Le Eresie. Federico Barbarossa

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Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in
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Sergio Bergami. XII Lezione: Le eresie. Federico Barbarossa
Movimenti ereticali medievali
I movimenti ereticali sono movimenti religiosi ritenuti eterodossi rispetto alla teologia della Chiesa
cattolica nel corso della propria storia. Questi gruppi di fedeli nacquero spesso con l'intento di un
risveglio spirituale, per reazione alla ricchezza ritenuta eccessiva del clero, all'allontanamento dalle
Scritture e al coinvolgimento nella politica della Chiesa di Roma. Tali movimenti furono accusati di
eresia e perseguitati.
« Le sette hanno tutte certi elementi più propriamente religiosi e morali:
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Chiesa che sia nella comunità dei fedeli;
capacità di ogni cristiano a somministrare i sacramenti ed a predicare la parola di Cristo;
restaurazione della vita apostolica nella sua piena integrità.
Ma poi, qual più qual meno, vogliono:
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Chiesa e clero poveri come avanti Costantino e Silvestro;
fanno obbligo del lavoro manuale ai pastori della comunità;
condannano la disuguaglianza fra gli uomini;
hanno vaghi accenti teorici ed anche qualche pratica di Comunismo;
non intendono né vogliono intendere preghiere e libri in latino;
si richiamano ai vangeli per negare ogni podestà terrena ed ogni legittimità di pene
corporali, ogni tributo allo Stato e decima alla Chiesa.
Chi sono poi eretici? Sono fabbri, sarti, tessitori, scardassieri, contadini; gente ‘illetterata, e
idiota', come gli avversari la proclamano, e come se stessa, a volte, ama chiamarsi; ignorante
cioè e sprezzante di quella cultura della Chiesa e degli alti ceti a cui il popolo minuto si sentiva
estraneo»
(Gioacchino Volpe – Movimenti religiosi e sette ereticali nella società medioevale italiana, secoli
XI-XIV – Firenze – 1961 – pag. 247)
Per spiegare un fenomeno di così vasta portata come l'eresia medievale, non possiamo esimerci dal
considerare la rinascita economica, e quindi sociale, che, a partire dai primi del secolo XI, si
manifestò in Europa. Conseguenze immediate furono la riforma della Chiesa e quella monastica,
che dettero il via ad un processo rinnovatore, un vero e proprio humus spirituale ed etico, che
coinvolse tutta la società medievale, e con essa anche la vita religiosa, capace di risvegliare la
coscienza religiosa e civile dei laici, attratti dagli ideali di coerenza morale e di ritorno alla purezza
evangelica. A partire dal secolo XI, ed in particolar in quello successivo, sono evidenti i segni di
questo rinvigorimento in tutta l’Europa: la popolazione aumenta di numero, sorgono nuovi centri
abitati, le città rinascono a nuova vita e in esse si formano e si sviluppano nuovi ceti sociali.
Ovunque, ma in particolare nell’Italia centro-settentrionale e nella Francia provenzale, ci sono
uomini nuovi che, spinti da spirito di iniziativa, da sete di guadagno e da desiderio di libertà,
percorrono le strade d'Europa, e con loro servi della gleba che fuggono dal feudo e per affrancarsi
nella città.
Le eresie medievali non sono qualcosa di estraneo, avulso dal contesto dottrinario, ma si
inseriscono, a modo loro, nella società del Basso Medioevo, che è indubbiamente tutta cristiana.
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Sono, anzi, il prodotto di quel lungo processo di trasformazione e sviluppo della società cristiana (la
Christianitas) e delle sue istituzioni, che raggiunse il suo culmine nel XIII secolo. Il messaggio
evangelico viene visto come altro dalla Chiesa, intesa come istituzione e gerarchia ecclesiastica,
opulenta e ricca, compromessa con i potenti ed essa stessa potente. Risulta evidente l'inadeguatezza
degli uomini di chiesa e bassa la credibilità di molti dei suoi predicatori. Ed è a questa parte della
società (soprattutto cittadina) che gli eretici si rivolgono, ispirandosi al messaggio salvifico del
vangelo. Da qui il loro impegno concreto con atti di carità, di assistenza ai bisognosi, ai malati, ai
poveri, che fu una costante in tutti i movimenti, dando luogo ad un cristianesimo “sociale”.
Altra costante comune tra i vari movimenti ereticali è anche il sostenere di essere gli unici e
legittimi rappresentanti, e quindi eredi, di Cristo e degli apostoli, contro la legge della Chiesa e la
sua tradizione, contrapponendo l'«Ecclesia Dei» all’«Ecclesia diaboli» (è la sequela del Cristo, o il
Vangelo sine glossa). E non è un caso se, agli occhi di molti contemporanei, gli eretici vengono
percepiti i veri "cristiani", i boni cristiani. Lo stesso Bernardo da Chiaravalle, morto nel 1153, uno
dei più influenti predicatori e difensori dell'austerità del suo tempo, ritenne che fu proprio il diffuso
malcontento popolare, sia dei ricchi che dei poveri, per la corruzione del clero regolare, una delle
ragioni principali della straordinaria popolarità che conobbe il catarismo, che annoverava tra le sue
fila molti esponenti della nobiltà occitana e provenzale, a quel tempo la più civile d'Europa.
Il millenarismo medioevale
Lungo tutto il Medioevo, ogni aspirazione utopica rimaneva comunque circoscritta nella visione del
mondo propria del cristianesimo. Il pensiero cristiano è volto a riconoscere nella storia dell'umanità
le tappe del diffondersi del Regno di Dio, e a cercare nella realtà le tracce di un progetto divino.
La lettura della storia predominante, dopo Agostino d'Ippona e il suo De Civitate Dei, rifiutava il
millenarismo: se in questo mondo la "città degli uomini" e il Regno di Dio si trovano
inestricabilmente confusi e intrecciati, alla chiusura della vicenda storica i due percorsi verranno
finalmente separati, e il Regno di Dio troverà sì il proprio compimento, ma in un contesto
trascendente, al di fuori di questo mondo e di questo tempo.
Ciononostante, alcuni "germi" di millenarismo rimasero vitali anche lungo il Medioevo. Ne è
testimone tutto quel pensiero profetico e apocalittico che prese le mosse da Gioacchino da Fiore e
dalla sua attesa di una nuova "età" di questo mondo, un'età in cui lo Spirito santo rigenererà
l'umanità e anche il cristianesimo sarà trasfigurato in una nuova forma di vita, appunto, "spirituale".
Pataria e Patarini.
Dal nome del mercato degli stracci in Milano (pataria), il nome di patarini (id est pannosos,
"straccioni", spiega Bonizone da Sutri) fu per dileggio affibbiato dagli avversari ai seguaci di un
movimento (oggi anch'esso noto col nome di pataria) sorto verso la metà del sec. XI nella parte più
umile del popolo milanese contro gli abusi ecclesiastici e l'oppressione dell'alto clero.
Sotto questo aspetto, il movimento, non può non essere messo in relazione con tutto l'insieme dei
fattori che presiedono alla genesi della riforma ecclesiastica di Gregorio VII. Ma le sue
caratteristiche laiche, popolari, democratiche e rivoluzionarie, ne fanno anche un moto di libertà
inteso ad affrancare le classi più umili della popolazione dal dominio dell'alto clero infeudato alle
grandi famiglie e all'impero, e a renderlo arbitro attivo delle proprie sorti, anziché strumento
passivo della volontà della classe dominatrice. Moto, dunque, a un tempo religioso e sociale che,
pur essendo rimasto localizzato nella chiesa milanese, rispondeva a una tendenza degli spiriti
diffusa un po' dappertutto, specialmente in Italia e in Francia.
