16 Musica 17 Sinfonica Omaggio a Salvatore Sciarrino Orchestra di Padova e del Veneto Cristina Zavalloni Marco Angius venerdì 28 aprile Omaggio a Salvatore Sciarrino Orchestra di Padova e del Veneto Marco Angius direttore Cristina Zavalloni voce con Salvatore Sciarrino Leone d’Oro alla carriera 2016 programma Salvatore Sciarrino (1947) Mozart a nove anni 1.Presto in Sol minore (Londoner Skizzenbuch n.17, K.Anh.109b n.7 15r) 2.Andantino in Mi bemolle maggiore (L.S. n.35, K.15kk) 3.Allegro in Fa maggiore (L.S. n.21, K.15v) 4.Allegro in Mi bemolle maggiore (L.S. n.28, K.15cc) 5.Allegro in Re minore (L.S. n.20, K.15u) 6.Allegro grazioso in La maggiore (L.S. n.11, K.151) 7.Andantino in Mi bemolle maggiore (1790, K.236, 588b) 8.Allegro moderato in Fa maggiore (L.S. n.19, K.Anh.109b n.15t) 9.Courant. Allegretto in Mi bemolle maggiore (dalla Suite K.399, 389i, 1782) 10. Allegro con brio in Sol minore (L.S. n.15, K.Anh.109b n.3 15p) Efebo con radio Nove Canzoni del XX secolo elaborazioni per voce e orchestra 1.Johnny Mercer, Dream (versione d’apertura – voce e orchestra) 2.Mitchel Parish – Peter De Rose, Deep Purple (orchestra) 3.Mitchel Parish – Irving Mills – Duke Ellington, Sophisticated Lady (voce e orchestra) 4.Cole Porter, Night and Day (orchestra) 5.Mitchel Parish, Hoagy Carmichael, Stardust (voce e orchestra) 6.Ira & George Gershwin, Love Is Here To Stay (orchestra) 7.Grant Clarke, James F. Hanley, Second Hand Rose (voce e orchestra) 8.A. Freed – N. H. Brown, You Are My Lucky Star (orchestra) 9.Johnny Mercer, Dream (versione di chiusura – voce e orchestra) 28 aprile 2017 Concerto, consegna del Premio Pia Baschiera Tallon Educare alla musica 2017 e Sigillo della Città a Salvatore Sciarrino “Cultore d’arte e raffinato pedagogo, Salvatore Sciarrino è universalmente riconosciuto come una delle voci più originali e autorevoli del nostro tempo. Sciarrino ha dedicato la propria esistenza all’arte del comporre con spirito di ricerca e invenzione incessanti che lo hanno portato a scoprire un mondo sonoro inaudito, dando un impulso decisivo al rinnovamento della musica contemporanea e dimostrando come la musica, per rinnovarsi e ritrovarsi, debba uscire dalla propria forma storicizzata per farsi esperienza d’ascolto in cui lo spettatore è al centro di fenomeni misteriosi e quasi ancestrali”. Questa — nelle parole di Ivan Fedele — la motivazione del Leone d’Oro alla carriera assegnato a Salvatore Sciarrino nell’edizione 2016 della Biennale Musica di Venezia. In occasione dei suoi settant’anni, il Teatro Verdi rende omaggio a colui che oggi è il compositore italiano più eseguito nel mondo, alla sua musica — che induce a un diverso modo di ascoltare — e alle emozioni che offre, portando l’ascoltatore a una sorprendente presa di coscienza di sé e del sonoro circostante. Con lui in un suggestivo percorso tra suono e silenzio, alcuni musicisti che da tempo sperimentano con Sciarrino un importante sodalizio artistico: Cristina Zavalloni, l’Orchestra di Padova e del Veneto e il suo direttore musicale Marco Angius. 1 Sinfonica “Mozart è colui che ha reso gioco la musica. Affascina in lui proprio l’incantato prolungarsi dell’infanzia oltre l’infanzia. I tratti stessi del personaggio, la quantità ossessiva ed eccelsa della produzione, ci invitano a risalire la sua vita, per osservare alle origini il fenomeno. Nulla può dare la misura di Mozart quanto assistere al suo farsi genio. Una delle prime manifestazioni è il Quaderno londinese di schizzi (Londoner Skizzenbuch) scritto fra il 1764 e il 1765. Esso fornisce, oltre a un paio di frammenti, una raccolta di piccole composizioni oggi incluse nelle opere pianistiche. Mozart aveva quasi 9 anni. Il valore di un’opera così giovanile, di solito, rimane documentario e biografico. E in effetti molti pezzi del Quaderno risulterebbero semplici prove da principiante, se non fossero illuminate