Alessandra Ferlini Rita Selvatici ELEMENTI DI GENETICA

Alessandra Ferlini
Rita Selvatici
ELEMENTI DI GENETICA UMANA
A integrazione del materiale didattico delle lezioni
CORSO INTEGRATO DI BIOLOGIA E GENETICA. 1° anno di corso
Facolta’ di Medicina e Chirurgia
Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia
Tipi di mutazioni e loro caratteristiche
Le differenze tra fenotipi è in gran parte dovuta a variabilitá genetica che si esprime a livello di proteina o di RNA.
Il DNA è soggetto a variazioni ereditabili (mutazioni), che possono coinvolgere il cromosoma (larga scala), singole
sequenze di DNA o lo scambio tra sequenze alleliche o non-alleliche (piccola scala), causando cambiamenti
amminoacidici, quindi polimorfismi proteici, o cambiamenti delle sequenze di regolazione, quindi variabilitá di
espressione.
1.1 Variazioni a larga scala
I processi meiotici e mitotici non sono esenti da errori ed interi cromosomi possono venire perduti o si possono formare
gameti con cromosomi soprannumerari (aneuploidia), vi possono essere alterazioni strutturali con rottura e riunione di
frammenti di DNA cromosomico. Le alterazioni strutturali dei cromosomi possono interessare un singolo
cromosoma e causare:
- delezione terminale: perdita di materiale cromosomico dall’estremitá di un braccio cromosomico (de(l5)(p15)
Sindrome del cri-du-chat);
- delezione interstiziale: perdita di materiale cromosomico all’interno di un braccio cromosomico;
- inversione: ribaltamento di 180º di una porzione interna di un cromosoma (inv(9)(p11q12) anomalie fisiche)
(bilanciata);
- inserzione: aggiunta di materiale cromosomico in un braccio.
La ricombinazione omologa avviene durante la meiosi e comporta lo scambio di materiale tra cromosomi omologhi
con taglio e riunione nella stessa posizione in ciascun cromatide quindi senza perdita di informazione genetica.
Alterazioni strutturali possono avere luogo tra cromosomi non-omologhi con scambio di materiale tra sequenze non
alleliche di cromatidi non fratelli (ricombinazione omologa non allelica). Questo processo puó avvenire senza perdita
di informazioni (bilanciata) (es. traslocazione reciproca; t(9,22)(q34;q11) nella leucemia mieloide cronica) o con
perdita di materiale genetico (sbilanciata) (es. traslocazione non-reciproca con un solo cromosoma traslocato che
resta nel nucleo del gamete). Questi eventi sono spesso associati a sequenze con omologia elevatissima (>95%), che
possono predisporre a ricombinazioni ineguali.
Il trasferimento non reciproco tra una sequenza di DNA ed un’altra non all’elica (conversione genica interlocus) o
all’elica (conversione genica interallelica) implica una sequenza donatrice che non viene modificata ed una sequenza
ricevente che viene sostituita da una sequenza identica a quella donatrice. Un possibile meccanismo è imputato alla
formazione di un eteroduplex tra il filamento di DNA donatore ed il filamento di DNA ricevente, il quale viene
convertito nella sequenza del DNA donatore dal sistema enzimatico per la riparazione degli appaiamenti errati.
Anche tra le alterazioni bilanciate vi possono essere eccezioni: (i) la rottura cromosomica distrugge un gene, lo separa
dalla regione di controllo o lo colloca in una regione cromosomica con diversa attivitá (eterocromatina); (ii)
traslocazioni bilanciate X-autosoma possono provocare problemi di inattivazione del cromosoma X.
I problemi maggiori nelle alterazioni bilanciate si possono presentare nella formazione dei gameti, ottenendo cariotipi
non bilanciati e comportando l’insorgenza di fenotipi patologici.
1.2 Variazioni a piccola scala
Le mutazioni a piccola scala possono essere causate dalla DNA polimerasi durante la replicazione del DNA, in cui
l’attivitá proofreading di questo enzima puó lasciarsi sfuggire alcuni errori, o da attacchi chimici (radiazioni ionizzanti,
metaboliti, sostanze mutagene). Le nuove mutazioni possono avvenire nelle cellule somatiche o germinali di un
individuo. Se le mutazioni germinali non causano modificazioni nella fertilitá del soggetto, la mutazione verrá
trasmessa alla progenie diffondendosi nella popolazione umana come variazione polimorfica della sequenza se
raggiungerá una frequenza superiore al 1%.
Queste mutazioni comprendono:
- sostituzioni di basi: solitamente cambio di una singola base, in rari casi di gruppi di basi simultaneamente;
- delezioni: uno o piú nucleotidi sono eliminati da una sequenza;
- inserzioni: uno o piú nucleotidi sono inseriti in una sequenza.
Le sostituzioni di basi sono le piú comuni e si dividono in due classi:
- transizioni: sostituzione di una pirimidina (C o T) con una pirimidin, o di una purina (A o G) con una purina;
- trasversioni: sostituzione di una pirimidina con una purina o di una purina con una pirimidina.
Le mutazioni si generano casualmente nel DNA quindi il DNA codificante e non-codificante hanno la stessa
suscettibilitá alle mutazioni. Le mutazioni del DNA codificante hanno le maggiori conseguenze e possono alterare un
codone del mRNA e codificare per un diverso aminoacido. Si suddividono in (Figura 1):
- sinonime (silenti): mutazioni che non cambiano la sequenza del prodotto genico dando origine ad un nuovo codone
che specifica per lo stesso aminoacido;
- neutrali: mutazioni che cambiano la sequenza del prodotto genico dando origine ad un nuovo codone che specifica
per un diverso aminoacido ma con proprietá chimico-fisiche simili a quelle dell’aminoacido di origine;
- nonsense: sostituzioni non sinonime con formazione di un codone di terminazione, associate ad un diminuzione della
funzione genica ;
- non-sinonime (missense): risultano in un codone che codifica per un aminoacido diverso da quello originario: (i)
conservative: mutazioni che cambiano la sequenza del prodotto genico ma senza apparente perdita di funzione in
quanto il nuovo aminoacido ha caratteristiche chimicamente simili; (ii) non conservative: il nuovo aminoacido ha
caratteristiche chimicamente diverse.
Le sostituzioni nucleotidiche localizzate nella regione codificante non hanno uno schema casuale ma si presentano con
frequenza diversa in base al loro effetto sul prodotto genico:
- siti non degenerati: posizioni di basi in cui tutte e tre le sostituzioni sono non sinonime. Comprendono circa il 65%
delle posizioni di basi nei codoni umani ed hanno una frequenza molto bassa;
- siti degenerati quattro volte: posizioni di basi in cui tutte e tre le sostituzioni sono sinonime. Spesso sono in terza
posizione dei codoni e comprendono il 16% delle posizioni di basi nei codoni umani ed hanno una frequenza
corrispondente al tasso di mutazione in introni e pseudogeni;
- siti degenerati due volte: posizioni di basi in cui una delle tre possibili sostituzioni é sinonima. Spesso sono in terza
posizione dei codoni e comprendono il 19% delle posizioni di basi nei codoni umani.
Le delezioni e le inserzioni di uno o piú nucleotidi possono modificare la sequenza dei codoni successivi che verranno
tradotti in amminoacidi diversi rispetto alla proteina originale. Queste sono mutazioni di slittamento del modulo di
lettura (frameshift). E’ frequente che venga generato un codone di terminazione prematuro. Le mutazioni frameshift
hanno di soliti un effetto devastante con perdita della funzionalitá del prodotto genico.
Le mutazioni possono avvenire anche nei siti nucleotidici o nei nucleotidi adiacenti ad un sito di splicing (Figura 2). Se
un sito di splicing 3’ subisce una mutazione , questo sito verrá omesso e lo splicing verrá completato al sito di splicing
3’ successivo, ottenendo un mRNA maturo mancante dell’esone compreso tra i due siti 3’ di splicing (exon skipping).
Se la mutazione riguarda un sito 5’ di splicing, questo sito verrá ignorato e nel mRNA maturo verrá incluso un introne
(ritenzione introne). E’ anche possibile che si attivi un evento di splicing alternativo con attivazione di un sito di
splicing criptico, che potrá essere utilizzato preferenzialmente rispetto al sito legittimo di splicing. In ogni caso il
risultante mRNA maturo non avrá la sequenza nucleotidica corretta con possibile slittamento del modulo di lettura o
formazione di una proteina tronca.
Le mutazioni associate al meccanismo di splicing possono modificare gli effetti della mutazione stessa:
- mutazioni nonsense in esoni possono perdere il loro carattere patogeno in presenze di un alterato schema di splicing
(NAS, nonsense-associated alterated splicing) che porta a skipping dell’esone, in modo tale da evitare il codone di
terminazione;
- mutazioni silenti che attivano siti criptici di splicing provocano la perdita di sequenze codificante o lo slittamento del
codice di lettura per la ritenzione di un introne;
Oltre alle mutazioni semplici vi sono mutazioni che comprendono scambi tra sequenze alleliche o non alleliche,
soprattutto nelle regioni con sequenze ripetute. Le regioni di DNA con ripetizioni in tandem sono prone a polimorfismi
di delezione/inserzione con alleli che si diversificano per il numero di copie di ripetizioni in tandem. Questi
polimorfismi determinati dal numero variabile di ripetizioni in tandem (VNTR) sono frequenti in presenza di unitá
ripetute le quali possono essere lunghe da uno a diversi nucleotidi con una lunghezza della serie di ripetizioni da 10 a
100 nucleotidi (microsatelliti / SSR, simple sequence repeat), avere unitá ripetute da nove a decine di nucleotidi
coprendo centinaia di nucleotidi (minisatelliti) o essere costituite da serie molto lunghe di DNA ripetuto in tandem
(satelliti). I loci VNTR presentano spesso allelia multipla (es. geni rRNA, 21-idrossilasi/C4) e sono maggiormente
frequenti nel DNA non codificante. La causa piú frequente di queste mutazioni è lo scivolamento della DNA polimerasi
(replication slippage) durante la duplicazioni di sequenze ripetute. La delezione o espansione di ripetizioni puó avere
un effetto patologico. Le ripetizioni in tandem di un piccolo numero di nucleotidi sono maggiormente esposte a
mutazioni del numero di ripetizioni per appaiamento errato dovuto a scivolamento di un filamento. Se la mutazione
avviene nel DNA codificante puó alterare il modulo di lettura e determinare variazioni dell’espressione genica. A
seconda della dimensione dell’espansione e della collocazione vi sono:
- geni con modeste espansioni di ripetizione (CAG)n con formazione di tratti di poliglutammina. Le ripetizioni
variano da 10-30 a 40-200 che provocano aggregati molecolari letali all’interno delle cellule;
- geni con estese espansioni di ripetizioni non codificanti, frequente in ripetizioni trinucleotidiche che da 5-50 unitá
passano a centinaia o migliaia di ripetizioni.
