigono le operazioni cognitive § I principi organizzativi del metasistema variano a seconda dei diversi sistemi in cui il pensiero adulto si attiva Pertanto, secondo Moscovici: - Lo studio delle rappresentazioni sociali riguarda l’analisi delle regolazioni effettuate dal metasistema sociale sul sistema cognitivo - Questo implica che sia specificato il rapporto tra il soggetto e il sistema dei rapporti sociali in cui è inserito (es. capo, dipendente, esecutore) - Il controllo sociale sul cognitivo si evidenzia studiando come le rappresentazioni sociali sono espresse in diversi sistemi di comunicazione SVILUPPI TEORICI DELLA TEORIA DI MOSCOVICI’ Lo studio delle rappresentazioni sociali segue attualmente 2 direttrici: à Contributo della scuola di Aix-en-Provence: approccio strutturalista analizza: - la struttura della rappresentazione sociale - come la struttura della rappresentazione può modificarsi 33 à Contributo della scuola di Ginevra: approccio socio-dinamico analizza: - come gli attori sociali elaborano e organizzano la conoscenza della realtà - come si articola la condivisione della realtà simbolica e livello di consenso AIX EN PROVENCE Si caratterizza per un’impostazione strutturalista. Struttura delle rappresentazioni sociali: - nucleo centrale - elementi periferici Gli aspetti delle R.S. sono: Aspetti normativi: guidano la formulazione dei giudizi e delle valutazioni degli oggetti sociali (per es. di fronte ad un nuovo oggetto) Aspetti funzionali: regolano il rapporto tra oggetto e pratiche sociali (per es. il come si fa) Nucleo centrale: - Componente non negoziabile che determina la natura, il significato e l’organizzazione della rappresentazione sociale - Rappresenta la base sociale e collettiva su cui si esercita il consenso quasi unanime - È un sistema in quanto un cambiamento nel nucleo modifica la rappresentazione e perché un cambiamento negli elementi della periferia lascia, il più delle volte e nel breve e medio periodo, il nucleo e la rappresentazione intatte Il nucleo ha diverse funzioni: - Funzione stabilizzatrice: assicura stabilità e coerenza poiché è la parte consensuale e non negoziabile della rappresentazione sociale - Funzione generatrice: assicura il significato degli elementi del nucleo centrale e degli elementi periferici - Funzione organizzatrice: organizza il legame tra nucleo centrale e elementi periferici Proprietà del nucleo centrale: - Salienza quantitativa: elementi su cui c’è il maggior grado di accordo - Salienza qualitativa: elementi senza i quali la rappresentazione cambia L’attivazione differenziata dei contenuti del nucleo centrale dipende: - dalla finalità della situazione - dalla distanza tra gruppo sociale e oggetto della rappresentazione - dal contesto di enunciazione Elementi periferici: - Elementi che “generalmente” fanno parte della rappresentazione - Assicurano flessibilità alla rappresentazione - Assicurano la possibilità di integrare l’eterogeneità dei contenuti e dei comportamenti - Assicurano l’evoluzione della rappresentazione sociale: i cambiamenti si verificano prima negli elementi periferici e poi nel nucleo Metodi di studio delle rappresentazioni sociali: Ø Metodo del rifiuto: Ø Metodo dello scenario ambiguo Ø Metodo della messa in discussione 34 Moliner (1995) propone di distinguere tra funzione descrittiva e funzione valutativa degli elementi delle rappresentazioni sociali Elementi centrali Elementi periferici Polo descrittivo Definizioni Descrizioni Caratteristiche che definiscono tutti gli Caratteristiche più frequenti e aspetti delle rappresentazioni probabili Polo valutativo Norme Criteri per valutare l’oggetto della rappresentazione Aspettative Caratteristiche desiderabili dell’oggetto della rappresentazione SCUOLA DI GINEVRA Doise, ispirandosi al rapporto tra sistema e metasistema cognitivo elaborato da Moscovici, puntualizza tre assunzioni principali: • R.S sono principi organizzatori delle relazioni simboliche • Implicano diversi gradi di intensità di adesione • L’appartenenza a diversi gruppi influenza l’intensità di adesione ad una R.S 1) Le rappresentazioni sociali possono essere considerate come principi organizzatori delle relazioni simboliche tra individui e i gruppi, di conseguenza: Le rappresentazioni sociali sono elaborate entro sistemi di comunicazione che necessitano di quadri di riferimento comuni per gli individui e i gruppi 2) Gli individui possono differire a seconda dell’intensità della loro adesione ai vari aspetti delle rappresentazioni sociali: Occorre individuare i principi organizzatori alla base delle differenze individuali in un campo rappresentazionale 3) Le differenze fra le prese di posizione individuali sono ancorate: • alle appartenenze a gruppi • alle realtà simboliche che caratterizzano tali gruppi • alle esperienze socio-psicologiche condivise dagli individui • alla loro credenze circa la realtà sociale Di conseguenza, per Doise lo studio delle rappresentazioni sociali deve: • Individuare il campo di riferimento comune della rappresentazione sociale (processo di oggettivazione) • Una volta identificato il campo di riferimento comune deve mettere a fuoco le diverse prese di posizione che modulano le differenti organizzazioni del campo descritto • Infine deve individuare i rapporti sociali alla base delle prese di posizione individuale (processo di ancoraggio) Secondo Doise esistono diverse modalità di ancoraggio che possono intervenire contemporaneamente nella costruzione delle rappresentazioni sociali: ancoraggio sociologico: rapporto generativo fra inserimento di un soggetto in un quadro ben definito di rapporti sociali e la presa di posizione specifica dello stesso attore sociale ancoraggio socio-psicologico: il modo in cui gli individui elaborano diverse prese di posizione in funzione della loro appartenenza a gruppi o a categorie sociali ancoraggio psicologico: rapporto fra le diverse prese di posizione e adesione a diverse credenze o sistemi di valore. 35 SE’ E IDENTITÀ Dal testo Palmonari – Cavazza - Rubini: pag. 107-145 (cap. 4) Patrizi – De Gregori pag. 97-132 (cap. 3) Sé e Identità Spesso i due termini vengono considerati come sinonimi e utilizzati indistintamente. In realtà è opportuno distinguere: Sé: l’insieme di aspetti individuali e le componenti intrapsichiche del soggetto. La SocialCognition individua le radici del Sé socialenelle relazioni interpersonali, trascurando le relazioni intergruppi Auto-riconoscimento personale in termini di rappresentazione di sé in prima persona. Identità: dimensione sociale dello sviluppo individuale che rimanda all’idea di “appartenenze”. Di tradizione europea, enfatizza il ruolo prominente dell’appartenenza di gruppo e delle relazioni intergruppo. Si focalizza sugli antecedenti e conseguenze delle identità collettivamente condivise Auto-riconoscimento basato sull’appartenenza sociale e etero-riconoscimento da parte degli altri. L’elaborazione di Codol (1980) è quella che meglio esprime l’interdipendenza fra i concetti di Sé e di identità Il sentimento di un’identità personale si basa su due elementi essenziali del processo di percezione di sé: § Il Sé come oggetto unico, il sentimento della differenza: il riconoscimento della propria differenza, attraverso il confronto con gli altri, permette la presa di coscienza di sé § Coerenza e stabilità dell’immagine di sé, il sentimento dell’unità e dell’identità con sé stesso: l’immagine di sé presenta una certa costanza nel tempo Sé differente dagli Altri Sé coerente e stabile identità Prima di addentrarci nello studio delle diverse teorie relative al Sé e all’identità ricordiamo che il fine del corso è lo studio della Psicologia Sociale e la sua declinazione in ambito criminale. Ricordando che la psicologia sociale e, nello specifico, la social cognition studia le modalità con cui gli individui attribuiscono un senso alla loro esistenza e interpretano il comportamento proprio e altrui, approcci teorici diversi dalla social cognition contribuiscono a definire alcuni degli aspetti da essa trattata. La psicologia cognitivista offre modelli e metodi di studio utili a descrivere i meccanismi di apprendimento, del pensiero e della memoria; La psicologia gestaltica chiarisce il metodo fondamentale per cogliere gli spetti olistici dei processi di pensiero. La psicoanalisi spiega i processi di interiorizzazione e di evoluzione individuale. In merito al capitolo sul Sé e l’identità, pertanto, sono tre gli approcci teorici da tenere in particolare considerazione perché propri della psicologia sociale, e sono: - L’approccio dell’interazionismo simbolico (di Mead) - l’approccio Gestaltico (Asch, Lewin) - L’approccio Scial Cognition (Markus e Higgins) I contributi teorici Psicanalitici (di Erikson e Marcia); del cognitivismo (Neisser), devono essere considerati in termini di rapporto e di supporto al filone psicosociale. Schema riassuntivo degli approcci: 36 Approcci: Autori Definizioni Dettagli: Filosofia James Io: soggetto che conosce Me: oggetto conosciuto Struttura rigida e gerarchica Psicoanalisi Erikson Identità processo di acquisizione Marcia per fasi. Acquisizione-bloccomoratoria-diffusione Social-cognition Markus Sé come struttura cognitiva di Higgins riferimento Schemi di Sé; Sé possibili; Sé e culture Cognitivismo Neisser Sé e processi di auto-conoscenza Sé ecologico-interper-sonaleesteso-privato-concettuale Gestalt Lewin Asch L’Io transfenomenico è unità olistica e attiva Teoria del campo; Effetto Zeigarnik Interazionismo simbolico Mead Sé= Io+Me f(interazione sociosimbolica) Linguaggio – gioco Altro generalizzato. Interazionismo simbolico Athens Identità violente = processo di violentizzazione Comunità fantasma Interpretazioni situazioni Approccio filosofico: - I. Kant (1787): distinse Sé come oggetto (Sé empirico) e Sé come soggetto (Io puro) - A. Schopenhauer (1819): parla di “Io conosciuto” ed “io conoscitore” - W. James (1891) distingue due componenti del Sé: Io: soggetto consapevole, in grado di conoscere, prendere iniziative e riflettere su di Sé Me: quanto del Sé è conosciuto dall’Io (il modo in cui mi vedo); include una componente materiale (il Me corporeo), una sociale (il Me in rapporto con gli altri) e una spirituale (il Me consapevole e capace di riflessione) - il Me Corporeo: include le conoscenze che l’individuo possiede a proposito del proprio corpo ma che si estende anche a domini confinanti come i vestiti, la casa, la proprietà, la famiglia. - il Me Sociale: attiene alle molteplici immagini che gli altri hanno dell’individuo e si articola in tante rappresentazioni quante sono le diverse forme di rapporto che lo uniscono agli altri significativi. - il Me Spirituale: attiene alle conoscenze che l’individuo possiede rispetto alle sue facoltà psicologiche, ai suoi tratti di personalità, disposizioni, atteggiamenti, motivazioni e interessi. Questa impostazione fa riferimento a un concetto di Sé piuttosto rigido, organizzato in forma gerarchica, dove è assegnato minor valore al Me corporeo e maggior valore al Me spirituale Dal contributo di James, lo psicologo Gordon Allport (1961), uno dei padri fondatori della psicologia sociale, sostenne che la distinzione tra Io e Me dovesse essere netta: L’Io non è oggetto diretto di conoscenza, pertanto deve essere studiato dalla Filosofia; Il Me, di contro, è assegnato alla Psicologia James era contrario a questa netta separazione. Io e Me sono distinti analiticamente ovvero descrivono lo stesso flusso di coscienza, l’uno in termini di pensatore (Io), l’altro come pensato di sé (Me). James affermava pertanto che Io e Me sono inscindibili poiché il «pensiero è esso stesso il pensatore» come un fiume è inscindibile rispetto all’acqua. 37 APPROCCIO PSICANALITICO: Secondo l’approccio psicoanalitico il Sè diviene la possibilità dell'Io di pensare e osservare se stesso, in quanto contrapposto all'oggetto. Il Sé assume le caratteristiche di una vera struttura psichica che si inserisce come elemento della dinamica interpersonale. È all’approccio psicanalitico che si deve la definizione del concetto di “identità” La formazione dell'identità è un processo che deriva dall'assimilazione e dall'integrazione delle diverse esperienze di sé che si hanno nell'arco della vita. Questa esperienza globale di sé (secondo alcuni autori), coincide con il sentimento d'identità. Si indica con l’espressione identità personale la consapevolezza della distinzione fra sé e le altre entità diverse da sé. La nozione di “identità” è stata elaborata in modo approfondito da Erikson, la cui tesi è stata in seguito approfondita da Marcia Secondo E.H. Erikson (1968) l'identità consiste nell'idea di essere distinto e separato dagli altri. L’acquisizione dell’identità è il risultato positivo di uno dei conflitti vitali che la persona affronta nel corso della vita; caratterizza in particolare l’adolescenza, ma se si propone in ogni transizione. Ognuno può avere più identità (individuali, familiari, di gruppo, sociale, etnica, religiosa, culturale, ideologica, nazionale, regionale, professionale); queste identità possono essere in rapporto armonico o in contrasto tra loro e, in entrambi i casi, qualche volta in modo produttivo altre in modo controproducente. Quando ci si sente sicuri all'interno di una collettività, normalmente si tende ad affermare la propria individualità, al contrario. In condizione di insicurezza dovuta a conflitti, si accentua il proprio bisogno di assomigliare ad altri, di fondersi con il gruppo adottando comportamenti e atteggiamenti tendenti al conformismo. J.E.Marcia (1980) descrive il processo attraverso cui si costruisce l’identità personale: § Acquisizione dell’identità: l’individuo raggiunge questo stato attraverso un processo di esplorazione di varie alternative possibili a cui segue l’impegno in rapporto ai ruoli sociali prescelti § Blocco dell’identità: l’individuo si impegna in certi ruoli e valori ispirati alle figure di identificazione infantili, in assenza di una fase precedente di conflitto ed esplorazione § Moratoria: l’individuo non attua alcun impegno preciso ma procede nello sforzo di esplorazione della realtà § Diffusione dell’identità: l’individuo passa da una identificazione momentanea all’altra, senza sviluppare alcun reale interesse e senza impegnarsi in alcun ruolo L’APPROCCIO SOCIO-COGNITIVISTA Nella prospettiva della “social cognition” il sé è concepito come un sistema di conoscenze, una rete di informazioni che guida la percezione, l’elaborazione e l’integrazione delle esperienze Il Sé dal punto di vista strutturale è visto come uno schema. Lo schema di sé è la struttura cognitiva di cui l’individuo dispone per organizzare in memoria le informazioni riguardanti i propri attributi, i propri ruoli, le esperienze passate e le aspettative future. Schemi di sé (Markus, 1977): - strutture affettivo-cognitive capaci di organizzare l’elaborazione di informazioni riguardanti il sé - corrispondono alle dimensioni su cui una persona si descrive - possono essere sia di tipo positivo (sono onesta) che negativo (sono pigro) - non sono facilmente modificabili Come si forma la rappresentazione di sé? La rappresentazione mentale di sé consiste in una cerchia di concetti che a tale costrutto si riferiscono: ciascuno di essi è collegato a un contesto specifico ed è tale rappresentare il modo in 38 cui l’individuo ritiene di comportarsi nelle diverse situazioni. Il sé viene concepito come una collezione di elementi collegati a strutture di conoscenza saldamente ancorate a domini specifici Sé operante (working self) è la rosa di attributi del sé attivati in una specifica situazione. Esempio: il operante è dato da quei particolari contenuti che emergono in una situazione di classe per uno studente. Egli avverte come particolarmente accessibili quelle parti di sé che risultano salienti in quella situazione: le dimensioni e gli attributi più legati alla condizione universitaria, alle prestazioni intellettuali, alla motivazione allo studio, al rapporto con i docenti e con i compagni (efficienza, competenza, rispetto delle regole, ecc.) Basterà spostarsi in altro ambiente, per esempio in un campo sportivo, per cambiare riferimento e contenuti che diventano accessibili: in questo caso le dimensioni e gli attributi che emergono possono riguardare la prestanza fisica, le procedure di allenamento, i rapporti con i compagni di squadra (tenacia, determinazione, competizione, ecc) Schema di sé = struttura cognitivo-affettiva che rappresenta le proprie esperienze in un particolare dominio. Gli schemi di Sé: § Permettono all’individuo di autodefinirsi; § Servono a ricordare le informazioni rilevanti che ad essi stessi si riferiscono e quindi § Servono ad organizzare la propria condotta sintonizzandola sui tratti e gli attributi più ricordati e dunque a trovare una conferma delle proprie aspettative. I processi mediante i quali gli individui mettono in azione le concezioni che hanno elaborato a proposito di sé, modificano la loro condotta o intervengono sull’ambiente sociale per rendere compatibili i risultati attesi con l’auto-percezione che essi elaborano e gli scopi personali che perseguono. Markus e Nurius (1986): il concetto di sé comprende concezioni ipotetiche di sé o sé possibili, che rappresentano le idee delle persone circa quello che possono, vorrebbero o temono di diventare Funzionano come guide e incentivi per il comportamento rivolto al futuro (sé da perseguire o da evitare) “Ottimismo irrealistico”: il contenuto dei sé attesi è in genere positivo § Interpretazione motivazionale: bisogno di riduzione dell’ansia § Interpretazione cognitivista: nel valutare la probabilità di un evento negativo, l’individuo ricorre a una “euristica della disponibilità”: pensando al numero di eventi dello stesso tipo successi in passato a lui e ad altri (ad esempio, i coetanei), finisce per sottostimare la probabilità che tale evento lo riguardi Higgins (1987): tre aspetti della rappresentazione di sé § sé reale (come sono) § sé ideale (come vorrei essere) § sé normativo (come dovrei essere) La differenza tra sé ideale e sé normativo risiede nel sistema normativo a cui i due si ancorano. Sé ideale: il soggetto impiega come riferimento un ideale nel quale egli si riconosce o al quale aspira; Sé normativo: il soggetto individua come riferimento ciò che gli altri significativi gli propongono e gli suggeriscono Higgins sostiene che l’incoerenza tra sé effettivo, ideale e normativo dà luogo a situazioni coinvolgenti dal punto di vista emotivo. In alcuni casi mette in atto azioni capaci a ridurre lo stato di contrasto e il disagio che ne deriva. Altre volte l’incoerenza rimane non risolta e in questi casi, a seconda del confronto operato, ne derivano vissuti emozionali diversi: Discrepanza fra sé reale e sé ideale: l’individuo vive emozioni legate al senso di mancanza, impotenza, scoraggiamento. Si traducono in sensazione di disappunto, insoddisfazione, tristezza. Esempio: sono grasso e vorrei essere magro 39 Discrepanza fra sé reale e sé normativo: l’individuo vive emozioni legate all’agitazione e ansia. Si traducono in paura e inquietudine. Esempio: sono pigro e dovrei essere più attivo Gi individui elaborano schemi di sé che si differenziano non solo per il grado di coerenza ma anche per