La scoperta di virus di enormi dimensioni sta cambiando

biologia
Virus
giganti
La scoperta di virus di enormi dimensioni sta cambiando il nostro
modo di pensare alla loro natura e al loro posto nella storia della vita
a maniera più comune, e in complesso più
corretta, di pensare ai virus è considerarli come dei ladruncoli che si infilano nelle cellule,
assumono il comando della biosintesi e obbligano la cellula a produrre una vasta progenie, che rompe la cellula e continua il ciclo di
replicazione. Si suppone inoltre che siano piccoli anche in confronto alle cellule, che hanno un diametro di un
micrometro (1000 nanometri), e che viaggino leggeri, con pochi
geni ma ben adattati.
Nel 1992, però, nella torre di raffreddamento di una centrale
elettrica di Bradford, in Inghilterra, venne isolato un nuovo microrganismo. Mentre era alla ricerca dell’agente causale di un’epidemia locale di polmonite, Timothy Robotham, microbiologo
del Public Health Laboratory di Leeds, arrivò alle acque della torre
di raffreddamento, notoriamente un serbatoio di batteri patogeni
del genere Legionella, che causa il morbo del legionario, simile alla polmonite. Alcune delle particelle presenti nel campione erano
state confuse con batteri. Gram-positive e visibili al microscopio
come patogeni all’interno di Acanthamoeba polyphaga (un’ameba
che fagocita le particelle), queste entità non diedero nessun risultato quando si tentò di amplificarne il DNA con la tecnica della PCR
usando degli inneschi batterici universali.
Undici anni più tardi, nel 2003, l’organismo misterioso ha ricevuto una nuova identità e un nuovo nome: mimivirus di Acan-
thamoeba polyphaga. Mimivirus sta per microbe-mimicking virus,
virus che imita i microbi, ed è il più grande virus conosciuto. I virus giganti sono noti da diversi anni, e molti di essi fanno parte
del gruppo dei grandi virus nucleo-citoplasmatici a DNA (NCLDV).
Questo gruppo comprende molte altre famiglie, tra cui i Poxviridae, che infettano vertebrati (per esempio, il virus del vaiolo) e inverterbrati, i virus acquatici Iridoviridae e Phycodnaviridae, e gli
Asfarviridae, che colpiscono i vertebrati.
I virus giganti sono quelli con un genoma con più di 300.000
coppie di basi e con capsidi di diametro superiore a 200 nanometri. Il mimivirus è un vero gigante tra i giganti: un diametro di 750
nanometri e un genoma fuori misura per gli standard virali, con
1.200.000 coppie di basi, per un totale di 1018 geni. In confronto,
il più piccolo batterio autonomo, Mycoplasma genitalium, ha un
diametro di soli 450 nanometri e un genoma che è la metà del mimivirus, che codifica per sole 482 proteine, mentre il più piccolo
organismo cellulare, Hodgkinia cicadicola, un parassita delle cicale descritto nel 2009, ha un genoma di sole 140.000 coppie di basi, per misere 169 proteine, ed è interamente dipendente dal lussurioso ambiente delle cellule specializzate della cicala. Di solito i
virus non sono considerati organismi viventi (per un’idea della loro posizione nella filogenesi sull’albero della vita, si veda il box a
p. 88), ma il mimivirus ha un programma genetico e un processo di replicazione più complessi rispetto a H. cicadicola e a molti altri batteri.
In breve
I virus giganti, detti anche girus,
sono un’antica famiglia scoperta solo
di recente, perché, stranamente,
proprio la loro grande dimensione ha
impedito che fossero isolati con le
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normali tecniche di filtraggio.
Iniziati gli studi sui virus giganti, i
ricercatori hanno scoperto che sono
dotati di geni, stili di vita e caratteri
fisiologici esotici, come il «portale
stargate» del mimivirus, che apre un
condotto nella membrana cellulare
per il passaggio del genoma virale.
L’analisi bioinformatica degli
enormi genomi dei virus giganti sta
mostrando che la nostra idea sui
primi stadi evolutivi della vita
potrebbe aver bisogno di
aggiustamenti per includere queste
affascinanti entità biologiche.
