Rassegna
Nuove acquisizioni sul sistema Rh
mediate dalla biologia molecolare
Giorgio Reali, Ornella Perrone
In questi ultimi anni, le conoscenze sulla genetica del
sistema Rh hanno registrato importanti acquisizioni,
facendo perdere ogni significato al vecchio dilemma, fonte
di così aspri contrasti nel passato, se uno o tre loci
cromosomici fossero alla base della codifica dei
numerosissimi antigeni Rh (si pensi che siamo, attualmente,
giunti a contare 52 determinanti del sistema, anche se sette
di essi vengono ritenuti "obsoleti" e dovrebbero essere
cassati dalla lista1). Quasi paradossalmente, oggi si ritiene
che gli antigeni Rh siano, in realtà, codificati da geni portati
su due loci strettamente correlati: il locus RHD (dove trova
sede il gene che codifica per l'antigene D) e il locus RHCE
(cui concorrono i quattro possibili alleli: RHCe, RHcE, RHce ed
RHCE, che codificano per gli antigeni delle serie C/c ed E/e).
In realtà, l'esistenza di due geni riguarda esclusivamente
i soggetti Rh-positivi (cioè D-positivi), considerato che il
gene RHD risulta assente nelle persone Rh-negative2.
Vogliamo, qui, fare una sintetica rassegna non soltanto delle
acquisizioni di immunogenetica ma anche dei più rilevanti
studi condotti su questo sistema gruppoematico
eritrocitario, che risulta essere il più complesso e,
conseguentemente, il più affascinante. Prima, comunque,
di affrontare questa esposizione, è necessario fare alcune
premesse pertinenti all'argomento che vogliamo illustrare.
Precisazioni in tema di nomenclatura
La prima premessa riguarda la confusione che certi
contributi scientifici hanno ingenerato in materia di
Corrispondenza:
Dott.ssa Ornella Perrone
Servizio di Immunoematologia e Trasfusionale - Ospedale Civile
Via S. Agata, 57
18100 IMPERIA
60
terminologia. Va segnalato, al riguardo, che le più recenti
conoscenze sul sottofondo genetico e sulla natura
biochimica degli antigeni Rh "normali" e dei vari fenotipi
"parziali", "difettivi" o "deleti" del sistema sono derivate
soprattutto dai contributi che la biologia molecolare ha
saputo offrire agli studiosi dell'argomento. Avendo ormai
la sierologia esaurite, quasi totalmente, le sue potenzialità
in materia, i ricercatori che hanno offerto i più importanti
progressi sul sistema Rh sono stati, infatti, quasi
esclusivamente, biochimici, anziché immunoematologi o
immunogenetisti. Sono, di conseguenza, intervenuti
malintesi ed equivoci che non possono essere ignorati,
soprattutto in una pubblicazione rivolta a immunoematologi.
Per esempio, alcuni Autori, in un lavoro3 incentrato sulla
glicoproteina che serve per l'espressività degli antigeni Rh
(vedi avanti), hanno recentemente avanzata l'ipotesi che i
geni RH siano riuniti in un unico complesso cromosomico,
da loro denominato RH30 (sigla chiaramente derivata dal
peso molecolare dei polipeptidi Rh, che è, appunto, di circa
30 kDa4). Gli immunoematologi sanno, invece, che Rh30 è
un antigene del sistema, noto come Goa (Gonzales), presente
esclusivamente sulle emazie D-parziali di categoria IVa,
secondo la classificazione di Tippett5 e delle quali risulta
essere il marker per eccellenza.
Ancora, evidenze sia sierologiche (con l'uso di anticorpi
monoclonali) che biochimiche (mediante tecnologie
biomolecolari) confermano che gli antigeni Rh presenti sulla
membrana eritrocitaria sono formati da complessi
multiproteici: più precisamente, le proteine Rh propriamente
dette (quelle codificate dai geni RH) sono polipeptidi non
glicosilati, che necessitano, comunque, per la loro
espressività, di legarsi, in maniera non covalente, con
alcune glicoproteine, più precisamente con i glicopeptidi
CD47, LW, con la glicoforina B (vedi avanti) e con un'altra
glicoproteina denominata Rh503. Quest'ultima glicoproteina
è di notevolissima importanza (in quanto, come si vedrà
LA TRASFUSIONE DEL SANGUE vol. 45 - num. 2 marzo-aprile 2000 (60-73)
Acquisizioni sul sistema Rh
più oltre, il fenotipo Rhnull di tipo "regolatore" è
caratterizzato da una mutazione a livello del gene che la
codifica) ma, ancora una volta, la sigla utilizzata per indicarla
(anch'essa certamente dovuta al peso molecolare che è di
50 kDal6) è fonte di confusione. Infatti, l'antigene Rh50
indica, in immunogenetica, un antigene a bassa incidenza
(FPTT) presente presso una nuova categoria di "D parziali",
categoria denominata DFR, della quale FPTT (cioè, Rh50)
rappresenta il tipico marcatore7.
Mentre la Commissione per la Nomenclatura degli
antigeni eritrocitari, istituita dall'ISBT (International
Society of Blood Transfusion) e che si riunisce
periodicamente per aggiornare gli elenchi sui determinanti
antigenici dei globuli rossi, non è mai intervenuta a chiarire
il possibile equivoco fra antigene Rh30 e gene RH30
(simbolo, d'altronde, utilizzato da un solo gruppo di
Autori3), ha, invece, richiamata - nel suo ultimo Working
Party tenutosi a Oslo in occasione del 25° Congresso
internazionale ISBT (27.6-2.7.1998) - l'attenzione degli
addetti ai lavori sui possibili equivoci inerenti, stabilendo
di indicare la glicoproteina con il simbolo ufficiale RhAG
(cioè, Rh-associated glycoprotein) e il gene che la codifica
con la sigla RHAG, in modo che il numero Rh50 (e la
rispettiva sigla RH50 per il pertinente gene) sia mantenuto
per indicare esclusivamente l'antigene FPTT8. Come
ricordato in precedenza, le mutazioni del gene RHAG sono
alla base della forma più comune di fenotipo Rhnull, quella
di tipo "regolatore".
Nel prosieguo di questa Rassegna verranno utilizzati
numeri e sigle proprie delle nozioni acquisite sui testi sacri
all'Immunoematologia (per tutti9) ma alcuni titoli richiamati
in bibliografia citeranno, obbligatoriamente, le
nomenclature utilizzate, secondo libere scelte, dai singoli
Autori. Precisiamo soltanto che, seguendo le
raccomandazioni di Issitt e Anstee9, indicheremo i geni Rh
con la sigla RH.
A riprova del possibile caos che si può ingenerare dalla
commistione di competenze diverse, basti riferire che in un
importante lavoro in materia (fra l'altro, pubblicato su una
rivista specialistica di genetica, che non citiamo per
correttezza) viene più volte riportato che "gli antigeni (si
badi, non i geni!) Rh sono situati sul cromosoma 1".
Nozioni sulla membrana eritrocitaria
La seconda doverosa premessa riguarda il fatto che
una revisione sulla biochimica e sull'immunochimica del
sistema Rh non può esimersi da un accenno sulle
caratteristiche della membrana eritrocitaria, della quale i
determinanti Rh sono parte integrante. Verrà, qui, fornita
una esposizione estremamente sintetica dell'ampia messe
delle ricerche e degli studi condotti al riguardo in questi
ultimi anni, per i cui numerosi riferimenti bibliografici
rimandiamo al già citato volume di Issitt e Anstee9.
