di Enzo Paci La concezione kierkegaardiana delPeros presenta

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Su due significati del concetto dell'angoscia
in Kierkegaard
di Enzo Paci
La concezione kierkegaardiana delPeros presenta Feros come continua negazione e continuo superamento delle proprie determinazioni. Socrate, per
Kierkegaard, superava l’erotico con l’ironia e cosi »l’erotismo veniva posto
nella zona dell’indiflferenza«. II richiamo all’ironia é caratteristico: l’ironia
segna, per Kierkegaard, il passaggio tra lo stadio estetico e lo stadio etico.
Poiché Kierkegaard concepisce l’uomo come una relazione tra corpo anima e
spirito e, insieme, come una relazione tra l’estetico l’etico e il religioso, l’iro­
nia e Yhumour fanno parte integrante, come funzioni dinamiche, della sintesi
umana. Nella sintesi c’é un’armonia piu o meno raggiunta tra il corpo Fanima
e lo spirito e tra i tre stadi corrispondenti. Ogni armonia raggiunta rende possibile un’armonia piu perfetta e rivela, quindi, la propria imperfezione. L’ironia
ha la funzione di rivelare l’insufficienza di una sintesi orientata prevalentemente
in senso estetico, Yhumour ha la funzione di rivelare l’insufficienza di una sin­
tesi orientata prevalentemente in senso etico. Ironia e humour indicano la
possibilitå di una sintesi piu organica. Nella misura nella quale tale sintesi,
pur possibile, non é realizzata, nasce Fangoscia.1
II movimento dinamico caratteristico dell’ironia e del Yhumour, movimento
che é di negazione e di superamento, ci riconduce ad Hegel. Le origini hegeliane
del concetto kierkegaardiano dell’ironia sono evidenti fin da Om Begrebet
Ironi med stadigt Hensyn til Socrates. II movimento dell’ironia e del Yhumour
corrisponde genericamente alla »potenza del negativo« di Hegel. Come in
Kierkegaard l’etico non elimina l’estetico, e il religioso non elimina l’estetico e
1. II presente saggio si richiama ai miei studi su Kierkegaard. Cfr. P A C I, Ironia demoniaco
e eros in K.; K. e la dialettica della fede, Archivio di filosofia, R o m a II, 1953; Storia e
apocalisse in K., Archivio cit., II, 1954; II significato della introduzione al concetto
dell'angoscia, Rivista di filosofia, Torino, IV, 1954; Ripetizione ripresa e rinascita in K.,
Giornale critico della filosofia italiana, Firenze, 1954; K. contro K., Aut Aut, M ilano,
n. 22, 1954; II cammino della vita, Aut Aut, cit., n. 20, 1954; Angoscia e relazione in K.,
Aut Aut, cit, n. 23, 1954.
Su due significati del concetto dell’angoscia in Kierkegaard
l’etico, cosi la negazione di Hegel non elimina il momento superato. In Hegel il
primo termine é negato; il secondo, pero, non é la pura negazione del prim o:
nella relazione hegeliana il negativo nega il positivo ma lo riprende in sé. Negare é, per Hegel, determinare. Se l’antitesi nega e conserva la tesi, ogni sintesi
sarå tuttavia negata, poiché ogni negazione dovrå, per la determinazione ulteriore, negare la determinazione ottenuta. Nel senso indicato lo spirito dovrebbe
per Hegel essere positivo in quanto nega aU’infinito ogni determinazione che
risulta negativa nei confronti di un’ulteriore positivitå. Lapositivitå dell’infinito é presente nel finito come attivitå che nega il negativo. Se Hegel rimanesse
sempre fedele a questi presupposti dovrebbe concludere che lo spirito é una
possibilitå e non una realtå. Lo spirito dovrebbe essere la positivitå del possibile che si attua soltanto in determinazioni che, di fronte all’infinita possibilitå
positiva, sono negative. La possibilitå positiva si attua come negazione del
negativo. Questo aspetto »possibilistico« del pensiero hegeliano risulta soprattutto lå dove Hegel insiste sul fatto che l’infinito non deve essere separato,
come un assoluto, dal finito. La risposta alla domanda »come l’infinito diventi
finito« é, secondo Hegel, »che non c’é un infinito il quale prima sia infinito e
soltanto dopo sia finito e pervenga alla finitezza: l’infinito é giå di per se stesso
tanto finito quanto infinito. La domanda presuppone che l’infinito se ne stia
per suo conto e che il finito, separato dall’infinito, sia qualcosa di veramente
reale. Cio che bisogna dire é, invece, che questa separazione é inconcepibile«.