da brani più complessi, notevoli per invenzione, elaborazione, coerenza. Non mancano tenere sbadataggini di notazione, come pure lievissime imperizie nella condotta delle parti. Ma tali manchevolezze riguardano esclusivamente il piano dei dettagli, perché nell’insieme ogni pezzo si impone con una perfezione formale inquietante, affatto priva d’ingenuità. Colpisce, ancora, la varietà delle idee e dei trattamenti. Certo, il respiro corto tradisce l’età dell’autore. Malgrado questo, veniamo letteralmente trafitti dall’espressione degli Andanti, né possiamo restare indifferenti ad alcuni Allegri indiavolati o tempestosi, universi ridotti e proporzionatissimi, dove trova il suo spazio ogni cosa. Anziché preparare le composizioni dell’immediato futuro, il Quaderno sembra misteriosamente annunciare sprazzi di un Mozart estremo e ricercato, quasi vicino a Beethoven e allo spirito romantico. Musica singolare che reca variegati semi dell’ingegno. Al di là di tutto ciò, un aspetto e un comportamento ci interessano, che non torneranno più: l’estro infantile di sbalordire l’ascoltatore. Nella maturità Mozart sarà così preso nell’essenza del discorso musicale, che non potrà perdersi in particolari. Ora invece esagera, come tutti i bambini a cui si dia corda, e lui si lascia andare subito, giù dissonanze piccanti, stravaganze improvvise. A tal punto da distrarci talvolta, e rompere l’equilibrio globale del discorso. Per un intero brano il nostro compositore in erba azzarda un ritmo sofisticato, in cui pari e dispari si alternano e sovrappongono. L’effetto è congeniale a noi moderni. Ed ecco gli studiosi accanirsi nel sostenere che il ritmo è sbagliato, che Mozart non sapeva ancora scrivere il ritmo di Siciliana. Allora ci chiediamo: Mozart era veramente il fenomeno che si dice? Uno che stupiva suonando il violino a 4 anni, può commettere lo stesso errore di ritmo 32 volte di seguito? Tutt’al più saremmo di fronte a un lapsus fortemente significativo. I musicologi purtroppo non usano confrontarsi con la psicologia infantile, che qui dovrebbe soccorrerli. Quanto a me, preferisco ascoltare gli errori originali di Mozart, che le correzioni di un professore! Anzi, ne approfitto per lamentare alcune alterazioni corrette nell’edizione principe fra quelle mozartiane. Le armonie escono impoverite da una cautela da scolaro che mai Mozart ebbe, neppure da piccolino. È sicuro che nel riempire il Quaderno, per la prima volta, Mozart abbia fatto da sé; suo padre Leopold non è intervenuto. Non altrettanto s’astengono i revisori recenti: in discussione vi sarebbero pure gli arpeggi irregolari, pianisticamente astrusi. Ma davvero sono per pianoforte questi pezzi? A una maggiore attenzione la loro musica rivela come una mescolanza di generi, profumo di aria teatrale, di concerto, di sinfonia. Dunque stimoli di provenienza la più diversa stanno formando come un coagulo emblematico per l’artista a venire. Dentro la sua mente, infatti, i generi non si sarebbero più separati. Tali sfumature eterogenee, soltanto una trasposizione orchestrale può portarle all’evidenza. Sottratte al monocromo di una tastiera di buone maniere, immerse nel crogiolo dei colori, affinché esplodano finalmente all’orecchio pigro di noi adulti. Nel caso di Mozart, queste virtualità non corrispondono forse a ciò che ogni bambino sa vedere in giochi fatti di niente? La mia orchestrazione accetta la sfida del suo gioco, fin troppo serio, proponendo alcune istantanee di Mozart a 9 anni. Il caso vuole che tra queste siano capitate due rare immagini di epoca posteriore, 1790 e 1782. Era oltre un secolo che questi altri pezzi chiamavano perché qualcuno li orchestrasse”. Salvatore Sciarrino 3 2 Mozart a 9 anni Seduti in una sala da concerto, aspettiamo che la musica inizi. Invece giunge un flusso di frantumi: canzoni e annunzi radiofonici inframmezzati a lunghi sfrigolii