Come tutte le membrane cellulari, anche la membrana
eritrocitaria è composta di:
- lipidi,
- proteine,
- carboidrati.
I lipidi sono rappresentati soprattutto da fosfolipidi.
Si tratta di molecole asimmetriche con una terminazione
idrofilica e una idrofobica. L'estremità idrofilica presenta
due catene di acidi grassi, una satura e l'altra insatura. Se
mescolati ad acqua, i fosfolipidi si orientano in maniera tale
da evitare che il terminale idrofobico venga a contatto con
l'acqua. Quattro sono i principali fosfolipidi della membrana
eritrocitaria: fosfatidiletanolina (PE), fosfatidilcolina (PC),
sfingomielina (SM) e fosfatidilserina (PS). I primi tre hanno
carica positiva mentre la PS ha carica negativa. Le molecole
fosfolipidiche sono mobili, ma gli scambi fra i due strati
(interno ed esterno) della membrana, il cosiddetto Flip-Flop,
è raro. Altro lipide importante, e ben rappresentato, è il
colesterolo. L'asimmetria dei fosfolipidi è assicurata da due
enzimi: flippasi (che facilita il passaggio di PS e PE
dall'esterno all'interno) e floppasi (che facilita il passaggio
di PS, PE e PC dall'interno all'esterno). L'asimmetria dei
fosfolipidi è compromessa nelle emazie Rhnull, nelle emazie
drepanocitiche e in quelle dei diabetici gravi. I vari fosfolipidi
sono distribuiti irregolarmente nel doppio strato lipidico: la
PS è situata soltanto all'interno insieme all'80% di PE, mentre
il 75% di PC e l'80% di SM sono all'esterno.
Le proteine vengono distinte in proteine periferiche
(si possono solubilizzare senza ricorrere a detergenti) e
proteine integrali, che presentano aminoacidi idrofobici
interreagenti con i lipidi e che richiedono l'uso di detergenti
per essere isolate. Le proteine integrali sono classificate in:
a) quelle che hanno un solo dominio che sporge dalla
superficie della membrana, dette di I tipo; b) quelle che
hanno più domini che sporgono dalla membrana, dette di II
tipo e c) quelle situate integralmente all'interno del doppio
strato lipidico, in grado di contrarre legami covalenti con i
lipidi, dette di III tipo. Appartengono al tipo I le proteine
che presentano il terminale aminoacidico fuori dalla
membrana, cioè le glicoforine (A, B, C, D), i determinanti per
gli antigeni LW, Lutheran e Indian e le proteine che
presentano il terminale aminoacidico all'interno della
membrana, come le glicoproteine del sistema Kell.
Appartengono al II tipo la proteina CD47 (associata all'Rh)
con 5 domini esterni, i determinanti Colton con 6, quelli
Duffy con 7, quelli Rh con 12 e quelli Diego con 14; carattere
distintivo di questo tipo di proteine è che entrambi i terminali
(carbossilico e aminoacidico) sono all'interno della
membrana. Appartengono, infine, al III tipo le proteine
61
G. Reali e O. Perrone
Figura 1: rappresentazione schematica della membrana eritrocitaria (da Issitt ed Anstee9, modificata)
integrali che derivano da un processo di traslazione: il
terminale carbossilico viene sostituito da
glicosilfosfoinositolo (GPI), come avviene per i determinanti
dei sistemi Cartwright, Dombrock e per le proteine CD58 e
CD59, entrambe componenti usuali della membrana
eritrocitaria. Le proteine integrali con singolo o multipli
domini sporgenti dalla superficie esterna possono essere
legati, covalentemente, con gli acidi grassi della membrana
e aumentare in tal modo la loro idrofobicità. Questo
processo di legame fra proteine e acidi grassi è noto come
palmitolazione (processo di acetilazione con acido palmitico)
e interviene sicuramente per il polipeptide Rh, ma potrebbe
avvenire anche per altre proteine, come la CD44, che porta
gli antigeni del sistema Indian. In maggioranza, le proteine
della membrana sono situate nella superficie interna e
contraggono stretti rapporti con le proteine dello scheletro
eritrocitario, in particolare con l'anchirina e con la proteina
p55: entrambe queste componenti dello scheletro hanno
subito il ricordato processo di palmitolazione che, di fatto,
dà loro una particolare stabilità.
Quasi tutti i carboidrati della membrana sono situati,
invece, sulla sua superficie esterna. Essi risultano legati
covalentemente o ai lipidi o alle proteine a costituire,
appunto, glicolipidi o glicoproteine. Il glucide più
rappresentato nei glicolipidi è il glucosio, classicamente
coinvolto nei legami con la ceramide (sfingolipide), anche
se esistono rari legami mediati dal galattosio. Il glicolipide
più rappresentato è il globoside, che porta la specificità P.
Per quanto riguarda le glicoproteine, si possono avere
legami mediati dall'azoto (N-glicani) oppure dall'ossigeno
(O-glicani). Gli N-glicani sono piuttosto complessi e hanno
un peso molecolare che varia da 3.000 (come nella
62
glicoforina A) a 11.000 (come nei determinanti del gruppo
Diego). Gli O-glicani sono, in genere, più semplici e si
riscontrano nei determinanti Cromer, Indian, Cad.
Probabilmente, la funzione dei glicani è quella di proteggere
le proteine dalla digestione proteolitica da parte di enzimi
diversi e di conferire loro una configurazione stabile durante
i frequenti trasferimenti e le traslazioni intracellulari.
Sulla base di queste sintetiche nozioni, si può
concludere che la membrana eritrocitaria è composta da tre
strati, come ben illustrato dalla figura 1 (da Issitt & Anstee,
pag. 72).
Il primo strato, quello più esterno, è il cosiddetto
glicocalice; è extracellulare, espandendosi circa 12 nm dalla
superficie del doppio strato lipidico. Il glicocalice è
fondamentale in Immunoematologia eritrocitaria, nel senso
che tutti i determinanti gruppoematici o sono contenuti
integralmente in esso o sono sistemati nella parte più
esterna della membrana, là dove il glicocalice ha inizio. La
posizione degli antigeni nel glicocalice è rilevante, nel senso
che essi saranno più o meno disponibili per gli anticorpi di
classe IgG: ad esempio, le IgG anti-A, anti-B, anti-M o antiN sono in grado di legarsi direttamente con i rispettivi
determinanti (perché portati alla superficie esterna ed
estrema del glicocalice) mentre quelle anti-D non vi
riescono, essendo l'antigene D sistemato nella porzione
profonda dello stesso glicocalice, a contatto con la
membrana eritrocitaria. Abbiamo già ricordato come nel
primo strato trovino sistemazione le glicoforine A (che
portano le specificità M ed N), le glicoforine B (antigeni S,
s, U), quelle C e D (determinanti del sistema Gerbich), gli
antigeni dei sistemi LW, Lutheran e Indian e la maggior
parte degli antigeni Kell.
