Opuscolo Informativo sul Rischio Elettrico

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Rischio elettrico
Opuscolo informativo
Indice
CAPITOLO I
Concetti fisici di base………………………………
Pag.
1
CAPITOLO II
Scrittura corretta delle unità di misura………….
Pag.
6
CAPITOLO III Sistemi elettrici…………………………………….
Pag.
8
CAPITOLO IV Effetti della corrente elettrica sul corpo umano…
Pag.
10
CAPITOLO V Contatti diretti e indiretti…………………………
Pag.
13
CAPITOLO VI Miscellanea conclusiva ……………........................
Pag.
26
Test……………………………………………………………. Pag.
30
Bibliografia…………………………………………………...
31
CAPITOLO I
Pag.
Concetti fisici di base
Parliamo di corrente, sì! di corrente elettrica, di qui in poi, detta anche corrente (senza aggiungere altro).
Per gli scopi di questo piccolo tomo, la corrente elettrica è una migrazione di cariche elettriche, tutte
nello stesso verso, all’interno di un ambiente. Potrei fermarmi qui e partire in quarta con l’esposizione di
altri concetti, se la definizione non fosse generatrice di dubbi: «Che cos’è la carica elettrica? di quale ambiente si tratta?» Quindi, per essere più concreti:


la corrente elettrica è uno spostamento, in un verso ben preciso, di elettroni e/o di ioni, i quali
sono particelle aventi “misure” che, al più, sfiorano qualche decimo di miliardesimo di metro;
l’ambiente, in questo libretto, è o il corpo umano o il terreno o l’anima metallica (di rame o di
alluminio) dei cavi di un impianto elettrico o un apparecchio elettrico o (e qui generalizzo, rendendo superfluo – o no? - l’elenco precedente) un qualsiasi oggetto che permetta il passaggio di
corrente al proprio interno.
E siamo formalmente da capo: cos’è un elettrone? e uno ione? Incominciamo dalla materia.
La materia (ossia il nostro corpo, la sveglia sul comodino, il latte che beviamo al mattino, i cavi
dell’impianto elettrico, l’aria che respiriamo, e via di seguito) è costituita di atomi, aggregati (ossia
“appiccicati” gli uni agli altri formando le cosiddette molecole che possono essere bi-, tri-, tetra-, etc.atomiche) o singoli (molecole monoatomiche), i quali:

sono disposti ordinatamente e “rigidamente” nello spazio, nel caso dei cosiddetti corpi solidi
(che quindi hanno forma e volume proprio),
mentre

sono migranti nei fluidi (in misura minore nei liquidi - che infatti hanno volume proprio, ma non
forma; di più negli aeriformi, cioè vapori e gas, che non hanno né volume né forma proprî).
Gli atomi, a loro volta, sono composti (nonostante il nome derivi dal greco antico átomos che significa
‘indivisibile’) da:

neutroni e protoni (dotati di carica elettrica positiva i secondi, elettricamente neutri – cioè senza
carica – i primi; gli uni e gli altri sono costituiti da tre quark), aggregati e formanti il cosiddetto
nucleo,
nonché da:

elettroni, disposti intorno a quest’ultimo, carichi negativamente e, a differenza delle succitate
particelle, da “bravi” leptoni quali sono, privi di una struttura interna (non sono fatti di quark, insomma!).
L’atomo è elettricamente neutro, siccome la carica elettrica positiva del gruppo di protoni e quella negativa dell’insieme di elettroni si elidono.
Dimenticavo: la carica elettrica - che si misura in coulomb (simbolo C) ed è espressa da un numero
avente lo stesso segno della carica (cioè positivo o negativo) - indica la tendenza di una particella ad attrarne o respingerne un’altra, mediante una forza:

inversamente proporzionale al quadrato della distanza fra le particelle stesse (queste ultime parole
significano: “nel caso la distanza fra le particelle raddoppi, la forza attrattiva o repulsiva diventa un
quarto; qualora triplichi, diventa un nono; allorché quadruplichi, diventa un sedicesimo, etc.”)
e

direttamente proporzionale al prodotto dei valori (con segno) delle cariche stesse: la forza è repulsiva, nel caso di cariche con lo stesso segno; è attrattiva nell’altro caso.
Dopo tutta questa pappardella, ritorniamo agli ioni; questi sono atomi che hanno acquistato gli elettroni di
un altro, diventando negativi, o ceduto elettroni a un altro, diventando, diventando… diventando cosa? La
risposta … al lettore diligente o… meglio: paziente.
Nella maggioranza dei casi che tratterò, la corrente scorre in un circuito chiuso: c’è un tratto di circuito
per l’andata e almeno un altro per il ritorno. Mutatis mutandis è come per l’impianto idraulico che entra
nelle nostre case; facciamo un esempio: dal rubinetto esce l’acqua; noi, giocando con i nostri bambini,
sottoponiamo all’azione del getto un piccolo mulinello di legno che così gira, gira, gira…; l’acqua, dopo
aver mosso il giocattolo, si scarica nel lavandino e, tramite l’impianto fognario, ritorna in quel “grande
serbatoio” qual è l’ambiente esterno, da cui viene prelevata mediante le tubazioni dell’acquedotto che, col
proprio sistema di pompaggio (dopo averla resa potabile, ovv.!) la conduce fino ai nostri rubinetti, chiudendo il circuito.
Per comprendere il fenomeno della corrente elettrica, si pensi di avere una pila. Quest’oggettino ha due
estremi che si chiamano poli; per la precisione: uno è detto polo positivo e si riconosce per la presenza
1
+
del segno
riprodotto vicino, l’altro è detto polo negativo. S’immagini, in seguito, di collegare al
primo un estremo di un conduttore flessibile di rame isolato (chiamato filo, comunemente, chiamato cordina dagli installatori elettrici, nonché cavo unipolare isolato e senza guaina dalla normativa tecnica), e
di portarne l’altro estremo a uno dei poli di una lampadina a filamento (del tipo da fanalino di bicicletta);
si supponga, infine, di collegare tra loro, mediante un secondo conduttore identico al succitato, i due poli
restanti: quello negativo della pila e l’altro della lampadina (per chi non lo sapesse, quest’ultima, se “classica”, ha due poli, pertanto rientra nella categoria dei cosiddetti bipoli; passivi aggiungo per la precisione;
passivi, in quanto sono in grado solo di assorbire energia elettrica e non di generarla; i generatori di energia a due poli, invece, sono detti bipoli attivi. E questi due poli come si riconoscono? Nel caso di una
lampadina “classica” - di quelle che si avvitano, per intenderci – uno è la “vite”, l’altro è il “bitorzolo
metallico e tondeggiante” alla “base” della lampada stessa.).
Che succede al circuitino della nostra fantasia? Succede che il polo negativo della pila spinge elettroni
lungo il filo, verso il polo opposto. Gli elettroni, siccome hanno tutti carica dello stesso segno (negativa,
ricordo), si respingono; semplificando: ciascuno è premuto verso il polo positivo dagli elettroni retrostanti
e calca a sua volta quelli che gli stanno innanzi; inoltre il polo positivo attrae gli elettroni; e non appena
gli arrivano appresso li “fagocita”. Gli elettroni appena “divorati” si uniscono a ioni positivi, neutralizzandone la carica; all’interno della pila, la conduzione è ionica: ioni positivi, neutralizzati dagli elettroni
or ora giunti, si attaccano – o precipitano vicino - al polo omonimo (detto anodo); ioni positivi si staccano
dall’altro polo (detto catodo), liberando uno o più elettroni che diventano i “veicoli” della circolazione
esterna su descritta. Gli elettroni attraversando il filamento della lampadina lo riscaldano fino
all’incandescenza; e così: fiat lux.
Non è ancora finita. Pensate all’autostrada: siamo in piena estate, è mezzogiorno, il sole spacca le pietre;
scorre un’auto qua e un’auto là. Noi stiamo pranzando nel ristorante di un modernissimo autogrill, e
guardiamo le auto passare; per gioco, nell’attesa che un nostro amico ci porti i caffè che è andato a ordinare, contiamo quante macchine in viaggio nella nostra direzione ci passino davanti al naso ogni minuto:
questa è l’intensità della corrente. Per l’esattezza è l’intensità del traffico, tuttavia per definire quella della
corrente si procede in modo analogo. Si pensi al filo di dieci - venti righe fa; si scelga un punto lungo
detto filo (una sezione trasversale, bisognerebbe scrivere) e si contino gli elettroni in viaggio verso il polo
positivo che, ogni secondo, oltrepassano quel punto: se questi fossero 6.242.197.253.433.208,… (ossia
circa sei milioni di miliardi: è la quantità di elettroni costituente un coulomb) si direbbe che l’intensità
della corrente è 1 A (un ampere); se fossero la metà, sarebbe mezzo ampere; se fossero il doppio, due
ampere; etc.
La corrente si dice continua1, quando la sua intensità è costante nel tempo e lungo il filo; ossia quando,
ogni secondo, la carica attraversante la sezione osservata è sempre dello stesso valore, e non muta nel
passare da una sezione osservata a un’altra (in questo caso si dice che il moto delle cariche è stazionario).
La corrente si dice alternata, quando il moto delle cariche è “pendolare”: dopo aver percorso un tratto di
filo in un verso, “innestano la retromarcia” e viaggiano in verso opposto, per poi invertire nuovamente la
rotta e così via.
Ritornando ai bipoli summenzionati: la lampadina dell’esempio è un bipolo, ma anche il tratto di circuito
(il filo) che unisce il polo negativo della pila alla “vite” della lampada lo è, e così pure il filo rimanente
1
La corrente può anche essere pulsante unidirezionale; questo avviene quando, rispetto al tempo, il verso del moto delle cariche è costante, ma l’intensità della
corrente varia.
2
che unisce il “bitorzolo metallico” della medesima al polo positivo del generatore. E il tratto che resta togliendo la pila, cioè la serie: “filo – lampada – filo”? Non ha un ingresso (collegato al polo negativo) e
un’uscita (connessa al polo positivo)? Certo che li ha! quindi è un bipolo. E se anziché una sola lampada
ce ne fossero 4 o 5 o più, collegate in qualche modo fra loro, mediante 8 o 10 o più fili, e il tutto avesse un
ingresso e un’uscita, si tratterebbe sempre un bipolo? Senza dubbio!
Nei bipoli alimentati da una pila o una batteria (come quella dell’automobile), la corrente è continua,
nonché prodotta dal fenomeno elettrochimico sopra esposto per sommi capi; la cosiddetta “dinamo” della
bicicletta, invece, genera corrente alternata (tant’è che il nome dinamo andrebbe sostituito da alternatore,
in quanto la dinamo vera e propria è un generatore di corrente continua) grazie al fenomeno
dell’induzione elettromagnetica, che non Vi spiego in quanto non necessario allo scopo di questo libricino. Mentre in un generatore di corrente continua la collocazione dei poli è fissa nel tempo, in un generatore di corrente alternata avviene una continua inversione dei medesimi, per determinare l’alternarsi
della “marcia” e della “retromarcia” delle cariche.
Ancora un concetto: il verso convenzionale della corrente.
In un bipolo metallico alimentato da una pila o, più genericamente, da un generatore di corrente continua,
la corrente elettrica è, come già spiegato, uno spostamento di elettroni che procede nel verso dal polo negativo a quello positivo; tuttavia, per una convenzione legata a ragioni storiche, ci si esprime, nel trattare
“questioni elettriche”, assumendo che la corrente sia uno spostamento di cariche dal polo positivo al negativo: questo verso di percorrenza è chiamato, nei testi di fisica e di elettrotecnica, verso convenzionale
della corrente. Si tratta di una regola ininfluente sulla risoluzione dei problemi di elettrotecnica: una volta
determinato , secondo la suddetta convenzione, il verso della corrente in un bipolo metallico, quello vero
– nel caso interessi conoscerlo - è il verso opposto.
A questo punto, più o meno avrete capito che cosa sono la corrente elettrica e la sua intensità; passo
pertanto a spiegarVi la tensione.
È un po’ complicato! non so come iniziare! E nemmeno come procedere.
Potrei scrivere: «La tensione è una grandezza fisica che si misura tra due punti dello spazio, scelti liberamente, ed è pari alla differenza tra i valori che il potenziale elettrico assume in tali punti. Il potenziale
elettrico è una grandezza scalare il cui opposto del gradiente è il campo elettrico; pertanto risulta definito
a meno di una costante addizionale arbitraria. La tensione, invece, non dipende da detta costante.»
Oppure: «La tensione misura il lavoro compiuto dalle forze del campo elettrico per trasportare una carica
di 1 C (cioè un coulomb) da un punto all’altro del campo stesso.»
Ma forse è meglio che segua un’altra strada.
La tensione si misura in volt (simbolo V) e si rileva sempre fra due punti: ad esempio, gli estremi del filo
di andata del circuito di prima, oppure i poli della lampadina, o quelli di un generatore, etc.
La tensione ai capi di un determinato bipolo è un indice della forza motrice (per chi non lo sapesse, motrice significa: “che determina movimento”) che mediamente agisce sulle cariche elettriche interne al medesimo, spostandole.
3
Oltre alla forza motrice, le cariche in movimento sono soggette a un’azione frenante – espressa mediante
un parametro detto resistenza elettrica (anche solo resistenza) che si misura in ohm (simbolo Ω ) - dovuta alle caratteristiche proprie della materia in cui scorrono, e proporzionale:

direttamente alla lunghezza del tragitto,

inversamente alla sezione attraversata.
Una relazione lega la resistenza di un bipolo, la tensione presente ai suoi capi, e l’intensità della corrente
(nel gergo degli elettrotecnici, anche solo corrente) che lo attraversa:
1. R = V/I;
2. I = V/R;
3. V = R·I.
Ciascuna delle formule – tra loro intercambiabili – costituisce la Legge di Ohm. Una legge fisica è una
relazione matematica tra grandezze fisiche ottenuta interpolando (parola difficile: scusate!) i risultati di
osservazioni (quando possibile, di fenomeni “scatenati” in laboratorio e riproducibili2) – ossia non
determinata usando esclusivamente l’intuizione e la ragione – e, in osservanza al principio di falsificazione di Popper, valida – come la teoria di cui è parte - fino a che prova contraria3 non la confuti. Una
grandezza fisica è un ente dotato di unità di misura; sono grandezze fisiche: la lunghezza, che si misura ad
es. in metri; il tempo, che si misura ad es. in secondi; la velocità, che si misura ad es. in metri al secondo; etc. La misura di una grandezza fisica è un numero indicante quante volte occorre prendere l’unità
di misura per rappresentare la grandezza stessa.
Lampadine, e - più in generale – bipoli, in serie
Nell’esempio di qualche pagina fa, ci sono tre bipoli passivi collegati tra loro nell’ordine: filo, lampada,
filo; l’ingresso del primo è collegato al generatore, l’uscita invece è collegata all’ingresso del secondo,
l’uscita di quest’altro è connessa all’ingresso del terzo; l’uscita di quest’ultimo è unita al polo restante del
generatore. Il collegamento dei tre bipoli è detto collegamento in serie. Il risultato di un collegamento in
serie è un bipolo avente resistenza elettrica pari alla somma di quelle dei singoli bipoli componenti: si
tratta di una proprietà importante, grazie alla quale, ad es., la formula n. 2 di cui sopra si può riscrivere:
2bis. I = V/(R1+…+Rn).
Da questa relazione si vede che aggiungendo un bipolo a una serie di bipoli, la corrente che attraversa la
serie si riduce (perdonatemi le ripetizioni lessicali!): si tratta di una proprietà importante che tornerà utile
in seguito.
2
Riproducibile significa che se venisse rifatto nello stesso modo, si otterrebbero i medesimi risultati.
Secondo Popper, una teoria per essere scientifica dev’essere formalmente disposta alla confutazione; questo vuol dire non che dev’essere incoerente, ma
che deve permettere l’esistenza di esperimenti o di osservazioni, anche ipotetici/che, in grado di confutarla. Attenzione: parlo di teorie falsificabili, non false!
Esempio. Se una teoria affermasse che nei dieci anni successivi al 2003, il giorno di ferragosto pioverà, sarebbe falsificabile: basterebbe che una volta non
piovesse e risulterebbe falsificata; ma non da buttare: semplicemente da correggere, in modo che divenga meno imprecisa. Se invece affermasse, sempre riferendosi allo stesso periodo e allo stesso giorno, che pioverà oppure non pioverà oppure piovigginerà, comunque fossero le condizioni atmosferiche, la teoria
prevederebbe sempre il vero: questa sarebbe non falsificabile, ossia non scientifica.
Non tutta la comunità scientifica condivide pienamente questa posizione, ma non ne scrivo perché non sono un epistemologo e… lascio a voi le conclusioni.
3
4
CAPITOLO II
Scrittura corretta delle unità di misura
Dura lex sed lex. Ebbene, in fatto di unità di misura, anche il Legislatore italiano si è espresso - per ben
due volte (DPR 802/82 e DM 29.1.01) – sia stabilendo le unità (non solo elettriche) e i prefissi da utilizzare nei documenti ufficiali, sia indicandone simboli e nomi.
Pure il Normatore CEI (vedere il capitolo dedicato anche al Comitato Elettrotecnico Italiano) si è pronunciato con un norma dedicata ai simboli letterali e alle unità di misura elettriche: Norma CEI 24-1.
Da tutte queste pubblicazioni scaturisce che di ogni unità di misura così come di ogni prefisso si distinguono nome e simbolo. Per chiarire quello che sto scrivendo, passo subito a un esempio didascalico, riferendomi a una grandezza comunemente familiare: la lunghezza.
La sua unità di misura – legislativa e normativa, ovviamente! - si chiama metro (questo è il nome); il
simbolo è la lettera emme minuscola: m; uno dei suoi multipli è il kilometro (nei documenti tecnicoscientifici, il nome corretto si scrive con la k), il cui simbolo è km (la lettera k – minuscola, ripeto:minuscola, sempre minuscola! – è il prefisso, che si chiama kilo e rappresenta il fattore di moltiplicazione 103: un kilometro equivale a mille metri ).
Un’altra grandezza, probabilmente sconosciuta ai più, è l’illuminamento.
Si misura in lux, unità di misura che ha il nome appena scritto e simbolo lx. Notate bene, in questo caso
specifico, è molto diffuso l’impiego (errato!) del nome al posto del simbolo: si trovano spesso scritture
tipo 15 lux – sbagliata – al posto di 15 lx, corretta.
Vediamo alcuni esempi di scrittura corretta, per spiegare altre regole e riassumere quelle esposte:
1. quindici lux (il numero non è in cifre, quindi l’unità di misura è espressa mediante il nome,
scritto con tutti caratteri minuscoli);
2. l’unità di misura dell’illuminamento è il lux (l’unità di misura è espressa mediante il nome
scritto con tutti caratteri minuscoli, siccome non è preceduta da un numero in cifre);
3. 15 lx (il numero è in cifre, quindi l’unità di misura è espressa mediante il simbolo; questo segue
– così dev’essere – il numero; il simbolo non è seguito da un puntino);
4. … l’illuminamento medio misurato è 20 lx. Da questo valore scaturisce che… (il simbolo è seguito da un puntino, in quanto è alla fine della frase);
5. 50 klx, duecento kilolux (il prefissi k e kilo sono - e devono essere - scritti con caratteri minuscoli);
6. non di tutti i prefissi indicanti multipli o sottomultipli decimali delle unità di misura, il simbolo
si rappresenta mediante una lettera minuscola: esclusivamente dal mega – simbolo M, fattore
moltiplicativo 106 – in su, si utilizzano, per il simbolo, solo per il simbolo, lettere maiuscole;
5
7. cambiamo grandezza fisica: cento volt (i nomi delle unità di misura derivanti da un nome proprio sono invariabili al plurale; sono consapevole che lo sanno tutti, ma repetita iuvant: volt deriva da Alessandro Volta, l’inventore della pila).
Gli ultimi esempi:

15 kA = quindici kiloampere (= quindicimila ampere);

8 V = otto volt;

7 m Ω = 7 milliohm (= sette millesimi di ohm).
6
CAPITOLO III Sistemi elettrici
S’immagini di avere tre generatori di corrente elettrica, tre bipoli attivi, collegati fra loro nel modo di seguito descritto.
Chiamiamo Ni ed Fi gli estremi di ogni generatore(i = 1, per il gen. 1; i = 2, per…; etc.); colleghiamo insieme tutti gli Ni in un punto che “battezziamo” N, lasciando liberi i tre Fi che disporremo ai vertici di un
triangolo equilatero, con il punto N al centro.
In altre parole(reperita iuvant): colleghiamo tra loro – in un punto che chiamiamo N - gli estremi N1, N2,
N3. Per ragioni puramente didascaliche, disponiamo l’insieme in modo se guardato “da lontano” abbia la
forma di una Y: il punto N sia al centro, gli estremi restanti – che chiamiamo F1, F2, F3 – siano ai vertici
della Y. Il risultato si chiama collegamento a stella di tre generatori.
Adesso scriverò concetti difficili solo per completezza (potete anche non leggerli: fate vobis); sarò sintetico, prometto: «I tre generatori non si potranno scegliere a caso, dovranno avere le seguenti caratteristiche: produrre tutti identica tensione alternata sinusoidale; le tre forme d’onda sinusoidali dovranno essere
isofrequenziali, ma sfasate l’una rispetto alle altre di un terzo di periodo.» Fine della parte difficile.
L’ oggettino ottenuto, nel suo insieme, costituisce un generatore elettrico trifase. I tre estremi F1, F2, F3
si chiamano fasi e vengono nella letteratura (solitamente), non so se anche nella normativa, indicate con
le lettere maiuscole R, S, T. Il punto N si chiama neutro; anche centro stella, nella letteratura, non so se
pure nella normativa. Curiosità: esiste altresì il collegamento a triangolo di generatori, che non ha il neutro, e del quale non scriverò nient’altro.
Un generatore elettrico trifase non è un bipolo - ovv.! – ma un tripolo; nel caso al neutro sia collegato un
conduttore, utilizzato per l’alimentazione di carichi elettrici (cioè lampade, motori, frigoriferi, nonché
qualsiasi apparecchiatura che necessiti di energia elettrica) diventa un tetrapolo; in questo caso si parla di
neutro distribuito e tale conduttore è detto “conduttore di neutro”.
Il neutro, ossia il punto N (non il conduttore di neutro), può essere isolato da terra – cioè non collegato a
terra – oppure collegato, direttamente o tramite un bipolo (bobina di Petersen, che non Vi spiegherò).
Collegato a terra vuol dire: connesso al terreno locale, tramite un opportuno impianto, detto “di terra”,
che prevede un sistema dispersore (dispersore in quanto preposto a disperdere corrente nel terreno) in intimo contatto con il terreno stesso: ad es., un conduttore cordato (una cordina anzi una “cordona” multifilare) di rame non isolato, avente sezione pari a 35 mm2, interrato a una profondità di 50 cm e disposto
ad anello tutt’intorno all’edificio contenente il generatore.
Nei casi che tratterò in questo libretto, i generatori sono collegati a stella e il neutro a terra (le eventuali
eccezioni saranno evidenziate): si tratta di un sistema chiamato, nella letteratura nonché nella normativa
tecnica, TT oppure TN. In ciascuna di queste coppie di lettere, il primo carattere alfabetico indica lo stato
del neutro (che è collegato a terra), il secondo indica lo stato delle masse (concetto spiegato in un capitolo
successivo), le quali:

sono (debbono essere, in caso contrario) collegate a un proprio impianto di terra, isolato e indipendente da quello del neutro, se il carattere è T;
7

sono (debbono idem c.s.) collegate al neutro, se il carattere è N.
Esistono inoltre i Sistemi IT, che hanno neutro isolato e masse a terra; infine ci sono i Sistemi IT medicali che tratterò in un capitolo più in là.
Nei casi che tratterò – in quasi tutti, almeno – non ci sono tre generatori collegati a stella, ma quasi.
Quasi? Quasi che cosa? Per dirla con parole difficili (scusatemi!): ci sono i tre avvolgimenti secondari di
un trasformatore trifase, collegati a stella e, qualora il sistema sia TT o TN, con il neutro a terra. Il tutto si
trova su palo o in un piccolo edificio in muratura costituendo quella che prende il nome di cabina elettrica. Per i nostri scopi, il tutto va come se ci fossero tre generatori.
Il trasformatore è una macchina elettrica statica (non ci sono parti in movimento per ragioni funzionali)
costituita da due circuiti – detti primario e secondario (anche: avvolgimenti primari e secondari)- separati
sul piano elettrico (nessun collegamento elettrico li unisce), ma vincolati su quello elettromagnetico. I due
circuiti sono avvolti su di un nucleo di materiale ferromagnetico, costituito non da un blocco unico ma da
tanti fogli di lamiera opportunamente sagomati e pressati l’un contro l’altro. Le correnti che circolano negli avvolgimenti primari sono legate a quelle degli avvolgimenti secondari dal fenomeno della mutua (ossia reciproca) induzione. Il trasformatore è utilizzato per modificare i parametri della potenza elettrica –
che sono la tensione e la corrente – lasciando la potenza elettrica inalterata (o quasi: l’1% circa si perde in
vibrazioni meccaniche dei lamierini e in calore). Ho scritto che è una macchina elettrica statica, ma avvicinandovisi si avvisa un rumore: è la vibrazione dei lamierini, non necessaria per scopi funzionali, ma
purtroppo inevitabile.
Dalle tre uscite F1, F2, F3 e dal neutro partono i conduttori (c’è tutto un sistema di protezione che non Vi
spiego) che portano l’energia elettrica all’utenza, ad es. alle nostre case o al nostro luogo di lavoro.
Per ora non aggiungo altro di questo argomento; troverete le integrazioni sparse nei restanti capitoli.
8
CAPITOLO IV Effetti della corrente elettrica sul corpo umano
La corrente elettrica, fluendo nel corpo umano, può arrecare danni all’udito; alla vista; può determinare
alterazioni permanenti nel sistema cardiaco, nell’attività cerebrale, nel sistema nervoso centrale; può innescare la fibrillazione atriale, la fibrillazione ventricolare, l’arresto della respirazione; può produrre
ustioni; può contrarre la muscolatura della mano fino a impedire il rilascio della parte in tensione che
eventualmente si stesse afferrando (contrazione tetanica); può, al contrario, se è d’intensità superiore ai
livelli cui corrisponde la contrazione tetanica, provocare un’energica reazione del muscolo con conseguente distacco della persona dalla parte elettrificata; può…
Il 90% delle morti per folgorazione è dovuto alla fibrillazione ventricolare, il 6% all’arresto della respirazione; il 4% restante non so: magari all’azione combinata di questi due effetti o alla caduta da una scala
mentre si “sfugge” alla scossa, o…
Il cuore (detto anche miocardio, ossia muscolo cardiaco) è una “macchina” elettro-idraulica (forse bisognerebbe scrivere elettro-ematica, giacché il sangue non è acqua); al suo interno è presente un generatore
d’impulsi elettrici (il nodo senoatriale) il quale, a intervalli di tempo regolari, stimola (e contrae) le fibre
muscolari dei ventricoli (fibrille), determinando la sistole ventricolare che “pompa” il sangue nel sistema
arterioso.
La fibrillazione ventricolare è un’interruzione di questo meccanismo, caratterizzata da contrazione caotica
delle fibrille: cessa l’attività del cuore, la circolazione sanguigna s’interrompe; nell’arco di circa tre minuti si manifestano danni irreparabili al cuore e al cervello (si può prolungare questo tempo con il massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca); il fenomeno non si estingue con l’allontanamento
dell’infortunato dalle parti in tensione: è irreversibile, a meno che non s’intervenga tempestivamente sul
malcapitato con un apparecchio che si chiama defibrillatore; soltanto così lo si può salvare (in assenza di
defibrillatore si può tentare una defibrillazione meccanica con un forte colpo sul torace, ma la percentuale
di successo è nulla o quasi).
L’arresto della respirazione, invece, entro tre–quattro minuti, determina danni irreversibili al cervello e la
morte per asfissia; rimedio: respirazione bocca a bocca tempestiva.
Dalla ricerca scientifica sugli effetti della corrente elettrica nei riguardi del corpo umano, è emerso che
essi dipendono:

dall’intensità della medesima;

dal tempo per cui fluisce nel corpo;

dal percorso che segue all’interno dell’organismo;

dalla natura della corrente stessa: corrente continua; corrente impulsiva; corrente alternata sinusoidale (in quest’ultimo caso è determinante la frequenza); etc.;