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Russell Kightley/SPL/Contrasto
L
di James L. Van Etten
Il virus gigante mimivirus in
un’interpretazione artistica di computer grafica.
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U n d i b at t i t o a p e r t o
Quale posto nell’albero della vita?
Gran parte dei virus giganti è stata scoperta e caratterizzata solo negli ultimi anni. Queste incredibili entità biologiche sono rimaste sconosciute così a lungo per diversi motivi. Tra i principali, c’è
il fatto che il metodo classico per isolare i virus è il filtraggio attraverso filtri con pori di 200 nanometri. Poiché nessuno aveva mai
definito i virus come particelle che si replicano e presenti nel filtrato ottenuto da questo processo, i virus giganti sono rimasti invisibili a intere generazioni di ricercatori. Il mimivirus è stato scoperto
perché è così grande da essere visibile con un microscopio ottico.
Inoltre le procedure standard di coltura su piastra non rilevavano
i virus giganti perché le particelle più grandi affondano nell’agar
della piastra, per cui non danno origine a colonie visibili. Un’ulteriore spiegazione è poi che molti grandi virus infettano i protisti,
che sono assai meno studiati di piante e animali.
Con i riflettori finalmente puntati su di loro, i virus giganti
stanno impartendo importanti lezioni sulla fisiologia e l’ecologia
dei virus, e sfidano assunzioni molto radicate sulla forma dell’albero filogenetico della vita.
Una grande famiglia
Fondamentale per la posizione dei virus giganti nell’albero della vita è la presenza di numerose famiglie di geni presenti nei virus e finora ignote. Una recente ricostruzione dell’evoluzione degli
NCLDV sembra indicare un antenato comune che probabilmente aveva un insieme minimo di 47 geni che hanno lasciato tracce nei genomi virali moderni. Gli NCLDV si sarebbero poi evoluti
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te, i virus sono polifiletici. Cioè: se un albero filogenetico è una rappresentazione concettuale delle relazioni evolutive che possono essere solamente inferite dallo studio dei caratteri ereditati da una linea ininterrotta che arriva
all’antenato comune dei taxa. I virus, invece, hanno origine qua e là nell’albero evolutivo, e raccolgono il loro carico genetico per trasferimento genico orizzontale dai loro ospiti.
In un numero successivo della stessa rivista, dieci pagine sono state dedicate a un’animata corrispondenza sulla posizione di Moreira e López-García
e sull’annosa questione: che cosa pensare dei virus? È impossibile qui rendere giustizia a tutte le argomentazioni presentate, ma una breve rassegna
può restituire il sapore e l’interesse del dibattito, e mostra anche come la discussione sia stata rimodellata dalle nuove scoperte sui virus giganti. Agendo come una sorta di moderatore, Jésus Navas-Castillo ha aperto la tenzone
con un richiamo alla precisione: «Legare vaghe definizioni filosofiche di “vita”
all’inclusione nell’albero della vita è quanto meno dubbio». Dando una sorta
di assoluzione ad alcune delle argomentazioni originali, ha poi affrontato una
premessa fattuale. Navas-Castillo ha fortemente criticato l’asserzione che alti tassi di trasferimento genico orizzontale e di ricombinazione nei virus implichino che un insieme di geni che si trovano insieme in un genoma virale in un
dato momento ha poche possibilità di rimanere unito dopo un piccolo numero di generazioni: «La genomica comparativa non è in accordo con questa volatilità. Gli insiemi di geni virus-specifici sono ben definiti e sono stati insieme per eoni, come è stato dimostrato per i [virus giganti] e i virus a RNA del
gruppo dei Picorna».
Nel colpo successivo, tra le altre argomentazioni, Jean-Michel Claverie e Hiroyuki Ogata criticavano il rifiuto basato sull’origine polifiletica dei virus. Sottolineavano che la discussione non era iniziata in generale sulla natura dei virus, i quali sono massicciamente polifiletici, ma era stata accesa dai caratteri
perdendo alcuni geni, duplicandone altri e acquisendo geni dai loro ospiti e da altri organismi. I virus giganti, come altri virus, sono
borseggiatori genetici, e per eoni hanno rubato geni ai loro ospiti. L’interpretazione delle ricostruzioni filogenetiche virali è quindi
piena di dubbi. Tuttavia, è possibile vedere una flebile traccia della
storia evolutiva. L’analisi di 45 virus giganti ha identificato cinque
geni comuni a tutti i virus NCLDV e altri 177 geni che sono comuni ad almeno due famiglie di virus. Il segnale genetico ancestrale,
tuttavia, è molto debole. Si consideri che in una selezione di tre virus della famiglia dei Phycodnaviridae, 14 geni in comune indicano una storia evolutiva condivisa, ma nei vasti genomi di queste
tre entità biologiche ci sono più di 1000 geni.
