Pasquale Acquafredda - Marmi policromi in Puglia: petrografia e

Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali
Settimana del Pianeta Terra, 20 ottobre 2012
Marmi policromi in Puglia: petrografia e provenienza
Pasquale Acquafredda
Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali, via E. Orabona 4 – 70125 Bari
Centro Interdipartimentale “Laboratorio di Ricerca per la Diagnostica dei Beni Culturali”, via E. Orabona 4 – 70125 Bari
Premessa
In questa breve nota saranno descritti alcuni dei marmi colorati, detti quindi policromi, utilizzati
anche quale materiale ornamentale di edifici pugliesi edificati in diverse epoche storiche. Il termine
latino marmor deriva dalle parole di origine greca, come marmaros che vuol dire “roccia candida” e
marmoreos che vuol dire “splendente”. Sia i greci che i romani usarono marmi bianchi e colorati
senza distinguerne la reale natura infatti qualunque pietra pregiata, lavorabile e lucidabile era
considerata da loro un marmo. Geologicamente il marmo è una roccia carbonatica (calcare o dolomia)
metamorfosata, a struttura macrocristallina e tessitura granulare; nel seguito si userà il termine marmo
non nel significato petrografico di roccia calcarea metamorfica, ma in quello dei “mastri marmorari”
che con questo termine indicarono ed indicano, genericamente, le rocce dure, resistenti all’usura e
lucidabili.
La storia dei marmi antichi utilizzati nel medioevo in Puglia, è la storia del recupero delle antiche
spoglie che si verifica nella regione durante l’età normanna, all’interno del fenomeno del Romanico.
Infatti, una consuetudine propria dell'architettura romanica, è quella del riutilizzo di spoglie di edifici
più antichi, sia per motivi pratici (disponibilità di materia prima), sia per il richiamo al mondo antico
che deriva dal loro impiego, che conferiva così prestigio al nuovo edificio.
La Cattedrale di Canosa di Puglia
Nella Cattedrale dedicata a San Sabino in Canosa di Puglia vi sono numerosi esempi di marmi
policromi: essi rappresentano il reimpiego di materiali antichi di spoglio, cioè il riutilizzo di materiali
già cavati e lavorati essenzialmente in epoca romana imperiale. Tale uso se per parte era legato anche
ad una carenza di materie prime o di maestranze che sapessero ricavare opere d’arte dai marmi grezzi,
era dovuto essenzialmente ad una scelta attenta e mirata del tipo dei materiali e della valenza
cromatica degli stessi, in vista di un loro significativo accostamento entro i “nuovi” edifici religiosi
secondo precise finalità liturgiche, che assumono nuovi significati nella piena affermazione del
cristianesimo durante i secoli.
Entrando nella chiesa Cattedrale di San Sabino (Fig. 1a) si osservano, verso il termine della navata
Fig. 1. A sinistra (a) navata centrale della Cattedrale di San Sabino in Gravina: le prime due colonne contrapposte simmetricamente sono in
Verde antico, le seconde due in Fior di pesco e le ultime nuovamente in Verde antico. Al centro della figura una della colonne in Verde
antico di Tessaglia (b) con l’immagine di una lastra di riferimento dell’olotipo (c). All’estrema destra della figura una colonna in Fior di
pesco (e) con alla sua sinistra l’immagine di una lastra di riferimento dell’olotipo (d).
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principale, alcune colonne di spoglio posate in contrapposizione simmetrica, cioè con elementi simili
posti nella stessa posizione in entrambi i colonnati, di Verde antico di Tessaglia, Fior di pesco e
nuovamente di Verde antico di Tessaglia; quest’ultimo era un marmo abbastanza pregiato in epoca
imperiale romana tanto che ne fu calmierato il prezzo così come si evince dall’editto di Diocleziano
del 301 A.D. Queste colonne monolitiche, originariamente cavate in Grecia, sono state riprese da
edifici di epoca romana come i vicini tempi canosini di Giove Toro o di San Leucio ovvero da lontani
edifici di epoca imperiale presenti a Roma; esse sono esempi di rocce cavate in Grecia: sono state
estratte da una breccia oficalcitica di colore verde con clasti bianchi, il Verde antico di Tessaglia, e da
un calcare cataclastico ad ematite, il Fior di Pesco (Figg. 1b-1e).
Oltre a colonne monolitiche, come quelle della navata principale, fra quelle rimontate con più rocchi
se ne può osservare un esempio didascalico presente nel transetto destro, costituita da Granito della
Troade in basso e Cipollino di Caristo nella parte alta.