dalla densità nei punti contatto (intensità della corrente diviso area della superficie di contatto) per
quel che riguarda il rischio che ustioni la pelle.
9
Riguardo agli effetti della corrente continua e della corrente alternata sinusoidale, sono state individuate
tre soglie o, meglio, tre curve-soglia (rispettivamente: soglia di percezione4 indicata con la lettera “a”,
curva di tetanizzazione5 indicata con la lettera “b”, e soglia di fibrillazione ventricolare6 indicata con la
lettera “c1“) le quali, nella rappresentazione cartesiana corrente-tempo, dividono il quadrante che le contiene in quattro zone (dette zone di pericolosità della corrente in relazione al tempo).
Le curve sono state determinate riferendosi ai polpastrelli delle mani, per misurare la soglia di percezione,
e al percorso mano sinistra-piedi7 per determinare sia la soglia sia le curve isoprobabilità di fibrillazione
ventricolare; è stato inoltre studiato il modificarsi delle curve inerenti alla fibrillazione in base al tragitto
interno al corpo (sono stati presi in rassegna i percorsi8: mani-piedi, mano-mano; mano sinistra-torace,
mano sinistra-dorso, mano sinistra-regione glutea, mano sinistra-piede destro, mano sin.-piede sin, mano
sin.-piedi; idem per la mano destra). Nel caso della corrente alternata, le curve sono state ottenute in riferimento all’intervallo di frequenza 15÷100 Hz; è stato anche individuato il loro modificarsi al crescere
della frequenza.
Ho parlato di probabilità; forse non tutti sanno che cosa sia. Nel presente contesto, la probabilità è stata
valutata mediante il cosiddetto approccio frequentistico (che è un approccio a posteriori), mediante il
quale si definisce la probabilità di un evento pari alla frequenza relativa con cui l’evento si è verificato nel
corso della sperimentazione, o della casistica nel passato fino al presente. Esempio: dire che la probabilità
di fibrillazione ventricolare, con una determinata coppia di valori “corrente, tempo”, un determinato percorso e una certa frequenza, è del 40% significa che sperimentando su animali con sistema cardiovascolare simile all’uomo, con quella corrente, quel tempo, quel percorso e quella frequenza, nel 40% delle
volte si è innescata la fibrillazione ventricolare, nel 60% no.
Le zone di pericolosità della corrente al variare del tempo sono state determinate riferendosi a permanenze della corrente maggiori o uguali a 10 ms: a tempi inferiori corrispondono le cosiddette correnti impulsive. Si ha corrente impulsiva, ad esempio, quando nel corpo umano si scarichi un condensatore in
meno di 10 ms. Anche per le correnti impulsive sono state determinate curve corrente-tempo: non Ve le
spiego, ma Vi assicuro che fino a grosso modo 700÷800 mA (repetita iuvant: entro 10 ms) non c’è rischio
di fibrillazione ventricolare, idem quando si “becchi” la scossa da un condensatore carico a una tensione
inferiore a 1kV (repetita repetita repetita…iuvant: entro 10 ms).
4
È il più piccolo valore di corrente cui corrisponde una sensazione; non dipende dal tempo per cui fluisce nel corpo e, se relativa alle dita di una mano, vale
0,5 mA.
5
Detta curva riproduce il legame tra il più elevato valore di corrente che permette il rilascio della parte in tensione che si avesse in mano e dalla quale provenisse la corrente parte in causa e il limite di tempo oltre il quale il rilascio è impedito. Il minor valore di corrente associato a questa curva – detto corrente di
rilascio o soglia di rilascio - è 10 mA per le donne, 15 mA per gli uomini. Entro questi limiti, donne e uomini riescono a rilasciare la presa in qualsiasi momento. La curva di tetanizzazione è riferita cautelativamente alle donne: per gli uomini, come appena scritto, avrebbe avuto valori di corrente un poco più elevati. Appena oltre 10 mA (ad es., 10,0001 mA), si hanno due secondi di tempo per “sfuggire” alla presa, poi si resta appiccicati; a 50 mA, il tempo limite per
lasciare la presa scende a circa 120 ms; a 200 mA, vale soltanto 10 ms: è pressoché un attimo.
6
Si tratta, scusate la ripetizione, di una curva corrente-tempo che a ciascun valore di corrente associa il tempo limite entro il quale è nulla la probabilità di
fibrillazione ventricolare, a partire da grosso modo 40÷45 mA; sotto questo limite, la probabilità è costantemente nulla nel tempo; sopra è nulla entro un tempo
massimo che decresce all’aumentare della corrente (esempi: a 45 mA, il tempo massimo è circa dieci secondi; a 100 mA, grosso modo mezzo secondo; a 500
mA, vale 10 ms).
7
Nel caso della corrente continua, ci si è riferiti al verso ascendente (ricordate il VERSO CONVENZIONALE?) – polo positivo ai piedi, negativo alle mani
– pericoloso il doppio di quello opposto: a parità di probabilità di fibrillazione e di tempo di percorrenza, la corrispondente corrente piedi –mani è la metà di
quella relativa al verso opposto.
8
Ai percorsi mani-piedi, mano sinistra-piedi, mano sin.-piede sin., mano sin.- piede des. corrispondono le stesse curve di iso-probabilità d’innesco della
fibrillazione ventricolare; ai percorsi mano sinistra-torace e mano destra-torace competono curve di iso-probabilità d’innesco del fenomeno spostate a sinistra
rispetto alle precedenti, nel quadrante corrente – tempo (si tratta pertanto di percorsi più pericolosi nei confronti di tale manifestazione: a parità di tempi e di
probabilità d’innesco corrispondono correnti meno intense); le curve in relazione ai restanti percorsi sono invece a destra di quelle abbinate ai primi quattro: a
parità di tempi e di probabilità d’innesco della f.v., le correnti sono più elevate e i percorsi, pertanto, meno pericolosi.
10
Le quattro zone di pericolosità succitate nel quadrante corrente-tempo
Zona 1. È quella a sinistra della curva-soglia di percezione (curva a): tempo qualsiasi, ma non inferiore a
10 ms, corrente inferiore a 0,5 mA; in questa zona, abitualmente, non si hanno reazioni.
Zona 2. È quella compresa tra la curva-soglia di percezione (curva a) e la curva di tetanizzazione (curva
b): tempo qualsiasi, ma non inferiore a 10 ms, per correnti nell’intervallo 0,5 ÷ 10 mA; tempo
che scende fino a 10 ms, per correnti che crescono da 10 a 200 mA: in questa zona si percepisce
la corrente ma, abitualmente, non si hanno effetti fisiologicamente pericolosi.
Zona 3. È quella compresa tra la curva di tetanizzazione (curva b) e la curva di fibrillazione descritta
(curva c1) nella nota 5: in questa zona, abitualmente non si manifestano danni organici; i traumi
che si possono presentare sono in genere reversibili: tra questi, l’arresto cardiaco provvisorio e
la fibrillazione atriale.
Zona 4. È quella oltre la curva di fibrillazione ventricolare: ai fenomeni della zona 3 si aggiunge la probabilità che s’inneschi la fibrillazione ventricolare, che si manifestino gravi ustioni e arresto respiratorio; questa probabilità cresce con la corrente e con il tempo. Esempi: la corrente di 100
mA non innesca la fibrillazione ventricolare, se fluisce nel corpo per meno di 500 ms; ha la probabilità d’innescarla del 5% se fluisce per grosso modo 700 ms; la probabilità sale al 50%, se
fluisce per circa 1,8 s; etc. In corrispondenza di 200 mA, le stesse probabilità si raggiungono con
tempi minori; e così via.
Da tutte queste parole, si capisce (spero!) che un impianto elettrico dovrebbe essere protetto da dispositivi
che, in caso di folgorazione o di guasto che la favorisca, interrompano automaticamente l’alimentazione
elettrica, affinché nel corpo dell’infortunato - contingente o possibile - la corrente non fluisca per un
tempo maggiore di quello dato dalla curva di tetanizzazione (curva b); ossia in modo che la corrente di
un’eventuale folgorazione e la sua durata non cadano nelle zone 3 e 4.
La curva b dovrebbe essere adottata come curva di sicurezza per la realizzazione d’impianti, ai fini preventivi nei riguardi della folgorazione.
Dovrebbe, ma così non è. Per ragioni che non Vi spiego e che riguardano l’effetto che l’adozione di tale
criterio avrebbe avuto nel caso dei sistemi TN e IT, ci si è accordati in sede normativa internazionale su di
una curva intermedia alle b e c1, quindi localizzata nella zona 3, che è stata chiamata curva di sicurezza.
I sistemi di protezione, quindi, intervenendo nei limiti della curva di sicurezza proteggono l’utente di un
impianto dal pericolo mortale, ma non dallo shock elettrico, cioè dall’evento traumatizzante su descritto
che si può manifestare al di sopra della curva b.
11
CAPITOLO V
Contatti diretti e indiretti
Partiamo da alcune definizioni importanti per proseguire.
Massa
Parte conduttrice che può essere toccata (anche, ad es., per mezzo di una scala), appartenente a un impianto elettrico, non in tensione nelle condizioni ordinarie di funzionamento, ma che può andarvi in caso
di guasto all’isolamento principale.
Isolamento principale9
È l’isolamento che separa le masse dalle parti attive, al fine di prevenire la folgorazione.
Parte attiva
Parte conduttrice, appartenente a un impianto elettrico, in tensione nelle condizioni ordinarie di funzionamento; sono parti attive i conduttori di fase e di neutro; non è parte attiva il conduttore di neutro quando
sia usato anche come conduttore di protezione (in questo caso detto conduttore è chiamato PEN).
Isolamento funzionale
È l’isolamento utilizzato per scopi funzionali.
Massa estranea
Parte conduttrice, non appartenente all’impianto elettrico, che può introdurre negli ambienti di vita o di
lavoro un potenziale anche pericoloso, generalmente il potenziale di terra.
Intervallo didascalico
Ecco nuovamente introdotto il concetto di potenziale; cercherò di spiegarlo. Ho utilizzato più volte quello
di tensione indicandolo come indice della forza motrice che mediamente agisce sulle cariche interne al
conduttore cui detta tensione è applicata; avrei dovuto aggiungere, dopo la parola indice: «a parità di certe
altre condizioni, tra cui la lunghezza del percorso» o, più brevemente: «a parità di bipolo passivo che “subisce” tale tensione».
A parità di bipolo passivo, quindi di “strada” percorsa dalle cariche, il campo elettrico interno - che agisce
dinamicamente su ciascuna delle medesime in misura pari al prodotto della propria intensità per il valore
della carica stessa - varia (o meglio: la sua intensità varia) proporzionalmente alla tensione ai capi del bipolo: per ogni tensione c’è una determinata distribuzione interna di campo; se la tensione diventa n volte
più grande (o più piccola), tale diviene anche l’intensità del campo interno. L’azione del campo elettrico
sulle cariche è la forza che le muove.
La tensione tra due punti (ossia tra due sezioni trasversali) lungo l’asse longitudinale di un conduttore penso a una cordina - percorso da corrente è pari alla differenza tra i valori che il potenziale elettrico
9
Le definizioni di massa e di isolamento principale sono esempi di definizioni impredicative, ossia affette da vizio di circolarità: ciascuna necessita dell’altra
per essere completata, e così resta incompleta. In altre parole: per sapere che cosa sia la massa, occorre conoscere il concetto di isolamento principale, ma per
apprendere questo è necessario aver chiaro quello di massa. Tuttavia, nonostante tale impedimento formale, la sostanza dei due concetti si coglie – mi sembra
– abbastanza bene e a un livello sufficiente per utilizzarli.
12
assume nei due punti: chiamando questi A e B, e indicando il potenziale in essi con, rispettivamente, VA
e VB, la tensione tra i due punti è (VA - VB ) e viene indicata con VAB.
La tensione è una grandezza dotata di segno, infatti si ha:
VAB = (VA - VB ) = - (VB – VA ) = - VBA
È un po’ complicato, lo so!
A parità di tensione agli estremi della cordina, quella tra le sezioni A e B è univocamente determinata:
supponiamo che sia VA - VB =150 V.
Il potenziale, invece, è definito a meno di una costante addizionale arbitraria. Quanto vale VA? Non lo so!
Dieci, cento, cinquemila volt, etc.? È uguale! Ma, una volta stabilito che VA valga – che so? – ad esempio: 10937,745 V, il potenziale VB è determinato senza ambiguità: vale, nell’ipotesi di quattro righe sopra: 10937,745-150 = 10787,745 V.
Essendoci libertà di scelta del potenziale, ma non delle sue variazioni spaziali a parità di correnti e di resistenze (si ripassi la legge di Ohm), si assume convenzionalmente che il potenziale di terra sia zero volt.
Nel frangente in cui un’impianto di terra disperda corrente nel terreno (avviene, ad es., in caso di guasto
verso massa: è obbligatorio collegare le masse all’impianto di terra), il potenziale, a mano a mano che ci
si allontani dal dispersore, varia secondo un andamento asintotico (tende a un valore finito, con il tendere
all’infinito della distanza dal dispersore): per convenzione si assume questo limite pari a 0 V; il potenziale
negli altri punti si determina sommando algebricamente a zero la tensione tra il punto in cui si voglia conoscere il potenziale e “quello all’infinito”.
Ricapitolando: il potenziale di terra è 0 V all’infinito; in pratica, a una distanza dal dispersore di 4÷5 volte
la sua dimensione maggiore, si ritiene “raggiunto” l’asintoto.
Fine dell’Intervallo didascalico
Isolamento supplementare
Copio dalla Norma CEI 64-8. Isolamento indipendente previsto in aggiunta all’isolamento principale per
assicurare la protezione contro i contatti elettrici in caso di guasto dell’isolamento principale.
Doppio isolamento
Copio ancora dalla Norma CEI 64-8. Isolamento comprendente sia l’isolamento principale, sia
l’isolamento supplementare.
Isolamento rinforzato
Copio sempre dalla Norma CEI 64-8. Sistema unico di isolamento applicato alle parti attive, in grado di
assicurare un grado di protezione contro i contatti elettrici equivalente al doppio isolamento, nelle condizioni specificate nelle relative Norme (l’espressione “sistema unico d’isolamento” non implica che l’isolamento debba
essere costituito da un pezzo omogeneo. Esso può comprendere più strati che non possono essere provati singolarmente come
isolamento principale o supplementare).
13
Dopo le definizioni, passiamo alle spiegazioni
Immaginiamo che ci sia un apparecchio elettrico monofase, cioè un bipolo passivo che sia da alimentare
collegandolo al conduttore di neutro e a un conduttore di fase, ad es. il frigorifero: un apparecchio che
alimentiamo elettricamente collegandolo a una presa nella nostra cucina. Supponiamo inoltre che si tratti
di un apparecchio di classe I (apparecchio con le parti attive isolate, ai fini della sicurezza, solo tramite l’isolamento principale). Nella presa ci sono tre alveoli (i fori): quello centrale10 è collegato
all’impianto di terra (tramite un conduttore di colore giallo-verde che si chiama conduttore di protezione),
gli altri due sono collegati l’uno al neutro, l’altro alla fase. Per questi apparecchi esiste l’obbligo di collegare la massa (che in questo caso è l’involucro metallico del frigo) a terra: il collegamento avviene tramite il conduttore di protezione, che a sua volta è collegato (in cantina) al collettore (o nodo) principale
di terra. Quest’ultimo è un elemento dell’impianto che raccoglie i conduttori di protezione principali che
si diramano nell’impianto stesso, raccoglie i conduttori equipotenziali di cui Vi parlerò in seguito, ed è
collegato al dispersore di terra (insieme di picchetti o di conduttori cordati in intimo contatto con il terreno e tra loro elettricamente interconnessi: vedere cap. III) mediante un cavo unipolare sempre di colore giallo-verde chiamato conduttore di terra.
Supponiamo che si guasti l’isolamento principale e che il conduttore di fase entri in contatto con la massa.
Il sistema elettrico che alimenta le nostre case è un sistema TT, ossia il neutro in cabina è collegato ad un
proprio impianto di terra e le masse degli apparecchi nelle nostre case sono collegate all’impianto di terra
locale tramite la serie: conduttore di protezione - collettore principale – conduttore di terra – dispersore.
I due impianti di terra possono essere anche tra di loro molto distanti: tuttavia li separa il terreno che è un
conduttore. Ciascun dispersore ha verso il succitato “punto”11 a potenziale zero una propria resistenza
chiamata resistenza dell’impianto di terra. Il guasto parte in causa ha determinato il configurarsi di un
“anello”: il conduttore di fase è entrato in contatto con la massa; questa è collegata al dispersore di terra,
il quale è separato dal “punto” a potenziale zero da un tratto di terreno che ha una propria resistenza elettrica (la indichiamo con RT); dal “punto” a potenziale zero verso il dispersore del neutro c’è un tratto di
terreno la cui resistenza elettrica è quella verso terra dell’impianto dispersore del neutro (la indichiamo
con RN); siamo quindi arrivati al dispersore del neutro: in un attimo siamo al centro stella, il punto N. Tra
il centro stella ed il conduttore di fase c’è uno dei tre avvolgimenti del trasformatore (si rilegga il cap. III:
repetita iuvant). Il conduttore di fase che “nasce” all’uscita dell’avvolgimento giunge fino alle nostre case
chiudendo così l’anello. Questo è percorso da corrente alternata. Tra la fase e il neutro l’Ente Distributore
dovrebbe garantire 230 V (la vecchia tensione di 220 V dovrebbe essere stata portata negli ultimi anni al
valore di 230 V, in osservanza alla Norma CEI 8-6). Ogni tratto di circuito tra cui si annoverano anche le
10
Se aveste una presa schuko (chiamata anche tedesca), il collegamento a terra avverrebbe tramite due “mollette” laterali collegate al conduttore di protezione.
11
Non si tratta di un punto geometrico – per questo ho scritto la parola tra virgolette – ma di una fetta di terreno più o meno ampia dove il potenziale è costante.
14
due porzioni di terreno aventi resistenze RN ed RT è soggetto a una tensione pari al prodotto della sua resistenza per la corrente che l’attraversa. Consideriamo il tratto compreso tra la massa e il “punto” a potenziale zero: ci sono il conduttore di protezione, il conduttore di terra collegato al primo per il tramite del
collettore, il dispersore di terra e il terreno avente resistenza RT. Tutta questa serie è soggetta alla tensione
che c’è tra la massa e il “punto” a potenziale zero che si chiama tensione totale di terra. Una persona che
fosse in contatto con la massa e avesse i piedi in contatto con il terreno, si troverebbe soggetta ad una tensione tanto maggiore quanto più elevata fosse la distanza dei piedi dal dispersore ossia quanto più elevata
la vicinanza al “punto a potenziale zero”. Se poi la persona avesse i piedi in contatto con questo “punto” o
toccasse ad esempio una conduttura idrica o del gas passante per (e in buon contatto con) tale “punto”, si
troverebbe sottoposta alla tensione totale di terra.
Ricapitolando in parte e integrando
Gli edifici di civile abitazione sono in genere alimentati mediante un sistema elettrico trifase di tipo TT.
Da una cabina di trasformazione MT/BT (ossia: Media Tensione/Bassa Tensione; la media tensione si
aggira abitualmente intorno a 12÷15 kV) trae origine una linea (abitualmente in cavo) trifase con neutro
che porta, alla tensione di 400 V tra fase e fase (detta tensione concatenata) e di 230 V tra fase e neutro
(detta tensione stellata), l’energia elettrica a un gruppo di condominî (i vecchi valori di tensione 220 V e
380 V dovrebbero essere stati ormai sostituiti da questi). Nella nostra cantina, o nel sottoscala, arrivano
quattro conduttori: i tre di fase e quello di neutro. Lì si trova il contatore di energia elettrica trifase delle
parti comuni, a valle del quale ci sono gli impianti della centrale termica e/o dell’ascensore, che necessitano di alimentazione mediante le tre fasi, per i motori di sollevamento o di pompaggio, etc., ma ci sono
anche l’impianto d’illuminazione condominiale, dell’antenna centralizzata, citofonico e del cancello automatico, che sono monofasi (ossia alimentati da una coppia fase-neutro). Ci sono inoltre i vari contatori
delle utenze private: gli appartamenti, ma anche i locali adibiti ad attività lavorative (negozi, bar, autofficine, etc.); i contatori degli appartamenti sono monofasi, salvo rare eccezioni; gli altri, in base al tipo di
attività possono anche essere trifasi.
Prendiamo un appartamento tipo. Da un contatore monofase, partono un conduttore di fase e uno di neutro (isolati ovv.!) che arrivano al quadro generale dell’appartamento (una precisazione: l’impianto
dell’utente “nasce” a valle del contatore; prima è dell’Ente Distributore – ad es. l’ENEL; un’altra precisazione: l’ENEL non copre tutto il territorio nazionale: localmente ci sono anche altre aziende distributrici
e/o produttrici dell’energia elettrica, come l’AEM di Torino). Il quadro generale non è un’opera d’arte di
qualche pittore, ma un aggregato di interruttori automatici e/o non automatici e/o prese e/o spie luminose
e/o fusibili, etc., collegati all’impianto nonché disposti ordinatamente e rigidamente in un’opportuna scatola, fissata a (spesso incassata in) una parete.
Parallelamente ai due conduttori attivi, “viaggia” il conduttore di protezione giallo-verde (repetita iuvant:
proveniente dal collettore – detto anche nodo - principale di terra) che viene distribuito a tutte le prese
e al nodo equipotenziale supplementare sito all’ingresso della stanza da bagno/doccia (forse ne scriverò in
seguito) nonché agli apparecchi alimentati direttamente, e non per mezzo di una presa, che richiedessero
il collegamento a terra (ad es. certi apparecchi d’illuminazione o – che so? - ventilatori a soffitto, etc.).
Una precisazione: l’isolante che riveste il conduttore di neutro è di colore blu chiaro, per il conduttore di
fase la norma tecnica CEI non prescrive colori – insomma c’è libertà cromatica – ma è di alto uso
l’impiego dei colori nero, grigio, marrone.
15
Inseriamo altri concetti
Contatto diretto
È quello tra la persona e una parte attiva; direttamente, o mediante un oggetto (cacciavite, pinza, etc.).
Contatto indiretto
È quello tra la persona e una massa in tensione per un guasto all’isolamento principale.
Una parte conduttrice appartenente all’impianto elettrico, che può essere toccata, non in tensione
nelle condizioni ordinarie di funzionamento, ma separata dalle parti attive mediante l’isolamento
doppio o rinforzato non è una massa, siccome questa è, per definizione, separata dalle parti attive solo
dall’isolamento principale. Non è un gioco di parole! Attenzione! Non è un gioco di parole! È fondamentale riconoscere le masse dalle “masse apparenti” appena descritte, in quanto per le prime c’è
l’obbligo normativo (CEI 64-8) che siano collegate all’impianto di terra (tramite la serie, Vi ricordo!,
conduttore di protezione – collettore principale di terra – conduttore di terra – dispersore) per le seconde
c’è il divieto normativo (CEI 64-8), divieto! avete letto bene, che ivi siano collegate: questo perché è più
frequente (quindi più probabile: si rilegga la definizione frequentistica di probabilità a pag.11):