Il mimivirus è un rappresentante appropriato dei virus giganti,
ed esibisce una serie di tratti peculiari che caratterizzano la diversità di questi virus. Il virione del mimivirus (l’insieme completo del
materiale genetico e del rivestimento proteico) ha un nucleo cubico di circa 500 nanometri, coperto da uno strato di fibre pressate
spesso circa 140 nanometri. Le fibre non sono ancora state completamente caratterizzate, ma poiché nei mimivirus sono presenti
geni per una molecola simile al collagene (il componente fibroso
del tessuto connettivo animale), esse potrebbero essere costituite
da una forma alternativa di questa sostanza.
Il mimivirus è l’unico membro degli NCLDV che ha questo strato periferico di fibre. Un’altra caratteristica peculiare del virione del mimivirus è la struttura detta «portale stargate», a forma di
stella a cinque punte sul vertice di un icosaedro.
Secondo i dati disponibili, sembra che i mimivirus ingeriti da
un’ameba entrino in un comparto membranoso della cellula che si
fonde con i lisosomi (degli organelli digestivi). A questo punto, l’attività degli enzimi lisosomiali causerebbe l’apertura del portale stargate, e una membrana interna nel mimivirus andrebbe a fondersi
con il comparto membranoso circostante. Si forma così un condotto attraverso cui il genoma virale passa nel citoplasma dell’ospite.
Nel citoplasma circostante il nucleo virale si crea quindi un complesso di assemblaggio virale detto fabbrica di replicazione, la quale si espande al punto che sei ore dopo l’infezione iniziale occupa
una gran parte del volume cellulare. Nella fabbrica di replicazione,
il DNA viene impacchettato nei capsidi virali vuoti e parzialmente
assemblati, senza rivestimento fibroso. Stranamente, l’impacchettamento del DNA sembra avvenire attraverso superfici del capside virale diverse dallo stargate: il DNA entra ed esce dal virione da
strade differenti, una cosa molto strana per i virus.
Nel 2008 un nuovo ceppo di mimivirus fu isolato da un’altra
torre di raffreddamento, questa volta a Parigi: aveva un genoma
leggermente più grande del mimivirus, ed è stato battezzato mamavirus. Portava con sé una sorpresa: un virus parassita, battezzato Sputnik. I satelliti virali, piuttosto comuni, sono agenti subvirali composti da piccole quantità di acidi nucleici la cui replicazione
dipende da un genoma virale. In questo caso, il nome del compagno virale potrebbe essere inesatto, poiché Sputnik più che un satellite sembra un vero parassita del proprio ospite. Quando è presente, infatti, interferisce con l’infettività del mamavirus nelle
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Nel 2006, sulla rivista «Genome Biology», Jean-Michel Claveri, del Laboratorio di informazione strutturale e genomica di Marsiglia, aggiunse un provocatorio contributo all’annoso dibattito intorno alla questione se i virus
siano «vita» oppure no. «Credo che la fabbrica virale vada considerata il vero
organismo virale quando ci si riferisce ai virus. Incidentalmente, in questa interpretazione, la natura vivente dei virus è indubbia, come per i parassiti batterici intracellulari». La particella sarebbe quindi solo una forma riproduttiva,
una fase nella «vita» di un virus prima che si rinchiuda nell’apparato metabolico della cellula ospite, dirigendo la costruzione della fabbrica di virus interna e assumendo il controllo per la propria riproduzione come ogni altra forma di vita unicellulare.