Acquisizioni sul sistema Rh
Il secondo strato, quello medio, comprende il doppio
strato lipidico, cioè la membrana eritrocitaria propriamente
detta. In essa hanno sede i determinanti gruppoematici di
natura proteica. Si tratta, in genere, di proteine che servano
da passaggio (o da trasporto) di sostanze diverse: trasporto
di anioni (antigeni del sistema Diego); trasporto di urea
(antigeni del sistema Kidd); trasporto d'acqua (antigeni del
sistema Colton). Anche le proteine coinvolte
nell'espressività degli antigeni Rh e dell'antigene Kx (del
sistema Kell) presentano strutture che suggeriscono
funzioni di trasporto, le cui caratteristiche, peraltro, non
sono state ancora accertate (trasporto di cationi?). In questo
strato vi sono anche altre proteine che trasportano
glucosio, nucleosidi, Ca++ e ATPase, ma non sembrano
portare determinanti gruppoematici. Oltre che proteine di
trasporto, la membrana comprende proteine che fungono
da recettori. Di interesse immunoematologico, il recettore
delle chemiochine che presenta specificità Duffy. Vi sono
anche strutture di altra natura, fra le quali i glicolipidi: quello
maggiormente rappresentato (circa 14 milioni di copie per
emazia) è il globoside che esprime la specificità P. Il fatto
che l'emolisina bifasica di Donath-Landsteiner (che dimostra
specificità anti-P) sia di classe IgG e agisca direttamente
sulle emazie in corso di emoglobinuria parossistica a frigore,
fa pensare che il globoside P sia sistemato in regioni della
membrana non ricoperte dal glicocalice.
Il terzo strato, quello interno, rappresenta il cosiddetto
scheletro eritrocitario. Esso è formato da una rete di
proteine, strettamente legate fra loro, che assicurano
all'emazia stabilità, flessibilità e deformabilità, tutte
prerogative atte a mantenere la sopravvivenza e la
funzionalità eritrocitaria per 120 giorni. Le principali proteine
dello scheletro sono: anchirina, spectrina, actina, banda 3,
banda 4.1, banda 4.2 (o pallidina), banda 4.9 (o dematina),
p55. La rete proteica dello scheletro è legata alla membrana
eritrocitaria mediante due serie di legami interproteici: la
prima serie coinvolge anchirina, pallidina, spectrina e banda
3, la seconda banda 4.1, p55, glicoforine C e D. Di particolare
rilevanza la proteina della banda 3, che porta tutti gli
antigeni del sistema Diego.
Generalità sulle basi molecolari del sistema Rh
Il due loci RH (i già menzionati RHD ed RHCE) che
portano i geni per la codifica del polipeptide D e,
rispettivamente, di quelli della serie CE (cioè: Ce, cE, ce,
CE) sono situati sul braccio corto del cromosoma 1, in
posizione p36.13-p3410.. Ciascun gene è organizzato in 10
esoni distribuiti su 75 kb di DNA, con sequenze
nucleotidiche omologhe al 96%. L'alto grado di omologia
tra le regioni codificanti dei geni RHD e RHCE fa ipotizzare
la loro origine dalla duplicazione di un unico gene
ancestrale11. Le conoscenze al riguardo sono derivate da
studi condotti utilizzando, con analisi di frammenti di
restrizione, tre differenti probes specifiche per i diversi
esoni12. Le indagini su fenotipi Rh diversi hanno permesso
di accertare che il DNA proveniente da soggetti D-negativi
offre patterns di digestione ridotti rispetto a quelli ottenibili
da emazie D-positive, in quanto viene a mancare il frammento
addizionale presente nei soggetti D-positivi12. Questo dato
suggerisce che nei soggetti D-negativi non sia presente
alcun gene al locus RHD, piuttosto che sia presente un
gene difettivo (l'ipotetico d della teoria di Fisher-Race).
I polipeptidi codificati dai geni del locus RH sono assai
simili fra loro: si tratta di proteine palmitolate, costituite da
417 aminoacidi, con sequenze fra loro omologhe al 92%. Il
peso molecolare dei polipeptidi Rh è compreso fra 30 e 32
KDa (da qui, ribadiamo, l'equivoco di alcuni Autori3 di
unificare i due loci RH in un unico locus, denominato
RH30). Il polipeptide Rh è fortemente idrofobico e presenta
12 domini che attraversano la membrana, regolarmente
spaziati e collegati fra loro da occhielli (loops) idrofilici
extramembrana (sei sporgano all'estreno e sei all'interno
della membrana). Gli occhielli fanno parte della catena
polipeptidica (che assume, quindi, un aspetto
serpentiniforme): ciascun occhiello è composto da pochi
aminoacidi (meno di 20). Di particolare importanza i sei loops
che sporgono all'esterno della membrana. Entrambi i
terminali della catena polipetidica, sia quello carbossilico
che quello aminico, sono intracitoplasmatici, e ciò
sembrerebbe favorirne un più consistente legame alla
membrana eritrocitaria13, con conseguente insensibilità degli
antigeni Rh alla digestione enzimatica (anzi, l'azione degli
enzimi proteolitici, rimovendo altre proteine dalla superficie
del globulo rosso ed esponendo appunto gli antigeni Rh,
consentirebbe i noti vantaggi sierologici nello studio degli
anticorpi specifici). Era abbastanza inusuale che una
proteina della membrana eritrocitaria non fosse glicosilata.
Presto si è potuto accertare che gli antigeni Rh, per potersi
esprimere, debbono legarsi, non covalentemente, con
alcune proteine glicosilate di membrana, pur restando al
polipeptide la funzione di conferire la specificità antigenica.
I glicopeptidi con cui le proteine Rh si legano sono le
glicoproteine CD47, RhAG ed LW, nonché la glicoforina B.
La glicoproteina CD47, originariamente ritenuta
componente esclusiva della membrana eritrocitaria, ha, in
realtà, una larga distribuzione tessutale ed è identica a quella
che serve nelle cellule endoteliali da pompa del Ca++; è
associata alle integrine, da cui la sigla IAP (IntegrinAssociated Protein), e la sua funzione sulla membrana
eritrocitaria è ignota, ma il basso livello di CD47 nelle emazie
Rh-deficienti fa ritenere che abbia qualche attinenza con il
trasporto dei cationi14,15. Il gene che codifica CD47 è portato
63
G. Reali e O. Perrone
sul braccio lungo del cromosoma 3, in posizione q13.1q13.216. Abbiamo già accennato alla glicoproteina RhAG
(da alcuni Autori3,17, ripetiamo erroneamente, indicata come
antigene Rh50) e al ruolo cruciale che gioca nel vincolare il
polipeptide Rh alla membrana eritrocitaria. Questa
glicoproteina consta di 409 aminoacidi, organizzati in 12
domini transmembrana: ha, quindi, caratteristiche
biochimiche molto simili a quelle dei polipeptidi Rh e, come
questi, è espressa unicamente nelle linee cellulari
eritrocitarie. Sembrerebbe coinvolta in funzioni di trasporto
degli ioni NH416. Vedremo come una mutazione a livello del
gene RHAG sia alla base del fenotipo Rhnull di tipo
"regolatore"17. Il gene RHAG è portato sul braccio corto
del cromosoma 6, in posizione p11-21.1, e presenta strutture
simili a quelle dei geni RH, ai quali è omologo al 36%6. Le
altre glicoproteine di membrana in qualche modo collegate
con l'espressività degli antigeni Rh, cioè LW e glicoforina
B, fanno parte di sistemi gruppoematici separati ma è
ampiamente noto come gli antigeni LW si esprimano
differentemente in relazione ai diversi fenotipi Rh9, mentre
la glicoforina B, che porta le specificità S, s e U (sistema
MNSsU), risulta fortemente diminuita (e, talora, mancante)
in soggetti Rhnull18 ed Rhmod19. A completare il quadro, va,
infine, aggiunto che anche il sistema Duffy sembra essere
coinvolto, in qualche modo, con il sistema Rh. Infatti,
l'antigene Fy5 è assente nei soggetti Rhnull e scarsamente
espresso in quelli D- -. Il fatto, peraltro, che i soggetti Fy (ab-) presentino normali antigeni Rh fa sospettare che Fy5
sia il risultato di una qualche interazione fra il complesso
Rh e la glicoproteina Duffy ma che, a differenza delle
glicoproteine RhAG, CD47, LW e della glicoforina B, non
concorra a delineare l'espressività dei polipeptidi Rh9.
