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Diario di lettura
SABATO 26 NOVEMBRE 2011
LA STAMPA
XI
ALESSANDRA
IADICICCO
Filologo classico ovvero - etimologicamente «amico delle parole» degli antichi. Traduttore dei tragici
e dei sapienti: disposto cioè a
tradursi, radicalmente a trasporsi, nel loro orizzonte di
coscienza e di pensiero. Uomo di teatro, attore, poeta: fiducioso del potere drammatico della parola che inscena,
rivela, fa apparire visioni,
che vibra di suoni, agisce, fa.
Lettore? Anche, come no.
Leggere però risulta, stando
al suo racconto, non più che
un’attività collaterale, accessoria: necessaria ovvio, ma
Il filologo
Angelo Tonelli
I PREFERITI
f
GIORGIO COLLI
Filosofia
dell'espressione
Adelphi, pp. 237, €20
«Uno dei libri più belli del mio
maestro, irrinunciabile per
cogliere l'aspetto mistico,
sapienziale dei saggi
presocratici»
«Il maestro mi è
apparso in sogno
per indicarmi dove
trovare gli antichi
alchimisti»
strumentale a vivere attraverso i libri - o meglio, nel
suo caso, scritture, frammenti, versi, trascrizioni un’esperienza esistenziale e
spirituale più profonda. Lettura, nel senso più autentico
e importante, è per lui quella
obbligatoriamente rallentata della traduzione, che intimamente comprende un testo estraneo e lo riscrive nella propria lingua. È la più fedele, amorosa, «filologica»
delle interpretazioni. O è recitazione: empatica immedesimazione che alla parola altrui, estratta da una pagina
muta, restituisce voce e vita.
Per tutte queste ragioni il
«diario di lettura» di Angelo
Tonelli si presenta come il resoconto di un’avventura di
scoperta. Il taccuino di un
viaggio attraverso idiomi e
età remote. Il percorso di
un’esplorazione, un’iniziazione, un’ascesi - se si vuole
un’odissea - che, iniziata ai
nostri giorni, conduce fino alle origini della civiltà per ritornare ancora all’oggi.
«Ho dedicato oltre
dieci anni ai tragici:
testi di sapienza
inesauribile e bellezza
intramontabile»
Fa impressione incontrare sulla spiaggia di Lerici, dove è nato e vive, un personaggio così fuori dal tempo. Di
fronte a noi c’è il Mar Ligure,
ma potrebbe essere l’Egeo
che, nella mite estate dei
morti risplende nel luminoso
sole novembrino dopo le alluvioni recenti. In lontananza
si vedono Portovenere e le
Cinque Terre: è il Golfo dei
Poeti, che Tonelli ha ribattezzato il Golfo degli Dei per i richiami mitologici di cui è
denso questo paesaggio.
«Qui, in questa Grecia di
Liguria, circolano gli archetipi della mitologia antica. I divini abitatori del golfo appaiono in trasparenza a chiunque abbia un’anima disposta
a riconoscerli. La Madonna
Bianca di Portovenere, per
esempio, ha molte analogie
con un’Atena marina», spiega guardando verso il largo
al limitare della baia. «Mi
piace lavorare all’aperto, vicino al mare, o sulle rive del
Magra. Poi quello che svolgo al computer, tra quattro
mura, non è che il lungo, lento, preciso, faticoso lavoro
di redazione».
Sul Golfo di La Spezia, che
da anni fa da sfondo al suo
confronto con i testi, lei ha
scelto di tornare. Le lettu-
f
una sapienza di tenore diverso. È quanto distingue, insegnava Colli, la philo-sophia dalla sophia».
Prosa no: poesia invece?
«I poeti sì, sempre gli stessi.
