La compliance nel trattamento della schizofrenia

La compliance nel trattamento della schizofrenia
Compliance in the treatment of schizophrenia
PAOLA ROCCA, LAURA PULVIRENTI, MICHELA GIUGIARIO, FILIPPO BOGETTO
Dipartimento di Neuroscienze, Sezione di Psichiatria, Università di Torino
RIASSUNTO. La compliance viene definita come la misura in cui il comportamento del paziente coincide con i consigli medici ricevuti. Riguardo ai pazienti schizofrenici, si riferisce generalmente a quanto dosi e numero di somministrazioni dei farmaci siano fedeli alle prescrizioni. È dimostrato che un’adeguata compliance incide in modo rilevante sulla prognosi complessiva del paziente. È necessario analizzare quali sono i fattori di rischio più frequentemente associati a una scarsa aderenza alla terapia, per riuscire a intervenire precocemente sul paziente che non aderisce al trattamento, ottenendo risultati migliori. Sono stati individuati fattori correlati al paziente, al trattamento, al medico e all’ambiente di vita. Sembra che interventi
rivolti al miglioramento della compliance siano molto più efficaci rispetto a quelli non specifici; sono stati, pertanto, messi a
punto diversi tipi di tecniche specificamente mirate. Nonostante esistano varie difficoltà metodologiche, che ostacolano un’analisi esauriente del problema, è necessario approfondire l’argomento, vista l’ormai dimostrata rilevanza dell’aderenza sull’esito della terapia.
PAROLE CHIAVE: compliance, schizofrenia, fattori di rischio, prognosi.
SUMMARY. Compliance is defined as the extent to which a person’s behaviour coincides with the medical advice he has
received. About schizophrenic patient, it is mostly referred to how precise a patient is in assuming his pharmacological
therapy. It has been shown that compliance has a very important influence on the final outcome of the patient. It is necessary to identify the factors which are more frequently associated with non-compliance: this allows precocious intervention
on non-compliant patients, thus obtaining better results. It is possible to differentiate between factors that are related to
the patient, the patient’s environment, the treating clinician, and the treatment itself. An intervention specifically aimed at
improving compliance is much more efficacious than a non-specific one, so various kinds of techniques have been created
with this purpose. Despite several methodological difficulties, which impair a complete knowledge of compliance, it is necessary to furthermore analyze this factor, since it has been demonstrated its influence on the final results that a therapy
can obtain.
KEY WORDS: compliance, schizophrenia, risk factors, outcome.
INTRODUZIONE
La maggior parte delle terapie prolungate, che
molte patologie croniche richiedono, corre frequentemente il rischio che la sua efficacia venga ridotta da
un problema dimostratosi non trascurabile: la compliance del paziente, definita come la misura in cui il
comportamento di una persona coincide con i consigli medici che ha ricevuto (1). Le patologie psichiatriche non fanno eccezione: la schizofrenia, tra le malat-
tie per cui è difficile ottenere un’adeguata aderenza,
è risultata seconda soltanto al trattamento per la perdita di peso (2).
Anche se la scarsa compliance può assumere diverse forme, per esempio non sottoporsi alle visite o rifiutare un ricovero in ospedale (3), quando si parla di
aderenza tra i pazienti schizofrenici ci si riferisce generalmente a quanto dosi e numero di somministrazioni
dei farmaci siano fedeli alle prescrizioni mediche. È vero, infatti, che la terapia della schizofrenia, per massi-
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mizzare i benefici, deve essere costituita anche di un
solido supporto psicosociale (4,5), ma sicuramente una
farmacoterapia efficace è indispensabile per garantire
sollievo dai sintomi psicotici, ridurre le ricadute sintomatiche e migliorare il funzionamento e la qualità di
vita del paziente (6,7).
