La Germania di Bismarck Il cancelliere prussiano Otto von Bismarck era stato l’artefice dell’unificazione tedesca e guidò per quasi vent’anni la politica del nuovo impero, conciliando gli interessi degli Junker (i grandi proprietari terrieri) con quelli della grande borghesia industriale. In Germania venne creato un parlamento (Reichstag) eletto a suffragio universale. Tuttavia non c'era un vero regime parlamentare, perché il cancelliere e il suo governo rispondevano del loro operato unicamente all’imperatore. L’Impero tedesco era una federazione di venticinque stati regionali. In alcuni, specie in Baviera, erano forti le rivendicazioni autonomistiche. Dopo il 1875 Bismarck emanò per guadagnare il consenso dei lavoratori una legislazione sociale avanzata, che prevedeva la pensione e le assicurazioni contro malattie e infortuni. La Germania diventa la garante della pace in Europa L’Austria aveva perduto il ruolo di grande potenza continentale. All’indomani della proclamazione del Reich, però, Bismarck aveva affermato che il nuovo impero era “sazio” di conquiste: da allora si impegnò per garantire l’ordine esistente in Europa, naturalmente tutelando prima di tutto gli interessi tedeschi. Due erano le principali minacce alla pace: 1. la rivalità tra la Russia e l’Austria, che ambivano entrambe a espandersi nei Balcani; 2. la Francia che, dopo la disfatta nella guerra franco-prussiana, mirava a una rivincita sulla Prussia. La guerra austro-prussiana • La Prussia di Bismarck si sentiva abbastanza forte per sostituirsi all’Impero austriaco nella guida del mondo tedesco, così si giunse alla guerra austro-prussiana. • Nel 1866 Bismarck ottenne l’alleanza dell’Italia (diventata un • • • • regno autonomo nel 1861, ambiva a strappare il Veneto allo stato asburgico) che attaccò l’Austria da sud; le truppe italiane vennero sconfitte dagli austriaci, ma quelle prussiane ottennero una travolgente vittoria a Sadowa. Gli accordi di pace segnarono la fine dell’influenza austriaca sulla Germania, perché venne sciolta la vecchia Confederazione germanica (presieduta dall’imperatore di Vienna) e creata la nuova Confederazione della Germania del Nord, guidata dalla Prussia Bismarck puntava ormai a unificare tutta la Germania sotto la potenza prussiana. L’ostacolo che restava da superare era l’opposizione della Francia. Bismarck seppe provocare con abilità Napoleone III. Fece capire che l’imperatore di Prussia era interessato al trono di Spagna. Napoleone non poteva tollerare che il sovrano della Prussia controllasse anche un altro grande stato, appunto la Spagna, Quando Napoleone inviò i suoi diplomatici a Berlino, Bismarck dette loro risposte incerte e offensive per la dignità francese, cosicché Napoleone III dichiarò immediatamente guerra alla Prussia,un errore fatale. L’esercito prussiano, sbaragliò rapidamente l’esercito francese. Il 2 settembre 1870, a Sedan, Napoleone III fu sconfitto e fatto prigioniero. In Francia veniva proclamata di nuovo la repubblica, Parigi si arrese nel gennaio del 1871. Nello stesso mese, i principi tedeschi riuniti nella reggia di Versailles, presso Parigi, acclamarono il re di Prussia Guglielmo I imperatore di Germania. Le difficoltà dell’Impero austriaco Il principale problema interno dell’Impero d’Austria era costituito dalle tensioni nazionalistiche. L’Impero, infatti, comprendeva nei suoi confini popoli diversi: italiani, ungheresi, cechi, slovacchi, rumeni, polacchi, ucraini, sloveni, croati, serbi. Dopo le rivoluzioni del 1848, anno in cui tra l’altro iniziò il lunghissimo regno di Francesco Giuseppe (1848-1916), il governo di Vienna cercò di reprimere in ogni modo i tentativi di queste popolazioni di rendersi indipendenti dall’Impero. I risultati, però, non furono buoni: tra il 1859 e il 1866 gli austriaci persero la maggior parte dei loro domini italiani e in particolare la Lombardia, una delle regioni più ricche dell’Impero; nel 1866 l’Austria fu sconfitta dalla Prussia di Bismarck e perse la supremazia sul mondo tedesco. Questi e altri insuccessi imposero all’Austria alcuni cambiamenti: nel 1867 si giunse a un accordo, un compromesso (in tedesco: Ausgleich) fra Vienna e Budapest, che concesse all’Ungheria un’ampia autonomia. L’Impero d’Austria si trasformò in Impero austro-ungarico, con due capitali, Vienna e Budapest, ognuna dotata del suo