Il «Crociato in Egitto» di Giacomo Meyerbeer

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Focus On
Il «Crociato in Egitto»
di Giacomo Meyerbeer
di Marco Beghelli
G
iacomo
Meyerbeer
(1791-1864) fu nome tanto osannato nel pieno Ottocento
musicale
quanto misconosciuto oggi sulle scene teatrali.
Propr iamente Jakob Liebmann Beer
all’anagrafe,
berlinese, di
facoltosa famiglia ebrea,
un anno più
vecchio del
nostro Rossini, viene ricordato dalle storie
della musica come
il maggior rappresentante del grand opéra
parigino, genere pretenzioso e magniloquente, cui il
nostro fornì titoli di straordinario successo: Roberto il diavolo (1831),
Gli ugonotti (1836), Il profeta (1846). Di tutto
questo rimane oggi nondimeno assai poco: una manciata di registrazioni discografiche, rarissime presenze sceniche, numerosi studi musicologici che (diversamente da
quanto è avvenuto con Rossini) non sono ancora riusciti a promuovere un deciso ritorno di Meyerbeer alla posizione di prestigio che manteneva un secolo e mezzo fa.
Prima di divenire il re delle scene parigine, il trentenne Meyerbeer aveva comunque cercato fortuna in Italia:
sei opere mandate in scena fra il 1817 e il 1824, tra Padova, Torino, Venezia e Milano, con esiti mediamente lusinghieri fra il pubblico e grande interesse suscitato nella critica, che vedeva in lui il tedesco accostatosi allo stile italiano con la scienza armonica che non sempre i compositori di casa nostra erano in grado di esibire. E benché non riuscisse mai a raggiungere gli effetti travolgenti e irresistibili del miglior Rossini, la solidità e l’eleganza
delle sue partiture lo additarono presto come un modello d’imitazione per i giovani decisi a staccarsi proprio dagli stilemi rossiniani (Mercadante, Pacini, e poi Verdi),
specie per quanto riguardava l’elaborata e spesso inusitata tecnica d’orchestrazione.
Dell’intero periodo italiano, il titolo meyerbeeriano più
importante sotto molteplici aspetti è certamente l’ultimo,
quel Crociato in Egitto pensato inizialmente per Trieste e
destinato infine alla Fenice, dove andò in scena il 7 marzo 1824 e dove ritrova ora la sua dimensione scenica per
la prima volta in epoca moderna, dopo alcune esecuzioni
in forma concertistica a Londra,
New York e Montpellier negli ultimi decenni del secolo appena concluso.
L’opera non ci giunge dunque del tutto sconosciuta,
com’è accaduto per altri lavori dello stesso Meyerbeer
tornati di recente alla luce (vedi la sua
Semiramide del
1819, data per
dispersa fino
a pochi anni
fa ed ora felicemente riesumata ai festival di Wildbad e di Martina
Franca); la grande curiosità è piuttosto offerta dalla possibilità di toccare ora con mano quanto la grande macchina musicale e drammaturgica costruita sui versi del veronese Gaetano
Rossi sappia ancor oggi reggere la prova del palcoscenico: le premesse artistiche ci sono tutte, a cominciare dagli
interpreti vocali, necessariamente di prima levatura.
Sì, perché fra i tanti motivi d’interesse che Il crociato in
Egitto ha sempre suscitato negli studiosi c’è anche quello di essere stata l’ultima opera importante della storia
scritta su misura per un cantante castrato: il marchigiano
Giambattista Velluti (1780-1861). È noto come, dopo la
grande diffusione registrata fra Sei e Settecento, l’arrivo
dei napoleonici in Italia mettesse definitivamente la parola fine alla pratica di mutilare i pueri cantores in età preadolescenziale per conservare loro la voce bianca e avviarli alla carriera teatrale. Velluti fu dunque l’ultimo castrato «di cartello» ricordato negli annali operistici e per lui
scrissero compositori del pieno Ottocento come Rossini
e Mercadante, consapevoli di aver a che fare con un animale in fase di definitiva estinzione. Quando Meyerbeer
confezionò la parte di Armando, il celebre cantante calcava le scene da oltre un quarto di secolo e la sua prestanza vocale pare dovesse essere ormai in declino. Ciò non
impedì che proprio Velluti risultasse uno dei promotori
più attivi della nuova opera, da lui prescelta come cavallo
di battaglia per esibizioni successive in vari teatri grandi e
piccoli, da Brescia a Firenze, da Rovigo a Londra, nell’arco d’un decennio.