I motivi per cui l’aderenza al trattamento della schizofrenia ha assunto una rilevanza notevole sono diversi. È dimostrata la relazione tra un’inadeguata compliance e un aumento delle riesacerbazioni psicotiche,
delle visite d’emergenza e delle riospedalizzazioni (811); sembra che la non aderenza al trattamento sia la
causa più comune di riospedalizzazione (12) e che la
mancata assunzione della terapia un solo giorno su
dieci per un periodo di 12 mesi sia già sufficiente a raddoppiarne il rischio (13). Inoltre, le ricadute che si verificano durante un periodo in cui il paziente non sta
assumendo farmaci sono spesso caratterizzate da maggiore gravità, con manifestazioni violente verso altri e
verso se stessi (14): impulsività e ostilità sono le caratteristiche che si deteriorano più velocemente in assenza di trattamento farmacologico (15).
Non è facile quantificare con precisione la misura
della non aderenza al trattamento antipsicotico: alcuni
studi la collocano in un range estremamente ampio, tra
il 20 e il 79% dei pazienti (16); altri definiscono un valore medio pari circa al 55% (11). Uno degli ostacoli a
una misurazione univoca e precisa della compliance
tra gli schizofrenici è sicuramente il fatto che l’aderenza al trattamento non è un fenomeno “tutto o nulla”.
Nella maggior parte dei casi si verifica una compliance
parziale, cioè il paziente assume un dosaggio minore
del farmaco oppure salta alcune somministrazioni. Dato che anche questa eventualità è stata associata a ricadute, riesacerbazioni sintomatologiche e tentativi
anticonservativi, si porrebbe il problema di definire
una “soglia di accettabilità” che indichi quale livello di
compliance si può considerare adeguato, dal momento
che una semplice distinzione dei pazienti in aderenti e
non aderenti risulta troppo indefinita e grossolana.
Molti clinici ritengono adeguata una compliance del
70%, anche se un limite preciso che garantisca l’assenza di rischio è piuttosto difficile, se non impossibile, da
definire (2).
È, inoltre, necessario tenere in considerazione i costi derivanti dalla frequenza dei ricoveri per ricaduta
sintomatica: la schizofrenia assorbe, nei paesi sviluppati, dall’1,5 al 3% delle spese sanitarie nazionali, e il
22% dei costi complessivi destinati alle malattie mentali (17): un quarto di queste spese è dovuto ai ricoveri (18).
I fattori di rischio associati a una scarsa compliance
sono vari e molteplici, ma possono essere raggruppati
in 4 grandi categorie: quelli direttamente correlati al
paziente, quelli che dipendono dal suo ambiente di vita, quelli legati alla terapia e, infine, quelli correlati al
medico che ha preso in carico la persona (19).
FATTORI CHE INFLUENZANO LA COMPLIANCE
NEI PAZIENTI SCHIZOFRENICI
Fattori correlati al paziente
Le caratteristiche non modificabili (età, sesso, gruppo etnico di appartenenza) sembrano non essere correlate in modo significativo alla compliance (20), anche se alcuni studi sottolineano un’aderenza non adeguata tra i pazienti molto giovani (21) e tra quelli molto anziani (22). I giovani probabilmente trovano difficile accettare una patologia cronica che necessita di
trattamento continuo (2); per quanto riguarda gli anziani, invece, le cause sarebbero i problemi di memoria
intercorrenti (22), o il fatto che spesso vengono seguite contemporaneamente altre farmacoterapie, cosa
che rende più complicato per il paziente assumere i
farmaci psichiatrici: la complessità della prescrizione è
uno dei fattori che influenzano la compliance (11,19).
Anche i sintomi con cui una patologia si manifesta
sembrano influenzare l’aderenza al trattamento: in
presenza di deliri persecutori o di grandiosità, per
esempio, anche in psicosi non schizofreniche, l’assunzione del farmaco viene frequentemente rifiutata
(23,24); sembrano agire nella stessa direzione anche
una spiccata ostilità, una severa disorganizzazione,
un’eccessiva sospettosità (25); per quanto riguarda la
severità dei sintomi e la presenza di disturbi dell’umore in associazione alla patologia psicotica i risultati non
sono dirimenti, essendo stata riscontrata tanto una correlazione quanto l’assenza di questa (20).
