Musica Omaggio a Salvatore Sciarrino

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Musica
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Sinfonica
Omaggio
a Salvatore Sciarrino
Orchestra di Padova
e del Veneto
Cristina Zavalloni
Marco Angius
venerdì 28 aprile
Omaggio a Salvatore Sciarrino
Orchestra di Padova e del Veneto
Marco Angius direttore
Cristina Zavalloni voce
con Salvatore Sciarrino
Leone d’Oro alla carriera 2016
programma
Salvatore Sciarrino (1947)
Mozart a nove anni
1.Presto in Sol minore (Londoner
Skizzenbuch n.17, K.Anh.109b n.7 15r)
2.Andantino in Mi bemolle maggiore
(L.S. n.35, K.15kk)
3.Allegro in Fa maggiore (L.S. n.21, K.15v)
4.Allegro in Mi bemolle maggiore
(L.S. n.28, K.15cc)
5.Allegro in Re minore (L.S. n.20, K.15u)
6.Allegro grazioso in La maggiore
(L.S. n.11, K.151)
7.Andantino in Mi bemolle maggiore
(1790, K.236, 588b)
8.Allegro moderato in Fa maggiore
(L.S. n.19, K.Anh.109b n.15t)
9.Courant. Allegretto in Mi bemolle
maggiore (dalla Suite K.399, 389i, 1782)
10. Allegro con brio in Sol minore
(L.S. n.15, K.Anh.109b n.3 15p)
Efebo con radio
Nove Canzoni del XX secolo
elaborazioni per voce e orchestra
1.Johnny Mercer, Dream
(versione d’apertura – voce e orchestra)
2.Mitchel Parish – Peter De Rose,
Deep Purple (orchestra)
3.Mitchel Parish – Irving Mills – Duke Ellington, Sophisticated Lady (voce e orchestra)
4.Cole Porter, Night and Day (orchestra)
5.Mitchel Parish, Hoagy Carmichael,
Stardust (voce e orchestra)
6.Ira & George Gershwin,
Love Is Here To Stay (orchestra)
7.Grant Clarke, James F. Hanley,
Second Hand Rose (voce e orchestra)
8.A. Freed – N. H. Brown,
You Are My Lucky Star (orchestra)
9.Johnny Mercer, Dream
(versione di chiusura – voce e orchestra)
28 aprile 2017
Concerto, consegna del Premio Pia Baschiera Tallon
Educare alla musica 2017
e Sigillo della Città a Salvatore Sciarrino
“Cultore d’arte e raffinato pedagogo, Salvatore Sciarrino
è universalmente riconosciuto come una delle voci più
originali e autorevoli del nostro tempo. Sciarrino ha dedicato
la propria esistenza all’arte del comporre con spirito di
ricerca e invenzione incessanti che lo hanno portato a
scoprire un mondo sonoro inaudito, dando un impulso
decisivo al rinnovamento della musica contemporanea e
dimostrando come la musica, per rinnovarsi e ritrovarsi,
debba uscire dalla propria forma storicizzata per farsi
esperienza d’ascolto in cui lo spettatore è al centro di
fenomeni misteriosi e quasi ancestrali”. Questa — nelle
parole di Ivan Fedele — la motivazione del Leone d’Oro alla
carriera assegnato a Salvatore Sciarrino nell’edizione 2016
della Biennale Musica di Venezia.
In occasione dei suoi settant’anni, il Teatro Verdi rende
omaggio a colui che oggi è il compositore italiano più
eseguito nel mondo, alla sua musica — che induce a un
diverso modo di ascoltare — e alle emozioni che offre,
portando l’ascoltatore a una sorprendente presa
di coscienza di sé e del sonoro circostante.
Con lui in un suggestivo percorso tra suono e silenzio,
alcuni musicisti che da tempo sperimentano con Sciarrino
un importante sodalizio artistico: Cristina Zavalloni,
l’Orchestra di Padova e del Veneto e il suo direttore
musicale Marco Angius.