elettrici, come si trattasse di segnali di ricezione, d’interferenze casuali. Alcuni suoni ci sembrano vicini e chiari mentre altri sono lontani e indecifrabili. L’impressione, dopo pochi istanti, è di essere davanti a una grande e immaginaria radio a valvole la cui virtuale manopola è azionata in modo irregolare. Quest’anomala esperienza musicale si verifica puntualmente quando viene eseguito Efebo con radio di Salvatore Sciarrino, per voce e orchestra; il brano, composto nel 1981, intreccia in modo semplice e inequivocabile molteplici dimensioni d’ascolto. Per comodità di lettura, dobbiamo anzitutto distinguerne i livelli globali: − una piccola orchestra sinfonica (acustica) simula un mezzo tecnologico; − l’orchestra si sdoppia in due funzioni principali, creando però l’illusione di tante orchestrine e suoni-disturbo per i più disparati frammenti di canzoni; − l’origine di questi frammenti di musica commerciale, che hanno caratterizzato gli ascolti radiofonici precedenti l’adolescenza di Sciarrino, consiste in canzoni anteriori al 1950, perlopiù americane, trattenute oltreoceano durante la guerra; − la voce svolge un ruolo doppio, in quanto canta con le orchestrine e interviene con annunci parlati. «Quando bambino giocavo con la radio», ricorda il compositore, «essa costituiva un generatore di suono elettronico, rudimentale ma abbastanza ricco». Vi è dunque, in Efebo con radio, un aspetto diaristico, intimo, di memoria personale, ma anche uno più documentaristico che consiste nel rendere con tocchi accennati la fisionomia della radio italiana dei primi anni ‘50 e insieme suscitare un’atmosfera d’epoca. In ciò è ovviamente implicita una ricerca sulle canzoni di quegli anni; i flash di musica leggera, ad esempio, suonano arrangiati con il colore che contraddistingue le orchestrazioni all’americana. Nell’insieme Efebo rappresenta una prova suprema d’illusionismo percettivo tale che, quando venisse trasmesso e recepito su di una vecchia radio, la differenza tra suono/contenuto e mezzo tecnologico/contenitore tenderebbe paradossalmente a scomparire. Per l’ascoltatore, infatti, l’opera riprodotta non sarebbe separabile dall’apparecchio che la trasmette; inoltre, spiega il compositore, ciò che in tutte le altre composizioni sono i suoi suoni, la materia preziosa con cui plasma il suo universo, «qui è umilmente ridotto a disturbo delle trasmissioni o, più spesso, allo sfrigolante passaggio da una all’altra, che è come il connettivo sonoro dell’intero lavoro». Costruito come un singolare lungometraggio sonoro, Efebo con radio incarna la molteplicità linguistica e morfologica di un’opera musicale prossima al simulacro acustico o “ibrido genetico” (secondo una delle ricorrenti definizioni di Sciarrino), dalla caratteristica patina sonora e con cuciture testuali fittizie quanto ineffabili (i testi delle canzoni combaciano solo raramente con quelli originali). Se i suoni elettrici, prodotti dagli archi secondo una scrittura tipicamente sciarriniana, vengono subito scambiati per segnali di una radio a onde medie (anche per l’emissione di frequenze sovracute che li connotano), il gioco delle interferenze sposta ambiguamente il piano d’ascolto e lo modula su brandelli musicali e testuali. La casualità apparente di queste interferenze, pur basate su di un potere mimetico, viene contraddetta da ritorni variati che inducono il dubbio di un continuo déjà vu.