complessità. Se organizzano la propria esistenza sulla base di una prospettiva molto lineare e circoscritta, la complessità del concetto di sé sarà limitata. Se agiscono in una molteplicità di scenari sociali, elaborano concetti di sé articolati e complessi Il grado di complessità influenza in termini emotivi le reazioni alle situazioni di cambiamento Minore e la complessità maggiore è il grado di preoccupazione in caso di situazione di crisi che investe il ruolo in cui si esaurisce lo schema di sé. Maggiore è la complessità, maggiori sono le vie di fuga che la persona può individuare e le attività alternative per mantenere positivo il concetto di sé. Lo sviluppo del concetto di sé avviene in stretta connessione alle idee proprie dei gruppi e del contesto culturale rispetto a cosa significhi essere una persona “come si deve” Oyserman e Markus (1998): le varie culture elaborano diverse rappresentazioni sociali che riguardano le caratteristiche ritenute appropriate e positive del Sé Le differenze sono evidenti se si confrontano le culture sulla base della dimensione individualismo collettivismo Culture individualiste • Il Sé è l’unità di base • Il principale compito di sviluppo è il raggiungimento di un senso di realizzazione personale • L’elaborazione della propria unicità è alla base dell’identità • Sono valorizzate caratteristiche come intelligenza e competenza • La distinzione più saliente è fra Sé e non-Sé, e in seconda istanza fra ingroup e outgroup Culture collettiviste • Il gruppo è l’unità di base • Il principale compito di sviluppo è il raggiungimento di obiettivi comuni • L’identità è organizzata intorno al senso di affiliazione • Sono valorizzate caratteristiche come costanza e persistenza • La distinzione più saliente è fra ingroup e outgroup; ostilità a priori nei confronti dell’outgroup APPROCCIO COGNITIVISTA Neisser è il principale esponente dell’approccio cognitivista che tratta il Sé, e nello specifico, i processi e le forme di conoscenza di Sé Egli si interessa al tema sostenendo che il concetto di Sé è come una teoria che il soggetto elabora su se stesso. Per Neisser l'individuo elabora la conoscenza di sé ricorrendo dapprima alla percezione, poi alla memoria e infine al pensieri. I risultato di queste elaborazioni sono schemi, o insiemi di rappresentazioni di sé, che ogni soggetto utilizza nel rapporto tra mondo interno e mondo esterno Neisser (1988), in una sintesi degli studi sull’argomento, individua 5 tipi di conoscenza di Sé - Sé ecologico - Sé interpersonale - Sé esteso - Sé privato - Sé concettuale Sé ecologico 40 - ha origine dalla percezione del proprio corpo e delle sue parti rispetto agli altri oggetti dello spazio percettivo - compare precocemente (all’età di circa tre mesi) - si basa su due tipi di informazioni: la percezione ottica, e l’esperienza del sentirsi agire - non è in un primo momento oggetto di riflessione Sé interpersonale - è il Sé coinvolto in un’interazione immediata con un’altra persona - compare precocemente: già a 2-3 mesi esiste una coordinazione nelle interazioni madre bambino che crea intersoggettività - si basa essenzialmente su informazioni di tipo cinetico - è difficilmente esperito come distinto dal Sé ecologico Sé esteso - si definisce in rapporto a esperienze significative del passato e ad aspettative per il futuro - a tre anni, il bambino è consapevole dell’esistenza di Sé al di fuori del momento presente - non è indipendente dal Sé concettuale, che guida ciò che “scegliamo” di ricordare Sé privato - riguarda la consapevolezza che alcune esperienze non sono condivise con altri - secondo la maggior parte degli studi, questa consapevolezza si sviluppa intorno ai 4 anni e mezzo Sé concettuale, o concetto di sé - è costituito da un insieme di assunzioni o sub-teorie che riguardano i ruoli sociali (ad es., essere padre), il corpo, la mente, nonché tratti che l’individuo si attribuisce (ad es., essere intelligente) - si costruisce soprattutto su idee elaborate nel sociale e comunicate verbalmente - comprende aspetti che riguardano gli altri quattro tipi di conoscenza di Sé (ad es., ricordi di esperienze passate) - contribuisce a tenere insieme gli altri Sé creando un senso di unicità e coerenza APPROCCIO GESTALTICO: La psicologia della Gestalt offre contributi teorici che influenzano fortemente la psicologia sociale e successivamente i paradigmi di ricerca nel settore della cognizione sociale. Relativamente al Sé, vanno ricordati Lewin e Asch Come non partire da Lewin. La teoria del campo di Lewin, secondo cui la condotta è funzione della persona e dell’ambiente, induce ad un altro concetto chiave: campo psicologico definito come l’insieme dei fattori classificati facendo riferimento a 2 coppie di costrutti: a) Persona e situazione b) Cognizione e motivazione L’articolazione tra sfera individuale-soggettiva e sociale-oggettiva è dinamica, attiva e si concretizza nell’agire. Campo psicologico = Totalità di fatti coesistenti nella loro interdipendenza Quali fatti? 1. Mondo personale – Life space 2. Spazio di frontiera (tra LS e ambiente esterno) 3. fatti presenti ma non in diretto contatto con il mondo psicologico L’ellisse indica lo spazio psico-ambientale in cui è inserito l’individuo, al di là c’è il mondo esterno sconosciuto e ininfluente per la sua vita. Il cerchio interno è la dimensione psichica e mentale dell’individuo con i suoi problemi e bisogni. Gli spazi circoscritti tra il cerchio e l’ellisse sono quelle che Lewin chiama “ Regioni Psicologiche”, che possono essere anche fisiche e sociali ma sono 41 aree esterne di forte interesse per l’individuo (il lavoro, la scuola, il proprio quartiere). L’Io, pertanto, secondo la prospettiva Lewiniana, costituisce una entità complessa costituita da sottosistemi interdipendenti ma allo stesso tempo relativamente autonomi, caratterizzati da confini più o meno fluidi. L’interazione tra questi sistemi è regolata da processi cognitivi e motivazionali. La motivazione al raggiungimento di uno scopo comporta uno stato di tensione psicologica, che non riguarda l’Io nella sua totalità ma alcuni sottosistemi, e che viene superato quando l’obiettivo viene raggiunto Esempio: “effetto Zeigarnik”. L’interruzione di un compito durante la sua esecuzione, provocando uno stato di tensione, rende migliore il ricordo di tali attività rispetto a compiti completati (Zeigarnick, 1928) I gestaltisti, non parlano di Sé, ma parlano di Io fenomenico. S. Asch (1955), distingue tra: § Io fenomenico o Sé: complesso di vissuti e qualità che l’individuo ritiene pertinente a se stesso § Io reale o transfenomenico: l’Io nella sua completezza oggettiva Secondo Asch, il Sé è inserito come qualsiasi altro soggetto in un campo e sottoposto alle stesse forze, fino a dare luogo a una percezione di sé. Si forma sia grazie al rapporto con gli altri, attraverso il quale il soggetto percepisce la propria specificità, sia grazie al ruolo attivo dell’individuo. L’APPROCCIO DELL’INTERAZIONISMO SIMBOLICO Mead (1934) segue un approccio psico-sociale in quanto sottolinea la funzione congiunta e interattiva della mente, dell’organismo e del suo ambiente. Egli, pertanto, presta interesse al modo in cui l’esperienza umana e il comportamento emergono nei contesti di interazione sociale. Il Sé è risultato e conseguenza dell’interazione sociale. Il Sé non esiste alla nascita. La capacità di conoscere il Sé emerge quando sono presenti due condizioni: - la capacità di produrre e rispondere a simboli - la capacità di assumere gli atteggiamenti degli altri Nello specifico, Mead è esponente dell’interazionismo simbolico Per interazionismo simbolico si intende una corrente di pensiero secondo cui è possibile considerare “reale” ciò che si attesta essere “pratico” ed “utile” Credenze e convinzioni (Sé) nel momento in cui orientano atteggiamenti e comportamenti, ovvero svolgono una funzione pratica ed utile, sono “reali” Per cui, è reale non ciò che è esatto o fondato, ma ciò che è dato in un sistema simbolico. La realtà è mediata dai significati condivisi e prodotti dall’interazione degli individui. Secondo quest’approccio teorico, pertanto, il Sé sociale si fonda sulla condivisione di significati nell’interazione e attraverso un processo di oggettificazione l’individuo si riconosce come persona in funzione del fatto che è “altro per gli altri” Il processo di oggettificazione si realizza attraverso le relazioni con gli altri significativi sin dall’infanzia. Questo percorso si snoda lungo un continuum che garantisce continuità e coerenza all’identità pur presentando degli elementi malleabili e flessibili che permettono l’adattamento alle circostanze e alla variazione delle relazioni significative. Il processo di oggettificazione si sostanzia nell’assunzione di ruoli altri rispetto al sé, e rivolgendosi (= conoscendo) il Sé dal punto di vista di quel ruolo. 42 Il processo di assunzione dei ruoli e della prospettiva altrui si realizza attraverso due stadi successivi: il gioco semplice e il gioco organizzato ◊ Gioco semplice (play): il bambino è in grado di assumere, in successione temporale, i ruoli di persone presenti nel suo ambiente sociale: gioca ad essere la mamma o il dottore, ecc. ◊ Gioco organizzato (game): il bambino assume contemporaneamente i ruoli di tutti i partecipanti al gioco Il Sé oggettificato viene, quindi, internalizzato ovvero tradotto in una rappresentazione individuale di sé. È evidente la componente sociale del Sé. Il Sé non è solo un unità somato-psichica come per W.James, ma un essere costituito dai rapporti sociali. Questa definizione del Sé rimanda al contributo di C.H. Cooley (1908) il quale conia l’espressione looking glass self o sé rispecchiato, per esprimere l’idea che la conoscenza di Sé si realizza osservando il modo in cui ci considerano gli altri. Tre concetti chiave del modello di Mead devono essere ben specificati: 1. Linguaggio 2. Altro generalizzato 3. Istituzione Il linguaggio: è lo strumento attraverso il quale gli individui interagiscono. Si sostanzia nella costruzione, trasmissione e condivisione di significati (semiotica). Attraverso il processo dialettico di esteriorizzazione, oggettivazione e interiorizzazione dei sistemi simbolici condivisi, lungo il continuum della socializzazione, l’individuo costruisce la realtà soggettiva. Anche il Sé, pertanto, viene costruito attraverso questo processo e dunque attraverso il rapporto con la società. In questi termini si fa riferimento più che al Sé, all’identità. L’identità è formata da processi sociali. Una volta cristallizzata, viene mantenuta, modificata o anche rimodellata dalle relazioni sociali L’Altro generalizzato è per Mead non una persona specifica ma una categoria sociale astratta.Nasce dalla trasformazione in schema di riferimento di persone vicine e affettivamente significative per il soggetto. Sono gli altri significativi incontrati nel processo di socializzazione primaria e secondaria. L’istituzione è il complesso tipizzato degli schemi di condotta, ovvero quell’agire, indotto dal processo di costruzione del reale per condivisione di significati, caratterizzato da abitualizzazione e consuetudinarietà.La costruzione della realtà attraverso un processo di tipizzazione viene oggettivata nell’istituzione composta da segni intesi come indici generalizzati di significato. L’istituzione ha funzione di controllo della realtà. Athens e le identità violente Dal Patrizi-DeGregorio Pag 112-132 Athens L.H. Sviluppa l’approccio interazionista (Mead) in ambito criminologico. La differenza è che Mead parla di Altro Generalizzato, mentre Athens di Comunità fantasma. La comunità fantasma riveste il ruolo di “interlocutore principale” nella costruzione del Sè: essa non è altro che il distillato delle nostre esperienze passate “significative” così come da noi vissute, interpretate e rivisitate nel presente nel corso di un processo dialogico e dialogante con i nostri “altri significativi”. L’attributo “fantasma” è dovuto al fatto che questa comunità di opinioni esiste solo e sempre nella forma delle rappresentazioni mentali che il soggetto se ne fa; al tempo stesso, però, tale comunità è ben lontana dall’essere “fantasma” nelle nostre vite reali, in quanto attraverso il soliloquio agisce realmente nei mondi sociali e nelle azioni che gli individui decidono di intraprendere Athens fornisce una spiegazione alternativa alla tradizionale prospettiva che spiega il comportamento criminale violento prevalentemente assegnandolo all’universo della malattia 43 mentale. Nella logica comune, ma anche in molte logiche scientifiche, infatti, non si ritiene possibile che una persona cosiddetta “normale” possa commettere certi tipi di azioni che per gravità e mancanza di provocazione appaiono assolutamente irrazionali e incomprensibili. Athens riesce, invece, a rintracciare e a descrivere con successo quei percorsi psico-sociali che conducono un individuo a realizzare atti violenti mostrando come tali percorsi non siano segnati da una natura irrazionale e incontrollabile, che si suppone spesso alla base dei cosiddetti raptus, ma piuttosto siano costruiti e collocati dentro itinerari interpretativi che è possibile ricostruire a partire dalla prospettiva di chi li ha vissuti Sviluppa l’approccio interazionista (Mead) in ambito criminologico. La chiave della teoria di Athens è che la violenza è frutto di un processo decisionale, antecedente alle interpretazioni, che porta persone cresciute in contesti simili a conclusioni diverse. Nelle situazioni violente i soggetti considerano, decidono e scelgono quando e dove agire in modo aggressivo interpretando le situazioni con paura, rabbia o addirittura odio al pari di chiunque altro; gli attori violenti decidono di agire in modo violento Athens si avvale di un modello cosiddetto “processuale”, in base al quale i fenomeni sono intesi quali esiti di processi di sviluppo le cui fasi iniziali non determinano automaticamente le ultime: l’evento finale, in questo caso l’azione violenta, rappresenta sempre il risultato mai scontato di un lungo e difficoltoso processo interpretativo e simbolico sviluppato, e solo eventualmente portato a conclusione, dal suo attore. Quattro possibili tipologie di interpretazione delle situazioni violente : 1. difesa fisica: interpretando inizialmente l’atteggiamento della vittima come il prodromo (o l’avvio) di un attacco fisico e convincendosi poi della necessità di una risposta di tipo aggressivo. Emozione predominante è la paura 2. frustrativa: poiché dettata dalla resistenza o dal ripetuto tentativo di convincimento da parte della vittima alla cooperazione; in tale modo l’emozione predominante del perpetratore è quella della rabbia dovuta alla frustrazione delle sue originarie intenzioni 3. Malefica: deriva viceversa da una valutazione ribaltata della vittima, ovvero come colei che lo sminuisce o lo offende; essa viene considerata malvagia e pertanto punibile solo con un’azione di tipo violento. L’emozione predominante in questo caso è l’odio 4. frustrativo-malefico: che combina le caratteristiche delle due precedenti classificazioni. La resistenza frustrante o l’insistenza della vittima porta il perpetratore a concludere necessariamente che la vittima stessa sia malvagia o malefica e meritevole, di conseguenza, di una risposta violenta. Emozioni: rabbia-odio Athens imposta la spiegazione dello sviluppo violento di un soggetto sul presupposto che “le persone sono ciò che sono per il risultato delle esperienze sociali significative vissute nel corso delle proprie vite” ma anche che “le esperienze sociali si costruiscono spesso sulla base delle precedenti esperienze in modo tale da farne intuire un determinato processo di sviluppo”. Individua quattro fasi del processo definito di <violentizzazione>, ovvero di quel meccanismo attraverso cui le persone, nel corso delle esperienze della loro vita, possono accedere alla successiva fase dello sviluppo della violenza. 1. Brutalizzazione; 2. Belligeranza; 3. Prestazioni violente; 4. Virulenza Brutalizzazione: è composta da tre esperienze più elementari: le quali implicano implicano, ciascuna a modo suo, che una persona subisca un trattamento aspro e crudele per mano altrui e che questo produca un impatto durevole e radicale nel prosieguo delle loro vite. Nel dettaglio: sottomissione violenta: avviene quando alcune figure di fiducia o particolarmente autoritarie, appartenenti ad uno dei gruppi primari del soggetto, usano la violenza o costringono il soggetto a sottomettersi alla loro autorità (es. la coercizione). 44 Nell’orrificazione personale, invece, il soggetto non subisce direttamente una sottomissione violenta ma testimonia alla somministrazione di questo trattamento ad un’altra persona membra, anch’essa, del suo gruppo primario (es. parente o amico molto stretto). Nell’addestramento violento al soggetto viene assegnato il ruolo di novizio violento da parte di una persona facente parte del suo gruppo primario il quale, generalmente in maniera informale ed implicita, lo stimolerà continuamente a generare una condotta violenta. Belligeranza: Al termine della prima fase il soggetto rimane profondamente turbato, disturbato ed ansioso di sapere il motivo di tale trattamento; esso si convince progressivamente dell’esistenza di un futuro gravido di rischi verso cui lui si sente impotente ed umiliato. In tale seconda fase infatti, l’individuo così a lungo brutalizzato sceglie di adottare una soluzione che, per quanto ancora condizionata dal fatto di commettere atti di grave violenza solo in reazione ad eccessive provocazioni, attende ora solo il momento del passaggio all’atto. Questo, allorché accadrà, condurrà sicuramente il soggetto ad una serie di conflitti che non segneranno ancora il passaggio alla fase successiva, quella definita della prestazione violenta, fin tanto che l’individuo stesso non comprenderà appieno il significato del proprio successo attraverso l’attribuzione pubblica di soggetto socialmente pericoloso. Virulenza: Il soggetto, in tale momento è pronto ad attaccare fisicamente le persone con l’intenzione di ferirle gravemente o di ucciderle alla minima provocazione, divenendo così un criminale ultraviolento. 45 LE RELAZIONI SOCIALI Dal testo Palmonari – Cavazza - Rubini: pag.147-159 (cap.5) Le definizioni di relazioni interpersonali e attrazione variano in funzione del modello teorico di riferimento. Consideriamone alcune: - la R.I. è un processo di conoscenza e amicizia che si sviluppa in termini di attrazione. L’attrazione è una particolare forma di atteggiamento. (teorie della forma). - l’A. è un comportamento indotto da rinforzi (prospettiva comportamentista) - L’R.I è un’interazione fondata sullo scambio (teorie dello scambio) o sull’equità (teorie dell’equità) - La R.I. è una serie di interazioni che avvengono nel tempo e che possiedono proprietà emergenti che non si trovano nelle singole persone. (teoria dell’interdipendenza) - la R.I. è un processo mentale e cognitivo che si caratterizza per specifici elementi quali fiducia, rispetto, cura, ecc. (prospettiva cognitivista) - la R.I. è un processo fondato sulla condivisione e costruzione sociale (prospettiva interazionista) - L’attrazione è la scelta del compagno come genitore della propria prole (teoria socioevoluzionista) Secondo una prospettiva psico-sociale Lo studio delle relazioni sociali ha origine nell’eredità di Kurt Lewin secondo cui le relazioni non possono essere studiate a partire dagli individui, ma dall’interazione fra: • le proprietà dei partner • le proprietà della situazione ( fisica e sociale) Scegliamo di selezionare due tra le diverse prospettive teoriche che hanno trattato il tema delle relazioni sociali: 1. teoria della interdipendenza (Kelley e Thibaut, 1959) e successivi sviluppi. 