Basi molecolari dei principali antigeni Rh
L'antigene D, in base alle acquisizioni ottenute con
il sequenziamento nucleotidico di emazie provenienti da
soggetti D positivi che avevano prodotto anticorpi a
specificità anti-D e ai risultati conseguiti impiegando
anticorpi monoclonali selezionati, risulta essere un mosaico
antigenico composto da almeno nove epitopi (intendendo,
per epitopo, una porzione di antigene che reagisce con una
singola popolazione anticorpale specifica): epD1-epD920.
Alcune classificazioni sierologiche con anticorpi anti-D
monoclonali hanno, poi, consentito l'identificazione di
almeno 30 modelli di reattività e, pertanto, era stata proposta
una nuova classificazione: epD1-ep D3021. Il modello a nove
epitopi, comunque, data la sua grande schematicità,
continua a testimoniare efficacemente le diverse reattività
sierologiche del più importante antigene Rh.
64
Tabella I: suddivisioni dell'epitopo epD6/7
(reazioni con emazie DFR, DBT, RoHar e con anticorpi
monoclonali specifici)
anticorpi monoclonali anti-epD6/7
emazie
epitopi DFR DBT
IgM
RoHar
IgG
normali papain TCI papain
epD6/7.1
+
+
+
0
8
0
7
epD6/7.2
+
+
0
0
1
5
12
epD6/7.3
+
0
+
0
0
0
3
epD6/7.4
+
0
0
1
0
8
3
epD6/7.5
0
+
+
4
0
1
1
epD6/7.6
0
+
0
1
2
1
2
epD6/7.7
0
0
+
8
1
0
0
epD6/7.8
0
0
0
1
1
8
0
+ = reazione positiva; 0 = reazione negativa. I numeri riportano
quanti anticorpi monoclonali hanno dato reazione positiva.
Normali = test con emazie non trattate; papain. = test con
emazie papainizzate; TCI = test di Coombs indiretto
Si tratta, come si sa, di un'importanza clinica, in quanto
il D è, senza ombra di dubbio, l'antigene eritrocitario più
fortemente immunogenico.
È stato, infatti, largamente documentato9 che l'80% dei
soggetti D-negativi trasfusi con una o più unità di sangue
D-positivo forma anticorpi anti-D, così come era ampiamente
noto, prima dell'introduzione dell'immunopropfilassi antiRh, che almeno il 20% delle donne D-negative che avevano
partorito un figlio D-positivo si immunizzava.
Le caratteristiche dei diversi epitopi, studiate da Lomas
et al.22 con l'impiego di certi anticorpi monoclonali, hanno
evidenziato che epD6 ed epD7 forniscono risposte
identiche, a differenza di quanto risultava con l'uso di
anticorpi monoclonali marcati23.
Il suggerimento del Centro di Londra (Blood Group
Unit), diretto da Patricia Tippett (da sempre la maggior
autorità in materia di Rh), è stato quello di riunire i due
epitopi in uno (denominato ep6/ep7), tenendo presente,
peraltro, che, utilizzando tecniche diverse (per esempio,
metodiche enzimatiche) o emazie test D particolari (le emazie
DFR, DBT, RoHar: si tratta, come è noto, di emazie D "parziali",
cui non è stata assegnata alcuna categoria), è possibile
riconoscergli un'ampia eterogeneità, così da evidenziare
ben otto sottocategorie (da ep6/7.1 a ep6/7.8) come dimostra
la tabella I (da Tippett et al.20).
Le emazie alle quali mancano uno o più epitopi sono
denominate D "mosaico"o D"variant" o, meglio, D
"parziali". Queste particolari emazie sono state, in genere,
individuate in seguito alla produzione di anticorpi verso gli
epitopi mancanti.
Acquisizioni sul sistema Rh
I primi studi su queste emazie hanno permesso la loro
classificazione in categorie, distinte con numeri ordinali9
da I (peraltro, categoria oggi ritenuta obsoleta) sino a VII
con l'aggiunta, come ricordato in precedenza, dei fenotipi
particolari DFR, DBT e RoHar non categorizzati. Gli
alloanticorpi si producono con maggior frequenza
(ovviamente per immunizzazione trasfusionale o gravidica)
nella categoria VI, caratterizzata da debole reazione con gli
antisieri policlonali anti-D e assenza, allo studio con
anticorpi monoclonali pertinenti, degli epitopi epD1, epD2,
epD5, epD6/7, epD820.
Analizzando le sequenze nucleotidiche delle emazie D
"parziali" si è potuto constatare che esse prendono origine
da ibridi che si formano durante la meiosi fra i geni RHD ed
RHCE. Così, Mouro e coll.24 hanno osservato eterogeneità
diverse a seconda che fosse coinvolto nei processi di
ibridizzazione con il gene RHD o il gene RHcE o quello
RHCe. Nel primo caso (deleto), in cui DVI è associato alla
combinazione cE nell'aplotipo cDVIE, una delezione fra gli
esoni 4, 5 e 6 del gene RHD avrebbe dato origine ad una
proteina di 266 aminoacidi, ben 151 in meno rispetto
all'antigene RhD normale, formato, come precedentemente
riferito, da 417 aminoacidi. Nel tipo II (convertito), con
aplotipo CDVIe il segmento di DNA del gene RHD
compreso tra gli esoni 4, 5 e 6 sarebbe stato sostituito da
un'equivalente regione del gene RHCe, generando un ibrido
"D-Ce-D", composto dagli esoni 1, 2 e 3 del gene RHD da
quelli 4, 5 e 6 del gene RHCe e, ancora, dagli esoni 7, 8, 9 e
10 del gene RHD; ovviamente, in questo secondo caso, il
numero degli aminoacidi resta invariato (417).
Avent e coll.25-26 hanno, invece, identificato, in campioni
di fenotipo cDVIE, un ibrido tra il gene RHD ed il gene
RHcE: nella sequenza D-cE(4,5)-D. Analizzando aplotipi
CDVI e, hanno ottenuto ibridi analoghi a quanto riscontrato
da Mouro et al.24, cioè: D-Ce (4-6)-D, come illustrato dalla
figura 2 (da Avent et al.26).