L’opera aveva richiesto un periodo di gestazione relativamente lungo rispetto allo standard dell’epoca, in un
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cendendo l’inopinato colpo di scena: è la canzone amorosa che Armando indirizzava un dì alla promessa sposa Felicia, e che ha successivamente insegnato alla nuova
amante Palmide; le due donne si trovano a intonarla insieme col cuore gonfio di tormento, quando Armando,
giungendo di lonano, s’unisce istintivamente al loro canto, attivando la metafora sonora di un ménage à trois! Particolarissima la situazione scenica, non meno inconsueto l’organico strumentale d’accompagnamento, caratterizzato da una leggerezza cameristica e da una raffinatezza timbrica senza precedenti: flauto, corno inglese, clarinetto, corno, arpa, violino, violoncello e contrabbasso
solisti.
Su una strumentazione affatto peculiare si gioca anche
il grandioso finale del primo atto, dove si fronteggiano
l’esercito crociato e quello egiziano. Entrambi sono rappresentati musicalmente da un gruppo bandistico che sfila in palcoscenico: ottoni per i primi (corni, trombe e tromboni), legni per
i secondi (con clarinetti di tutte le taglie), per tacere dei vari tamburi che
rullano minacciosi d’ambo le parti. Se ne ricorderà vent’anni dopo
il giovane Giuseppe Verdi, apparecchiando una battaglia sonora del tutto simile nel finale dei
Lombardi alla prima Crociata.
E quanto a modelli per lavori futuri, come dimenticare la grande scena di congiura del secondo atto? Coi suoi
toni cupi e una coralità continuamente altalenante fra i toni sommessi della segretezza e
quelli violenti della rabbia faticosamente repressa, divenne un
esempio per tante scene simili,
dall’Assedio di Corinto di Rossini all’Ernani di Verdi.
e
rb
Rossini
e Verdi, appunto: se dal prie
y
Me
mo
il
giovane
Meyerbeer aveva preso le
o
m
G ia co
mosse, distaccandosene progressivamente,
al secondo insegnò non poco in termini di drammaturgia teatrale e scienza della strumentazione orchestrale, soprattutto con le successive opere francesi, quelle che cancellarono quasi la memoria del lungo, interessantissimo apprendistato italiano del compositore berlinese. Il crociato in Egitto fu l’opera dal successo più ampio e
duraturo del primo Meyerbeer, capace di resistere anche
all’ondata di piena del nuovo linguaggio verdiano, se ancora nel 1859 si rappresentava con successo alla Scala di
Milano e nel 1860 al Théâtre Italien di Parigi con i migliori cantanti disponibili all’epoca. Oggi il rientro stabile dei
grands opéras parigini nel repertorio dei teatri sembra frenato da ostacoli artistici ed estetici di varia natura; al contrario, dopo il completo recupero alle scene del catalogo
rossiniano, pare che proprio i titoli italiani di Meyerbeer
potrebbero avere più facilmente quella chance negata ai loro fratelli francesi. E questa riproposta in grande stile del
Crociato in Egitto nel teatro veneziano che lo tenne a battesimo potrebbe essere proprio la scintilla destinata ad
accendere una seconda esistenza di gloria a quei titoli da
troppo tempo dimenticati.
er
(17
91
-18
6 4)
perfetto accordo col fido Gaetano Rossi, librettista ufficiale della Fenice e più volte collaboratore di Meyerbeer, a
cominciare dal suo debutto italiano con Romilda e Costanza (Padova 1817): un fitto carteggio superstite ci testimonia le singole fasi produttive, durate oltre diciotto mesi, là
dove molti capolavori di Rossini erano nati in quegli stessi anni nell’arco di una manciata di settimane. Piuttosto
inconsueto anche il soggetto trattato, con ambientazione
fra gli eserciti della sesta Crociata (1248-1254). Nella città egiziana di Damietta, il cavaliere dell’Ordine di Rodi,
Armando d’Orville (mezzosoprano), unico superstite di
un battaglione di crociati, vive sotto il falso nome di Elmireno segretamente sposato a Palmide (soprano), figlia
del sultano Aladino (basso). Al loro quieto vivere si contrappongono il perfido visir Osmino (tenore), nonché il
Gran Maestro dell’Ordine di Rodi, Adriano di Montfort
(tenore) e Felicia sua congiunta (contralto), antica fidanzata d’Armando, entrambi convenuti alla ricerca del crociato scomparso. Se
da un lato Felicia, messa di fronte alla
realtà dei fatti, risolverà di rinunciare all’antico amante, dall’altro questi, salvando la vita al sultano, se
ne guadagna la riconoscenza e
la benedizione del matrimonio
con Palmide.
