Il rasoio di Occam è di sinistra? di Carlo Augusto Viano La storia del rasoio di Occam è molto lunga e articolata, ma quel che è certo è che esso potrebbe ancora oggi servire per differenziare in modo adeguato le conoscenze scientifiche da quelle circostanziali e per escludere gli usi ideologici delle conoscenze scientifiche. Ma la sinistra si mostra fortemente allergica a queste operazioni. Quando è comparso il blog filosofico di Micromega intitolato Il rasoio di Occam mi sono stupito e rallegrato. Mi sono rallegrato, perché il richiamo a Guglielmo d’Ockham e al suo rasoio hanno da sempre significato austerità nelle spiegazioni e rifiuto di sprechi ontologici, ma mi sono anche stupito, perché non sembra che nel patrimonio culturale della sinistra ci sia posto per cure di questo genere. Non è il caso di aprire una discussione sul significato dell’espressione “di sinistra”, stucchevolissima faccenda, ma ci si capisce, se si dice che Micromega è di sinistra e che molte persone (tutte?) che collaborano a Micromega credono di esserlo. E se si guarda alle filosofie popolari nelle manifestazioni culturali di sinistra, compreso questo stesso blog, ci si accorge che gran simpatia per l’austerità teorica non ci sia e che la deflazione ontologica sia sospettata di empirico cinismo ideologico. Molti anni fa Giulio Preti provò a mettere insieme empirismo, marxismo e ideologia comunista. Fece un po’ un pasticcio, ma le ramanzine che si attirò erano costruite in stile hegeliano, familiare alla sinistra italiana, più o meno marxista. Se si voleva qualcosa di originale, e di italiano, c’era Gramsci, che si muoveva tra Croce e Lenin, due personaggi che con il rasoio d’Occam e l’austerità filosofica non c’entravano proprio. Quando il gramscismo ufficiale del comunismo nazionale o il diamat di quello sovietico non accontentavano, c’era sempre la Scuola di Francoforte o addirittura il ricorso diretto al Marx giovanile o ai Grundrisse. E, dopo i ruggenti anni settanta, nei quali si aveva avuto l’impressione di sentire i rumori della rivoluzione (perché si sparava; ma una rivoluzione senza spari e morti che rivoluzione è?) e la sinistra, andata al potere (o quasi), sotto l’egida cattolica, si era accinta a governare con un po’ di pianificazione in salsa keynesiana, ci fu chi protestò: ma come! Keynes? Quando in Inghilterra si era provato a riportarlo dentro l’ortodossia dell’economia classica? Meglio guardare all’inesauribile Germania, come facevano da sempre i francesi, che avevano riabilitato Heidegger, per costruire un’alternativa alla cultura scientifica e tecnica. Nell’astronomia immaginaria della sinistra al sol dell’avvenire si poteva sostituire l’essere che tramonta in occidente. Non che le cose siano semplici con il rasoio di Ockham. Ne esiste infatti una formulazione epistemologica e una ontologica: per la prima si devono preferire le spiegazioni più semplici, per la seconda non si devono moltiplicare gli enti senza bisogno. Ockham usava qualcosa di simile al rasoio nella polemica contro la scolastica classica e la sua versione platonico-aristotelica. In questa versione la conoscenza della realtà esigeva che si andasse oltre i dati della sensibilità, costruendo delle classi, nelle quali inserire le cose individuali, simili tra loro. Ma le somiglianze tra le cose apparivano come una selva disordinata, che poteva essere sottoposta a disciplina soltanto con il ricorso a oggetti campione, quali le idee platoniche, o alla distinzione tra le cose e le loro proprietà, in base alle quali irreggimentarle. Per Ockham c’era sì il problema di mettere ordine nella conoscenza delle cose, ma bastava quello che si poteva ottenere per astrazione dalle cose individuali, facendo a meno dell’ordine fondato su idee platoniche e forme aristoteliche, dipendente da idee di Dio e del mondo estranee al cristianesimo, almeno al cristianesimo quale lo intendeva una certa cultura francescana. L’empirismo filosofico ha conservato la diffidenza dell’ockhamismo nei confronti dell’apparato logico e gnoseologico della scolastica, trasferendolo però alle teorie scientifiche moderne: gli empiristi, rifiutandosi di far derivare le teorie scientifiche da principi e regole logiche, intesi come strumenti adatti più alle dispute che all’accrescimento della conoscenza, le hanno considerate come modi per organizzare i dati disponibili, ai quali esse dovevano essere sempre subordinate. Questo atteggiamento doveva avere effetti deflazionistici, perché privava le teorie di tutto ciò che non fosse riconducibile a dati, ma soprattutto, non dando alle teorie uno statuto indipendente, le rendeva manipolabili in modo da ridurre al minimo le parti non direttamente riconducibili a dati o la lunghezza del cammino dalle proposizioni teoriche a quelle aventi una relazione diretta con i dati. L’empirismo filosofico ha per molto tempo usato gli