Se l’infinito é presente nel finito é tale, pero, in quanto il finito, il dato storico,
puo essere sempre perfezionato secondo una perfezione possibile e non ancora
attuata. L’errore di Hegel sarå di interpretare - per esempio nelle Grundlinien
der Philosophie des Rechts - la presenza dell’infinito nella finitezza del processo
storico (processo che é progressivo in quanto lo spirito come possibilitå posi­
tiva nega ogni attuazione come negativa) come un’identificazione dell’infinito
col finito, dell’assoluto con il dato storico. E’ in questo senso che Hegel, nell’introduzione alle Grundlinien, afferma che ogni filosofia é filosofia del proprio
tempo e che il compito del pensiero filosofico é la »collocazione della filosofia
nella realtå«. L’universo spirituale diventa cosi l’universo dato nel momento
presente della storia, l’universo »naturale«. Allo stesso modo la ragione di­
venta la »rosa nella croce del presente«. Ma l’Hegel che ha influenzato Kierke­
gaard non é l’Hegel delle Grundlinien bensi l’Hegel della Logiea per il quale
I’infinito é si presente nel finito ma presente in quanto nega i momenti negativi
del finito per farli progredire in nome di una possibilitå positiva non realizzata
e mai identificabile con una data situazione storica od umana. La rosa nella
croce del presente sarå per Kierkegaard la possibilitå positiva e poiché il
Enzo Paci
198 positivo é, nella sua totalitå, inattuabile nel tempo, la mancata attuazione
provocherå l’angoscia e l’angoscia sarå la prova dell’impossibilitå di adeguare
l’infinito al finito, la possibilitå positiva alla realtå data del mondo. L’angoscia
testimonia che la presenza dello spirito come possibilitå spezza ogni sintesi tra
estetica ed etica, tra corpo ed anima. Ogni sintesi raggiunta contiene implicitamente in sé la possibilitå di una sintesi piu armonica. Percio lo spirito, che
Hegel immobilizza nelle Grundlinien, riacquista in Kierkegaard tutta la sua
dinamicitå rivoluzionaria e tale dinamicitå la riconquista nello stesso tempo
che si rivela sempre piu profondamente il suo carattere religioso.
In Kierkegaard dunque Yaut aut tra l’estetica e l’etica, tra il corpo e l’anima, é in funzione della potenza dinamica dello spirito che si esprime nella
vertigine dell’angoscia. La scelta puo essere scelta tra l’estetica e l’etica in
quanto, pero, estetica ed etica sono in relazione fra loro ed in tale relazione
é giå presente la funzione dinamica dello spirito e cioé lo stadio religioso. Corpo
ed anima non sono separabili e il loro rapporto non é separabile dallo spirito.
Non é possibile separare un elemento della relazione dagli altri: in ogni ele­
mento della relazione c’é sempre tutta la relazione. Lo spirito é sempre pre­
sente nella relazione tra anima e corpo ed é per questo che da tale relazione
nasce l’angoscia. Ci sono quindi una relazione data e la possibilitå di una
relazione piu armonica, il che equivale a dire che c’é una gradualitå di relazioni e che c’é una dialettica tra relazioni date e la possibilitå di relazioni piu armoniche. Rispetto ad una possibile relazione piu armonica una data relazione
risulta non soddisfacente e quindi risulta come irrelazione. Per questa ragione
l’irrelazionale, per una filosofia della relazione, non é che un tipo inferiore di
relazionalitå.2
Non esiste una relazione assoluta concepita come l’essere reale perché ta­
le relazione sarebbe identitå e cioé non relazione come non é relazione lo spi­
rito assoluto e necessario. Non esiste una irrelazionalitå assoluta perché sareb­
be il non essere, il nulla. II nulla é invece la potenza del negativo che muove il
processo del divenire cosi come l’essere si risolve nella possibilitå infinita
che si attua nelle varie determinazioni. Posta la dialettica come dialettica tra
irrelazione e relazione questa dialettica é ancora relazione il che implica che
in ogni relazione ci sia l’irrelazione e che in ogni irrelazione ci sia la relazione.
Proprio per questo, pero, se la dialettica non vuol essere identitå astratta, ha
bisogno di un presupposto e di una direzione. II presupposto é la relazione
attuata, l’atto della relazione possibile, ma l’atto, proprio perché la dialettica
2. II punto di vista teoretico qui indicato e quello caratteristico del »relazionismo«. Cfr.
PACI, Tempo e relazione, Taylor, Torino, 1954.