Nel 2009 David Moreira e Purificación López-García dell’Unité d’Ecologie
Systématique et Evolution hanno richiamato questa argomentazione in uno
stimolante pezzo di ragionamento biologico (un commentatore lo definì «coraggioso», ma senza chiarire se l’aggettivo era ironico) pubblicato su «Nature
Reviews Microbiology». In Dieci ragioni per escludere i virus dall’albero della vita, hanno sostenuto non solo che queste entità genetiche non sono vive,
ma anche che non devono avere alcun posto in qualsiasi albero filogenetico
che unisca organismi esistenti all’antenato comune di tutte le forme di vita.
Tra i fattori che avevano stimolato la scrittura di quel pezzo c’era la scoperta del mimivirus gigante nel 2003 e l’idea, suggerita da alcuni dei ricercatori che avevano studiato l’enorme genoma del mimivirus, che i virus giganti
potessero in realtà rappresentare un quarto ramo dell’albero della vita, insieme ai tre domini degli Archaea, dei Bacteria e degli Eukarya. Moreira e
López-García non erano d’accordo. Le loro dieci ragioni per escludere i virus dall’albero della vita andavano dal radicale al sottile. I virus non sono vivi. I loro geni sono frutto di furti. Non c’è un singolo gene condiviso da tutti i
virus: cioè, non c’è una linea filogenetica virale ancestrale. Più precisamen-
dei nuovi virus giganti. Evidenziavano infatti di aver proposto il termine «girus»
per rendere evidente che le proprietà e forse le origine evolutive dei grandi virus a DNA erano talmente peculiari che sarebbe stato irragionevole raggrupparli indiscriminatamente con tutti gli altri virus. «Chiedersi se i girus ancestrali
facciano parte delle intricate radici sotterranee di una “foresta della vita” è una
domanda legittima». Continuavano osservando che denigrare i virus come rapinatori dei geni dell’ospite non è pertinente nel momento in cui l’86 per cento
dei geni del mimivirus è «materia oscura genomica» che non somiglia ad alcun
virus cellulare noto. Inoltre, presentavano un albero filogenetico di una proteina
per la replicazione del DNA, in cui il mimivirus e un altro virus gigante, Ectyocarpus siliculosus virus-1 (ESV-1), evidentemente si dividevano vicino al punto in
cui la vita si separava per la prima volta nei tre domini.
A questo albero filogenetico, gli autori originali hanno replicato con un albero più ricco, con più specie (106 invece di 20), e indicando un’ampia selezione
di geni omologhi del mimivirus e dell’ESV-1, che potevano essere possibili fonti di trasferimento genico orizzontale. Mostravano inoltre la posizione filogenetica non di una ma di tre copie dello stesso gene per la replicazione del DNA rintracciato nei virus (vedi figura). Concludevano quindi che il gruppo genico non
era semplicemente polifiletico ma aveva in realtà radici in lontani gruppi eucarioti, prima che questi geni venissero rubati dai virus. (Non è del tutto chiaro se
ciascun membro del gruppo abbia dato ai virus una copia del gene, o se l’infezione virale ha lasciato tracce negli ospiti dei gruppi separati.)
Didier Raoult, dell’Unité de Recherche en Maladies Infectieuses et Tropicales
Émergentes di Marsiglia, è entrato con forza nel dibattito con una negazione
decisa: «Non esiste un albero della vita». Gli organismi attuali sono chimere,
«costituiti di sequenze di diversa origine che rende obsoleta la teoria dell’albero
della vita.» L’albero immaginato da Darwin è pertinente nell’era genomica solo se costruito gene per gene, da usare per dedurre la storia evolutiva del gene,
non della forma di vita.
L’ultima parola del dibattito? È ancora da scrivere.
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Microfotografia a falsi colori dei virioni (particelle virali) di
un iridovirus responsabile della febbre suina.
amebe, e sembra che porti alla produzione di virioni di mamavirus
difettosi, il che non avviene per i satelliti virali tradizionali. Questo tratto sconosciuto, insieme ad altre caratteristiche del suo stile
di vita, ha spinto a proporre la creazione di un nuovo gruppo e di
un nuovo nome, virofagi, per i virus che parassitano i virus giganti. Inoltre, nell’aprile 2011 è stato pubblicato un altro articolo che
descrive un nuovo ceppo di mimivirus infettato da un nuovo ceppo di virofagi. Nell’effervescente ricerca sui virus giganti, le novità sono tante e frequenti.