2. approccio cognitivo (Baldwin, 1992) La teoria della interdipendenza di Kelley (di chiara matrice Lewiniana) definisce una relazione interpersonale in termino di interconnessione tra comportamenti, emozioni e pensieri di due persone. L’interdipendenza viene definita come influenza reciproca tra i partner dell’interazione: influenza estesa a molti contesti e non limitata nel tempo Da un lato vengono studiati i vari aspetti dell’interdipendenza: nella soluzione dei conflitti; nell’autovalutazione nella scelta se mantenere o chiudere una relazione insoddisfacente. Dall’altro lato studia i processi e i fattori causali che spiegano l’interazione come: caratteristiche peculiari dei partner (es. personalità) caratteristiche comuni dei partner (es. somiglianza di atteggiamenti) caratteristiche dell’ambiente sociale (es. reti di rapporti in cui si inserisce la relazione caratteristiche dell’ambiente fisico (es. elementi di facilitazione) Metodo di studio più adeguato è ricerca longitudinale Approccio cognitivo (Baldwyn) La relazione interpersonale presuppone un processo di conoscenza dell’altro e della relazione stessa che segue i criteri propri di ogni processo conoscitivo, e dunque utilizza schemi, script, biases Balwyn si focalizza sui tre componenti della struttura cognitiva dello schema di relazione: il sé in relazione le credenze riguardanti il partner 46 lo script interpersonale (sequenza attesa delle interazioni) Oggetti di studio: 1. Somiglianze e differenze tra le rappresentazioni di sé e degli altri significativi 2. Componenti automatiche degli script di relazione L’Attrazione quale esito di somiglianze e differenze tra le rappresentazioni di sé e degli altri significativi: Negli anni ’50-60 prevalevano i modelli teorici dell’equilibrio cognitivo secondo cui si tende a scegliere come partner persone che aiutano a mantenere una visione del mondo coerente, quindi preferibilmente persone con cui si condividono opinioni, comportamenti e atteggiamenti In un esperimento-tipo veniva chiesto ad un campione di giovani universitari di esprimere un giudizio su sconosciuti sulla base di questionari da questi compilati composto da affermazioni inerenti diversi argomenti (per es. sport, fumo, ruolo donna, sistema fiscale). Lo sperimentatore manipolava la similitudine/diversità degli atteggiamenti rispetto al soggetto sperimentale e ne misurava l’impressione espressa in termini positivi o negativi. - Equilibrio cognitivo (Festinger) - Si ricordano meglio le “strutture equilibrate” - Si completano le strutture incomplete per raggiungere il massimo equilibrio possibile L’Attrazione quale esito di somiglianze e differenze tra le rappresentazioni di sé e degli altri significativi: In contrapposizione all’idea della tendenza nelle relazioni a raggiungere l’equilibrio, la stabilità l’omeostasi, vari studiosi negli anni ’80 propongono una concezione dialettica. In linea con un’antica tradizione filosofica, essi propongono che i processi sociali siano caratterizzati da polarità e opposizioni, quali: - apertura/chiusura, - stabilità/cambiamento, - autonomia/connessione, - novità/prevedibilità. Essi sostengono che i processi di opposizione sono di natura dinamica, non si annullano ma si trasformano nel tempo. Componenti automatiche degli script di relazione Individuato il caso archetipico dell’amicizia, è stato in seguito analizzato la struttura e la sfocatezza delle concezioni più comuni dell’amicizia. L’Amicizia veniva definita in termini di: - Uguaglianza; godimento della reciproca compagnia; fiducia; rispetto; cura; disponibilità; spontaneità; comprensione; intimità. In letteratura si trovano elaborazioni di tassonomie per classificare le tipologie di relazioni. Sono tassonomie di tipo descrittivo e, pertanto, non individuano le cause o le conseguenze associate ai diversi tipi di relazioni, ma individuano le caratteristiche proprie delle divere relazioni in termini di emozioni, comportamenti, ecc. A tal fine sono state elaborate alcune scale per quantificare i diversi tipi di sentimenti Rubin (1973) elabora la: Liking scale (grado di piacevolezza attribuito al partner) Love scale: - Attaccamento (presenza fisica) - Prendersi cura (interesse e desiderio di aiutare il partner) - Intimità (contatto stretto e confidenziale in un clima di fiducia) 47 Sono state inoltre condotte ricerche volte a misurare la correlazione tra le singole componenti di una relazione e alcune variabili. Esse hanno evidenziato: Differenze di genere: le donne ottengono punteggi superiori agli uomini sulle dimensioni relative all’attaccamento e al prendersi cura Comunicazione non verbale: esiste una correlazione positiva tra i punteggi della Love Scale e indicatori di comunicazione non verbale (es. durata contatto visivo)Interessante a tal proposito sono gli studi di Gottman che suggeriscono come certe modalità comunicative costituiscono un buon pronostico per lo sviluppo della relazione:- Malintesi irrisolti, decisioni rinviate, comportamenti di fuga rendono la relazione pacifica ma non duratura; la comunicazione anche di paura, tristezza, collera e disprezzo sono connessi inizialmente con bassi livelli di soddisfazione della relazione ma a lungo andare sono correlati a relazioni soddisfacenti Sternberg e Barnes (1988) teorizzano “Il Triangolo dell’Amore” : Secondo la teoria delle componenti, definiscono la relazione d’Amore come un costrutto costituito, al pari degli atteggiamenti, da tre componenti: 1. Componente emotiva: intimità (comprensione, complicità) 2. Componente cognitiva: livello di impegno/decisione verso il partner 3. Componente motivazionale: passione (attrazione, desiderio sessuale, sensazione di essere innamorati) Le tre componenti entrano in diversa misura: • nei diversi tipi di relazione • nelle diverse fasi della relazione Aspetti innovativi del modello teorico: • Esce dalla dicotomia amore/amicizia, dando una visione più completa delle relazioni umane • Strumento in grado di valutare le diverse componenti • Potenzialità applicativa: è possibile confrontare i giudizi dei membri di una coppia Intimità Attrazione Sì Infatuazione No Amore abitudinario No Amore romantico Sì Amicizia profonda Sì Amore fatuo Amore completo No Sì Passione No Sì No Sì No Sì Sì Impegno/decisione No No Sì No Sì Sì Sì Hazan e Shaver (1987; 1990): Gli stili di relazione degli adulti sono connessi con il legame di attaccamento che i soggetti hanno stabilito con le figure adulte (genitori) a) bambini che hanno sviluppato un attaccamento sicuro = adulti fiduciosi, in grado di stabilire rapporti significativi, pronti all’impegno, alla accettazione della dipendenza reciproca e non preoccupati per il futuro b) bambini che hanno sviluppato un attaccamento avoidant (insicuro-evitante) = distaccati, insofferenti rispetto alle relazioni troppo strette e alla possibilità di dipendenza c) bambini che hanno sviluppato un attaccamento ambivalente (ansioso, insicuro) = preoccupati di non essere amati, incerti, ansiosi e desiderosi di fondersi con il partner I modelli di attaccamento sviluppatisi in età infantile definiscono specifici modelli operativi interni (schemi). - Scegliere un partner con modelli di attaccamento simili ai propri può attrarre per la maggiore facilità con cui si riesce a interagire insieme utilizzando schemi interattivi già noti e disponibili; 48 - i soggetti insicuri tendono a scegliere partner con modelli comportamentali complementari potendo così confermare i propri modelli operativi interni. Per esempio: il tipo ansiosoambivalente, che dipende fortemente dal partner ma ne diffida mettendo continuamente in discussione l’affidabilità, conferma le proprie aspettative negative in un partner evitante, incapace di dedicarsi totalmente e di instaurare una forte intimità. Critiche al modello di Hazan e Shaver Davvero questi stili sono stabili nel corso della vita? Risposta da parte di Hazan e Hutt (1990) Una ricerca ha rilevato il cambiamento nello stile d’attaccamento in età adulta nel 25%dei casi prevalentemente in direzione insicuro à sicuro. La formazione delle relazioni è influenzata da condizioni fisiche e sociali: Diversi contributi teorici spiegano l’avvio di una relazione interpersonale fondata sull’attrazione in termini di: 1. Prossimità 2. Somiglianza 3. Bellezza fisica 4. Tratto di personalità: apertura agli altri. Prossimità: la vicinanza crea occasioni di contatto che aumentano la familiarità tra le persone Somiglianza: la percezione di somiglianza aumenta l’attrazione tra le persone Esempio : Legge di attrazione di Byrne (1971): più il partner è percepito come avente opinioni simili, maggiore è l’attrazione verso di esso. La condivisione delle opinioni rende gli altri attraenti. Occorre, tuttavia, distinguere i casi in cui la somiglianza NON induce attrazione: - Quando costituisce una minaccia al proprio senso di unicità - Quando induce un senso di inadeguatezza. Critiche: Newcomb (1961): la prossimità fisica prevale rispetto alla percezione di somiglianza Rosembaum “La Legge della Repulsione” (1986): più che attrazione verso le persone simili si tratta di repulsione verso le persone diverse La bellezza fisica: secondo alcuni studi le persone attraenti sono meno sole, più popolari e posseggono più abilità sociali. - Perché? Stereotipo condiviso che associa alla bellezza qualità positive (bello e buono): - Profezia che si auto-avvera : Le persone attraenti ricevendo feedback positivi sviluppando maggiori e migliori competenze sociali Apertura agli altri (self disclosure): Secondo Collins e Miller (1994): esiste una relazione tra tendenza ad aprirsi agli altri e l’attrazione: - Le persone che si aprono agli altri sono più sono apprezzate - L’apertura genera un comportamento di reciprocità: le persone si aprono maggiormente verso coloro da cui sono attratte Quali sono gli elementi necessari per garantire stabilità e soddisfazione in una relazione significativa? Principali oggetti di studio sono le relazioni tra le coppie di sposi: l’interesse per quest’ambito di studi è dettato da una duplice esigenza: Esigenza sociale = aumento di divorzi nelle società moderne Esigenza metodologica = inizio e fine della relazione sanciti da atti formali Due approcci di studio relativi alla soddisfazione delle relazioni: 49 - Teoria dello scambio - Teoria dell’equità Teoria dello Scambio (Homans, 1961): un individuo rimane in una relazione finché i benefici ricevuti superano i costi La soddisfazione è influenzata da: - Profitti (materiali o simbolici) = valutazione dei costi – benefici (sulla base delle norme sociali o delle aspettative personali) - Valutazione delle alternative = altri partner o rimanere soli (influenzata dalla autostima dei soggetti) - Investimento = tempo, sforzo e risorse poste nella relazione Aspetti innovativi: Variabili associate alla durata delle relazioni Critiche: - Non considera le differenze individuali nell’impegnarsi in una relazione o nella capacità di tollerare la solitudine - Modello economico di difficile applicazione ad un fenomeno complesso come le relazioni umane - Non considera le emozioni e i comportamenti impulsivi Teoria dell’Equità (Walster, Walster e Berscheid, 1978): In una relazione soddisfacente un individuo e il proprio partner ricevono benefici commisurati ai costi. Rischi possono verificarsi quando un individuo percepisce uno squilibrio (un partner riceve di più e uno di meno) - Le ricerche evidenziano differenze legate al genere: - Le donne sono più a disagio quando sono il partner più beneficiato - Gli uomini sono più a disagio quando sono il partner meno beneficiato Aspetti innovativi: È applicabile soprattutto alle prime fasi della relazione e al mantenimento delle relazioni di lavoro o di amicizia Critiche: Difficile applicazione alle coppie che hanno una lunga storia Secondo Clark e Mills (1982) si applica alle relazioni di scambio (es. relazioni di lavoro fra estranei) più che alle relazioni di condivisione (es. relazioni tra genitori e figli) Critiche alla teoria di scambio e alla teoria dell’equità: - Si fondano su un ragionamento di tipo “problem solving” - Sottovalutano il ruolo degli obiettivi, delle aspettative e dell’evolversi di essi nel tempo - Sottovalutano il ruolo di pressioni sociali, resistenza al cambiamento e delle abitudini - Non sono in grado di elaborare un quadro teorico generale che spieghi le cause - Si riferiscono a culture individualistiche (occidentali) Influenze culturali nello sviluppo delle relazioni Individualismo (soprattutto culture occidentali) Importanza della realizzazione dei singoli: gli scopi, gli obiettivi dell’individuo sono più importanti di quelli della collettività La scelta del partner viene fatta sulla base delle esigenze personali Collettivismo (soprattutto culture orientali) Interdipendenza tra le persone: gli scopi e gli obiettivi del gruppo più importanti di quelli individuali La scelta del partner viene fatta dalla famiglia per soddisfare le esigenze della collettività 50 COMUNICAZIONE Dal testo Palmonari – Cavazza - Rubini: pag.159-174 (cap.5) “…la comunicazione è apparsa come una realtà a più facce, la preferenza per l’una o per l’altra delle quali ha dato luogo a dei paradigmi scientifici contrapposti” F. Casetti, voce Comunicazione in G. Betterini, A. Bellotto (a cura di) Questioni di storie della radio e della televisione, Milano, Vita e Pensiero, 1985, pag. 7 Le 6 definizioni tratte dalla letteratura sono: 1. Si ha comunicazione ogni qualvolta una proprietà, una risorsa, uno stato viene trasmesso da un soggetto ad un altro comprendendo nella categoria dei soggetti anche quelli inanimati. 2. È costituita dal passaggio o trasferimento di informazioni da un soggetto (la fonte, l’emittente) ad un altro (il ricevente, il destinatario) per mezzo di veicoli di varia natura: ottici, acustici, elettrici, idraulici ecc 3. quando due o più soggetti giungono a condividere i medesimi significati 4. È quella assimilabile allo schema stimolo risposta, dove ogni comportamento di un essere vivente che ne influenza un altro rappresenta una forma di comunicazione 5. Si riferisce allo scambio di valori sociali che si effettua secondo regole prestabilite: infatti con riferimento esclusivo alle società umane, si definisce comunicazione qualsiasi scambio di valori sociali condotto secondo determinate regole 6. La formazione di un’unità sociale a partire da individui singoli, mediante l’uso di un linguaggio o di segni o anche l’avere in comune elementi di comportamento, o modi di vita, grazie all’esistenza di insiemi di regole I campi di studio: Sintassi: inerente i problemi relativi alla trasmissione dell’informazione (codifica, canali, rumori, ecc.) Semantica: inerente il valore e i significati simbolici dei messaggi Pragmatica: campo di studio comportamentale che studia l’interdipendenza tra individui ed ambiente in relazione alle specifiche modalità di scambio comunicativo interpersonale e l’influenza che la comunicazione ha sui comportamenti. Gli approcci teorici: 1. Matematico cibernetico 2. Semiotico 3. Ermeneutico 4. Pragmatico 5. Semio-pragmatico 6. Pragmatico-relazionale 7. Psicologico-relazionale 8. Sociologico Matematico cibernetico Nell’ambito di questo approccio viene formulata la teoria dell’informazione, di carattere ingegneristico, ( C. Shannon e W. Weaver) ed ha principalmente analizzato l’invio e il trasporto delle informazioni. Semiotico La semiotica si occupa di segni. Il processo di significazione è la capacità di generare significati ed implica la capacità di un messaggio di essere dotato di senso Ermeneutico 51 L’ermeneutica è la comunicazione assunta come interpretazione. Si comprende il dettaglio partendo dall’intero, costituito da un atto di comprensione intuitiva e autoreferenziale Pragmatico La pragmatica si occupa dei rapporti che intercorrono tra un testo e il suo contesto Si prendono in considerazione i processi impliciti della comunicazione, è dal contesto che si può inferire ciò che il testo non dice. Semio-pragmatico La prospettiva semio-pragmatica traccia una distinzione nella comunicazione tra significato naturale e convenzionale, dove quest’ultimo è dato dal voler dire qualcosa da parte del parlante a qualcun altro. All’intenzionalità informativa viene aggiunta quindi l’intenzionalità comunicativa Pragmatico-relazionale La Scuola di Palo Alto è l’esponente di questo approccio. In linea con la pragmatica sostiene che comunicazione e comportamento sono sinonimi. Ne deriva l’assioma “non si può non comunicare” L’innovazione risiede nel definire la comunicazione come dialogo, e quindi come “processo di interazione tra le diverse persone che stanno comunicando” (Watzlawick 1971) Psicologico-relazionale Principale esponente: Bateson. Questi ha sottolineato come gli individui attraverso la comunicazione giocano la propria identità; Tramite la comuni-cazione si definisce la relazione interpersonale e si definisce il sé e l’altro. Sociologico In ambito sociologico, la comunicazione si regge sullo scambio di simboli, “il cui significato è appreso nel corso del processo di socializzazione e di inculturazione specifico di una cultura” (Reimann, 1982) In sociologia della comunicazione il principale presupposto a cui si fa riferimento è quello della costruzione sociale della realtà. Due scuole di pensiero risolvono diversamente l’interrogativo: La comunicazione è un fenomeno intenzionale? 