I trasposoni che coprono il 45% del genoma umano sono nella maggior parte dei casi inattivi. Solo nei casi di
trasposizioni recenti vi sono loci polimorfici per la presenza/assenza della ripetizione Alu. Piú frequentemente le
ripetizioni Alu causano appaiamenti non allelici con scambio di materiale e conseguente delezione o duplicazione della
regione interessata. Ad esempio le ripetizioni Alu sono presenti ogni 1.5kb nel gene per il recettore delle lipoproteine e
sembrano essere la causa delle delezioni presenti in questo gene. Il DNA ripetitivo non codificante distribuito nel
genoma derivante da duplicazioni segmentali (LCR, low-copy number) presenta omologie superiori al 95% e
predispone a ricombinazioni non alleliche, se presenti sullo stesso cromosoma, a traslocazioni, se su cromosomi diversi,
microdelezioni, microduplicazioni ed inversioni. La presenza di ripetizioni invertite all’interno o nelle vicinanze di un
gene puó causare un appaiamento delle ripetizioni per ripiegamento su se stesso del cromatidio con conseguente rottura
e riunione che puó dar luogo ad inversione. Esempio è il gene per il fattore VIII, in cui questo tipo di inversioni causa il
40% dei casi di emofilia. La trasposizione di DNA ripetitivo è un evento raro e rappresenta una piccola percentuale
delle cause di patologia. Un esempio è dato dal gene per il fattore VIII in cui sono documentate inserzioni di L1 de novo
come causa di emofilia A.
1.3 Effetto delle mutazioni
L’effetto di una mutazione puó essere:
- amorfo: assenza di prodotto
- ipomorfo: ridotta produzione/attivitá
- ipermorfo: aumento produzione/attivitá
- neomorfo: nuovo prodotto/attivitá
- antimorfo: prodotto/attivitá antagonista
L’effetto amorfo e ipomorfo possono essere causati da: (i) delezioni parziali o totali del gene; (ii) inserzioni, inversioni
o traslocazioni che modificano la struttura genica; (iii) mutazioni del meccanismo di splicing; (iv) mutazioni che
destabilizzano mRNA o creano codoni di terminazione (mutazioni dissenso, nonsenso, delezioni, frameshift); (v)
mutazioni che inattivano il promotore.
Un esempio è dato dalla sindrome di Waardenburg di tipo 3, caratterizzata da dismorfismi, inclusa la distopia dei canti,
anomalie della pigmentazione e sordità, in cui la diagnosi molecolare è basata sulla ricerca di mutazioni che causano
perdita di funzione del gene PAX3 (paired box homeotic gene 3).
L’effetto ipermorfo puó essere dovuto a: (i) trisomia; (ii) duplicazione; (iii) acquisizione di una maggiore funzionalitá
L’effetto neomorfo ed antimorfo puó essere dovuto a: (i) duplicazione; (ii) mutazioni missenso; (iii) inclusione di
introni / esclusione di esoni.
1.3 Patogenicitá delle mutazioni
Le mutazioni sono lo stimolo all’evoluzione per un migliore adattamento ai cambiamenti ma possono avere anche
implicazioni patogenetiche. Il grado di patogenicitá di una mutazione dipende da diversi fattori: (i) localizzazione della
mutazione che puó causare perdita parziale o totale dell’espressione di un gene o la sua espressione in livelli non
fisiologici; (ii) il grado in cui il fenotipo patologico si presenta nel soggetto con la mutazione in eterozigoti; (iii)
l’influenza di altri geni nell’espressione del fenotipo mutato; (iv) la proporzione ed il tipo di cellule (somatica o
germinale) in cui è presente la mutazione; (v) l’origine parentale della mutazione (geni imprintati); (vi) l’effetto di
acquisizione o perdita di funzione (loss / gain of function): la perdita di funzione produce solitamente un fenotipo
recessivo in cui la presenza di una dose di allele normale è sufficiente per non sviluppare il fenotipo patologico;
l’acquisizione di funzione causa fenotipi dominanti in quanto la presenza di un allele normale non previene l’attivitá
anormale dell’allele mutato.
ALBERI GENEALOGICI E MODELLI EREDITARI
La ereditarietà delle malattie genetiche può essere suddivisa in ereditarietà di tipo MENDELIANO
e NON MENDELIANO.
Le malattie a trasmissione mendeliana riconoscono una ereditarietà unifattoriale che segue
modalità conformi ai principi essenziali delle leggi di Mendel.
La trasmissione non mendeliana comprende le patologie CROMOSOMICHE, la trasmissione
MITOCONDRIALE e le malattie a trasmissione COMPLESSA o multifattoriali.
EREDITARIETA’ MENDELIANA
Le numerose malattie note avere una ereditarietà mendeliana sono classificabili
1
-
in base alla localizzazione del gene malattia sui cromosomi in:
AUTOSOMICHE se determinate da mutazioni in un gene presente su un cromosoma
non sessuale
-
LEGATE AL SESSO se determinate da mutazioni in un gene presente su un
cromosoma sessuale (X o Y)
2
in base all’espressione a livello fenotipico in:
-
DOMINANTI se è sufficiente una sola copia (eterozigosi) del gene alterato per avere la
malattia
-
RECESSIVE se servono entrambe le copie del gene alterato (omozigosi), ereditate dai
genitori che sono quindi portatori sani, affinchè si manifesti la patologia
TRASMISSIONE AUTOSOMICA DOMINANTE
Il gene, la cui mutazione è responsabile della malattia, è localizzato su un cromosoma non
sessuale; la patologia può quindi manifestarsi indifferentemente in soggetti di sesso maschile o
femminile. L’allele mutato si comporta come dominante cioè si esprime a livello fenotipico sia negli
individui eterozigoti (con una copia del gene mutato e una di quello normale) che in quelli
omozigoti ( con entrambe le copie mutate). Generalmente gli omozigoti presentano un quadro
clinico più grave rispetto agli eterozigoti e la patologia è generalmente letale perciò in generale gli
affetti da una patologia a trasmissione autosomica dominante sono eterozigoti. La malattia viene
trasmessa in modo verticale da genitore a figlio con il 50% di probabilità ed in maniera
indipendente dal sesso; non vi sono salti di generazione. ( Fig.1)
FIGURA 1 TRASMISSIONE AUTOSOMICA DOMINANTE
Le caratteristiche della trasmissione autosomica dominante sono quindi:
 Il carattere viene trasmesso da un genitore al 50% della sua prole
 Viene trasmesso verticalmente (senza salti di generazione)
 Si esprime in eguale misura nei due sessi
 Sono possibili le trasmissioni M--M, M--F, F--F, F--M
Le problematiche correlate alle malattie a trasmissione autosomica dominante sono relative a :
-
PENETRANZA INCOMPLETA
-
ESPRESSIVITA’ VARIABILE
-
ANTICIPAZIONE
-
NUOVE MUTAZIONI
PENETRANZA
Per penetranza si intende la percentuale di individui portatori del gene mutato che hanno segni
clinici della malattia. La penetranza è detta completa quando il 100% degli individui eterozigoti
per il gene mutato è malato. Se la percentuale di individui eterozigoti e con segni clinici è inferiore
al 100% la penetranza si definisce incompleta o ridotta. La definizione del grado di penetranza
richiede quindi un attenta analisi clinica mirata a rilevare anche segni minimi di patologia in
quanto questo cambierebbe lo stato di un soggetto da asintomatico a malato e dunque il suo
rischio di trasmettere la patologia alla prole.
La penetranza per alcune patologie dipende anche dalla età del paziente, in particolare per le
malattie ad esordio tardivo.
ESPRESSIVITA’ VARIABILE
L’espressività è il grado con il quale la malattia si manifesta in un individuo. A livello di
popolazione vi è espressivita’ variabile quando all’interno dell’insieme di soggetti sicuramente
portatori del gene malattia il fenotipo presenta gravita’ e/o complessita’ diversa. Molte malattie
autosomiche dominanti mostrano, anche nell’ambito di una stessa famiglia, un’espressività
variabile in termini di gravità e quantità dei segni/sintomi.. E’ pertanto importante un accurato
esame clinico esteso ai consanguinei di un affetto, anche apparentemente sani per escludere segni
minimi di patologia.
Esempio di malattia autosomica dominante con espressività variabile: Sindrome di Waardenburg
(SINDROME: insieme di segni che nel singolo individuo possono presentarsi tutti o solo in parte).
La sindrome è caratterizzata da sordita’ + occhi di colore diverso + ciuffo di capelli bianchi sulla
fronte + precoce incanutimento e questi segni clinici possono essere presenti tutti o solo alcuni.
ANTICIPAZIONE
E’ noto come alcuni fenotipi a trasmissione autosomica dominante diventino piu’ gravi nelle
generazioni successive. Questa caratteristica è detta anticipazione ed è tipica delle mutazioni
dinamiche (da espansione di triplette).
Una ripetizione di triplette è un tipo insolito di mutazione in cui una tripletta di nucleotidi
aumenta di numero all'interno di un gene (un gene normale presenta relativamente poche
ripetizioni di triplette in tandem). Questo tipo di mutazione si verifica in diversi disordini,
particolarmente in quelli che coinvolgono il sistema nervoso centrale. Quando il gene viene
trasmesso da una generazione alla successiva la ripetizione della tripletta può espandersi ed
estendersi fino al punto
in cui il gene termina di funzionare normalmente. Vi è una soglia oltre la quale la ripetizione è
patologica mentre prima si parla di premutazione (stato che aumenta il rischio di trasmettere il
fenotipo patologico). Gli esempi di malattie da espansione di triplette comprendono la distrofia
miotonica, la malattia di Huntington, il ritardo mentale da X fragile e diversi altri disordini
neurologici. Il numero di ripetizioni può aumentare considerevolmente nella formazione di cellule
germinali o in certi tessuti nel momento in cui l'embrione e il feto si sviluppano. L'espansione può
essere maggiore quando trasmessa da un genitore (p. es., la madre nella distrofia miotonica, il
padre
nella
malattia
di
Huntington);
pertanto,
possono
essere
osservati
un
effetto
e
un'anticipazione genitore-di-origine.