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Il movimento va riconnesso storicamente con l'elezione a vescovo di Milano di Guido, successore
di Ariberto. L'opposizione al vescovo e in genere all'alto clero simoniaco e corrotto (Bonizone da
Sutri afferma che su mille preti milanesi forse cinque non erano simoniaci) è guidata dal diacono
Arialdo secondato dal chierico Landolfo e trova il suo appoggio nel prete Anselmo di Baggio,
futuro vescovo di Lucca (1057) e quindi (1061) papa, col nome di Alessandro II.
I Patarini rifiutano i sacramenti dai sacerdoti corrotti e nicolaiti. Alcuni arrivarono a profanare i
sacramenti, in ribellione ai preti simoniaci, i cui atti di consacrazione eucaristica non erano da essi
considerati validi
L'aperta campagna contro il vescovo condotta da Arialdo induce Guido, dietro sollecitazione di
papa Stefano IX, a riunire un concilio, ma Arialdo e Landolfo non si presentano. Scomunicati, i due
appellano a Roma: una prima missione romana guidata da Ildebrando, futuro Gregorio VII, trova
che la pataria si è ormai organizzata come una lega decisa a tutto, anche a rendere indipendente la
chiesa ambrosiana, pur di avere ragione dell'alto clero.
È inviata da Roma, essendo papa Nicola II, una seconda missione guidata da Pier Damiani: che
riesce a calmare le acque ottenendo la sottomissione del clero simoniaco. Ma fu una sottomissione
solo apparente. Guido fu denunciato a Roma (1066) e scomunicato, o quanto meno minacciato di
scomunica, da Alessandro II. I partigiani di Guido cercarono di vendicarsi: scoppiò una vera guerra
civile durante la quale Arialdo, cacciato dalla città coi suoi seguaci, fu proditoriamente assassinato
(28-29 giugno 1066). Prese le redini del movimento il laico Erlembaldo (fratello di Landolfo, morto
nel frattempo) che costrinse l'arcivescovo alla fuga e occupò Milano dandosi alle più feroci
rappresaglie.
Una nuova missione romana inviata a Milano nel 1067 ottenne le dimissioni dell'arcivescovo, ma la
situazione, anziché calmarsi, precipita nello scisma giacché, mentre i partigiani di Guido (morto il
23 agosto 1071) fanno eleggere e investire da Enrico IV di Germania il successore di Guido nella
persona del suddiacono Goffredo, i patari non vogliono riconoscere a Enrico il diritto di investitura
ed eleggono a loro volta il chierico Attone (Epifania del 1072) che è proclamato arcivescovo da
Alessandro II. Goffredo, consacrato dai vescovi di Lombardia per ordine di Enrico IV e
scomunicato dal papa, tenta invano di penetrare in Milano, tenuta saldamente dai patari.
Morto Alessandro II, Gregorio VII, pur accordando tutta la sua simpatia ai patari e al loro capo
Erlembaldo, entra in trattative con Enrico per una soluzione pacifica del conflitto e induce
finalmente l'imperatore a desistere dal suo atteggiamento; solo allora (Quaresima 1074) Gregorio
proclama Attone arcivescovo. Ma il 30 marzo 1075 (Lunedì santo) un incendio scoppia a Milano e
distrugge gran parte della città: i patari sono accusati di avere appiccato il fuoco. Nascono nuovi
disordini, durante i quali Erlembaldo è ucciso (5 aprile 1075). Con la morte di Erlembaldo termina
la storia della pataria milanese. L'elezione da parte di Enrico IV di un nuovo vescovo, Tebaldo, e la
reazione di Gregorio VII a questa aperta violazione dei patti appartengono alla storia del conflitto
fra Enrico IV e Gregorio VII (ricordato in altra lezione).
Nel 1089, papa Urbano II sentenziò che i sacramenti impartiti da preti simoniaci e corrotti erano
ugualmente validi. Questa decisione smontava completamente le tesi patarine.
Il disorientamento dei patarini si acuì con Callisto II, quando ci si rese ormai conto che la Chiesa
dei poveri non sarebbe mai sorta, anzi il papa aveva cominciato a reintegrare i vecchi membri della
gerarchia ecclesiastica che i patarini avevano combattuto. A questo punto si creò uno sfaldamento
tra i sostenitori della Pataria: alcuni accettarono il compromesso rientrando nelle file della Chiesa
"riformata"; altri partirono per il pellegrinaggio, si diedero a vita eremitica o si unirono alla prima
crociata; altri ancora, convinti che l'accordo tra Chiesa e Impero fosse il sintomo del fatto che
gerarchia ecclesiastica era per sua natura corrotta dai beni mondani, abbracciarono tesi ereticali,
avvicinandosi al catarismo e venendo per questo apertamente perseguitati dal 1185 da papa Lucio
III.
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Il nome, variamente deformato, di patari o patarini, per ragioni non chiaramente spiegabili, passa
nel sec. XII a designare i catari e successivamente (secoli XIII-XIV) è applicato a ogni specie di
eretici.
Catari o albigesi (XII - XIII - XIV secolo)
I catari furono la grande alternativa religiosa alla Chiesa Cattolica d'Occidente nel XII e XIII
secolo.
Nei loro confronti la reazione della Chiesa fu fortissima e probabilmente proporzionata alla paura
che questa setta potesse mettere in crisi l'intera istituzione cristiana. Non si trattava infatti di singoli
eretici da punire, ma di un fenomeno di vasta portata, a cui l'Europa occidentale medioevale non era
abituata, e che ricordava i grandi movimenti religiosi eterodossi che avevano afflitto l'Impero
Romano d'Oriente, come ad esempio i pauliciani.
Bisogna anche tener conto che, in quel momento, lo stesso potere di uno stato sovrano, come la
Francia, già dilaniata dalla guerra dei Cent'anni con l'Inghilterra, sarebbe potuto essere messo in
discussione da questa setta (o meglio dal suo alleato laico, il potente conte di Tolosa): essa quindi fu
schiacciata dall'azione combinata di Stato e Chiesa.
A) I predecessori
Su questo punto, i commentatori e gli storici si dividono in due gruppi:
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Coloro i quali vedono nei catari una continuità del grande filone dualista, dai gnostici a
Novaziano ai manichei ai già menzionati pauliciani ai bogomili, e
Coloro che sono convinti dell'originalità del pensiero cataro, sviluppato come reazione alla
corruzione dilagante nella Chiesa. Del resto anche le attività di predicatori itineranti
all'inizio del XII secolo, come Pietro di Bruis, Enrico di Losanna, Tanchelmo di Brabante,
Eon de l'Etoile, furono il segno di quel malessere, diffuso soprattutto a livello delle classe
più deboli della popolazione, e che poté creare un substrato ideale per lo sviluppo di
popolarità del catarismo.
B) L'inizio e i precursori
Secondo il frate Anselmo d'Alessandria, nel suo Tractatus de haerecticis, il catarismo era stato
portato in Francia da alcuni reduci dalla seconda crociata del 1147 a Costantinopoli (ma sembra che
il catarismo fosse già presente da tempo in Europa occidentale), dove avrebbero incontrato dei
bogomili dell'ordo Bulgariae, da cui vennero convertiti e questo sarebbe il motivo per il quale i c.
venivano anche denominati "bulgari".
Nel 1143, Evervino di Steinfeld scrisse a San Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) per informare
sulla presenza nella Renania, a Colonia, di eretici, anche donne, organizzati in uditori e eletti, che
accettavano solo il Padre Nostro come preghiera e si rifiutavano di frequentare le chiese e ricevere i
sacramenti, eccetto una particolare forma di comunione. Gli eretici furono bruciati e Evervino si
stupì che salissero serenamente, o addirittura con gioia, sul rogo. Pochi mesi dopo, lo stesso
Bernardo accorse nella Francia meridionale con lo scopo di intervenire contro le predicazioni di
Enrico di Losanna a Tolosa. Ogni tentativo del Santo di convertire gli albigesi (come li chiamò dal
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nome della città di Albi) non ebbe successo e tre anni dopo, nel 1148, il concilio di Tours li
condannò, stabilendo che, se scoperti, essi dovessero essere imprigionati e i loro beni confiscati.