Fra gli altri casi di riutilizzo di marmi di epoca imperiale come opus sectile (il termine opus sectile
viene dal verbo “secare” e con esso già nel I secolo d.C. si indicavano le rocce che ricoprivano come
sontuosi tappeti lapidei i pavimenti della Roma imperiale e che spesso si estendevano sulle pareti
sostituendosi ai decori pittorici) vi è un magnifico esempio nella balaustra ottocentesca dell’altare
maggiore dove è presente, nei due pannelli sugli stipiti ai lati del varco di accesso all'altare, la Breccia
di Sciro (una metabreccia carbonatica cavata nell’isola di Skyros e nelle isole satelliti dell’arcipelago
delle Sporadi in Grecia) detta anche di Settebasi (Fig. 2a). I ripiani orizzontali sono in lastre del
diffusissimo Rosso Verona (Fig. 2e), sostituita, nelle due ali laterali della balaustra, dal più raro Rosso
Levanto (Fig. 2f). Questi due ultimi litotipi, rispettivamente un calcare nodulare ad ammoniti ed una
serpentinite brecciata, non sono ascrivibili a materiali di riutilizzo perché cavati, fondamentalmente da
epoche barocche a tutt’oggi, nei Monti Lessini (il Rosso Verona) ed in provincia di La Spezia (il
Rosso Levanto).
Fig. 2. A sinistra (a): pannello in Breccia di Sciro sovrapposto ad un marmo Proconnesio con cui è rivestito uno dei due stipiti di accesso
all’area presbiteriale. Al centro, dall’alto in basso, olotipi della Breccia di Sciro (b), del Rosso Verona (c) e del Rosso Levanto (d). A destra
in alto (e): lastre in Rosso Verona della parte anteriore della balaustra dell’altare maggiore. A destra in basso (f): lastre in Rosso Levanto del
piano della balaustra che racchiude lateralmente l’altare maggiore.
Sul fondo della navata sinistra della cattedrale, è collocata la cappella che custodisce il pregevole
altare del SS. Sacramento, il più ricco per lavorazioni e marmi impiegati (Fig. 3a). Il corpo dell'altare
presenta numerose policromie marmoree, fra le quali si riscontra un largo impiego di lastre di notevole
valore in Verde antico, Giallo antico e Rosso antico. Nella parte alta dell’altare dodici piastrine
rettangolari creano una decorazione speculare sui lati destro e sinistro del tabernacolo rappresentando
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fondamentalmente motivi floreali (Fig. 3b).
Subito sotto il tabernacolo corrono fasce in marmi colorati, per tutta la larghezza dell'altare, in Verde
antico, Rosso antico e Giallo Siena con piccoli inserti, sulle parti laterali, in Broccatello di Spagna. I
pilastri del piano di appoggio dell’altare sono abbelliti con Verde antico, Fior di pesco e Giallo di
Siena (Fig. 3c). Alle estremità dell’altare, simmetricamente, si osserva una lavorazione ad intarsio di
elevato gusto artistico, con l'impiego di molteplici tipologie marmoree, raffigurante un vescovo e
recante la scritta S. S. (Fig. 3d).
Fig. 3. In basso a sinistra (a) l’altare del SS. Sacramento; subito sopra (b) alcune delle piastrine rettangolari con motivi floreali che creano
una decorazione ai lati del tabernacolo. Al centro (c) pilastri del piano di celebrazione dell’altare abbelliti con Verde antico, Fior di pesco e
Giallo di Siena. A destra (d) lavorazione ad intarsio raffigurante un vescovo.
Il Castel del Monte
Per questo monumento nazionale, che nel 1996 è stato iscritto dall'UNESCO nella lista dei Patrimoni
dell'umanità, è importante segnalare l’uso, fra le tante rocce cavate in loco, di una breccia di versante
che abbellisce il portale d’ingresso del Castello e numerose altre parti quali gli stipiti e gli archi di
porte e finestre (Fig. 4a) o di piccoli vani che si trovano all’interno della struttura (Fig. 4e). Questa
breccia, che in passato si è ritenuto erroneamente essere di provenienza non locale (si era pensato alla
più esotica Breccia corallina di provenienza dall’Asia minore) ha caratteristiche identiche alle brecce
di versante largamente diffuse nella zona del Gargano che si sono formate prevalentemente a spese
dei calcari di età Giurassico superiore-Cretaceo inferiore (rocce riferibili alla parte bassa del “Calcare
di Bari”).
Fig. 4. A sinistra (a) bifora con stipiti ed arco realizzati con breccia di versante del Gargano e marmo Proconnesio; subito a destra lastre
degli olotipi di marmo Proconnesio (b) di breccia di versante del Gargano (c) e di marmo cipollino di Caristo (d). Al centro (e) nicchia
presente in una delle stanze del castello realizzata con breccia di versante del Gargano e sormontata da un concio in Cipollino di Caristo. A
destra (f) alcune colonne in Cipollino di Caristo: la colorazione in arancio è dovuta ad attività biologica.