NUOVE MUTAZIONI
In caso vi sia un solo affetto in una famiglia, dopo aver escluso segni minimi di patologia nei
genitori, si può ipotizzare che si tratti di una patologia autosomica dominante da mutazione de
novo. La mutazione è dunque presente nell’individuo affetto ma non nei genitori sani che tuttavia
possono essere un mosaico per la mutazione a livello delle cellule germinali (oociti e spermatozoi).
Questo significa che il rischio di ricorrenza in futuri figli non è il 50% (come nel caso che uno dei
genitori sia affetto) ma è dell’ordine del 2-3%. La proporzione di casi di una malattia dominante
dovuti a nuove mutazioni è direttamente proporzionale al grado con il quale la malattia
interferisce con la riproduzione, cioè alla “fitness” genetica. Una nuova mutazione, una volta
avvenuta, è permanente: la probabilità di trasmettere la malattia è la stessa dei casi trasmessi.
L'osteogenesi imperfetta è un esempio di malattia genetica a trasmissione autosomica dominante
da nuove mutazioni nei geni codificanti le catene del collagene Col1A1 e 2. E’ caratterizzata da
manifestazioni cliniche a carico dello scheletro, delle articolazioni, degli occhi, delle orecchie, della
cute e dei denti.
TRASMISSIONE AUTOSOMICA RECESSIVA
Il gene, la cui mutazione è responsabile della malattia, è localizzato su un cromosoma non
sessuale; la patologia può quindi manifestarsi indifferentemente in soggetti di sesso maschile o
femminile. L’allele mutato si comporta come recessivo, cioè si esprime a livello fenotipico solo negli
omozigoti che hanno entrambe le copie del gene alterate. Gli eterozigoti, che hanno una copia del
gene normale e una mutata, sono portatori sani e non manifestano segni di malattia. La
trasmissione della patologia è detta “orizzontale” in quanto negli alberi familiari si riconosce
ricorrenza in fratrie. La consanguineità rappresenta un importante fattore di rischio per le
patologie recessive. Si stima infatti che ogni individuo sia portatore di circa 8 geni con mutazioni
recessive ed il coefficiente di consanguineità aumenta la probabilità che due soggetti siano
portatori degli stessi geni mutati. Il rischio di patologie recessive è anche aumentato dalla
appartenenza degli individui ad isolati geografici. Un esempio di patologie autosomiche recessive
sono la talassemia e la fibrosi cistica.
Parlando di patologie autosomiche recessive si deve tener conto della ETEROGENEITA’
GENETICA, cioè di come geni diversi, localizzati su cromosomi diversi o in loci diversi sullo stesso
cromosoma, possono essere responsabili dello stesso quadro clinico. Un esempio sono le ipoacusie
genetiche in cui due genitori ipoacusici ma con mutazioni su geni diversi possono avere figli
normoudenti, portatori sani delle mutazioni dei genitori o eterozigoti composti per le stesse,
sempre senza che vi sia un effetto sul fenotipo (fenomeno della complementazione).
Le caratteristiche della trasmissione autosomica recessiva sono quindi:
 I genitori sono clinicamente normali
 Non si osserva trasmissione verticale del carattere, ma ricorrenza in fratrie o casi isolati
(orizzontale)
 Il rischio per due portatori di avere un figlio affetto è del 25%
 Il carattere si manifesta in eguale misura nei due sessi
 La consanguineità aumenta il rischio di patologie recessive nella prole
 I figli di due soggetti affetti sono tutti affetti (escludendo la eterogeneità genetica)
FIGURA 2 TRASMISSIONE AUTOSOMICA RECESSIVA
TRASMISSIONE X-LINKED
Il gene, la cui mutazione è responsabile della malattia, è localizzato sul cromosoma X. La maggior
parte delle patologie legate al cromosoma X si trasmettono come carattere recessivo cioè si
manifestano nei maschi ( che sono emizigoti, cioè hanno un solo cromosoma X) mentre le femmine
sono portatrici della patologia, solitamente asintomatiche ma talora possono manifestare segni
più lievi. Questo è da porre in relazione al fenomeno della lyonizzazione ( inattivazione casuale di
uno dei due cromosomi X) per cui la femmina e’ un mosaico di cellule ciascuna funzionalmente
emizigote per l’uno o l’altro cromosoma X. La trasmissione X linked dominante è invece molto più
rara, si manifesta nelle femmine e di solito è letale nei maschi.
Nelle famiglie in cui segreghi una malattia X linked è cruciale identificare le femmine portatrici.
Sono portatrici obbligate le donne: con più di un figlio maschio affetto, con un fratello ed un figlio
maschio affetto, figlie di un maschio affetto.
Le caratteristiche della trasmissione X linked sono quindi:
 Il rischio e la severità della patologia sono diversi nei due sessi
 Nelle femmine si possono avere genotipi omozigote ed eterozigote
 Il maschio è emizigote per i geni sull’ X
 I termini X-linked dominante e recessivo si riferiscono solo all’espressione del gene nelle
femmine
 La patologia si manifesta in tutti i maschi che ereditano il gene patologico, mentre l’espressione
nelle femmine è variabile in virtù dell’inattivazione dell’X
 Gli affetti sono nella grande maggioranza maschi
 I figli maschi di un affetto sono tutti sani (manca la trasmissione M--M)
 Le figlie degli affetti sono tutte portatrici
 I figli maschi di una portatrice sono affetti in proporzione del 50%, le femmine sono portatrici
in proporzione del 50%
 Il maschio sano non trasmette la patologia
 Le femmine omozigoti affette sono rarissime (maschio affetto che sposa una portatrice)
Esempi di patologia a trasmissione X linked recessiva sono la distrofia muscolare di Duchenne,
l’emofilia A, il deficit di G6PD.
FIGURA 3 TRASMISSIONE X LINKED RECESSIVA
CASO ISOLATO
Di fronte ad un albero di questo tipo le possibilità sono:
 La malattia non è genetica: rischi di ricorrenza trascurabili
 La malattia è dovuta a nuova mutazione dominante: rischi di ricorrenza trascurabili nella prole
della coppia
 La trasmissione è autosomica recessiva: rischio di ricorrenza di 1 su 4 per la futura prole
indipendentemente dal sesso
 La malattia è legata all’X recessiva e la madre può essere o meno portatrice
 La malattia è poligenica o cromosomica: rischio di ricorrenza dipendente dal tipo di malattia
FIGURA 4 CASO ISOLATO
EREDITARIETA’ NON MENDELIANA
- PATOLOGIE MULTIFATTORIALI
La maggior parte delle caratteristiche di un individuo, come il colore degli occhi, l’altezza, il
carattere etc... non segue la trasmissione caratteristica dei geni mendeliani, ma è determinata
dall'intervento di più geni, che spesso interagiscono con l'ambiente.
La gran parte delle malattie umane più frequenti sono multifattoriali.
Fra queste il diabete, le malattie cardio-circolatorie, l’arteriosclerosi, l’obesita’ e il cancro.
Nelle malattie genetiche multifattoriali l'eredità è complessa e difficilmente prevedibile perché:
•
la malattia è determinata da un insieme di fattori genetici e ambientali
•
non si eredita la malattia ma la predisposizione ad ammalarsi
•
anche se la predisposizione è spesso necessaria, molte persone predisposte non si
ammalano mai.
La predisposizione genetica è un fattore di rischio ma un fattore di rischio da solo non basta per
determinare la malattia, sono necessari più fattori di rischio.
I fattori di rischio possono essere sia di tipo genetico che ambientale.
Se la somma dei diversi fattori di rischio supera una determinata soglia, si ha la malattia.
Eredità multifattoriale e malattie
geniche complesse
Malattie genetiche
Una malattia genetica è una patologia causata da modificazioni del genoma del paziente. Nella maggior parte dei casi
una malattia genetica viene ereditata da uno o entrambi i genitori. Alcune malattie genetiche sono causate da mutazioni
puntiformi o di pochi nucleotidi che alterano sequenze di DNA regolative o codificanti per una proteina: esempi sono
l’emofilia, la beta-talassemia e l’alfa-talassemia, la fibrosi cistica, il daltonismo, lo pseudoermafroditismo e altre 8.000
malattie (solo per gli esseri umani). In alcuni casi una malattia genetica può essere causata da alterazioni citogenetiche,
come nel caso della Sindrome di Down (trisomia 21). Per altre malattie la mutazione può essere causa di
predisposizione genetica. In questi casi, la patologia si sviluppa solo se in compresenza di altri fattori, come accade ad
esempio per la Celiachia o il Lupus eritematoso sistemico. La prima grande distinzione tra le diverse malattie genetiche
è legata al numero di geni coinvolti, per cui distinguiamo malattie monogeniche, poligeniche e multifattoriali.
Le Malattie monogeniche sono ereditate come caratteri Mendeliani semplici: si tratta di malattie dovute a una
mutazione su un singolo gene che possono essere ereditate come caratteri:
 autosomici dominanti ,
 autosomici recessivi
 legati al cromosoma X.
Questo gruppo di malattie comprende circa 8000 malattie genetiche rare, che si manifestano con frequenze
normalmente inferiori a 1/1000. In queste malattie, la componente genetica è largamente prevalente su quella
ambientale. Il gene è responsabile della malattia ed i fattori ambientali, quali ad esempio l'alimentazione, stile di vita,
abitudini o altro, possono influire poco e spesso unicamente sulle modalità con cui la malattia si sviluppa.
L'eredità dei caratteri monogenici è uni fattoriale (specificata da un solo gene trasmesso secondo le leggi mendeliane
della dominanza, della segregazione, dell'indipendenza). I caratteri monogenici hanno la caratteristica di essere
qualitativi, cioè può essere rilevata solo la presenza o l’assenza del carattere e vengono classificati in gruppi fenotipici
distinti esprimibili secondo l’alternativa di due o più qualità differenti: giallo o verde, liscio o rugoso, emofiliaco o sano
(non emofiliaco), ecc.