1) La comunicazione è sempre un fenomeno intenzionale con scopi strumentali: indurre una risposta negli altri Esempio: Miller e Steinberg (1975): intenzione di comunicare e influenzare sono sinonimi 2) La comunicazione va oltre l’intenzionalità di chi lo attua Modello pragmatico della comunicazione (Watzlavick et al. 1976): ogni comportamento in una interazione fornisce informazione sull’ambiente e sulla relazione fra gli attori Shannon e Weaver: comunicazione = tutti i processi attraverso i quali una mente ne influenza un’altra (linguaggio scritto, parlato, teatro..) Burgoon e coll. (1994): propongono una posizione intermedia tra le due scuole di pensiero che considera sia l’intenzionalità degli interlocutori sia la percezione di tale intenzionalità Fonte non ha intenzione di Fonte ha intenzione di comunicare comunicare A. Comunicazione B. Comunicazione attribuita Ricevente percepisce una intenzione di comunicare Ricevente non percepisce una intenzione di comunicare C. Tentativo di comunicazione D. Comportamento Il modello di Shannon e Weaver (1949) mira a descrivere la struttura e le funzioni della comunicazione Le componenti sono: 52 • Una fonte traduce un pensiero in un codice che lo rende messaggio • Il messaggio viene veicolato da un canale • Il ricevente retrotraduce il codice in pensiero (decodifica) • Rumore fisico (interferenze) o rumore psicologico (stati mentali) Un evoluzione del modello porta ad ampliare l’elenco delle componenti a 10: 1. Emittente 6. Decodifica 2. Destinatario 7. Risposta 3. Canale 8. Feedback 4. Messaggio 9. Campo d’esperienza 5. Codifica 10. Rumore Vi sono due sistemi di Comunicazione 1. Comunicazione verbale: le parole e le frasi, con il loro contenuto sintattico e semantico 2. Comunicazione Non-Verbale: § Comunicazione paraverbale: il modo in cui emettiamo le parole (tono, volume, timbro di voce, ritmo) § Comunicazione non-verbale: è il linguaggio del corpo, l’insieme dei gesti, posture, contatto visivo e molto altro Sistema verbale: La scelta dei termini, la declinazione del verbo, l’uso di avverbi e la costruzione della sintassi permettono di rendere chiaro il messaggio, ovvero il senso che vogliamo dare alle nostre parole. Ogni messaggio trasmesso è portatore di un senso Il linguaggio è un codice simbolico: § Accomuna tutte le società umane § Le differenzia da quelle non umane § È un codice governato da regole (grammatica, sintassi, semantica) Le parole sono segni. I segni hanno due livelli di significazione: 1. un valore denotativo (significato)(l’oggetto cui la parole si riferisce) 2. un valore connotativo (significante)(quell’insieme di significati e valori aggiunti di cui il segno è simultaneamente portatore in una determinata cultura Nel sistema verbale occorre prestare attenzione a: § Alla denotazione. Nella lingua italiana non sempre è univoca. § Alla scelta dei segni, al loro significato connotativo. Non sempre è condiviso tra i due interlocutori. § Alla semantica e sintassi: la posizione di una parola in una frase, così come di un’icona su uno sfondo, è di per sé sufficiente ad attribuirgli un determinato senso anziché un altro. § Al contesto. Il modo in cui si contestualizzano i contenuti crea un forte punto di vista che guida l’interlocutore verso l’interpretazione del messaggio. Il modello delle categorie linguistiche (Semin 2000): § Linguaggio è un mediatore tra cognizione e realtà § Oltre al contenuto, il linguaggio ha proprietà strutturali in grado di influenzare gli altri § Gli autori rilevano 4 categorie linguistiche 1) Verbi descrittivi di azione (DAV) 53 2) Verbi interpretativi di azione (IAV) 3) Verbi di stato (SV) 4) Aggettivi (ADJ) VERBI ESEMPI DAV A schiaffeggia B CARATTERISTICHE • • • • IAV A perseguita B § § § SV A odia B § § ADJ B è violento § § Fa riferimento a un singolo evento Fa riferimento a un contesto specifico È essenziale alla comprensione della frase Descrive oggettivamente un comportamento osservabile Si riferiscono a un singolo evento Si riferiscono a un contesto specifico Non sono essenziali alla comprensione della frase Si riferiscono a stati psicologici Danno adito a interpretazione del comportamento Si riferiscono a tratti e disposizioni di personalità Non fanno riferimento a situazioni o contesti CRITERI DI CLASSIFICAZIONE § § § § § § § § § § § § Fanno riferimento ad una attività specifica Implicano una caratteristica fisica invariante Hanno inizio e fine precisi Non hanno connotazioni positive o negative Fanno riferimento a categorie generali di comportamento Hanno inizio e fine ben precisi Hanno connotazione positiva o negativa Si riferiscono a stati mentali ed emotivi Non hanno un inizio e una fine Hanno connotazione positiva o negativa Danno descrizioni valutative e durature delle caratteristiche della personalità Non sono legati a una situazione specifica Sistema non verbale Comunicazione non verbale a) Segnali paralinguistici b) Espressioni del volto (mimica) c) Comportamento spaziale (prossemica) a) Segnali paralinguistici - Tono, intensità, sottolineature = informazioni su sesso, età - Vocalizzi, colpi di tosse, riso, pianto = informazioni su stati d’animo regolano i turni di parola b) Espressioni del volto: espressione di emozioni e atteggiamenti Esistono regole culturali per il controllo delle espressioni Esempio : Regole che sanciscono la durata del contatto visivo: più il partner è intimo maggiore è la durata dello sguardo c) Comportamento spaziale: posizione del corpo, contatto fisico, gesti È la comunicazione più primitiva e precede l’apprendimento del linguaggio I comportamenti spaziali sono influenzati da: • Fattori culturali • Differenze di status • Differenze di genere Fattori culturali (Hall, 1964) § Culture di contatto = stile di comunicazione tattile e olfattive § Culture non di contatto = stile di comunicazione visiva Differenze di status § È più probabile che persone di status superiore sfiorino quelle di status inferiore Differenze di genere § È più probabile che un uomo sfiori una donna del contrario 54 Prossemica: distanza tra gli interlocutori Regola il grado di intimità tra le persone Secondo Hall (1966) ci sono 4 zone di distanza progressiva a seconda del livello di intimità: • zona intima: occupata tra persone in relazione molto stretta • zona personale: distanza tra due interlocutori • zona sociale: occupata da un gruppo di persone che comunicano • zona pubblica: separa un interlocutore dal suo pubblico Anche la distanza interpersonale varia in funzione di: • fattori culturali • età • Genere Gesti: simboli che si esprimono nello spazio discorsivo comune agli interlocutori. Argyle (1975) distingue tra: • Gesti illusori e altri segnali correlati al linguaggio (indice che indica la direzione) • Segni convenzionali e linguaggio dei segni (pollice verso l’alto) • Movimenti che esprimono stati emotivi e atteggiamenti interpersonali (sfregarsi le mani) • Movimenti che esprimono la personalità e lo stile personale • Movimenti usati come rituali e nelle cerimonie (stingersi la mano destra quando ci si presenta) Precisato che il valore della comunicazione verbale incide in misura minoritaria rispetto a quella non-verbale negli scambi comunicativi, si riconosce alla comunicazione non verbale le seguenti importanti funzioni: • Funzione chiarificatrice: riduce l’ambiguità del linguaggio • Fornisce informazioni sugli stati d’animo e sugli atteggiamenti degli interlocutori • Definisce il tipo di relazione che intercorre fra i parlanti: grado di intimità • Regola l’avvicendarsi dei turni di parola • Permette agli individui di presentare se stessi La comunicazione cooperativa è una conversazione nella quale gli attori sociali riconoscono almeno uno scopo comune o insieme di scopi comuni. La comunicazione è coordinata da regole implicitamente riconosciute dai partecipanti che se ne servono per interpretare l’interazione e il contenuto della comunicazione. Autori di riferimento: - Grice (1975) - Giglione (1986) Secondo Grice (1975) le regole proprie della comunicazione cooperativa sono: : - Massima di quantità: dare l’informazione necessaria - Massima di qualità: presunzione di verità, si presuppone che la probabilità che gli altri dicano cose vere (o che le ritengano tali) sia superiore della probabilità che dicano il falso - Massima di relazione: l’informazione deve essere pertinente - Massima di modo: essere brevi, ordinati nell’esposizione e non prolissi Ghiglione analizza la comunicazione cooperativa secondo un approccio psico-socio-pragmatico I soggetti che interagiscono in una comunicazione cooperativa agiscono in qualità di: - intralocutori: detentori di conoscenze, credenze, atteggiamenti, ruoli, ecc. - Interlocutori: attore coinvolto in una interazione. 55 Modello della comunicazione cooperativa è definisce questa comunicazione in termini di contratto il quale si basa su due principi fondamentali: - Condivisione di regole - Negoziazione di scopi Le regole del contratto sono schematizzate in: • Principio di pertinenza: è il riconoscimento delle competenze necessarie per lo svolgimento dello scambio comunicativo • Principio di coerenza: gli attori sociali riconoscono di funzionare secondo regole simili • Principio di reciprocità: gli interlocutori si riconoscono a vicenda il diritto di entrare in comunicazione • Principio di influenza: lo scambio comunicativo è portatore di poste in gioco e costruzione della realtà. La comunicazione presuppone la presenza di una certa competenza comunicativa perché: § È un’attività sociale congiunta e coordinata § Implica sia l’acquisizione del linguaggio sia le competenze necessarie per usarlo: - norme che regolano le espressioni verbali e non verbali - regole che governano l’interazione § Implica la gestione del controllo § Implica l’uso di risorse disponibili § Implica il mantenimento dell’equilibrio fra i vari sistemi coinvolti 56 AGGRESSIVITÀ E ALTRUISMO Dal testo Palmonari – Cavazza - Rubini: pag.177-201 (cap.6) Dal testo Patrizi – De Gregorio: pag 156-180 (cap. 5) Storr (1968) definisce l’aggressività una parola-valigia, “entro la quale si può mettere di tutto” L’aggressività è un fenomeno poli-dimensionale, è caratterizzata da diversi processi emotivi e cognitivi che inducono a differenti tipi di condotta aggressiva. Aggessivity o aggresiviness ≠ aggrssion Aggressività ≠ comportamento agressivo Aggressività = tendenza costante ad un’azione o reazione aggressiva Aggressioni = § Azioni dirette a danneggiare direttamente o indirettamente un individuo della propria specie (Merz, 1965); § Meccanismi interni o esterni che producono un danno, sia che si tratti di un danno fantasticato, progettato o realizzato (Becker, 1969). Queste definizioni comportano la necessità di appurare l’intenzionalità di un atto, prima di definirlo aggressivo. Infatti, un comportamento apparentemente aggressivo può in realtà avere motivazioni diverse dal desiderio di danneggiare altri. Occorre distinguere i comportamenti aggressivi nel seguente modo: § attivi vs. passivi: sebbene i primi siano più eclatanti, anche i secondi (ad esempio, non aiutare un compagno in difficoltà) possono produrre danni rilevanti. Non a caso, le più recenti ed innovative proposte educative (apprendimento cooperativo e prosocialità) sottolineano l’importanza d’insegnare a bambini ed a ragazzi ad aiutare i propri compagni; § diretti vs. indiretti: nel primo caso, c’è un contatto non mediato (di tipo corporeo o visivo) tra le persone. Nel secondo caso, invece, non si verifica un contatto diretto, come avviene, ad esempio, nelle maldicenze; § autodiretti vs. eterodiretti: è opportuno mantenere distinti i comportamenti aggressivi diretti contro terzi da quelli rivolti a se stessi, in quanto le cause ed i fattori di mantenimento possono essere radicalmente diversi. La pervasività dei comportamenti aggressivi ha portato ad una proliferazione di teorie interpretative, che tuttavia mancano spesso di solide basi scientifiche. § Teorie innatistiche: l’etologia e la psicanalisi; § Teorie della frustrazione § Teorie situazionali § Il modello del condizionamento operante § Il modello cognitivo-comportamentale § Teoria apprendimento sociale: Il modeling § Teoria dell’obbedienza all’autorità § Teoria della deindividuazione (dal testo Patrizi-DeGregorio) § Teoria della norma emergente (dal testo Patrizi-DeGregorio) Teorie innatistiche Nel corso del XX secolo, si sono sviluppate teorie che vedono il comportamento aggressivo come il risultato di istinti innati. I due riferimenti fondamentali sono la psicoanalisi di Freud e l’etologia di Lorenz. 57 In entrambi i casi si postulano delle innate pulsioni aggressive, responsabili delle più diverse forme di etero ed autoaggressività, dai piccoli atti autolesionistici fino alle guerre mondiali. Tuttavia, esse mancano completamente prove empiriche o sperimentali in grado di avallare l’idea di un uomo naturalmente aggressivo (ipotesi che, d’altro canto, viene ampiamente smentita dai più recenti studi sulla prosocialità). Inoltre, l’assunzione di un’aggressività come tratto immutabile della costituzione umana implica rinunciare, fin dall’inizio, a qualsiasi intervento di tipo educativo o riabilitativo. In definitiva, gli approcci innatistici mostrano al contempo la loro inconsistenza scientifica e la loro inutilità operativa. Teoria etologica di Lorenz (1969) Studiando il comportamento aggressivo, in molte specie animali, attribuisce l’origine all’istinto. L’aggressività è una pulsione che si carica per forza endogena e che, raggiunto un certo livello d’intensità, spingerebbe l’organismo in circostanze nelle quali può essere soddisfatta. Ha la funzione di aiutare la specie nella sopravvivenza. Può essere intraspecifica (quando si attua tra membri della stessa specie) ed intraspecifica (tra membri di diversa specie). Si distinguono 3 specifiche funzioni: - Finalità evoluzionistiche - Lotta per il territorio - Principio organizzativo, ordinatorio Logica del modello idraulico: Lorenz sostiene che l’aggressività non si può eliminare ma si può cercare di incanalarla e dirigerla verso forme di scarica non pericolose come attività sportive, artistiche… Catarsi: “Il manifestarsi di un qualsiasi atto aggressivo riduce l’istigazione all’aggressività stessa”. Questo meccanismo Scarica l’energia aggressiva prodotta dalla frustrazione e Provoca una diminuzione della tendenza ad altre risposte aggressive Critiche: - Unilateralità e rigidità - Non scientificità - Mera registrazione dell’evidenza Teoria psicanalitica di Freud (1969) Il concetto di aggressività in Freud si è sviluppato in 3 momenti: 1°: è un aspetto della pulsione sessuale (libido) 2°: è uno strumento all’autoconservazione e all’ampliamento dell’Io 3°: l’uomo si caratterizza per la presenza di 2 istinti, uno teso verso il piacere (Eros), l’altro verso la distruzione (Thanatos) Per evitare l’autodistruzione, l’energia distruttiva che deriva dal secondo istinto va allontanata dall’individuo, indirizzandola verso l’esterno. E. Fromm, altro psicanalista, si distingue da Freud distinguendo: - Aggressività benigna, ha base biologica, serve all’uomo per difendere i propri interessi, ed è una reazione innata; - Aggressività maligna, ha la sia radice nella struttura caratteriale dell’uomo, ha dunque origine sociale e può trasformarsi in distruttività. Teoria della frustrazione di Dollard e Miller (1939) I due autori in questione hanno ipotizzato uno stato di frustrazione come base per lo sviluppo di atteggiamenti aggressivi. In altre parole, la persona vivrebbe uno stato di tensione, causato da una situazione frustrante. 2 diverse situazioni frustranti: 58 1. la persona non riesce a raggiungere obiettivi importanti, a causa di una serie di ostacoli di diversa natura; 2. vengono fatte delle promesse alla persona, senza che poi vengano mantenute. Quella di Dollard e Miller è una delle prime teorie sull’aggressività supportata da rilevanti dati empirici e sperimentali. Gli esperimenti hanno dimostrato che: La frustrazione induce all’aggressività solo se sin da bambini è stata appresa come risposta tipica e dominante ad un aumento di tensione Teoria situazionale di Berkowitz (1967) Adesione di massima all’ipotesi originaria “Frustrazione-Aggressività”, tuttavia non accetta l’universalità del rapporto. Propone una versione riveduta dell’ipotesi frustrazione aggressività Tra i concetti di frustrazione e aggressività introduce Variabili intervenienti: Condizioni o Stimoli ambientali appropriate per l’aggressività. La reazione emotiva che segue la frustrazione non provoca direttamente aggressività ma solo una disposizione favorevole (Arausal). Questa disposizione all’aggressività si traduce in veri e propri atti aggressivi solo se si associa con: § un’abitudine all’aggressione appresa attraverso l’dentificazione con modelli aggressivi (teoria dell’apprendimento sociale di Bandura); § stimoli appropriati che riattivano precedenti abitudini aggressive rimaste fino a quel momento inoperanti. Modello condizionamento-operante (l’approccio comportamentista). Una risposta aggressiva emessa dal soggetto può essere mantenuta come stile abituale d’interazione, nel momento in cui permette di raggiungere un obiettivo desiderato. In questo senso, allora, molti comportamenti aggressivi vengono rinforzati (più o meno consapevolmente) dall’ambiente di vita del soggetto: - in primo luogo, è possibile che l’atto aggressivo del soggetto procuri direttamente una conseguenza premiante. Ad esempio, un bambino, mostrandosi aggressivo verso un compagno, ottiene da quest’ultimo un giocattolo gradito; - in secondo luogo, il comportamento aggressivo può essere rinforzato, nella misura in cui permette di evitare una conseguenza sgradita. Così, ad esempio, l’aggressività verbale del bambino potrebbe indurre l’insegnante a rinunciare ad assegnargli un particolare compito. Chiaramente, il bambino avrà appreso in tal modo un’ottima strategia per evitare incarichi indesiderati. Modello cognitivo-comportamentale di Ferguson e Rule (1983) In quest’ottica la condotta aggressiva si configura propriamente come una condotta interpersonale e sociale: fa parte di una strategia di adattamento e di una rete di significati e di norme sociali che ne regolano l’innesco, le espressioni e le risonanze interne. L’aggressività è frutto di un processo di categorizzazione, di attribuzione, di gestione dell’immagine di sé. Un comportamento aggressivo può essere provocato non solo da situazioni frustranti, ma anche da situazioni generalmente avversive o, addirittura, non avversive. Si pensi, ad esempio, a tutti gli atti di aggressività premeditati con freddezza, al fine di raggiungere un obiettivo desiderato. Questo permette di comprendere quegli atteggiamenti aggressivi reiterati nel tempo, proprio perché in passato rinforzati dall’ambiente e, quindi, visti dal soggetto come un ottimo mezzo per raggiungere i propri fini. Il contributo fondamentale di quest’approccio cognitivo-comportamentale, però, è stato quello di ipotizzare una serie di fattori intrinseci al soggetto, che possono mediare tra situazione 59 potenzialmente elicitante ed atto aggressivo. Questo permette di spiegare perché persone diverse reagiscono in modo differente alla stessa situazione: - da un lato, infatti, il soggetto può esercitare un adeguato livello di auto-controllo sulle risposte emozionali e comportamentali. In altre parole, di fronte ad una situazione potenzialmente aversiva, la persona può riuscire a controllare e mitigare il proprio stato di tensione; - dall’altro lato, nel corso dello sviluppo, il soggetto può aver imparato strategie alternative a quella aggressiva. Ad esempio, di fronte ad una situazione frustrante, invece di essere travolto dalla collera, il soggetto potrebbe ricorrere a strategie razionali di problem-solving. Ovviamente, più la persona presenta una serie di abilità in questi due ambiti, minori sono le possibilità di scatenare risposte aggressive Teoria dell’apprendimento sociale di Bandura (1961, 1963) L’apprendimento di condotte aggressive avviene soprattutto attraverso l’osservazione di modelli. Ad esempio, nel corso dell’infanzia, la presenza di genitori o di insegnanti incapaci a controllare la propria collera può costituire una condizione rilevante per lo sviluppo di condotte aggressive nel bambino. Inoltre, la possibilità d’imitare il modello è potenziata nel momento in cui osserviamo che il comportamento aggressivo permette di ottenere dei vantaggi (rinforzo vicario). Teoria dell’obbedienza di Milgram (1963) ll comportamento aggressivo può essere indotto per mera obbedienza. L’Obbedienza è una particolare forma di conformità che si esplicita quando tra la fonte di influenza e il bersaglio vi è una differenza di tipo qualitativo (differenza di status) Sulla base dell’autorità che gli è riconosciuta un individuo esercita in modo esplicito e diretto una pressione su altri individui. Comportamenti di obbedienza: esito delle pressioni esercitate dal contesto e dalle situazioni in cui le persone agiscono Stato eteronomico: stato mentale che dispone un individuo a orientare il proprio comportamento secondo le disposizioni date da qualcuno di status superiore à Non responsabile di ciò che fa, ma percezione di essere uno strumento che esegue ordini impartiti da altri. Variabili intervenienti: § vicinanza fra soggetto sperimentale e vittima § vicinanza fra soggetto sperimentale e ricercatore (autorità) Condizioni che favoriscono l’obbedienza: § Legittimità dell’autorità § Adesione al sistema di autorità § Pressione sociale Teoria della deindividuazione di Zimbardo (1971-2007) Il ricercatore attraverso una serie di esperimenti, il più noto dei quali condotto presso l’università di Stanford, studia l’innesco di modelli comportamentali aggressivi indotti da: - Dinamiche di gruppo (senso di appartenenza, distinzione ingroup-outgroup, norme di gruppo, diffusione di responsabilità) - Elementi situazionali: anonimato, ridotta prospettiva temporale, contesto elicitante violenza. La teoria della deindividuazione spiega l’aggressività in termini di riduzione del controllo sul comportamento individuale indotto dai fattori sopraindicati. Un soggetto per il solo fatto di essere inserito all’interno di un gruppo la cui norma condivisa è quella dell’aggressività riduce fino ad annullare l’autopresentazione e la responsabilità delle proprie azioni dando vita all’effetto lucifero. Il modello viene ripreso da Turner e Killiman nella teoria della norma emergente (1972). 