L'analisi molecolare di altre categorie RhD parziali ha
consentito di associare alcuni epitopi ad altre ricombinazioni
tra i geni RHD ed RHCE, con generazione di ibridi di struttura
D-CE-D oppure CE-D-CE. Cartron e coll.27 hanno descritto
uno scambio D-CE tra gli esoni 2 e 3, rispettivamente nei
fenotipi DIIIb e DIIIc: D-CE(2)-D; D-CE(3)-D. Nel fenotipo
DIVa i segmenti trasferiti non risulterebbero contigui, ma
interesserebbero gli esoni 3 e 7: D-CE (3#,7#)-D (# indica
parziale conversione dell'esone).
Gli Autori27 propongono un ipotetico modello
molecolare che correla le posizioni di alcuni aminoacidi con
l'espressione degli epitopi dell'antigene D. Le sostituzioni
transmembrana o intracitoplasmatiche sarebbero cruciali
per modulare la conformazione delle proteine Rh D, come
illustrato dalla figura 3.
Altri fenotipi D "parziali" sarebbero associati a
mutazioni puntiformi del gene RHD. Per esempio, il fenotipo
DVII risulta da una mutazione all'esone 2 del gene D, per
cui, in posizione 110, viene generata una prolina anziché
una leucina28.
A differenza dei fenotipi D "parziali", caratterizzati dalla
assenza di uno o più epitopi, il fenotipo un tempo
denominato Du e oggi, più pertinentemente, D "debole"
(weak D), presenta una alterazione quantitativa e non
qualitativa dell'antigene. In tale fenotipo, l'antigene D è
presente sulla membrana eritrocitaria con un numero di siti
antigenici ridotto, in media, da un quinto a un decimo dei
siti antigenici dei normali fenotipi Rh D positivi29-31. Non
sono, invece, coinvolti i geni del locus RHCE, in quanto
l'espressione degli antigeni della serie C/c ed E/e risulta
assolutamente nei limiti di norma9. Rouillac et al.30 hanno
rilevato le usuali sequenze RhD ma un livello ridotto dei
trascritti di RNAm, a sostegno di una differenza quantitativa
tra fenotipi RhD normali e quelli "deboli". Beckers et al.32
hanno riscontrato nei campioni analizzati usuali sequenze
e trascritti del gene RHD e hanno, invece, ipotizzato che il
D weak non sia causato da difetti nella regolazione del
processo di trascrizione ma, piuttosto, da fattori che
coinvolgono l'intero complesso genico RH o da un non
ancora identificato gene soppressore. Non mancano,
peraltro, studi che ipotizzano una causa molecolare per
l'origine dei fenotipi D "deboli". Wagner e collaboratori33,
in 161 campioni di tali fenotipi, hanno rilevato 16 tipi
molecolari differenti, più due alleli caratteristici dei fenotipi
D "parziali". Nessuno dei campioni analizzati presentava
una sequenza esonica normale. La sostituzione di
aminoacidi era localizzata nei segmenti di proteina
intracellulari e transmembrana. Secondo gli Autori33, la
genotipizzazione con il sequenziamento di tutti i 10 esoni
del gene RHD potrebbe indirizzare verso trasfusioni con
sangue Rh negativo i soggetti D weak portatori di proteine
alterate e, quindi, potenzialmente a rischio di sviluppare
anticorpi.
Accanto a questo tipo di D "debole" (che viene
identificato, forse con imperfetta nomenclatura, come
"ereditario") esiste, poi, il tipo cosiddetto "da interazione
genica", nel quale l'espressività D viene depressa dai geni
RHCe o RHCE in posizione trans (su un aplotipo privo del
gene RHD), come evidenziato per la prima volta da
Ceppellini et al.34. Il fenomeno della depressione sul
prodotto di un gene esercitato da un gene portato sul
cromosoma omologo è fenomeno non raro in natura e viene
identificato, in genetica formale, come processo di epistasia
(tanto che si può parlare di D "debole" epistatico). Nel D
"debole" su base epistatica né la sequenza nucleotidica
65
G. Reali e O. Perrone
Figura 2: rappresentazione ipotetica dell'antigene D e delle varianti DVI come conseguenza degli ibridi tra i geni
RHD e RHCE (da Avent et al.26)
del gene RHD né il polipeptide RhD presentano,
ovviamente, alterazioni apprezzabili.
Prima di abbandonare l'argomento riguardante l'antigene
D, le sue forme "parziali" e quelle "deboli" è anche da
segnalare come la classificazione in soggetti Rh D-positivi
(gli Rh positivi per antonomasia) e in soggetti Rh D-negativi
sia soprattutto valida fra i caucasici, dove i primi
rappresentano circa l'85% della popolazione (mentre,
chiaramente, il restante 15% risulta Rh negativo), anche se
sono descritte eccezioni35,36.
66
Ricercando la presenza del gene RHD si è rilevato,
infatti, soprattutto nella popolazioni non caucasiche, un'alta
frequenza di soggetti con fenotipo RhD negativo e
genotipo RHD positivo. Si formula l'ipotesi che essi abbiano
il gene RHD intatto, ma inattivo, a causa di possibili
mutazioni o crossing-over (Aubin et al.37).
Assai meno indagate le caratteristiche biomolecolari
degli antigeni delle serie C/c ed E/e. Da indagini effettuate
da Mouro et al.38, risulta che l'antigene C differisce
Acquisizioni sul sistema Rh
Figura 3: modello ipotetico che correla le posizioni critiche di alcuni aminoacidi con le espressioni degli epitopi D
(da Cartron et al. 27, modificato)
dall'antigene c per sole 4 sostituzioni nucleotidiche a
livello degli esoni 1 e 2: tali sostituzioni determinano, nel
polipeptide, lo scambio della cisteina in posizione 16 con il
triptofano, dell'isoleucina 60 con la leucina, della serina 68
con l'aspartato e della serina 103 con la prolina.
Ancor meno rilevanti le differenze fra l'antigene E e
l'antigene e. In realtà, sembra trattarsi di una sola
sostituzione nucleotidica a livello dell'esone 5: la prolina,
presente in posizione 226 nella catena aminoacidica
dell'antigene E, viene sostituita da un'alanina e ciò da
origine all'antigene e.
Il fatto che siano scarse le diversità fra le due serie di
antigeni rende edotti del perché l'immunizzazione verso
questi antigeni (con la possibile eccezione di quello c) sia
assai rara9.
Anche per quanto riguarda le possibili varianti che
interessano gli antigeni C/c ed E/e le indagini sono limitate
(anche per le obiettive difficoltà di reperire i campioni
pertinenti). Tali varianti possono rivestire importanza pratica,
sia in laboratorio (per quanto riguarda i test di tipizzazione)
che in clinica (per la, sia pur molto rara, possibilità di
immunizzazione). Ben studiati gli antigeni CW e CX. CW
deriverebbe dalla sostituzione di aminoacidi in posizione
41 della proteina Rh con produzione di arginina al posto di
glicina, conseguente alla transizione nucleotidica
adenina→guanina a livello dell'esone 1 del gene RHCE,
mentre Cx sarebbe conseguente alla transizione inversa
(guanina→adenina) sempre a livello del primo esone, con
produzione di treonina al posto dell'alanina in posizione 36
della catena polipeptidica39. È stata indagata40 una variante
dell'antigene E in un soggetto giapponese ed è risultato
che essa era il prodotto di un ibrido cE-D-cE: parte dell'esone
5 del gene RHcE era stata rimpiazzata da parte dell'esone 5
del gene RHD. Come risultato di questa conversione
genica, si avevano le seguenti sostituzioni nella catena
polipeptidica: acido glutammico al posto della glicina in
posizione 233 e valina al posto della metionina in posizione
238. La variante è stata identificata perché le emazie che la
presentavano reagivano molto debolmente con alcuni sieri
monoclonali. Mancano studi approfonditi sulle
caratteristiche biomolecolari delle varianti dell'antigene
e. Come è noto, queste varianti sono assai numerose ma
riguardano soprattutto soggetti di razza negra (soprattutto
viventi in Africa) ed è, di conseguenza, difficoltoso il
reperimento di campioni. Per di più, la confusione di sigle,
le diversità di interpretazione dei dati sierologici, le differenti
teorie genetiche fornite dai molti Autori che si sono
interessati all'argomento9 richiederebbero una lunga
disquisizione che non è possibile trattare qui.