Le Malattie poligeniche non segregano secondo leggi Mendeliane, anche se sono almeno in parte geneticamente
determinati. L’eredità e l’espressione del fenotipo dipende da più geni NON allelici (loci diversi) ognuno dei quali
contribuisce in modo additivo all’espressione del fenotipo. L’effetto dei geni è CUMULATIVO e nessuno è dominante
o recessivo rispetto agli altri. Questi caratteri variano in maniera quantitativa nella popolazione, cioè è spesso
impossibile collocare gli organismi in una classe fenotipica discreta, perché presentano un continuum di variabilità
fenotipica: statura, il peso corporeo, la pressione sanguigna, i livelli di attività metabolica e altri.
Sono caratteri poligenici, quelli che non dipendono da un solo gene, ma sono il risultato dell’interazione dei prodotti di
più geni. I caratteri che derivano dal complesso di interazioni di più geni (caratteri non mendeliani) possono presentare
una variazione continua nella "intensità" della loro manifestazione e sono quindi considerati caratteri quantitativi.I
caratteri continui o quantitativi mostrano una vasta gamma di fenotipi e mostrano una relazione genotipo-fenotipo
complessa.
Le Malattie multifattoriali (o malattie complesse) comprendono la maggior parte delle malattie più comuni, quali le
patologie cardiovascolari e psichiatriche, l'asma e le altre malattie respiratorie, il diabete, alcuni tumori. In queste
malattie il peso della componente genetica e di quella ambientale sono entrambi rilevanti. Dal punto di vista genetico
sono dovute alla presenza di mutazioni in più geni, da cui il termine malattie poligeniche.
Il fenotipo malattia è il risultato della interazione tra questi geni e l'ambiente. Non vi è quindi nessun gene che causa la
malattia, ma più geni, ognuno dei quali conferisce una predisposizione a contrarre la malattia, senza però poterla
determinare da solo. Si parla quindi di "geni di suscettibilità". Ad esempio, se una persona ha un DNA che la
predispone alle malattie cardiovascolari, lo stile di vita che adotta (dieta, esercizio fisico, fumo, stress, ecc) farà si che
questa predisposizione si concretizzi nella malattia oppure resti silente.
L'eredità delle malattie complesse è multifattoriale quando il carattere biologico è controllato da un insieme di molti
geni che agiscono, in concorso con fattori ambientali. Parliamo in questo caso di genetica quantitativa. Per
l'evidenziazione di un carattere quantitativo, all'effetto genetico viene ad associarsi l'influenza dell'ambiente,
quest'ultimo inteso nella sua più ampia accezione (alimentazione, condizioni igieniche, clima, tabagismo, attività fisica
etc.). Sono modelli complessi di ereditarietà i caratteri come: peso corporeo, colore della pelle, l’altezza ecc. Ma anche
la suscettibilità a malattie complesse come: cardiopatie, asma, diabete ecc.
Teoria poligenica dei caratteri quantitativi
Francis Galton (1822-1911) stabilì che non era possibile ricondurre caratteristiche umane come l’altezza e il peso ad
alcun tipo di ereditarietà mendeliana, ma non riuscì a dedurne alcuna nuova legge di ereditarietà. Riuscì a stabilire una
correlazione lineare solo fra le medie del valore del carattere presente nei genitori ed il valore osservato nel figlio:
quanto maggiore era la media delle altezze dei due genitori, tanto maggiore era l’altezza del figlio, e viceversa.
Questa osservazione tornò in accordo con le leggi di Mendel quando venne formulata la teoria poligenica dei caratteri
quantitativi da Ronald Fisher (1890-1962). La teoria poligenica sostiene che quando un carattere ha una variazione
continua (quindi è quantitativo), può essere spiegato dall’azione mendeliana di un gruppo di geni, ciascuno dei quali dà
un certo contributo quantitativo alla determinazione del carattere. Secondo la teoria poligenica ogni singolo gene non
determina se quel carattere è presente o meno, ma fornisce un piccolo contributo all’ intensità di presentazione di quel
carattere, e solo la somma dei contributi dei diversi geni coinvolti determina effettivamente il valore reale osservabile
per quel carattere.
Un esempio semplice, basato sul classico esempio dell'altezza, si può fare immaginando che i geni A e B
contribuiscano entrambi per determinare l'altezza. Ciascun gene può presentarsi in due forme alleliche (A e B
dominante; a e b recessivo) tali che se sono presenti nella forma dominante possono contribuire per 5 cm aggiuntivi
all'altezza finale, mentre se sono presenti nella variante recessiva possono causare la perdita di 5 cm di altezza. In
questo tipo di "collaborazione" fra i due alleli si individua una relazione di codominanza (anziché di dominanza pura),
simile a quella che intercorre fra gli alleli A e B dei gruppi sanguigni. Quindi possiamo dire che A e B ricorrono nella
popolazione con uguale frequenza p=q=0.5, secondo l'equilibrio di Hardy-Weinberg. I genotipi possibili ad ogni locus
saranno: AA, Aa, aa, BB, Bb, bb. Fenotipicamente ci aspettiamo che le relative frequenze siano: AA e BB = 25%; Aa e
Bb = 50%; aa e bb = 25%
Anche l’altro gene per lo stesso carattere, può essere presente in due forme alleliche di uguale frequenza B e b
(p=q=0,5) , si esprime attraverso i genotipi: BB, Bb, bb in cui B dà un contributo simile a quello di A e b un contributo
simile ad a.
Su 100 soggetti, sappiamo che in media 25 individui saranno AA (omozigoti dominanti), 25 saranno aa (omozigoti
recessivi), e 50 saranno eterozigoti Aa. Se poniamo che l’altezza media sia 100 cm, gli omozigoti AA saranno alti 110
cm, gli omozigoti recessivi aa saranno alti 90 cm e gli eterozigoti saranno 100cm.
Attraverso incroci casuali, se i loci A e B sono indipendenti, potremo avere nella popolazione i genotipi: AABB, AABb,
AaBB, AaBb, AAbb, aaBB, aaBb, Aabb, aabb con la seguente distribuzione dell’altezza: AABB = 120cm (4 geni
dominanti che contribuiscono ciascuno per 5 cm); AABb, AaBB = 110 cm (3 geni dominanti che contribuiscono
ciascuno per 5 cm e 1 recessivo che diminuisce di 5cm l’altezza); AAbb, aaBB = 100 cm (2 geni dominanti che
contribuiscono ciascuno per 5 cm e 2 recessivo che diminuiscono di 5cm l’altezza); aaBb, Aabb = 90 cm (1 gene
dominante che contribuisce per 5 cm e 3 recessivi che diminuiscono ciascuno di 5cm l’altezza); aabb = 80 cm (4 geni
recessivi che diminuiscono di 5cm l’altezza) (Figura 1).
Figura 1. Distribuzione delle classi fenotipiche
Aggiungendo altri geni, al gruppo di alleli che contribuisce a determinare il carattere, e in più considerando anche una
variabilità aggiuntiva legata all’ambiente, il grafico tende ad assomigliare rapidamente ad una curva a campana o
curva di Gauss. All’aumentare del numero di loci la distribuzione si approssima alla distribuzione normale (Figura
2).
Figura 2. Distribuzione delle classi fenotipiche per 1 locus genico (A); per 2 loci (B); per 3 loci (C); per n loci (D).
Le classi fenotipiche aumentano all’aumentare del numero dei geni coinvolti. Le caratteristiche della curva di Gauss
sono la media, la varianza e il quadrato della deviazione standard, che da' una misura della dispersione dei dati intorno
alla media.
La media permette di riassumere in modo conveniente una distribuzione fenotipica, ed in particolare ci da informazioni
sul centro della distribuzione. La media non è altro che la somma dei singoli valori divisa per il numero di osservazioni
e viene usata frequentemente per riassumere i fenotipi di un gruppo di individui.
La varianza è una misura di quanto i singoli valori si distribuiscono attorno alla media. La varianza è la media
aritmetica degli scarti dalla media al quadrato, 2 (sigma quadrato):
2 
x1  M 2  x2  M 2  ...  xn  M 2
n
La varianza è il valor medio delle deviazioni quadrate dalla media.
La deviazione standard che non è altro che la radice quadrata di 2 :
Deviazione Standard = s = 
La deviazione standard viene spesso preferita alla varianza dato che la deviazione standard è
espressa nelle stesse unità di misura dei dati misurati, mentre la varianza è espressa come un
valore al quadrato.
2
Teoria multifattoriale
L'ereditabilità di un tratto quantitativo è un parametro molto importante e dà una misura quantitativa della componente
genetica e quindi ereditabile di un tratto quantitativo.
E`una caratteristica relativa alla popolazione.
Emerson e East formularono per primi la teoria multifattoriale secondo la quale:
- la variabilità del carattere quantitativo è attribuibile alla segregazione simultanea di diversi fattori
- gli effetti dei singoli fattori sono simili e additivi
- agli effetti genetici si sovrappongono componenti ambientali che possono determinare variazioni del fenotipo.
E’ possibile accertare quanto un dato carattere dipende dal genotipo e quanto dall’ambiente ?
In che misura la variazione fra individui per un dato carattere è dovuta alla variazione genetica e in che misura alla
variazione ambientale ?
EREDITABILITA’
Nel caso dei caratteri quantitativi, è molto più difficile prevedere le prerogative della progenie di un
dato incrocio rispetto ai caratteri mendeliani classici. Ciò è dovuto principalmente a due
circostanze: la complessa base genetica (in quanto poligenica) dei caratteri quantitativi e la grande
influenza che l’ambiente esercita sulla loro manifestazione fenotipica. Un parametro che ci può
aiutare ad ipotizzare come ed in che misura un carattere quantitativo viene trasmesso alla progenie è
l’ereditabilità, che si indica come h2. L’ereditabilità misura quale parte della variabilità fenotipica
è dovuta ad effetti genetici.