(...) Il grado di suggestione è coinvolgente in quanto fa percepire senza vedere; si creano associazioni, ma soltanto all’interno del linguaggio musicale. Diversamente da altri lavori che utilizzano una vera radio (Cage o Stockhausen), Efebo assume l’aspetto funzionale dell’apparecchio a valvole, astraendone l’uso più corrente per convertirlo in un’esperienza acustica senza precedenti. Efebo con radio, nell’identificarsi con un vecchio esemplare di contenitore mediatico, ingloba relitti acustici di una realtà però storicizzata (tra cui spiccano Speak low di Kurt Weill e un frammento del finale da L’enfant et les sortilèges di Ravel), al punto che i concetti di tempo e forma musicali 5 4 Il simulacro del tempo frammento già sentito, nel frattempo è mutato il suo contesto timbrico e ciò provoca un certo disorientamento percettivo ovvero un’alterazione della consequenzialità spazio-temporale (l’introduzione di Second Hand Rose, ad esempio, trova una collocazione separata rispetto alla canzone); in altri casi, avviene una vera e propria liquefazione del tessuto musicale, un blurring acustico che sfoca i margini delle figure orchestrali al punto che il compositore ha parlato di «esempio di marmellata sonora». Gli eventi della realtà non si ripetono. Apposta, in questo simulacro di realtà, il concetto formale di ripresa viene tirato in causa per produrre e subire profonde mutazioni, essendo imprigionato in una galleria di non-luoghi che tornano sempre al punto di partenza, pur essendo molto (o appena) diversi: si rovescia il clima ludico paradossale, gli eventi non mostrano vie d’uscita e, mentre il pezzo sembra cominciare l’ennesima volta da capo, sull’ambiente si è stesa l’ombra di un suono-sfondo (si tratta di una lastra d’acciaio scossa leggermente al bordo), associato all’insospettabile lato dark di alcune parole (“cuor”, “stringi”, “muor”, “It had to be you”, “dolor”). Solo la finzione estrema ci conduce fuori del labirinto con un finale a sorpresa: “Di Salvatore Sciarrino abbiamo trasmesso: “Efebo con (troncare)” [battuta 194]”. Quest’ultimo comunicato, che sigla il pezzo in un circuito auto-referenziale potenzialmente illimitato, viene sospeso con un pof di spegnimento dell’apparecchio (in realtà un impulso di trombone, simultaneo al soffio del corno). Marco Angius, Portatori del tempo, in Enciclopedia delle arti contemporanee, pp. 75-77, Electa Editore, Milano 2010 7 6 finiscono triturati — con follia coerente — in un crogiolo di luoghi riconoscibili eppur sempre sfuggenti; proprio la concezione temporale, per Sciarrino mai eteronoma rispetto alle vicende sonore, si trova convertita in quella di oggetto della rappresentazione musicale, ossia spazializzata in un ambito mentale. Questo tempo plurimo, discontinuo e molteplice, stratificato e illusorio, è reso verosimile soprattutto dalle diverse strategie di forme a finestra. Esse permettono l’apparente vicinanza di più trasmissioni, con una disinvoltura di montaggio sconosciuta prima ai compositori; infatti, guidata da un concetto di tempo spazializzato, questa musica presenta delle aperture o intagli che il compositore aveva già ampiamente definito e teorizzato, precedendo di una decina d’anni la diffusione del sistema informatico Windows. L’apertura o chiusura di dimensioni parallele, è realizzata attraverso una successione di passaggi tra le immaginarie stazioni, anche quando ci sembra di distinguere cesure più nette o dissolvenze progressive. Il procedimento è talmente presente da dissimularsi, a lungo andare, nel flusso degli eventi, come se da un certo momento sia l’ascoltatore e non più il compositore a ruotare (idealmente) la manopola dei programmi. Talvolta gli annunci o i frammenti testuali si percepiscono chiaramente in primo piano, con lievi disturbi sullo sfondo: in seguito la situazione cambia e i suoni d’interferenza diventano preponderanti rispetto al segmento musicale o verbale che si può afferrare solo parzialmente (o per nulla). Come il titolo della canzone americana situata al centro dell’opera (Second Hand Rose), in Efebo tutto è di seconda mano, compresi alcuni resoconti dal tono colloquiale o di conferenza, derivati da precedenti testi di Sciarrino; attraverso di essi il compositore commenta la genesi di Efebo così che il testo, incluso nel brano, si riferisce al brano medesimo in un gioco di specularità senza