Da TI AIUTO A GIOCARE di Nicolodi 1.1 I MODELLI DI SENSO DEL GIOCO INFANTILE Da quando il bambino è entrato in modo positivo nella storia, cioè da quando in quest'ultimo secolo ha acquisito i diritti fondamentali di ogni essere umano, molte cose sono cambiate nel modo con cui la stessa storia vede il bambino. In particolare è ormai sancito a livello ufficiale il suo diritto all'istruzione, alla cura, alla protezione, al gioco. Il gioco infantile si è finalmente e definitivamente liberato dell'adultomorfa connotazione di cosa futile, inutile, da bambini appunto. Ha potuto essere avvicinato con un nuovo interesse dal mondo della cultura, e ha potuto essere studiato nei suoi complessi ed affascinanti meccanismi interni. In questo ultimo secolo è stato esplorato da varie branche del sapere scientifico, quali la medicina (nelle sue varie componenti come la neuropsicologia e la neuropsichiatria) la sociologia, l'antropologia, l'etologia, la pedagogia, la psicologia, la psicanalisi, la psicomotricità ecc. Ognuna di queste discipline ha portato nuovi elementi per una maggiore conoscenza e comprensione del fenomeno nel suo complesso. Tanto che ai giorni nostri il diritto del bambino al gioco non è più culturalmente messo in discussione, e tutte le istituzioni educative, soprattutto quelle della prima infanzia come l'asilo nido e la scuola materna, si caratterizzano proprio per aver fatto del gioco infantile la componente più importante della propria professionalità educativa. Permane tuttavia una vistosa contraddizione della società contemporanea nei confronti del gioco infantile: accanto al grande interesse e alla seria professionalità delle istituzioni educative della prima infanzia, si constata infatti il disinteresse quasi totale del resto della società, a cominciare dagli spazi urbanistici per finire a quelli domestici. Per assistere poi al rispuntare di un interesse, questa volta per la verità molto interessato, nel considerare il gioco infantile come possibile spazio commerciale, come dimostra la martellante pubblicità per giochi e giocattoli a cui anche i bambini sono sottoposti nei moderni mezzi di comunicazione. Insomma il bambino e il suo gioco sono per la società moderna contemporaneamente sia un oggetto di interesse scientifico ed educativo autentico; sia un oggetto intruso, fuori posto, che disturba, sopportato nei migliori dei casi, negli altri ignorato e contrastato; e infine un oggetto di seduzioni perché può diventare un utile spazio commerciale. In ogni caso, da un punto di vista scientifico e culturale, una volta che il gioco infantile è entrato nelle cose degne di attenzione e considerazione, la questione più importante per la società contemporanea sembra essere quella del senso del gioco. In pratica: cosa vuol dire, perché è importante e come può essere utilizzato per i fini educativi e curativi che la società si propone nei confronti dei bambini. Vediamo allora, in rapida sintesi, quali sono i principali 'modelli di senso', cioè i principali ambiti culturali da cui il gioco infantile ha tratto e continua a trarre la sua rivalutazione nel nostro tempo. 1) Abbiamo innanzi tutto il modello scientifico tipico delle scienze naturali. In questo contesto il gioco è considerato il più importante ed il più efficace mezzo per favorire la maturazione e lo sviluppo infantile in tutte le sue varie funzioni: da quella fisica (neurologica, scheletrica, muscolare) a quella psichica (mentale ed affettiva) a quella linguistica, percettiva, sociale ecc. In questo contesto la considerazione del gioco infantile non differisce molto nella sostanza da quella degli altri animali: i cuccioli di ogni specie, in particolare di quelle superiori, hanno nel gioco il mezzo più efficace per allenarsi e per imparare. La differenza principale tra istinto e apprendimento sembra costituita proprio dal gioco. Nel mondo animale, all'interno della propria specie, le informazioni principali vengono trasmesse alla propria discendenza o per via genetica, e sono le modificazioni che avvengono per adattamento biologico, o attraverso gli apprendimenti e l'imitazione nel contatto con l'ambiente. Ovviamente questi ultimi sono più importanti perché permettono informazioni più rapide e complesse. Ed infatti le specie superiori si differenziano dalle inferiori proprio per l'importanza dell'apprendimento rispetto all'adattamento biologico. Gli apprendimenti principali di una specie sono appresi dai cuccioli attraverso l'imitazione del comportamento degli adulti però inseriti sempre in un contesto di gioco. Esso viene ad assumere allora un ruolo fondamentale all'interno della società stessa. Prende lo statuto di garante della conservazione e dell'incremento del patrimonio degli apprendimenti di ogni specie e di ogni cultura, perché è attraverso esso che i piccoli apprendono e ricevono dagli adulti tutto il sapere maturato dalla propria specie nel contatto col proprio ambiente nel corso del tempo. In questo contesto l'etologia ha studiato le varie modalità con cui il gioco si sviluppa. Come è usato lo spazio, come sono utilizzati i vari segmenti del linguaggio corporeo o il contatto e l'esplorazione del territorio, degli oggetti e degli individui in esso contenuti ecc. fino a ricavarne delle leggi di origine naturale che regolamentano e caratterizzano ogni specie. 