VG
Variazione genetica
Variazione genetica


Variazione
fenotipica
totale Variazione
genetica
Variazion
e ambientale
VG  VA
Per comprendere
il significato
dell’ereditabilità
dobbiamo in primo
luogo 
considerare
come,
nella
h2 
maggior parte dei casi, un gruppo di individui di una data specie (cioè una popolazione) presenta per un dato carattere
quantitativo una certa variabilità: essi non sono cioè tutti uguali. Tale variabilità, che chiameremo totale o fenotipica
perché presente a livello della manifestazione morfologica del carattere, risulta in realtà dovuta a due componenti:
quella genetica (che considera l’effetto di reali varianti alleliche nell’ambito di uno o più dei geni che controllano il
carattere) e
quella ambientale (dovuta al fatto che fattori esterni quali la temperatura, lo stato di salute, l’alimentazione, ecc.
possono condizionare in modo differenziato i vari individui della popolazione). Potremo cioè affermare che:
V F = VG + VA
L’ereditabilità può variare tra 0 e 1. Essa vale zero quando la frazione si annulla, cioè quando il
numeratore assume un valore pari a zero. È questo il caso di popolazioni in cui non vi è variabilità
genetica: ad esempio un clone, oppure una linea pura. In questo caso la variabilità che la
popolazione presenta è tutta di natura ambientale e quindi, come tale, non trasmissibile alla
progenie. In altre parole, se l’ereditabilità vale zero, non ha senso selezionare alcuni individui per
ottenere una progenie migliorata. L’ereditabilità vale invece uno quando il numeratore e il
denominatore della frazione si equivalgono, cioè quando tutta la variabilità fenotipica è di natura
genetica. In realtà questo è un caso del tutto irrealistico, poiché non è evidentemente possibile
eliminare completamente gli effetti ambientali. L’ereditabilità, quindi, al massimo tenderà verso il
valore 1, ma non lo raggiungerà mai. Più il valore dell’ereditabilità è alto e maggiori sono le
probabilità di implementare la popolazione selezionando gli individui migliori e consentendo solo a
loro di dare origine alla progenie.
Per calcolare l'ereditabilità occorre prima misurare la variabilità del carattere e quindi scomporre la
varianza in componenti che si possano attribuire alle diverse cause.
Componenti della varianza fenotipica
La varianza fenotipica (VF) deriva da differenze genetiche tra gli individui ovvero dalla varianza genetica (VG) e dalla
varianza ambientale (VA), inoltre bisogna considerare la varianza dovuta all'interazione tra l'ambiente ed i genotipi
ovvero VGA. In sostanza:
VF = VG + VA + VGA
La varianza genetica può essere ulteriormente scomposta in:
1) variazione genetica additiva: alcuni alleli possono contribuire con un valore fisso al valore metrico di un carattere
quantitativo. Tali geni si definiscono additivi e contribuiscono alla varianza genetica additiva (VAdd).
2) variazione genetica dominante: alcuni alleli sono dominanti su altri e mascherano il contributo degli alleli recessivi
in quel locus. Questa fonte di variabilità contribuisce alla varianza genetica da dominanza (VDom).
3) variazione genetica causata dalle interazioni fra geni diversi (variazione epistatica), dovuta fondamentalmente a
fenomeni di epistasi. Tale variazione contribuisce alla varianza genetica da interazione (VEpi).
La varianza genetica totale risulta quindi suddivisa in queste tre forme di varianza:
VG = VAdd + VDom + VEpi
e la varianza fenotipica totale può essere riscritta come:
VF = VAdd + VDom + VEpi + VA + VGA
Conducendo opportuni esperimenti è possibile stimare la proporzione di varianza totale attribuibile alla varianza
genetica totale e alla varianza genetica ambientale.
Volendo provare a migliorare uno specifico carattere quantitativo, tali stime indicano la direzione da prendere negli
esperimenti. Se una maggiore porzione della varianza è genetica, i miglioramenti possono essere fatti selezionando
individui con i valori metrici che si desidera ottenere. Al contrario, se la varianza genetica è bassa e, quindi è alta la
varianza ambientale, il miglioramento di quel determinato carattere verrà ottenuto ottimizzando le condizioni ambientali
in cui l’individuo verrà allevato.
Possiamo calcolare due tipi di ereditabilità: l'ereditabilità in senso lato e l'ereditabilità in senso stretto.
L'ereditabilità in senso lato corrisponde alla proporzione di varianza fenotipica che è
attribuibile a varianza genetica ed è pari a:
Ereditabilità in senso lato = H 2 = VG / VF
Un valore di 0 per questa ereditabilità significa che quel determinato fenotipo non è determinato
in alcun modo da varianza genetica, un risultato di 1 significa invece che il fenotipo è
determinato esclusivamente da varianza genetica; un risultato di 0,5 stabilisce che quel
determinato fenotipo è determinato per il 50 % da varianza genetica.
L'ereditabilità in senso stretto dà una misura di quanto gli effetti genetici additivi influiscano su un dato fenotipo:
Ereditabilità in senso stretto = h 2 = VGA /VF
Dato che la varianza genetica additiva indica quella parte di varianza che risponde alla selezione,
l'ereditabilità in senso stretto fornisce informazioni anche su come si evolverà un certo carattere.
Ereditabilità nelle malattie complesse
Caratteri che, oltre ad essere controllati da più geni sono anche fortemente influenzati dall’ambiente vengono definiti
multifattoriali. Il carattere multifattoriale può essere:
 continuo: cioè fenotipi diversi dello stesso carattere non si distinguono perfettamente e devono essere misurati.
Sono più simili tra consanguinei perché hanno avuto influenze ambientali simili e hanno parte del genotipo
uguale.
 discontinuo: cioè fenotipi chiaramente distinguibili l’uno dall’altro senza trasmissione secondo le leggi di
Mendel (es. diabete mellito). Sono detti anche caratteri con soglia, infatti il fenotipo si manifesta quando fattori
genetici e ambientali superano una soglia.
Nell’eredità delle malattie multifattoriali (complesse) non esistono geni prevalenti o “maggiori”. L’effetto finale tra le
componenti genetica e ambientale è dovuto all’interazione tra geni e ambiente. Le malattie complesse non seguono,
apparentemente, la distribuzione normale: se la malattia c’è o non c’è, dipende dal superamento o meno di una soglia di
suscettibilità (Figura 3).
Figura 3. Modello multifattoriale a soglia: I fattori che predispongono all’insorgere della malattia sono distribuiti
normalmente nella popolazione. Gli individui la cui predisposizione supera questa soglia manifestano la malattia.
A differenza dei fenotipi continui alcuni difetti congeniti e alcune malattie croniche dell’adulto, quali l’obesità, l’asma,
il diabete, l’osteoporosi, sono considerati CARATTERI DISCONTINUI (A SOGLIA).
Il modello statistico che descrive i caratteri discontinui prevede la presenza di una soglia: sviluppano quel fenotipo solo
le persone che hanno un numero di fattori di suscettibilità superiore ad un livello soglia empiricamente definito. La
soglia è un parametro FISSO per ogni carattere.
Nella popolazione generale poche persone si trovano agli estremi della curva (hanno pochi o molti fattori di
suscettibilità), piuttosto la maggior parte delle persone ha un numero medio di fattori.
I consanguinei dei pazienti, che condividono con loro un numero di geni proporzionale al grado di
consanguineità, presentano in media un numero di fattori di suscettibilità maggiore rispetto alla
popolazione generale, per questo mostrano uno spostamento a sinistra della curva della
suscettibilità. A secondo del grado di parentela varia la probabilità di superare o meno la soglia.
Infatti dall’incrocio di due consanguinei la curva si sposta verso destra, quindi il numero di
individui che supera la soglia AUMENTA (Figura 4). Parenti di primo grado: condividono 1/2 dei
loro geni con il probando; parenti di secondo grado, 1/4; parenti di terzo grado, 1/8. La frazione di
geni condivisi è uguale al Coeficente di Consanguineità.
Soglia
N
u
m
er
o
di
in
di
vi
du
i
Curva
della
predisposizione
della popolazione generale
Curva della predisposizione
di
consanguinei di primo grado
Individui
affetti
Predisposizione
Figura 4. Gli individui la cui predisposizione supera la soglia manifestano la malattia. I fratelli di individui affetti
mostrano un rischio maggiore rispetto alla media della popolazione e una maggiore proporzione di questi ultimi
presenta una predisposizione che supera la soglia.
Genetica di popolazione
La genetica classica studia i processi genetici che riguardano i singoli individui e come i geni vengono trasmessi da un
individuo all’altro: l’unita’ di studio e’ l’individuo.
La genetica molecolare studia la natura molecolare dell’eredita’: come viene codificata nel DNA e come i processi
biochimici la traducano in un fenotipo. L’interesse e’ concentrato sulla cellula.
La genetica quantitativa studia l’ereditarieta’ di caratteri determinati dall’azione simultanea di piu’ geni, all’interno di
gruppi di individui.
La genetica di popolazione studia l’ereditarieta’ di caratteri determinati da uno o pochi geni in gruppi di individui e si
occupa dello studio della costituzione genetica delle popolazioni e di come cambia da generazione a generazione.
La popolazione è l’unità di base del cambiamento evolutivo. La POPOLAZIONE è considerata la più piccola unità
nella quale è possibile un cambiamento evolutivo, perché può permettere l’origine di nuovi alleli e il cambiamento della
loro frequenza. L’evoluzione non avviene a livello di individui, ma di popolazioni e specie.
La genetica di popolazione può essere considerata uno strumento per studiare:
 la distribuzione dei geni in una popolazione;
 le frequenze dei geni e dei genotipi;
 le frequenze di alcune malattie nelle diverse popolazioni.
Infatti, tutti gli individui di una specie condividono gli stessi locus, quindi condividono un insieme di alleli (pool
genico). Tuttavia i loci possono presentare più alleli. Gruppi di individui possono presentare assortimenti allelici
differenti cioè genotipi differenti. I parametri utilizzati nello studio della genetica di popolazioni sono:
– Frequenza allelica – corrisponde alla proporzione di uno specifico allele in un dato locus, considerando che la
popolazione può avere anche più alleli per un locus;
– Frequenza genotipica – corrisponde alla proporzione di uno specifico genotipo ad un dato locus,
considerando che sono possibili molti genotipi diversi.
Le frequenze genotipiche sono correlate alle frequenze geniche dalla formula:
p2+2pq+q2 = (p+q)2 = 1
Quando una popolazione e’ all’equilibrio per un locus con 2 alleli (A e a) presenti nella popolazione rispettivamente
con frequenza p e q, le frequenze genotipiche saranno uquali a p2+2pq +q2.
Questa regola deriva direttamente dalla I legge di Mendel. Infatti, se consideriamo un incrocio tra eterozigoti Aa x Aa e
consideriamo la frequenza p dell’allele A e la frequenza q dell’allele a, possimo verificare che le frequenze dei tre
possibili genotipi sono date da:
p2 (AA) + q2 (aa) + 2pq (Aa) = 1
[dove p = frequenza allelica di A e q = frequenza allelica di a].
