A caccia della chiave per vincere il cancro

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Sabato 26 gennaio 2013 il Giornale dell’Umbria
salute
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A caccia della chiave
per vincere il cancro
Intervista al professor Falini, a capo di Ematologia
Grazie all’Airc, lo scienziato perugino ha individuato
i geni che, mutando, causano due tipi di leucemia
di FRANCESCA BENE
Perugia
er anni le nostre cellule si riproducono uguali a se stesse,
seguendo il codice dettato dal
Dna. Poi, all’improvviso, qualcosa
cambia. Non si sa ancora come e
perché, ma le cellule per alcuni individui mutano e da sane diventano tumorali.
Per la maggior parte dei tipi di
cancro, l’unica arma per tentare di
sterminare queste cellule impazzite
è la chemioterapia o la radioterapia.
Una cura, questa, che, non essendo
diretta specificatamente contro le
lesioni del Dna che provocano il
cancro, va ad agire sia sulle cellule
malate che su quelle sane, con conseguenti effetti tossici. L'obiettivo
della ricerca oncologica, ora, è
quello di riuscire a identificare, in
maniera sempre più specifica il
punto esatto del Dna in cui avviene
la mutazione che provoca il cancro.
E’ quella che oggi viene chiamata
medicina molecolare.
Nei laboratori della Struttura
complessa di Ematologia con trapianto di midollo osseo dell’ospedale S. Maria della Misericordia di
Perugia il futuro della lotta contro i
linfomi e le leucemie è già presente.
Negli ultimi anni, infatti, i ricercatori perugini hanno individuato i
geni che, mutando, causano la leucemia acuta mieloide (il gene della
nucleofosmina o Npm1) e la tricoleucemia o leucemia a cellule capellute (il gene Braf). Entrambe le
ricerche sono rese possibili grazie
alle donazioni dell'Airc e di altre associazioni come il Comitato per la
vita Daniele Chianelli e l’Aull.
Per capire meglio l’importanza di
questo tipo di ricerca abbiamo intervistato il professor Brunangelo
Falini, punta di diamante della ricerca onco-ematologica a livello
mondiale, nonché direttore della
Struttura complessa di Ematologia
e coordinatore dello staff che è
giunto alle due importanti scoperte.
Professore, partiamo dalla scoperta più recente, quella del gene
che, mutando, causa la leucemia
a cellule capellute, una forma di
tumore maligno del sistema linfatico che invade soprattutto il midollo e la milza. Come ci siete arrivati?
«Innanzitutto bisogna dire che
questo tipo di cancro si conosceva
già da 50 anni e già da tempo sono
state individuate delle cure chemioterapiche che danno dei buoni risultati, ma che, purtroppo non salvaguardano dalle recidive. Quello che
non si riusciva a capire era in quale
punto del dna delle cellule leucemi-
P
che avveniva la
lesione genetica
all'origine
del
male. Il mio staff,
con in prima linea il dottor Enrico Tiacci, si è
messo a caccia di
questo gene. Per
prima cosa abbiamo preso delle cellule malate,
le abbiamo purificate e poi sequenziato il loro
intero codice genetico. Abbiamo
fatto lo stesso
con delle cellule
sane. E poi abbiamo confrontato le due “carte
d'identità”. Siamo quindi riusciti a isolare 5 geni
potenzialmente
all'origine del male. Uno di questi,
il Braf era già conosciuto come gene oncogeno, in quanto presente
nella metà dei melanomi, e quindi
ci siamo concentrati innanzitutto su
di esso. E qui eravamo arrivati a
metà dell'opera. Il passo successivo
è stato quello di sequenziare i geni
delle cellule malate di 48 pazienti
affetti da tricoleucemia. Ebbene il
Braf-V600 E, è risultato presente
nel 100 per 100 dei casi».
E, a questo punto del racconto, il
professore serio e pragmatico si trasforma in un concentrato di entusiasmo. Un esempio vivo e pulsante
di quella parte del nostro Paese che
non si è fatta abbattere dalla crisi e
che è l'humus del futuro. Non a caso, la ricerca di cui stiamo parlando
è stata presentata a Londra, al congresso della Società Europea di
Ematologia, e pubblicata sulla prestigiosa rivista The New England
Journal of Medicine, una rivista
che ha una tiratura di 150mila copie
e che è quindi sulle scrivanie di ogni
Il professore Sopra, Brunangelo Falini; a sinistra, lo scienziato con la
sua equipe di ematologia con la
quale ha scoperto il gene che mutando crea la tricoleucemia
medico al mondo.
Ma torniamo alla scoperta.
Quando si potranno vedere gli
effetti pratici di questa scoperta?
«La ricaduta dal punto di vista
clinico, sia per quanto riguarda la
diagnosi che per quanto riguarda la
terapia, c’è già. Abbiamo già un test
molecolare per una diagnosi più accurata e possiamo già utilizzare dei
farmaci mirati... come dire... “intelligenti” che colpiscono selettivamente le cellule leucemiche capellute ma non quelle del midollo normale, cosa che invece avviene con
la chemioterapia. Ebbene, nel caso
della leucemia a cellule capellute
siamo stati fortunati, in quanto un
farmaco che inibisce specificamente il gene mutato Braf era stato gia
sviluppato per la terapia del melanoma metastatico (anch’esso causato nel 50% dei casi dal gene mutato Braf, ndr). Quindi siamo potuti
passare quasi subito in fase di sperimentazione clinica sui malati.