Su due signijicati del concetto dell’angoscia in Kierkegaard
abbia un senso, in quanto attuazione scopre, nel momento stesso nel quale si
attua, la propria irrelazionalitå e cioé la possibilitå di una relazione piu armonica. E’ soltanto a questa possibilitå, che non é una realtå, che spetta il norne
di spirito. Se, come voleva Aristotele, nulla passa dalla potenza all’atto se non
in virtu di qualcosa che giå é in atto, l’atto non puo essere una relazione perfetta, iniziale e finale, o, come vuole Hegel alla fine åzWEnciclopedia, idea che
gode di se stessa eternamente come spirito assoluto. L’atto é piuttosto la rela­
zione attuata che nell’attuazione si rivela irrelazionale, l’atto é la situazione
storica concreta e naturale che, giå nell’innocenza, e nell’intera natura (per
quella che Kierkegaard chiama »angoscia oggettiva«) si angoscia per cio che
non é, in quanto giå é presente nella situazione concreta lo spirito, sia pure,
come nel caso dell’innocenza, soltanto in quanto sogno. Atto reale ed esistenziale Vangoscia rivela il presupposto che spezza la tautologia della logica,
rintellettualismo del logo astratto. L’angoscia é, di fatto, la situazione storicotemporale, l’istante nel quale l’eterno é presente come possibilitå infinita. La
dialettica é quindi relazione tra il tempo e l’eterno nell’istante, dove l’istante
indica la situazione temporale ed attuale e l’eterno la possibilitå infinita dell’armonia dello spirito. Porre l’atto come relazione e non come identitå, come
situazione esistenziale e non come necessitå dell’essere, significa porre una
direzione tra le attuazioni esistenziali e le attuazioni possibili nel futuro. Signi­
fica riconoscere cioé la concreta direzione temporale e insieme porre una
relazione tra l’esistenziale e l’infinita perfettibilitå possibile nella quale si risolve l’eterno. II rovesciamento implicito in questa struttura della dialettica ha
due aspetti intimamente collegati e che possono essere ricondotti, infine, ad
uno solo. II primo é che l’atto, il presupposto, é sempre nel tempo e non é
mai l’atemporale e l’assoluto cosi come non é mai l’elementare, il semplice,
l’atomico, l’uno. II secondo é che »il fondamento« non é mai un reale ma un
possibile, non é mai un essere, ma la possibilitå di apertura del divenire al
futuro. Piu profondamente é proprio perché Fattualitå é sempre temporale
che lo spirito é possibilitå e libertå e non é essere e necessitå, ed é proprio
perché lo spirito é possibilitå e libertå che la situazione attuale é sempre natu­
rale, temporale, storica. II concetto tradizionale di atto, ereditato da Aristotele
e sopravvissuto fino ad oggi, si é rovesciato.
II rovesciamento del concetto dell’atto segna il contributo dell’esistenzialismo alla filosofia contemporanea, ma tale rovesciamento oltrepassa i limiti
finora esplorati dalla filosofia esistenziale: per mezzo di esso l’esistenzialismo
si completa nel relazionismo.