60 Altruismo L’altruismo è un aspetto cruciale della vita di relazione. L’altruismo è l’azione che un individuo può compiere a vantaggio di una o più persone senza aspettarsi alcuna ricompensa esterna concreta. Comportamento prosociale: è un’azione compiuta al fine di beneficiare un’altra persona. Altruismo: è il desiderio di aiutare un’altra persona anche se comporta un costo personale e senza l’aspettativa di ottenere qualcosa in cambio. Tuttavia non è sempre chiaro e univoco il modo in cui un comportamento altruistico viene interpretata dai soggetti coinvolti. Occorre distinguere tra: 1) altruismo altruistico dettato esclusivamente dalla motivazione di aiutare l’altro 2) altruismo egoistico quando sono presenti motivazioni “altre”, come l’ aspirazione a farsi riconoscere come uno altruista, il desiderio di visibilità, il ritorno d’immagine Modelli teorici: - Modello biologico-evoluzionistico - Teorie di personalità o individualistico - Teoria dell’altruismo reciproco o interpersonale - Teoria dell’apprendimento sociale - Teoria dello sviluppo cognitivo - teorie dei sistemi sociali Psicologia evoluzionistica: settore della psicologia che cerca di spiegare il comportamento sociale sulla base di principi evoluzionistici (ad es. principio della selezione naturale). Darwin: l’altruismo non è coerente con il principio della selezione naturale. Hamilton (1964) sosteneva che si può parlare di altruismo geneticamente fondato, se lo si intende basato su un meccanismo attraverso il quale il patrimonio genetico cerca di conservarsi e moltiplicarsi attraverso soggetti consanguinei (figli, fratelli, nipoti, ecc.), così che i geni buoni si accumulino di generazione in generazione (selezione di parentela) Burnestein, Crandall e Kitayama (1994) dimostrano sperimentalmente che le persone tendono ad aiutare con più probabilità coloro con cui è più stretta la parentela e solo quando la loro vita è direttamente minacciata Probabile si verifichi condotta altruistica se: § è a vantaggio di un individuo legato da stretto grado di parentela con il benefattore (alta comunanza di geni); § prezzo pagato da chi si sacrifica è ripagato dal beneficio complessivo per la conservazione dello stesso patrimonio genetico nella generazione successiva Ma: non previsti e non spiegati atti altruistici verso persone con cui non si hanno legami di parentela Teorie di personalità o individualista: Secondo alcune ricerche, la personalità altruistica sarebbe associata a tratti di personalità come: alta stima di sé, alta competenza morale, locus of control interno, basso bisogno di approvazione esterna, forte senso di responsabilità sociale, stabilità delle credenze nel mondo giusto Penner e al. (1995) hanno distinto due fattori: “empatia verso gli altri” e “propensione all’aiuto” Secondo altri studi, il fattore che meglio permette di predire il comportamento di aiuto è la percezione della propria efficacia Critiche: - La dimensione di personalità spesso non è sufficiente per prevedere la messa in atto di comportamenti altruistici; è necessario considerare anche altri livelli, quali ad esempio le caratteristiche del 61 Teoria dell’altruismo reciproco (Trivers, 1971): atto altruistico verso chi non è legato da vincoli di parentela è selezionato se: § comporta un danno per il benefattore più basso del beneficio che ricava chi viene aiutato § ci sono particolari condizioni che rendono probabile che il benefattore, o suoi successori, possano a loro volta essere oggetto di comportamenti altruistici da parte di chi è aiutato Aiutare gli altri può avere dei vantaggi: § probabilità di essere ricambiati § sollievo § approvazione sociale, autostima. Ma se vi sono costi alti, la probabilità di aiuto diminuisce Teoria dell’apprendimento sociale Secondo l’approccio di Bandura l’attenzione viene posta sulle variabili ambientali e relazionali e sullo studio dei processi alla base dell’assimilazione delle norme sociali Forme di comportamento pro-sociale: apprese osservando o imitando modelli del contesto sociale (es. genitori o altri adulti significativi) e rappresentano l’esito di rinforzi diretti Teoria dello sviluppo cognitivo (Kohlberg, 1973): studia strutturazione del pensiero e modo in cui il ragionamento si organizza Strutture cognitive non statiche, attraversano una serie di stadi sequenziali e si modificano, costituendo dei processi tesi a comprendere e attribuire significato a ciò che accade nel contesto sociale Bambini costruiscono proprie norme attraverso esperienze personali. No accettazione passiva di norme stabilite dall’esterno Rinforzo, modellamento e imitazione modelli à input rielaborati cognitivamente e inseriti in sistemi di idee organizzati, che guidano elaborazione di informazioni successive e orientano il comportamento sociale Strutture cognitive fondamentali per sviluppo morale. No unico e univoco processo di interiorizzazione: livelli cognitivi che bambini e adulti sviluppano si trasformano ripetutamente nel corso della vita Variabili situazionali: • L’intervento di soccorso a qualcuno in difficoltà è molto più probabile se l’individuo ritiene di essere l’unica persona presente nella situazione • La numerosità dei presenti influisce sulla decisione di aiutare: più sono le persone che assistono alla richiesta di aiuto, minore è la probabilità che l’individuo intervenga in soccorso della “vittima” • Interpretazione in termini di diffusione della responsabilità: non potendo osservare i comportamenti reciproci, ciascuna delle persone presenti finisce per pensare che qualcun altro abbia già provveduto al soccorso Teorie dei sistemi sociali L’altruismo è inteso come azione elicitata da un contesto normativo caratterizzato da doveri di reciprocità. Concetti rilevanti secondo tale approccio sono: - Aspettativa di reciprocità - norma di autosufficienza - giustizia sociale Il riferimento alle cornici normative implica una forte dipendenza dal contesto specifico in cui gli eventi avvengono e l’attivazione dei seguenti elementi: - Processi cognitivi 62 - Aspetti prettamente psicologico-sociale - Relazionali - Normativi L’esperimento di “Kitty Genovese” condotto da Bierhoff evidenza le ragioni del mancato intervento d’aiuto che egli individua in: - diffusione di responsabilità, - ignoranza collettiva, - timore della valutazione Anche Bandura analizza i fenomeni di mancato intervento individuandone le cause nei concetti di: - Neutralizzazione della norma - disimpegno morale (vedi lezione sulla responsabilità diap.14) Considerati come meccanismi giustificatori NON necessariamente attivati successivamente all’azione di non aiuto per giustificare il proprio comportamento, MA anche ex-ante l’azione per modificare la rappresentazione della realtà e per ridurre la dissonanza con i criteri morali interiorizzati. Empatia EMPATIA: capacità di sentire come la persona si sente Hoffman (1975): Elementi caratterizzanti l’empatia sono la compassione, la tenerezza, la simpatia verso una persona in difficoltà A questi si aggiunge un processo cognitivo: l’osservatore assume la prospettiva dell’altro L’empatia rende più probabile l’attuazione di una risposta di aiuto Tuttavia, l’osservazione della sofferenza altrui può attivare due emozioni: - disagio personale - reale preoccupazione per l’altra persona Quale di queste emozioni motiva il comportamento di aiuto? Cialdini et al. (1973): Ipotesi del sollievo dallo stato negativo - I comportamenti di altruismo derivano da una motivazione fondamentalmente egoistica: rimuovere l’angoscia causata dall’osservazione della sofferenza altrui - La percezione di diffusione di responsabilità rende la fuga una risposta funzionale alla riduzione dell’angoscia Batson et al. (1989): Modello dell’empatia - altruismo - Se le persone percepiscono la vittima simile a sé, decidono di aiutarla anche se potrebbero sottrarsi alla vista delle sue sofferenze Critica di Cialdini et al. (1997): - Se la somiglianza percepita è forte, si crea un senso di unità interpersonale che causa una certa sovrapposizione sé - altro: risulta difficile distinguere motivazioni altruistiche ed egoistiche Quando si prova empatia? Empatia disposizionale o stabile o cronica: tendenza generalizzaa a percepire una forte somiglianza di atteggiamenti e a partecipare alle vicissitudini altrui. Empatia situazionale: evocata da situazioni specifiche. Si prendere la prospettiva della persona in stato di bisogno: § Indotta dalla situazione § Somiglianza (in diversi aspetti) § Affetto (relazioni di condivisione) Come incrementare i comportamenti prosociali? Fare leva su : § la norma della reciprocità. § Il senso di responsabilità sociale 63 § § il senso di giustizia i vantaggi personali dell’aiuto (autostima, etc.) Aumentare l’empatia: § somiglianza con la persona in stato di bisogno § mettersi nei panni dell’altro Per i casi di emergenza: § rendere consapevoli del ruolo delle condizioni sociali ed ambientali l’Umore Un altro concetto chiave per l’attivazione di un comportamento pro-sociale o altruistico è l’umore L’umore positivo può agire indirettamente sul comportamento attraverso la mediazione di altri processi psico-cognitivo: - interpretazione realtà in termini di equità - Arousal positivo - Stereotipizzazione del comportamento L’umore positivo induce comportamenti prosociali, e questi, a loro volta, rafforzano e perdurano l’umore positivo Anche l’umore negativo elicita comportamenti di aiuto: - Per lo stereotipo secondo cui “fare del bene fa star bene” - Per ridurre il senso di colpa che generalmente è alla base di un umore negativo - Per la teoria dello scambio sociale 64 GRUPPO Dal testo Palmonari – Cavazza - Rubini: pag. 203-230 (cap.7) In sociologia, si opera una distinzione tra i concetti di: Gruppo sociale: numero limitato di individui che interagiscono con regolarità Esempio: una famiglia, un circolo sportivo Aggregato: insieme di individui che si trovano nello stesso luogo e allo stesso momento, senza condividere un legame preciso Esempio: gli spettatori in una sala cinematografica Categoria sociale: raggruppamento statistico; insieme di individui che hanno una caratteristica comune Esempio: le donne; i vegetariani In psicologia, una definizione seminale è quella di Kurt Lewin (1948): Un gruppo è una totalità dinamica, cioè un’entità diversa (non superiore) rispetto alla somma degli individui che lo compongono Il criterio fondamentale per la definizione di gruppo è l’esistenza di interazione o altri tipi di interdipendenza fra gli individui che lo compongono; ad esempio, essi condividono uno scopo o un destino comune La somiglianza fra i componenti non è sufficiente a definire un gruppo Non c’è nessuna limitazione numerica Esempio: un insieme di persone con un obiettivo condiviso Principali criteri per poter parlare di “GRUPPO” nell’ottica della Psicologia sociale: 1. Le relazioni tra i membri: dirette o indirette, ma ugualmente pregnanti per il senso d’appartenenza. 2. La consapevolezza dei membri di far parte di quel determinato gruppo, cioè le persone hanno una percezione comune della loro identità e si definiscono come appartenenti a quel gruppo. 3. Le persone che si sentono parte di un gruppo sono definite anche dagli esterni come appartenenti a quel determinato gruppo. Vi sono sentimenti associati all’appartenenza, che generalmente sono di tipo positivo (soddisfazione, orgoglio) ma che possono includere anche connotazioni negative. 5. Il perseguimento di uno scopo comune, che crea interdipendenza fra gli individui e azioni coordinate in vista degli obiettivi. 6. I gruppi che durano nel tempo hanno una struttura interna. Un gruppo è tanto più gruppo quanto più possiede queste caratteristiche. Temi classici: § Sistema di status § I ruoli § Le norme di gruppo § Le reti di comunicazione § Il potere nel gruppo § La leadership Status Definizioni Si riferisce alla posizione occupata dall’individuo nel gruppo, unitamente alla valutazione di tale posizione in una scala di prestigio (Scilligo, 1973) Il pattern generale di influenza sociale fra i membri di un gruppo (Levine e Moreland, 1990) Uno status elevato è rivelato da due indicatori fondamentali: Tendenza a promuovere iniziative (idee ed attività) Consenso sulla valutazione del prestigio connesso alla posizione dell’individuo nel gruppo (Brown, 1988) 65 Le differenziazioni di status sono funzionali rispetto al bisogno di prevedibilità e ordine § Come si forma? - nel tempo sulla base di alcuni comportamenti; - da subito, “a pelle”; - sin dalle prime interazioni in funzioni delle aspettative. § Che funzione ha? - garantisce prevedibilità nelle relazioni; - costituisce un parametro di autovalutazione; - alimenta aspettative sulle proprie capacità. § A cosa bisogna prestare attenzione? - ai cambi di status; - all’adeguamento Metodi di studio dello status: § Osservazione dei comportamenti verbali e non verbali - Indicatori non verbali di status elevato: postura eretta, voce ferma, contatto visivo - Indicatori verbali di status elevato: turni di parola più lunghi, critiche, comandi, interruzioni frequenti degli interlocutori § Raccolta delle valutazioni dei membri del gruppo: - Ciascun appartenente al gruppo valuta gli altri in termini di popolarità, influenza, competenza - Come evidenziato da Sherif (1948) esiste una maggiore concordanza rispetto alle valutazioni dei livelli estremi della struttura gerarchica Come si produce un sistema di status? Due spiegazioni teoriche: § Teoria degli “stati di aspettativa” (Berger et al., 1980) Sin dai primi incontri, le persone si formano aspettative, in base alle caratteristiche personali esibite, rispetto al possibile contributo di ogni individuo al raggiungimento degli scopi di gruppo; le posizioni vengono attribuite in base a tali aspettative § Corrente etologica (Mazur, 1985) L’assegnazione di status avviene in base ad una distinzione iniziale fra ipotetici “vincitori” e “perdenti”, effettuata valutando la forza di ciascuno a partire da caratteristiche quali statura, muscolatura, espressione facciale Ruolo Definizioni: § Insieme di aspettative condivise circa il modo in cui dovrebbe comportarsi una persona che occupa una certa posizione e da parte di altri nei confronti della persona in questione Il ruolo è rivelato dal comportamento consueto messo in atto dal soggetto nel gruppo e assunto dagli altri membri nei suoi confronti § Quali sono generalmente i ruoli all’interno di un gruppo? - leader; - nuovo arrivato; - capro espiatorio; - clown; - invisibile; - bastian contrario. § Che funzione ha? 66 - permette il raggiungimento degli scopi del gruppo - garantisce ordine e prevedibilità; - definisce chi ciascuno è nel gruppo. § A cosa bisogna prestare attenzione? - ai conflitti (per assegnazione, per modalità di svolgimento) - alla reciprocità Conflitti legati al ruolo: § Conflitti a livello personale: - Incompatibilità fra ruolo giocato nel gruppo ed altri ruoli sociali - Assenza di motivazione a sostenere il ruolo § Conflitti a livello di gruppo: - Assenza di accordo nel gruppo rispetto alla persona che ricopre un determinato ruolo - Assenza di accordo rispetto al modo in cui un ruolo viene interpretato § Jackson e Schuler (1985): - i conflitti di ruolo nei gruppi di lavoro comportano un aumento della tensione e un decremento di produttività Norme Definizioni: § Le nome costituiscono aspettative condivise rispetto al modo in cui dovrebbero comportarsi i membri del gruppo (Levine e Moreland, 1990); riguardano un set di comportamenti e opinioni cui ci si aspetta che i membri si uniformino § Permettono di definire la “latitudine” entro la quale sono accettate le differenze individuali § Non hanno lo stesso carattere di obbligatorietà per tutti i membri: le persone di status elevato sono più vincolate alle norme centrali Che cosa succede a chi non rispetta le norme? § I devianti ricevono più comunicazioni; questo stato termina quando essi si riavvicinano alle opinioni della maggioranza. Se invece persistono nella posizione assunta, il gruppo finisce per abbandonarli a se stessi § Come si formano? - in modo istituzionale; - per negoziazione dell’intero team; - per generalizzazione di comportamenti in funzione dell’obiettivo del gruppo § Che funzione hanno? - avanzamento del gruppo - mantenimento; - definizione delle relazioni con l’ambiente sociale. § A cosa bisogna prestare attenzione? - al conformismo - al cambiamento A che cosa servono le norme? Cartwright e Zander (1968) individuano quattro funzioni: • Avanzamento del gruppo: le pressioni verso l’uniformità possono servire al raggiungimento degli obiettivi • Mantenimento del gruppo: alcune norme, come ad esempio le richieste per incontri regolari, permettono al gruppo di preservarsi • Costruzione della realtà sociale: formazione di una concezione comune della realtà sociale, utile per fronteggiare situazioni non familiari e come riferimento per l’autovalutazione individuale • Definizione dei rapporti con l’ambiente sociale: permettono di definire le relazioni con altri gruppi, organizzazioni, istituzioni, e stabilire quali gruppi siano “alleati” o “nemici” 67 Comunicazione Definizione: § Strumento necessario alla partecipazione sociale e alla co-costruzione della realtà sociale La Rete di comunicazione è l’insieme dei canali di comunicazione presente in un gruppo” § Quali sono le reti di comunicazione? - centralizzata o a ruota; - a catena; - a Y; - circolare § Che funzione ha? - rende possibile