Non i contemporanei, che trovo oltremodo irritanti. Non arrivo oltre i versi orficheggianti
degli Ossi di Montale, al massimo Sereni e Bertolucci. Archiloco e soprattutto Saffo mi dischiusero la bellezza della lirica quand’ero ragazzo. Poi lessi
e amai Rimbaud, Campana,
T.S. Eliot, di cui - procedendo
da filologo - tradussi La terra
desolata e i Quattro quartetti.
So bene che oggigiorno la poesia è la cenerentola del mercato editoriale: si vende poco e si
legge ancora meno. Perciò credo nella sua diffusione teatrale, nell’oralità della sua comunicazione: è un fenomeno aedico, che permette alla parola,
così alata, di raggiungere e colpire un nuovo pubblico».
Da traduttore e filologo i
suoi scaffali gronderanno di
dizionari.
PETER KINGSLEY
Misteri e magia nella
filosofia antica
Il Saggiatore, pp. 411, €25
«Un filologo di cui condivido
l'approccio all'antichità, autore
eterodosso inviso a tutta la
comunità accademica
internazionale perché vede gli
antichi maestri come sciamani»
f
Angelo Tonelli © AIMAPROJECT
La vita Poeta, filologo, traduttore e regista teatrale, Angelo Tonelli è tra i
massimi grecisti viventi. Nato nel 1954 a Lerici ha studiato Filologia Classica
all'Università di Pisa con Giorgio Colli.
L'opera La sua impresa maggiore è la traduzione di «Tutte le tragedie» di
Eschilo Sofocle e Euripide, uscita da Bompiani con il testo originale a fronte: un
volume (pp. 3104, € 55) messo a punto in undici anni di lavoro. Tra i suoi poemi
più apprezzati, i «Canti del tempo» (Crocetti, vincitore del Premio Montale) e i
«Canti di Apocalisse e d'estasi» (Campanotto, vincitore Premio Città di Atri)
L’allievo di Colli, traduttore di Eschilo, Sofocle,
Euripide, riconosce nel mare di Liguria, un’eco
dell’Egeo, gli archetipi della mitologia antica
“Nel golfo
di Lerici
vivo tra gli Dei”
re decisive per indurla a questo ritorno hanno avuto luogo altrove.
«Accadde a Pisa, negli Anni
Settanta, quando mi iscrissi
all’Università per studiare Filologia e al Collegio della Scuola Normale conobbi Giorgio
Colli. I libri fondamentali che
diedero l’impronta alla mia
formazione e decisero lo stile
del mio approccio alla cultura
greca sono i suoi La nascita
della filosofia, piccola, splendente introduzione al pensiero antico; lo straordinario Filosofia dell’espressione, un testo
micidiale, di complessità
estrema, ma irrinunciabile
per cogliere l’aspetto sapienziale dei presocratici; e La sapienza greca, in particolare il
terzo volume, che fu il suo ultimo lavoro: uscì postumo nella
redazione del figlio Enrico,
contiene la sua singolare versione dei frammenti di Eraclito. Io stesso, ricevuto il la dal
mio maestro, tornai a sondare
quei versi così enigmatici e ne
approntai una versione uscita
nel ‘93 da Feltrinelli».
Giorgio Colli le indicò le letture che segnarono la sua
strada di studioso?