L’uomo é sempre nel tempo: cio significa che é sempre nella storia e che
Enzo Paci
200 c’é sempre stato un passato. L’idea di questo passato apre l’infinito dei presupposti finché tale infinito non viene arrestato ad un principio unico, a quell’assoluto che Kierkegaard chiama 1’ »Antico dei tempi«, il principio creatore originario. Senonché tale spostamento verso un assoluto originario é illusorio come
é illusorio porre Adamo al di fuori della storia. La situazione storica attuale
puo essere piu o meno allargata, ed allargata fino alle origini delle nebulose o
delle galassie, ma rimane, tuttavia, pur sempre situazione storica che implica
in sé un presupposto e che ha avuto quindi un passato. La situazione storica é
sempre un passaggio da un inizio, da un limite osservabile del passato, che
condiziona il mondo, a un futuro che puo essere attuato nel presente come
determinazione continua deil’infinitå del possibile. La realtå del passato é
presente nell’attualitå della situazione storica come condizionamento, come la
dipendenza del derivato, come quella che Kierkegaard chiama »ereditå generativa«. Rigorosamente il discorso di Kierkegaard significa che né Adamo né i suoi
discendenti sono il »primo uomo«, cosi come sia Adamo che i suoi discendenti
sono sempre e di nuovo il »primo uomo«, in quanto per tutti si ripone l’innocenza senza la quale non avrebbe senso la caduta nel peccato. Cio che spiega il
paradosso di questa relazione é l’interrelazionalitå umana per la quale ogni
uomo é presente in Adamo e Adamo é presente in ogni uomo. E’ in questa relazionalitå che l’individuo si pone, insieme, come individuo e relazione, ed é
ancora per questa relazionalitå che ogni individuo, corpo ed anima, si
concretizza nella relazione sessuale e nel rapporto generativo. Ogni individuo é
due ed uno ed ogni individuo puo essere o padre o madre, cosi come ogni
individuo deve essere stato generato. II passato é dunque il fatto di essere
stato generato, il condizionamento, la presenza attiva e conseguente, in noi, dei
precedenti che ci costituiscono, la situazione storica determinata, la »nascita
nella carne«. In senso piu o meno vago sottosta alla ricerca di Kierkegaard
l’intuizione che proprio la dipendenza dalle precedenti situazioni generative
costituisce il peccato originale inteso come »condizionamento dell’origine«. II
passato é sempre stato e per quanto si risalga indietro ci sarå sempre un passato:
é questo il senso del presupposto ineliminabile, il senso dell’esistenza di fronte
al quale naufraga la pretesa idealistica di dedurre la situazione storica da un
principio logico e atemporale. Per l’intelletto l’impossibilitå di un principio
generatore é uno scandalo, ma é lo stesso scandalo di un’esistenza fuori dalla
logica, di un’esistenza che non sia una volta per sempre chiara a se stessa e che
non abbia eliminato una volta per sempre tutte le possibilitå ponendosi come
necessitå dell’essere e autofondamento di sé. Hegel aveva presentato il problema
come problema del presupposto che deve essere posto per essere tolto. Ma il
Su due significati del concetto dell’angoscia in Kierkegaard
presupposto, anche se é vero che deve essere tolto, c’é, e se é un presupposto é
tale proprio perché non puo essere posto, e se lo spirito deve togliere il presuppo­
sto, ed anzi si pone come spirito proprio in questa sua funzione, lo spirito non
sarå mai completamente attuato, non sarå mai senza un presupposto da
togliere e si presenterå sempre, quindi, come possibilitå infinita. La possibilitå
non ha senso senza il presupposto generativo, la condizione del passato, la
situazione storica e la situazione storica, d’altra parte, non ha mai un antecedente principio assoluto ma attende, sempre, tale principio. II tempo non
ha avuto inizio daH’eterno ma si dirige, sempre e di nuovo, verso l’eterno
concepito come possibilitå. Cio vuol dire, in altre parole, che la storia é sempre
una direzione temporale, che la relazione é sempre temporale, cosi come é,
sempre, condizionata dal passato e aperta al possibile e alla perfettibilitå
dell’armonia del possibile. II nodo di questa complessa relazionalitå, insieme
verticale e orizzontale, é ricercato da Kierkegaard n e\Vistante.
Non si deve mai dimenticare che in Kierkegaard, proprio perché l’assoluto
non é una necessitå ma una possibilitå, il processo storico non é deterministico.
Se tale processo contiene una necessitå questa é data dal fatto che non c’é
mai un irrelazionato assoluto cosi come non c’é mai una relazione assoluta: é
da cio che deriva il senso kierkegaardiano della provvidenza. La relazione
universale determina un campo generale di cui i limiti esterni sono l’ineliminabilitå della »nascita della carne« e 1’ineliminabilitå di una possibilitå piu
armonica. Ma l’uomo non puo essere né soltanto un dato astorico e irrelazio­
nato, senza peccato, né una relazione che non implichi corpo ed anima e,
quindi, l’angoscia. L’angoscia é angoscia per una relazione piu organica
determinata dalla presenza, sia pure allo stato di sogno, sia pure come assenza,
dello spirito. »Nascere nella carne« vuol dire giå avere in sé la possibilitå
sia pure inconscia di »riprendere il passato«, di trasformare la »nascita nella
carne« in »rinascita«. Esistere vuol dire, insieme, essere condizionati ed essere
liberi: proprio in questo senso l’angoscia é costitutiva ed essa é la vertigine
dell’uomo di fronte all’abisso. L’uomo non puo non essere nato e non puo
non sentire in sé, sia pure nell’innocenza, l’insufficenza di essere soltanto nato e
di essere nato soltanto nella carne. L’uomo percio »salterå«al di lå di questa
situazione. E’ qui che interviene il passaggio che nessuna scienza e nessuna
filosofia possono spiegare in quanto é volontå non garantita dal suo contenuto.