L’equazione di 1° grado sopra riportata rappresenta la legge di Hardy-Weinberg.
LA LEGGE DI HARDY-WEINBERG
La legge di Hardy-Weinberg permette di stabilire su basi matematiche che, in una popolazione in equilibrio (cioè in
assenza di perturbazioni), le frequenze relative di ciascun allele si perpetuano inalterate di generazione in generazione.
Nella realtà, le popolazioni sono entità dinamiche, soggette a forze perturbanti che, alterando la frequenza degli alleli,
fanno sì che la popolazione si evolva. Tali forze sono legate a fenomeni di mutazione, di migrazione, di selezione
naturale e di deriva genica (fluttuazioni puramente casuali della frequenza allelica).
Secondo la legge di Hardy-Weinberg in una popolazione, che deve avere i seguenti requisiti:





il numero di individui deve essere praticamente infinito
assenza di immigrazione ed emigrazione
panmissia (incrocio casuale)
assenza di selezione
assenza di mutazione
le frequenze geniche rimangono costanti e le frequenze genotipiche si stabilizzano in modo che la frequenza degli
omozigoti sia il quadrato di quella dell'allele, mentre quelle degli eterozigoti siano il doppio prodotto delle frequenze
degli alleli posseduti.
Se le condizioni elencate sopra fossero sempre rispettate le frequenze genotipiche nelle popolazioni
sarebbero sempre in equilibrio e IMMUTABILI nel tempo, cioè non ci sarebbe alcuna EVOLUZIONE.
Una popolazione all' equilibrio è un entità astratta, non soggetta ad evoluzione.
Nel 1908 G. H. Hardy (matematico) e W. Weinberg (medico) definirono "popolazione in equilibrio" una popolazione
all´interno della quale, né le frequenze alleliche, né la distribuzione dei genotipi mutano col succedersi delle diverse
generazioni.
Secondo la legge di Hardy-Weinberg, i fattori principali che governano i mutamenti evolutivi a carico di una
popolazione e che cambiano le frequenze geniche di una popolazione sono:
1. Selezione naturale;
2. Mutazioni, che forniscono il materiale grezzo per il cambiamento, ma le frequenze di mutazione sono generalmente
così basse che, di per sé, le mutazioni non determinano la direzione del cambiamento evolutivo;
3. Flusso genico, cioè il movimento di alleli verso l´interno o verso l´esterno del pool genico, può introdurre nuovi alleli
o alterare la proporzione degli già presenti. Ha spesso l´effetto di controbilanciare la selezione naturale;
4. Deriva genica, è il fenomeno per cui certi alleli aumentano o diminuiscono di frequenza e, talvolta, anche
scompaiono, come risultato di eventi casuali. Esempio di deriva genica è il fenomeno detto "collo di bottiglia";
5. Accoppiamento non casuale (consanguineità), che provoca cambiamenti nelle proporzioni dei genotipi, ma può anche
non influire sulle frequenze alleliche.
Supponiamo che esista una popolazione infinitamente numerosa nella quale si verifichino le già note condizioni di
panmissia; in essa siano presenti i genotipi AA, Aa, aa con le frequenze rispettive del 64%, 32%, 4%. Alla
gametogenesi avremo evidentemente che:




gli individui AA daranno tutti i gameti con A , quindi 64 A;
gli individui Aa daranno ½ gameti con A e ½ con a, quindi 16 A e 16 a;
gli individui aa daranno tutti i gameti con a, quindi 4 a;
la frequenza dei geni nel complesso dei gameti sarà 80 (64+16) A e 20 (16+4) a.
Al momento della fecondazione, poiché gli incontri dei gameti avvengono a caso, ossia secondo le loro rispettive
probabilità, siccome nei grandi gruppi statistici frequenze e probabilità si equivalgono, ne consegue che la nuova
generazione avrà esattamente la stessa composizione: genetica della generazione parentale:
f(AA) = 80 x 80 / 100= 64%
f(Aa) = 80 x 20 / 100 = 32%
f(aa) = 20x20 / 100 = 4%
Si può quindi concludere che, in condizioni di riproduzione libera e casuale ed in popolazioni molto numerose, la
distribuzione dei genotipi e la frequenza dei relativi geni non subiscono alcuna modificazione attraverso le diverse
generazioni. In altri termini, la composizione genetica di una popolazione panmittica resta costante, e non dipende che
dalla frequenza dei singoli geni.
Consideriamo ad esempio un gene caratterizzato da due alleli, A e a, con frequenza rispettivamente A = p e a = q.
Se sono rispettate le condizioni sopra riportate, la popolazione sarà composta da individui omozigoti dominanti AA con
frequenza p2, da individui omozigoti recessivi aa con frequenza q2, da individui eterozigoti Aa con frequenza 2pq.
Se poniamo, a titolo di esempio: p = 0,3 e q = 0,7, la frequenza del genotipo AA è data dal prodotto delle frequenze di
ciascun allele, vale a dire [0,3 x 0,3] = 0,09. Da considerazioni analoghe si ricava che la frequenza del genotipo aa è
[0,7 x 0,7] = 0,49, mentre la frequenza del genotipo Aa è 2x[0,3 x 0,7] = 0,42.
Poichè per il gene considerato esistono solo gli alleli A e a, la somma delle loro frequenze sarà:
(p + q) = (0,3 + 0,7) = 1.
La somma delle frequenze dei genotipi, espressa come p2 + 2pq + q2 , è uguale a (p + q)2 = 12 = 1. Al momento della
riproduzione, rispettando le condizioni già ricordate, ogni individuo ha identica probabilità di trasmettere i propri alleli
alla generazione successiva.
L'allele A è trasmesso con probabilità 1 dalla frazione p2 di individui omozigoti AA e con probabilità 1/2 dalla frazione
2pq di individui eterozigoti Aa. La probabilità di trasmettere l'allele A è pertanto :
p2 + (2pq) / 2 = p2 + pq = p (p + q) = p.
Considerazioni analoghe indicano che la probabilità di trasmettere l'allele a è uguale a q. Alla generazione successiva i
due alleli si ritrovano con le stesse frequenze e così di seguito. Finchè sono rispettate le condizioni imposte, le
frequenze degli alleli rimangono stabili da una generazione all'altra.
Esempio:
Calcolo delle frequenze alleliche per un locus con due alleli codominanti. Per il locus per il gruppo sanguigno MN in
cui i genotipi sono riconoscibili fenotipicamente supponiamo di avere un campione di 100 individui così distribuiti:
Fenotipi
Genotipi
n. individui
M
MM
52
MN
MN
36
N
NN
12
Possiamo calcolare le relative frequenze alleliche: [n° copie allele presente / n° totale degli alleli]
frequenza allele M = f(M) = (52 x 2) + 36/200 = 0,7
frequenza allele N = f(N) (12 x 2) + 36 / 200 = 0,3
Se la popolazione campionata rispetta equilibrio di H.W. le distribuzioni genotipiche attese sono:
p2 (MM)= 0,7x0,7= 0.49
2pq (MN)= 2x0,7x0,3=0,42
q2 (NN)= 0,3x0,3=0,009
Il test del χ2 [Σ (osservati - attesi)2 /attesi] mi dice che gli scostamenti fra osservati e attesi
NON sono statisticamente significativi, quindi la legge di Hardy-Wenberg è rispettata.
SELEZIONE
Lo studio della selezione naturale è lo studio dell’interazione tra geni ed ambiente, a livello di organismi, ma anche di
singoli geni. Possiamo definire la SELEZIONE NATURALE come l’insieme dei fattori che tendono a favorire, o
sfavorire, la tendenza a riprodursi di un dato genotipo. La selezione naturale è il meccanismo con cui avviene
l'evoluzione delle specie e secondo cui, nell'ambito della diversità genetica delle popolazioni, si ha un progressivo
aumento della frequenza di individui con caratteristiche ottimali (fitness) per l'ambiente di vita, rispetto ad altri
individui. Poiché gli organismi competono per le risorse più soddisfacenti, quelli con i geni che si adattano meglio al
loro ambiente sopravvivono con maggiore probabilità e trasmettono i loro geni. I geni con maggiore “valore adattativo”
rispetto all’ambiente dovrebbero aumentare la loro frequenza con il tempo. L’ADATTAMENTO è sostanzialmente
l’effetto della selezione naturale.
I principi fondamentali su cui si basa la selezione naturale sono:




il principio della variazione, che afferma che tra gli individui di una popolazione esiste una variabilità dei
caratteri (ossia il polimorfismo);
il principio dell’ereditarietà, che localizza nei geni l'origine della variabilità delle caratteristiche fenotipiche
trasmissibili ai discendenti per mezzo della riproduzione (la possibilità che il polimorfismo venga trasmesso
nelle generazioni);
la fertilità o mortalità differenziale, per cui non tutti gli individui hanno la stessa probabilità di sopravvivere;
il principio dell’adattamento, secondo il quale alcuni individui, i "più adatti" all'ambiente, presentano caratteri
che offrono un vantaggio di sopravvivenza e di riproduzione e, di conseguenza, i loro tratti fenotipici
diventano prevalenti nella popolazione.
Il parametro comunemente utilizzato per misurare la selezione naturale è la FITNESS che permette di misurare
l’efficienza riproduttiva di un dato genotipo per un dato ambiente e in un dato momento.
Genotipi con fitness elevata aumenteranno di frequenza nelle generazioni successive e diventeranno più rappresentati,
mentre genotipi con fitness bassa, diventeranno sempre meno frequenti, fino alla scomparsa. La fitness si riferisce,
quindi, alla capacità di produrre prole (capacità riproduttiva); poiché il numero di discendenti che un individuo può
generare dipende sia dalla sua capacità di arrivare allo stato adulto sia dalla sua fertilità, possiamo considerare la fitness
come il prodotto di due componenti, la vitalità e la fertilità:
fitness = vitalità × fertilità
Fenotipi che hanno la capacità di sopravvivenza, ma sono sterili, hanno fitness nulla.
La fitness è influenzata dall’ambiente in cui l’organismo vive, infatti, lo stesso fenotipo può avere fitness diverse in
ambienti diversi.
L’esito finale della selezione naturale può essere l’eliminazione di uno o dell’altro allele,
oppure lo stabilizzarsi di un polimorfismo con due o più alleli. Gli effetti della selezione naturale
possono essere:
1. Selezione contro l’omozigote recessivo - La selezione avviene a sfavore degli omozigoti recessivi. In questo
2.