Le alterazioni delle funzioni cognitive presenti nei
pazienti schizofrenici influiscono sulla compliance tramite due meccanismi; questi soggetti tendono a riferire una compliance migliore di quella effettiva, cosa che
rende difficile al terapeuta l’identificazione del soggetto non aderente (26); inoltre, la compromissione della
memoria e delle funzioni esecutive possono inficiare la
regolarità dell’assunzione (26,27). Anche il livello di
funzionamento cognitivo premorboso di alcuni pazienti al primo episodio di schizofrenia sembra avere valore predittivo su una futura non-compliance (28). Tuttavia, un’approfondita analisi di diversi studi ha rilevato
una scarsa correlazione tra compliance e deficit cognitivi, anche se questo dato potrebbe dipendere dallo
scarso numero di lavori che valutano direttamente
questo aspetto (20).
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Tra i fattori più frequentemente correlati a scarsa
compliance va considerato sicuramente l’abuso di sostanze, tanto quello verificatosi in precedenza, quanto
quello contemporaneo all’assunzione della terapia, in
misura maggiore in questo secondo caso (19,20,24,29).
Un ruolo decisamente rilevante, infine, è rivestito
dalla consapevolezza di malattia (3,20,30): se il paziente
non crede di essere malato, difficilmente comprenderà i
benefici derivanti dall’assunzione della terapia. Inoltre,
spesso gli effetti collaterali precedono quelli terapeutici
(31), quindi risulta ancora più difficile, per un soggetto
che non ritiene di essere malato, accettare di assumere
la terapia. Infine, dal momento che una ricaduta si verifica con una certa latenza rispetto alla sospensione della terapia, il paziente non associa i due eventi tra loro e
non identifica i nessi di causalità esistenti (5).
Uno dei modelli proposti per comprendere i fattori
che influenzano la compliance è il cosiddetto Health
Belief Model, sviluppato per analizzare l’aderenza in
trattamenti preventivi come i vaccini, poi adattato a
patologie croniche, inclusa la schizofrenia (32). Questo
modello riguarda la percezione, strettamente individuale, quindi variabile tra i singoli pazienti, del rapporto tra i “costi” e i “benefici” derivanti dall’assunzione del farmaco. In esso rientrano la conoscenza del
disturbo da parte del paziente, la sua percezione della
patologia e dei disagi a essa correlati, la consapevolezza del beneficio derivante dal farmaco, l’attitudine verso la terapia e il terapeuta, la paura degli effetti collaterali, in sintesi l’insieme dei fattori rilevanti per l’adesione o meno al trattamento (3,20,32,33).
Fattori correlati all’ambiente
Un ambiente di vita improntato alla comprensione
e al sostegno del paziente è associato a una migliore
compliance (16). Un’attitudine negativa nei confronti
della malattia psichiatrica e dei farmaci da parte dei familiari e dell’ambiente sociale in cui il paziente vive, al
contrario, può spingerlo a negare qualunque contatto
con tutto quello che riguarda la sua condizione di schizofrenico, compresi la terapia farmacologica e i contatti con i medici, per ridurre lo stigma sociale a cui si sente sottoposto (19,34).
Anche la stabilità delle condizioni di vita e il coinvolgimento familiare durante il ricovero sembrano
aver dimostrato qualche correlazione con la compliance, anche se controversa; non si conosce, invece, approfonditamente, per l’esiguità degli studi effettuati,
l’influenza di variabili di tipo più strettamente pratico,
per esempio la residenza in ambiente rurale o urbano,
o la facilità di accesso ai luoghi di cura (20).