I momenti di maggior interesse della partitura sono
quelli legati ad esiti sperimentali, che lo spettatore dell’epoca percepiva evidentemente in quanto tali, come rivela
la lunga disamina apparsa sulla «Gazzetta Privilegiata di Venezia» l’11 marzo 1824, ma che
potrebbero sfuggire al pubblico
moderno, avvezzo a modelli operistici più recenti. Non sarà dunque
inutile evidenziare i passi più significativi, invitando il lettore a riconoscerli poi durante l’esecuzione.
Già in apertura non troviamo la classica
sinfonia a sipario chiuso, bensì un’ampia pagina
strumentale destinata a sonorizzare la pantomima organizzata in scena (come già nel Ricciardo e Zoraide rossiniano di sei anni prima): è l’alba, gli schiavi cristiani vengono
svegliati dagli squilli di trombe dislocate spazialmente su
quattro torri ed escono dal loro albergo a respirare la luce del mattino, invocando la patria perduta. L’avvio delle sezioni cantate ricalca in linea di massima le strutture
dell’Introduzione operistica così come era stata codificata dai compositori italiani, ma il percorso canonico subisce continue interruzioni e le attese d’ascolto basate sulle
convenzioni formali vengono più volte deluse, creando
nuove aspettative: ne esce «una Introduzione alla Meyerbeer, […] una pompa, un quadro imponente», secondo
le ben note parole che il librettista Gaetano Rossi aveva
scritto in altra occasione.
Più avanti, sempre nell’atto I, trova posto il numero musicale più apprezzato all’epoca, per la sua originalità: un
terzetto di voci femminili (una delle quali era naturalmente il castrato Velluti) si trova ad intonare la stessa melodia (la romanza trobadorica «Giovinetto Cavalier»), ac-
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Atmosfere stilizzate
per due civiltà in conflitto
Pier Luigi Pizzi descrive il suo «Crociato»
P
ier Luigi Pizzi, regista, scenografo e ideatore dei costumi
del Crociato in Egitto, illustra con la consueta esaustività la gestazione di questo lavoro.
figlio tenuto naturalmente nascosto. Nel momento in cui
tutte queste verità celate vengono scoperte, assistiamo
all’inevitabile scontro tra due civiltà: il sultano ripudia la
figlia poiché sposa segreta di un cristiano, mentre il Gran
Maestro che presiede l’austera congregazione degli Ospitalieri crociati accusa il nipote di alto tradimento. Da qui
nasce il confronto tra due opposti principi religiosi e politici, che alternano tolleranza ed intolleranza nei riguardi delle giustificazioni dei due giovani colpevoli. Mi pare che non vi sia tema più attuale di questo. D’altra parte non ritengo opportuno isolare l’opera dal suo contesto
storico, poiché può portare a facili forzature. Solo la Storia continua a dimostrarci che gli odi religiosi sono stati
sempre presenti e purtroppo quanto mai attuali.
All’epoca di Meyerbeer e del suo librettista il tema della lotta fra religioni era motivo di guerre particolarmente sanguinose.
Pertanto, senza alcuna contaminazione ottocentesca (che inevitabilmente avrebbe portato ad un inutile
eclettismo illustrativo), ho scelto di ambientare l’azione all’epoca delle crociate utilizzando simboli inequivocabili, attraverso una forte stilizzazione che evidenzia i veri significati della vicenda. La
grande scritta «Allah» in caratteri
islamici, si alterna
ad un grande Crocifisso per porre
l’accento sulla parzialità di entrambe
le posizioni avversarie (come del resto indicato dal librettista) e, nonostante il lieto fine scontato spero che il pubblico si interroghi su
un conflitto purtroppo non ancora risolto.
In quest’opera
si parla di amore
e di guerra, di fede e di tradimento, di colpa e di
perdono, di sacrificio e ricompensa sia dal punto di
vista cristiano che
mussulmano.
Si p a r l a a nc he
fortunatamente di
Pace.»