il passaggio di informazioni. § A cosa bisogna prestare attenzione? - eccesso vs penuria di canali; Tre correnti di studio sulle comunicazioni nei gruppi: § Bales e al. (1951): studiano le strutture di comunicazione nei gruppi di discussione; evidenziano che la quantità di comunicazioni date e ricevute riproduce la gerarchia di status Esempio: in una struttura centralizzata il leader riceve e trasmette più comunicazioni di tutti § Festinger (1950) e Schachter (1951): analizzano i processi comunicativi in rapporto ad altri fenomeni di gruppo. Esempio: studi sulle comunicazioni verso i devianti § Bavelas (1948) e Leavitt (1951): propongono un modello di descrizione delle reti di comunicazione che riprende l’idea lewiniana di rappresentazione del campo psicologico mediante mappe topologiche Due indici quantitativi per descrivere diversi tipi di rete: - Indice di distanza: il numero minimo di legami di comunicazione che un individuo deve attraversare per comunicare con un altro - Indice di centralità: la misura in cui un flusso di informazioni nel gruppo è centralizzato in una persona [Leavitt, 1951] Il tipo di rete di comunicazione influenza: § L’efficienza di gruppo nella risoluzione di compiti - La natura del compito è una variabile fondamentale: i gruppi centralizzati risolvono più rapidamente compiti semplici, i gruppi decentralizzati i compiti complessi § La soddisfazione o il morale dei membri del gruppo - Nelle reti decentralizzate il morale medio del gruppo è più elevato; nelle reti centralizzate la persona in posizione centrale è più soddisfatta. Critiche: Questi risultati, ottenuti con studi di laboratorio, sono applicabili per i gruppi naturali? Potere Definizioni: § Capacità di influenzare o di controllare altre persone (Levine e Moreland, 1990). § Secondo French e Raven (1959), il potere costituisce una influenza potenziale di O su P (French e Raven, 1959) E’ necessario tenere in considerazione il fatto che, nella realtà, il potere raramente deriva da un’unica fonte; le relazioni fra O e P sono caratterizzate da molte variabili, ciascuna delle quali può essere una base di potere. Forme del potere (French e Raven, 1959) § Il potere di ricompensa: si basa sull’abilità di O di dare o promettere ricompense, materiali o simboliche, a P 68 § Il potere coercitivo: la base del potere è nella minaccia o attuazione di sanzioni punitive di O su P § Il potere legittimo: P ha interiorizzato norme che stabiliscono che O ha il diritto legittimo di influenzare P, ad esempio in base a una designazione sociale (elezioni) § Il potere d’esempio: si basa sull’identificazione di P con O § Il potere di competenza: P ritiene O un esperto in un determinato ambito, ed ha fiducia che O dica la verità Critiche: la tipologia di French e Raven non considera né i rapporti economici, né le motivazioni di chi accetta la fonte di influenza Leadership Definizioni: § La leadership implica l’influenza di un membro del gruppo sugli altri (rispettivamente, leader e seguaci) in vista del raggiungimento degli obiettivi del gruppo (Hollander, 1985) § Il leader è colui che mostra più iniziativa nel dirigere, suggerire, consigliare, proporre idee rispetto agli altri membri del gruppo; occupa una posizione elevata nella gerarchia di status e ricopre una posizione centrale nella rete di comunicazione nel gruppo (Turner, 1991) § Moscovici (1976) propone una distinzione tra influenza e potere, in riferimento ai processi di influenza sociale minoritaria e maggioritaria: mentre la prima produce accettazione soggettiva, la seconda implica coercizione e acquiescenza pubblica Su cosa si basa la capacità di influenzare? 1. La teoria del “grande uomo” 2. lo studio delle diverse funzioni 3. l’approccio situazionista 1. La teoria del “grande uomo” § Esistono alcuni tratti di personalità che distinguono i leader dagli altri: un individuo con tali caratteristiche è un leader “naturale” indipendentemente dalla situazione § I tratti più tipici di un leader: propensione alla responsabilità ed alla esecuzione del compito, tenacia nel perseguire gli obiettivi, originalità nell’affrontare i problemi, tendenza a prendere l’iniziativa, fiducia in sé, capacità di tollerare le frustrazioni, abilità nell’influenzare gli altri… (Stodgill,1974) Critiche: I comportamenti delle persone variano a seconda delle situazioni ed i tratti non sono statici ma dinamici (Hollander, 1985) 2. Lo studio delle funzioni e dello stile di leader Bales e Slater (1955) distinguono due tipi di funzioni del leader: § Leader socioemozionale: presta attenzione ai sentimenti dei membri del gruppo; è teso ad assicurare armonia nel gruppo § Leader centrato sul compito:concentrato sulla realizzazione del compito e sull’organizzazione del lavoro di gruppo Secondo gli Autori, i due ruoli sono complementari, e difficilmente possono essere svolti dalla stessa persona § Critiche all’approccio situazionista: § trascura troppo le caratteristiche delle persone con ruoli di leader § la definizione della situazione (centrata sulle richieste relative al compito) è riduttiva e considera poco elementi importanti come la storia, la struttura, le risorse del gruppo 3. Approccio situazionista 69 Si fonda sull’idea che in situazioni diverse il leader deve assolvere funzioni diverse. Tale ruolo può quindi essere assunto da diversi membri del gruppo, caso per caso Esperimento di Carter e Nixon (1949): variando il tipo di compito, osservano che persone diverse emergono come leader Fattori situazionali collegati all’emergere di un leader: natura del compito; presenza nel gruppo di un membro con esperienza di leader, grandezza del gruppo, stabilità ambientale… Critiche all’approccio situazionista: § trascura troppo le caratteristiche delle persone con ruoli di leader § la definizione della situazione (centrata sulle richieste relative al compito) è riduttiva e considera poco elementi importanti come la storia, la struttura, le risorse del gruppo 4. Modello della contingenza (Fiedler, 1964) § Idea interazionista: l’efficienza del leader dipende dalla corrispondenza fra stile adottato e controllo della situazione Stile di leadership misurato mediante punteggio Lpc (Least Preferred Co-worker): descrizione su scale bipolari (collaborativo / non collaborativo; amichevole / ostile…) del collaboratore con cui la persona trova più difficile lavorare Alto Lpc = leader centrato sulle relazioni Basso Lpc = leader centrato sul compito Fattori presenti nella situazione: Qualità dei legami leader membri Livello di struttura del compito (es., chiarezza dello scopo) Potere del leader (es., controllo di sanzioni e premi) Le ricerche compiute sulla base del modello di Fiedler hanno evidenziato che le combinazioni efficaci di stile di leadership e situazione sono le seguenti Leadership centrata sulla relazione à Controllo moderato della situazione Leadership centrata sul compito à Controllo alto o basso della situazione Problemi: Il punteggio Lpc rimanda per alcuni aspetti ad una stabilità comportamentale del leader, che ricorda in parte le teorie dei tratti Modelli transazionali - Si centrano sulla relazione bidirezionale fra leader e membri del gruppo - Dinamica processuale: il leader può influenzare i membri del gruppo, e questi ultimi possono influenzare, con le loro aspettative e le loro richieste, il leader stesso. E’ perciò riconosciuto un ruolo più attivo dei membri del gruppo Esempio: Studio di Merei (1949) in una scuola materna. Bambini più grandi, introdotti in un gruppo esistente, divennero leader solo se prima di introdurre innovazioni di gioco furono capaci di adattarsi alle norme, al comportamento ed alle “tradizioni” del gruppo esistente. Teoria di Hollander (1978) La sequenza di adesione iniziale alle norme del gruppo e di successiva introduzione di idee nuove riveste un ruolo centrale Introduce la nozione di “credito idiosincratico”, che il leader deve conquistare nei contatti iniziali con il gruppo Quattro fonti di legittimità: - conformità iniziale alle norme di gruppo - essere stato scelto dal gruppo - competenza rispetto agli scopi del gruppo - adesione o “lealtà” alle norme di gruppo 70 Presa di decisione nei gruppi Dall’assunzione di rischio alla polarizzazione: Secondo il senso comune, i gruppi sono luogo di ricerca del compromesso: sono perciò poco efficaci nella presa di decisioni § Effetto di normalizzazione (Sherif,1935): le risposte di gruppo in una prova di giudizio tendono a concentrarsi attorno alla media dei giudizi individuali § Stoner (1961), sulla base di evidenze empiriche inattese, propone una posizione molto diversa: le decisioni prese in gruppo sono decisamente più rischiose delle decisioni che i singoli prenderebbero individualmente Decisione rischiosa = decisione in cui si mette in gioco qualcosa di acquisito, rischiando di perderlo, in vista dell’ottenimento di qualcosa di molto più rilevante Metodologia utilizzata da Stoner: Tre fasi Decisione individuale à Subito dopo, formazione di gruppi e decisione di gruppo à Nuova decisione individuale dopo alcune settimane Diffusione della responsabilità: discutendo con altri, un individuo si sente meno direttamente responsabile (Wallach, Kogan e Bem, 1964). Tuttavia, la stessa interpretazione era stata in precedenza avanzata per spiegare perché i gruppi appaiono conservatori nelle loro decisioni Familiarità: la discussione di gruppo aumenta la familiarità dei singoli rispetto a problemi delicati “Rischio come valore”: nel corso della discussione di gruppo, diventa saliente un valore proprio della cultura americana, ossia l’apprezzamento per chi sa correre dei rischi (Brown, 1965) Limiti riscontrati alla teoria di Stoner § Effetto “storia”: E’ possibile costruire storie che spingono a scelte orientate verso la cautela invece che verso il rischio § Ogni storia utilizzata mostra uno spostamento di intensità e direzione caratteristico § E’ possibile prevedere la direzione e l’intensità dello spostamento a partire dal pattern dei giudizi ottenuto nella fase di decisione individuale. Dopo la discussione di gruppo: - gli item con punteggio iniziale in favore del rischio mostrano uno spostamento consistente verso il rischio; - gli item con punteggio iniziale in favore della cautela mostrano invece uno spostamento consistente verso la cautela Effetto polarizzazione Moscovici e Zavalloni (1969): Gli effetti della discussione di gruppo sono limitati alle situazioni di assunzioni di rischio? O sono in rapporto ad un processo socio psicologico più ampio? Replica dello studio di Stoner, utilizzando un tradizionale questionario di atteggiamenti invece di dilemmi alla Stoner. Risultato: gli atteggiamenti del gruppo sono più estremi di quelli dei singoli individui che ne fanno parte. L’estremizzazione non è indifferenziata Polarizzazione degli atteggiamenti = incremento dato dal gruppo ad un orientamento già presente nei singoli componenti Cosa succede quando nei gruppi il conflitto è totalmente assente? Secondo Janis quando in un gruppo le discussioni e i disaccordi sono ridotti al minimo si crea un processo collusivo dello pensiero gruppale (group thiking) Analisi di decisioni “disastrose” prese da gruppi di esperti: ad es., il tentativo americano di invadere Cuba nel 1961 Caratteristiche del processo decisionale: § Forte coesione di gruppo § Isolamento del gruppo rispetto a informazioni esterne 71 § Pressione a decidere in tempi brevissimi § Quasi sempre, presenza di un leader molto direttivo Conseguenze: § Forti pressioni alla ricerca dell’accordo; autocensura; fiducia nella “moralità interna” del gruppo § Percezione di unanimità; decisione disastrosa 72 RELAZIONI INTER-GRUPPI Dal testo Palmonari – Cavazza - Rubini: pag. 233-267 (cap.8) Quali sono le caratteristiche del comportamento intergruppi? § Tajfel (1981): si può immaginare che comportamento interpersonale e comportamento intergruppi siano posti su un continuum teorico § Comportamento interpersonale: principalmente basato sulle caratteristiche individuali degli attori in interazione Esempio: rapporto tra innamorati § Comportamento intergruppi: principalmente basato sulle appartenenze a gruppi o categorie sociali degli attori in interazione Esempio: scontro fra combattenti di due eserciti opposti Comportamento intergruppi: prevarrà in presenza della credenza secondo cui i confini tra due gruppi sono rigidi: per modificare la propria condizione, l’individuo deve operare come membro del gruppo per perseguire un cambiamento sociale Comportamento interpersonale: prevarrà in presenza della credenza secondo cui i confini tra i gruppi sono permeabili: per modificare la propria condizione, l’individuo può passare da un gruppo all’altro. La percezione di una situazione sociale come rilevante per l’appartenenza di gruppo dipende - dalla consapevolezza di tale appartenenza - dall’ampiezza delle valutazioni positive e negative ad essa associate - dall’estensione dell’investimento emozionale ad essa associato La ricerca sul comportamento intergruppi si è focalizzata principalmente sulle cause che determinano il pregiudizio Esistono varie spiegazioni del pregiudizio e della discriminazione nei confronti di gruppi estranei. Questi possono dipendere: § da variabili di personalità (Adorno, 1950), § dalla competizione per uno stesso bene (Sherif, 1966), § per effetto del “destino comune” (Rabbie e Hirwitz, 1969), § dalla semplice appartenenza di gruppo (Tajfel, 1978). La personalità autoritaria. Secondo Adorno (1950), il pregiudizio nei confronti dell’outgroup dipende da caratteristiche di personalità. Traendo spunto dalle teorie psicoanalitiche, Adorno sostiene che l’ostilità verso alcuni gruppi dipende dal tipo di educazione ricevuto durante l’infanzia. Secondo questa prospettiva, quando i genitori sono troppo severi, il bambino svilupperebbe aggressività nei loro confronti. Non potendo palesare tale aggressività, per timore delle conseguenze, essa viene ridiretta nei confronti di persone più deboli o inferiori. Il risultato è una persona sottomessa all’autorità, e ostile nei confronti delle minoranze etniche. Partendo da questi presupposti Adorno creò la Scala-F, per rilevare le tendenze fasciste o democratiche delle persone. Gli individui che ottenevano alti punteggi sulla Scala-F avevano avuto un educazione rigida e conservatrice e manifestavano pregiudizio nei confronti di vari gruppi. Al contrario, chi otteneva bassi punteggi aveva avuto un educazione equilibrata e non manifestava alcun tipo di pregiudizio. Limiti: § Quando si focalizza la causa del pregiudizio su fattori di personalità di dimenticano i fattori socioculturali che, invece, sono molto rilevanti (perché mostrano pregiudizio sia persone con alti punteggi sia persone con bassi punteggi di autoritarismo?). 73 § § Le spiegazioni basate sulle differenze individuali non sono in grado di spiegare l’uniformità del pregiudizio (è possibile che un’intera popolazione abbia la stessa personalità?). Le spiegazioni basate sulle variabili di personalità non tengono conto della specificità storica del pregiudizio, ovvero non tengono conto dell’aumento del pregiudizio che si verifica in alcuni periodi storici (è possibile che di colpo tutte le famiglie abbiano cambiato il modo di educare i figli?) Teoria del conflitto realistico Secondo Sherif alla base de conflitti tra gruppi vi sono gli scopi conflittuali Nelle situazioni intergruppi, riveste molta importanza la natura degli scopi di due gruppi. § Quando gli scopi sono incompatibili, ovvero quando un gruppo per ottenere qualcosa deve farlo a scapito di un altro gruppo, si adotta un orientamento competitivo ed aumenta il pregiudizio e l’ostilità nei confronti dell’altro gruppo. § Quando gli scopi sono concordanti, ovvero quando i gruppi hanno bisogno l’uno dell’altro per raggiungerli, i due gruppi adottano un orientamento cooperativo e le relazioni tra i gruppi sono più armoniose. Il conflitto e pregiudizio, quindi, potrebbe dipendere dalla presenza di scopi incompatibili. La soluzione consiste quindi nell’eliminare questi scopi, sostituendoli con scopi cooperativi (Scopo sovraordinato) La teoria del conflitto realistico proposta da Sherif (1966) sostiene, appunto, che i conflitti tra i gruppi sorgano dalla competizione per le risorse. Gli atteggiamenti e il comportamento intergruppi riflettono gli interessi oggettivi del proprio gruppo nel confronto con gli altri gruppi. § § Quando gli interessi sono in conflitto, aumenteranno gli atteggiamenti negativi, il pregiudizio e la discriminazione. Quando gli interessi dei gruppi sono comuni, il comportamento dei due gruppi sarà più amichevole e cooperativo, e diminuirà il pregiudizio. Teporia del destino comune Rabbie e Horwitz (1969) ipotizzarono che la condizione essenziale di discriminazione intergruppi possa essere determinata dalla percezione di una interdipendenza nel destino dei membri del gruppo. Hanno analizzato il favoritismo per il proprio gruppo (ingroup bias) nel contesto dei gruppi minimi. Conflitto e pregiudizio tra gruppi per semplice appartenenza al gruppo come causa di pregiudizio § I gruppi minimi o gruppi minimali sono gruppi in cui la categorizzazione ingroup/outgroup viene effettuata in base ad un criterio debole. § Inoltre, tra i due gruppi mancano le condizioni che di solito sono associate al conflitto intergruppi (ad es., competizione per uno stesso bene che solo uno dei due gruppi può ottenere). L’appartenenza ad un gruppo produce ingroup bias quando tale appartenenza coincide con un’esperienza comune: La condivisione di un destino comune, da sola, può generare favoritismo per l’ingroup. Teoria della categorizzazione Tajfel e collaboratori minimizzarono ulteriormente le caratteristiche della situazione intergruppi. L’obiettivo era di definire le condizioni minime in cui un individuo effettua delle distinzioni tra il proprio gruppo di appartenenza e un altro gruppo. 