Fattori correlati alla terapia
La terapia della schizofrenia ha notevolmente beneficiato dell’utilizzo nella pratica clinica degli antipsicotici atipici, che sembrano essere più efficaci, rispetto ai
neurolettici, sui sintomi negativi, cognitivi e affettivi, e
meglio tollerabili, mostrando una minore incidenza di
effetti collaterali extrapiramidali (35). Nonostante
queste caratteristiche, tuttavia, in diversi studi che si
sono occupati di analizzare la compliance tra pazienti
in terapia con atipici, un’aderenza significativamente
migliore non è stata costantemente riscontrata (2) e,
quando presente, era solo lievemente superiore rispetto a quella dei pazienti trattati con neurolettici (2,20).
Questo dato non sembra essere in accordo con l’osservazione che frequentemente i pazienti attribuiscono
all’insorgere di effetti collaterali la responsabilità dell’abbandono della terapia (11,16), e che il manifestarsi
di eventi avversi all’inizio del trattamento sembra essere una delle cause più frequenti di diminuzione dell’aderenza (31).
In effetti, la correlazione tra compliance ed effetti
collaterali non è così ben definita: un’ampia revisione
della letteratura riporta che 8 studi su 9, che analizzavano la relazione tra queste due variabili, non riscontravano un’associazione significativa (20). Inoltre, sembra che sia più incisiva sulla compliance l’azione positiva esercitata dai benefici terapeutici di quanto lo sia
quella negativa dovuta agli effetti collaterali (1).
A questo proposito è bene ricordare che spesso la
valutazione clinica non è in grado di analizzare la percezione soggettiva dell’effetto collaterale da parte del
paziente, fattore decisivo per l’orientamento verso l’aderenza al trattamento. Non è raro, infatti, che un sintomo giudicato clinicamente non gravissimo venga vissuto dal paziente come fastidioso e disagevole, più
stressante perfino dei sintomi psicotici stessi, con l’ovvia conseguenza di una riluttanza nell’assunzione della terapia, come succede spesso per la disforia da neurolettici (36,37) e per l’acatisia (16). Inoltre, ogni effetto viene percepito in modo diverso dal singolo paziente, in base alle sue condizioni di vita e a ciò che queste
richiedono; per alcuni soggetti, per esempio, potrà essere più stressante un disordine motorio, per altri un
disturbo della sfera sessuale.
Sembra che un effetto decisivo sull’incremento della compliance si sia ottenuto con l’introduzione in terapia dei neurolettici depot: è stato ipotizzato che la
migliore compliance garantita da questi farmaci sia
sufficiente a spiegare la loro maggiore efficacia nel ridurre le ricadute e le riospedalizzazioni (5,2,24). In
realtà non è stata riscontrata una correlazione diretta
tra l’utilizzo dei depot e una migliore aderenza al trat-
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tamento (19,20). È stato rilevato un miglioramento effettivo soltanto per un periodo breve, più o meno un
mese, trascorso il quale, in assenza di interventi di
rinforzo, la compliance peggiora gradualmente, fino a
raggiungere gli stessi livelli ottenuti con le formulazioni orali (38).
L’azione dei depot sul miglioramento della compliance sembra essere indiretta, dovuta al riconoscimento precoce della non-compliance nascosta, mediante l’immediata identificazione di somministrazioni
mancate. È, così, possibile comprendere se un eventuale fallimento sia dovuto all’inefficacia della terapia
o a scarsa aderenza, e intervenire precocemente, prima
che si verifichi una riesacerbazione sintomatologica,
ottenendo risultati a lungo termine migliori (2,4,39).
Nonostante esistano linee-guida che suggeriscono
l’uso dei depot in tutti i pazienti con compliance inadeguata (40), c’è una certa reticenza nell’utilizzo di
questi farmaci, attribuibile a due fattori. Innanzitutto, i
pazienti in trattamento con antipsicotici da molto tempo preferiscono gli atipici ai neurolettici depot (39).