parlamento, ma con un unico sovrano, Francesco Giuseppe, che diventava così imperatore d’Austria e re d’Ungheria. ciò accrebbe l’insoddisfazione di cechi e slovacchi. La situazione di maggior conflitto riguardava però i popoli slavi dei Balcani, che aspiravano alla costituzione di uno stato indipendente. Questo movimento era sostenuto dalla Serbia che all’inizio dell’Ottocento aveva guadagnato l’indipendenza dall’Impero turco. I rapporti tra Austria-Ungheria e Serbia erano perciò particolarmente tesi, anche perché Vienna pensava di indirizzare proprio nei Balcani la propria espansione. Il quadro era complicato dall’opposizione della Russia, che ambiva anch’essa a estendere la propria influenza nei Balcani. Bismarck operò per disinnescare la rivalità fra Austria e Russia e legarle in una solida alleanza alla Germania. Il risultato fu la Lega dei tre imperatori, stipulata nel 1873 e rinnovata nel 1881: i tre imperi (tedesco, austro-ungarico, russo) si impegnavano a non entrare in guerra tra loro. Nel 1878 si svolse il congresso di Berlino, Romania, Serbia, Montenegro e Bulgaria (filorussa) rimasero indipendenti, mentre l’Austria ebbe in “amministrazione temporanea” la Bosnia-Erzegovina. Quanto alla Francia, l’obiettivo di Bismarck fu di isolarla politicamente. L’unico alleato della Francia sul continente poteva essere l’Italia. Nel 1881, però, la Francia occupò la Tunisia, su cui l’Italia aveva delle mire: subito Bismarck approfittò e nel 1882 venne stipulata la Triplice alleanza, fra Germania, Austria e Italia. La Francia, quindi, si trovava completamente isolata. Uscito Bismarck dalla scena politica, l’Europa si divise in due blocchi Nel 1888 salì sul trono tedesco Guglielmo II e nel 1890 Bismarck diede le dimissioni e si ritirò La rivalità tra Russia e Austria per i Balcani si riaccese e la Russia, rotta la Lega dei tre imperatori, stipulò un’alleanza con la Francia, che a sua volta si alleò con la Gran Bretagna. Agli inizi del Novecento, quindi, l’Europa appariva divisa in due blocchi politici e militari: • da una parte la Triplice alleanza fra Germania, Austria e Italia; • dall’altra i paesi dell’Intesa, cioè Gran Bretagna, Francia e Russia. I Balcani restavano il principale focolaio di tensioni,l’Austria si annetté la Bosnia-Erzegovina (1904), approfittando di una rivolta nazionalista interna alla Turchia. L’Italia nell’età della Destra storica 1861-1876. Il raggruppamento politico che governò l’Italia dal 1861 al 1876 fu la cosiddetta Destra storica, che raccoglieva gli eredi della politica liberale di Cavour. Dopo l’Unità furono molti i problemi che essa dovette affrontare: • pochi italiani erano in grado di parlare la lingua italiana; • bisognava creare un mercato unico (stessa moneta, stesse unità di misura); • bisognava costruire vie di comunicazione; • si doveva costruire un esercito nazionale. La Destra adottò una politica fiscale molto severa: la tassa più odiata fu quella sul macinato (introdotta da Quintino Sella) perché colpiva i più poveri. L’Organizzazione e le leggi piemontesi vennero estese a tutto il paese. • Nel mezzogiorno (il Sud) divampò il brigantaggio, alimentato da motivazioni politiche e sociali. Il governo reagì con estrema durezza e lo stroncò facendo intervenire l’esercito. • Un altro grave problema fu l’ostilità della Chiesa, (infatti dopo il crollo di Napoleone III, l’Italia poté annettere il Lazio e Roma), ma la Chiesa non riconobbe il nuovo Stato Italiano. Malgrado l’emanazione “della legge delle guarentigie”, Pio IX si dichiarò prigioniero in Vaticano e con la bolla chiamata “non expedit” chiese ai cattolici di non prendere parte alla vita politica del regno. La Destra raggiunse il pareggio di bilancio. L’Italia dai governi della Sinistra a Giolitti 1. La Sinistra al governo Durante il governo della Destra crebbe in parlamento l’opposizione della Sinistra, guidata da Depretis. Mentre la Destra rappresentava proprietari e imprenditori terrieri, la Sinistra dava voce agli industriali. Depretis, che governò dal 1876 al 1887, attuò un sistema di governo chiamato “trasformismo”, mediante il quale chiedeva ai parlamentari i voti per approvare le leggi in cambio di favori. Questo sistema garantì la continuità del governo, ma aumentò la corruzione in parlamento. Durante il governo della Sinistra le industrie ottennero la protezione doganale, fu resa obbligatoria l’istruzione primaria e venne abolita la tassa sul macinato. In politica estera l’Italia stipulò la Triplice alleanza con la Germania e l’Austria; fu anche avviata una politica di espansione coloniale in Etiopia, che però non ebbe successo. 