Ovviamente, in questo studio con il
farmaco inibitore (chiamato Vemurafenib) sono stati inseriti solamente i pazienti per cui i protocolli
chemioterapici si sono rivelati inefficaci».
Passiamo all'altra grande ricerca, in piedi grazie alle donazioni dell'Airc e di altre associazioni, che ha fatto brillare l'Ateneo perugino nei congressi scientifici internazionali e che, soprattutto, permette oggi di salvare
molte vite. Stiamo parlando della
leucemia mieloide acuta.
«Nel 2005 abbiamo scoperto una
mutazione finora sconosciuta nella
leucemia acute mieloide e implicata nello sviluppo di circa un terzo
dei casi della malattia, e cioè la mutazione del gene della nucleofosmina o Npm1. In questo caso, siamo
arrivati ad identificare il gene mutato attraverso studi con anticorpi
che hanno permesso di stabilire
che, all’ interno delle cellule leucemiche, la nucleofosmina non si trova al posto giusto, e cioè è localiz-
L’ESPERIENZA
Da Perugia agli Stati Uniti e ritorno,
l’avventura di un ricercatore di fama mondiale
PERUGIA - «Anch’io ho dovuto lasciare l’Italia per
poter avere accesso ad Istituti in cui la ricerca ematologica è avanzata. Fortunatamente sono riuscito a tornare ed ho potuto mettere a disposizione del mio Paese
le conoscenze acquisite».
Il viaggio del professor Brunangelo Falini negli States
risale a 30 anni fa e, da allora, di acqua sotto i ponti ne è
passata tanta. Durante la sua esperienza oltreoceano,
Falini, grazie ad una borsa di studio della Nato, ha lavorato con Robert Lukes alla University of Southern
California e con David Mason al John Radcliff Hospital a Oxford. È stato qui che lo scienziato perugino ha
iniziato a occuparsi di anticorpi monoclonali per identificare molecole bersaglio su tessuti umani. Quindi il
ritorno in Italia e le ricerche sui tumori del sangue.
Oggi Brunangelo Falini è inserito nella lista dei 250 ricercatori più citati al mondo nell’ ambito della “Clinical Medicine”, in accordo all’ Institute for Scientific
Information (ISI) di Filadelfia.
Tra i riconoscimenti internazionali ottenuti: il “José
Carreras Award”, il premio europeo più prestigioso in
ambito ematologico, conseguito a Barcellona nel 2010
e il premio intitolato a Karl Lennert, considerato uno
dei pionieri della classificazione dei tumori maligni
del sistema linfatico, consegnatogli a Lisbona in occasione del 16esimo congresso della Società Europea di
Emopatologia. Falini è il primo italiano ad aver ricevuto questi premi.
zata nel citoplasma invece che nel
nucleo delle cellule malate. Anche
questa scoperta ha avuto una immediata ricaduta clinica dal momento
che la ricerca della mutazione di
Npm1 permette di identificare, tra i
pazienti con leucemia acuta mieloide, un sottogruppo significativo
che è caratterizzato da una prognosi
più favorevole e che di solito può
guarire con la sola chemioterapia.
In altre parole, questi pazienti, per
guarire, non hanno bisogno del trapianto di midollo osseo che, essendo una procedura con notevole tossicità, va invece riservato a pazienti
con leucemia acuta mieloide che
hanno alterazioni genetiche a prognosi sfavorevole».
La ricerca richiede risorse, lo
Stato come si comporta rispetto a
questa necessità?
«Che dire: i dati parlano da soli,
l'Italia è il Paese dove si investe di
meno nella ricerca. Ora, la “scusa”
è che stiamo vivendo un periodo di
crisi, ma basta un'intelligenza media per capire che è proprio nei momenti come questi che bisogna investire. Questo gli altri Paesi lo
hanno capito già da un pezzo. Risultato? Quello più evidente è la fuga dei cervelli. Anche io sono dovuto andare all'estero per un certo periodo e l'inserimento, una volta tornato in Italia, non è stato facile. Se
ci sono riuscito è stato anche grazie
alle donazioni dell’Airc. Per questo, invito ad acquistare, oggi e domani, le “arance delle salute”, il cui
ricavato andrà appunto alla ricerca.
Per fare un esempio in soldoni, è
d'obbligo dire che le due ricerche di
cui abbiamo parlato hanno ricevuto
dall’ Airc un importante contributo
di centinaia di migliaia di euro nel
corso degli anni passati».
Qual è uno degli obiettivi irrinunciabili per la ricerca?
«Creare una rete che renda immediatamente disponibili, a tutti i laboratori di ricerca, i risultati raggiunti dagli altri. Per vincere questa
guerra, bisogna mettere insieme le
energie e i successi».
Inutile dire che, mai come in questo caso, raggiungere gli obiettivi
nel minor tempo possibile è una
questione di vita o di morte.