3.
4.
modello gli eterozigoti e gli omozigoti dominanti hanno fenotipo e fitness identici, mentre gli omozigoti
recessivi hanno una fitness considerevolmente ridotta. L’esito finale della selezione contro il genotipo
omozigote recessivo è l’eliminazione dell’allele stesso. Esempio: I letali recessivi sono il caso limite di
selezione contro il genotipo omozigote recessivo: gli individui (aa) hanno fitness zero, ossia muoiono prima
dell’età riproduttiva oppure sono sterili.
Selezione contro l’allele dominante - In un modello di selezione contro l’allele dominante la pressione
selettiva determina una diminuzione della frequenza dell’allele stesso. La selezione è più efficace contro gli
alleli dominanti poiché questi vengono espressi sia negli omozigoti (AA) che negli eterozigoti (Aa). Se si
assume che la dominanza rispetto alla fitness sia completa, gli omozigoti dominanti e gli eterozigoti avranno la
stessa efficienza riproduttiva. Il destino dell’allele sottoposto a pressione selettiva è quello di essere
eliminato (come nel caso precedente). Se un allele dominante è sterile o letale, la frequenza dell’allele
dominante tende a diventare nulla nell’arco di una generazione di selezione.
Selezione in assenza di dominanza - In alcuni casi la fitness degli eterozigoti è intermedia tra le fitness dei due
omozigoti dominante e recessivo. L’efficacia della selezione dipende fortemente dal grado con cui i geni
dannosi sono espressi negli eterozigoti. Anche in condizioni di assenza di dominanza il destino dell’allele
selezionato è quello di essere eliminato: la sua frequenza infatti tende a diminuire progressivamente sino a
divenire nulla in condizioni di equilibrio.
Vantaggio dell’eterozigote (sovradominanza) - La selezione a favore dell’eterozigote è differente dai modelli
precedenti in maniera significativa: la sovradominanza porta ad un equilibrio polimorfico stabile in cui le
frequenze alleliche sono determinate dai coefficienti di selezione contro i due genotipi omozigoti (s e t).
Entrambi gli alleli rimangono nella popolazione con frequenze p e q fintanto che i coefficienti di selezione
conferiscono agli eterozigoti una fitness superiore rispetto adambedue gli omozigoti. Quindi, il modello della
sovradominanza permette di mantenere la variabilità. Si parla in questo caso di eterosi, o di polimorfismo
bilanciato. Un esempio classico è l'eterosi, che si attua quando gli individui eterozigoti per un determinato
allele (A/a) possiedono una fitness maggiore rispetto sia agli omozigoti recessivi (a/a) che a quelli dominanti
(A/A). Questo meccanismo dipende dalla presenza contemporanea di due pressioni selettive, una che agisce
contro gli omozigoti recessivi e l’altra contro gli omozigoti dominanti. È il caso dell'eterosi per l'anemia
falciforme, che si riscontra nelle zone dove esiste la presenza endemica del parassita che provoca la malaria, il
Plasmodio falciparum. Il Plasmodio falciparum si replica all’interno dei globuli rossi degli individui omozigoti
dominanti che muoiono di malaria; gli individui omozigoti recessivi, per la presenza della mutazione che
determina l’anemia falciforme, muoiono di talassemia mentre gli individui eterozigoti, avendo globuli rossi più
piccoli, non consentono al Plasmodio della malaria di replicarsi e sono gli unici che sopravvivono. Nel tempo
le epidemie di malaria hanno continuato a selezionare gli eterozigoti, perchè più resistenti e ciò ha permesso di
mantenere nella popolazione l’allele a dell’anemia che non è mai stato eliminato nonostante l’effetto di
sovradominanza.
5. Selezione contro gli eterozigoti (sottodominanza) - Vi sono situazioni in cui gli eterozigoti hanno una fitness
minore rispetto ai genotipi omozigoti. Le frequenze di equilibrio sono instabili. Quindi in condizioni di
sottodominanza una popolazione che non è in equilibrio si
allontanerà ulteriormente dalle frequenze di equilibrio fino a che l’allele avente inizialmente
una frequenza superiore rispetto a quella di equilibrio viene fissato. La situazione di una
popolazione inizialmente in equilibrio non è destinata a persistere; deviazioni da tale
equilibrio, causate da deriva e da altri fattori, tenderanno ad eliminare l’uno o l’altro allele.
Sulla base di queste considerazioni si può dire che il modello di selezione contro l’eterozigote non permette di
mantenere il polimorfismo. Questo modello selettivo, peraltro non descritto in natura, è importante perché può
spiegare un meccanismo di isolamento delle popolazioni nelle fasi iniziali dei processi di speciazione.
6. Selezione dipendente dalla frequenza - Accanto al modello che avvantaggia il genotipo eterozigote vi sono
altre forme di selezione che possono portare ad un polimorfismo bilanciato (equilibrio stabile). Uno di questi è
la selezione dipendente dalla frequenza. Siamo di fronte ad una selezione dipendente dalla frequenza quando le
fitness genotipiche variano in relazione alle frequenze dei vari genotipi . La selezione dipendente dalla
frequenza è un meccanismo che contribuisce a mantenere variabilità, in quanto la fitness di un genotipo
aumenta quando questo diviene più raro. La selezione dipendente dalla frequenza può essere particolarmente
importante nei casi di migrazione (gli immigranti possono avere un vantaggio in termini di mating poiché sono
rari; i loro geni quindi saranno stabilizzati con
maggiore probabilità nella popolazione a cui si sono uniti).
MUTAZIONI
Le mutazioni sono un fattore evolutivo essenziale, perché generano quella variabilità genetica indispensabile, senza la
quale l'evoluzione non potrebbe avvenire. Le mutazioni sono cambiamenti dell’informazione genetica e rappresentano il
punto di partenza dei processi evolutivi che sono all’origine della comparsa di nuovi alleli.
La variabilità genetica insorge e si diffonde all’interno delle popolazioni naturali con due meccanismi principali:
mutazione (cambiamenti casuali nel DNA di un organismo che possono dare origine a un nuovo allele) e
ricombinazione (formazione di nuove combinazioni di geni mediante la riproduzione sessuata e il crossing-over).
Le mutazioni entrano a far parte del pool genico di una popolazione soltanto se compaiono nella linea germinale e
possono essere vantaggiose, svantaggiose o neutre. Le mutazioni puntiformi missenso determinano la sostituzione
dell’amminoacido che generalmente non provoca conseguenze nella funzionalità della proteina (polimorfismi o
varianti), ma ci sono casi in cui anche una minima alterazione può avere conseguenze gravi. Es. mutazione Apert
(Cys755Gly) del gene human fibroblast growth factor receptor 2 (FGFR2); la mutazione Pfeiffer (Cys342Arg) del gene
human fibroblast growth factor receptor 2 (FGFR2). La mutazione nonsenso è quella in cui la modificazione
nucleotidica provoca la creazione di un tripletta di stop, che blocca la sintesi della proteina prematuramente. In questo
caso, la funzionalità della proteina dipenderà dalla posizione dello stop. La mutazione frame-shift (inserzione o
delezione di nucleotidi che determinano scivolamento del codice di lettura del DNA) determina la traduzione non
corretta della proteina a valle della mutazione.
Le mutazioni possono consentire alle popolazioni di adattarsi a nuove condizioni ambientali e possono fornire alla
selezione naturale nuove varianti (o combinazioni di varianti) tra le quali selezionare quelle più idonee.
Essendo la maggior parte delle mutazioni non favorevoli, gli organismi hanno sviluppato diversi meccanismi per la
riparazione del DNA dai vari danni che può subire, riducendo in questo modo il tasso di mutazione. Gli effetti delle
mutazioni possono essere notevolmente diversi a seconda del tipo di mutazione e della posizione in cui questa si
verifica. Una mutazione può non portare a nessuna conseguenza quando interessa DNA che non codifica (o meglio
sembra non codificare) per nessun prodotto genico (il cosiddetto junk DNA o DNA spazzatura ) . Se la mutazione
avviene all’interno di sequenze codificanti, ovvero i geni, si ha una variazione nel tipo o nella quantità del corrispettivo
prodotto genico, che può essere una proteina o RNA funzionale (rRNA, tRNA, snRNA ecc.). Parliamo in questo caso di
mutazione biochimica; se la mutazione biochimica porta a una variazione visibile del fenotipo si parla di mutazione
morfologica. In relazione agli effetti della mutazione possiamo distinguere le mutazioni in:





mutazione positiva: se porta ad un vantaggio evolutivo;
mutazione neutra: se non risulta in un depotenziamento della capacità riproduttiva dell’individuo;
mutazione disvitale o semiletale: se rende più difficoltosa la perpetuazione riproduttiva dell’individuo (il
tipico esempio sono le malattie genetiche che debilitano in qualche modo l’individuo, rendendolo meno capace
di riprodursi, senza però impedirglielo totalmente);
mutazione subletale: se non permette all’individuo di raggiungere l’età riproduttiva;
mutazione letale: se porta alla morte dell'individuo in fase embrionale o fetale.
MIGRAZIONE E FLUSSO GENICO
Il FLUSSO GENICO può essere definito come un movimento di ALLELI da un pool genico ad un altro per migrazione
di individui. Il trasferimento di alleli tra due popolazioni e’ mediato dal matrimonio: gli individui portatori di nuovi geni
devono riprodursi per contribuire al pool genetico delle generazioni successive ed determinare flusso genico. Definisce
gli scambi genetici che possono avvenire tra popolazioni.
Il fenomeno del flusso genico tende ad omogeneizzare i pool genici delle popolazioni a causa di migrazioni
matrimoniali e mescolamento tra grandi gruppi.
Il movimento di geni da una popolazione all’altra:
1.
2.
3.
4.
aumenta la numerosità effettiva di una popolazione
introduce e diffonde alleli unici nella nuova popolazione.
se le frequenze alleliche delle popolazioni migranti e residenti differiscono, il flusso genico cambia le
frequenze alleliche della popolazione residente
ostacola la fissazione degli alleli.
Le conseguenze sono:


aumento della variabilità genetica entro la popolazione per introduzione di nuovi alleli
diminuzione della variabilità genetica tra popolazioni.