L’uomo, cioé, non sa se cio verso cui salta é il bene o il male: egli é spinto a
trascendere se stesso ma la situazione nella quale arriverå dopo il salto dipende
dalla direzione che l’uomo vorrå nell’atto stesso di saltare. II possibile non é
ancora né negativo né positivo: siamo nella terra di nessuno, nella sospensione,
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202
nel timore e nel tremore. Se saltando l’uomo vorrå il positivo, se avrå la fede,
l’uomo »riprenderå« il passato, crederå cioé che l’angoscia per il possibile sia
l’angoscia per una possibilitå positiva. La nuova situazione nella quale arriverå
sarå una ripresa e una rinascita. II problema del passato, della nascita nella
carne, si trasformerå nel problema di trasformare la storia in forme piu organiche. Praticamente cio vuol dire che l’uomo ha la fede che c’é sempre la possi­
bilitå di trasformare una situazione storica data in una situazione storica
migliore. Questa fede, proprio perché fede, non sarå dimostrabile. L’uomo
non trasformerå il mondo perché il progetto di trasformazione gli då la garanzia di trasformarlo. Piuttosto l’uomo, giå quando sceglie i principi del pro­
getto, li sceglie perché crede alla possibilitå positiva e cioé perché crede che é
sempre possibile una trasformazione piu organica. L’inspiegabilitå del salto
significa dunque che ogni progetto di trasformazione e ogni scelta di principi
assiomatici di un progetto dipendono dalla fede in un’armonia possibile ed
attuabile. Da cio l’insistenza di Kierkegaard, nell’introduzione a Begrebet
Angest, suH’impossibilitå scientifica di cogliere il salto qualitativo. Ma da cio,
ancora, il fatto che la scienza, proprio perché é scienza, contiene giå in sé,
nella sua struttura, un’implicita (anche se non consapevole e non dichiarata)
scelta per l’armonia e l’assunzione della direzione del processo della natura e
della storia come processo armonico. L’angoscia, in questo caso, nel caso della
fede, é angoscia per l’infinito compito che la fede impone, angoscia per la pos­
sibilitå armonica non ancora realizzata.
L’individuo, saltando, non sa ancora. Egli puo non seguire la linea del
processo positivo del tempo, puo non avere la fede o meglio non volerla e,
nel momento in cui salta, non volere una piu armonica possibilitå. Se l’individuo
non potesse rifiutare la fede, la fede stessa non sarebbe tale e la stessa armonia
non sarebbe possibile. In questo caso la situazione nella quale l’individuo
arriva é il peccato come volontå di disarmonia e come distruzione del positivo.
C’é da notare, per questo secondo caso, che la volontå negativa non puo
giungere mai al suo compimento. Proprio nella situazione negativa l’individuo
scopre la positivitå non attuata e puo, ancora, riaffermare la propria negativitå,
sempre piu tormentato, d’altra parte, dalla possibilitå positiva. II principio
fondamentale resta la possibilitå positiva del possibile e la volontå che puo vo­
lere o non volere la positivitå. La storia non é in ogni caso l’attuazione del
positivo anche se puo, con la volontå e con la fede dell’uomo, diventare la
realtå della possibilitå positiva.
Quanto precede delimita due aspetti dell’angoscia. Poiché l’armonia é
possibilitå infinita ci sarå sempre angoscia per la possibilitå non attuata. E que-
Su due significati del concetto dell’angoscia in Kierkegaard
sta dovrebbe essere l’angoscia dell’innocenza: l’innocenza diventerebbe in que- 203
sto caso angoscia positiva per l’infinitå del compito e infine, se riconquistata
dopo il peccato, angoscia che conduce alla salvezza della fede. II peccato, come
senso di colpa verso il futuro, non sarebbe che il senso della responsabilitå, il
sentimento del dovere di trasformare la situazione storica in una situazione
piu organica. In questo senso il peccato svolge una funzione positiva ed é
»originario«.