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Sinfonica
“Mozart è colui che ha reso gioco la musica. Affascina in lui proprio
l’incantato prolungarsi dell’infanzia oltre l’infanzia. I tratti stessi del
personaggio, la quantità ossessiva ed eccelsa della produzione, ci invitano
a risalire la sua vita, per osservare alle origini il fenomeno. Nulla può dare
la misura di Mozart quanto assistere al suo farsi genio.
Una delle prime manifestazioni è il Quaderno londinese di schizzi
(Londoner Skizzenbuch) scritto fra il 1764 e il 1765. Esso fornisce,
oltre a un paio di frammenti, una raccolta di piccole composizioni oggi
incluse nelle opere pianistiche. Mozart aveva quasi 9 anni. Il valore di
un’opera così giovanile, di solito, rimane documentario e biografico.
E in effetti molti pezzi del Quaderno risulterebbero semplici prove da
principiante, se non fossero illuminate da brani più complessi, notevoli
per invenzione, elaborazione, coerenza.
Non mancano tenere sbadataggini di notazione, come pure lievissime
imperizie nella condotta delle parti. Ma tali manchevolezze riguardano
esclusivamente il piano dei dettagli, perché nell’insieme ogni pezzo si
impone con una perfezione formale inquietante, affatto priva d’ingenuità.
Colpisce, ancora, la varietà delle idee e dei trattamenti. Certo, il
respiro corto tradisce l’età dell’autore. Malgrado questo, veniamo
letteralmente trafitti dall’espressione degli Andanti, né possiamo restare
indifferenti ad alcuni Allegri indiavolati o tempestosi, universi ridotti e
proporzionatissimi, dove trova il suo spazio ogni cosa.
Anziché preparare le composizioni dell’immediato futuro, il Quaderno
sembra misteriosamente annunciare sprazzi di un Mozart estremo e
ricercato, quasi vicino a Beethoven e allo spirito romantico. Musica
singolare che reca variegati semi dell’ingegno. Al di là di tutto ciò, un
aspetto e un comportamento ci interessano, che non torneranno più:
l’estro infantile di sbalordire l’ascoltatore. Nella maturità Mozart sarà
così preso nell’essenza del discorso musicale, che non potrà perdersi
in particolari. Ora invece esagera, come tutti i bambini a cui si dia
corda, e lui si lascia andare subito, giù dissonanze piccanti, stravaganze
improvvise. A tal punto da distrarci talvolta, e rompere l’equilibrio globale
del discorso. Per un intero brano il nostro compositore in erba azzarda un
ritmo sofisticato, in cui pari e dispari si alternano e sovrappongono. L’effetto
è congeniale a noi moderni. Ed ecco gli studiosi accanirsi nel sostenere
che il ritmo è sbagliato, che Mozart non sapeva ancora scrivere il ritmo di
Siciliana. Allora ci chiediamo: Mozart era veramente il fenomeno che si dice?
Uno che stupiva suonando il violino a 4 anni, può commettere lo stesso
errore di ritmo 32 volte di seguito? Tutt’al più saremmo di fronte a un lapsus
fortemente significativo. I musicologi purtroppo non usano confrontarsi con
la psicologia infantile, che qui dovrebbe soccorrerli. Quanto a me, preferisco
ascoltare gli errori originali di Mozart, che le correzioni di un professore!
Anzi, ne approfitto per lamentare alcune alterazioni corrette nell’edizione
principe fra quelle mozartiane. Le armonie escono impoverite da una cautela
da scolaro che mai Mozart ebbe, neppure da piccolino. È sicuro che nel
riempire il Quaderno, per la prima volta, Mozart abbia fatto da sé; suo padre
Leopold non è intervenuto. Non altrettanto s’astengono i revisori recenti: in
discussione vi sarebbero pure gli arpeggi irregolari, pianisticamente astrusi.