Anche se non appartiene al cinque "classici" antigeni
Rh (D, C, c, E, e), l'antigene G riveste notevole rilevanza
sia perché la sua esistenza ci rende conto di alcune
67
G. Reali e O. Perrone
incongruenze sierologiche nelle indagini di specificità
anticorpali (produzione di anticorpi ad apparente specificità
anti-C in carenza di una accertata stimolazione da parte di
questo antigene 9) sia perché lo studio delle sue
caratteristiche biomolecolari è stato in grado di offrirci
ulteriori conoscenze sui geni RH. Dato che l'antigene G è
praticamente sempre presente in combinazione con gli
antigeni C e/o D, almeno una delle similarità nelle regioni
codificanti RHD ed RHCE che esistono a livello del esone
2 debbono essere coinvolte nella produzione del polipeptide
G38. Faas et al.41 hanno studiato il DNA genomico di due
donatori dal raro fenotipo ccDEe ma G negativo e, al
contrario, di un donatore ccdEe ma G positivo. In entrambi
i primi donatori si è potuta evidenziare una singola
sostituzione all'esone 2 del gene RHD che determinava la
presenza di una prolina in posizione 103 al posto di una
serina, mentre per il soggetto G positivo ma C e D negativo
la situazione era più complessa, nel senso che esisteva un
ibrido D-CE-D, con gli esoni 1, 2, 3, 9 e 10 provenienti dal
gene RHD e gli esoni 4, 5, 6, 7 provenienti dal gene RHcE
(l'origine dell'esone 8 non si è potuta accertare), ma anche
in questo caso il fatto che l'esone 2 provenisse dal gene
RHD confermava l'importanza della serina in posizione 103
nel determinare la comparsa dell'antigene G nel polipeptide
Rh. Questi dati sono in totale concordanza con i risultati di
uno studio sulla natura dell'antigene DIIIb, che è G negativo,
e nel quale l'esone 2 del gene RHD è sostituito dall'esone
2 del gene RHc, come accertato dalle ricerche condotte da
Rouillac et al.42.
Basi molecolari dei principali aplotipi Rh
"difettivi", "bizzarri" o "deleti"
Chi si interessa di immunogenetica Rh sa che sono stati
descritti numerosi aplotipi RH comprendenti antigeni
modificati, alterati o variati, il più spesso caratterizzati da
notevole depressione di alcune espressività antigeniche
ma anche da sostituzioni dei classici antigeni con altri
consimili (ma non identici) e dalla presenza di "nuovi"
antigeni Rh che funzionano da veri e propri marcatori di
questi strani aplotipi. Molto spesso la depressione di alcuni
antigeni è controbilanciata dall'aumento di espressività di
altri. Non mancano, infine, aplotipi che contemplano la totale
assenza di uno o due degli antigeni classici; anzi, questi
rappresentano la casistica meglio conosciuta e studiata. È
in pratica impossibile elencarli tutti (il loro numero cresce
quasi costantemente) ed è anche difficile tentarne una lista
razionale. Issitt e Anstee, nel loro monumentale volume
più volte richiamato9, suggeriscono una loro (parziale)
classificazione nei seguenti quattro gruppi: aplotipi correlati
68
al complesso genico R1, aplotipi correlati al complesso
genico Ro, quelli correlati al complesso R2 e quelli correlati
al complesso r. Gli Autori tengono, comunque, a precisare
che tali correlazioni sono ipotetiche e speculative, avanzate
soprattutto per cercare di dare una certa sistematicità
all'esposizione e ribadiscono, inoltre, che nei loro elenchi
non sono contemplati tutti questi bizzarri aplotipi. La
difficoltà di reperire i campioni ha impedito lo studio
biomolecolare della maggior parte di essi, ma è stato
possibile condurre indagini soprattutto sui più noti e
indagati aplotipi "deleti" (anche perché disponibili in
situazioni omozigotiche): ci si riferisce a D- -, D.., Dc-, DCw-.
In combinazione omozigote, l'aplotipo D- - è noto come
"Rh parzialmente deleto": sono totalmente assenti, infatti,
i prodotti dei geni RHCE, mentre l'espressività dell'antigene
D risulta, il più spesso, estremamente aumentata [il numero
dei siti antigenici D passa da un massimo di 33.000 circa
rinvenibile nelle "normali" emazie di fenotipo R2R2 (il più
ricco di siti D) a 200.0009]. Sottoponendo a indagini
genomiche un campione di emazie omozigoti D- -/D- (donatore Gou, di origine francese), Chérif-Zahar et al.43
non hanno rilevato mutazioni né riarrangiamenti e hanno
ipotizzato una ridotta attività trascrizionale del gene RHCE.
In altri campioni di tali emazie, nonché in un campione di
emazie omozigoti per l'aplotipo D.., Blunt et al.36 hanno
evidenziato, invece, la completa delezione dei geni del locus
RHCE¸ con la sola possibile presenza dell'estremità 5' in un
soggetto d'origine islandese. In emazie di una donatrice
italiana (LM), procurate da uno di noi (GR), Huang et al.44
hanno identificato un'ampia delezione che interessava il
gene RHCE dall'esone 2 a tutto l'esone 9. Successivi studi
condotti dal gruppo francese di Chéerif-Zahar45 sulle stesse
emazie LM hanno fatto concludere che, in questo caso,
erano presenti due trascritti RNA inusuali dovuti, uno a un
ibrido CE-D-CE-D (esoni 1 e 9 dal gene RHCE, esoni dal 2
all'8 e l'esone 10 dal gene RHD) e l'altro da un ibrido D-CE
(composto dagli esoni da 1 a 9 di origine dal gene RHD e
dall'esone 10 di origine dal gene RHCE). Secondo gli Autori,
le proteine codificate da questi geni riarrangiati
trasporterebbero gli epitopi D ma non quelli CcEe, il che
spiegherebbe le proprietà sierologiche di queste emazie D-, cioè il cospicuo aumento della espressività dell'antigene
D e la totale assenza degli antigeni della serie Cc/Ee. I
risultati ottenuti nello studio delle emazie LM sottolineano
anche l'importanza di indagare i trascritti RNA oltre che il
DNA genomico. Sempre in soggetti D- -/D- -, Kemp e
collaboratori46 hanno individuato ibridi in cui sequenze
interne dei geni RHCE erano sostituite da corrispondenti
sequenze del gene RHD. Infine, per concludere l'argomento
relativo agli aplotipi "parzialmente deleti", segnaliamo che
Chérif-Zahar et al.43, in un donatore con complesso genico
Acquisizioni sul sistema Rh
Dc-, hanno riscontrato un ibrido CE-D-CE nel quale gli
esoni dal 4 al 9 derivavano dal gene RHD, mentre, in un
donatore con complesso DCw-, gli esoni di derivazione dal
gene RHD che producevano lo stesso tipo di ibrido (CED-CE) erano quelli dal 2 al 9.