Inoltre, i medici temono il verificarsi di effetti collaterali gravi, quali la sindrome maligna da neurolettici,
difficili da trattare poiché le caratteristiche farmacocinetiche di questa formulazione non consentono di ridurre la quantità di farmaco nell’organismo, non essendo possibile interromperne l’assunzione. La mortalità da questa causa non sembra, comunque, essere
maggiore per i depot (41).
Una prospettiva interessante è rappresentata dal
trattamento con risperidone long-acting, una soluzione
acquosa in cui sono disperse microsfere di glicopolimeri contenenti risperidone, approvato per l’uso negli
Stati Uniti alla fine del 2003 (4), che associa i vantaggi
degli antipsicotici atipici a quelli della somministrazione depot.
Fattori correlati al medico
La presenza di specialisti della salute mentale sembra essere di per sé un fattore percepito positivamente
dal paziente, che preferisce assumere la terapia, anche
quando costituita da depot, presso strutture specialistiche, piuttosto che a domicilio o presso il medico di base (24).
È bene che il curante si adoperi per costituire una
forte alleanza terapeutica, che sembra essere indispensabile per garantire una buona aderenza (20); pare, infatti, che la percezione da parte del paziente dell’interesse manifestato dal medico nei suoi confronti, tradotto in tempo che gli viene dedicato, sia uno dei fattori più influenti sulla compliance (19).
Il medico ha la responsabilità di fornire al paziente
un’informazione corretta, esauriente e realistica riguardo la sua patologia e la terapia prescritta, compresi gli effetti collaterali; mettere a conoscenza della possibilità del loro manifestarsi non sembra influire negativamente sulla compliance (19). Bisogna educare il
paziente ad assumere il farmaco anche nei periodi di
remissione sintomatologica, dal momento che remissione non è sinonimo di guarigione (2), e che l’obiettivo dell’assunzione del farmaco non è tanto un immediato benessere, quanto la prevenzione delle eventuali
ricadute (5).
Nella maggior parte dei casi il medico non sa quale
dei suoi pazienti abbia una scarsa compliance (24).
Non è raro dunque che un’assenza di benefici venga
interpretata come una mancanza di efficacia della terapia, con conseguente inutile variazione o potenziamento della terapia in atto, con la conseguenza di creare un circolo vizioso che rende il paziente sempre meno aderente al trattamento (2,5); sono state, infatti, evidenziate correlazioni tra la complessità del trattamento e l’aderenza allo stesso, motivo per cui vengono generalmente preferiti i farmaci in singola somministrazione giornaliera (2,3,19,24).
Dal momento che i segni di aderenze parziali o nulle si manifestano generalmente quando è troppo tardi
per intervenire (2), è opportuno che i medici monitorino attentamente e costantemente la compliance dei loro pazienti, evitando atteggiamenti giudicanti, che potrebbero creare barriere difensive negli assistiti (5). È
molto utile anche fornire un costante e prolungato
rinforzo, sia al paziente sia all’ambiente di supporto,
che sottolinei l’utilità della terapia e i rischi della sua
mancata assunzione (19), dal momento che la compliance tende a diminuire nel tempo (5,27). È stato dimostrato che entro 2 anni dalle dimissioni il 75% dei
pazienti finisce per aderire solo parzialmente o per
nulla al trattamento (42).
Un altro fattore che va tenuto in considerazione è la
cosiddetta doctor non-compliance (15), cioè la tendenza di alcuni medici a non prescrivere un’adeguata terapia antipsicotica nel lungo termine. Questa scelta terapeutica, non univocamente accettata, è stata messa
in relazione all’osservazione di percentuali di non ricaduta, in pazienti non trattati, pari al 50% (9).