Ma davvero sono per pianoforte questi pezzi? A una maggiore attenzione la
loro musica rivela come una mescolanza di generi, profumo di aria teatrale,
di concerto, di sinfonia. Dunque stimoli di provenienza la più diversa stanno
formando come un coagulo emblematico per l’artista a venire. Dentro la
sua mente, infatti, i generi non si sarebbero più separati. Tali sfumature
eterogenee, soltanto una trasposizione orchestrale può portarle all’evidenza.
Sottratte al monocromo di una tastiera di buone maniere, immerse nel
crogiolo dei colori, affinché esplodano finalmente all’orecchio pigro di noi
adulti. Nel caso di Mozart, queste virtualità non corrispondono forse a ciò
che ogni bambino sa vedere in giochi fatti di niente? La mia orchestrazione
accetta la sfida del suo gioco, fin troppo serio, proponendo alcune istantanee
di Mozart a 9 anni. Il caso vuole che tra queste siano capitate due rare
immagini di epoca posteriore, 1790 e 1782. Era oltre un secolo che questi
altri pezzi chiamavano perché qualcuno li orchestrasse”.
Salvatore Sciarrino
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Mozart a 9 anni
Seduti in una sala da concerto, aspettiamo che la musica inizi.
Invece giunge un flusso di frantumi: canzoni e annunzi radiofonici
inframmezzati a lunghi sfrigolii elettrici, come si trattasse di segnali
di ricezione, d’interferenze casuali. Alcuni suoni ci sembrano vicini e
chiari mentre altri sono lontani e indecifrabili. L’impressione, dopo pochi
istanti, è di essere davanti a una grande e immaginaria radio a valvole
la cui virtuale manopola è azionata in modo irregolare. Quest’anomala
esperienza musicale si verifica puntualmente quando viene eseguito
Efebo con radio di Salvatore Sciarrino, per voce e orchestra; il brano,
composto nel 1981, intreccia in modo semplice e inequivocabile
molteplici dimensioni d’ascolto. Per comodità di lettura, dobbiamo
anzitutto distinguerne i livelli globali:
− una piccola orchestra sinfonica (acustica) simula un mezzo
tecnologico;
− l’orchestra si sdoppia in due funzioni principali, creando però
l’illusione di tante orchestrine e suoni-disturbo per i più disparati
frammenti di canzoni;
− l’origine di questi frammenti di musica commerciale, che hanno
caratterizzato gli ascolti radiofonici precedenti l’adolescenza di
Sciarrino, consiste in canzoni anteriori al 1950, perlopiù americane,
trattenute oltreoceano durante la guerra;
− la voce svolge un ruolo doppio, in quanto canta con le orchestrine e
interviene con annunci parlati.
«Quando bambino giocavo con la radio», ricorda il compositore,
«essa costituiva un generatore di suono elettronico, rudimentale
ma abbastanza ricco». Vi è dunque, in Efebo con radio, un aspetto
diaristico, intimo, di memoria personale, ma anche uno più
documentaristico che consiste nel rendere con tocchi accennati la
fisionomia della radio italiana dei primi anni ‘50 e insieme suscitare
un’atmosfera d’epoca. In ciò è ovviamente implicita una ricerca
sulle canzoni di quegli anni; i flash di musica leggera, ad esempio,
suonano arrangiati con il colore che contraddistingue le orchestrazioni
all’americana. Nell’insieme Efebo rappresenta una prova suprema
d’illusionismo percettivo tale che, quando venisse trasmesso e recepito
su di una vecchia radio, la differenza tra suono/contenuto e mezzo
tecnologico/contenitore tenderebbe paradossalmente a scomparire.