Tuttavia queste disposizioni non sembra che avessero avuto particolare effetto, anzi proprio in
Francia meridionale, nella Linguadoca e in Provenza, i catari si consolidarono maggiormente.
Questa regione, a ridosso dei Pirenei, nota anche come Occitania, era stata parte dell'ex regno dei
Visigoti durante l'alto Medioevo, si era sviluppata come cuscinetto tra il regno dei Franchi a Nord e
gli Arabi a sud ed era, dal punto di vista politico, linguistico, culturale, profondamente diverso dal
resto dell'odierna Francia. Infatti gli occitani parlavano la lingua d'oc, e non l'oil come nel resto
della Francia, avevano sviluppato la lirica dei trovatori (alcuni dei quali, come Guglielmo Figueira,
furono catari), tolleravano gli ebrei e i pensatori eterodossi cristiani.
Nel 1167, essi tennero il loro concilio a Saint-Félix de Caraman (o de Lauragais), vicino a Tolosa,
al quale parteciparono il vescovo bogomila Niceta (impropriamente definito il "papa cataro"), e i
vescovi della Chiesa di Francia, Robert d'Espernon e di Italia, Marco di Lombardia, oltre a Siccardo
Cellerier di Albi e Bernard Cathala di Carcassonne, in rappresentanza delle altre realtà catare
francesi. Il movimento nella Francia meridionale fu ristrutturato in quattro chiese: Agen, Tolosa,
Albi e Carcassonne (una quinta, quella del Razès fu istituita in piena crociata, nel 1226).
C) La reazione dei cattolici
Il periodo tra il 1178 ed il 1194 vide il fallimento di diversi tentativi di avvicinamento tra cattolici e
catari in Linguadoca, mentre nel 1194 divenne conte di Tolosa, Raimondo VI (1194-1222), che era
favorevole ai catari e sul cui territorio poterono svilupparsi indisturbate le diocesi c. di Agen e
Tolosa. Tuttavia anche quelle di Albi e Carcassonne non correvano particolari rischi, in quanto
comunque in territorio amico, essendo sotto il controllo del visconte Raimond-Roger Trencavel,
nipote di Raimondo VI.
La svolta si ebbe nel 1198 con la salita al trono pontificio di Papa Innocenzo III (1198-1216),
ideatore di una vera e propria campagna contro i catari. Dapprima egli inviò nel 1207-1208 famosi
predicatori come San Domenico di Guzman (n. 1170- m.1221) e Diego d'Azevedo, vescovo di
Osma, per cercare di convertirli, ma senza successo.
Allora Innocenzo bandì una crociata contro gli albigesi, prendendo come pretesto l'assassinio (in
realtà a sfondo politico e non certo dogmatico), a Saint-Gilles nel 1208, del legato papale e monaco
cistercense Pietro di Castelnau, al quale forse non era estraneo lo stesso Raimondo VI, scomunicato
dal legato stesso nel 1207.
L'esercito crociato contava un totale di 20.000 cavalieri e oltre 200.000 soldati e servi al seguito.
Il 22 luglio 1209 Béziers fu espugnata dai crociati, e il legato papale Arnaud Amaury, abate di
Citeaux, interrogato su come si potesse distinguere gli abitanti cattolici da quelli catari, pronunciò la
famigerata e tremenda frase: "Uccideteli tutti, Dio saprà riconoscere i suoi". Furono massacrate
20.000 persone. Stessa sorte toccò a Carcassonne, dove fu imprigionato e morì in carcere il visconte
Raimond-Roger di Trencavel.
Dal 1210 i crociati, con a capo Simon IV de Montfort, conquistarono una impressionante serie di
città o cittadine catare : Agen, Albi, Birou, Bram, Cahusac, Cassés, Castres, Fanjeaux, Gaillac,
Lavaur, Limoux, Lombez, Minerve (qui 140 catari si gettarono spontaneamente nelle fiamme),
Mirepoix, Moissac, Montégut, Montferrand, Montrèal, Pamiers, Penne, Puivert, Saint Antonin,
Saint Marcel, Saverdun, Termes, furono tutte espugnate: seguivano mutilazione di nasi, occhi,
orecchie e ovviamente il rogo.
Nel 1212 intervenne nella crociata, prendendo le difese dei tolosani, anche il re d'Aragona, Pietro I
(1177-1213), cognato di Raimondo, poiché molte delle terre in questione almeno formalmente
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facevano parte del suo regno. Fra gli Aragonesi ed i crociati la lite degenerò in guerra, ma
nell'assalto di Muret, con i crociati nel ruolo di assediati, Pietro fu ucciso.
Il boccone più difficile per i crociati si rivelò l'assedio della capitale Tolosa del 1217-1218, dove
Simon de Montfort venne ucciso. La situazione politica, in ogni modo, stava già cambiando tutta a
favore del re di Francia, sia nel 1215, quando il futuro re di Francia Luigi VIII il Leone (1223-1226)
era intervenuto personalmente nelle operazioni militari, che nel 1224 quando lo stesso, diventato
sovrano obbligò Amaury di fare dono di tutte le terre conquistate alla corona di Francia. La parte
finale della guerra voluta da Papa Onorio III (1216-1227) e condotta da Luigi VIII in persona, fu
denominata Crociata reale (1226-1228).
Alla fine nel 1229, Raimondo VII di Tolosa (1222-1249) spossato da una guerra, che aveva
totalmente stravolto il Mezzogiorno della Francia, accettò una pace, mediata da Bianca di Castiglia,
madre del nuovo re minorenne Luigi IX (1226-1270), e ratificata con il trattato di Meaux.
Raimondo conservò parte delle sue terre, cedendo il resto alla Francia, dovette dichiarare la sua
fedeltà al re, ma soprattutto negare ogni appoggio ai “boni homini”.
D) La fine
A questo punto ai militari subentrarono gli inquisitori domenicani e francescani, la cui attività era
stata ufficializzata nel 1233 dal Papa Gregorio IX (1227-1241) come Inquisitio heretice pravitatis.
L’ultimo assedio fu a Montségur, nel 1243-1244 e fu l'atto finale della guerra contro i catari.
Montségur era infatti diventata, dal 1232, l'ultimo baluardo della resistenza catari, voluta da
Guilhabert de Castrés.
E) Il movimento in Italia
L'Italia settentrionale e centrale, assieme alla Francia meridionale, fu l'area geografica dove si
sviluppò maggiormente il catarismo: secondo l'ex cataro Raniero Sacconi, erano circa 2.500 alla
metà del XIII secolo, anche se questo dato si riferiva solo ai cosiddetti "perfetti". Si suppone quindi
che il movimento includendo credenti e simpatizzanti, fosse molto diffuso.
Il primo vescovo di tutti i catari italiani fu, come si è detto, Marco di Lombardia e il suo successore
fu Giovanni Giudeo, ma in seguito il movimento si frazionò in sei chiese locali;
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Chiesa di Desenzano (sul Lago di Garda) l'unica che praticava un dualismo di tipo assoluto e
i cui adepti si chiamavano albanensi, dal nome del primo vescovo Albano. Altri vescovi
degni di nota furono Belesinanza e soprattutto il massimo teologo c. Giovanni di Lugio.
Chiesa di Concorrezzo (vicino a Monza), la maggiore in Italia e i cui membri si chiamavano
garattisti, dal nome del loro primo vescovo Garatto. Seguirono Nazario e Desiderio, ma con
l'abiura dell'ultimo vescovo, Daniele da Giussano, la chiesa si estinse.