«Il crociato è un’opera che negli anni ha avuto un percorso di programmazione molto tormentato. Era già stata
proposta in Fenice a Mario Messinis da Paolo Pinamonti
e subito tenuta in grande considerazione per i suoi indubbi valori musicali e per essere stata composta per questo
Teatro. Mi ricordo che già allora ne avevo iniziato uno
studio preparatorio, ma poi non se ne è fatto niente. Se
ne è riparlato l’anno scorso, ma fu poi tolta dal cartellone per le note ragioni dei tagli alle sovvenzioni del Fus
che hanno messo in crisi tutto il teatro italiano. Adesso
finalmente sembra essere la volta buona. Ho avuto dunque tra le mani per molto tempo questo spartito potendo
ipotizzare varie chiavi di lettura, che hanno dato origine
ad altrettanti progetti scenografici, di volta in volta superati perché non sufficientemente convincenti nel loro livello di interpretazione. È stata una delle mie gestazioni più difficili e sofferte… Spesso si definisce Meyerbeer
solamente come un epigono ammirato di Rossini; personalmente trovo riduttivo considerare questo suo Crociato unicamente
un’opera rossiniana poiché al di là
del valore musicale contiene specifiche caratteristiche drammaturgiche, che meritano particolare attenzione. Oggi noi
abbiamo il dovere di interrogare
l’opera in profondità e capire quanto ci possa essere
in essa di attuale o
attualizzabile.
In questo melodramma, ambientato in Egitto all’epoca delle Crociate, è narrata la
storia di un Cavaliere di Rodi che
per salvarsi dalla
prigionia si traveste da mussulmano e, innamoratosi
della figlia del SulPier Luigi Pizzi
tano, ha da lei un
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A Venezia il «Crociato in Egitto»
di Emmanuel Villaume
Il grande direttore ci racconta l’eroico melodramma
di Enrico Bettinello
A
dirigere Il Crociato in Egitto è stato chiamato un diapparsi straordinari.
rettore di grande versatilità come Emmanuel Villaume.
Oggi il nostro gusto e il nostro senso della spettacoNato a Strasburgo nel 1964, si è fatto notare nella selarità si sono evidentemente evoluti in modo profonconda metà degli anni ottanta come assistente alla direzione ardo. Siamo abbastanza distaccati per poter accettare le
tistica del Festival dei Due Mondi. Da allora la sua carriera
convenzioni, sentire le influenze e le anticipazioni senè stata ricca e articolata, affrontando sia il repertorio sinfoniza perdere di vista l’unità profonda dell’opera nel suo
co che quello lirico alla testa di alcune delle più importanti orcheinsieme e la precisione dei sentimenti espressi. Al di là
stre europee e americane – e prodell’aspetto documentario
prio questa sua. Lo abbiamo ragsull’opera di un’epoca o delgiunto per una piacevole chiacchiel’entusiasmo per le prodezze
Emmanuel Villaume
rata su questa nuova «avventura»
vocali, credo che il pubbliveneziana.
co di oggi potrà essere senCome si è accostato alla partitusibile sia allo slancio generara del Crociato in Egitto?
le dell’affresco che alla preciIl Crociato è una partitusione e alla finezza nella pitra assolutamente unica.
tura dei dettagli.
L’aspetto monumentale delÈ certamente interessante
l’opera è senz’altro molto inqualche riflessione sui rapteressante per un direttore
porti tra Meyerbeer e Rossid’orchestra. L’orchestrazione
ni. In particolare per quanto
è ricca e a volte innovativa
riguarda l’interpretazione.
per l’epoca; l’uso delle banMeyerbeer si è rivelato a se
de esterne è impressionante
stesso proprio nel confronto
e lo sviluppo dei grandi mocon l’opera italiana, in partimenti d’insieme si rivela parcolare con Rossini. Si è reticolarmente eccitante grazie
cato nella penisola a cercaalla mescolanza spettacolare l’arte di servire le voci e,
re di drammaticità e musicadi rimando, di servirsene, al
lità. Ma, ancora di più, sono
fine di ottenere una maggiola sensibilità e la poesia core efficacia musicale nell’insì particolari dell’opera a coltera opera.
pirmi, dalle pagine grandioRossini, da questo punto di
se fino ai momenti più semvista, è stato un maestro e un
plici e disadorni. Devo dimodello ideale che il compore che amo le voci e i cori in
sitore tedesco ha perfettagenerale e qui sono utilizmente compreso. In Meyerzati in modo sublime. Amo
beer è ancora più evidente
il dramma e in quest’opera
un senso dell’innovazione,
è intenso. Tutti questi elementi poetici, drammatici e
del porre in causa la forma e gli equilibri compiendo
musicali si combinano alla fine con una grazia straorscelte sostenute da contrasti e dismisure che vanno oldinaria. Un tale equilibrio è il prodotto della mente di
tre Rossini.
un genio e trovarsi nella posizione di trasmetterlo a un
Il Crociato è allo stesso tempo il trionfo di un genere
pubblico è un compito estremamente esaltante.