DERIVA GENETICA
Nella realtà non esistono popolazioni infinitamente grandi, ma se sono abbastanza grandi la legge di Hardy-Weinberg è
valida. E’ vero infatti che nelle popolazioni piccole si può avere un cambiamento nelle frequenze geniche come risultato
di una deviazione delle frequenze genotipiche attese. Questo cambiamento dovuto al caso è chiamato deriva genetica.
Le variazioni casuali sono originate da fenomeni che non hanno niente a che vedere con il pool genico della
popolazione o con il singolo locus che si sta considerando. Esempio tipico sono le catastrofi naturali che non uccidono
gli individui sulla base del loro patrimonio genetico. La deriva genica consiste nel cambiamento del pool genico per
azione del caso. Esistono due modi in cui la deriva genetica può avere un effetto sulle frequenze alleliche:
•
•
l’effetto collo di bottiglia;
l’effetto del fondatore
L’effetto del fondatore:
si verifica quando una piccola popolazione, che si separa da una più grande, ha un pool genico differente da quella del
gruppo originario. Più è piccolo il campione fondatore tanto meno i colonizzatori rappresenteranno il pool genico di
una popolazione. L’esempio più estremo è una singola femmina gravida che emigra in un nuovo habitat, se la nuova
colonia sopravvive, la deriva casuale continuerà ad influenzare la frequenza allelica fino a che la popolazione non
raggiungerà una dimensione sufficientemente grande.
Un esempio molto menzionato di effetto del fondatore è quello relativo alla Chorea di Huntington.
Collo di bottiglia:
si verifica quando una popolazione viene drasticamente ridotta di numero da eventi non collegati con la selezione
naturale. La piccola popolazione che sopravvive probabilmente non rappresenta significativamente l’assetto genetico
della popolazione originale, alcuni alleli possono ritrovarsi in misura maggiore, altri in misura minore o possono
essere addirittura scomparsi.
Perché è importante la deriva genetica?
– Importanza evolutiva: cambiamento non adattativo, specie in piccole popolazioni.
– Importanza per la conservazione: perdita di diversità genetica, specie in piccole popolazioni.
– Importanza biomedica: alleli patologici altrove rari possono essere comuni in piccole popolazioni.
La deriva riduce la variabilità entro popolazioni e aumenta quella fra popolazioni. Deriva genetica significa che c’è
una componente casuale nel successo riproduttivo. In generale, la deriva genica porta, a breve termine, alla riduzione
della variabilità ereditaria, che poi può essere ristabilita ad un livello normale nel corso delle generazioni grazie al
fenomeno della mutazione e qualora il numero di individui ritorni consistentemente elevato.
ACCOPPIAMENTI NON CASUALI – CONSANGUINEITA’
Il modello di Hardy-Weinberg richiede che gli accoppiamenti tra gli individui di una popolazione siano casuali affinchè
venga mantenuto l’equilibrio in un determinato locus genico. Se la frequenza di accoppiamento che si verifica è diversa
dalle previsioni, c’è deviazione dalla casualità e l’equilibrio previsto dal modello di Hardy-Weinberg non sarà
rispettato.
Si definiscono consanguinei due individui che hanno un antenato in comune. Quando la scelta del partner riproduttivo
non è casuale rispetto al suo genotipo, si parla di accoppiamento assortativo. L’accoppiamento assortativo sarà di tipo:


positivo quando si scelgono preferenzialmente partner geneticamente simili;
negativo quando si scelgono preferenzialmente partner geneticamente diversi.
L’unione assortativa positiva o inbreeding (o inincrocio) avviene quando l’accoppiamento tra individui imparentati
avviene con frequenza maggiore di quella dovuta al caso. L’inincrocio o inbreeding avviene per accoppiamento fra
individui che condividono una certa quota di alleli identici per discendenza. Può essere la conseguenza di matrimoni fra
membri di comunità ristrette e geograficamente isolate oppure può essere la conseguenza di matrimoni combinati fra
consanguinei (p.es. primi cugini) per ragioni religiose, culturali, patrimoniali etc.
Il Coefficiente di inbreeding (F), misura le conseguenze genetiche dell’inbreeding e rappresenta la probabilità che due
alleli estratti a caso dallo stesso locus di due individui siano uguali per discesa.
I coefficienti di inbreeding possono essere stimati dalle frequenze genotipiche e dagli alberi genealogici.
Cosa succede alle frequenze genotipiche quando c’è inbreeding?
Supponiamo di partire da un incrocio tra individui eterozigoti per i caratteri A e a:
P:
Alla F1 ci aspettiamo 25% AA
Aa x Aa
50% Aa
25% aa
quindi le relative frequenze sono:
f(AA) = ¼
f(Aa) = ½
f(aa) = ¼
Se per ciascun gruppo di individui avvengono unioni preferenziali, cioè c’è inbreeding, gli individui AA si uniranno
preferenzialmente con AA; gli individui Aa si uniranno preferenzialmente con Aa; gli individui aa si uniranno
preferenzialmente con aa.
In questo modo cambiano le frequenze genotipiche come riportato nella figura sotto:
AA x AA
Aa x Aa
AA
Generazione 1
Aa
aa
AA
Aa
aa
100%
25%
50%
25%
100%
Generazione 3
aa
AA
AA
Generazione 2
aa x aa
Aa
25%
100%
50%
100%
aa
100%
25%
50%
25% 25%
100%
Generazione 4
Frequenza dei genotipi
0
25
50
75
100
A partire dall’incrocio iniziale:
Aa x Aa
Generazione 1
25% AA
50% Aa
25% aa
Generazione 2
37.5% AA
25% Aa
37.5% aa
Generazione 3
43.75% AA
12.5% Aa
43.75% aa
Generazione 4
50% AA
50% aa
Gli effetti dell’inbreeding sono:
1.
2.
3.
l’aumento del numero di loci omozigoti;
l’evidenza di alleli recessivi deleteri o letali;
l’aumento di omozigosità della popolazione, ma non ci sono evidenti cambiamenti delle frequenze alleliche.
Le frequenze alleliche non cambiano in presenza di inbreeding. La consanguineità da sola non modifica le frequenze
alleliche ma, alterando l’unione dei geni a formare i genotipi, modifica la distribuzione genotipica (figura 2).
Figura 2. Le frequenze alleliche non variano dalla generazione 0 alla generazione n.
Applicazioni della legge di Hardy-Weinberg
1.
Calcolo delle frequenze genotipiche e alleliche
Esempio: Supponiamo di avere una popolazione naturale in cui sono presenti 3 fenotipi facilmente distinguibili dovuti
a 2 alleli del locus A: A1 e A2
Su 1000 individui è possibile riconoscere:
353 individui con fenotipo A1A1;
494 con fenotipo A1A2;
153 con fenotipo A2A2.
La frequenza genotipica A1A1 è data da: 353 / 1000 = 0.353
La frequenza genotipica A1A2 è data da: 494 / 1000 = 0.494
La frequenza genotipica A2A2 è data da: 153 / 1000 = 0.153
La somma e’ 1 e le singole percentuali descrivono quantitativamente il pool genico per quel locus all’interno del gruppo
di individui che stiamo considerando.
Se vogliamo calcolare la frequenza allelica f(A1) e f(A2) applichiamo la seguente formula:
Frequenza allelica = numero di copie di un allele
totale degli alleli

Gli alleli A1 sono: 353x2 (gli omozigoti introducono 2 alleli A1) + 494 (gli eterozigoti introducono solo 1
allele A1)

Gli alleli A2 sono: 153x2 (gli omozigoti introducono 2 alleli A2) + 494 (gli eterozigoti introducono solo 1
allele A2)

Anche il numero totale di alleli deve essere moltiplicato per 2 perché gli organismi diploidi introducono nel
pool genico 2 alleli, uno materno e uno paterno.
Quindi:

p = f(A1) = (353x2) + 494 =
2000
1200
2000
= 0.60

q = f(A2) = (153x2) + 494 =
2000
800
2000
= 0.40
Dalla legge di Hardy-Weinberg
q e viceversa.
2.
p+q = 1
da cui si puo’ dedurre che una volta calcolato uno dei due: 1-p =
Determinazione della frequenza genica e della frequenza del portatore per una malattia Autosomica
Recessiva.
Esempio: La fenilchetonuria è una malattia autosomica recessiva la cui frequenza alla nascita è circa 1/10.000.
GENOTIPO
AA
Aa
aa
Fenotipo
normale
portatore normale
p2
2pq
Frequenza degli affetti alla nascita
q2 = 1/10000
Frequenza del genotipo
Frequenza genica del gene malattia
q =  1/100 = 0,01
Frequenza genica del gene normale
p = 99/100 = 0,99
Frequenza dei portatori
2pq = 2 x 0.01 x 0.99 = 0,02
3.
affetto
q2
Determinazione della incidenza di una malattia AR
Esempio: Supponiamo che la frequenza genica dei portatori di Anemia Falciforme in una data popolazione sia il 10%.
QUAL E’ L’INCIDENZA DELL’ANEMIA FALCIFORME ALLA NASCITA PER QUESTA POPOLAZIONE?
FREQUENZA DEI PORTATORI 2pq =10%= 0,10
Dalla legge di H-W sappiamo che (p+q) = 1 da cui possiamo ricavare anche p = (1-q).
Quindi la frequenza del portatore può anche essere scritto come:
2pq = 2 (1-q)q = (2-2q)q = 2q – 2q2 = 0,10
da cui
otteniamo: 2q2 - 2q + 0,10 = 0 [ equazione di 2° grado = (ax2 + bx +c =0)]
Risolvendol’equazione di 2° grado 2q2 - 2q + 0,10 = 0
Otteniamo:
q = 0,053 rappresenta la frequenza dell’allele a = f(a)
La frequenza degli affetti da anemia falciforme è data dalla frequenza genotipica:
f (aa) = [0,053 x 0,053] = 0,0028 =q 2
4.
Determinazione della frequenza del portatore per una malattia X-linked recessiva.
Esempio: Nella popolazione caucasica la frequenza dei maschi daltonici è 0.08 (1/12).
Essendo la malattia è X-linked, sappiamo che se i maschi ereditano l’X mutato saranno affetti, quindi in questo caso il
maschio affetto (emizigote) ha una frequenza pari a 0.08.
a. Qual è la frequenza delle femmine daltoniche?
q2= (0.08)2= 0.0064 (1/156)
b. Qual è la frequenza delle femmine portatrici del carattere daltonismo?
q=0.08 quindi p=1-0.08= 0.92
2pq= 2 x 0.92 x 0.08=c.a 0.15