fine. (...) Queste operazioni, compreso il geniale apparato d’implicazioni semiotiche, azzerano la prevedibilità della produzione d’intrattenimento e di sottofondo sonoro, esaltandone invece sfumature grottesche o surreali senz’altro meno consuete. Quando ci sembra di afferrare un “Le canzoni, sul piano della musica, rappresentano un po’ l’equivalente dei fiori: belle sì, ma effimere. Mai potrà la musica colta, con la sua pretesa di universalità, dare il senso di morte che una composizione leggera trasuda. Con modi garbati, nella sua massima stilizzazione, questa si offre, non ha pretese; ma di fronte all’eternità proclamata da un’ingannevole sinfonia, la canzone coglie un istante che smaschera la fragilità dell’uomo. In mezzo ai ricordi più abbandonati, più perduti, ciascuno di noi ha qualche canzone che, proprio perché così legata a un certo periodo del nostro passato, rappresenta il concentrato della nostalgia”. 8 Salvatore Sciarrino, Carte da suono (1981 – 2001) Nove Canzoni del XX secolo elaborazioni per voce e orchestra Nel 1984 è nata l’idea di un curioso trattatello di orchestrazione, basato su pezzi che tutti conosciamo. La raccolta, protrattasi saltuariamente, è stata completata nel 1992. N. 1 Dream 1 Johnny Mercer, con voce. Una metamorfosi del pianoforte, da cui escono poco a poco gli strumenti, come per onde di profumo colorato. Alla fine il pianoforte è sparito. N. 2 Deep purple Mitchel Parish – Peter De Rose. Una forma elaborata classicamente, condensa tre modelli orchestrali nell’arco di una sola lunga frase. I modelli provengono da Shéhérazade di Ravel. N. 3 Sophisticated lady Mitchel Parish – Irving Mills – Duke Ellington, con voce. Le immagini sonore balenano nell’oscurità. Brevi citazioni da Pli selon pli (Boulez) e Valses nobles et sentimentales (Ravel). N. 4 Night and day Cole Porter. Vuoto e pieno si contrastano, come seguendo le parole del testo. Citazioni da In the mood. N. 5 Startdust Mitchel Parish – Hoagy Carmichael, con voce. Risonanze del pianoforte, improvvisa illuminazione orchestrale. N. 6 Love is here to stay Ira & George Gershwin. Irruzioni del Prometeo di Skrjabin, portate dalla somiglianza tematica. N. 7 Second hand rose Grant Clarke, James F. Hanley, con voce. Un charleston del 1922, dunque il pezzo più vecchio della raccolta. N. 8 You are my lucky star A. Freed – N. H. Brown. Procede per apparizioni, gli accordi vengono concepiti come spettro sonoro. N. 9 Dream 2 Johnny Mercer, con voce. Al contrario della prima versione, l’introduzione si muove con un respiro sinfonico ampio. Poi l’orchestra rientra nel pianoforte, che bruscamente tronca la musica. 9 Nove canzoni del XX Secolo Autodidatta (benché formatosi privatamente, per qualche tempo, con Turi Belfiore e Antonino Titone), Salvatore Sciarrino ha iniziato a comporre dodicenne, tenendo il primo concerto pubblico nel 1962. Ma Sciarrino considera apprendistato acerbo i lavori anteriori al 1966, perché è allora che si rivela il suo stile personale. C’è qualcosa di veramente particolare che caratterizza questa musica: essa induce un diverso modo di ascoltare, un’emozionante presa di coscienza della realtà e di sé. Si tratta di una squisita rivoluzione musicale: al centro viene posto non più l’autore o la partitura bensì l’ascoltatore. E dopo cinquant’anni il gigantesco catalogo delle composizioni di Sciarrino è tuttora in una fase di sorprendente sviluppo creativo. Ha composto fra l’altro per: Teatro alla Scala, Accademia di Santa Cecilia, RAI, Maggio Musicale Fiorentino, Biennale di Venezia, Teatro La Fenice di Venezia, Teatro Carlo Felice di Genova, Arena di Verona, Opera National de Paris, Staatstheater Stuttgart, Oper Frankfurt, Nationaltheater Mannheim, Concertgebouw Amsterdam, London Symphony Orchestra, Suntory Hall Tokyo; per i festival di: Domain Musical di Parigi, Lucerna, Witten, Salisburgo, New York, Wien Modern, Wiener