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Sempre fra le brecce di versante va segnalata la presenza, nelle lastre pavimentali in corrispondenza
dell’ingresso del Castello di un altro tipo di breccia locale ascrivibile agli affioramenti presenti sulle
Murge pugliesi, i cui clasti sono più spigolosi e sono riferibili a calcari del Cretaceo superiore (rocce
della parte alta del “Calcare di Bari” e del “Calcare di Altamura”).
Rocce più esotiche delle brecce di versante sono rappresentate da marmo Proconnesio (un marmo
listato cavato nell’isola di Marmara in Grecia) o da Cipollino di Caristo (Figg. 4a e 4e) che sono stati
utilizzati come elementi decorativi di stipiti ed archi o per realizzare colonne (Fig. 4f). Va fatto notare
che il nome di marmo Cipollino, un marmo impuro a clorite cavato in Eubea (Grecia), deriva sia dalla
sua somiglianza ad una cipolla (sembra sfogliarsi come una cipolla) sia dall’odore acre, dovuto alla
presenza di sostanza organica, che da esso emana durante la sua lavorazione.
Le chiese di piazza Benedetto XIII a Gravina in Puglia
Nella Piazza dedicata a Benedetto XIII di Gravina in Puglia si affacciano tre chiese (Fig. 5), quella di
Santa Maria delle suore domenicane, la Cattedrale dedicata a Santa Maria Assunta e quella di Santa
Maria del Suffragio, tutte e tre con l’interno arricchito da marmi policromi.
All’interno di queste chiese si possono osservare dei magnifici esempi di marmi utilizzati come opus
sectile e come tarsia marmorea. E’ bene precisare che con il termine tarsia si descrive la segagione e
giustapposizione di segmenti di marmi policromi, con lo scopo di creare dei disegni figurativi, che
vanno alloggiati in un’unica lastra di marmo in cui precedentemente è stato scavato l’esatto spazio del
tassello; nel commesso fiorentino, invece, i tasselli marmorei vanno sempre segati e accostati fra loro
ma alla fine sono semplicemente poggiati e fissati su una lastra di roccia liscia e sottile, in genere
un’ardesia (una lavagna).
Fig. 5. A sinistra (a) l’ingresso della piccola chiesa di Santa Maria delle suore domenicane e la facciata laterale dell’imponente Basilica
Cattedrale di Santa Maria Assunta. A destra (b) la chiesa ormai sconsacrata di Santa Maria del Suffragio con il portale d’ingresso abbellito da
colonne realizzate in breccia di versante (particolari all’estrema destra della foto).
All’interno della chiesa sconsacrata di Santa Maria del Suffragio, detta del Purgatorio, è conservato
un altare ornato con marmi policromi, opera di Cosimo Fanzago (1591-1678), scultore e un architetto
che operò sopratutto a Napoli: infatti è tramite Napoli che si diffonde nel territorio Pugliese il gusto
policromo delle tarsie marmoree che si sostituirà, solo nel corso della seconda metà del ‘600, alla
caratteristica decorazione cinquecentesca in marmo bianco.
Il paliotto del Fanzago è una tarsia di marmi colorati, fra cui anche il prezioso Lapislazzuli (il
lapislazzuli che prende il suo nome dal latino lapis lazuli, cioè pietra azzurra, è una roccia
metamorfica costituita essenzialmente da lazurite, il minerale che gli conferisce la colorazione blu, e
da altri minerali quali carbonati, pirite, pirosseno, olivina ecc.), a raffigurare motivi floreali, alcuni
realizzati anche con madreperla e pasta vitrea (Fig. 6).
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Fig. 6. A sinistra (a) l’altare della chiesa di Santa Maria del Suffragio, detta del Purgatorio, realizzato con marmi policromi da Cosimo
Fanzago. A destra (b) un particolare del paliotto dell’altare.
Nella Basilica Cattedrale Santa Maria Assunta, che è il duomo e la chiesa principale della città di
Gravina, vi sono numerosi altari realizzati con la tecnica dell’opus sectile e della tarsia marmorea.
Magnifico è il paliotto dell’altare maggiore (Fig. 7a) che è stato realizzato utilizzando sia marmi cavati
in epoca romana (Rosso antico, Verde antico, ecc.) sia marmi cavati in epoca barocca (Rosso Francia,
Rosso Verona, Diaspro tenero di Sicilia, ecc.); l’area presbiteriale è racchiuso da una balaustra (Fig.