Basi molecolari dei fenotipi totalmente difettivi
Rhnull ed Rhmod
Il fenotipo Rhnull (definizione suggerita verbalmente a
Levine da Ceppellini, che ha coniato, con altrettanta fortuna,
anche un altro termine, largamente adottato in
immunogenetica, cioè quello di aplotipo) è caratterizzato
dalla mancanza degli antigeni Rh e dalla assenza o dalla
ridotta espressività di altri antigeni o determinanti in
qualche modo collegati con il complesso Rh (LWa, LWb,
LWab, U, Fy5, s, proteina CD47)9.
Il primo caso venne descritto, nel 1961, da Vos et al.47 in
una aborigena australiana, cercatrice d'oro nel deserto
occidentale. L'impossibilità di eseguire indagini familiari
impedì lo studio del sottofondo genetico di questo primo
caso. Oggi sappiamo che alla base del fenotipo Rhnull ci
sono due differenti meccanismi genetici, uno dovuto
all'azione di un gene regolatore-soppressore portato da un
locus diverso dal locus RH ed un secondo, dovuto all'azione
di un gene amorfo, situato proprio sul locus RH9. Il primo
vero studio sul tipo "regolatore" venne condotto
estensivamente da Levine et al.48 nella famiglia di una donna
che aveva genitori, figli e alcuni zii con marcata depressione
degli antigeni Rh.
La proposita, pur essendo priva degli antigeni Rh, era
stata in grado di passare alla prole un normale complesso
R1 (CDe). Gli Autori, valutando i dati della famiglia, avevano
dato la seguente interpretazione: la stragrande maggioranza
della popolazione possiede un gene, denominato X1r, che
prepara il substrato sul quale i geni RH possono agire.
I soggetti Rhnull di tipo "regolatore" ereditano, invece,
due rari geni soppressori, indicati con X°r, che determinano
l'incapacità a fornire il substrato, sul quale agiscono, in
successione, i geni RH.
I familiari della proposita che presentano una ridotta
espressività degli antigeni Rh sono, evidentemente,
eterozigoti X1r/X°r. Il passaggio del complesso R1 dai
soggetti di fenotipo Rhnull ai figli dimostra, inoltre, che i
portatori di questo tipo di Rhnull hanno geni RH normali, ma
incapaci di esprimersi per mancanza di sostanza di base.
Questo studio familiare dimostra anche che sia i geni X1r
che quelli X°r non sono situati sul locus RH. Da segnalare
che, anche se la maggioranza dei soggetti eterozigoti X1r/
X°r mostra espressività ridotta dei comuni antigeni Rh, ciò
non avviene con regolarità49.
Nell'altro tipo di Rhnull, descritto per la prima volta da
Ishimori e Hasekura nel 196650, l'ipotesi dell'esistenza di un
gene amorfo derivava dallo studio familiare. Infatti, il
propositus aveva il padre di (apparente) fenotipo R2R2, la
madre di (apparente) fenotipo R1R1 e un fratello di
(apparente) fenotipo R2R2: si evidenziava, quindi,
un'evidente esclusione di maternità. Risulta, infatti,
evidente che, se non si ammette l'esistenza di un gene
amorfo al locus RH, il fratello R2R2 non può essere figlio di
una donna fenotipicamente R1R1. Esso doveva, quindi,
essere (e in effetti, era) eterozigote per il gene amorfo, mentre
appariva fenotipicamente omozigote per l'unico complesso
genico palese, ereditato dal padre.
La natura molecolare del fenotipo Rhnull è stata ed è
tuttora oggetto di numerose ricerche. Il tipo "amorfo"
avrebbe origine, in alcuni casi, da una larga delezione al
locus RH o, in altri casi, da mutazioni o delezioni nell'unico
gene RHCE presente in soggetti D negativi. Chérif-Zahar
et al.51, hanno descritto due campioni appartenenti a
soggetti non correlati di fenotipo Rhnull "amorfo", nei quali
i trascritti dei geni RHAG e CD47 apparivano normali, il
gene RHD era assente e il gene RHCE presentava mutazioni.
Nel primo propositus, il nucleotide guanina era stato
sostituito da timina al terminale 5' dell'introne 4 del gene
RHCE. La mutazione aveva determinato l'inserzione di uno
stop codon precoce con l'interruzione della trascrizione
nucleotidica nel polipeptide RhCE. Nel secondo caso la
sequenza nucleotidica Timida-Citosina-Adenina (TCA)
nell'esone 7 del gene RHCE in posizione 966-968, era
sostituita da citosina: si creava una proteina più corta,
costituita da 398 aminoacidi, anziché 417, organizzata in 10
domini invece di 12, con una sequenza terminale di 76
aminoacidi, diversa dal normale.
Huang e collaboratori52 hanno riportato i risultati relativi
a una famiglia di origine tedesca (descritta 26 anni prima53)
con due fratelli Rhnull, anch'essi di tipo "amorfo". In tutti i
componenti la famiglia i trascritti dei geni RHAG e CD47
erano normali. Nei due soggetti Rhnull il gene RHD era
assente, mentre nel gene RHCE era presente una doppia
mutazione a livello dell'esone 7, il che ha causato due
delezioni nucleotidiche: la sequenza ATT è diventata AT al
livello del codon 322, mentre la sequenza CAC è diventata
CC a livello del codon 323. La mutazione ha dato origine ad
una proteina di 398 aminoacidi che ha perso due segmenti
transmembrana e ha acquistato una nuova sequenza
terminale. La struttura tridimensionale della proteina
risulterebbe alterata, causando interferenza sull'inserimento
del sistema Rh nella membrana dei globuli rossi.
Gli Autori ipotizzano che la proteina sia inserita nella
membrana, ma non risulti accessibile agli anticorpi, la cui
funzionalità è strettamente dipendente dalla
69
G. Reali e O. Perrone
conformazione52. I più recenti studi di biologia molecolare
effettuati su Rhnull di tipo "regolatore" (che è anche la più
comune forma di Rhnull) hanno consentito di accertare che
i trascritti dei geni del locus RH (così come quelli del gene
che codifica la proteina CD47) sono assolutamente normali,
mentre sono alterati quelli al locus RHAG. Infatti, ChérifZahar et al.17 hanno esaminato due Rhnull di tipo "regolatore"
non correlati, il primo di origine spagnola ed il secondo
californiano, nei quali sono risultati presenti e normalmente
funzionanti entrambi i geni RHD ed RHCE. Nel gene RHAG
del primo paziente è stata, invece, individuata una delezione
di 122 nucleotidi, corrispondente all'intero trascritto
dell'esone 7, che ha generato una proteina di 351 aminoacidi
(anziché di 409 come nella normale proteina RhAG), con 36
aminoacidi diversi rispetto all'usuale sequenza della regione
carbossilica terminale. Verosimilmente, la proteina assume
un diverso orientamento, oppure, essendo instabile, subisce
una degradazione e, comunque, non è trasportata alla
superficie cellulare. Gli Autori ipotizzano che la regione Cterminale della proteina RhAG sia cruciale per assemblare
o trasportare il complesso Rh sulla membrana eritrocitaria:
se subentrano carenze o modifiche, il polipeptide Rh non si
esprime o si deforma tanto da non essere riconosciuto dagli
anticorpi specifici. Nel secondo soggetto, la sostituzione
di una guanina con una adenina alla prima base dell'introne
1 del gene RHAG darebbe origine ad una bassa attività di
trascrizione, oppure alla produzione di RNAm instabile. Non
è stata riscontrata, infatti, la produzione di RNAm maturo.