Chiesa di Bagnolo San Vito (vicino a Mantova), i cui fedeli venivano chiamati bagnolensi o
coloianni, dal nome in greco del loro primo vescovo Giovanni il Bello. Si estinse con
l'abiura degli ultimi due vescovi, Albertino e Lorenzo da Brescia. A questa chiesa
appartenne segretamente anche Armanno Pungilupo, morto nel 1269 e proposto per la
canonizzazione perché ritenuto in vita persona di notevole rettitudine e santità e fatto
oggetto, dopo morto, di venerazione e pellegrinaggi. Purtroppo un'inchiesta, voluta da Papa
Bonifacio VIII rivelò che Pungilupo era, per l'appunto, un c. e quindi fu condannato
postumo.
Chiesa di Vicenza o della Marca di Treviso, fondata dal primo vescovo, Nicola da Vicenza,
seguito da Pietro Gallo, noto per la confutazione delle sue dottrine da parte di S. Pietro
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Martire da Verona ,che, secondo una leggenda, fu un cataro pentito, diventato poi un
inquisitore domenicano.
Chiesa di Firenze, fondata da Pietro (Lombardo) di Firenze e di cui si ricorda il famoso
condottiero ghibellino Farinata degli Uberti, cantato nell'Inferno di Dante.
Chiesa di Spoleto e Orvieto, fondata da Girardo di San Marzano e proseguita da due donne,
Milita di Marte Meato e Giuditta di Firenze. La chiesa si estinse con l'abiura dell'ultimo
vescovo, Geremia.
Le ultime cinque praticavano un dualismo di tipo moderato, di origine bulgara (Concorrezzo) o
dalla Sclavonia (le altre quattro). Il catarismo in Italia seguì un destino diverso rispetto alle chiese
sorelle in Francia, e ciò era dovuto all'appoggio che spesso le fazioni ghibelline, in chiave
antipapale, accordavano loro. Il tutto perdurò fino alla battaglia di Benevento del 1266, quando la
sconfitta del partito ghibellino e l'affermarsi di quello guelfo degli Angioini, fece mancare i potenti
appoggi, goduti dai catari fino a quel momento.
Iniziò il declino ed anche in Italia venne il momento della resa dei conti finale: una "Montségur"
locale, vale a dire l'espugnazione da parte delle truppe dei fratelli Mastino I (1260-1277) e Alberto I
(1277-1301) della Scala, nel 1276 della rocca di Sirmione, dove si erano asserragliati i vescovi delle
chiese di Desenzano e Bagnolo San Vito e numerosi perfetti italiani e occitani. Tutti furono arrestati
e portati a Verona, dove 174 perfetti furono bruciati sul rogo, allestito nell'arena, il 13 febbraio
1278.
F) Il revival cataro
Infine, verso la fine del XIII secolo, si ebbe in Francia un nuovo rifiorire delle dottrine catare,
portate dai fratelli Guglielmo e Pietro Authier, da Amelio de Perles e da Pradas Tavernier, che si
erano formati presso i catari lombardi ed erano quindi tornati per predicare in Francia: Pietro fu
catturato e bruciato nel 1310 per ordine del famoso inquisitore domenicano Bernardo Gui.
Ufficialmente l'ultimo cataro fu Guglielmo Belibasta, tradito dal rinnegato Arnaldo Sicre e bruciato
nel 1321 per ordine dell'inquisitore Jacques Fournier, che sarebbe poi diventato Papa Benedetto XII
(1334-1342).
Da quella data il catarismo cessò di esistere, almeno esteriormente, mentre probabilmente proseguì
in forma segreta e limitata a pochi adepti.
La dottrina
I catari erano dei dualisti cristiani, che accettavano il Nuovo Testamento, e in questo si distinsero
dai manichei, con i quali erano spesso accomunati dai cattolici. Essi credevano nell'esistenza di due
principi contrapposti, il Bene ed il Male, impersonificati rispettivamente dal Dio santo e giusto,
descritto nel Nuovo Testamento, e dal Dio nemico o Satana.
Il catarismo si divideva in due filoni: quello assoluto e quello moderato:

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Per i dualisti assoluti, i due Dei erano sempre esistiti in un'eterna lotta ed avevano creato i
loro due mondi, quello dello spirito e contrapposto quello imperfetto della materia, il mondo
nel quale viviamo noi.
Per i dualisti moderati, Satana non era un dio, ma un angelo ribelle caduto, che aveva
comunque creato il mondo materiale. Alcuni degli angeli (circa un terzo), cioè gli spiriti,
furono lusingati ad unirsi a Satana, che li intrappolò successivamente nei corpi umani,
impedendo loro di ritornare dal Dio giusto.
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L'anelito continuo, quindi, dello spirito, dalla sua dolorosa prigionia nel corpo dell'uomo, era quello
di poter tornare un giorno da Dio Padre, cosa che i catari cercavano di fare attraverso il
Consolament, durante la loro vita, perché altrimenti sarebbero stati costretti a subire una continua
metempsicosi (passaggio dello spirito da un corpo all'altro, anche animale), fino a potersi riunire di
nuovo con Dio.
La figura di Cristo, solo apparentemente, coincideva con la dottrina cattolica. I catari credevano che
Cristo fosse un angelo di Dio, chiamato Giovanni, secondo Belibasta, che era sceso sulla terra sotto
forma di puro spirito. Quindi anche i catari aderivano al concetto docetista della mera apparenza
della nascita, sofferenza e morte di Cristo sulla terra. Automaticamente venivano a cadere due
simboli cristiani, legati alla vita terrena di Cristo: la croce, che i catari negavano, se non odiavano, e
la transustanziazione, la trasformazione cioè, del pane e vino in corpo e sangue di Cristo durante
l'eucaristia, che i catari respingevano con orrore.
Altri movimenti ereticali italiani
Valdesi
I Valdesi ebbero origine nel Medioevo come seguaci del predicatore Pietro Valdo (ma secondo
studi più recenti il nome del fondatore del Valdismo sarebbe Valdesio) di Lione. Valdo era un ricco
mercante che diede i suoi beni ai poveri e si mise a predicare il Vangelo. Valdo, che era benestante
ma non particolarmente colto (conosceva rudimenti di lingua latina e si fece tradurre i sacri testi in
lingua volgare per comprenderne ogni parola), decise di abbandonare le proprie ricchezze e di
seguire una scuola di teologia.
Il suo credo, in parte mutato dopo la sua morte dai vari rami valdesi che si vennero a formare,
prevedeva l'assunzione della povertà evangelica come modello di vita, per seguire le orme di Cristo.
Questo mito dell'elezione evangelica era piuttosto radicato in coloro che si facevano predicatori
della fede, ritenendosi i discendenti degli apostoli. Al movimento religioso non erano escluse le
donne, le quali talvolta predicavano, suscitando scalpore tra i membri della curia romana.
Si dedicarono alla predicazione della Parola di Dio criticando i costumi del clero, il che costò
l'interdizione dal vescovo di Lione e la comparsa al Sinodo di Verona del 1184 in cui vennero
scomunicati; continua clandestinamente la loro opera, costituendo una gerarchia parallela. Tra il
1205 e il 1207 Valdo morì senza essere riuscito a ricomporre lo scisma interno al suo movimento e
la frattura con Roma: da allora molti gruppi iniziarono ad allontanarsi dall'ortodossia cattolica,
rifiutando le gerarchie ecclesiastiche giudicate peccatrici e malvagie, e reinterpretando i sacramenti
con modi più vicini ai catari.
Nel XVI secolo aderirono alla Riforma protestante, organizzando la chiesa e le dottrine secondo un
modello calvinista.
Dolciniani
Erano i seguaci di un movimento spirituale alla fine del XIII secolo ad opera di fra' Dolcino
Tornelli, che rifiutava il principio gerarchico su cui si reggeva la chiesa (Vescovi– Papa) e
proclamava la comunanza di tutte le cose (comprese le donne).
