EBRAISMO MESSIANICO O CRISTIANESIMO E anch'io ti dico: tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa, e le porte dell'Ades non la potranno vincere. Mt 16:18 Cosa intendeva dire Yeshua il Signore quando disse: “edificherò la mia ekklesia”? Stava dando inizio al cristianesimo come lo intendiamo noi oggi? Se fosse stato così i suoi uditori non avrebbero capito la sua dichiarazione, perché Yeshua non ha mai parlato di nazioni o di assemblea universale. Egli era venuto per le pecore perdute della casa d’Israele (Mt 15:24; cfr 10:5). Solo alla fine avrebbe mandato i suoi in mezzo ad Israele e alle nazioni comandando loro di fare discepoli (Mt 28:19). La parola ekklesia (dal gr. chiamato fuori da) era generico all’epoca del primo secolo e riguardava qualsiasi gruppo di persone di qualsiasi categoria, anche non religiosa (cfr Atti 19:32, 39 dai testi originali). Yeshua stava dicendo che avrebbe costituito la sua assemblea di discepoli in mezzo alle tante altre: ekklesia dei farisei, dei sadducei, degli zeloti, ecc. Queste erano tutte ekklesie all’interno dell’ebraismo. Rabbi Yeshua ne stava formando una nuova, ma sempre all’interno dell’ebraismo. Lo storico Giuseppe Flavio le considerava “scuole di pensiero” (compresa quella di Yeshua), intendendo dire diversi modi di comprendere e applicare la Torah e i Profeti tra i propri discepoli. La prima volta che i discepoli furono chiamati dalle persone con l’appellativo di “cristiani” fu ad Antiochia (Atti 11:26). Ora la parola “cristiano” era per chi usava la lingua greca, ma chi parlava l’ebraico/aramaico avrebbe detto “messianico” e chi parlava il latino “unto”. Questo non era un termine che intendeva spiegare una nuova religione. E’ stata definita una corrente o una divisione all’interno dell’ebraismo anche dagli accusatori di Paolo davanti al governatore Felice (Atti 24:5). Qui il termine usato è “nazareni”, in ebr. “notzrim” ed è una parola che troviamo molto spesso nei documenti ebraici delle sinagoghe dell’epoca (lettere, diffide, narrazioni). Quello di Yeshua lo possiamo definire, sulla base di queste osservazioni storiche, ebraismo messianico, una corrente di pensiero che mirava a ristabilire lo splendore della Torah offuscata negli ultimi secoli da tutte le altre “denominazioni” ebraiche. D'altronde Egli non è venuto per abolire la Torah, ma per darle il suo significato pieno e profondo (Mt 5:17). I primi discepoli dopo Shavuot (Pentecoste) continuavano a recarsi al Tempio tutti i giorni essendo di un sol cuore (Atti 2:46; 3:1), tutti erano zelanti per la Torah (Atti 21:20; 22:12). Paolo stesso insegnava dalla Torah e dai Profeti e nel pieno rispetto di quella sana tradizione dei padri (Atti 24:11, 14, 17; 26:22; 28:17, 23) e il risultato era la conquista della fiducia e il favore di tutto il popolo d’Israele (Atti 2:47). Nessuno in Israele avrebbe seguito una “via” che avrebbe rigettato i pilastri dell’ebraismo o rinunciato alla Torah di Mosè o smesso di praticare lo shabbat e le altre feste. Fu definita una “nuova via” (Atti 19:9, 23 – in ebr. derech chadasha) e tale era, una nuova via in perfetto stile ebraico biblico. Per tale motivo “la Parola di Dio si diffondeva e il numero dei discepoli si moltiplicava grandemente in Gerusalemme e anche un gran numero di sacerdoti ubbidiva alla fede (Atti 6:7)”. Il lieto messaggio degli apostoli consisteva nel comprovare la messianicità di Yeshua e nella testimonianza della sua resurrezione, non nel fondare un nuovo credo o una nuova religione. Quando nella storia sorse il cristianesimo per come lo conosciamo oggi? Quando i credenti provenienti dalle nazioni si staccarono dalla radice che fin ora li aveva sostenuti (Rom. 11:18, 