schemi tradizionali, nei quali i dati erano costituiti dalla sensibilità, quale l’avevano intesa Platone e Aristotele, e l’apparato teorico dipendeva dalla logica aristotelica e scolastica. Ma il rasoio di Ockham sembrava adatto a interpretare la falcidia che filosofi e scienziati moderni facevano nell’universo filosofico, eliminando forme sostanziali, universali, sostanze, cacciando l’anima dalla natura e il finalismo dalla morale. La ricerca della spiegazione più semplice, che sembrava ispirare la meccanica moderna, poteva essere accostata al rasoio di Ockham, per le molte cose delle quali faceva giustizia. La mentalità scientifica moderna, congedando le entità immesse nel mondo da filosofi, teologi, letterati, mitologi, maghi e astrologi, sembrava incorporare il rasoio di Ockham, che per conto suo aveva agito nella filosofia e nella teologia, ma gli scienziati introducevano anche nuove entità, come atomi, forze o mercato, sulle quali il rasoio di Ockham poco poteva. Nato all'interno della scolastica e modellato sull’immagine della sensibilità ereditata dall’aristotelismo, il rasoio di Ockham risultava incapace di operare altri tagli ontologici, oltre a quelli che la scienza moderna aveva praticato nell’universo intellettuale tradizionale. Nella semplificazione dell’ontologia tradizionale gli scienziati moderni dovettero all'inizio fare direttamente i conti con la cultura filosofica e scolastica, ma poi fecero propria la regola della semplicità esplicativa, che contemperarono con altri criteri, nel confronto tra loro, cui sempre meno i filosofi sapevano prendere parte. Così la scienza moderna creava una propria ontologia, cui il rasoio di Ockham non si poteva applicare. Le conoscenze generali non erano tutto, ché la loro applicazione a circostanze particolari richiedeva conoscenze e congetture non direttamente ricavabili dalle leggi naturali. Le conoscenze circostanziali generavano a loro volta ontologie, popolando l’universo con cose come intenzioni, fini, mezzi, scrupoli, valori e così via; cose esterne alla conoscenza scientifica vera e propria, non protette, come la conoscenza scientifica, dalle falcidie ockhamiane, perché forti di una certa tolleranza ontologica, guadagnata offrendo strumenti per formulare congetture e comprendere i comportamenti individuali e collettivi delle persone. I valori non sono i prezzi, dei quali è bene avvalersi quando si vogliono cogliere le strutture dell’equilibrio economico generale, ma ai valori si può ricorrere, se si vogliono prevedere i comportamenti di persone o gruppi sociali. La cosa importante è sapere che le entità coinvolte nelle conoscenze circostanziali non godono della medesima immunità di cui godono quelle generate dalla conoscenza scientifica e hanno giustificazioni opportunistiche. Inoltre non si può pretendere che le ontologie opportunistiche rispondano a criteri di ordinamento paragonabili a quelli delle ontologie scientifiche. I valori che si attribuiscono a una persona non sempre coincidono con quelli nei quali quella persona si riconosce, né le associazioni tra valori e comportamenti che ne derivano sono uniformi e costanti. Poiché sarebbe azzardato imperversare con il rasoio di Ockham anche soltanto nel territorio delle ontologie opportunistiche, l’eredità di quello strumento potrebbe consistere, più che nel frenare la moltiplicazione degli enti, nel tenere a bada le pretese delle ontologie. Nella discussione pubblica corrente c’è chi contesta l’immunità delle ontologie scientifiche, considerando le teorie scientifiche come ideologie e le prove delle quali si fregiano come pura retorica: l’ovvia uniformità delle conoscenze scientifiche è bollata come “pensiero unico”. Critiche di questo genere sono giustificate contro chi assorbe surrettiziamente nel nucleo solido del sapere le circostanze attraverso le quali le conoscenze generali si applicano a casi particolari, ma è ugualmente indebita la pretesa di dare validità scientifica alle congetture che si riferiscono alle circostanze, con il pretesto che solo le circostanze sono concrete, e perciò reali, mentre i principi sono astratti. Qualcosa di simile al rasoio di Ockham potrebbe servire a escludere usi ideologici delle conoscenze scientifiche e usi pseudoscientifici delle conoscenze circostanziali. Nel dibattito economico corrente si fronteggiano spesso due posizioni significative: chi si richiama alle leggi generali di mercato viene spesso rimproverato perché traduce in ideologia formulazioni teoriche valide sui tempi lunghi, ma non applicabili direttamente a situazioni di breve o medio periodo, mentre chi si rifà a programmi macroeconomici viene spesso rimproverato di dare valore scientifico a proposte politiche di corto respiro. Il confine tra le conoscenze scientifiche e quelle circostanziali non è ovunque ben segnato e scoprire gli usi indebiti delle une e delle