Per l’ascoltatore, infatti, l’opera riprodotta non sarebbe separabile
dall’apparecchio che la trasmette; inoltre, spiega il compositore, ciò
che in tutte le altre composizioni sono i suoi suoni, la materia preziosa
con cui plasma il suo universo, «qui è umilmente ridotto a disturbo
delle trasmissioni o, più spesso, allo sfrigolante passaggio da una
all’altra, che è come il connettivo sonoro dell’intero lavoro». Costruito
come un singolare lungometraggio sonoro, Efebo con radio incarna la
molteplicità linguistica e morfologica di un’opera musicale prossima
al simulacro acustico o “ibrido genetico” (secondo una delle ricorrenti
definizioni di Sciarrino), dalla caratteristica patina sonora e con cuciture
testuali fittizie quanto ineffabili (i testi delle canzoni combaciano solo
raramente con quelli originali). Se i suoni elettrici, prodotti dagli
archi secondo una scrittura tipicamente sciarriniana, vengono subito
scambiati per segnali di una radio a onde medie (anche per l’emissione
di frequenze sovracute che li connotano), il gioco delle interferenze
sposta ambiguamente il piano d’ascolto e lo modula su brandelli
musicali e testuali. La casualità apparente di queste interferenze, pur
basate su di un potere mimetico, viene contraddetta da ritorni variati
che inducono il dubbio di un continuo déjà vu.(...)
Il grado di suggestione è coinvolgente in quanto fa percepire
senza vedere; si creano associazioni, ma soltanto all’interno del
linguaggio musicale. Diversamente da altri lavori che utilizzano una
vera radio (Cage o Stockhausen), Efebo assume l’aspetto funzionale
dell’apparecchio a valvole, astraendone l’uso più corrente per
convertirlo in un’esperienza acustica senza precedenti. Efebo con radio,
nell’identificarsi con un vecchio esemplare di contenitore mediatico,
ingloba relitti acustici di una realtà però storicizzata (tra cui spiccano
Speak low di Kurt Weill e un frammento del finale da L’enfant et les
sortilèges di Ravel), al punto che i concetti di tempo e forma musicali
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Il simulacro del tempo
frammento già sentito, nel frattempo è mutato il suo contesto timbrico
e ciò provoca un certo disorientamento percettivo ovvero un’alterazione
della consequenzialità spazio-temporale (l’introduzione di Second
Hand Rose, ad esempio, trova una collocazione separata rispetto
alla canzone); in altri casi, avviene una vera e propria liquefazione
del tessuto musicale, un blurring acustico che sfoca i margini delle
figure orchestrali al punto che il compositore ha parlato di «esempio di
marmellata sonora». Gli eventi della realtà non si ripetono. Apposta, in
questo simulacro di realtà, il concetto formale di ripresa viene tirato in
causa per produrre e subire profonde mutazioni, essendo imprigionato
in una galleria di non-luoghi che tornano sempre al punto di partenza,
pur essendo molto (o appena) diversi: si rovescia il clima ludico
paradossale, gli eventi non mostrano vie d’uscita e, mentre il pezzo
sembra cominciare l’ennesima volta da capo, sull’ambiente si è stesa
l’ombra di un suono-sfondo (si tratta di una lastra d’acciaio scossa
leggermente al bordo), associato all’insospettabile lato dark di alcune
parole (“cuor”, “stringi”, “muor”, “It had to be you”, “dolor”). Solo la
finzione estrema ci conduce fuori del labirinto con un finale a sorpresa:
“Di Salvatore Sciarrino abbiamo trasmesso: “Efebo con (troncare)”
[battuta 194]”. Quest’ultimo comunicato, che sigla il pezzo in un
circuito auto-referenziale potenzialmente illimitato, viene sospeso con un
pof di spegnimento dell’apparecchio (in realtà un impulso di trombone,
simultaneo al soffio del corno).