74 L’ipotesi era che la semplice appartenenza di gruppo (senza conflitto o destino comune) avrebbe prodotto favoritismo per l’ingroup, la sola categorizzazione ingroup/outgroup avrebbe prodotto discriminazione La discriminazione outgroup per Tajfel: § non dipende da attrazione personale per i membri dell’ingroup § non dipende da precedenti ostilità tra i gruppi § non dipende dalla presenza di un conflitto di interessi tra i gruppi § non dipende dall’interesse personale § non dipende dalla presenza di un destino comune § La discriminazione è determinata dalla categorizzazione Tajfel concluse che la semplice categorizzazione ingroup/outgroup è sufficiente a creare discriminazione Critiche: § Ricerche condotte solo in laboratorio lontano da contesti di vita reali; § Situazione artificiosa; § I gruppi non sono tutti uguali, ma si differenziano in modo significativo; § Il funzionamento dei gruppi nel mondo reale non è paragonabile ai gruppi minimi; § Nel mondo reale quasi mai possiamo pensarci come membri di un solo gruppo per volta. § Alcune ricerche successive hanno evidenziato l’esistenza di un favoritismo per l’outgroup Spiegazioni della discriminazione nei gruppi minimi: 1. Ruolo delle norme La consapevolezza dei membri di appartenere ad un gruppo genera associazioni con squadre, il che rende saliente un tipo di norma competitiva Questa competitività non si manifesta del tutto perché nelle varie culture è saliente anche un’altra norma, la norma dell’imparzialità Critiche § Se si spiega il comportamento tramite le norme si dovrebbe essere in grado di prevedere in quali situazioni si adotta la norma competitiva e in quali si adotta la norma dell’imparzialità § Le spiegazioni di tipo normativo sono troppo generali non consentono di prevedere variazioni sistematiche che si possono osservare all’interno di una cultura 2. La categorizzazione L’individuo ha bisogno di organizzare l’ambiente in cui vive e lo fa tramite il processo di categorizzazione. Gli elementi del mondo fisico e sociale, quindi, vengono divisi in categorie in base alle loro somiglianza. Doise (1976) - Una conseguenza della categorizzazione è la differenziazione categoriale, processo tramite cui si massimizzano le differenze tra gli elementi che appartengono a gruppi diversi e si minimizzano le differenze tra gli elementi che appartengono allo stesso gruppo. Questo processo aiuta a discriminare i membri di una classe da chi non fa parte della stessa classe. Critiche: Anche la spiegazione basata sulla categorizzazione non è sufficiente. Essa non spiega, infatti, per quale motivo quando si differenzia lo si fa sempre a favore del proprio gruppo e mai dell’altro. Sviluppo della teoria dell’Identità Sociale (SCT) Abbandono dell’interpretazione normativa di Tajfel e al. (1971): è difficile spiegare perché l’introduzione di una divisione in gruppi attivi tali prescrizioni normative Elaborazione di un quadro teorico diverso: Il confronto intergruppi attiva negli appartenenti un bisogno di specificità positiva del proprio gruppo rispetto all’outgroup. Attraverso il raggiungimento di tale specificità positiva, il gruppo contribuisce a fornire ai suoi membri un’identità sociale positiva 75 Identità sociale: l’insieme degli aspetti del concetto di sé che derivano dall’appartenenza ad un gruppo Teoria dell’identità sociale di Taijfel (1978) Tajfel definisce l’identità sociale come “quella parte del concetto di sé di un individuo che deriva dalla consapevolezza di appartenere ad un gruppo (o gruppi) sociale unita al valore e al significato emotivo attribuito a tale appartenenza”. Dato che gli individui preferiscono avere un’immagine di sé positiva, piuttosto che negativa, e dato che una parte dell’immagine dell’individuo proviene dall’appartenenza di gruppo, ne deriva che gli individui preferiscono appartenere a gruppi valutati positivamente. Per giudicare il valore del proprio gruppo lo si confronta con altri gruppi L’esito di questi confronti è importante poiché influenza direttamente l’autostima delle persone. Per questo motivo si tende a distorcere il confronto, nel tentativo di creare una specificità o distintività positiva per il proprio gruppo, ovvero nel tentativo di differenziare positivamente il proprio gruppo dall’altro. Teoria della categorizzazione di Sé (SIT) (Turner et al., 1987) Obiettivo: spiegare gli antecedenti e le conseguenze della formazione psicologica di un gruppo, partendo dal processo cognitivo di categorizzazione Tre livelli fondamentali di categorizzazione di sé: livello sovraordinato: Sé come essere umano (identità umana) livello intermedio: Sé come membro di un gruppo (identità sociale) livello subordinato: Sé come individuo unico (identità personale) Conseguenze della categorizzazione di sé a livello intermedio: accentuazione del carattere prototipico e stereotipico del gruppo depersonalizzazione della percezione di sé, che comporta un incremento della somiglianza percepita fra sé ed i membri del proprio gruppo Teoria della categorizzazione di Sé (Turner et al., 1987) Differenze fra teoria della categorizzazione di Sé (SCT) e teoria dell’Identità Sociale (SIT): 1. la SIT considera l’identità sociale come un aspetto di Sé derivante dall’appartenenza di gruppo; per l’SCT essa costituisce un livello di astrazione della rappresentazione cognitiva del sé 2. la SIT distingue fra agire nei termini del Sé ed agire nei termini del gruppo; la SCT considera comportamento individuale e di gruppo come un agire nei termini del Sé, un Sé che opera a diversi livelli di astrazione. Secondo la teoria della categorizzazione di Turner in una determinata situazione l’impiego di categorie sociali salienti è determinato dal: - Modello “Accessibilità per Fit” (corrispondenza): la categorizzazione sociale utilizzata sarà quella che massimizza l’interazione fra accessibilità della categoria (rispetto alle intenzioni presenti ed all’esperienza passata) e la corrispondenza fra stimoli e specificazioni categoriali - Principio del metacontrasto: la categorizzazione saliente sarà quella che minimizza le differenze intracategoriali e massimizza le differenze intercategoriali Critiche: è difficile predire con esattezza quale categorizzazione di sé sarà saliente in contesti in cui le categorizzazioni possibili sono numerose (Hogg e McGarty, 1990) Scuola di Ginevra: prospettiva critica nei confronti di SIT e SCT Concetto di covariazione (Deschamps, 1984): le dinamiche sociali a livello interindividuale ed intergruppi sono per vari aspetti interdipendenti, e non antagoniste come previsto da SIT e SCT Introduzione della variabile dominanti - dominanti nelle relazioni intergruppi: nei gruppi dominanti, i membri si considerano come punto di riferimento in relazione al quale vengono definiti gli altri: quando l’appartenenza di gruppo è resa saliente, essi aumentano il proprio impegno a differenziarsi dagli altri membri del gruppo 76 nei gruppi dominati, i comportamenti vengono in genere definiti nei termini delle categorizzazioni imposte su di loro La teoria di Hinkle e Brown La teoria dell’identità sociale prevede che vi sia una relazione tra il livello di identificazione e il favoritismo per l’ingroup, nel senso che maggiore è l’identificazione più si dovrebbe discriminare a favore del proprio gruppo Tuttavia, in una rassegna di studi condotta da Hinkle e Brown si è visto che non sempre si trova questa relazione I due autori hanno, quindi, ipotizzato che le previsioni della teoria dell’identità sociale possano valere solo per alcune persone o gruppi Hinkle e Brown propongono di dividere le persone e i gruppi in quattro tipi derivati dall’incrocio di due dimensioni: - Collettivismo/Individualismo - Orientamento Autonomo/Relazionale Individualismo/Collettivismo § Il collettivismo può essere definito come un modello sociale che considera individui strettamente legati tra loro, individui che si vedono come parti di una o più collettività (la famiglia, i colleghi di lavoro, la nazione); essi sono motivati nel loro comportamento più dagli obiettivi del gruppo d’appartenenza, che dagli obiettivi personali e seguono le norme imposte dalla collettività § L’individualismo può essere definito come quel modello sociale che prende in esame individui slegati tra loro, che si percepiscono come indipendenti da qualsiasi gruppo sociale, motivati nel loro comportamento più dalle loro preferenze, dai propri bisogni e diritti, che da quelli del gruppo; essi danno la priorità agli obiettivi personali e, prima di associarsi con altri, fanno un’analisi razionale dei costi e dei benefici derivanti da tale unione. Orientamento Autonomo/Relazionale. Questa dimensione si riferisce alla tendenza a valutare l’ingroup confrontandolo o meno con altri gruppi § L’orientamento è autonomo nel caso in cui un gruppo viene valutato senza essere confrontato con altri gruppi § L’orientamento è relazionale, invece, nel caso in cui un gruppo viene valutato tramite il confronto con altri gruppi Secondo i due autori gli individui e i gruppi che mostreranno ingroup bias saranno quelli collettivistici con orientamento relazionale; lo stesso non dovrebbe valere per gli individui e i gruppi individualistici con orientamento autonomo. In molti casi i gruppi che si confrontano non hanno lo stesso status. Per i membri dei gruppi di status inferiore il confronto con i gruppi di status superiore potrebbe portare ad un esito negativo, con conseguente calo dell’autostima. Le strategie per ripristinare la positività dell’identità sociale possono essere sia individuali sia collettive e dipendono tre fattori. § Permeabilità/Impermeabilità dei confini dei gruppi § Legittimità/Illegittimità delle relazioni di status § Stabilità/Instabilità delle relazioni di status Il tipo di strategia collettiva adottata dai membri del gruppo di status inferiore dipende dalla stabilità e dalla legittimità delle relazioni di status. Quando le relazioni di status sono legittime e stabili si può ripristinare la positività dell’identità sociale: - cambiando il gruppo di confronto, cioè confrontandosi con un gruppo di status inferiore; 77 - modificando le dimensioni di confronto, cioè trovando dimensioni in cui il proprio gruppo è superiore all’altro. Quando, invece, le relazioni di status sono percepite illegittime e instabili è possibile ripristinare un’identità sociale positiva: - chiedendo un confronto diretto con il gruppo dominante, con lo scopo di modificare lo status dei due gruppi. Secondo la teoria dell’identità sociale, i fenomeni di discriminazione più forti si avranno quando i confini intergruppi sono percepiti impermeabili e l’inferiorità dell’ingroup è percepita illegittima e/o instabile In riferimento alle teorie sopra-riportate sulla relazione tra gruppi, le strategie utili a ridurre i conflitti intragruppi sono: 1. Creazione di scopi sovra-ordinati 2. Ridefinizione dei confini della categoria a) creando una sovra-categoria inclusiva b)incrociando le categorie 3. Creando occasione di contatto Scopi sovraordinati In riferimento al modello teorico di Sherif, una strategia per ridurre il conflitto consiste nell’introduzione di scopi sovra-ordinati. Tuttavia, questo porta alla riduzione del conflitto solo se: § l’esito della cooperazione è positivo § i gruppi hanno ruoli distinguibili e complementari Ridisegnare i confini della categoria Secondo il modello di Taijfel, la semplice categorizzazione ingroup/outgroup produce discriminazione. Un modo per ridurre la discriminazione consiste nel ridisegnare i confini delle categorie Questo si può fare in due modi: § creando un ingroup comune Bisogna passare, quindi, da una situazione in cui esiste un noi e un loro, ad una situazione in cui esiste un NOI più inclusivo. § incrociando le categorie Fa riferimento all’incrocio di una dimensione di categorizzazione (ad es., italiano-albanese) con una seconda (ad es., maschio-femmina), in modo da formare quattro gruppi (italiano/maschio, italiano/femmina, albanese/maschio, albanese/femmina). La categorizzazione incrociata dovrebbe ridurre la discriminazione perché intervengono processi simultanei di differenziazione intercategoriale e assimilazione intracategoriale che si neutralizzano. Creare occasioni di contatto Secondo questa ipotesi il contatto positivo tra membri di gruppi diversi riduce il pregiudizio. Tuttavia, gli effetti del contatto dipendono da vari fattori: § il contatto deve essere intimo e prolungato; § i gruppi devono godere di uguale status nella situazione di contatto; § i gruppi devono cooperare nel raggiungimento di obiettivi comuni; § l’integrazione dei gruppi deve essere favorita dalle istituzioni. Contatto interpersonale o intergruppi? § Secondo alcune teorie il contatto, per essere efficace, deve avvenire a livello interpersonale, tra individui decategorizzati, che si percepiscono come individui singoli. Infatti, se la categorizzazione produce pregiudizio, l’eliminazione della categorizzazione dovrebbe ridurre il pregiudizio. 78 Secondo altre teorie il contatto, invece, deve avvenire a livello intergruppi, tra individui che si percepiscono membri dei rispettivi gruppi. In questo modo, gli atteggiamenti positivi nei confronti dei membri dell’outgroup con cui si interagisce possono estendersi all’outgroup in generale. Stereotipi e Pregiudizi - stereotipo sociale = immagine semplificata di una categoria di persone o un evento, condivisa nei tratti essenziali da molte persone; si accompagna in genere al pregiudizio - pregiudizio = giudizio o opinione a priori, in genere con connotazione negativa, verso persone, gruppi o altri oggetti sociali salienti E ancora, occorre distinguere tra: - razzismo = la convinzione che determinati difetti di una certa categoria di individui non possano essere eliminati o corretti: per questo è inevitabilmente associato alla strategia dell’allontanamento; - eterofobia = senso di ansia di fronte all’estraneo - inimicizia competitiva = intesa come spinta alla separazione ed all’antagonismo generata da esigenze personali e sociali di distinzione dagli estranei Secondo Tajfel (1981) gli stereotipi costituiscono prodotti peculiari del processo cognitivo di categorizzazione. Devono essere differenziati dagli stereotipi sociali che: - vengono condivisi da molte persone all’interno di gruppi o istituzioni sociali - costituiscono immagini semplificate al massimo di una categoria sociale, un’istituzione o un evento - consentono la spiegazione di eventi complessi, la giustificazione di azioni progettate o commesse verso altri gruppi; - permettono la differenziazione positiva del proprio gruppo rispetto a questi ultimi Secondo Taguieff (1988) occorre distinguere tra tre livelli di razzismo, considerato equivalente all’eterofobia - Razzismo primario: è la naturale reazione di antipatia all’estraneo, che può condurre ad aggressività. E’ universale - Razzismo secondario: si basa sull’esistenza di una teoria che, rappresentando l’“Altro” come una minaccia per il proprio gruppo, fornisce basi logico-razionali alla discriminazione - Razzismo terziario: fonda la discriminazione su argomentazioni che si riferiscono alla biologia Scheda riassuntiva Interpersonaleàßintergruppi (taijfel) 2. Relazione tra gruppi: - SIT Tajfel - SCT di turner - covarianza, della scuola di Ginevra - modello Hinkle Brown (C/I A/R) 3. Conseguenze relazione tra gruppi: - Autostima f(ingroup/outgroup) e f(status) - Conflitto (Sherif, Rabbie e Hirwitz, Taijfel) à strategie di riduzione conflitto - Stereotipi e pregiudizi (taijfel) - Razzismo (taguieff) 79 INFLUENZA SOCIALE Dal testo Palmonari – Cavazza - Rubini: pag. 269-290 (cap.9) Il termine “influenza” deriva dal latino influere, che significa "fluire, scorrere dentro“. Il termine si presta a molteplici significati, tra questi è possibile soffermarsi, in particolare, su uno di uso comune: influenza intesa come "azione esercitata da qualche cosa su luoghi, fenomeni o persone …“ Un'altra definizione un po' più analitica indica l'influenza come "Autorità, ascendente, peso o (persino) prestigio": si dice, per esempio, di chi ha molta influenza su qualcuno. Ne deriva il significato del verbo "influenzare“: determinare, modificare qualche cosa esercitando la propria influenza (per esempio, influenzare le idee, le decisioni, la scelta di qualcuno….) L’influenza sociale è il modo attraverso cui i pensieri, i sentimenti e i comportamenti delle persone vengono influenzati dalla presenza reale o immaginaria degli altri. Il processo di influenza sociale implica che il “bersaglio”, il destinatario, compia un riaggiustamento comportamentale cognitivo e dei propri sentimenti a causa del comportamento, idee e sentimenti dati dalla “fonte” o agente di influenza. L'influenza non si basa necessariamente su messaggi e argomentazioni perché possono influenzare anche immagini e comportamenti. L’influenza sociale assume forme sia dirette (come la pubblicità) che indirette (a livello di cultura). Differenzazioni: - Influsso questo termine evoca un’accezione del cambiamento di tipo arcano e incontrollabile. Dal momento che a volte l'influenza agisce in modo ragionato su persone inconsapevoli e non in modo irrazionale allora i ricercatori non adoperano questo sinonimo. - Suggestione Il termine, in un primo momento utilizzato in sostituzione a quello di influenza, indica un processo capace di indurre le persone ad accettare in modo arbitrario opinioni e valutazioni senza tener conto della loro qualità - Persuasione La persuasione è solo uno dei possibili tipi di influenza sociale e agisce con messaggi relativamente complessi in cui chi li espone da degli argomenti a supporto della propria posizione. Lo abbiamo studiato nel capitolo degli atteggiamenti e nello specifico dei processi attraverso cui essi possono essere modificati - Conformismo è il tipo di influenza originata da una fonte maggioritaria. - Conversione è l’influenza del singolo o di una minoranza sulla maggioranza. L’influenza sociale ha diversi livelli che variano per: - Intensità: livello di profondità a cui agisce - Persistenza: durata nel tempo dei suoi effetti - Resistenza: capacità di far fronte a tentativi di contro-influenza, resistendo ad argomentazioni contrarie a quelle espresse dalla fonte In funzione di queste variabili si possono registrare le seguente conseguenze dell’influenza sociale: Compiacenza: modificazione pubblica della propria posizione non per convinzione. Ci si aspetta di ottenere qualche ricompensa o riconoscimento a livello sociale o di evitare delle sanzioni. Il “bersaglio” non cambia le proprie convinzioni à cambiamento fittizio e poco duraturo. Identificazione: ci si conforma a ciò che è sostenuto dalla “fonte” in pubblico e in privato, per cercare di stabilire una relazione positiva con essa attraente. Il “bersaglio” crede in ciò che sostiene la “fonte”, il contenuto del messaggio è più o meno rilevante Interiorizzazione: “fonte” riconosciuta particolarmente competente, abile e degna di ascolto. “Bersaglio” non solo è favorevole ad essere influenzato, ma inserisce i messaggi della “fonte” nel proprio sistema di credenze e di valori. Processo persistente che perdura anche quando la “fonte” non c’è. Diverse le spiegazioni del perché i soggetti vengono influenzati. 