rossiniano evoluto e innovativo pur nella tradizione e
In che modo la particolare grandiosità del Crociato può asl’anticipazione di un genere nuovo che porterà più tarsumere un significato di attualità a quasi duecento anni dalla
di al Meyerbeer degli Ugonotti e alla grande opera franprima?
cese. Per quanto, come sottolinea Rossi, il librettista dei
Non si può oggi restare insensibili a quello che, nel
due compositori, l’influenza di Meyerbeer su Rossini
libretto, riguarda il confronto delle culture e delle renel fatto di mettere in causa forme e formule, è reale!
ligioni. Musicalmente, non c’è alcun dubbio che per il
La preoccupazione prepotente delle necessità vocapubblico del 1824 le armonie ricercali nell’accompagnamento sono di
te, l’utilizzo generoso degli spazi soprimaria importanza per il direttonori grazie alle bande esterne multire d’orchestra, così come avverrebbe
ple, i cori largamente sviluppati e le
per un’opera di Rossini, ma non biVenezia – Teatro La Fenice
nuove combinazioni delle voci siano
sogna mai perdere di vista o sacrifi14, 16, 17, 18, 19, 29, 21 gennaio
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Focus On
care i colori ormi hanno offerchestrali, talvolta
to più spesso. Ogmolto sottili, né
gi, non me ne dila coerenza poetispiace assolutaca e lo slancio del
mente. Ma mi sendiscorso nel suo
to a mio agio aninsieme.
che con Mozart o
Qual è il suo rapporStrauss; ho diretto
to con la parte registile sinfonie di Mahca di un allestimento?
ler e mi sono accoCome avete lavorato con
stato a Bruckner, che
Pizzi?
mi ha sempre affasciPenso che Pier Luinato. È molto imporgi Pizzi ami i direttori
tante per un interpreche comprendono il teate affrancarsi da uno stitro; da parte mia rispetto
le, avvicinandosi a stili dimolto i registi che hanno
versi. Infatti, l’esplorazione
l’intelligenza musicale – cioè
del territorio al di fuori delnon necessariamente il rispetla nostra zona più congeniale,
to servile dell’aspetto letterale di
ci permette di comprenderla meun’opera. Pier Luigi è un artista di
glio, perché uno stile si definisce
grande cultura e notevole finezza. Da
anche nel confronto con gli altri. Waquando abbiamo iniziato a dedicarci ingner amava e comprendeva Bellini; bisosieme a questo progetto, abbiamo condivigna pensarci mentre si dirige Parsifal, ma è also una visione comune sulla grandezza e la belleztrettanto interessante dirigendo la Norma.
za della partitura, al di là dei suoi fuochi d’artificio voChe differenze trova, se ce ne sono, tra il pubblico europeo e quelcali. È un regista di rara sensibilità musicale e sono davlo americano? Qualche riflessione sulle sue esperienze negli Usa.
vero lieto di questa nuova collaborazione.
Al di fuori delle grandi metropoli, il pubblico ameriSi parla molto – in Italia – della crisi dell’Opera e della costocano è a volte meno colto musicalmente, ma spesso dosità degli allestimenti. Qual è la sua opinione in proposito e quatato di maggiore freschezza e apertura. Negli USA il fili prospettive o soluzioni?
nanziamento è più privato e personale che in Europa e
L’opera è per definizione sempre più cara nella noquesto sta a significare un coinvolgimento maggiore di
stra società industriale. Ma sono la sua rarità e la sua
una parte del pubblico. Le grandi orchestre americane
unicità come spettacolo fragile e vivente a determinarhanno una perfezione tecnica difficilmente eguagliane il valore. Sarebbe criminale trascurare qualcosa che
bile per esempio – ma si può riscontrare in alcune orpuò essere definita una delle più brillanti testimonianchestre italiane una grazia e un’energia veramente parze del genere umano. Alcuni
ticolari. Anche qui, coltivare le
secondi di televisione o di calesperienze diverse permette di
cio potrebbero mai essere più
allargare gli orizzonti, saggiaimportanti di un’intera prore i propri limiti e arricchirsi
duzione lirica? Sarebbe molto
nelle proprie qualità.
triste. Comunque, la questione
Quali sono dunque i suoi prossidella democratizzazione della
mi impegni?
possibilità d’accesso a questo
Alcuni concerti con l’Orgenere sussiste e credo che la
chestra Sinfonica di Chicaresponsabilità di chi se ne ocgo, la Royal Philharmonic e
cupa sia grande. Tocca quindi
la Münchner Runfunkorchea noi non cedere allo sperpero,
ster. Mahagonny, la Quarta di
o peggio, alla routine. Le coMahler e la Quarta di Brahms
produzioni, per esempio, sono
nel mio Festival, Spoleto USA.
inevitabili e necessarie, anche
Ariane e Barbablu a Torino, La
se ciò dovesse ferire l’orgoglio
Bohème a Washington, Hänsel e
o la vanità di qualcuno.