Marco Angius, Portatori del tempo, in Enciclopedia delle arti
contemporanee, pp. 75-77, Electa Editore, Milano 2010
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finiscono triturati — con follia coerente — in un crogiolo di luoghi
riconoscibili eppur sempre sfuggenti; proprio la concezione temporale,
per Sciarrino mai eteronoma rispetto alle vicende sonore, si trova
convertita in quella di oggetto della rappresentazione musicale, ossia
spazializzata in un ambito mentale. Questo tempo plurimo, discontinuo
e molteplice, stratificato e illusorio, è reso verosimile soprattutto dalle
diverse strategie di forme a finestra. Esse permettono l’apparente
vicinanza di più trasmissioni, con una disinvoltura di montaggio
sconosciuta prima ai compositori; infatti, guidata da un concetto di
tempo spazializzato, questa musica presenta delle aperture o intagli che
il compositore aveva già ampiamente definito e teorizzato, precedendo
di una decina d’anni la diffusione del sistema informatico Windows.
L’apertura o chiusura di dimensioni parallele, è realizzata attraverso
una successione di passaggi tra le immaginarie stazioni, anche quando
ci sembra di distinguere cesure più nette o dissolvenze progressive. Il
procedimento è talmente presente da dissimularsi, a lungo andare, nel
flusso degli eventi, come se da un certo momento sia l’ascoltatore e non
più il compositore a ruotare (idealmente) la manopola dei programmi.
Talvolta gli annunci o i frammenti testuali si percepiscono chiaramente
in primo piano, con lievi disturbi sullo sfondo: in seguito la situazione
cambia e i suoni d’interferenza diventano preponderanti rispetto al
segmento musicale o verbale che si può afferrare solo parzialmente (o
per nulla).
Come il titolo della canzone americana situata al centro dell’opera
(Second Hand Rose), in Efebo tutto è di seconda mano, compresi
alcuni resoconti dal tono colloquiale o di conferenza, derivati da
precedenti testi di Sciarrino; attraverso di essi il compositore commenta
la genesi di Efebo così che il testo, incluso nel brano, si riferisce al
brano medesimo in un gioco di specularità senza fine.
(...)
Queste operazioni, compreso il geniale apparato d’implicazioni
semiotiche, azzerano la prevedibilità della produzione d’intrattenimento
e di sottofondo sonoro, esaltandone invece sfumature grottesche o
surreali senz’altro meno consuete. Quando ci sembra di afferrare un
“Le canzoni, sul piano della musica, rappresentano un po’ l’equivalente
dei fiori: belle sì, ma effimere. Mai potrà la musica colta, con la sua
pretesa di universalità, dare il senso di morte che una composizione
leggera trasuda. Con modi garbati, nella sua massima stilizzazione,
questa si offre, non ha pretese; ma di fronte all’eternità proclamata da
un’ingannevole sinfonia, la canzone coglie un istante che smaschera la
fragilità dell’uomo. In mezzo ai ricordi più abbandonati, più perduti,
ciascuno di noi ha qualche canzone che, proprio perché così legata a
un certo periodo del nostro passato, rappresenta il concentrato della
nostalgia”.
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Salvatore Sciarrino, Carte da suono (1981 – 2001)
Nove Canzoni del XX secolo
elaborazioni per voce e orchestra
Nel 1984 è nata l’idea di un curioso trattatello di orchestrazione, basato su pezzi che
tutti conosciamo. La raccolta, protrattasi saltuariamente, è stata completata nel 1992.
N. 1 Dream 1
Johnny Mercer, con voce.
Una metamorfosi del pianoforte, da cui
escono poco a poco gli strumenti, come
per onde di profumo colorato. Alla fine il
pianoforte è sparito.
N. 2 Deep purple
Mitchel Parish – Peter De Rose.
Una forma elaborata classicamente,
condensa tre modelli orchestrali nell’arco di
una sola lunga frase. I modelli provengono da
Shéhérazade di Ravel.
N. 3 Sophisticated lady
Mitchel Parish – Irving Mills – Duke Ellington,
con voce.
Le immagini sonore balenano nell’oscurità.
Brevi citazioni da Pli selon pli (Boulez) e
Valses nobles et sentimentales (Ravel).
N. 4 Night and day
Cole Porter.
Vuoto e pieno si contrastano, come
seguendo le parole del testo.
Citazioni da In the mood.
N. 5 Startdust
Mitchel Parish – Hoagy Carmichael,
con voce.