Origini
L’origine del gruppo degli NCLDV è controversa. Dopo la scoperta del mimivirus, alcuni ricercatori, analizzandone il gran numero di geni (l’86 per cento dell’intera sequenza codificante del
mimivirus) senza alcuna somiglianza riconoscibile con altri geni
cellulari, hanno concluso che gli NCLDV andrebbero considerati
un quarto dominio della vita insieme ad Archaea, Bacteria e Eukarya. È stato ipotizzato che alcuni dei loro geni potrebbero aver
avuto origine dallo stesso pool genico ancestrale da cui si sono
evoluti eucarioti e procarioti.
La dimensione e la complessità dei genomi NCLDV hanno portato a due ipotesi contrastanti ma egualmente suggestive: o gli
antenati degli attuali NCLDV hanno dato origine al genoma eucariota o il decadimento di un genoma eucariota potrebbe aver
prodotto il genoma della famiglia degli NCLDV. Inoltre, il trasferimento genico orizzontale tra virus e ospite ha avuto un ruolo im-
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Il genoma dei virus
giganti può essere più
grande di quello di alcuni
batteri, ed essere ricco di
novità. Nel caso del mimivirus
(in alto), l’86 per cento delle
sequenze codificanti previste
non hanno omologhi nei geni
catalogati nelle banche dati
genetiche.
A. polyphaga Mimivirus
Rickettsia prowazekii
Chlamydia trachomatis
Mycoplasma capricolum
Tropheryma whipplei
Mycoplasma pneumoniae
Ureaplasma parvum
Cafeteria roenbergensis virus
Bacillus phage G
Mycoplasma genitalium
Batteri
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P. bursaria Chlorella virus NY-2A
Hodgkinia cicadicola
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Dimensioni del genoma (paia di basi)
portante nell’evoluzione degli NCLDV (e delle loro cellule ospiti),
sin da tempi molto remoti nella storia biologica.
Data la loro diversità in termini di morfologia, ecologia, dimensione del genoma e unicità dei geni, è stato proposto un nuovo nome per i virus giganti: girus. Lo scopo semantico e scientifico del
nuovo nome è di enfatizzare le peculiarità dei grandi virus a DNA,
che probabilmente rappresentano una storia evolutiva unica e condivisa. Il termine virus (veleno in greco) ha più di un secolo di vita, e da quando è stato coniato il vocabolo sono stati scoperti agenti virali molto differenti, con stili di vita, fisiologie e strategie di
replicazione molto diverse. Un unico nome collettivo per il gruppo
ha funzionato bene finché i virus erano definibili come agenti genetici piccoli e relativamente semplici che dipendono dai loro ospiti per la replicazione. La definizione sembra tuttavia sempre meno
adatta alla famiglia dei grandi virus a DNA, man mano che questa viene caratterizzata con dettaglio sempre maggiore, e con l’analisi bioinformatica dei loro genomi molto grandi e complessi diventano sempre più evidenti le relazioni evolutive tra i membri del
gruppo. Negli ultimi due anni, il termine girus è apparso con sempre maggiore regolarità nella letteratura virologica.
Ruolo ecologico
Per caratterizzare nuovi attori biologici è importante caratterizzare il ruolo che hanno nel dare forma al proprio ambiente. I virus
giganti sono passati inosservati non perché siano rari, né perché
marginali nelle loro sfere ecologiche. La metagenomica, un campo
di ricerca emergente, ha aperto negli ultimi anni una nuova finestra sulla comprensione degli ecosistemi. Il metagenoma di un ambiente è la somma di tutti i genomi degli organismi presenti. Usando una tecnica detta campionamento shotgun (a mitragliatrice), si
raccoglie il materiale ambientale, e il DNA presente al suo interno
viene spezzettato a caso, per poi sequenziare i frammenti ottenuti.
Le sequenze che si sovrappongono sono quindi allineate per ricostruire i geni. Alcuni dei geni risultanti possono essere identificati
grazie ai database genetici, ma molti rimangono sconosciuti. L’alto
numero di geni non identificati ritrovati negli studi metagenomici è una delle ragioni più forti per il crescente movimento in difesa
della biodiversità. Grazie alla metagenomica, siamo in grado di sapere che il numero di specie che non conosciamo è enorme.