Gretel a Los Angeles, La vedova
Lei si muove con grande agio sia
allegra e Manon a Chicago, I racnel repertorio francese che in quello
conti di Hoffman al MET.
italiano, quali sono i suoi «amori»
musicali?
All’inizio della mia carriera, non volevo in nessun caso
essere incasellato nel repertoSi ringrazia Alessandra Castellazzi
rio francese o italiano. Natudella Walter Beloch Artists
ralmente, quelle francesi e itaManagement per la disponibilità e la
Prove del «Crociato in Egitto»
liane sono state le opere che
collaborazione
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Focus On
Patrizia Ciofi presenta la sua Palmide
tra belcanto e recitazione
Il soprano torna alla Fenice con l’opera di Meyerbeer
F
ra gli interpreti principali del Crotura e di religione. La vicenda è quelciato in Egitto, nel ruolo di Palmila di una principessa egiziana, musulde, troviamo Patrizia Ciofi, che Vemana, che si converte al cristianesiVenezia – Teatro La Fenice
neziaMusica e dintorni ebbe il piacere di inmo: ai giorni d’oggi un tema davvero
dal 14 al 21 gennaio
contrare un paio di anni fa in occasione della
delicato che, per fortuna, nell’opera si
messinscena della Traviata diretta da Robert Carsen sempre alla
risolve con un lieto fine.
Fenice in occasione della riapertura lirica del Teatro.
Che tipo di vocalità incarna il suo personaggio?
Dopo Traviata, sono tornata a Venezia anche nel 2005
Si tratta di un ruolo molto interessante, che richiede
con la Pia de’ Tolomei di Donizetti. Per me è sempre un
una vocalità piuttosto rossiniana. Nonostante il lavograndissimo piacere sostare in questa città stupenda e
ro sia di Meyerbeer, infatti, c’è dentro moltissimo Roscalcare le scene dei suoi magnifici teatri: la Fenice, il
sini e anche dei momenti squisitamente mozartiani.
Malibran, quando la prima era ancora in fase di ricoUn’opera davvero notevole e piacevole da cantare, anstruzione. A Venezia mi sento «a casa»...
che se molto lunga e molto faticosa.
Come si è avvicinata al personaggio di
Ha già avuto occasione di lavorare con Pizzi e
Palmide?
Villaume?
Si tratta di un personaggio tipiCon il maestro Pizzi ci siaco del belcanto, che incarna la
mo già incontrati a Pesaro e a
classica storia d’amore ostaMontecarlo, ma mai a Venezia; con Villaume, lo scorso anno, a Cagliari abbiamo fatto un’opera
di Massenet: Chérubin.
Questi sono incontri
molto belli, un buon
ritrovarsi fra persone che hanno già lavorato insieme piacevolmente e fra le
quali scorre quindi già una conoscenza e una confidenza che aiutano
e giovano molto allo
spettacolo.
Oltre alla bellezza del
canto, all’impegno vocale,
che ruolo assegna alla recitazione all’interno dell’opera lirica? Altra protagonista o semplice comparsa?
Senz’altro protagonista! Lo
dico sempre: il teatro è il mio primo, grande amore. Fare questo lavoro per me significa portare in scena dei
personaggi e delle storie che devono vivere incolata
sieme a noi, ai nostri sentimenti, alla nostra vocalità.
da imCantare senza far teatro non ha senso. Non sono una
pedi«vocalista» pura e semplice: mi ritengo un’interprete.
ment i:
Chiudo con una domanda un po’ banale: progetti per il futuro?
una stoSubito dopo il Crociato sarò in Francia con Les Pêcheurs
ria dell’opede perles di Bizet; sarò poi a Marsiglia con Donizetti e
ra tipica della sua Lucia di Lammermoor, con Rigoletto sarò al Covent
l’Ottocento, con
Garden, Don Pasquale mi porterà a Ginevra... Insomma:
un amore reso diffimolti viaggi verso molte cose belle! (i.p.)
cile dalle diversità di cul-
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Focus On
Gaetano Rossi, librettista delle emozioni
L’apporto del poeta veronese
ai lavori di Meyerbeer e Rossini
T
ra fine Settecento e primo Ottocento Gaetano
Rossi (Verona, 18 maggio 1774 - ivi, 25 gennaio
1855) contribuì assiduamente alle scene veneziane e italiane. Negli anni iniziali di carriera, particolarmente operosi, aveva tra l’altro intrattenuto un rapporto privilegiato con Johann Simon Mayr, al quale aveva dedicato una parte cospicua della sua produzione.