Festwochen, Ensemble Intercontemporain, Berliner Festspiele Musik Biennale, Alborough, Festival d’Automne di Parigi, Beethovenfest di Bonn. Ha pubblicato con Ricordi dal 1969 al 2004; dall’anno seguente l’esclusiva delle sue opere è passata a Rai Trade, oggi Rai Com. Vastissima la discografia di Sciarrino, che conta più di 100 CD, editi dalle migliori etichette in ambito internazionale, più volte segnalati e premiati. Oltre che autore della maggior parte dei libretti delle proprie opere teatrali, Sciarrino ha una ricca produzione di articoli, saggi e testi di vario genere; alcuni sono stati scelti e raccolti in Carte da suono (CIDIM – Novecento, 2001). Ha insegnato nei conservatori di Milano (1974–83), Perugia (1983–87) e Firenze (1987–96). Parallelamente ha tenuto corsi di perfezionamento e masterclass; da segnalare in particolare quelli di Città di Castello dal 1979 al 2000 e i corsi alla Boston University e all’Accademia Chigiana di Siena. Fra il 1978 e il 1980 è stato Direttore Artistico al Teatro Comunale di Bologna. Accademico di Santa Cecilia (Roma), Accademico delle Belle Arti della Baviera e Accademico delle Arti (Berlino), Laurea honoris causa in Musicologia Università di Palermo: fra gli ultimi premi conferiti a Sciarrino vanno citati: Prince Pierre de Monaco (2003); Premio Internazionale Feltrinelli (2003); Musikpreis Salzburg (2006), Premio “Una vita nella musica” (2014) Teatro La Fenice - Associazione Arthur Rubinstein di Venezia. Nel 2016 la Biennale Musica gli ha conferito il “Leone d’Oro” alla carriera. Nel 2017 è prevista la prima esecuzione assoluta di Ti vedo, ti sento, mi perdo, opera commissionata dal Teatro alla Scala di Milano e dalla Staatsoper di Berlino. Cristina Zavalloni Cristina Zavalloni nasce a Bologna. Di formazione jazzistica, intraprende a diciotto anni lo studio del belcanto e della composizione presso il Conservatorio della sua città. Si esibisce nei più importanti teatri, in stagioni concertistiche internazionali e festival jazz, tra cui il Montreux Jazz Festival, Free Music Jazz Festival di Anversa, London Jazz Festival, International Jazz Festival di Rotterdam, Concertgebouw di Amsterdam, Lincoln Center e Carnegie Hall, Walt Disney Hall, Teatro alla Scala di Milano, Barbican Center, Beijing Concert Hall, Moscow International House, ecc. Si è esibita con orchestre quali la London Sinfonietta, BBC Symphony Orchestra, Schoenberg Ensemble, Sentieri Selvaggi, Orchestra della Rai Torino, Los Angeles Philharmonic, ORT, Orchestra Toscanini, ed è stata diretta da Martyn Brabbins, Ivan Fischer, Oliver Knussen, Georges-Elie Octor, Andrea Molino, Marco Angius, tra gli altri. Collabora con il compositore olandese Louis Andriessen, che ha scritto per lei alcuni dei suoi più recenti lavori. È interprete di prime esecuzioni di Carlo Boccadoro, Luca Mosca, Emanuele Casale, Michael Nyman, Mauro Montalbetti e di alcune composizioni di James McMillan (prima USA di Raising Sparks, Carnegie Hall, 2011). Frequenta il repertorio barocco (Incoronazione di Poppea, Combattimento di Tancredi e Clorinda), collaborando con registi e coreografi quali Mario Martone e Alain Platel o con la “Brass Bang!” (Paolo Fresu, Gianluca Petrella, Marcus Rojas, Steven Bernstein). Le sue più recenti collaborazioni in ambito jazzistico includono i duo voce e piano con Jason Moran, Stefano Bollani, Benoit Delbecq, Alfonso Santimone, le collaborazioni con Radar Band, Uri Caine e il suo quartetto Special Dish. Ha realizzato per Rai3 le Effemeridi Musicali - serie di pillole andate in onda nella stagione 2013/ ’14, in cui raccontava alcuni dei propri progetti musicali. 