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La famiglia dei
Poxviridae, di cui fa
parte Variola virus, il virus
responsabile del vaiolo (a
fronte) è una fra le tante
del gruppo dei grandi virus
nucleo-citoplasmatici a DNA.
In una spettacolare dimostrazione della potenza del
sequenziamento ambientale, Mya Breitbart, Forest Rohwer e i loro collaboratori hanno dimostrato nel 2002 che 200 litri di acqua
di mare contengono più di 5000 virus diversi, praticamente tutti di
specie ignota. In un altro studio, la Global Ocean Sampling Expedition ha campionato le acque dalla Nova Scotia al Pacifico orientale in una circumnavigazione di due anni, usando un approccio
più mirato che sfrutta sequenze di prodotti proteici (come specifici frammenti della DNA polimerasi) per interrogare il DNA metagenomico e quindi determinare la prevalenza delle specie. Nell’86
per cento dei siti i parenti del mimivirus erano le entità più abbondanti dopo i batteriofagi. Quindi, i girus sono comuni in natura, ed
è chiaro che ne esistono molti altri che aspettano di essere scoperti.
Anche il loro ruolo nel dare forma all’ambiente sta emergendo
sempre di più. Oltre la metà di tutta la fotosintesi sulla Terra è dovuta a microrganismi fotosintetici, tra cui i cianobatteri e le microalghe, che vanno sotto il nome di fitoplancton. Secondo le stime,
in un dato momento il 20 per cento delle cellule del fitoplancton
è infettato da virus, tra i quali anche i virus giganti in una quantità sconosciuta ma chiaramente importante. Fondamentale per l’ecologia dei sistemi oceanici, ed essenziale per il benessere del pianeta, è il microzooplancton, composto da piccoli animali che si
cibano dei protisti del fitoplancton. Finora è stato osservato un solo virus che infetta questi animali, il virus Cafeteria roenbergensis (CroV), un virus gigante (730 coppie di chilobasi, e una stima di
544 geni codificanti). È interessante notare che CroV ha anche un
virofago associato.
Il fitoplancton è strettamente legato a un altro virus gigante,
con implicazioni per il mare, la terra e il cielo, nonché per l’ecologia della comunità del fitoplancton. Emiliani huxleyi è una delle più abbondanti alghe fotosintetiche unicellulari negli oceani. Le
cellule di E. huxleyi producono piccole scaglie di carbonato di calcio che, data l’abbondanza di queste microalghe, è importante per
il ciclo del carbonio negli oceani. Periodicamente E. huxleyi forma enormi fioriture (che raggiungono i 100.000 chilometri quadrati) nell’emisfero nord e in quello sud. Un virus gigante che infetta E. huxleyi, detto EhV (407 coppie di chilobasi, 472 sequenze
codificate stimate) è in gran parte responsabile della fine di queste
fioriture, con il conseguente rilascio di enormi quantità di materia
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organica, tra cui scaglie di carbonato di calcio che vanno a formare grandi depositi. Un esempio spettacolare dei risultati di questo
processo sono le bianche scogliere di Dover.
La fine delle fioriture di E. huxleyi causa anche il rilascio di un
composto modificato da altri microrganismi, che producono grandi quantità di dimetilsolfuro, responsabile dell’odore che associamo all’acqua di mare. Quando il dimetilsolfuro raggiunge l’atmosfera induce la formazione di nubi e la pioggia. Perciò l’infezione
da EhV nell’ospite ha un ruolo importante per l’ecologia, la geologia e il clima del suo ambiente.
Virus giganti umani?
3D4MEDICAL.COM/SPL/Contrasto
Coccolithovirus EhV-86
Illustrazione di Barbara Aulicino. Include dati forniti da Alan Cann
Nanoarchaeum equitans
I mimivirus nei campioni dalla torre di raffreddamento di
Bradford sono stati scoperti tra i batteri potenzialmente in grado di
causare la polmonite. Ci si è quindi chiesti se i mimivirus potessero
essere patogeni per la nostra specie.