«Mi incoraggiò a leggere i filosofi: Kant, Nietzsche e Schopenhauer, che restano tra i
miei punti di riferimento. Di
mio, negli anni in cui mi avvicinavo a Colli, lessi i testi fondamentali delle tradizioni religiose d’oriente: le Upanishad, i Veda, il Canone Buddista, che mi
indussero a radicalizzare le posizioni del mio maestro e ad
approfondire le analogie cui
lui accennava tra la sapienza
greca e quella orientale: tra
Parmenide e il pensiero indiano, Eraclito e il taoismo, Empedocle e lo zoroastrismo. Un titolo però, espressamente consigliatomi da Colli, mi portò ad
affrontare la mia prima impresa filologica di rilievo. Mi apparve in sogno per indicarmi
STEPHEN HAWKING
Il grande disegno
Mondadori, pp. 192, €20
«Sono attento alle scienze, alle
ricerche dei fisici studiosi delle
micro particelle. Credo siano i
nuovi presocratici, capaci di
cogliere l'affinità di spirito e
materia, la convergenza di caso e
necessità»
lo scaffale del dipartimento di
filologia dov’era riposto un volume di Marcellin Barthelot
del 1888: la Collection des anciens alchemistes grecs. Il tomo
conteneva gli scritti di Zosimo
di Panopoli, su cui lavorai per i
successivi nove anni mettendone a punto la prima traduzione italiana, citata nella monumentale edizione delle Belles Lettres sulla tradizione alchemica. È stato arduo. Era
un greco tardo ellenico, diverso da quello classico. Ho dovuto rifarmi una grammatica, un
nuovo lessico».
Dopo essersi misurato con
«Le parole dei sapienti», dopo Eraclito e Zosimo, gli Oracoli Caldaici, Empedocle e
Properzio, affrontare i testi
del teatro tragico sarà stato
un sollievo...
«Un prolungato piacere... Ho
dedicato oltre dieci anni ai
drammi di Eschilo, Sofocle e
Euripide: testi di sapienza inesauribile e bellezza intramontabile. A complicare il lavoro
di traduzione è stata la necessità di confrontarsi con tutta
la letteratura fiorita attorno ai
tragici e con la serie delle traduzioni precedenti. Sarebbe
ingenuo volerli affrontare a
corpo nudo».
Legge mai per distrarsi, riposare la mente, divertirsi?
«Evito la prosa. Non leggo romanzi, preferisco la saggistica
filosofica. Ma anche quelle sono letture di informazione, testi sulle procedure del pensiero, ricerche propedeutiche a
«Certo che sì, sono gli strumenti del mestiere. Due autori però voglio citare come le
guide di tutto il mio lavoro da
filologo. Peter Kingsley, l’autore di Misteri e Magia nella
filosofia antica che, inviso a
«I poeti? Non arrivo oltre
i versi orficheggianti
degli Ossi di Montale,
al massimo Sereni
e Bertolucci»
tutta la comunità accademica internazionale, vede gli antichi maestri come sciamani.
E Pierre Hadot che in un celebre testo pubblicato da Einaudi vede un nesso profondo tra pensiero antico e esercizi spirituali».
Lei parla, sappiamo, di una
sapienza antica. Ma non sarà che il metodo cui lei si attiene per studiarla sia, per la
razionalità moderna, poco
scientifico?
«Al contrario. Io sono lettore
e estimatore di scienziati duri, fisici nucleari, studiosi delle microparticelle. Credo che
siano i presocratici di oggi. Libri come Il grande disegno, di
Stephen Hawking, per non dire del classico (purtroppo fagocitato dal new age) Il tao
della fisica di Fritjof Capra
squadernano con rigore la misteriosa coincidenza, intuita
dagli antichi, tra il caso e la
necessità».
E dove ha collocato i fisici
tra gli scaffali della sua libreria: prima o dopo i metafisici? Tra i sophoi o i filosofi, i
saggisti d'occidente o gli
adepti dei saggi d'oriente, o
tra la sterminata letteratura
sui tragici?
«Io sono lettore
e estimatore
di scienziati duri,
sono i presocratici
del nostro tempo»
«Il problema non si pone.
Non sono il tipo che ama circondarsi di libri. Ho regalato
quelli che possedevo alla biblioteca di Lerici. Ho tenuto
solo i fondamentali: i pochi
poeti, i rari sapienti, quelli
che in un frammento o un distico hanno espresso verità
su cui si sono sparsi fiumi
d'inchiostro. Questi non mi
stanco di rileggere. In obbedienza a quanto consigliava
Giorgio Colli: “Bisogna essere minatori fedeli alla propria caverna”».
Se poi è aperta sul mare…