11 10 Salvatore Sciarrino Marco Angius 12 Ha diretto Ensemble Intercontemporain, London Sinfonietta, Tokyo Philharmonic, Orchestra Nazionale della Rai di Torino, Orchestra del Teatro La Fenice, Maggio Musicale Fiorentino, Teatro Comunale di Bologna, Teatro Regio di Torino, Orchestra Haydn di Trento e Bolzano, Orchestra Verdi, Orchestra della Svizzera Italiana, Orchestre de Lausanne, Orchestre de Nancy, Orchestra della Toscana, I Pomeriggi Musicali... Nel 2007 ha ottenuto il Premio Amadeus per il cd Mixtim di Ivan Fedele (2007), compositore del quale ha inciso tutta l’opera per violino e orchestra con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai. Per la discografia si segnalano Luci mie traditrici (Euroarts/Stradivarius), Cantare con silenzio e Stagioni artificiali di Salvatore Sciarrino, Die Kunst der Fuge di Bach, L’imbalsamatore di Giorgio Battistelli, Pierrot lunaire di Schönberg, Risonanze erranti di Nono (Shiiin)... Con l'Ensemble Intercontemporain ha inciso anche per Wergo (Adámek). Nel teatro musicale ha diretto tra l’altro Aspern di Sciarrino, Don Perlimplin di Bruno Maderna, La volpe astuta di Janáček, L’Italia del destino di Luca Mosca, Il suono giallo di Alessandro Solbiati (“Premio Abbiati” 2016), Alfred, Alfred di Franco Donatoni. Già direttore principale dell’Ensemble Bernasconi dell’Accademia Teatro alla Scala, dal settembre 2015 è direttore musicale e artistico dell’Orchestra di Padova e del Veneto con cui ha già all'attivo un'ampia discografia e l'integrale delle sinfonie di Beethoven. Tra gli impegni più recenti l’inaugurazione della Stagione 2016/ ‘17 al Teatro La Fenice con l’opera Aquagranda di Filippo Perocco (“Premio Abbiati” 2017); tra le prossime produzioni il Prometeo di Luigi Nono al Teatro Regio di Parma e la Medea di Dusapin al Teatro Comunale di Bologna. Orchestra di Padova e del Veneto Fondata nell’ottobre 1966, l’OPV si è affermata come una delle principali orchestre italiane. Unica Istituzione Concertistico-Orchestrale (I.C.O.) operante in Veneto, realizza circa 120 tra concerti e recite d’opera ogni anno, con una propria stagione a Padova, concerti in Regione, per le più importanti Società di concerti e Festival in Italia e all’estero. Peter Maag ne è stato direttore principale dal 1983 al 2001, mentre alla direzione artistica si sono succeduti Claudio Scimone, Bruno Giuranna, Guido Turchi, Mario Brunello (Direttore musicale, 2002-2003), Filippo Juvarra. Nel settembre 2015 Marco Angius ha assunto l'incarico di Direttore musicale e artistico. Nella sua vita artistica l’Orchestra annovera collaborazioni con i nomi più insigni del concertismo internazionale, tra i quali si ricordano Salvatore Accardo, Marta Argerich, Vladimir Ashkenazy, Giuliano Carmignola, Claudio Desderi, Natalia Gutman, Angela Hewitt, Ton Koopman, Alexander Lonquich, Radu Lupu, Mischa Maisky, Viktoria Mullova, Massimo Quarta, Jean Pierre Rampal, Sviatoslav Richter, Mstislav Rostropovich, Uto Ughi, Krystian Zimerman. L’orchestra si è distinta anche nel repertorio operistico, riscuotendo unanimi apprezzamenti in diversi allestimenti (opere di Mozart, Bellini, Rossini, Donizetti, Verdi, Menotti, Poulenc). Nella Stagione 2015/’16, su invito di Marco Angius, l’Orchestra ha ospitato per la prima volta un compositore in residenza di alto profilo internazionale come Salvatore Sciarrino, con cui si è impegnata in commissione di nuovi lavori, attività didattica e divulgativa (il ciclo Lezioni di suono, in onda su Rai5 in questo periodo), produzioni video-discografiche. Sempre nel 2016, l’integrale delle Sinfonie di Beethoven dirette da Angius nell’ambito del “Ludwig Van Festival” è stata accolta da un eccezionale consenso di pubblico e di critica. OPV è protagonista di una vastissima attività discografica che conta oltre 60 incisioni per le più importanti etichette. È sostenuta da Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Regione del Veneto e Comune di Padova. Comune di Pordenone Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia Provincia di Pordenone comunale giuseppeverdi.it Geniale Magnifica Diversa Tutta un’altra stagione 16 Musica 17