80 1. Spiegazione di Deutsch e Gerard (1955) che distinguono influenza informazionale da influenza normativa; 2. Modello funzionalista di Sherif e Asch 3. Modello generico di Moscovicì Secondo Deutsch e Gerard (1955) è necessario distinguere tra: § influenza informativa: la forza che spinge un individuo isolato ad accettare le informazioni degli altri come prova circa la realtà (vedi Sherif) § influenza normativa: la forza che spinge un soggetto, in quanto membro di un gruppo, a rispondere alle attese positive di uno o più membri del proprio gruppo (vedi Asch) L’influenza normativa risulta essere più forte di quella informativa In molte situazioni ci sentiamo insicuri su cosa fare o pensare. Non abbiamo i dati sufficienti per fare una scelta precisa. Disponiamo però di una buona fonte di conoscenze: il comportamento degli altri. Se ci conformiamo a questo comportamento, non lo facciamo perché siamo degli smidollati senza fiducia in noi stessi, ma perché esso è fonte di informazioni che ci aiutano a risolvere l'ambiguità della situazione. A ciò si è dato il nome di influenza sociale informativa. Fattori fondamentali sono: § Importanza per l’individuo della decisione da prendere § L'ambiguità della situazione è il primo fattore. Quanto più siamo incerti, tanto più faremo affidamento sugli altri. § Quando la situazione è una crisi. In questi casi non abbiamo il tempo per fermarci a pensare alla migliore azione da seguire, e quindi è più facile che ci affidiamo al comportamento altrui. Il problema è che spesso anche gli altri sono nel panico. § Quando gli altri sono degli esperti. Quanto più una persona appare esperta o al corrente di una questione, tanto più viene ritenuta affidabile come guida. Ma non sempre gli esperti sono fonti affidabili. E' possibile resistere a forme illegittime o imprecise di influenza sociale informativa attivando la propria razionalità. Esiste un'altra ragione, oltre al bisogno di informazioni, che ci spinge verso il conformismo solo per il desiderio di essere graditi e accettati dagli altri. Ci conformiamo così alle norme sociali del gruppo che sono regole che descrivono i comportamenti, i valori e le credenze accettabili. Chi non segue le regole viene percepito come diverso, difficile e infine deviante. I membri devianti possono essere presi in giro, puniti e respinti dagli altri. L'essere umano è un animale sociale, che ha bisogno delle relazioni di gruppo. Ci conformiamo quindi per poter continuare a restare nel gruppo e trarre i benefici dell'appartenenza, secondo il principio dell'influenza sociale normativa (studi di Asch). Bisogno di Padronanza Bisogno di Affiliazione Mi conformo al gruppo perché ritengo che esso esprima una posizione corretta Influenza informativa Mi conformo al gruppo per mostrare la mia identificazione al gruppo. Influenza normativa Adesione interna alle norme di gruppo Modello funzionalista Elementi cardine: 81 1) Influenza sociale è distribuita in modo disuguale ed è esercitata secondo una modalità unilaterale. Solo chi ha potere ha influenza. Chi ha potere costituisce la maggioranza. 2) La funzione dell’I.S. è di mantenere e rinforzare il controllo sociale 3) Le relazioni di dipendenza determinano la relazione e la rilevanza dell’I.S. esercitata in un gruppo. Asimmetria legata a status, ruolo e competenza. 4) Il consenso che l’influenza è tesa a raggiungere è basato sulla norma dell’obiettività. Quando non c’è obiettività verità = ampiezza consenso 5) Tutti i processi sono visti nella prospettiva del conformismo. E il conformismo è sottofondo comune di questi processi. Sherif (1935): quali sono i meccanismi che in situazioni ambigue portano alla formazione delle norme che orientano il comportamento dei membri di un gruppo? Il conformismo. Esempio: esperimento sull’effetto autocinetico § La situazione era ambigua. § I partecipanti non avevano feedback sulle risposte corrette e sbagliate. § Non c’era una risposta corretta ! Asch (1955): i fenomeni di convergenza delle norme accadono anche in situazioni non ambigue e i fenomeni di consenso sociale sono spiegati in modo razionale in termini di paura di non essere aderenti alle regole del gruppo. Esperimento: compito percettivo non ambiguo: Conformismo: la convergenza delle idee, opinioni e comportamenti verso la norma di un gruppo. § Adesione personale: le persone ritengono intimamente che le norme di gruppo siano giuste e quindi le fanno proprie. § Conformismo pubblico o acquiscenza: solo a parole le persone ritengono che la norma sia giusta. La spinta a conformare il proprio giudizio a quello degli altri è: - Un processo di ragionamento e non di suggestione - Determinato da informazioni sulla realtà - Finalizzato a ottenere una visione oggettiva del mondo Conformismo: la convergenza delle idee, opinioni e comportamenti verso la norma di un gruppo. Asch distingue: § Adesione personale: le persone ritengono intimamente che le norme di gruppo siano giuste e quindi le fanno proprie. § Conformismo pubblico o acquiscenza: solo a parole le persone ritengono che la norma sia giusta. Cosa accade a chi si contrappone alla norma del gruppo? Questo aspetto viene trattato da Schachter (1951) il quale introduce la riflessione sulle dinamiche di emarginazione e allontanamento del deviante (= di colui che la pensa diversamente). Modello genetico Elementi cardine sono: 1. L’influenza non è necessariamente asimmetrica (dalla maggioranza alla minoranza) 2. L’influenza sociale non è solo funzionale al conformismo e all’uniformità, ma anche al cambiamento sociale e all’innovazione. 3. Il modello genetico dell’influenza sociale permette di superare i limiti del modello funzionalista e di affrontare nuovi problemi non considerati dal modello funzionalista. 4. La realtà è il risultato di un processo costruttivo in cui maggioranza e minoranza interagiscono costruendo il contesto sociale. 82 5. Tutti i soggetti (e gruppi) inseriti nel contesto sociale possono essere considerati fonte o bersaglio di influenza 6. L’accento è spostato da fattori predeterminati come “assetto del gruppo” e “potere” al negoziato. Maggioranza: non è intesa solo a livello quantitativo, ma come gruppo che assume e diffonde le norme dominanti. Minoranza: non è intesa solo a livello quantitativo, ma come gruppo che si batte contro le norme dominanti; Influenza maggioritaria = esiste una collaborazione tra chi riceve l’influenza e chi la esercita. Essa induce alla condiscendenza (compliance) che generalmente provoca un cambiamento delle risposte manifeste. (influenza = potere) Influenza minoritaria = definisce una posizione antagonista e alternativa alla maggioritaria = conflitto à negoziazione. Induce alla conversione che produce un cambiamento delle risposte latenti (influenza ≠ potere; influenza = prestigio o carisma, ovvero indotta da fattori emozionali e non razionali) Secondo Moscovicì La fonte di influenza non è fondata su relazione di potere ma ha sede nei significati che emergono dall’insieme dei comportamenti dei soggetti (minoritari) durante gli incontri e le interazioni con i loro interlocutori Importanza dello stile di comportamento adottato dalla minoranza nell’interazione e nei negoziati con la maggioranza: la consistenza 1) Consistenza sincronica del comportamento: - Unanimità totale nell’espressione delle posizioni minoritarie 2) Consistenza diacronica del comportamento: - Ripetizione ferma e sistematica di una risposta in occasioni successive - Ripetizione non contraddittoria della risposta Fornisce informazioni: - Sul modo di vedere la realtà della minoranza - Sulla minoranza stessa: fermezza e sicurezza di sé attraverso sacrifici personali (rappresaglie, incomprensioni, scherzi) La consistenza diacronica § Fornisce informazioni: - Sul modo di vedere la realtà della minoranza - Sulla minoranza stessa: fermezza e sicurezza di sé attraverso sacrifici personali (rappresaglie, incomprensioni, scherzi) § Perché abbia influenza deve: - essere riconosciuta dalla maggioranza - essere attribuito al comportamento della minoranza caratteristiche di sicurezza e autonomia Un altro elemento importante nell’influenza minoritaria è: lo stile di negoziato. § Rigido: intransigente rifiuta ogni compromesso. In questo caso la minoranza è considerata estremista e fatica a esercitare influenza § Flessibile: disponibile a fare concessioni per non accentuare il conflitto. La minoranza esercita meglio la propria influenza 83 Perché lo stile flessibile è più efficace dello stile rigido? Posizione rigida à Conflitto à Strategie di riduzione del conflitto à Screditare la minoranza Le minoranze vengono screditate attraverso: § L’attribuzione di un errore sistematico (es. dogmatismo) § La naturalizzazione, ovvero attribuendo la causa dei comportamenti a proprietà idiosincratiche della minoranza: - Biologizzazione (perché è una donna, perché è tarato) - Psicologizzazione (per il carattere, per intelligenza limitata) - Riduzione al sociologico (è un comunista) L’influenza maggioritaria e l’influenza minoritaria hanno effetti diversi? § Influenza maggioritaria porta a condiscendenza: - Un cambiamento a livello manifesto (sociale) - Raramente a un cambiamento a livello profondo § Influenza minoritaria porta a conversione: - Un cambiamento a livello latente - Qualche volta a un cambiamento a livello manifesto Esempio: esperimento dell’after-effect di Moscovici e Personnaz (1976) Il conflitto nel processo di influenza Come si attivano i processi di influenza maggioritari e minoritari? Di fronte a una maggioranza consistente che trasmette un messaggio in contrasto con le opinioni condivise: - L’individuo considera il messaggio vero, legittimato dal prestigio, dalla numerosità o dal potere della fonte - L’individuo, se non è d’accordo, si sente deviante e si adegua per non essere diverso I processi di influenza minoritaria richiedono: - Elaborazione più prolungata - Attività cognitiva - Confronto fra sé e fonte di influenza - Validazione della posizione innovativa Teorie dell’elaborazione del conflitto (Perez e Mugny, 1993): I livelli di influenza (manifesta o latente) sono effetto del modo in cui il soggetto si rappresenta la situazione In un primo tempo di fronte a una minoranza consistente che trasmette un messaggio in contrasto con le opinioni condivise: - L’individuo scredita la fonte (deviante) e il messaggio (falso) - L’individuo si identifica con la maggioranza e rifiuta la minoranza I sentimenti di identificazione con la maggioranza e di differenziazione verso la minoranza che va contro le opinioni condivise, divengono salienti. Di conseguenza: - la coesione tra i membri della maggioranza viene rinsaldata Successivamente se la minoranza è consistente (conferma la propria definizione di realtà) il conflitto continua e porta i membri della maggioranza: - a considerare il punto di vista della minoranza - Rielaborazione psicologica della categorizzazione della fonte - Rielaborazione degli attributi della fonte 84 - Rielaborazione dei contenuti del messaggio - a cercare un principio organizzatore delle posizioni minoritarie L’attività di validazione delle ragioni della minoranza può portare la maggioranza ad esternare, almeno parzialmente, l’accettazione delle tesi minoritarie Secondo Perez e Mugny (1989): § Questo lungo processo può spiegare la distanza di tempo o la forma indiretta con cui l’influenza minoritaria di manifesta 85 DIMENSIONI SPAZIOALI DEI COMPORTAMENTI SOCIALI Patrizi – De Gregori pag.133-154 (cap.4) La figura del criminologo nasce per fronteggiare una realtà, quella del crimine e della devianza, estremamente complessa e sfaccettata. Per questo la criminologia moderna ha come oggetto di studio un ambito molto ampio e diversificato ed opera in stretto rapporto interdisciplinare con altre scienze criminali, umane e sociali quali ad esempio: - la criminalistica (le tecniche dell’investigazione criminale) - il diritto penale, - la psicologia giuridica (la psicologia applicata al diritto), - la sociologia, - la psicologia (clinica, sociale, ambientale). Uno dei principali contributi della psicologia, e nello specifico la psicologia sociale e ambientale, è la dimensione fisiospaziale del comportamento. Il riferimento è a 2 specifiche teorie: 1. Teoria del campo di K. Lewin 2. Teoria dei sistemi di U. Bronfenbrenner Lewin, con la sua formazione gestaltista orientata ad analizzare i fenomeni nella loro totalità e con la sua drammatica esperienza di rifugiato, focalizza il suo interesse per i problemi concreti della vita umana e fonda un metodo per la comprensione scientifica dei fatti sociali. La teoria di campo mira a spiegare il comportamento in relazione alla situazione in cui il comportamento stesso si verifica Bisogna quindi definire il carattere della situazione in un momento dato, definendo questa come “campo psicologico” o spazio vitale. Di questo spazio vitale fanno parte tutti gli eventi suscettibili di influire su una determinata persona, siano essi passati, presenti o futuri. Il campo è definito come una totalità di fatti coesistenti nella loro interdipendenza I tre ordini di fatti presenti nel campo psicologico sono in INTERDIPENDENZA tra di loro Esistono tre tipologie di fatti: 1. SPAZIO DI VITA: dato dalla persona e dalla rappresentazione psicologica dell’ambiente (dimensione soggettiva) 2. FATTI SOCIALI E/O AMBIENTALI: processi e fatti che accadono nel mondo fisico e sociale senza influenzare momentaneamente lo spazio di vita (dimensione oggettiva) 3. ZONA DI FRONTIERA: tra lo spazio di vita ed il mondo esterno (confine tra oggettivo e soggettivo) Il comportamento è un prodotto dell’interazione tra persona e ambiente, ma è anche un elemento attivo nella loro costruzione C= f(P, A) Lo spazio vitale può presentare gradi molteplici di differenziazione, a seconda della quantità e qualità delle esperienze che l’individuo è venuto accumulando Per illustrare tale differenziazione, Lewin rappresenta il campo come diviso in regioni, separate da frontiere. § Lewin postulò l’esistenza di uno stato di equilibrio fra la persona e il suo ambiente § Quando questo equilibrio è turbato, si sviluppa una tensione (motivazione/bisogno) che porta a uno spostamento mirante a ristabilire l’equilibrio § Nel campo agiscono forze che determinano l’avvicinamento a regioni con valenza positiva e l’allontanamento da regioni con valenza negativa Bronfenbrenner ha cercato di ampliare il costrutto di ambiente ecologico. Secondo l’autore, infatti per comprendere il comportamento umano è necessario analizzare il comportamento di più persone in interazione. Non è sufficiente limitarsi ad un solo contesto di 86 analisi, bensì è indispensabile considerare alcune caratteristiche dell’ambiente che vanno oltre la situazione immediata. L’ambiente ecologico = serie ordinata di strutture concentriche incluse l’una nell’altra, per un totale di 4 livelli: 1. Microsistema: strutture di cui la persona ha esperienza diretta (casa, classe, gruppo lavoro) 2. Mesosistema: insieme di microsistemi a cui l’individuo partecipa e loro reciproche interconnessioni (rapporto genitori e amici) 3. Esosistema: situazioni ambientali a cui l’individuo non partecipa direttamente ma che influenzano gli ambienti con cui è in contatto (luogo di lavoro genitori) 4. Macrosistema: livello che condiziona tutti i livelli più bassi (sistema culturale) Concetto di luogo Un luogo è il risultato di relazioni fra: - Azioni: quello che le persone fanno, - Concezioni: i significati che attribuiscono a ciò che esse stesse e altri fanno - Attributi fisici: ovvero lo spazio fisico L’insieme di questi elementi è da intendersi in senso olistico Edward Hall, antropologo, studia l’uso dello spazio personale e interpersonale. Con un approccio etologico spiega come la delimitazione dei confini di uno spazione personale induce ad un sentimento di sicurezza. Critiche: - concezione passiva e reattiva dell’individuo - trascura meccanismi spaziali umani funzionali all’assetto ambientale e ai fattori situazionali e relazionali - una lettura prettamente descrittiva o unidimensionale non consente la comprensione dei motivi che guidano l’azione delle persone in termini di gestione dello spazio che li circonda è possibile distinguere 4 zone di distanza personale: 1) intima: fino a 45 cm. 2) personale: 45-120 cm 3) sociale: 120-300 cm 4) pubblica: oltre 3 metri La prossemica (studio della gestione dello spazio interpersonale) permette di rilevare aspetti comunicativi e relazionali importanti. La prossemica deve tenere conto delle differenze culturali. David Canter, grazie al costrutto di luogo, e in conformità all’approccio Leviniano, sviluppa un filone di studi centrato sull’utilizzo della psicologia amabientale in ambito investigativo e nello specifico nei casi di crimini seriali. L’assunto di base del suo contributo è: - La ricerca psicologica deve avere valenza applicativa e non mera speculazione teorica - l’individuo è soggetto attivo e protagonista di scelte. Pertanto ogni sua azione può essere sottoposta al vaglio di un analisi psicologica volta alla rilevazione dei significati e presupposti psico-cognitivi che sono alla base delle sue azioni, compreso la scelta dei luoghi in cui conduce le proprie azioni à profilo geografico. Il profilo geografico è lo studio sul comportamento spaziale dei criminali. L’obiettivo del profilo geografico è quello di delimitare un’area geografica quale probabile luogo di residenza del reo, autore di una serie di crimini. 87 La presunta conoscenza della zona in cui è più probabile che il ricercato risieda permette un razionale impiego delle forze impegnate nelle indagini e rappresenta un criterio aggiuntivo per l’elaborazione della lista dei sospetti. Il metodo del profilo geografico si fonda su una componente qualitativa e su una quantitativa. § I metodi qualitativi: Possiamo definire questa componente come soggettiva, in quanto basata sulla ricostruzione e interpretazione della mappa mentale del reo § I metodi quantitativi: è la componente d’analisi descrittiva che studia le topografie dei luoghi, misura univariata di tendenza centrale del valore spaziale ovvero il centro di gravità, valore che minimizza la somma delle distanze dei vari punti all’interno di una loro disposizione spaziale Canter parte da un’analisi quantitativa, attraverso il metodo detto appunto Canter che egli applica con l’ausilio di un software: DragnetTM E’ un software definito “geographical prioritisation package”. Il modello di Canter si basa sull’applicazione del concetto di sfera criminale (offender circle concept) che individua due tipi di comportamenti criminali: § i residenti (marauder) che utilizzano la propria area come centro attorno al quale si sviluppa l’attività predatoria (che secondo gli studi di Canter si sono l’87% dei casi) § i pendolari (commuter) che compiono i delitti fuori dal luogo di residenza Il modello analizza i siti del crimine nell’insieme piuttosto che uno alla volta e incrociando i dati relativi la percentuale cumulativa dei casi di crimine commessi dal reo e l’area geografica in cui essi hanno luogo definisce una curva di tendenza la cui pendenza indica se ci troviamo di fronte ad un caso di Marauder o di Commuter. Sulla base della definizione della categoria del reo, il DragnetTM procede: 1. Considerando le localizzazioni della serie di crimini, delle quali vanno indicate le coordinate 2. Indicando un gruppo di aree circostanti di priorità in relazione alla probabile localizzazione della residenza del reo. 3. Disegna una mappa di priorità a diversi colori, a seconda dei quali si ha una maggiore o minore possibilità che l’abitazione del reo si trovi in quella zona. L’esempio riportato a lato è relativo ai dati degli attentati del cosiddetto Unabomber del Triveneto elaborati con una versione semplificata di DragnetTM Il profilo geografico è diverso dal profilo psicologico dell’autore di reato. Quest’ultimo consiste nella stesura del profilo psicologico di un autore di reato desunta dalle informazioni che esso lascia, in merito al reato compiuto. Il principale obiettivo è quello di fornire informazioni agli investigatori utili nella identificazione e cattura di un soggetto sconosciuto. Ogni azione dice qualcosa su chi la compie. Il modo in cui agiamo, interagiamo con gli altri e utilizziamo lo spazio circostante, suggerisce qualcosa sulla nostra personalità e sul modo in cui ci relazioniamo alle cose o alle persone. Pensiamo a quante informazioni possiamo trarre dalla stanza di una persona; la tendenza all’ordine o al disordine, lo stile di vita, gli interessi... Allo stesso modo la scena del crimine fornisce informazioni sull’autore del reato, sul suo stato mentale e sul rapporto con la vittima. 88