20). Questa rottura fu ufficializzata al Concilio di Nicea (325 dC). Prima di questa data tutti i credenti, ebrei e gentili, erano in mezzo ad Israele, frequentando il Tempio e la sinagoga, oltre che agli incontri di soli messianici/cristiani (Atti 18:24-26 Priscilla e Aquila udirono Apollo in sinagoga prima di prenderlo in disparte); onoravano Dio con le feste bibliche insieme al popolo d’Israele e contribuivano praticamente al sostegno dei poveri d’Israele, ciò che nell’ebraismo da sempre è stato definito con “tzedaka” (cfr Rom. 15:26; Gal. 2:10). Nella lettera di Giacomo (Jacov in ebr.) pienamente ebraica (e aggiungeremmo messianica) c’è una parola importante che è stata offuscata dalle traduzioni, nonostante la sua chiarezza: Infatti, se nella vostra sinagoga entra un uomo con un anello d’oro, vestito splendidamente e vi entra pure un povero vestito malamente…(2:2) Qui abbiamo una ulteriore prova di ciò che stiamo affermando. La lettera è indirizzata alle dodici tribù che sono disperse fra le nazioni (1:1) e che non hanno abbandonato gli incontri abituali nelle sinagoghe sparse in tutto il mondo. Nessuna separazione, nessun abbandono! Dopo gli apostoli, però, cominciarono ad esserci i primi predicatori gentili contro ogni forma di ebraismo, fino ad arrivare al disprezzo del popolo eletto e a non avere più una corretta comprensione della Torah di Mosè e dei patti (vd Ignazio d’Antiochia, Lettera di Barnaba, Giustino martire). Fu in questo periodo che venne alla luce “l’antisemitismo cristiano” e in seguito l’imperatore Costantino, con il suo Concilio di Nicea, ne sarà il grande interprete: “…sembrava una cosa indegna che nella celebrazione di questa santissima festa si dovesse seguire la pratica dei Giudei, che hanno insozzato le loro mani con un peccato enorme, e sono stati giustamente puniti con la cecità delle loro anime. ...È bene non avere nulla in comune con la detestabile cricca dei Giudei; in quanto abbiamo ricevuto dal Salvatore una parte diversa. » E ancora: « Fu prima di tutto dichiarato improprio il seguire i costumi dei Giudei nella celebrazione della santa Pasqua, perché, a causa del fatto che le loro mani erano state macchiate dal crimine, le menti di questi uomini maledetti erano necessariamente accecate. ... Non abbiamo nulla in comune con i Giudei, che sono i nostri avversari. ... evitando ogni contatto con quella parte malvagia. ... le cui menti, dopo avere tramato la morte del Signore, fuori di sé, non sono guidate da una sana ragione, ma sono spinte da una passione irrefrenabile ovunque la loro follia innata le porti. ... un popolo così completamente depravato. ...Quindi, questa irregolarità va corretta, in modo da non avere nulla in comune con quei parricidi e con gli assassini del nostro Signore. ... neanche un solo punto in comune con quegli spergiuri dei Giudei”. Eusebio, sostenitore di Costantino, disse: “Sembrava una cosa indegna che seguissimo le pratiche degli ebrei… non vogliamo avere niente in comune con la detestabile folla ebrea; stacchiamoci da ogni partecipazione alle loro bassezze. Preghiamo continuamente che l’anima non sia macchiata dalla comunione con i loro costumi… tutti dovremmo unirci nell’evitare ogni partecipazione nel comportamento degli ebrei”. Non si riuscì subito ad ottenere l’effetto desiderato, perché era difficile separare i credenti (ebrei e gentili) dai princìpi della Torah e dei Profeti, ma ormai la scure era stata gettata sulle radici ebraiche dell’Assemblea di Yeshua e presto una parte della Chiesa morì, una parte rimase influenzata dall’antisemitismo cristiano e una parte fu il residuo fedele. I concili divennero l’espressione della massima autorità ecclesiale con il