Nel 1810 aveva fornito all’esordiente Rossini la Cambiale
di matrimonio, cui seguiranno Tancredi (1813) e Semiramide (1823). In seguito collaborò con altri musicisti di spicco come
Pacini, Mercadante,
Donizetti (Linda di
Chamounix, 1842),
oltre naturalmente a Meyerbeer.
Poco apprezzato come versificatore, Rossi era
considerato da
composito ri, cantanti
e recenso-
di Maria Giovanna Miggiani
ri un eccellente drammaturgo, come si può notare dalla ricerca innovativa di soggetti e forme poetico-musicali attuata nella sua produzione. Tanto è vero che una
volta professionista affermato nel circuito produttivo
teatrale, egli usò definirsi «parolajo» anziché poeta, ironizzando sulla propria goffaggine versificatoria, ma nel
contempo sottolineando la specificità dei propri compiti di drammaturgo.
L’incontro con Meyerbeer ebbe luogo quando il librettista era all’apice della fama, mentre il compositore era
ancora un giovane abbiente e ambizioso, desideroso di
impadronirsi del lessico stilistico dell’opera italiana del
tempo, dominata dalla figura di
Rossini. Oltre al testo della cantata Gli amori di Teolinda (marzo
1816) che diede modo ai due artisti di stringere reciproca conoscenza, il poeta gli fornì i libretti di Romilda e Costanza (Padova, teatro Nuovo,
1817) e di Emma di Resburgo (Venezia, teatro di San Benedetto, 1819).
Rossi fu dunque un collaboratore di punta e una ricca fonte di
consigli e conoscenze durante il soggiorno in Italia del
compositore tedesco.
La collaborazione tra
Meyerbeer e Rossi per il Crociato,
avvenuta in gran parte a distanza, costituisce uno tra i casi più
riccamente documentati dell’elaborazione di un dramma in musica di primo Ottocento, anche se purtroppo sono conservate solo le lettere del
poeta Rossi e non quelle di Meyerbeer. Questo carteggio è determinante per la comprensione dei fini estetici che poeta e musicista perseguivano con accanimento e che potrebbero riassumersi
in un termine ricorrente in modo quasi ossessivo nella
corrispondenza di Rossi, l’«effetto». Il poeta scrive infatti per produrre «effetto» sul pubblico attraverso la proposta spettacolare e condivide tale motivazione fondamentale con il musicista e tutti gli altri contributori alla mise en scène. Il teatro propugnato da Rossi non prevede dunque ancora nessuna forma di «romantica» separazione tra genio creatore e pubblico fruitore, chiamato
anzi a sostenere economicamente lo spettacolo con la sua presenza. Tuttavia
l’«effetto» non è sinonimo di atteggiamento
conservativo o una
forma inerte di banalizzazione, quanto piuttosto uno stimolo a
stupire e a frappare il pubblico, ad
16
Semiramide da una stampa ottocentesca
Focus On
oltrepassare di continuo confini appena tracciati e in demoglie che si confidano e parlano di uno stesso uomo,
finitiva arrivando a sancire la legittimità di un teatro cail quale, lupus in fabula, inopinatamente fa la sua comparpace di tutto.