A prima vista sembra improbabile che un patogeno delle amebe faccia il salto verso l’uomo. Umani e amebe sono separati da
800 milioni di anni di evoluzione, e un salto infettivo così grande sarebbe molto insolito in virologia: di norma, le infezioni virali sono altamente specifiche per i loro ospiti, una specificità dovuta al fatto che il virus deve cooptare i meccanismi di sintesi della
cellula ospite per potersi replicare. Ciò implica numerose interazioni macromolecolari specifiche, molto complesse, tra i componenti virali e quelli dell’ospite per ogni fase dell’infezione, dall’entrata nella cellula fino alla replicazione del virus, che necessita il
dirottamento di gran parte dei meccanismi molecolari e biochimici della cellula, spesso associata a un’ulteriore inibizione delle difese della cellula. Non sorprende dunque che virus molto simili, come l’HIV (la causa dell’AIDS), e il ceppo delle scimmie, il SIV, non
siano in grado di infettare uno gli ospiti dell’altro, anche se si tratta di primati evolutivamente molto vicini.
Tuttavia, spesso il mimivirus sfida le regole. Riesce a entrare nelle cellule fagocitiche (come le amebe e, forse, i macrofagi umani) quando queste lo inglobano. Esce dal vacuolo che
lo circonda dopo essere stato inglobato grazie a una fusione della membrana relativamente poco specifica. Da quel punto in poi, la sua enorme dotazione di oltre 1000 geni può donargli la capacità di dirottare o replicare le funzioni cellulari
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oltrepassando i limiti degli altri virus meno dotati geneticamente.
Finora ci sono solo indizi minimi che il mimivirus possa infettare
gli esseri umani. Ricerche condotte in un laboratorio canadese suggeriscono che la domanda è ancora aperta, mentre altri studi non
hanno trovato prove al riguardo. Una rassegna del 2009 ha proposto, per prudenza, che il mimivirus sia trattato provvisoriamente come un patogeno di classe 2 di biosicurezza, quella dei patogeni
che causano solo lievi malattie o che difficilmente possono essere
trasmessi per via aerea in un laboratorio.
I virus giganti NCLDV probabilmente hanno una lunga storia evolutiva, ma sono una novità per la virologia. Va sottolineato inoltre che oltre agli NCLDV ci sono altri virus che possono essere considerati girus, tra cui virus batterici come il fago G e un virus
detto «della sindrome della macchia bianca», che causa una patologia di grande importanza economica nei gamberi d’allevamento.
Con la ricerca ancora ai primi passi, i virus giganti stanno già apportando benefici scientifici ed economici. Si sono scoperti nuovi
enzimi le cui funzioni hanno valore commerciale, anche perché gli
enzimi virali sono spesso i più piccoli nella loro classe e sono quindi modelli ideali per ricerche strutturali e sul loro funzionamento.
Al momento, un ostacolo per lo studio dei girus è il fatto che nessuno di essi può essere geneticamente modificato con le tecniche molecolari. Ma si spera che questa barriera cada presto
n
per approfondire
Another really, really big virus. Van Etten J.L., in «Viruses» Vol. 3, pp. 32-46, 2011.
Virophage control of Antarctic algal host-virus dynamics. Yau S., Lauro F.M.,
DeMaere M.Z. e altri, in «Proceedings of the National Academy of Sciences», Vol. 108,
pp. 6163- 6168, 2011.
Mimivirus: The emerging paradox of quasi-autonomous viruses. Claverie J.-M. e
Abergel C., in «Trends in Genetics», Vol. 26, pp. 431-437, 2010.
Origin and evolution of eukaryotic large nucleo-cytoplasmic DNA viruses. Koonin
E.V. e Yutin N., in «Intervirology», Vol. 53, pp. 284-292, 2010.
Breaking the 1000-gene barrier for Mimivirus using ultra-deep genome and
transcriptome sequencing. Legendre M., Santini S. e altri, in «Virology Journal»,
Vol. 8, pp. 99-105, 2011.
Giant viruses from Amoeba in a post-Darwinist viral world. Raoult D., in
«Intervirology», Vol. 53, pp. 251-253. 2010.
Viruses manipulate the marine environment. Rohwer F. e Vega Thurber R., in
«Nature», Vol. 459, pp. 207-212, 2009.
Le Scienze 91