2) Un secondo modello di senso, tipico di questo ultimo secolo, è quello psicanalitico. Secondo questo modello il senso del gioco sarebbe da ricercarsi nell'intrapsichico. Il gioco infantile sarebbe in connessione diretta con le motivazioni pulsionali interne di cui ne sarebbe espressione immediata. Il suo vero senso sarebbe allora nascosto nelle motivazioni inconsce e sarebbe accessibile solo a chi fosse in possesso della chiave giusta per svelarne il legame simbolico: appunto i fondamenti teorici della teoria psicanalitica. Questo modello ha avuto e continua ad avere una grande importanza nella rivalutazione del gioco infantile, soprattutto quando le istituzioni educative si sono rivolte alla prima infanzia in modo diretto, in particolare con l'istituzione degli asilo nido e delle scuole dell'infanzia con compiti principalmente educativi e non solo assistenziali. Inoltre questo modello, come vedremo, ha assunto una grande importanza quando il gioco è entrato nel processo di cura. 3) Un terzo modello di senso è quello sociologico. Non solo o non tanto per il fatto che il bambino giocando impara i ruoli ed il contesto sociale in cui vive, perché in questo caso saremmo ancora nel modello scientifico e biologico visto in precedenza per tutti gli altri apprendimenti. In questo contesto per modello di senso sociologico si intende il particolare contenitore sociale, culturale e istituzionale al cui interno il gioco infantile è contemplato. Ogni società infatti, evidenziando il senso che dà (o non dà) al gioco infantile, in pratica evidenzia il senso che dà di se stessa. Se analizziamo i vari documenti internazionali che si occupano dei diritti del bambino constatiamo che fino agli anni '60 ("Dichiarazione delle società delle nazioni", Ginevra 1924; e "Carta dell'infanzia", Londra 1942) si fa riferimento unicamente all'aspetto assistenziale dell'infanzia e si esclude totalmente il gioco dai bisogni primari del bambino. E' necessario aspettare il 1959 per leggere nella "Dichiarazione dei diritti del fanciullo" dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, al Capitolo Settimo, il diritto del bambino "...a dedicarsi ai giochi, e ad attività ricreative che devono essere orientate a fini educativi...". Tale principio è ripreso da un ulteriore documento delle Nazioni Unite (New York 1989) e ratificato dal Parlamento Italiano con la legge 22.5.1991 in cui è riconosciuto "...il diritto del bambino al riposo, al tempo libero; ...e quello di dedicarsi al gioco e ad attività ricreative", con l'aggiunta del principio, con una sensibilità in cui si è distinta soprattutto la società italiana, dell'estensione dei medesimi diritti anche ai portatori di handicap. Inoltre potrebbe risultare interessante e curiosa anche una rilettura in questo senso di tutti i vari 'programmi' o 'orientamenti' che sono stati promulgati nelle istituzioni educative in questo ultimo secolo (asilo nido, scuole dell'infanzia, scuola elementare e medie inferiori)1). Nei programmi scolastici del secolo scorso non si faceva ancora riferimento al gioco come strumento pedagogico e didattico. Forse l'economia a prevalente carattere agricolo e il conseguente grande bisogno di manodopera che comportava, accentuava la concezione del gioco come ozioso passatempo ed inutile trastullo. Se la scuola "gli avesse ufficialmente attribuito una rilevanza eccessiva i suoi gi… esigui frequentatori sarebbero ulteriormente diminuiti, se non addirittura scomparsi"2). E' nei programmi della riforma Gentile, nel 1914, che trova posto per la prima volta il concetto del gioco come un'importante attività per l'infanzia. Esso viene definito come "esperienza, conoscenza, espressione di spontaneità e creatività del fanciullo". Ma è soprattutto negli anni settanta/ottanta, quindi anche in questo caso in epoca molto recente, che il gioco e l'attività ludica entrano a pieno titolo in tutti i programmi ed orientamenti delle scuole dell'infanzia. Sia i "Programmi didattici per la scuola primaria" (1985) che i "Nuovi Orientamenti dell'attività educativa nelle scuole materne statali" (1991) dedicano al gioco degli importanti riferimenti; esso è considerato non solo un'attività da riservare al momento della inevitabile ricreazione, ma è rivalutato al rango di importante risorsa didattica ed educativa. In parziale contraddizione con queste linee si situano invece i "Programmi di insegnamento per la scuola media statale" (1979) in cui, malgrado i molti accenni alla necessità di adeguare l'insegnamento e l'atteggiamento didattico "alle esigenze, all'età e alla psicologia degli alunni", del gioco non si parla affatto. Come se esso fosse del tutto estraneo "all'età, alle esigenze e alla psicologia" di alunni degli 11 ai 13 anni. O forse esso Š estraneo a chi pensa come dovrebbero essere gli alunni dagli 11 ai 13 anni... Coma appare chiaro in questi documenti il pretesto di cui si parla è spesso il gioco infantile: si dice come deve essere considerato, programmato, articolato, inserito negli obiettivi didattici ed educativi di ogni istituzione, oppure come è accuratamente evitato od ignorato, ma il vero argomento spesso è la presentazione, da parte della società, di se stessa, dei suoi valori, delle sue peculiarità e delle sue contraddizioni. Basti pensare, come ultima considerazione, alle polemiche di questi ultimi anni sul ruolo dell'insegnamento della religione cattolica addirittura nelle scuole dell'infanzia. Come se fosse un problema del bambino... Ogni società quindi inevitabilmente trasmette i suoi valori e le sue contraddizioni ad ogni sua parte, e il gioco infantile, in questo senso, ne è parte integrante a pieno titolo. Il modello di senso che ne deriva allora prende inevitabilmente il colore del senso che ogni società dà di se stessa.