potere di emettere decreti (dal gr. dogmi) vincolanti per tutte le chiese locali. Il Concilio di Antiochia (340 dC) decretò: “Se un vescovo, un anziano o un diacono oserà, dopo questo decreto, celebrare la Pasqua con gli ebrei, il concilio lo giudicherà anatema dalla Chiesa. Questo concilio non solo deporrà dall’incarico lui, ma ogni altro che oserà tenersi in contatto con lui”. Nel canone 29 del Concilio di Laodicea (363 dC) troviamo la messa al bando dello shabbat e l’incoraggiamento a festeggiare la domenica soltanto. Inoltre il canone 37 recita così: “Non è permesso celebrare festività che sono ebraiche, né celebrare con gli ebrei. I cristiani non devono giudaizzare riposando di sabato, ma devono lavorare quel giorno… ma se si troverà uno che giudaizza che sia anatema da Cristo”. Come si può vedere a distanza di decenni dal primo concilio si continuava a turbare e a minacciare i credenti sinceri con decreti di uomini avvallati dagli imperatori di turno per impedire loro di “essere in mezzo ad Israele”. Si andò a distorcere il concetto della giudaizzazione (cfr Atti 15:1) e se i primi discepoli erano zelanti per la Torah, ora la si vietava. La teologia della sostituzione divenne la nuova dottrina da insegnare a tutti i cristiani e a obbligarli a essere sottomessi agli uomini anziché a Dio. Si sostituì Israele alla Chiesa, termini ebraici biblici con la lingua e la filosofia greca, la Torah ai dogmi, il sabato alla domenica, la Pasqua ebraica alla Pasqua cristiana, la Cena del Signore (pasto del nuovo patto) all’Eucarestia, ecc.; anziché provocare a gelosia gli ebrei non credenti (Rom. 11:11, 14), sono stati portati all’odio. L’apostolo Paolo si sarebbe considerato anatema, separato dal Messia, se avesse smesso di amare Israele (Rom. 9:2-3), invece con i concili si sono lanciati anatemi contro coloro i quali avessero mantenuto il loro legame con Israele. Dopo anni di separazione l’Ekklesia di Yeshua è tornata alle sue radici. La linfa dell’ulivo di Dio, Israele, è tornata a scorrere sia nei rami naturali, gli ebrei, sia nei rami innestati, le nazioni. L’ebraismo messianico è tornato, la restaurazione ha avuto il suo inizio. Dopo 1700 anni di storia del Cristianesimo, la parola “messianico” è tornata ad avere il suo significato originario. Gli ebrei che si ravvedono non smettono di essere ebrei! Hanno come insegnamento la Torah, i Profeti e gli Apostoli, come precetti i comandamenti divini, come feste lo Shabbat e tutte le altre solennità volute da Dio e tutte che parlano del Messia; sono in un corpo, quello del Messia d’Israele, il quale raccoglie in sé le primizie d’Israele e le primizie delle nazioni. Quali sono i frutti di quest’opera dello Spirito di Dio? Negli ultimi decenni centinaia di ebrei sono stati provocati a gelosia, sono stati amati e hanno riconosciuto la messianicità di Yeshua (negli ultimi 15 anni ci sono stati 15000 ravvedimenti nello Stato israeliano. Prima di allora erano un paio di centinaia circa), hanno riscoperto con quale spirito vivere i comandamenti della Torah, ossia con la mente del Messia; hanno scoperto gli Apostoli, quali discepoli di Rabbi Yeshua; hanno distinto il cristianesimo storico dall’ebraismo messianico; hanno ritrovato la speranza del Regno Messianico. E i credenti provenienti dalle nazioni? Sono tornati ad amare Israele chiedendogli perdono per ciò che la cristianità secolare ha fatto e insegnato, sono tornati a rivivere la pienezza del loro innesto nell’ulivo d’Israele e in due parole stanno smettendo di essere “denominazioni”, qualcosa che ha profondamente disunito i credenti evangelici, per riscoprire la propria cittadinanza d’Israele. La base d’insegnamento non è più la teologia