7a) con colonne realizzate in Rosso Francia, un calcare devoniano cavato in Pirenei. Alcune figure
alate del paliotto sono realizzate con il corpo in breccia di versante (Fig. 7b); i racemi ed i petali dei
fiori di colore sono realizzati in Bardiglio (un marmo delle Apuane), Rosso Francia ed un calcare di
colore giallo (il Giallo di Castronuovo cavato in provincia di Palermo) spesso sfiammato in rosso. La
colorazione bianca o gialla di alcuni marmi si può variare, riscaldandoli (sfiammandoli): essi infatti
prendono sfumature rosse, per ossidazione del ferro che in genere è presente come idrossido (goethite,
FeO(OH), e limonite ) o come solfuro (pirite e marcassite, FeS2).
Fig. 7. A sinistra (a) la zona dell’altare maggiore della Cattedrale di Gravina con la balaustra a colonne in Rosso Francia. A destra (b) un
particolare del paliotto dell’altare.
Entrando nella piccola chiesa di Santa Maria delle suore domenicane, posta al termine della piazza
dedicata a Benedetto XIII, si osservano, simmetricamente a sinistra e a destra dell’unica navata, due
piccoli altari (Fig. 8) decorati con marmi colorati e particolarmente impreziositi da due paliotti
realizzati con tarsie marmoree policrome.
L’altare maggiore (Fig. 9a), realizzato in bianco di Carrara, mostra vari inserti in marmi colorati fra
cui spiccano il Verde antico di Tessaglia ed il Fior di Pesco (Fig. 9b). La zona dell’altare maggiore è
impreziosita anche dalla presenza di un piccolo tabernacolo (Fig. 9c) anch’esso abbellito con vivaci
tarsie marmoree.
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Fig. 8. A sinistra (a) l’altare di sinistra della chiesa di Santa Maria delle suore domenicane abbellito da vari marmi colorati e da un piccolo
paliotto realizzato in tarsia marmorea policroma. A destra (b) il simmetrico altare di destra anch’esso abbellito da un piccolo paliotto in tarsia
marmorea policroma.
L’altare maggiore (Fig. 9a), realizzato in bianco di Carrara, mostra vari inserti in marmi colorati fra
cui spiccano il Verde antico di Tessaglia ed il Fior di Pesco (Fig. 9b). La zona dell’altare maggiore è
impreziosita anche dalla presenza di un piccolo tabernacolo (Fig. 9c) anch’esso abbellito con vivaci
tarsie marmoree.
Fig. 9. A sinistra (a) l’altare maggiore della chiesa di Santa Maria delle suore domenicane. Al centro (b) un particolare dell’altare
maggiore. A destra (c) il piccolo tabernacolo posto alla sinistra dell’altare.
La Cattedrale di Taranto
Questa breve illustrazione di alcuni degli utilizzi di marmi policromi in Puglia si conclude con
alcune delle immagini dei marmi utilizzati nella Cattedrale di Taranto. Oltre a varie colonne di
reimpiego presenti nella navata centrale di questa chiesa dedicata a San Cataldo, spesso realizzate
rimontando rocchi di diverse tipologie di marmi (ad es. graniti e brecce), va segnalato lo spettacolo
della policromia marmorea che offre il Cappellone, che si rende straordinario con un altare
impreziosito anche da un paliotto marmoreo a figurare fondamentalmente motivi floreali (Fig. 10).
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Fig. 10. A sinistra (a) la zona dell’altare maggiore del Cupolone di San Cataldo e a destra (b) il paliotto dell’altare realizzato come tarsia
marmorea policroma fra ci spiccano i preziosi inserti in Lapislazzuli.
Tutta l’area del Cappellone di San Cataldo non può non lasciare stupiti i visitatori per lo sfarzoso
utilizzo di marmi policromi in opus sectile, sia come lastre pavimentali e parietali, rispettivamente
sectilia pavimenta e incrustationes, sia come raffigurazioni di vari motivi decorativi realizzati come
tarsie marmoree (Fig. 11).
Fig. 11. A sinistra (a) tarsia marmorea policroma che abbellisce una delle pareti del Cupolone di San Cataldo. A destra (b) vaso con
cornucopie e motivi floreali; alla base sono rappresentate due figure alate ed in alto due piccoli insetti con le ali.
Si può concludere affermando che fra gli esempi di marmi policromi utilizzati in Puglia per ornare
edifici e monumenti di varie epoche storiche ve ne sono alcuni che sono stati cavati in loco, come le
brecce policrome di versante; altri marmi colorati sono stati ripresi da edifici monumentali romani o
più in generale da quelli dell’impero bizantino. In particolare in epoche barocche e fino a tempi
recenti, una serie di cave, ubicate dalle Alpi alla Sicilia, hanno permesso l’estrazione di materiali
pregiati da utilizzare assieme ai più esotici marmi di epoca imperiale.
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