Ancora, Huang et al.3 hanno individuato, in un soggetto
di fenotipo Rhnull "regolatore" di origine australiana, normali
sequenze e trascritti dei geni RHD ed RHCE, e la presenza
di due mutazioni nel gene RHAG, eterozigote: in un allele la
sostituzione di una guanina con una adenina alla posizione
1 dell'introne 1, con produzione di precursori di RNAm
instabili che andrebbero incontro a degradazione per cui
non si riscontrerebbe RNAm maturo, e, nell'altro allele,
sempre una trascrizione G in A, in posizione 836 dell'esone
6, dalla quale origina una proteina che presenta glicina al
posto di acido glutammico alla posizione 279 del dominio
transmembrana. La sostituzione della glicina da parte
dell'acido glutammico, a carica elettrica negativa,
modificherebbe l'idrofobicità della proteina, alterandone la
conformazione e distruggendo il collegamento tra il
polipeptide Rh e la proteina RhAG. L'acido glutammico in
posizione 279 potrebbe, inoltre, causare un difetto nella
rotazione cellulare della proteina. Da ultimo, la proteina
difettosa potrebbe essere vulnerabile alla proteolisi e,
quindi, essere instabile. Le regioni carbossiliche terminali
della proteina RhAG interagirebbero con quelle delle
proteine Rh per formare il complesso Rh di membrana, come
70
si evidenzia nella figura 4, tratta da Huang et al.3, che
mantiene, ovviamente, la nomenclatura utilizzata dagli
Autori. Dalla figura si evince, anche, la personale
interpretazione di Huang et al.3 del sottofondo genetico
alla base della codifica degli antigeni Rh. Per questi Autori,
i polipeptidi Rh (da loro indicati come Rh30) e la
glicoproteina RhAG (da loro indicata come Rh50) sono
codificati da geni sistemati su loci diversi (cromosoma 1
per i polipeptidi Rh e cromosoma 6 per la glicoproteina,
come precedentemente sottolineato) ma l'azione combinata
di questi geni è essenziale perché gli antigeni Rh si possano
esprime compiutamente. Si tratta, peraltro, della teoria
genica più accreditata e accettata: l'unica riserva riguarda
l'uso di una nomenclatura non corretta.
Da quanto sopra si può anche dedurre come, sempre
per questi Autori3,17, il gene RHAG mutato rappresenti
l'ipotetico allele X°r, ovvero il gene "soppressore" che
impedisce il trasporto e/o la sistemazione del complesso
Rh sulla membrana dei globuli rossi e ostacola, quindi,
l'espressione fenotipica Rh, mentre il gene RHAG normale
corrisponderebbe al normale gene "regolatore" (X1r).
Notoriamente, la condizione Rhnull è associata ad un
difetto della membrana eritrocitaria, che determina un
accorciamento della sopravvivenza in circolo e causa una
anemia emolitica (Rhnull disease54) occasionalmente grave,
ma molto più spesso così modesta da essere rilevata solo
con indagini mirate. Le manifestazioni cliniche associate
alla Rhnull disease derivano dall'assenza o dalle modificazioni
delle proteine Rh, necessarie per l'integrità della membrana
cellulare, che risulta, quindi, alterata. Segni tipici di questa
sindrome sono: stomatocitosi, sferocitosi, aumentata
fragilità osmotica, alterato trasporto dei cationi, anormale
organizzazione dei fosfolipidi di membrana.
Un fenotipo molto simile, anche se non identico, a quello
Rhnull è stato descritto nel 1972 da Chown et al.55 in una
donna canadese, genotipicamente R1R2, i cui antigeni Rh
erano tutti marcatamente depressi. A tale fenotipo (del quale
si sono evidenziati, in seguito molti altri esempi9) è stato
dato il nome di Rhmod (modified, modificato). Questo
fenotipo, in analogia con il fenotipo Rhnull "regolatore",
appare controllato da un gene autosomico soppressore9.
Forse, il tipo Rhmod riflette o l'incompleta penetranza delle
mutazioni del gene RhAG oppure altre mutazioni
sconosciute. Mancano studi approfonditi di biologia
molecolare su campioni di questo fenotipo. Comunque, in
uno studio condotto su un soggetto Rhmod, che presentava
tracce degli antigeni Rh (testimoniate da tecniche di
assorbimento ed eluizione di anticorpi anti-Rh) e un basso
livello di proteine RhAG in citometria a flusso ed in Western
Acquisizioni sul sistema Rh
Figura 4: le mutazioni a livello del gene RHAG RH50 danno origine ad una proteina in cui la glicina in posizione 279
è sostituita da acido glutammico. Questa sostituzione può causare un difetto nella rotazione cellulare, instabilità e
degradazione, oppure modificare il collegamento tra le proteine Rh ed RhAG (da Huang et al.3, modificata).
Ovviamente, è stata mantenuta la nomenclatura adottata dagli Autori.
Blot, Chéfir-Zahar et al.56 hanno potuto evidenziare che il
polipeptide Rh era normale, mentre la proteina RhAG è
risultata alterata per un singolo scambio di aminoacidi.
Conclusioni
Questa sintetica Rassegna vuole riassumere le più recenti
acquisizioni sul sistema Rh, derivate soprattutto dalle ampie
possibilità offerte agli studiosi dalle raffinate indagini
molecolari. Il coinvolgimento di ricercatori specialisti in
biochimica e in biologia molecolare ha creato qualche difficoltà
di nomenclatura e possibili ambiguità interpretative a livello
immunogenetico; nella nostra esposizione abbiamo tentato
di chiarire e superare questi ostacoli.
Dopo aver ricordato le principali nozioni sulle
caratteristiche della membrana eritrocitaria sede dei
determinanti Rh e sulle generalità riguardanti geni e antigeni
Rh, abbiamo esposto le basi molecolari dei principali
antigeni del sistema, cioè dell'antigene D e di quelli di usuale
determinazione (C, c, E ed e) nonché delle loro varianti più
note e dell'antigene G.
Abbiamo, poi, preso in considerazione gli aplotipi Rh
parzialmente difettivi o deleti.
Da ultimo, abbiamo riportato i più importanti
aggiornamenti acquisiti sul fenotipo totalmente deleto, noto
in immunoematologia eritrocitaria come fenotipo Rhnull, il
cui studio ha fornito nozioni essenziali e insostituibili alla
comprensione del sottofondo genetico del sistema Rh. Non
manca un breve accenno al fenotipo Rhmod.
In definitiva, abbiamo incentrato il nostro interesse sui
71
G. Reali e O. Perrone
capitoli più conosciuti e comuni del sistema Rh, ma ci
rendiamo conto di non aver affrontato parti meno risapute
ma non per questo meno interessanti. Questi argomenti
potrebbero essere oggetto di una nuova Rassegna.
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