notizie.tiscali.net, Lunedì 30 Maggio 2011 Alcool: prima causa di morte per i giovani di BRIGIDA STAGNO Il primo bicchiere? Mescolato spesso con succo frutta appena dopo le elementari, poi l'abitudine all'alcol cresce con cocktail, superalcolici o birra alle medie superiori e all'università: ubriacarsi è sempre più frequente tra gli adolescenti, soprattutto le ragazze, ma riguarda anche molti anziani, come confermano i dati dell'Istituto Superiore di Sanità, diffusi ad aprile in occasione dell'Alcohol Prevention Day. A preoccupare sono i numeri: l’alcolismo riguarda in Italia circa 1 milione e mezzo di persone e, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), è responsabile nel mondo di 2 milioni e mezzo di morti ogni anno, il 4% di tutti i decessi. L'alcol è la prima causa di morte tra i giovani fino a 24 anni e nella penisola sono almeno 30.000 l’anno i decessi per cause correlate a questa sostanza, tra incidenti stradali (il 30 per cento causato da alcol) e malattie, quali cirrosi epatica, pancreatite, tumori, aumento della pressione arteriosa. Usato per periodi prolungati e a dosi elevate l'alcol provoca infatti assuefazione e dipendenza, con conseguente crisi di astinenza e come tale va inserito tra le droghe. Secondo una ricerca pubblicata alla fine del 2010 sulla rivista scientifica Lancet , condotta da David Nutt, l'ex consigliere laburista per la lotta alla droga, l'alcol è più dannoso di cocaina, cannabis o Ecstasy ed è lo 'stupefacente' più nocivo per il suo impatto negativo sulla società, tanto da “battere” addirittura crack ed eroina. Tanto che nella scala del danno delle droghe da 1 a 100, comparsa sulla rivista, l'alcol si trova in cima a quota 72, l'eroina a 55 e il crack a 54. A ribadire la pericolosità dell'abuso di alcol e della 'binge drinking', l'abitudine sempre piu' diffusa tra i giovani a ingerire grandi quantità di alcol in una volta sola, è stato uno studio americano comparso tempo fa sulla rivista dell'Accademia Americana delle Scienze 'PNAS': provocherebbe degenerazione e danni irreversibili sul cervello adolescente di giovani scimmie, soprattutto a livello dell'area della memoria e dell'orientamento spaziale, l'ippocampo. “Il consumo di alcol non produce però solo danni al bevitore stesso (in questo caso definito alcolista o alcol-dipendente), ma anche alla famiglia e al contesto sociale allargato in cui vive- spiega il Dottor Alfio Lucchini, Psichiatra e Direttore del Dipartimento Dipendenze ASL Milano 2 e Presidente nazionale FeDerSerD - “L’alcol può indurre comportamenti violenti (1 omicidio su 4 e 1 suicidio su 6 è alcol-correlato), abusi, abbandoni, perdite di opportunità sociali, incapacità di costruire legami affettivi e relazioni stabili, invalidità, incidenti sul lavoro e sulla strada”. Il trattamento è complesso e personalizzato, perchè nella genesi dell'alcolista vanno considerate sempre le differenze dei fattori genetici e ambientali. “Come per tutte le dipendenze, - continua Lucchini - è però fondamentale intervenire in modo integrato, abbinando alle terapie farmacologiche il sostegno sociale e psicologico, anche attraverso terapie di gruppo (Alcolisti Anonimi e Club Alcolisti in Trattamento). Per le cure farmacologiche sono a disposizione molecole che favoriscono il “non bere”, come il Disulfiram e il Naltexone, o farmaci mimetici adiuvanti, come il GHB. E' disponibile ora un nuovo farmaco, Acamprosato, un neuromodulatore di Classe A, rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale, indicato nel mantenimento dell’astinenza nel paziente alcoldipendente e già in uso in 40 Paesi. Riducendo il craving (il desiderio incoercibile di bere), Acamprosato diminuisce l’incidenza, la severità e la frequenza delle ricadute, senza dare dipendenza, abuso o astinenza alla sua sospensione e senza potenziare l’effetto dell’alcol, se questo viene assunto durante il trattamento. C'è però ancora molto da fare: secondo i dati della Relazione del Ministero della Salute del 2010, sono poco più di 69.000 i pazienti alcol dipendenti afferenti ai 459 Servizi di Alcologia dislocati sul territorio italiano. “Di questi aggiunge Lucchini - solo circa 18.000 ricevono un programma di cura di tipo integrato, in grado di associare l’intervento psicosociale con quello farmacologico. E' necessario aumentare l'offerta terapeutica da parte dei Servizi di Alcologia, le opzioni farmacologiche a disposizione del medico e facilitare la prescrizione delle classi di farmaci più efficaci ai medici specialisti.”