della sostituzione, né i dogmi e le dottrine di uomini, ma la Torah vivente di Yeshua il Messia. Questo è un grande risveglio! I molti movimenti di risveglio nel mondo evangelico sono sì ritornati alle Scritture, ma nessuno di questi è andato al nocciolo del risveglio in sé: far risorgere Israele dai morti (Rom. 11:15). In tutti i risvegli citati dalle Scritture c’è una costante: il ritorno all’Iddio d’Israele, alla Torah, ai patti (vd il periodo dei Giudici; il re Ezechia – II Cron. 29-31; il re Giosia – II Re 22-23; Esdra lo scriba e Neemia, due grandi restauratori). Questo filo conduttore è tornato ad essere intessuto nel Movimento Messianico, oggi. Non riconoscerlo sarebbe l’ennesima grave perdita della propria identità e della propria eredità, poiché è scritto che ai figli d’Israele appartengono l'adozione, la gloria, i patti, la legislazione, il servizio sacro e le promesse;ai quali appartengono i padri e dai quali proviene, secondo la carne, il Cristo (Rom. 9:4-5). E’ scritto “appartengono”, tempo presente, non “sono appartenuti un tempo”. La ricchezza della nostra eredità dipende da questa consapevolezza. Ravvedetevi dunque e convertitevi, perché i vostri peccati siano cancellati e affinché vengano dalla presenza del Signore dei tempi di ristoro e che egli mandi il Cristo che vi è stato predestinato, cioè Gesú,che il cielo deve tenere accolto fino ai tempi della restaurazione di tutte le cose; di cui Dio ha parlato fin dall'antichità per bocca dei suoi santi profeti. Atti 3:19-21 Ora, se la loro caduta è una ricchezza per il mondo e la loro diminuzione è una ricchezza per gli stranieri, quanto piú lo sarà la loro piena partecipazione! Infatti, se il loro ripudio è stato la riconciliazione del mondo, che sarà la loro riammissione, se non un rivivere dai morti? Rom. 11:12, 15 L’apostolo Pietro fa dipendere i tempi di ristoro dal ravvedimento del suo popolo. Yeshua il Signore non potrà tornare se prima non ci sarà ravvedimento in Israele, quello che era cominciato al tempo degli apostoli (Atti 21:20). Egli sta aspettando la restaurazione di tutte le cose, esattamente come era avvenuto in tutti i risvegli raccontati nelle Scritture. La piena partecipazione al Messia da parte del popolo ebraico, porterà ricchezza alle nazioni intere (cfr Ezech. 37). Israele è già tornato alla sua terra come nazione nel 1948, ora sta tornando al suo Dio, alla sua Torah e ai suoi patti attraverso un opera, quello dello Spirito di Dio e attraverso un nome, quello di Yeshua (in ebr. salvezza). Quanti di noi stanno facendo parte di quest’opera? Quanti sono solo spettatori? Quanti rimarranno “lenti di cuore” a comprendere le cose che i profeti hanno dette? Yeshua il Signore non ha forse detto agli apostoli di andare e ammaestrare tutti i popoli insegnando loro di osservare tutte le cose che ha comandato (Mt 28:19-20)? E di cosa era maestro, di cosa è stato il “completamento”, se non della Torah di Mosè e quali sono le cose che ha comandato, se non i precetti di Dio dati a Israele? Essere discepoli oggi significa esserlo come quelli di ieri, seguaci di un rabbi d’Israele, diventato il Redentore di tutte le nazioni. In conclusione, spero che si sia capito che tutto ciò non è motivato da fanatismo per Israele o da un amore fine a sé stesso per il popolo eletto, ma si tratta di una riscoperta di Yeshua quale Re della tribù di Giuda e Messia d’Israele, con a seguito il suo popolo, la sua Torah e infine il suo ritorno. E riguardo a quest’ultimo aspetto, sappiano quanto sia importante il ritorno del Signore per la sua Sposa! Rallegriamoci ed esultiamo e diamo a lui la gloria, perché sono giunte le nozze dell'Agnello e la sua sposa si è preparata. Apoc. 19:7