II secondo aspetto dell’angoscia é /’angoscia di chi ha voluto porsi contro
Varmonia. Non é il senso di colpa per l’infinitå del possibile ma il senso di
colpa per la compiuta negazione del positivo, per l’attuazione di una disarmonia. In questo caso il peccato é propriamente peccato ma non é originario, per­
ché si poteva volere ed attuare anche l’armonia. L ’angoscia non é qui per Vinfinitå del bene da compiere ma per il male compiuto: é propriamente quest’ultima
angoscia l’angoscia del peccato, l’angoscia che, secondo quanto dice Kierke­
gaard non precede ma segue il peccato. Tuttavia Kierkegaard ha spesso confuso, nella sua analisi, non tanto i due tipi di angoscia, che egli stesso chiarisce,
quanto i due tipi di peccato. Egli non ha saputo ben distinguere il peccato come
presupposto, il peccato naturale, e originale, inerente alla situazione storica
perché storica, dal peccato di non volere, di voler negare l’attuazione della
possibilitå. Posto il peccato attivo come originario ed inevitabile all’uomo non
resta che la dannazione eterna ed il cristianesimo diventa la religione secondo
la quale nessuno si puo salvare.
La connessione dell’angoscia con la corporeitå e l’eternitå del possibile
spiega perché Kierkegaard definisca l’angoscia come »l’istante della coscienza
individuale«. Proprio perché é una sintesi di anima e di corpo, la sintesi, nella
presenza dello spirito, é sintesi del temporale e dell’eterno e cioé é l’istante. La
relazione é relazione temporale ma é, insieme, relazione della temporalitå e
dell’eternitå. Scrive Kierkegaard: »Quando giustamente si delinisce il tempo
come un infmito uccedersi sembra anche naturale di determinarlo come
presente passato e futuro.«3 Questa distinzione pero, continua Kierkegaard,
non é a sua volta temporale. Se essa é possibile é perché l’eterno é sempre pre­
sente in ogni istante. L’istante temporale, visto dal tempo, é un infinito svanire
e con esso svaniscono anche il passato e il futuro. L’istante, visto in rapporto
all’eterno, é ancora la mancanza di passato e futuro ma in quanto, appunto,
eterna presenza. L’istante é cosi la presenza dell’eternitå nel tempo. Proprio
per questo, pero, esso é ambiguo. L’ambiguitå é data dal fatto che nell’istante
si puo scegliere o per l’eterno come possibilitå positiva o per il temporale come
3. Cfr.
K ierkegaard,
S. V., IV, Kjøbenhavn, 1923, pag. 391.
Enzo Paci
204 negazione della possibilitå positiva. L’eterno si presenta percio all’uomo come
la possibilitå del futuro. »II futuro - scrive Kierkegaard - é come un tutto di
cui il passato é una parte, Cio si spiega con il fatto che l’eterno significa soprattutto il futuro e con il fatto che il futuro é l’ignoto nel quale l’eterno, pur
essendo incommensurabile con il tempo, puo mantenere tuttavia con questo la
sua relazione«.4
In Kierkegaard non é mai chiara la concezione dell’eterno come possibilitå.
Egli vede pero chiaramente che l’eterno, in quanto relazione con il tempo, si
presenta come la possibilitå del futuro. La fede vedrå in questa possibilitå
1’armonia, come infinitå dell’amore.
L’angoscia per il male compiuto é, dice Kierkegaard, angoscia del male. II
pentimento non basta, perché esso non puo togliere il peccato. L’unica cosa
che puo togliere il peccato é la fede, la fede che diventa atto di trasformazione
e di rinascita, la fede operante.
L’innocenza non conosceva il male eppure aveva bisogno di trascendersi.
Retrospettivamente, anche ammettendo che l’innocenza ignori il bene e il
male, si puo dire che l’innocenza, come tale, sia nella sfera del bene. L’esigenza
del salto non é ancora né bene né male. Ma si é giå detto come, sia pure inconsciamente, neU’angoscia dell’innocenza é presente l’esigenza di una perfezione
piu alta. E’ proprio questa esigenza, come eros, che rende possibile, fin dall’inizio, l’esperienza estetica come direzione verso una possibilitå che é giå posi­
tivitå anche se é sessualitå.
Vangoscia del male é anch’essa angoscia per il peccato compiuto e quin­
di é angoscia che desidera, in fondo, la trasformazione del male compiuto.5
E’ per questo che Kierkegaard osserva che l’angoscia del male, considerata da
un punto di vista piu alto, appartiene alla regione del bene. In questa situazione
l’uomo finisce per volere ancora il bene. Oltre pero l’angoscia delF innocenza
e l’angoscia del male c’é un terzo atteggiamento, quello della volontå che non
vuole piu che il male, della volontå che non si angoscia piu del male in nome
del bene, ma si angoscia del bene che essa vuol negare e si angoscia per il
fatto che il bene esiste nonostante la sua negazione. Quest’ultimo atteggia­
mento é il demoniaco, la ribellione massima. Piu si chiude nella ribellione e
piu l’indemoniato si chiude di fronte al bene in modo che qualsiasi suo movimento é diretto verso il male. In questa situazione se ogni relazione con il