la trasmissione, alla massa di un apparecchio, di un potenziale pericoloso introdotto dal conduttore di protezione, a causa o di un guasto nella spina dell’apparecchio stesso (la spina è la parte
terminale del cavo che s’infila nella presa, per alimentare l’apparecchio) o di un guasto
all’isolamento principale di un altro componente elettrico avente la propria massa collegata al medesimo impianto di terra,
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
della trasmissione di un potenziale pericoloso a una “massa apparente” del tipo su descritto, a
causa di un guasto all’isolamento doppio o rinforzato, nell’apparecchio di cui essa è parte.
Riprendiamo la definizione di contatto indiretto.
È quello tra la persona e una massa in tensione per un guasto all’isolamento principale o tra una persona
e una “massa apparente” (di cui sopra) in tensione per un guasto all’isolamento doppio o rinforzato.
Precisazione importante: l’espressione massa apparente non esiste nella normativa, forse nemmeno
nella letteratura tecnica, è stata coniata dall’autore del presente opuscolo a scopo esplicativo.
Statistiche
L’infortunio elettrico da contatto diretto è più frequente di quello da contatto indiretto.
Il 57% (circa) degli infortuni elettrici sul lavoro è dovuto a contatto diretto, il restante 43% (circa) a
contatto indiretto.
La percentuale di infortuni elettrici mortali è invece simile nei due casi: i due tipi di contatti, di per sé,
sono grosso modo ugualmente pericolosi.
Con altre parole. Su 10000 persone che hanno subito sul lavoro un infortunio elettrico – statisticamente 5700 hanno avuto un contatto diretto, 4300 indiretto. A una parte delle 5700, l’infortunio è costato la vita:
supponiamo, a scopo didascalico, che siano 57, cioè l’1% (non conosco, mi dispiace, le percentuali reali);
in tal caso le persone morte per contatto indiretto sarebbero 43, ossia sempre l’1%.
Tirando le somme: una volta toccata una parte in tensione, la probabilità di lasciarci le penne è la stessa,
prescinde dal tipo di contatto.
Ritorniamo alle spiegazioni.
Sull’introduzione del potenziale
La massa estranea può introdurre un potenziale… Introdurre un potenziale non è come introdurre un “ente
galleggiante nell’aria” che può colpire qualcuno. La massa estranea è un corpo conduttore elettrico che
collega elettricamente, chiunque la tocchi, con – ad es. – il terreno in cantina (è il caso di un tubo del gas
o dell’acqua metallici; anche se, oggigiorno, è sempre più diffuso l’impiego di tubi in materiale plastico,
non conduttori, quindi non masse estranee) oppure con – ad es. – la massa del boiler (è il caso di una
conduttura idrica metallica) che si trova in cucina mentre NOI siamo in bagno e afferriamo il soffione
della doccia: nel primo caso, toccando la ma.estra. (ossia la massa estranea: detta abbreviazione non esiste nella normativa e nella letteratura, vale solo in questo libretto) si assume il potenziale del terreno; nel
secondo – qualora un guasto all’isolamento principale del boiler determini un contatto tra la fase e la
massa del boiler stesso – anche la ma.estra. (cioè il tubo che porta l’acqua calda in bagno), la quale è in
collegamento fisico, metallico, con quest’ultima, assume il potenziale di fase e lo trasferisce al soffione
che NOI stiamo afferrando.
Questo significa: “introdurre un potenziale”.
Esempi, esempi, ancora esempi, importantissimi esempi
17
In ambito domestico: frigorifero con la fase che va a massa e lavastoviglie con la massa che va al neutro
(in entrambi i casi per la rottura dell’isolamento principale).
Toccando con una mano il frigorifero e con l’altra la lavastoviglie, tra l’inizio del passaggio della corrente
di dispersione nel conduttore di protezione del frigo e l’apertura dell’interruttore differenziale si è sottoposti ad una differenza di potenziale tra le due mani pari alla tensione di rete, siccome - per il tramite
delle due masse - una mano tocca la fase, l’altra tocca il neutro.
La situazione si aggrava se i conduttori di protezione delle due apparecchiature sono interrotti o assenti,
in quanto la protezione fornita dall’interruttore differenziale si manifesta solo in presenza di una corrente
di dispersione verso terra, cioè quando si tocca il frigorifero. Cerco di spiegarmi meglio: un certo signore
indossa scarpe asciutte con la suola di gomma; la resistenza verso terra dei suoi piedi è più elevata - diciamo - di 10 kΩ, grazie alla gomma; ripeto: un nostro malcapitato amico sta toccando il frigorifero e la
lavastoviglie, inoltre è in contatto col terreno (attraverso la resistenza delle sue scarpe, la resistenza del
pavimento nonché di tutto ciò che è interposto tra il pavimento e il terreno) con una resistenza di almeno
10 kΩ. La corrente che lo invade trasversalmente (da mano a mano) è pari alla tensione tra fase e neutro
(230 V) diviso la resistenza elettrica (si ripassi la legge di Ohm) del suo corpo fra gli estremi dei due arti
prensili. Quest’ultima dipende dalla tensione a cui è soggetta e, a 230 V, vale grosso modo 1000 Ω. La
corrente trasversale è pertanto 230 mA: se l’amico non si stacca dalle parti in tensione in meno di quattro
decimi di secondo è a rischio di fibrillazione ventricolare; la probabilità di fibrillazione sale al 50% già
dopo otto decimi di secondo dal contatto. La corrente longitudinale (dalla mano che tocca il frigorifero –
cioè la fase - ai piedi) invece vale non più di 20 mA (230 V diviso 11 kΩ: ho considerato anche le resistenze delle scarpe, del pavimento, del corpo etc.). Questo valore è insufficiente a causare l’intervento
dell’interruttore differenziale da 30 mA che dovrebbe essere presente nelle nostre case subito a valle del
contatore. Quindi o il nostro amico ha la prontezza di staccarsi in qualche decimo di secondo o…
probabilmente… ci resta…
Intermezzo didascalico
Che cos’è l’interruttore differenziale (anche solo differenziale di qui in avanti)? È un dispositivo che si
dovrebbe trovare nelle nostre case, all’origine dell’impianto. Come si può intuire dal nome, misura una
differenza (osservando il sistema da un certo punto di vista, bisognerebbe parlare di somma algebrica, ma
lasciamo perdere…). Come Vi ho già spiegato, dal contatore dell’Ente Distributore (ENEL o AEM o…)
escono due conduttori: la fase e il neutro. Questi entrano nel quadro generale dell’appartamento, dove c’è
(si spera!) l’interruttore differenziale, e poi (a valle dei dispositivi di protezione, presenti nel quadro, tra i
quali si annovera – auspico! – il nostro int. diff.) si diramano nell’appartamento, attraverso altri conduttori
anche di sezione più piccola. In assenza di dispersioni verso terra lungo l’impianto, la corrente che
“esce”12 dal quadro attraverso la fase e quella che “ritorna” attraverso il neutro sono identiche: la differenza è zero ampere; in presenza di una dispersione verso terra, invece, tra, ad es., la fase e la serie
massa-impianto di terra o tra la fase e la serie persona-pavimento-terreno, o etc., non tutta la corrente
che “esce” dal quadro, grazie alla fase, “ritorna” attraverso il neutro: una parte entra nel terreno, si reca
alla cabina di trasformazione e, mediante l’impianto di terra del neutro, raggiunge l’avvolgimento secondario del trasformatore chiudendo il circuito. L’interruttore misura la differenza tra la corrente di fase e
12
L’energia elettrica è fornita dall’Ente Distributore in corrente alternata, alla frequenza di 50 Hz. Questo significa che ogni 10 ms s’inverte il verso delle
cariche elettriche in movimento lungo i conduttori; ossia, se in un determinato istante queste sono in viaggio dalla fase verso il neutro, 10 ms dopo saranno in
viaggio dal neutro verso la fase, e così via; ogni 10 ms c’è l’inversione, per un totale di cinquanta andi-rivieni al secondo: per un totale di 50 Hz. Per questo
motivo i verbi entra e ritorna sono scritti tra virgolette.
18
quella del neutro (tale differenza è pari all’intensità della corrente che “sfugge” nel terreno): se detta misura supera il livello d’intervento del dispositivo, questo automaticamente apre il circuito, altrimenti lascia le cose come stanno. Nelle nostre case, dev’esserci un interruttore differenziale avente livello
d’intervento pari a 30 mA, che intervenga entro il tempo corrispondente sulla curva di sicurezza a detto
valore.
Un interruttore differenziale da 30 mA o meno è comunemente chiamato salvavita: occorre precisare che
questo termine non compare nella Normativa Tecnica e nemmeno nella Legislazione, per di più trattasi di
un nome commerciale: si chiamano salvavita gli interruttori differenziali di una determinata Casa Costruttrice; quelli delle altre Case, del tutto equivalenti a questi sul piano della rispondenza alla normativa
tecnica e alla legislazione, non hanno detto nome, sebbene anch’essi siano comunemente chiamati così.
Fine dell’intermezzo didascalico
19
Ritornando al malcapitato signore di pag. 19
Se tale signore avesse i piedi nudi, a parità di altre condizioni, paradossalmente potrebbe aver salva la
vita: la corrente longitudinale, dispersa nel terreno dai piedi (attraverso la serie: piedi-pavimento-terreno
oppure, ad es., piedi-pavimento-tubo del gas-terreno), potrebbe – data la notevole riduzione della resistenza elettrica del percorso – superare 30 mA, determinando l’intervento dell’Int. Differenziale e quindi
l’annullamento del passaggio di corrente nell’infortunato, entro i tempi della curva di sicurezza.
Quest’esempio serve a spiegare che la folgorazione subita toccando insieme i conduttori di fase e di neutro non determina l’intervento del differenziale, siccome la corrente di neutro eguaglia quella di fase: dal
punto di vista dell’int. diff., il malcapitato che la subisse apparirebbe né più né meno come una lampadina
o un frigorifero o un televisore funzionanti correttamente. Si tratta, pertanto, di un infortunio molto pericoloso.
Lo stesso esempio spiega inoltre che la folgorazione tra fase e terra è assai meno pericolosa: se la corrente è maggiore o uguale a 30 mA, il differenziale interviene nei limiti della curva di sicurezza.
Break didattico
La resistenza verso terra dei piedi scalzi a contatto con il pavimento (che si misura come se i piedi fossero l’elemento dispersore - picchetto13 o corda interrata - di un impianto di terra) assume i valori minimi:

2 kΩ, a secco (piedi asciutti), pavimento di graniglia;

0,5 kΩ, a umido (umidità fra i piedi e il piano di calpestio), su graniglia o cemento.
In tutti gli altri casi esaminati dal Normatore (pavimenti di grès rosso, ceramica, marmo-cemento, marmo,
moquette, grès-ceramica, legno) si sono ottenuti valori più grandi: valore minimo a secco, 3 kΩ; valore
minimo a umido, 1 kΩ.
13
Il picchetto è un ... “chiodo” avente diametro (può avere anche sezione a croce) dell’ordine dei centimetri e lunghezza dell’ordine dei metri, che viene
conficcato nel terreno a suon di ... “martellate” (con una mazza) e collegato, mediante conduttori di terra, al collettore di terra e/o ad altri picchetti e/o alla
corda nuda interrata.
20
In assenza di pavimento, ad es. all’aperto, la resistenza verso terra dei piedi scalzi in contatto con il
suolo può anche essere inferiore all’ohm, ma generalmente i valori minimi non scendono sotto 140÷200
Ω. All’aperto, in un luogo di lavoro ove ci sia rischio elettrico (ad es. un cantiere edile), si debbono
usare idonee calzature con resistenza dell’ordine del megaohm; in ogni caso, anche le scarpe vecchie
e bagnate hanno, secondo il Normatore CEI, resistenza di almeno 1 kΩ.
In sede normativa, si è stabilito di assumere, cautelativamente, 1 kΩ per la resistenza a secco, 200 Ω per
quella a umido (verso terra, dei piedi nudi in contatto con il piano di calpestio: repetita iuvant).
Il Normatore ha individuato i luoghi dove si deve considerare che la persona abbia verso terra una resistenza elettrica di 200 Ω, al fine di scegliere i dispositivi automatici di protezione in modo che - in caso di
guasto che introduca tensioni verso terra pericolose - essi disattivino la linea facente capo al guasto, nei
tempi della curva di sicurezza.
Questi sono: cantieri edili; luoghi per il ricovero degli animali, negli ambienti zootecnici; locali adibiti a
uso medico in cui s’impieghino apparecchi elettromedicali con parti applicate, ma sia assente il rischio
di microshock.
Negli altri ambienti si considera che la resistenza sia 1000 Ω (nei locali medici con rischio di microshock,
il valore è 0,5 MΩ, ma per ora non ne scrivo; preciso soltanto che ivi il percorso pericoloso cui si riferisce
la resistenza non è “mani-piedi”, ma: “catetere cardiaco – cuore - qualsiasi altra parte del corpo”).
Perché tutto questo? Perché così è stato possibile ricavare, dalla curva di sicurezza “corrente – tempo”,
due curve di sicurezza “tensione-tempo”: una riferita alle condizioni particolari in cui i piedi scalzi della
persona hanno verso terra resistenza di 200 Ω, l’altra riferita alle condizioni ordinarie dove la resistenza
verso terra è 1000 Ω.
Cerco di spiegarmi meglio. La curva di sicurezza “corrente-tempo” associa a ogni valore di corrente il
tempo per cui essa può fluire nel corpo senza arrecare abitualmente danni organici (senza innescare certamente – certezza statistica, non assoluta! – la fibrillazione ventricolare, l’arresto respiratorio e gravi
ustioni); esiste un livello minimo, sotto il quale la corrente può attraversare il corpo “all’infinito” senza
produrre danni (Normatore dixit!), che vale grosso modo 23 mA (l’ho ricavato dalla curva di sicurezza che è in scala logaritmica - armato di righello, carta, penna nonché calcolatrice: prendete questo valore
con beneficio d’inventario).
Da questa curva, impiegando la legge di Ohm e la resistenza del corpo umano, si potrebbe ricavare una
curva di sicurezza “tensione-tempo”, che assocerebbe, a ogni valore di tensione applicata al corpo, il
tempo per cui essa può permanere senza causare abitualmente danni organici (idem c.s.): in tal caso, la
curva “tensione-tempo” sarebbe unica.
E allora perché le curve sono due? Sono due in quanto il Normatore, anziché riferirsi alla sola resistenza
del corpo, ha considerato la serie “mani unite - corpo - resistenza verso terra del corpo attraverso i piedi
scalzi ” determinando, grazie alla legge di Ohm e alla curva di sicurezza corrente-tempo, i tempi per cui
determinati valori di tensione applicati a tale serie sono tollerati senza danni organici (idem c.s.); e siccome le categorie ambientali, in cui la probabilità di folgorazione attraverso detta serie è maggiore che
attraverso un differente percorso nel corpo, sono due e si distinguono perché ciascuna ha una propria
resistenza dei piedi nudi verso terra, sono state ricavate due curve: una valida in condizioni particolari
(resistenza verso terra = 200 Ω), l’altra in condizioni ordinarie (res. verso terra = 1 kΩ). Esaminandole, si
scopre che la tensione verso terra (cioè – ripeto ancora! – tra il punto di contatto con la parte in tensione e
il luogo dei punti sul terreno entro il quale si può ragionevolmente ritenere concentrata la resistenza verso
terra della persona) tollerabile per un tempo “infinito” senza danni organici vale:
21