Violenta fu la polemica contro la Chiesa che iniziò una persecuzione contro Dolcino e i suoi,
sfociata addirittura nella crociata del 1306; dopo un lungo assedio in Valsesia, Dolcino e altri capi
del movimento furono bruciati vivi a Novara nel 1307.
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Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al
Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in
parte da Wikipedia, da Treccani.it, www.eresie.it, www.mondimedievali.net e da altre fonti - sono a cura del Prof.
Sergio Bergami. XII Lezione: Le eresie. Federico Barbarossa
La risposta della Chiesa Cattolica
Ordini mendicanti
Gli ordini mendicanti, sorti tra il XII ed il XIII secolo in seno alla Chiesa cattolica, sono quegli
ordini religiosi ai quali la regola primitiva imponeva l'emissione di un voto di povertà che implica la
rinuncia a ogni proprietà non solo per gli individui, ma anche per i conventi, e che traevano
sostentamento unicamente dalla raccolta delle elemosine (questua).
Occasione storica della fondazione dei primi ordini mendicanti (l'Ordo Praedicatorum di Domenico
di Guzmán, l'Ordo Minorum di Francesco d'Assisi) fu la grave situazione creatasi in seno alla
Chiesa in seguito alla massiccia penetrazione fra i ceti più umili (soprattutto in Italia e nella Francia
meridionale) della propaganda pauperistica dei catari e dei valdesi.
Francesco, Domenico e i loro seguaci rappresentarono la risposta della Chiesa ad alcune esigenze
fatte valere da quelle sette: perseverando all'interno della Chiesa, cercarono di realizzare l'ideale
evangelico dell'imitazione di Cristo in una vita semplice, fatta di povertà e penitenza, predicazione e
opere di carità: provvedevano al loro sostentamento unicamente tramite la raccolta di offerte e il
lavoro (insegnamento, cura d'anime). Questa scelta venne fatta in netta contrapposizione con
l'evidente ricchezza del clero secolare, non legato da alcun voto di povertà, e dei monaci del tempo,
tenuti alla povertà individuale ma non a quella collettiva, la cui predicazione era ritenuta meno
efficace nella difesa del Vangelo.
Francescani e Domenicani, fortemente sostenuti dai papi Innocenzo III e Onorio III, con il loro
rigore e la loro assoluta povertà, diedero all'ortodossia cattolica un contributo decisivo per
combattere ad armi pari la predicazione ereticale e ricondurre in seno alla Chiesa il movimento
pauperistico.
Nel corso degli anni successivi gli ordini mendicanti si diffusero soprattutto nelle zone urbane, che
proprio in quel periodo stavano conoscendo una notevole espansione: furono accolti
favorevolmente dalla popolazione sia per il loro rigore che per il fatto di non pretendere decime e
tributi.
Fondamentale fu il loro contributo allo sviluppo del pensiero teologico e filosofico del Medioevo
latino: le grandi menti che elaborarono l'alta Scolastica provenivano proprio da questi ordini
(Alberto Magno e Tommaso d'Aquino erano domenicani, francescani erano invece Bonaventura da
Bagnorea e Giovanni Duns Scoto). Ben presto i frati si dedicarono all'insegnamento e alla direzione
spirituale: furono consiglieri di re e principi, pratica prima spesso affidata ai monaci benedettini.
La caratteristica generale degli ordini mendicanti, in origine, era la totale mancanza di proprietà sia
individuale che collettiva da parte dei frati, i quali gestiscono totalmente in comune i beni presenti
nel convento. In tali ordini esisteva la figura del questuante, un frate addetto a girare per città e
campagne per sollecitare il versamento della questua, ossia di una donazione volontaria atta al
sostentamento del convento. L'obbligo alla povertà e la pratica della raccolta delle elemosine (ormai
quasi totalmente abbandonata) vennero progressivamente limitate: nel 1475 papa Sisto IV abolì la
mendicità come forma di reddito e il concilio di Trento, pur mantenendo il divieto all'acquisizione
di benefici ecclesiastici, permise agli ordini mendicanti di possedere, collettivamente, delle rendite.
Un'altra essenziale differenza dagli ordini monastici e da quelli di canonici regolari era nella loro
organizzazione giuridica: i frati non sono legati a vita a un singolo convento, ma possono essere
trasferiti in base alle esigenze di cura d'anime; le loro comunità non costituiscono entità autonome,
ma sono federate in province e sottoposte a un capo supremo (Maestro generale per i domenicani,
Ministro generale per i francescani) la cui giurisdizione si estende su tutti i membri dell'ordine; tutti
i superiori (sia dei singoli conventi, che quelli provinciali e i generali) sono eletti direttamente dai
membri dell'ordine e il loro mandato era a termine.
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Sergio Bergami. XII Lezione: Le eresie. Federico Barbarossa
Data la temporanea impossibilità, stabilita dal Concilio Lateranense IV, di far sorgere nuove regole,
i frati adottarono la regola benedettina (di Benedetto da Norcia) o a quella agostiniana (di
Agostino), eccetto i frati minori, perché Francesco d'Assisi volle e ottenne da Onorio III una regola
propria.
Movimento dell'Alleluia
Il movimento dell'Alleluia è una manifestazione a carattere religioso sviluppatasi nel 1233 nell'Italia
centro-settentrionale. Sorto nella primavera di quell'anno come uno spontaneo moto di fervore
religioso popolare, con il contributo degli ordini mendicanti francescani e domenicani si trasformò
ben presto sia in un'azione moralizzatrice e pacificatrice all'interno di varie realtà cittadine
comunali, sia in una vera e propria azione antiereticale.
Su pressione degli ordini mendicanti, in particolare dei domenicani, vennero riformate alcune
legislazioni statutarie comunali, inserendo non solo norme contro l'usura, il lusso e i costumi
licenziosi, ma anche rigorose disposizioni antiereticali. I frati coinvolti nel movimento dell'Alleluia,
noto anche come "la grande devozione", trovarono ispirazione e sostegno nell'energica politica di
lotta contro le eresie promossa dal papa Gregorio IX.
Il movimento si esaurì rapidamente nel corso dello stesso anno, facendo registrare un gran numero
di conversioni, arresti e condanne al rogo in massa di eretici
L’inquisizione
Nella Chiesa delle origini la pena abituale per gli eretici era la scomunica. Come abbiamo visto,
soltanto alla fine del XII secolo e agli inizi del XIII secolo si cominciò introdurre pene fisiche. In
particolare l’ordalia che, fino alla fine del XII secolo, fu in pratica l’unico vero e proprio modello di
procedura penale nel caso dei sospetti di eresia. Tra le forme più famose di ordalia ricordiamo il
“giudizio del fuoco”, in cui l’eretico doveva camminare scalzo su carboni ardenti senza riportare
ustioni e l’uomo che riusciva a superare immune la prova non poteva che essere protetto da Dio.
L’istituzione dell’Inquisizione sostituì, invece, il “giudizio di Dio” il “giudizio dell’uomo” e una
prassi giudicante consolidata e strutturata. La nascita della Sacra Inquisizione si può datare al 1233
quando papa Gregorio IX, con una bolla, Inquisitio Hereticae Pravitatis, creò l’inquisizione papale
al fine di scoprire, giudicare e condannare i colpevoli di eresia. E affidò tale compito ai frati
Predicatori e ai frati Minori, per la loro preparazione teologica. L’impulso principale che dette
origine alla sua istituzione va ovviamente ricercato nella vasta diffusione dell’eresia catara nella
Francia meridionale.