Risonanze del pianoforte, improvvisa
illuminazione orchestrale.
N. 6 Love is here to stay
Ira & George Gershwin.
Irruzioni del Prometeo di Skrjabin, portate
dalla somiglianza tematica.
N. 7 Second hand rose
Grant Clarke, James F. Hanley, con voce.
Un charleston del 1922, dunque il pezzo più
vecchio della raccolta.
N. 8 You are my lucky star
A. Freed – N. H. Brown.
Procede per apparizioni, gli accordi
vengono concepiti come spettro sonoro.
N. 9 Dream 2
Johnny Mercer, con voce.
Al contrario della prima versione,
l’introduzione si muove con un respiro
sinfonico ampio. Poi l’orchestra rientra
nel pianoforte, che bruscamente tronca la
musica.
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Nove canzoni del XX Secolo
Autodidatta (benché formatosi
privatamente, per qualche tempo,
con Turi Belfiore e Antonino Titone),
Salvatore Sciarrino ha iniziato a
comporre dodicenne, tenendo il
primo concerto pubblico nel 1962.
Ma Sciarrino considera apprendistato
acerbo i lavori anteriori al 1966,
perché è allora che si rivela il suo stile
personale. C’è qualcosa di veramente
particolare che caratterizza questa
musica: essa induce un diverso modo
di ascoltare, un’emozionante presa di
coscienza della realtà e di sé. Si tratta
di una squisita rivoluzione musicale: al
centro viene posto non più l’autore o
la partitura bensì l’ascoltatore. E dopo
cinquant’anni il gigantesco catalogo
delle composizioni di Sciarrino è
tuttora in una fase di sorprendente
sviluppo creativo. Ha composto fra
l’altro per: Teatro alla Scala, Accademia
di Santa Cecilia, RAI, Maggio
Musicale Fiorentino, Biennale di
Venezia, Teatro La Fenice di Venezia,
Teatro Carlo Felice di Genova,
Arena di Verona, Opera National de
Paris, Staatstheater Stuttgart, Oper
Frankfurt, Nationaltheater Mannheim,
Concertgebouw Amsterdam, London
Symphony Orchestra, Suntory Hall
Tokyo; per i festival di: Domain
Musical di Parigi, Lucerna, Witten,
Salisburgo, New York, Wien Modern,
Wiener Festwochen, Ensemble
Intercontemporain, Berliner Festspiele
Musik Biennale, Alborough, Festival
d’Automne di Parigi, Beethovenfest
di Bonn. Ha pubblicato con Ricordi
dal 1969 al 2004; dall’anno seguente
l’esclusiva delle sue opere è passata a
Rai Trade, oggi Rai Com. Vastissima
la discografia di Sciarrino, che conta
più di 100 CD, editi dalle migliori
etichette in ambito internazionale, più
volte segnalati e premiati. Oltre che
autore della maggior parte dei libretti
delle proprie opere teatrali, Sciarrino
ha una ricca produzione di articoli,
saggi e testi di vario genere; alcuni
sono stati scelti e raccolti in Carte da
suono (CIDIM – Novecento, 2001). Ha
insegnato nei conservatori di Milano
(1974–83), Perugia (1983–87) e Firenze
(1987–96). Parallelamente ha tenuto
corsi di perfezionamento e masterclass;
da segnalare in particolare quelli di Città
di Castello dal 1979 al 2000 e i corsi
alla Boston University e all’Accademia
Chigiana di Siena. Fra il 1978 e il 1980
è stato Direttore Artistico al Teatro
Comunale di Bologna.