bene venisse a mancare trionferebbe la chiusura, trionferebbe l’irrelazione
totale. Ma cio é impossible. Infatti l’indemoniato é angosciato proprio per
4. Cfr. Op.cit., pag. 396.
5. Op.cit., pagg. 421 e segg.
Su due signijicati del concetto dell’angoscia in Kierkegaard
questa impossibilitå. E’ questa la situazione diabolica dell’angoscia del bene, 205
angoscia nella quale l’individuo si trova nella regione del male.6
Dal punto di vista estetico il demoniaco é amore per il brutto e per l’orrendo. Dal punto di vista etico é amore per la punizione, desiderio di castigo
e di crudeltå verso se stessi e verso gli altri. Dal punto di vista religioso é
volontå della massima disarmonia tra il corpo e 1’anima: é Passunzione invertita dello spirito come principio di irrelazionalitå e di disarmonia. La storia, per
l’indemoniato, deve ricondurre l’uomo al primitivo, inteso come cio che é
il brutale originario. Attraverso il ritorno al primitivo si deve raggiungere la
totale irrelazione. II futuro appare come incarnazione dell’odio, come pos­
sibilitå infinita di disarmonia.
Nella sintesi umana tra corpo anima e spirito la disarmonia di un campo é
disarmonia di tutti. Per questa ragione la forma estetica o l’eros, la volontå
etica e la fede, tutto é disorganizzato dal demoniaco. E’ chiaro in Kierkegaard
che la possibilitå demoniaca é l’opposto del la possibilitå dell’amore. Appare
implicitamente chiaro che la direzione naturale dell’uomo é verso l’armonia
e che arm oniaé giå l’innocenza, mentre il salto qualitativo si pone nel passaggio quando, dovendo l’uomo trascendere l’innocenza per una armonia superiore, puo pero, nell’atto di trascendersi, scegliere il peccato. Non solo puo
sceglierlo, ma sceglierlo ancora invece di trasformarlo con la fede e con la
rinascita. E’ l’elemento di una naturale direzione verso il Valore, presente giå
nel sensibile e nella sessualitå, quello che Kierkegaard stenta a riconoscere, ed é
per questo che egli, nei suoi ultimi anni, inclinerå ad una totale condanna del­
la massa dannata dell’umanitå. Ora il peccato ineliminabile é soltanto peccato
giå presente nell’innocenza, il senso cioé di una insufficenza e di un bisogno,
della mancanza di una superiore armonia. II vero e proprio peccato, quello che
si pone decisamente nella sfera del male, é il demoniaco, la chiusura, l’ermetismo, il punto massimo dell’irrelazione, la volontå di perdersi, la deliberata
volontå dell’inferno. Proprio questo é l’inferno: il volere che la possibilitå
del futuro sia soltanto ed esclusivamente una possibilitå peggiore. II volere,
cioé, che l’eterno nel mondo si attui soltanto come sempre piu profonda
disarmonia del mondo.
II demoniaco é votato allo scacco ed é votato allo scacco proprio per l’angoscia del bene che sempre piu nega. L’irrelazione, anche se con tutte le sue
forze si rifiuta di esserlo, é sempre in relazione con il tempo. Cio vuol dire, in
altri termini, che la relazione é indistruttibile. Vuol dire che la relazione non
puo essere mai distrutta totalmente dalla non relazione. La relazione contiene
6.
Op.cit., pagg. 425 e segg.
Enzo Paci
206 sempre in sé l’irrelazione, l’armonia eontiene in sé la disarmonia. E’ sempre
possibile un’armonia piu alta che accordi in sé anche la disarmonia piu discordante. La fede in questa possibilitå é fede nel futuro, nelUeterna possibilitå
del futuro. E’ solo questa fede che riconquista l’innocenza perduta, la fede
naturale dell’innocenza, dell’eros, la fede implicita nel senso, giå presente, come
spirito, come sogno, nell’angoscia che dorme nell’inconscio, e nelY angoscia
oggettiva di tutto l’universo.7
Come abbiamo cercato di far vedere nella nostra analisi la ricerca di Kierke­
gaard, se condotta alle sua rigorose conseguenze speculative, tende a sopprimere il concetto di un Dio necessario, tende a negare il concetto di un Dio
concluso, originario o finale, completamente realizzato in se stesso. Al posto
del Dio dell’onnipotenza si pone un Dio non come realtå macome possibilitå di
armonia infinita, di un’armonia che puo redimere ogni disarmonia e coprire
ogni peccato. L a filosofia prima scompare ed al suo posto di delinea la filosofia
seconda di cui il principio non é l’essere necessario ma la possibilitå di riprendere, di trasformare, di perfezionare la situazione del mondo nella continua
rinascita dello spirito.
