Scoperti i segreti della leucemia a cellule capellute

RICERCA IN VETRINA
Progressi in ematologia
Scoperti i segreti della
leucemia a cellule capellute
Uno studio coordinato da ricercatori umbri
ha individuato i meccanismi molecolari alla base
della leucemia a cellule capellute, aprendo nuove
vie per la diagnosi e il trattamento della malattia
a cura della REDAZIONE
a leucemia a cellule capellute si è arresa e ha svelato i
suoi segreti più nascosti a
un gruppo di ricerca internazionale diretto da Brunangelo Falini, professore di ematologia dell'Università di Perugia. Il lavoro
appena pubblicato su una delle maggiori riviste di clinica medica, il New
England Journal of Medicine, ha fatto
luce sulle caratteristiche genetiche e
molecolari che portano alla malattia.
“Questa particolare leucemia – detta a
cellule capellute, proprio per i prolungamenti simili a capelli presenti sulla
superficie delle sue
cellule – era già ben
nota dal punto di vista
morfologico e clinico,
e negli ultimi decenni
sono stati compiuti
molti passi in avanti nella terapia” afferma Falini. “Dal punto di vista molecolare le cose non erano però altrettanto chiare. Siamo partiti dal confronto
tra le cellule tumorali e quelle sane di
un paziente con la leucemia a cellule
capellute e poi abbiamo confermato
quanto emerso da questa prima analisi anche in altri 47 pazienti”. Sequenziando – cioè “leggendo” lettera per
lettera – tutto l’esoma (cioè il DNA
che produce proteine) delle cellule
del tumore e di quelle sane, i ricercatori hanno scoperto che in tutti i casi
di leucemia a cellule capellute era
presente la mutazione BRAF V600E,
L
già nota per la sua capacità di favorire
altri tumori (melanoma, tumore papillare della tiroide e altri). Al sequenziamento hanno dato un contributo
importante Raul Rabadan e Laura Pasqualucci, entrambi della Columbia
University.
Buone notizie
per diagnosi e cura
Anche i segnali molecolari che partono da BRAF non funzionano in maniera corretta in questo tipo di leucemia. “In pratica il segnale che induce la
proliferazione delle
cellule è sempre attivo” spiegano gli autori
dello studio.
A questo punto i ricercatori hanno pensato di interrompere i segnali anomali
utilizzando una molecola capace di interferire con questa via molecolare e i
risultati (per ora ottenuti in vitro)
hanno confermato l’ipotesi: bloccare il
gene BRAF mutato con specifici inibitori è una strategia efficace nel caso
della leucemia a cellule capellute.
“Dal momento che queste sostanze
sono già state applicate in clinica con
buoni risultati nel melanoma, lo stesso
trattamento potrebbe essere utilizzato
nei pazienti con leucemia a cellule capellute che non rispondono alle cure
standard utilizzate oggi, oppure nei
casi in cui i farmaci tradizionali si
La malattia
è data da una
mutazione
LA RICERCA IN BREVE
Cosa si sapeva
Le caratteristiche cliniche della
leucemia a cellule capellute sono ben
definite, mentre le cause molecolari
della malattia non sono ancora chiare.
Una particolare mutazione di BRAF
favorisce lo sviluppo del tumore in altri
tipi di cancro diversi dalla leucemia a
cellule capellute.
Esistono farmaci in grado di interferire
con i segnali inviati dal gene mutato e
che favoriscono la diffusione di questo
tipo di cancro.
Cosa aggiunge questa ricerca
La mutazione BRAF V600E è presente
anche nella leucemia a cellule
capellute, ma non in altri tipi di malattie
simili a questa leucemia dal punto di
vista clinico.
Bloccare i segnali indotti dalla versione
mutata del gene BRAF rappresenta una
nuova possibile terapia nei pazienti con
leucemia a cellule capellute che non
rispondono alle cure tradizionali.
siano rivelati troppo tossici” chiarisce
Falini. E, dulcis in fundo, le nuove scoperte sono importanti anche dal punto
di vista della diagnosi: come spiegano
infatti gli autori, la mutazione è presente solo nella leucemia a cellule capellute e non nelle altre malattie simili
analizzate nello studio, quindi permette di distinguere con maggiore accuratezza due casi che dal punto di vista
delle caratteristiche cliniche o morfologiche appaiono simili, se non identici, ma che non lo sono nella risposta
alle cure e nella prognosi.
OTTOBRE 2011 | FONDAMENTALE | 19