altre può essere un esercizio un po' complicato. Ma ci sono filosofie che tendono a rendere ancora più difficile questo lavoro, oscurando sistematicamente i passaggi da un dominio all’altro. Le ideologie di solito mal sopportano l’immunità delle ontologie generate dalle conoscenze scientifiche, che appaiono come limiti all’intervento umano nella storia, nonostante che quei limiti si collochino al margine delle zone di intervento. Per esorcizzare quelle conoscenze e i loro vincoli, le culture ideologiche guardano con simpatia alle filosofie che attribuiscono il primato alle conoscenze circostanziali. Ciò avviene di solito dando più importanza alle vicende storiche, nelle quali si forma la conoscenza, che al suo contenuto. Filosofie della scienza o filosofie che si richiamano a particolari ricostruzioni della storia della scienza moderna hanno diffuso l’idea che la conoscenza scientifica sia frutto di un progetto di sfruttamento della natura e di controllo del comportamento umano, indipendentemente dal valore intrinseco dei suoi contenuti. Per filosofie di questo genere la cultura di sinistra ha spesso mostrato simpatia, perché ha creduto di vedere in esse la piena valorizzazione degli strumenti con i quali si formulano programmi politici e si promuove il consenso: il primato della politica non è altro, in fondo, che l’attribuzione della preminenza alla considerazione delle circostanze, che sono il cibo quotidiano di politici e ideologi, rispetto a conoscenze generali percepite come possibili impedimenti. È raro che un’ideologia si scontra con leggi naturali fondamentali, ma ciò che alimenta la diffidenza nei loro confronti è l’idea che le connessioni tra fatti possano compromettere l’affermazione di valori. In realtà lo scontro tra fatti e valori avviene di solito in un territorio lontano dalle uniformità naturali e si gioca nel confronto tra interpretazioni diverse di elementi circostanziali. In questo territorio si collocano le discussioni intorno al carattere più o meno utopico dei programmi politici. I vincoli ai quali si riferisce chi formula accuse di utopismo appartengono alle conoscenze circostanziali proprio come le ideologie, anche se assumono spesso l’aspetto di riferimento a fatti consolidati. Il semplice richiamo ai fatti, usato anche soltanto come formula programmatica, è stato spesso bollato come una forma di riduzionismo, ché impoverisce la realtà, ricondotta a processi meccanici elementari e privata di fantasie, ideali, credenze ecc. E l’equivalente gnoseologico del riduzionismo sarebbe lo scientismo, che riconosce validità alle sole conoscenze scientifiche. Eppure proprio nel cuore della cultura di sinistra si colloca il riduzionismo che potrebbe essere attribuito a Marx, il quale faceva dipendere la sovrastruttura dalla struttura. Anche il suo riduzionismo muoveva da un’impostazione empiristica, quale poteva immaginarla un hegeliano come Feuerbach, che intendeva ricondurre tutte le idee all’esperienza umana. Del resto lo stesso Hegel aveva incluso nel proprio sistema la soggettività descritta dagli empiristi, anche se ne aveva fatto soltanto un elemento della costruzione speculativa in cui ricuperava tutto ciò che gli empiristi avevano escluso. Per Feuerbach si trattava di riformulare le parti alte del sistema hegeliano nei termini di quelle più direttamente legate all’esperienza individuale, ma, da buon hegeliano, Marx diffidava del soggettivismo individualistico di Feuerbach e preferiva inserire nel livello fondamentale della realtà anche le istituzioni, alle quali Hegel aveva dato tanta importanza. La fedeltà al “riduzionismo” feuerbachiano e all’istituzionalismo hegeliano conduceva Marx a identificare il livello base, cui ricondurre tutti gli altri, nelle relazioni economiche, anziché nella sensibilità, quale l’avevano intesa gli empiristi, ma anche nell’interpretazione dell’economia Marx introduceva una particolarità, perché vi includeva, oltre alle leggi fondamentali smithiane, le previsioni di Ricardo sull’esito del capitalismo. In questo senso Marx introduceva nel livello di base della realtà un riferimento alle istituzioni, nello stile della filosofia hegeliana della storia. Questo era il punto delicato del riduzionismo marxiano, che metteva sullo stesso piano le leggi generale dell’economia e la loro applicazione a situazioni storiche determinate. Quando non si è più potuto dare ai contenuti ricardiani la stessa forza delle leggi economiche smithiane, il marxismo, rimasto sempre sostanzialmente ricardiano, ha cercato nella filosofia della storia di ascendenza hegeliana lo strumento per promuovere le conoscenze circostanziali, quali erano quelle ereditate da Ricardo, rispetto a quelle generali; perché che cosa è la filosofia della storia se non la pretesa di spiegare il contenuto delle conoscenze con le vicende attraverso le quali si sono formate?