sa e partecipa anch’egli alla conversazione), la scelta delDalla fonte francese, il mélodrame Le chevaliers de Malte
le voci è senza dubbio originale (tutti registri acuti, due
di Jean-Antoine-Marie Monperlier (1813), Rossi ricavò il
donne e un musico) e si somma all’esplorazione musicasuo libretto attraverso un lavoro paziente, consultando
le di una cultura europea allora massimamente in voga
anche altre fonti di informazioni. È inoltre probabile che
(la Provenza medievale). Nella configurazione metricoanche in questo caso il librettista abbia compilato un «ritestuale di questo pezzo si nota una coerenza drammaparto» delle situazioni per giungere poi a un’«ossatura»,
turgica e una duttilità versificatoria che il poeta mai avecioè un sunto in prosa di due-tre facciate già contenenva raggiunto in altri terzetti: pur essendo infatti operante
te l’organizzazione degli avvenimenti in atti e scene e in
lo schema della «solita forma» quadripartita, le soluzioni
numeri musicali. L’individuazione del soggetto andava
offerte dal librettista sono di un’originalità sorprendenperò di pari passo con la riflessione sul modo più idoneo
te, con il ricorso a metri di uguale lunghezza, destinati a
di «vestire» il cast e dunque decidere la suddivisione delle
evocare una medesima melodia, alla fine del primo, separti in vista dei cantanti disponibili. Il Crociato è una delcondo e ultimo tempo (quando invece tradizionalmenle ultime opere dell’800 ad utilizzare un castrato per una
te i diversi tempi del numero si differenziavano tra loparte di amoroso: nella corrispondenza di Meyerbeer e
ro proprio per l’adozione di metri differenziati nonché
Rossi non risulta alcuna ecper una netta distinguibilicezione avanzata dall’esità ritmico-melodica).
gentissimo compositore
In generale si nota che nelnei confronti di questa opla composizione del Crociato
zione tanto antiquata e ben
le liti, le richieste accorate, i
poco realistica. La mansilenzi sdegnati o diplomacanza di proteste da parte
tici del compositore non fudi Meyerbeer si spiega forrono vani: Rossi effettivase con la stima che il musimente gli fornì un libretto
cista nutriva per le capacità
di complessa ideazione sul
musicali del celebre interpiano della formulazione
prete. Un’altra preoccupadei numeri musicali. Quezione fu data dal fatto che
sto si nota pressoché in tutl’impresario Crivelli delti i grandi numeri di cui il lila Fenice aveva scritturato
brettista andava tanto fiero,
due prime parti femminicome quello d’apertura, la
li per la stagione di carnecosiddetta «introduzione»,
vale 1824, Henriette Méricma anche il finale primo e il
Lalande e Brigida Lorenzacosiddetto «inno di morte»
ni. Trovare una parte adatdel secondo atto, cantato
ta per la meno celebre deldai cristiani prima di essere
le due cantanti non fu semgiustiziati. La critica meyerplicissimo, ma alla fine probeeriana ha da tempo indiprio i vincoli imposti dalviduato nel Crociato un cal’impresa operarono da stiso quasi esemplare di «gemolo per ideare soluzioni
nere allo stato nascente»: il
Les Huguenots da una stampa ottocentesca
drammatiche ancor più avgenere in questione sarebbe
vincenti. La Lorenzani saquello del grand-opéra, di cui
rebbe diventata la moglie
il Crociato senz’altro anticiabbandonata da Armando in Europa, prima del legame
pa alcuni caratteri. Il confronto tra l’opera seria di Rosdi questi con l’amante Palmide, madre di un figlio. In sesini tra la fine degli anni dieci e i primi anni venti (Mosè e
guito, per una forma di autocensura suggerita da MeyerSemiramide), il Crociato e alcune realizzazioni immediatabeer, Felicia sarà trasformata nella fidanzata del crociato
mente successive di Meyerbeer (Les Huguenots e Robert le
fedifrago solo attraverso la modifica di pochi versi.
diable), rende evidente il forte rapporto di continuità che
Nonostante taluni malintesi e i frequenti alti e bassi
lega lavori apparentemente molto diversi. Se però si condella loro collaborazione, nel poeta non venne mai mesidera che il poeta Rossi modificò il Maometto secondo per
no la comunanza degli scopi col compositore e anche la
le rappresentazioni veneziane del 1823, che per la stessa
consapevolezza, nel caso del Crociato, di essersi adoperastagione scrisse il libretto di Semiramide e l’anno successito con esiti assolutamente fuori dal comune. Vi è innanvo quello del Crociato, che continuò a collaborare anche
zitutto la percezione dell’interesse offerto dal soggetto
in seguito con il musicista tedesco fornendogli versi itaprescelto, a causa del suo originale svolgimento, dell’amliani per Les Huguenots, successivamente fatti tradurre in
bientazione innovativa, nel contempo esotica e grandiofrancese… sarebbe davvero ben strano se queste opere
sa, dei forti sentimenti rappresentati. Fin da subito Rosstraordinarie non conservassero almeno una traccia del
si intuì il successo che sarebbe stato tributato ad alcuni
suo apporto creativo e della sua passione per un teatro in
pezzi, in particolare al terzetto «Giovinetto cavalier». La
musica fatto non tanto di bei versi, ma di situazioni apsituazione è effettivamente piccante (una fidanzata e una
passionanti e di coinvolgimento emotivo.
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