Ma la vera e definitiva definizione canonica e giuridica dell’Inquisizione medievale si ebbe nel
1252 quando, all'indomani dell’assassinio dell’inquisitore Pietro da Verona, Innocenzo IV emanò la
famosa decretale Ad extirpanda. È in questo documento, infatti, che vennero definite chiaramente le
competenze e l’ambito d’azione degli inquisitori, totalmente svincolati dalle giurisdizioni diocesane
e direttamente sottoposti all’autorità papale, ammettendo, per la prima volta, anche l’uso della
tortura nei processi inquisitoriali. Nel 1254 Innocenzo IV divise l’Italia in 8 province inquisitoriali,
affidando ai Domenicani la Lombardia e Genova, mentre ai Francescani spettava la gestione della
parte centrale della penisola, la Toscana, Umbria, Romagna, la Marca Trevigiana e Lazio. A partire
da questo momento, nel tentativo di definire una procedura inquisitoriale “standard” che
raccogliesse e definisse organicamente le varie sedimentazioni giuridiche e canoniche successive, si
assiste, soprattutto tra la seconda metà del XIII e la prima metà del XIV secolo, a una vasta
produzione manualistica al servizio degli inquisitori. Su iniziativa degli inquisitori provenienti dagli
ordini mendicanti, vennero, quindi, definite le categorie di eretici, le sanzioni e le misure dirette
all’isolamento del dissidente religioso di grande dissuasione sui suoi sostenitori, come la confisca
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Sergio Bergami. XII Lezione: Le eresie. Federico Barbarossa
dei beni, la distruzione delle case, e così via. Questa prassi, codificata nel Liber sextus di Bonifacio
VIII e nei manuali inquisitoriali, durò per secoli.
La nomina degli inquisitori, formalmente di competenza romana, in realtà veniva fatta dai
provinciali, poi la conferma da Roma. Svuotando quasi completamente l’autorità dei vescovi in
materia, già durante il pontificato di Gregorio IX ma, soprattutto, in quello di Innocenzo IV,
l’inquisizione divenne una struttura repressiva alle dirette dipendenze del pontefice. Pur cercando di
salvaguardare il ruolo del vescovo mantenendo la giurisdizione vescovile in qualche modo
paritetica a quella dell’inquisitore, come, ad esempio, il gradimento circa i laici chiamati a
collaborare con l’inquisitore, e la consegna degli elenchi degli eretici e delle bolle papali riguardanti
l’eresia, i pontefici si pronunciarono in più di un’occasione per confermare le prerogative
inquisitoriali, emanando una successione di bolle in cui la limitazione imposta all’azione degli
inquisitori da parte dei vescovi si riduceva sempre più, fino a quando, nella prassi, il ruolo vescovile
cadde sempre più nell’ombra. E non mancarono casi di vescovi sottoposti ad inchiesta da parte degli
inquisitori. Solo agli inizi del Trecento, dopo alcuni casi di generalizzata malversazione da parte di
un gran numero di inquisitori, con tanto di inchiesta papale, l’inquisizione vescovile conobbe una
nuova vitalità e dignità, quando prima Bonifacio VIII, poi Clemente V, ingiunsero la necessità di un
accordo procedurale tra gli inquisitori e i vescovi, prevedendo un’azione congiunta e obbligandoli
alla conoscenza reciproca dei risultati raggiunti (venne proibito anche che i vescovi venissero
sottoposti a procedimento da parte dell’inquisitore senza un mandato da parte della Santa Sede).
Con la repressione pressoché definitiva dell’eresia, l’inquisizione medievale conobbe un lento ma
inesorabile periodo di declino che durò fino al XV secolo, quando venne sostituita prima
dall’Inquisizione Spagnola, creata da Sisto IV nel 1478 su sollecitazione della regina Isabella di
Castiglia e del re Ferdinando d’Aragona, tesa a reprimere gli ebrei e i musulmani in Spagna, e,
successivamente, dall’Inquisizione Romana, istituita da papa Paolo III nel 1542 con la fondazione
della Congregazione Sacra Romana e Universale Inquisizione o del Santo Uffizio, durante la
Riforma luterana.
Gli svevi imperatori: Corrado III di Svevia
Corrado III Hohenstaufen (Bamberga, 1093 – Bamberga, 1152) fu il primo re tedesco della dinastia
di Hohenstaufen.
Alla morte di Lotario di Supplimburgo l’aristocrazia non elesse l’erede designato, Enrico il
Superbo duca di Sassonia, ma Corrado III di Hohenstaufen, capo del partito svevo. Erano così
gettate le basi della lotta per il controllo della corona tra la casa di Svevia – i cui sostenitori, dal
nome del castello di Waibling, furono detti ghibellini – e quella di Baviera e Sassonia, ovvero il
partito dei guelfi (Welfen), discendenti di Guelfo duca di Baviera; la lotta durò per tutto il regno di
Corrado (1138-52) prima di essere temporaneamente bloccata sotto Federico I Barbarossa (115290). Corrado III fu eletto re d'Italia nel dicembre 1127 ed incoronato a Monza l'anno successivo
dall'arcivescovo di Milano Anselmo V Pusterla a sua volta per questo scomunicato da papa Onorio
II. Corrado si arrese a Lotario III solo nel 1135. Dopo la morte di Lotario (dicembre 1137), Corrado
fu eletto Re dei Romani a Coblenza nel marzo 1138, e poco dopo concesse diritto di zecca a tre città
del nord Italia, prima a Genova (negli ultimi giorni del medesimo anno) ed in seguito ad Asti ed a
Piacenza.
Nel 1146 Corrado, dopo aver ascoltato Bernardo di Chiaravalle predicare la Crociata, partì con
Luigi VII per la Terrasanta (II Crociata). Corrado ed il suo esercito viaggiarono via terra attraverso
l'Ungheria causando distruzioni nei territori bizantini attraversati. Giunsero a Costantinopoli nel
dicembre 1147, alla testa delle armate francesi.
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Sergio Bergami. XII Lezione: Le eresie. Federico Barbarossa
Nell'ottobre del 1148 le armi cristiane vennero sconfitte dai Turchi a Dorylaeum, nei pressi di
Eskişehir. Corrado e molti dei suoi cavalieri scamparono, ma molti dei soldati appiedati furono
uccisi o catturati. Corrado più tardi riuscì a raggiungere il regno crociato via mare da
Costantinopoli. La crociata si concluse con l'abbandono da parte dei crociati dell'assedio di
Damasco, il 28 luglio 1148.
Corrado non fu mai incoronato imperatore, e continuò a fregiarsi del titolo di Re dei Romani fino
alla morte.
Egli stesso designò a succedergli il nipote Federico Barbarossa (figlio di suo fratello, Federico II
duca di Svevia).
Federico Barbarossa
Federico I Hohenstaufen imperatore, detto il Barbarossa - (1122 o 1125, Waiblingen - nel fiume
Göksu, 1190) Figlio di Federico II, duca di Svevia, e di Giuditta, sorella di Enrico il Superbo, duca
di Baviera, divenne duca di Svevia alla morte del padre (1147). Alla morte di suo zio Corrado III, re
di Germania, fu incoronato ad Aquisgrana il 9 marzo 1152 all'età di circa trent'anni dopo
essere riuscito a procurarsi anche l'appoggio del cugino Enrico il Leone, duca di Sassonia, con la
promessa di restituirgli il ducato di Baviera, che Corrado gli aveva tolto. In seguito a questo
compromesso la posizione di Federico in Germania fu politicamente assai più stabile. Fin d'allora le
direttrici della sua politica miravano a pacificare la situazione interna della Germania e a ripristinare
in Italia un'effettiva autorità regia, cui era collegato il titolo imperiale. L'unanimità della sua
elezione, come pure il sostegno compatto della Chiesa tedesca, resero possibile a Federico di
assumere un atteggiamento di indipendenza verso il papato. In seguito ad accordo con papa Eugenio
III, cui tra l'altro aveva assicurato il suo appoggio contro il re di Sicilia, F. discese in Italia (ott.