Accademico di Santa Cecilia
(Roma), Accademico delle Belle Arti
della Baviera e Accademico delle
Arti (Berlino), Laurea honoris causa in
Musicologia Università di Palermo: fra
gli ultimi premi conferiti a Sciarrino
vanno citati: Prince Pierre de Monaco
(2003); Premio Internazionale Feltrinelli
(2003); Musikpreis Salzburg (2006),
Premio “Una vita nella musica” (2014)
Teatro La Fenice - Associazione Arthur
Rubinstein di Venezia. Nel 2016 la
Biennale Musica gli ha conferito il
“Leone d’Oro” alla carriera. Nel 2017 è
prevista la prima esecuzione assoluta
di Ti vedo, ti sento, mi perdo, opera
commissionata dal Teatro alla Scala di
Milano e dalla Staatsoper di Berlino.
Cristina Zavalloni
Cristina Zavalloni nasce a Bologna.
Di formazione jazzistica, intraprende
a diciotto anni lo studio del belcanto
e della composizione presso il
Conservatorio della sua città. Si
esibisce nei più importanti teatri, in
stagioni concertistiche internazionali
e festival jazz, tra cui il Montreux Jazz
Festival, Free Music Jazz Festival
di Anversa, London Jazz Festival,
International Jazz Festival di Rotterdam,
Concertgebouw di Amsterdam,
Lincoln Center e Carnegie Hall, Walt
Disney Hall, Teatro alla Scala di Milano,
Barbican Center, Beijing Concert Hall,
Moscow International House, ecc. Si è
esibita con orchestre quali la London
Sinfonietta, BBC Symphony Orchestra,
Schoenberg Ensemble, Sentieri
Selvaggi, Orchestra della Rai Torino, Los
Angeles Philharmonic, ORT, Orchestra
Toscanini, ed è stata diretta da Martyn
Brabbins, Ivan Fischer, Oliver Knussen,
Georges-Elie Octor, Andrea Molino,
Marco Angius, tra gli altri.
Collabora con il compositore olandese
Louis Andriessen, che ha scritto per
lei alcuni dei suoi più recenti lavori. È
interprete di prime esecuzioni di Carlo
Boccadoro, Luca Mosca, Emanuele
Casale, Michael Nyman, Mauro
Montalbetti e di alcune composizioni di
James McMillan (prima USA di Raising
Sparks, Carnegie Hall, 2011).
Frequenta il repertorio barocco
(Incoronazione di Poppea,
Combattimento di Tancredi e
Clorinda), collaborando con registi e
coreografi quali Mario Martone e Alain
Platel o con la “Brass Bang!” (Paolo
Fresu, Gianluca Petrella, Marcus Rojas,
Steven Bernstein).
Le sue più recenti collaborazioni in
ambito jazzistico includono i duo voce
e piano con Jason Moran, Stefano
Bollani, Benoit Delbecq, Alfonso
Santimone, le collaborazioni con Radar
Band, Uri Caine e il suo quartetto
Special Dish. Ha realizzato per Rai3
le Effemeridi Musicali - serie di pillole
andate in onda nella stagione 2013/
’14, in cui raccontava alcuni dei propri
progetti musicali.
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Salvatore Sciarrino
Marco Angius
12
Ha diretto Ensemble Intercontemporain,
London Sinfonietta, Tokyo Philharmonic,
Orchestra Nazionale della Rai di Torino,
Orchestra del Teatro La Fenice, Maggio
Musicale Fiorentino, Teatro Comunale
di Bologna, Teatro Regio di Torino,
Orchestra Haydn di Trento e Bolzano,
Orchestra Verdi, Orchestra della
Svizzera Italiana, Orchestre de Lausanne,
Orchestre de Nancy, Orchestra della
Toscana, I Pomeriggi Musicali...
Nel 2007 ha ottenuto il Premio Amadeus
per il cd Mixtim di Ivan Fedele (2007),
compositore del quale ha inciso tutta
l’opera per violino e orchestra con
l’Orchestra Sinfonica Nazionale della
Rai. Per la discografia si segnalano Luci
mie traditrici (Euroarts/Stradivarius),
Cantare con silenzio e Stagioni artificiali
di Salvatore Sciarrino, Die Kunst der Fuge
di Bach, L’imbalsamatore di Giorgio
Battistelli, Pierrot lunaire di Schönberg,
Risonanze erranti di Nono (Shiiin)... Con
l'Ensemble Intercontemporain ha inciso
anche per Wergo (Adámek). Nel teatro
musicale ha diretto tra l’altro Aspern
di Sciarrino, Don Perlimplin di Bruno
Maderna, La volpe astuta di Janáček,
L’Italia del destino di Luca Mosca, Il suono
giallo di Alessandro Solbiati (“Premio
Abbiati” 2016), Alfred, Alfred di Franco
Donatoni.