L’estrema alternativa é tra il demoniaco e la rinascita, tra la solitudine e la
comunicazione. II senso dell’eterno nell’uomo é l’armonia della comunicazione, la perfettibilitå della relazione. Kierkegaard sa molto bene che l’eternitå
viene intesa anche in senso metafisico. In questo caso - scrive Kierkegaard - il
filosofo dice e ripete »lo« finché diventa la cosa piu ridicola che ci sia: l’Io
puro, l’autocoscienza eterna. Continuando a parlare deU’immortalitå non solo
il filosofo crede di diventare immortale ma si identifica con l’immortalitå
stessa.
II demoniaco é l’estrema posizione negativa della non comunicazione e
della solitudine, l’identitå dell’Io con se medesimo, l’autoerotismo, l’unitå che
si unifica e si angoscia per la comunicazione che nega, per l’alteritå e per la libertå che rifiuta. Vestremo rifugio del demoniaco é il silenzio. Se l’indemoniato
parla entra in contraddizione con se stesso. La parola stessa, essendo comuni­
cazione, ed essendo quindi relazione, é il segno che l’uomo, anche se vuol essere
solo ed unico, basta che si esprima perché si trovi in rapporto con qualcosa
che non é identico a sé, in comunicazione con qualcosa che non é lui. L’uomo,
in quanto uomo, é un essere che parla. Cio vuol dire che é un essere il quale,
poiché parla, riconosce che c'é un altro essere al quale la parola si rivolge. La
parola é, in questo senso, la prova della falsitå del solipsismo. La parola é la
prova, implicita nel fatto stesso di esprimersi, che c’é qualcosa che non é sol7. Op.cit., pagg. 361 e segg.
Su due signijicati del concetto dell’angoscia in Kierkegaard
tanto pensiero parola, che c’é qualcosa che trascende i segni e trasforma i 207
segni in simboli. I simboli si referiscono a qualcosa che non é simbolo, a qual­
cosa che trascende l’individuo, l’Io, il pensiero. Proprio per questo i simboli
hanno un significato. Essi hanno un significato perché le cose e le persone nei
simboli, diventano possibilitå di comunicazione. In quanto simboli che vivono
in un dialogo per la possibilitå di un accordo, e in quanto norme per l’attuazione
di un accordo, i simboli testimoniano che chi parla, anche se dice di no e si
nega a qualsiasi rapporto, vuole, nel suo fondo, ancora il dialogo e la rela­
zione. E’ per questo che l’indemoniato, se parla, si salva. Quando il Cristo si
avvicina al silenzio ermetico deH’indemoniato, il refoulement dell’indemoniato é
vinto. L’indemoniato, contro se stesso, »caccia fuori le parole«, sia pure per
dire a Cristo: »Che c’é di comune tra me e te ?«
Nella sua essenza il demoniaco é idolatria di sé e dell’uno, autoalfermazione
dell’assoluto: »le forze diaboliche dicono: noi e fuori di noi nessuno« (Isaia,
Apocalisse, X, 13). Ma parlano e quindi si contraddicono e testimoniano del
contrario di cio che dicono e vogliono.
L’estrema tensione dialettica del demoniaco si esprime nella sfida a Dio.
L’indemoniato puo dire »lo saro l’estremo male, vediamo se tu, Dio, che sei
amore infinito, puoi salvarni. Se non mi salverai vuol dire che non sei amore
infinito«. Questa posizione si puo esprimere anche in altro m odo: é soltanto a
causa del massimo del peccato che puo trionfare davvero l’infinitå dell’amore.
Ancora un passo e si potrå dire che soltanto la massima lontananza da Dio é,
in realtå, il massimo avvicinamento; che soltanto nel fondo del peccato é
possibile la salvezza; che l’uomo, non potendo che peccare, non puo che peccare fino all’estrema possibilitå del peccato per arrivare all’annichilimento to­
tale della relazione. E’ questa la disperazione totale, la malattia mortale. Ma é
una malattia che anela invano alla morte.
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