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Fëdor I. Tjutčev
Traduzione di Elena Corsino
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Come l’oceano alla terra sta d’intorno,
è dal sonno avvolta la vita umana;
si fa buio – e in fragorosi flutti
colpisce le sue sponde ogni principio.
È voce che tedia e chiede…
E già si ridesta nel suo alveo il navicello;
la marea cresce e rapida ci spinge
nell’infinitudine delle onde oscure.
Acceso dalla beltà degli astri, il cielo
guarda segretamente dal profondo, –
e noi navighiamo, accerchiati ovunque
da precipizi ardenti.
1828-1830
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Vorrebbe l’anima essere una stella;
non già a notte tarda, allorché dal cielo
gli astri, come occhi viventi,
osservano il mondo che piano si addormenta, –
ma di giorno, quando celati dall’apparente bruma
dei diurni raggi roventi, gli astri
con più chiarore ardono, simili agli dei,
nell’etra non visibile agli occhi e puro.
1829 (?)
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Un valore immenso è custodito nel distacco:
per quanto si ami – sia l’arco di un giorno o siano cento gli anni...
è sogno l’amore, e il sogno – un momento.
Ma prima o poi sovviene il risveglio –
e l’uomo, alfine, non potrà che destarsi…
6 agosto 1851
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Che cosa del nostro non-sapere
è più amaro e privo di speranza?
Chi osa pronunciare: a rivederci
oltre l’abisso di due giorni o tre?
11 settembre 1854
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C’è nell’autunno che si leva
un’ora breve, e diva –
limpida è l’aria, cristallino il giorno,
e rifulge la sera…
Dove con vigore volò la falce e cadde la spiga,
nulla resta – immenso spazio intorno, –
unico il filo sottile di una ragnatela
splende in terra nel solco vano.
Si svuota l’aria, né s’ode canto,
ma lontane sono ancora le bufere dell’inverno –
e puro si riversa l’azzurro tiepido
sul campo che quieto respira…
22 agosto 1857
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Est in arundineis modulatio
musica ripis
Melodia dimora tra le onde marine,
e nei princìpi in lotta c’è armonia,
così scorre tra fluttuanti giunchi
armonioso un musico fruscio.
Imperturbabile equilibrio del tutto,
piena assonanza è nella natura, –
solo nel nostro illusorio arbitrio
un distacco da essa sentiamo.
Di dove nacque una simile frattura?
Perché mai nella cosmica corale
l’anima non canta con il mare,
ma uno stelo pensoso si duole?
1865
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Se pur grave è l’ora ultima –
quello sfinimento del mortale affanno,
a noi così incomprensibile, –
più spaventoso è per l’anima
quando vede in se stessa svanire
ogni più bel ricordo, uno a uno…
14 ottobre 1867
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È Sfinge la natura. E più senza inganno
con pungolo oscuro rovina l’uomo,
che forse, sin dal principio, enigma
essa non ha e mai ha avuto.
agosto 1869
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Fëdor I. Tjutčev nacque nel 1803 in una famiglia aristocratica di proprietari terrieri del governatorato di Orlov in Russia. Da giovane fu
avviato alla carriera diplomatica che lo portò
nel 1822 a Monaco di Baviera dove si stabilì
per oltre vent’anni, con un soggiorno di due
anni a Torino. Conversatore brillante e profondo, secondo i racconti dei contemporanei,
uomo colto e libero, Tjutčev frequentò anche
Schelling e Heine; di quest’ultimo fu uno dei
primi traduttori in lingua russa.
Tra il 1836 e il 1840 apparvero alcune sue
opere, via via raccolte sotto il titolo di Poesie
inviate dalla Germania, su “Sovremennik” di
A. Puškin, seguite dalle sole iniziali F.T., il cui
significato era noto soltanto a una ristretta cerchia di letterati. Seguì un periodo di silenzio
del poeta che nel 1844 tornò definitivamente a
Pietroburgo e, pur continuando a scrivere poesie, diede alle stampe una serie di saggi politici
che destarono un certo scalpore all’estero per
le rigide posizioni slavofile che esprimevano.
La pubblicazione dei suoi versi riprese su “Sovremennik” solo nel 1850 grazie all’impulso di
Nekrasov e di altri suoi estimatori, tra i quali
Turgenev, Tolstoj, Fet.
Morì a Carskoe Selo, poco distante da Pietroburgo, nel 1873.
L’affermazione di J. Lotman, «gli orizzonti di
Tjutčev si ampliano in proiezioni su una serie
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Per quanto ci opprima il distacco,
al suo giungere ci chiniamo –
nel cuore alberga un altro affanno,
insopportabile e ancor più amaro.
Poi che trascorsa è l’ora dell’addio,
di quell’attimo tra le mani altro
a noi non rimane che un ammanto,
tralucente agli occhi, o quasi.
Lo sappiamo: sotto quella bruma giace
la ragione per cui l’animo si strugge,
quale che sia quell’arcana effigie
che da noi si dilegua – e tace.
A che valgono simili seduzioni?
Si rigira, suo malgrado smarrita,
nel cerchio delle erranze
l’anima senz’alcun volere.
Poi che trascorsa è l’ora dell’addio,
non osiamo più, quando che sia,
sfiorare e nemmeno scostare
tanto da noi detestato ammanto!
14 ottobre 1869
di sistemi» (J. Lotman, “Speckurs ‘Russkaja
filosofskaja lirika. Tvorčestvo Tjutčeva’” in
Tjutčevskij sbornik II, Tartu 1999, pp. 272317), sintetizza bene l’aspetto essenziale della
poetica di questo autore. La continua oscillazione della sua riflessione filosofica sui molteplici piani dell’essere si apre, infatti, alle misteriose forze cosmogoniche che nella natura
ovunque agiscono e si riflettono.
Tale ricerca avviene in una visione che, in bilico
tra le altezze e gli abissi dell’animo, tra l’armonia e il Caos, fa esperienza delle tensioni contrastanti cui l’uomo è sottoposto. Alla parola
poetica viene affidata la facoltà di svelare l’«ammanto», «la bruma» del «non-sapere», affinché
scaturiscano le forze dell’essere nell’istante del
loro manifestarsi, riconoscendo – diremmo, alla luce degli astri – la tragica frattura interna di
tutto il dire umano.
In italiano: Poesie nella traduzione di T. Landolfi per i tipi di Einaudi (1964), ripubblicata
da Adelphi (2011); Mattino di dicembre nella
traduzione di M. Calusio (1993); oltre a traduzioni di V. Narducci (1927) e di E. Bazzarelli
(1993).
I testi russi su cui è fondata questa nuova traduzione sono tratti da: Fëdor I. Tjutčev, Polnoe sobranie sočinenij i pis’ma v šesti tomach,
Izdatel’skij Centr “Klassika”, Moskva 2002.
[N.d.T.]
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