2. Il governo di Crispi e la crisi di fine secolo Nel 1887 il governo fu assunto da Crispi che avviò una politica fortemente autoritaria: fu presidente del Consiglio, ma anche ministro degli Esteri e degli Interni. Represse con la forza gli scioperi e in Sicilia nel 1892-93 proclamò lo stato d’assedio contro i “Fasci dei lavoratori”. Crispi rese illegali tutte le organizzazioni operaie. Fu ripresa l’espansione coloniale in Etiopia che terminò con la sconfitta di Adua nel 1896, dopo la quale Crispi si dimise. Gli ultimi anni dell’Ottocento furono segnati da una profonda crisi economica che causò frequenti agitazioni di piazza. Nel 1898 il capo di governo Rudinì diede mano libera al generale Bava Beccaris che sparò sui manifestanti a Milano. Si temeva una svolta autoritaria ma le elezioni del 1900 portarono al governo un liberale moderato, Giuseppe Saracco. Nello stesso anno il re Umberto I fu assassinato da un anarchico. 3. L’Italia di inizio Novecento: l’età giolittiana Nel 1903 divenne primo ministro il liberale Giolitti, che cercò di conciliare gli interessi della borghesia con quelli delle classi popolari. Evitò le repressioni violente degli scioperi e delle manifestazioni. Giolitti varò una serie di leggi a tutela dei lavoratori, collaborando con i socialisti riformisti che avevano abbandonato l’idea della rivoluzione. Negli anni del governo di Giolitti (1903-1914) l’economia italiana ebbe un notevole sviluppo, soprattutto nel Nord Italia. Il Mezzogiorno restava arretrato. Le misere condizioni di vita spinsero molti italiani, specialmente del Sud e del Veneto, a emigrare. Sotto la spinta di un forte movimento nazionalista, Giolitti avviò la conquista della Libia, territorio dell’Impero ottomano. L’Italia ottenne dalla Turchia la Libia e il Dodecaneso con Rodi. (pag 175) Giolitti introdusse il suffragio universale maschile nel 1912 e si dimise nel 1914. Il movimento operaio e l’impegno sociale dei cattolici Nella seconda metà dell’Ottocento, con lo sviluppo del sistema capitalistico e l’ascesa della borghesia, si pose il problema della condizione dei lavoratori, la cosiddetta “questione sociale”; a essa tentarono di dare risposta soprattutto il mondo socialista e quello cattolico. Le prime organizzazioni furono delle forme di cooperazione per assistere i lavoratori in difficoltà, spesso sostenute da borghesi o aristocratici filantropi; nacquero anche le organizzazioni di classe, con obiettivi specifici, come l’aumento dei salari, la riduzione dell’orario di lavoro, la difesa di alcuni diritti. In questo contesto alcuni intellettuali elaborarono delle teorie: le principali furono quelle del socialismo utopista, dei democratici, del comunismo. Quest’ultima teoria fu formulata dai tedeschi Marx ed Engels: essi sostenevano che la società capitalista era fondata sul conflitto tra due classi, la borghesia e la classe operaia; dalla lotta, destinata a terminare con la vittoria della classe operaia, sarebbe scaturita una società comunista, basata sull’uguaglianza e sulla proprietà collettiva dei mezzi di produzione. Un’altra teoria fu l’anarchismo, che rifiutava qualsiasi autorità e organizzazione statale. Per collegare le organizzazioni operaie europee, Marx fondò la Prima Internazionale dei lavoratori, cui seguì una Seconda Internazionale: entrambe furono caratterizzate da problemi interni che ne indebolirono l’azione politica. I cattolici di fronte alla“questione sociale” Alla fine dell’Ottocento la Chiesa, dopo la condanna degli errori della società moderna ad opera del papa Pio IX, divenne, con il nuovo pontefice Leone XIII, più sensibile ai problemi del mondo e prese posizione sulla questione sociale. Lo strumento che, secondo la Chiesa, doveva permettere la soluzione dei problemi e il miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori, era la collaborazione tra le classi sociali in vista di una composizione pacifica dei conflitti. In questo contesto nacquero e si rafforzarono i partiti cattolici e anche alcuni movimenti, come il modernismo, che chiedevano un maggior intervento cattolico sui problemi sociali.