POSSIBILITÀ D’INTERVENTO
Lo studio dei fattori associati a una scarsa compliance ha degli obiettivi precisi: l’identificazione di
fattori di rischio, che segnalino al medico quale paziente potrebbe andare incontro a scarsa aderenza, e
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degli ostacoli a una buona adesione al progetto terapeutico.
È stato proposto di raggruppare le molteplici possibilità d’intervento in tre categorie: educazionale, comportamentale e affettiva, che se utilizzate in associazione sembrano fornire i risultati migliori (33).
Gli interventi di tipo educazionale sono quelli che,
utilizzando per esempio comunicazioni verbali, scritte,
audiovisivi, rivolti al singolo o a gruppi, mirano a fornire
informazioni sulla patologia, sul suo decorso, sul trattamento utilizzato, assicurando al paziente e al suo ambiente di riferimento una conoscenza completa e realistica del problema. Alcune variabili individuali, quali,
per esempio, il livello di istruzione del paziente, possono
rendere questo tipo d’intervento più o meno agevole (2).
Gli interventi di tipo comportamentale, che si sono
rivelati particolarmente efficaci, consistono nell’apprendimento, nel rinforzo o nell’orientamento di specifici comportamenti e abilità mirati a rendere più agevole l’assunzione della terapia. Possono essere utili
strumenti per l’automonitoraggio, meccanismi per ricordare al paziente di assumere il farmaco e l’istituzione di modelli comportamentali (20).
In particolare, è stato costruito un modello d’intervento, definito Compliance Therapy, un’associazione
di interventi di tipo cognitivo-comportamentale e motivazionale, che si pone l’obiettivo di guidare il paziente attraverso i rischi e i benefici derivanti dall’assunzione del farmaco, dimostratosi più efficace e incisivo
rispetto a consulenze non specifiche (3).
Gli interventi di tipo affettivo, costituiti per esempio
da consulenze o supporto familiare, hanno l’obiettivo
di migliorare l’aderenza al trattamento attraverso il livello emozionale e i sentimenti del paziente, con il supporto delle relazioni sociali e dell’ambiente in cui vive
quotidianamente (33).
CONCLUSIONI
Nonostante i notevoli progressi fatti nella conoscenza e nell’analisi dei fattori che si associano a una scadente aderenza al trattamento, esistono oggettive difficoltà metodologiche che rendono difficile una conoscenza esauriente del problema.
Tutte le metodiche di analisi e di indagine della
compliance risultano affidabili solo parzialmente.
Quelle che si basano su ciò che il paziente riferisce risultano spesso viziate dalla soggettività e sono considerate la fonte meno affidabile in assoluto (2,5). Le
metodiche di rilevamento dirette, quali il dosaggio
ematico e urinario, oltre a non essere utili per tutti i
farmaci, sono invasive e generalmente poco gradite;
inoltre, rispecchiando solo la situazione più recente,
sono passibili di volontaria mistificazione, se il paziente è a conoscenza del momento in cui verranno effettuate (20). Anche i meccanismi di rilevamento indiretto, quelli cioè che danno riscontro dell’erogazione della terapia, non sono sufficienti a garantire che la terapia sia stata effettivamente assunta (20).
Un altro elemento di criticità è la differenza tra la
compliance riportata negli studi rispetto a quella osservata nella pratica clinica, ricollegabile alle diverse
modalità con cui i pazienti vengono seguiti (17,19).
Infine, la variabilità nella misurazione dei livelli di
compliance, nelle definizioni stesse di questa, nella durata delle osservazioni sui pazienti sono di ostacolo per
la comparazione tra i vari studi che hanno analizzato il
problema.
È comunque dimostrato che l’aderenza al trattamento è uno dei cardini dell’efficacia di una terapia; è
quindi necessario proseguire nell’analisi e nella comprensione del problema, sebbene un fenomeno così
marcatamente legato alle caratteristiche individuali
del singolo paziente non sia facilmente indagabile in
tutte le sue molteplici e sfaccettate componenti.
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