1154) e, nella dieta di Roncaglia, promulgò un editto che prevedeva la restituzione dei diritti regi da
parte dei Comuni che se ne erano impossessati nella prima metà del secolo e che avrebbero dovuto
sottostare a funzionarî di nomina imperiale. Incoronato a Monza re d'Italia (1155), proseguì verso
Roma, dove soppresse il Comune che vi si era costituito e ne consegnò uno degli ispiratori, Arnaldo
da Brescia, al pontefice Adriano IV, succeduto a Eugenio III, e si fece incoronare da questi
imperatore nel 1155, dopo aver vinto la resistenza della ribelle Tortona; non mantenne tuttavia la
promessa di affrontare i Normanni e preferì ritornarsene in Germania. Qui riaffermò la propria
autorità e il prestigio dell'impero: nella dieta di Ratisbona (1156) sancì la cessione della Baviera a
Enrico il Leone e ne risarcì i Babenberg con l'elevazione dell'Austria a ducato. Nel luglio dello
stesso anno sposò (le precedenti nozze [1147] con Adele di Vohburg erano state annullate dietro sua
richiesta dal papa nel 1153) Beatrice, figlia del conte Rinaldo III ed erede della Borgogna. Tornò
quindi, nel 1158, in Italia per riaffermare i suoi diritti sovrani sui Comuni lombardi, e
particolarmente su Milano, che fu costretta a pagare una forte multa.
Dopo che Enrico il Leone duca di Baviera e Sassonia, nel 1159, aveva rifondato la città di Lubecca,
concedendole un'ampia autonomia locale e esonerando i mercanti dal pagamento di tasse e pedaggi,
l'imperatore Federico, intervenendo prima a confermare, poi ad ampliare e quindi a prorogare le
concessioni di Enrico il Leone, mise le basi affinché Lubecca divenisse una città imperiale, libera
dalle influenze paralizzanti dei feudatari, e che, in seguito, avesse un ruolo determinante nella
Lega Anseatica, e diventasse una delle città principali della Lega.
Al momento dell'elezione di Federico, il duca di Boemia, Vladislao II, si dimostrò subito fedele
alleato di Federico, sostenendolo nelle sue campagne militari, dove l'esercito boemo ed il suo
condottiero dimostrarono notevoli doti di capacità e di coraggio.
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Sergio Bergami. XII Lezione: Le eresie. Federico Barbarossa
Nel gennaio del 1158, in una dieta a Ratisbona, Federico Barbarossa incoronò Vladislao II, re di
Boemia, concedendogli l'importante privilegio di portare la corona reale e poterla trasmettere ai
propri discendenti. E Vladislao, con le insegne regali continuò a servire fedelmente Federico anche
nelle campagne d'Italia. Forse anche per questo Federico concesse la Lusazia, che per alcuni secoli
fu legata al regno di Boemia, in feudo a Vladislao II.
Nel novembre del 1158 convocò di nuovo una dieta a Roncaglia e appoggiandosi anche alle teorie
del diritto romano il cui studio aveva ripreso vigore in quegli anni, vi emanò la Constitutio de
regalibus, vera carta dei diritti sovrani imperiali, che fu formalmente riconosciuta anche dai
rappresentanti dei Comuni. Tale riconoscimento non valse tuttavia ad allontanare il conflitto tra
l'autorità imperiale e l'autonomismo dei Comuni, decisi a non rinunciare alle libertà ottenute con i
precedenti imperatori. Al contrasto con i Comuni si accompagnò l'altro con il papato, per la pretesa
imperiale di intervenire nelle elezioni episcopali; tale contrasto divenne insanabile alla morte di
Adriano IV con l'elezione del card. Bandinelli, Alessandro III (1159), deciso assertore delle tesi
teocratiche che sostenevano la supremazia del papato sull'impero e al quale Federico contrappose
l'antipapa Vittore IV (e dopo la morte di questo, 1164, il nuovo antipapa Pasquale III). La naturale
alleanza tra il pontefice e i Comuni spinse l'imperatore ad un nuovo intervento contro Milano che
fu rasa al suolo nel 1162. Nel 1167 mentre Alessandro III si rifugiava presso i Normanni, Federico
occupò la stessa Roma, ma una violenta epidemia decimò il suo esercito e lo costrinse al ritorno in
Germania.
La quarta discesa in Italia e la Lega Lombarda
L'assenza dell'imperatore rese più facile ai Lombardi di pervenire a un accordo per organizzare una
resistenza comune. Nelle città scoppiavano tumulti e a Bologna venne ucciso il podestà imperiale.
In Sicilia a Guglielmo I il Malo era successo il figlioletto Guglielmo II e la madre, Margherita, che
era reggente, continuava la politica del marito di alleanza col papa Alessandro, che aveva
l'appoggio anche di Manuele Comneno e Venezia.
Federico doveva riconquistare l'Italia, formò un possente esercito e a ottobre 1166 partì e scese, per
la quarta volta, in Italia; a novembre era in Lombardia, dove, alla dieta di Lodi, si rese conto che
l'ostilità era maggiore che nel passato, le città filo-imperiali erano molto fredde, Pisa e Genova
erano in disaccordo, per cui l'impresa siciliana era da rinviare. Federico avrebbe voluto dirigersi
subito su Roma, ma dovette restare in Lombardia, combattendo nelle zone di Bergamo e Brescia,
poi si diresse su Bologna da cui si fece consegnare degli ostaggi, quindi, inviata a Roma una parte
delle truppe sotto il comando di Rainaldo di Dassel, marciò su Ancona, che oppose una resistenza
ostinata. Rainaldo stava occupando la campagna romana ed era arrivato a Tuscolo, con forze esigue,
quando i romani gli marciarono contro ma, il 29 maggio 1167, nella battaglia di Prata Porci
subirono una disfatta perché nel frattempo erano arrivate le truppe dell'arcivescovo di Magonza che
presero i Romani tra due fuochi. Il 24 luglio giunse anche l'imperatore e su Roma fu sferrato un
attacco massiccio e il papa Alessandro, il 29, fuggì a Benevento coi pochi cardinali a lui fedeli.
Federico era padrone di Roma dove si fece incoronare imperatore per la seconda volta dall'antipapa
Pasquale (1º agosto 1167). Intanto era anche arrivata la flotta pisana per preparare l'attacco al regno
di Sicilia.
Ma pochi giorni dopo i suoi soldati cominciarono a morire colpiti da febbri, probabilmente
malariche, e morirono anche i suoi comandanti, Rainaldo di Dassel, suo nipote il duca di Svevia,
Federico IV, il duca di Toscana, Guelfo VII e altri. Allora decise di riparare a Pavia, insieme a
Como l'unica città rimastagli fedele, lasciando lungo la via una scia di morti. Dopodiché, con
l'appoggio del marchese di Monferrato, Guglielmo V il Vecchio, gli fu possibile tornare in
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Sergio Bergami. XII Lezione: Le eresie. Federico Barbarossa
Germania, passando da Susa, che gli si ribellò e da cui dovette fuggire, con l'aiuto del conte di
Moriana e Savoia, Umberto III.
Nel frattempo le città della Marca di Verona, ribellatesi nel 1164, a cui si era aggiunta Treviso, con
l'appoggio di Venezia (che mirava però, più che al riconoscimento del regime comunale,
all'ampliamento ulteriore della propria autonomia) avevano fondato la Lega Veronese, venendo
meno alla Constitutio pacis, mentre anche in Lombardia la città di Cremona, da sempre fedele
all'imperatore, gli si rivoltava contro, creando con Crema, Brescia, Bergamo, Mantova e Milano (o
meglio i Milanesi, dato che non avevano più una città) la Lega cremonese, grazie al giuramento di
Pontida del 7 aprile 1167. Il 27 aprile 1167, le forze alleate si presentarono di fronte alle rovine di
Milano e cominciarono la ricostruzione, comprese opere di difesa per un eventuale attacco da parte
di Pavia. Il primo dicembre dello stesso anno dalla fusione delle due leghe nasceva la Societas
Lombardiae, la Lega Lombarda. A essa si unirono subito Parma, Piacenza e Lodi, e anche papa
Alessandro diede il proprio appoggio, mentre non lo fece il Regno di Sicilia, a causa del
riassestamento dinastico come già detto; comunque la reggente Margherita, per contrastare il
Barbarossa, versò dei denari a papa Alessandro III.