25 V, in condizioni particolari;

50 V, in condizioni ordinarie.
Questo comporta che gli impianti dovrebbero essere realizzati in modo da evitare il manifestarsi, in caso
di guasto, di tensioni verso terra più elevate di 50 V, in condizioni ordinarie, e di 25 V, in condizioni particolari.
Perché ho usato il condizionale “dovrebbero”? Perché contenere le tensioni verso terra, dovute a un guasto, entro questi limiti è improbabile, per ragioni che non spiego. Va da sé che se non si riescono a contenere le tensioni pericolose, si cerchi di contenere i tempi di permanenza delle medesime, entro la curva di
sicurezza: questo si riesce a fare, grazie ai moderni dispositivi di interruzione automatica
dell’alimentazione.
E se, in un ambiente dove vigono le condizioni ordinarie, la resistenza verso terra fosse maggiore di 1
kΩ? Nessun problema! Se si ricavasse una curva di sicurezza tensione-tempo riferita a queste nuove condizioni, si otterrebbe una curva simile all’altra (forse uguale) nella forma, ma spostata a destra rispetto a
quella, nella rappresentazione cartesiana: si otterrebbe una curva che associa, agli stessi tempi, tensioni
tollerabili più grandi e che associa, a parità di tensioni, tempi - per cui le stesse si possono tollerare - più
elevati. Si avrebbe di conseguenza una tensione limite inferiore più grande di 50V. Analoghi risultati si
otterrebbero se la corrente fluisse nel corpo lungo un percorso di resistenza maggiore di quella del tragitto
mani-piedi, ad esempio il tratto mano-mano, la cui resistenza è il doppio dell’altra14 (una folgorazione,
tramite il percorso mano-mano-terreno, avverrebbe, ad es., se la persona appoggiasse il palmo di una
mano al pavimento e con l’altro toccasse una massa - ad es. del frigo - in tensione per un guasto
all’isolamento principale).
Ricapitolando: un impianto, realizzato in modo che le tensioni pericolose e i relativi tempi di permanenza
non oltrepassino la curva di sicurezza a 1000Ω (cioè la curva di sicurezza e... basta), è normativamente
sicuro nei riguardi di un folgorato, quando la somma della resistenza verso terra e di quella del percorso
nel corpo sia non inferiore alla somma: “resistenza del percorso mani-piedi +1000Ω”.
E se la somma fosse più piccola, ad esempio perché con un piede si tocca il tubo dell’acqua che presenta
verso terra una resistenza di poche decine di ohm? Con un ragionamento analogo a quello appena esposto, si ricava che la tensione limite inferiore è meno elevata di 50 V e che i tempi per cui le stesse tensioni
si possono tollerare sono minori.
Identico ragionamento, mutatis mutandis, per gli ambienti in cui vigono le condizioni particolari.
Nuova ricapilazione: un impianto, realizzato in modo che le tensioni pericolose e i relativi tempi di permanenza non oltrepassino la curva di sicurezza specifica dell’ambiente in cui è installato, è normativamente sicuro nei riguardi della folgorazione lungo il percorso mani-piedi, a meno che non si tocchino
parti conduttrici estranee all’impianto elettrico che introducano il potenziale di terra per il tramite di una
resistenza inferiore al supermenzionato limite normativo (1 kΩ, negli ambienti in condizioni ordinarie;
200 Ω, negli ambienti in condizioni particolari).
14
In caso di folgorazione, il percorso trasversale è meno rischioso di quello longitudinale, anche per il fatto che al fine di avere la stessa probabilità di fibrillazione ventricolare ci vuole una corrente 2,5 volte più intensa.
22
Queste “parti conduttrici estranee all’impianto etc.” sono masse estranee (ripassarne la definizione a pag.
13). Per ridimensionare il rischio elettrico che la loro presenza comporta, si realizza il collegamento
equipotenziale principale vicino al loro punto d’ingresso nell’edificio (generalmente nelle parti comuni
della cantina) collegandole tutte al collettore (o nodo) principale di terra (vedere pag. 15) mediante cordine isolate di colore giallo-verde chiamate, in questo caso, non conduttori di protezione ma conduttori
equipotenziali, nonché connettendole, all’ingresso di particolari ambienti, quale ad es. il locale servizi
igienici con vasca da bagno o area doccia (in assenza di bagno o doccia il collegamento non è richiesto
dalla normativa), a un nodo equipotenziale locale, realizzando il cosiddetto collegamento equipotenziale
supplementare.
La Norma CEI 64-8 (il testo base per la progettazione e la realizzazione degli impianti in corrente alternata a tensione non superiore a 1 kV, nonché di quelli in corrente continua a tensione non superiore a 1,5
kV) richiede che al collettore principale di terra siano collegati:

il conduttore (o i conduttori) di protezione che si dirama (diramano) in tutto l’impianto per essere
collegato (collegati) ai morsetti di terra delle prese o alle masse degli apparecchi alimentati direttamente dalla rete (l’impianto elettrico visto nel suo complesso, a partire dalle centrali di produzione dell’energia, si chiama così), quali apparecchi d’illuminazione, condizionatori, ventilatori a
soffitto, etc.;
nonché le seguenti masse estranee:

i tubi dell’acqua, del gas e dell’impianto centralizzato di riscaldamento e/o di condizionamento;

le armature principali del cemento armato, se praticamente possibile;

l’eventuale struttura metallica dell’edificio.
Richiede inoltre che al nodo equipotenziale supplementare siano collegati:

in un locale con vasca da bagno o doccia, tutte le masse estranee (se entranti o presenti nel locale)
già collegate al collettore principale, più tutte le altre parti conduttrici estranee all’imp. elettrico
aventi resistenza verso terra non superiore a mille ohm, o anche con resistenza maggiore di questo
limite ma estese anche al di fuori del locale (ad es. una finestra metallica condivisa con altri locali);

in un locale a uso medico, tutte le masse estranee15 interne alla zona paziente16, tutti i morsetti di
terra delle prese anche se esterne a detta zona, tutte le masse degli apparecchi alimentati direttamente dalla rete e/o dal sistema IT-M (IT medicale)17 se presente;
Il collegamento equipotenziale, in caso di guasto, ridimensiona le differenze di potenziale tra le masse, tra
le masse estranee, nonché tra le masse e le masse estranee connesse al nodo. Ho scritto ridimensiona e
15
Tra queste si annoverano anche le parti conduttrici estranee all’impianto elettrico aventi resistenza verso terra non superiore a 200 Ω, nei locali medici ove
si usino apparecchi elettromedicali con parti applicate, ma sia escluso (e questo deve dichiararlo il responsabile medico: Norma CEI 64-8, sez. 710) il rischio
di microshock; il limite di resistenza sale a 500 kΩ quando sussista il rischio di microshock. Si annoverano altresì le eventuali finestrature metalliche condivise
con altri locali.
16
È la zona circostante il paziente della quale il Normatore ha dato le dimensioni, e in cui ritiene sia concentrato il rischio elettrico per il paziente stesso.
17
Sistema costituito da:

trasformatore d’isolamento, il cui schermo – se presente – dev’essere collegato al nodo eq. supp.;

estensione dei circuiti secondari limitata a un gruppo di locali – per contenere le capacità verso terra di tali circuiti;

dispositivo di controllo dell’isolamento collegato al nodo eq. supp.
23
non annulla, giacché ai capi dei conduttori equipotenziali percorsi dall’eventuale corrente di guasto si
manifesta – si ripassi la legge di Ohm! – una tensione (detta caduta di tensione).
Ricapitolando parzialmente e integrando
Le masse sono collegate al conduttore di protezione; i vari conduttori di protezione, attraverso un sistema più o meno ramificato, sono collegati al collettore principale di terra che, a sua volta, è collegato
mediante il conduttore di terra al sistema dispersore in intimo contatto con il terreno (il terreno in
cantina o nel seminiterrato o tutt’intorno all’edificio). In questo modo le masse sono collegate a terra e,
in caso di guasto tra fase e massa, si costituisce l’anello di corrente “conduttore del cavo collegato al
conduttore di fase che arriva alla presa – massa – conduttore di protezione – collettore princ. di
terra – conduttore di terra – dispersore – terreno – dispersore del neutro in cabina – conduttore di
terra – centro stella dell’avvolgimento secondario del trasformatore – avvolgimento secondario del
trasformatore – fase – conduttore di fase – punto di smistamento dell’Ente Distributore – contatore
di casa nostra – nostro quadro generale – conduttore di fase che arriva alla presa dove
l’apparecchio è collegato” (vedere pagg. 15, 19 e 20): viene così “solleticato” l’interruttore differenziale
che, aprendo automaticamente i propri contatti, disalimenta la linea cui fa capo il guasto pericoloso.
In sintesi: le masse sono collegate a terra affinché in caso di guasto tra fase e massa scatti l’Int.
Diff. E se il guasto fosse tra neutro e massa? La corrente verso terra potrebbe anche non superare la sensibilità dell’int. diff., ma proprio per questa ragione le tensioni verso terra non sarebbero superiori al limite inferiore della curva di sicurezza; se invece superasse la sensibilità dell’int., questo aprirebbe il circuito, quindi: “No problem!”. L’interruttore differenziale potrebbe anche essersi rotto; in tal caso è meglio... non prendere la scossa.
Le masse estranee potrebbero introdurre potenziali distinti determinando la presenza di differenze di potenziale anche pericolose: va da sé che si debbano collegare insieme per portarle allo stesso potenziale, e
lo si fa collegandole al collettore principale di terra e al nodo equipotenziale supplementare in ambienti
particolari. Avere masse e masse estranee collegate insieme ridimensiona anche le differenze di potenziale che potrebbero presentarsi tra una massa e una massa estranea simultaneamente raggiungibili.
Dulcis in fundo. L’impianto di terra dev’essere unico; dev’esserci un unico collettore principale di terra
collegato a un unico sistema dispersore; questo per prevenire differenze di potenziale pericolose che potrebbero manifestarsi, ad es., tra una massa collegata a un impianto di terra e un’altra collegata a un proprio impianto di terra
Fine del break didattico
24
CAPITOLO VI Miscellanea conclusiva
Venti ohm
Il DPR 547/55 sancisce che la resistenza di un impianto di terra negli ambienti di lavoro sia non superiore
a 20 Ω. Si tratta di un’efficace prescrizione a favore della sicurezza? Cerchiamo di scoprirlo insieme.
Supponiamo che in una certa Ditta:

l’impianto di terra abbia resistenza pari a 15 Ω,

l’impianto elettrico protetto da interruttore differenziale magnetotermico18 (o da interruttore magnetotermico e da interruttore differenziale) coordinato con l’impianto di terra sia un TT,

tutte le masse e le masse estranee siano correttamente collegate all’impianto di terra.
Se si guastasse l’interruttore differenziale, la resistenza dell’impianto di terra minore di venti ohm garantirebbe la protezione contro la folgorazione? Purtroppo no. Vediamone il motivo.
Supponiamo che avvenga un guasto in un apparecchio di classe I tra fase e massa. Si costituisce l’anello
di corrente che ho già descritto (pagg. 15 e 25). Trascurando per semplicità di trattazione le resistenze
delle linee (la sostanza del ragionamento non viene compromessa), otteniamo la corrente di guasto come
rapporto fra la tensione tra fase e centro stella del secondario in cabina (230 V) e la resistenza risultante dalla somma: RN + RT (rileggere pagg. 4, 5 e 15). La tensione totale di terra, cioè quella che si
manifesta ai capi della resistenza del nostro impianto di terra RT (ossia tra la massa “tensionata” e il
“punto” del terreno a potenziale zero) si ricava grazie alla legge di Ohm; vale: corrente di guasto  resistenza RT. Affinché non sussista pericolo in caso di folgorazione, occorre che detta tensione non superi
50 V (nella Ditta dell’esempio non ci sono ambienti in condizioni particolari).
In formule:
230· RT/( RN + RT) ≤ 50
Con due passaggi si arriva a:
RT ≤ RN · 50/(230 – 50)
RT ≤ 0,28 · RN
Concludendo: affinché l’impianto di terra garantisca il rispetto dei limiti pericolosi di tensione, in caso
di guasto tra fase e massa e di mancato funzionamento dell’int. diff., è necessario che abbia resistenza
non superiore a grosso modo il 30% di quella dell’impianto di terra del neutro in cabina MT/BT;
quest’ultima è generalmente non superiore a un ohm. Soddisfare la disuguaglianza e mantenerla nel
tempo è, per ragioni che non Vi spiego, non dico impossibile, ma altamente improbabile; per questo motivo la resistenza di quindici ohm non garantisce nessuna sicurezza, in caso di guasto tra fase e massa e
mancato funzionamento dell’interruttore differenziale.
Ponteggio “elettrico”
Un ponteggio edile realizzato, ad es., per rinnovare la facciata di un palazzo, è una massa estranea a patto
che presenti verso terra resistenza non superiore a duecento ohm.
18
L’interruttore magnetotermico è un dispositivo automatico che protegge le linee, rispetto alle quali è installato a monte, dai sovraccarichi duraturi e dai
cortocircuiti. L’interruttore differenziale-magnetotermico esplica anche la protezione differenziale.
25
Nel caso sia una ma.estra. di questo tipo, occorre collegarla a terra?
Se ha resistenza verso terra minore di duecento ohm è già a terra!
Bisogna collegarla al collettore principale di terra dell’edificio, qualora l’impresa edíle tragga
dall’impianto elettrico dell’edificio stesso l’energia per alimentare i propri apparecchi.
Se invece la si collegasse a un proprio picchetto dispersore piantato, ad es., nell’aiuola vicina (c’è chi l’ha
fatto), il ponteggio avrebbe resistenza verso terra ancor più bassa e lungo tutta la sua estensione ci sarebbe
il potenziale di terra non “equipotenzializzato” alle masse degli apparecchi ivi impiegati (ad es., trapano):
toccando il ponteggio e la massa di un trapano “andata in fase” per la rottura dell’isolamento principale, si
“becca” circa 230 V; non è sicuramente una bella esperienza.
Glossario
Microshock
Folgorazione di un soggetto avente il cuore in collegamento elettrico con l’esterno tramite un catetere intracardiaco; in questi casi una corrente che confluisce nel cuore fuoriesce tramite il catetere: la fibrillazione ventricolare può essere provocata da un’intensità di corrente di alcune decine di microampere.
Dalla Norma CEI 64-8
Shock elettrico
Effetto patofisiologico risultante dal passaggio di una corrente elettrica attraverso il corpo umano.
Conduttura
Insieme costituito da uno o più conduttori elettrici e dagli elementi che assicurano il loro isolamento, il
loro supporto, il loro fissaggio e la loro eventuale protezione meccanica.
Portata in regime permanente di una conduttura
Massimo valore della corrente che può fluire in una conduttura, in regime permanente e in determinate
condizioni, senza che la sua temperatura superi un valore specificato.
Sovracorrente
Ogni corrente che supera il valore nominale. Per le condutture, il valore nominale è la portata.
Corrente di sovraccarico di un circuito
Sovracorrente che si verifica in un circuito elettricamente sano.
Corrente di cortocircuito (franco)
Sovracorrente che si verifica in seguito a un guasto di impedenza19 trascurabile fra due punti tra i quali
esiste tensione in condizioni ordinarie di esercizio.
Fine del glossario
19
Finora ho parlato di resistenza elettrica; nei circuiti percorsi da corrente alternata, il rapporto fra la tensione e la corrente che agiscono su di un bipolo non è
più uguale solo alla resistenza: il coefficiente di proporzionalità fra le due grandezze si modifica in funzione sempre della resistenza, ma anche di altri due parametri che si chiamano induttanza e capacità, e prende il nome di impedenza.
26
CEI (Comitato Elettrotecnico Italiano)
Informazioni sul CEI sono riportate nel relativo sito internet http://www.ceiuni.it .
Fondato nel 1909, tra i primi Enti normatori al mondo, il CEI è l'Ente istituzionale riconosciuto dallo
Stato Italiano e dall’Unione Europea, preposto alla normazione e all'unificazione in Italia del settore elettrotecnico, elettronico e delle telecomunicazioni.
La Legge italiana n. 186 del 1º marzo 1968 ne riconosce l'autorità stabilendo che “i materiali, le macchine, le installazioni e gli impianti elettrici ed elettronici, realizzati secondo le Norme del CEI si considerano a regola d'arte”. Le Norme tecniche pubblicate dal CEI stabiliscono i requisiti fondamentali che devono avere materiali, macchine, apparecchiature, installazioni e impianti elettrici ed elettronici per rispondere alla regola della buona tecnica, definendo le caratteristiche, le condizioni di sicurezza, di affidabilità, di qualità e i metodi di prova che garantiscono la rispondenza dei suddetti componenti alla regola
dell'arte.
Finalità istituzionale del CEI è la promozione e la diffusione della cultura tecnica e della sicurezza elettrica.
Il CEI è rappresentante italiano nei principali organismi di normazione e certificazione internazionali:
IEC (International Electrotechnical Commission) (Comitato Europeo per la Normalizzazione Elettrotecnica), etc. Il CENELEC emette documenti di armonizzazione (HD) i cui contenuti tecnici devono essere
introdotti nelle norme dei paesi membri della Comunità Europea; oppure emette norme europee (EN) che
devono essere tradotte e adottate quali norme nazionali.
La missione del CEI, quale Ente italiano di normazione super partes si finalizza nel migliorare la qualità
della vita e la sicurezza delle persone, delle cose e dell’ambiente nel rispetto delle esigenze, delle idee e
dei diritti della collettività, mediante il consenso allargato di tutte le parti coinvolte nel processo normativo.
Il CEI partecipa alle attività degli Enti europei ed internazionali di normazione, al fine di rendere operative e di diffondere in Italia le Direttive Comunitarie.
Le Norme tecniche concorrono a definire la regola dell'arte, cioè quell'insieme di caratteristiche che permettono di realizzare macchine, apparecchi ed impianti elettrici ed elettronici, sulla base di precisi criteri
di sicurezza, conseguenti alla costante evoluzione tecnologica. Le Norme CEI quindi contribuiscono in
modo determinante a definire ciò che le leggi in materia citano ed intendono come “regola dell’arte”.
La Legge 1 marzo 1968, n. 186 in cui si impone che ogni apparecchiatura e impianto sia costruito a regola
d'arte e si individua nelle Norme CEI, attraverso le prescrizioni in esse contenute, una rispondenza alla
regola dell'arte.
In pratica, la corrispondenza a quanto prescritto dalle Norme CEI presume la conformità alla regola dell'arte e quindi, chi dimostra di aver applicato correttamente le Norme CEI è esonerato dalla presentazione
di prove circa il rispetto della Legge 186; altrimenti non è esonerato.
Questa presunzione di conformità è confermata anche dalla Corte di Cassazione che, in periodi differenti,
ma sempre con giudizio univoco, si è pronunciata a favore di chi ha realizzato impianti secondo le Norme
CEI.
Per operare secondo la “regola dell’arte” non è fatto obbligo di utilizzare detti documenti normativi,
tuttavia operandovi in conformità, cioè applicando rigorosamente tutte le disposizioni in essi contenute,
si ha il riconoscimento, nel diritto, di aver rispettato la “regola dell’arte”.
27
A proposito di questi punti, il Legislatore si è espresso anche tramite il DPR 447/91, regolamento di attuazione della Legge 46/90, il quale prescrive:

art. 5, comma 4) Nel caso in cui per i materiali e i componenti gli impianti non siano state seguite
le norme tecniche per la salvaguardia della sicurezza dell’UNI e del CEI, l’installatore dovrà indicare nella dichiarazione di conformità20 la norma di buona tecnica adottata.

Art. 5, comma 5) In tale ipotesi si considerano a regola d’arte i materiali, componenti ed impianti
per il cui uso o la cui realizzazione siano state rispettate le normative emanate dagli organismi di
normalizzazione di cui all’allegato II della direttiva 83/189/CEE, se dette norme garantiscono un
livello di sicurezza equivalente.
Oltre alle Norme, il CEI pubblica anche le Guide. Non si ritiene che queste possano assumere, da sole,
valore giuridico di "regola dell'arte": esse hanno lo scopo di facilitare l'interpretazione delle Norme di riferimento e pertanto contribuiscono, specie con gli esempi, a rappresentare dei possibili modi di comportamento secondo detta regola; per questo, pur avendo valore intrinseco normativo, non possono rappresentare, se non congiuntamente alle Norme di riferimento, valenza giuridica di "regola dell'arte".
20
Documento prescritto dalla Legge 46/90 che l’impresa installatrice deve rilasciare al termine dei lavori di installazione o trasformazione o ampliamento o
manutenzione non ordinaria di un impianto elettrico. Può anche essere rilasciato dal responsabile di un ufficio tecnico interno in possesso dei requisiti tecnicoprofessionali (di cui alla L. 46/90 artt. 2 e 3), quando i lavori siano stati eseguiti secondo le indicazioni e sotto la direzione di tale ufficio.
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