Già direttore principale dell’Ensemble
Bernasconi dell’Accademia Teatro alla
Scala, dal settembre 2015 è direttore
musicale e artistico dell’Orchestra
di Padova e del Veneto con cui ha
già all'attivo un'ampia discografia
e l'integrale delle sinfonie di
Beethoven. Tra gli impegni più recenti
l’inaugurazione della Stagione 2016/
‘17 al Teatro La Fenice con l’opera
Aquagranda di Filippo Perocco
(“Premio Abbiati” 2017); tra le prossime
produzioni il Prometeo di Luigi Nono
al Teatro Regio di Parma e la Medea di
Dusapin al Teatro Comunale di Bologna.
Orchestra di Padova e del Veneto
Fondata nell’ottobre 1966, l’OPV si
è affermata come una delle principali
orchestre italiane. Unica Istituzione
Concertistico-Orchestrale (I.C.O.)
operante in Veneto, realizza circa
120 tra concerti e recite d’opera ogni
anno, con una propria stagione a
Padova, concerti in Regione, per le
più importanti Società di concerti e
Festival in Italia e all’estero.
Peter Maag ne è stato direttore
principale dal 1983 al 2001, mentre alla
direzione artistica si sono succeduti
Claudio Scimone, Bruno Giuranna,
Guido Turchi, Mario Brunello (Direttore
musicale, 2002-2003), Filippo Juvarra.
Nel settembre 2015 Marco Angius ha
assunto l'incarico di Direttore musicale
e artistico.
Nella sua vita artistica l’Orchestra
annovera collaborazioni con i nomi più
insigni del concertismo internazionale,
tra i quali si ricordano Salvatore
Accardo, Marta Argerich, Vladimir
Ashkenazy, Giuliano Carmignola,
Claudio Desderi, Natalia Gutman,
Angela Hewitt, Ton Koopman,
Alexander Lonquich, Radu Lupu,
Mischa Maisky, Viktoria Mullova,
Massimo Quarta, Jean Pierre
Rampal, Sviatoslav Richter, Mstislav
Rostropovich, Uto Ughi, Krystian
Zimerman. L’orchestra si è distinta
anche nel repertorio operistico,
riscuotendo unanimi apprezzamenti in
diversi allestimenti (opere di Mozart,
Bellini, Rossini, Donizetti, Verdi,
Menotti, Poulenc).
Nella Stagione 2015/’16, su invito di
Marco Angius, l’Orchestra ha ospitato
per la prima volta un compositore in
residenza di alto profilo internazionale
come Salvatore Sciarrino, con cui si è
impegnata in commissione di nuovi
lavori, attività didattica e divulgativa
(il ciclo Lezioni di suono, in onda su
Rai5 in questo periodo), produzioni
video-discografiche. Sempre nel 2016,
l’integrale delle Sinfonie di Beethoven
dirette da Angius nell’ambito del
“Ludwig Van Festival” è stata accolta
da un eccezionale consenso di
pubblico e di critica.
OPV è protagonista di una vastissima
attività discografica che conta oltre 60
incisioni per le più importanti etichette.
È sostenuta da Ministero dei Beni e
delle Attività Culturali e del Turismo,
Regione del Veneto e Comune di
Padova.
Comune di Pordenone
Regione Autonoma
Friuli Venezia Giulia
Provincia di Pordenone
comunale
giuseppeverdi.it
Geniale
Magnifica
Diversa
Tutta un’altra stagione
16
Musica
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