La Lega nel frattempo diventava sempre più potente, le città e perfino i signori feudali che vi
aderivano erano sempre più numerosi e ora il Regno di Sicilia e perfino l'impero bizantino
l'appoggiavano apertamente. Mentre Milano era stata ricostruita molto rapidamente, per
neutralizzare la possibilità di intervento da parte di Pavia e del marchese del Monferrato la Lega
fondò, alla confluenza del Bormida nel Tanaro una nuova città, chiamata Alessandria in onore del
papa (1168). Alla fine anche Pavia e il marchesato del Monferrato aderirono alla Lega.
La quinta discesa e la battaglia di Legnano: il tramonto del sogno imperiale
Rientrato in Germania, nel 1168, si dovette dedicare ai problemi tedeschi, specialmente le
controversie tra Enrico il Leone e Alberto l'Orso. Nell'aprile del 1169 fece eleggere re dei Romani o
di Germania, alla dieta di Bamberga, e quindi incoronare ad Aquisgrana il figlio, Enrico. Inoltre
comprò, dal vecchio zio, Guelfo VI, che non aveva eredi, i possedimenti Svevi e Toscani.
Comunque Federico, nei sei anni che rimase in patria, pensava anche all'Italia, e inviò a Roma il
vescovo di Bamberga, Eberardo, in un tentativo di riconciliazione con Alessandro III, che prese in
considerazione le proposte, ma, alla fine, sia perché pressato dai Lombardi, sia perché di abdicare
non ne voleva sapere, respinse le offerte di Federico.
Nel 1174, risolti i problemi in Germania, Federico radunò nuovamente un grosso esercito e scese
per la quinta volta in Italia. Cominciò la sua campagna nel settembre 1174 vendicandosi di Susa,
che distrusse, poi prese Asti che si era arresa, così come il marchese del Monferrato e le città di
Alba, Acqui, Pavia e Como. Mosse contro Alessandria che resistette a un assedio di ben 7 mesi,
interrotto solo dopo che gli assediati, con una sortita avevano distrutto, incendiandole, le migliori
macchine da guerra di Federico.
Il Barbarossa si dedicò quindi a risolvere la questione di Ancona che, oltre a essere libero comune,
era alleata con l'Impero Bizantino. L'imperatore si accordò allora con Venezia, che voleva liberarsi
di una rivale, e ordinò al suo luogotenente Cristiano di Magonza di attaccare Ancona da terra,
mentre le navi veneziane ne occupavano il porto. L'assedio di Ancona si presentò subito difficile: la
città dopo sei mesi non aveva ancora ceduto e infine le truppe assedianti furono costrette a ritirarsi
all'arrivo dei rinforzi da Ferrara e Bertinoro.
Nel frattempo la Lega aveva approntato un imponente esercito che Federico riuscì a distogliere
inviando una parte delle sue truppe a Bologna. Federico, tolto l'assedio ad Alessandria, nella
primavera del 1175, si diresse contro l'esercito della Lega. I due eserciti si trovarono a fronteggiarsi
nella zona di Pavia, ma prima di combattere furono aperti negoziati di pace, a Montebello, che però
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Sergio Bergami. XII Lezione: Le eresie. Federico Barbarossa
fallirono, e anche una tregua che sembrava a portata di mano saltò. Le ostilità ripresero, ma senza
avvenimenti decisivi per tutto il 1175. E proprio mentre, aggregatesi le truppe di rinforzo, lasciate le
vallate alpine, aveva ripreso la marcia verso sud, l'imperatore venne travolto a Legnano il 29
maggio 1176 dall'esercito della Lega, nell'occasione capitanata da Guido da Landriano, incappando
in una disastrosa sconfitta, della quale massimi artefici furono non a caso i milanesi.
L'esercito tedesco con difficoltà, trovò rifugio, ancora una volta, a Pavia, dopodiché Federico si
affrettò a cercare di risolvere la questione con la diplomazia, avviando le trattative di pace
direttamente col pontefice, con il quale si giunse a un accordo: Federico disconobbe l'antipapa e
restituì al Comune di Roma le sue regalie e i suoi territori, mentre Alessandro III garantì la propria
mediazione con i Comuni (accordi preliminari di Anagni, novembre 1176), che però la rifiutarono,
non gradendo il cambiamento di atteggiamento del pontefice.
La pace di Costanza
Si giunse così al nuovo tentativo di pacificazione che si svolse a Venezia nel luglio 1177, cui
parteciparono papa, imperatore, Guglielmo II il Buono e delegati dei Comuni. Il 23 luglio fu
confermata la pace col papa secondo gli accordi di Anagni, fu concordata una tregua col re di Sicilia
di quindici anni e una, coi Comuni, di sei anni. Federico rimase in Italia sino alla fine dell'anno; poi
nel 1178 tornò in Germania.
La pace di Costanza prende il nome dalla città di Costanza, dove il 25 giugno del 1183 venne
firmata la pace tra Federico Barbarossa ed i rappresentanti della Lega Lombarda. L'imperatore
riconosceva la Lega Lombarda e dava concessioni ai Comuni che la componevano. Concessioni in
ambito amministrativo, politico e giudiziario, regalie comprese. Inoltre rinunciava alla nomina dei
podestà, riconoscendo i consoli nominati dai cittadini, i quali, tuttavia, dovevano fare giuramento di
fedeltà all'imperatore e ricevere da lui l'investitura. In cambio i Comuni si impegnavano a pagare un
indennizzo una tantum di 15.000 lire e un tributo annuo di 2.000, a corrispondere all'imperatore il
fodro (ossia un'imposta sostitutiva) quando questi fosse sceso in Italia, e la prerogativa imperiale di
giudicare in appello questioni di una certa rilevanza.
Si trattava di un compromesso che segnava la rinuncia al piano di dominio assoluto di Federico,
mentre i Comuni avrebbero mantenuto la loro larga autonomia. Rimase l'unico riconoscimento
imperiale delle prerogative collettive dei comuni lombardi e per questo la pace di Costanza venne
celebrata per secoli.
In Germania intanto i rapporti di Federico con Enrico il Leone raggiungevano il loro punto critico.
Dopo averlo inutilmente esortato a giustificarsi dinanzi a lui, Federico, forse preoccupato che la
formazione di singoli stati regionali come quello del cugino potesse nuocere all'autorità dell'Impero,
dichiarò Enrico decaduto dal possesso di tutti i beni feudali e allodiali e assegnò il dominio sulla
Sassonia e sulla Baviera ai Wittelsbach. Nel 1181, a Erfurt, il Leone, che aveva opposto resistenza
anche armata alle misure imperiali, dovette chiedere il perdono di Federico e accettare l'esilio.
La caduta di Enrico portò la pace nel nord del paese ma significò anche l'indipendenza del regno
di Danimarca il cui re non riconobbe più l'autorità imperiale, il nuovo re Canuto VI, nel 1182,
rifiutò di fare atto di omaggio a Federico.
La caduta di Gerusalemme (1187) provocò la indizione della III Crociata. Nella dieta di Magonza
(1188) Federico si impegnò a condurre una crociata contro gli infedeli. Partito da Ratisbona nel
maggio del 1189, morì affogando nel fiume Göksu nei pressi di Seleucia in Cilicia.
A Federico succedette sul trono reale e imperiale il figlio Enrico VI.
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