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Percorsi di fenomenologia del diritto
FENOMENOLOGIA GIURIDICA E COMUNITÀ NELL’OPERA DI EDITH
STEIN
Estratto da
AA.VV. PERCORSI DI FENOMENOLOGIA DEL DIRITTO
G. GIAPPICHELLI EDITORE - TORINO
FENOMENOLOGIA GIURIDICA E COMUNITÀ
NELL’OPERA DI EDITH STEIN∗
1. Premessa
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2. La figura di Edith Stein
3. Linee fenomenologiche husserliane e loro
rilevanza per la questione della giuridicità
4. Il diritto e il metodo fenomenologico (un avvio)
5. La giuridicità: diritto puro e diritto positivo
(Reinach e Stein: divergenze e sintonie)
6. La struttura della persona, verso la costituzione
dello Stato di diritto
7. Comunità e società
8. Riflessioni sul concetto di comunità di popolo
e comunità statale
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Questo studio è frutto di un ciclo di seminari scientifico-didattici di Filosofia del diritto
tenuti presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università “La Sapienza” nell’a.a. 2005/2006,
dal titolo La fenomenologia giuridica. Il lavoro trova, inoltre, un approfondimento nella mia
monografia Per una fenomenologia del diritto nell’opera di Edith Stein, Roma, 2006.
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Percorsi di fenomenologia del diritto
Luisa Avitabile
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1. Premessa
Lo studio più impegnativo per avviare una discussione sul pensiero fenomenologico-giuridico di Edith Stein1 (1891-1942)2, influenzato dagli studi del filosofo del diritto Adolf Reinach3, suo interlocutore speculativo, rimane l’opera
1 Edith Stein (1891-1942) fa parte della scuola fenomenologica di Gottinga. La sua formazione filosofica comincia con quello che considererà per sempre il suo maestro, Edmund
Husserl, intorno al quale ruotano tra, gli altri, studiosi dell’impegno di Heidegger, Reinach e
da ultimo Jonas. Dal 1911 al 1913 frequenta, per quattro semestri, corsi di psicologia e germanistica presso l’università di Breslavia. Poi la sua formazione continua appunto a Gottinga con Husserl. Dopo la pubblicazione della sua tesi di laurea sull’empatia, accede alle minute di Husserl per l’opera di trascrizione delle Idee II, diventando sua assistente. Si riportano qui di seguito le sue opere filosofiche edite in originale:
1917 – Zum Problem der Einfühlung;
1920-1922 – Beiträge zur philosophischen Begründung der Psychologie und der Geisteswissenschaften;
1925 – Eine Untersuchung über den Staat;
1929 – Husserls Phänomenologie und die Philosophie des Hl. Thomas von Aquin;
1931 – De veritate (traduzione);
1934-1936 – Endliches und ewiges Sein.
Nel presente lavoro quando è omesso il nome dell’autore si intende sempre la citazione di
uno scritto di Edith Stein.
Per un approfondimento generale dell’opera di Edith Stein cfr. A. ALES BELLO, Edith
Stein, invito alla lettura, Cinisello Balsamo, 1999; Edith Stein. La passione per la verità, Padova,
2003. Per un’analitica della biografia speculativa di E. Stein vd. L. VIGONE, Introduzione al
pensiero filosofico di Edith Stein, Roma, 1991.
2Alcune testimonianze riportano il suo ingresso nella camera a gas il 9 agosto. J.-F. THOMAS, Simone Weil ed Edith Stein. Infelicità e sofferenza, Roma, 2002, p. 183.
Per un approfondimento della vita di Stein cfr. la sua autobiografia E. STEIN, Storia di una
famiglia ebrea, Roma, 1999.
3 I trascorsi con Adolf Reinach (1883-1917) si possono ritrovare nell’analisi del diritto in
rapporto allo Stato e nella disamina del popolo e dell’individuo. Reinach, allievo di Husserl,
cade a Dixmuiden, nelle Fiandre, nel 1917. Molto legato a Edith Stein, le lascerà in eredità
l’amicizia con sua moglie Anna. Tra le sue opere Die apriorischen Grundlagen des Bürgerlichen
Rechts, in “Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung”, I (1913) e in Gesammelte Schriften, Halle, 1921. Dopo la seconda guerra mondiale ristampato con il titolo Zur
Phenomenologie des Rechts. Die apriorischen Grundlagen des bürgerlichen Rechts, ed Kösel,
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Percorsi di fenomenologia del diritto
Una ricerca sullo Stato (1925)4 – risultato di un’attenta riflessione sullo Stato e sul
diritto – corredata dalla II parte di Psicologia e scienze dello spirito5 che rappresenta l’anello di congiunzione tra lo studio sull’empatia6 – elaborato per la tesi
di laurea – e la questione dello Stato di diritto.
München, 1953 (trad. it. I fondamenti a priori del diritto civile, Milano, 1990) . Dopo la sua morte, Stein comincia dunque a frequentare la giovane vedova Anna Reinach dalla quale riceverà preziosi consigli e confidenze, nonché l’accesso agli scritti del filosofo. Reinach si era laureato in giurisprudenza a Tubinga; nel 1909 aveva accettato un insegnamento in filosofia a
Gottinga – dove aveva cominciato a lavorare con Husserl – ritornando così alla sua prima
passione coltivata con Th. Lipps del quale era discepolo quando studiava filosofia a Monaco.
Intorno a Lipps si radunavano i suoi discepoli più anziani tra i quali A. Pfänder (1870-1914),
J. Daubert (1877-1947), M. Geiger (1880-1937), T. Conrad (1881-1969), D. von Hildebrand
(1889-1977), J. Hering (1890-1966), A. Koyré (1892-1964), R. Ingarden (1893-1970). Quando
Husserl accusa Lipps di psicologismo sono proprio i discepoli a questi più vicino che danno
ragione ad Husserl. Il gruppo di Gottinga, secondo K. SCHUHMANN, Husserl-Chronik: Denk
und Lebensweg Edmund Husserls, Husserliana-Dokumente I, Den Haag, 1977 era composto da
A. Reinach, A. Pfänder, M. Scheler, J. Hering, R. Ingarden, E. Stein.
Per l’opera critica su Reinach cfr. anche Sämtliche Werke. Textkritische Ausagabe 2 Kömmentar und Textkritik (hrsg. K. Schuhmann und B. Smith), München, 1989. Vd. anche E. STEIN,
Vita interiore, Brescia, 2005, p. 15.
4Il volume vede la luce nel 1925, successivamente ad un lungo saggio Über den Staat apparso nello “Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung”, VI, pp.1-23; si
colloca al centro di una trilogia composta dallo studio sull’empatia L’empatia e lo studio Psicologia e scienze dello spirito. La rilevanza di quest’opera è determinata dal tratto giuridico che
la attraversa. Inutile dire che le influenze partono dalla distinzione, oserei dire fisiologica
per una fenomenologa, tra diritto puro e diritto positivo e per l’influenza degli a priori
nell’ambito del diritto positivo. Indubbiamente rilevante la questione che attiene alla tematica delle infinite possibilità legate alla promessa come fonte e causa di pretesa e obbligazione,
ma anche alla variabile dinamica costituita dalla sistematica del complesso apparato degli
atti sociali. Vd. anche H.-B. GERL, Edith Stein. Vita – filosofia – mistica, Brescia, 1998, p. 25.
5 Si tratta della parte dedicata all’individuo e alla comunità, Psicologia e scienze dello spirito. Contributi per una fondazione filosofica, Roma, 1996, p. 159 e ss.
6 L’insoddisfazione per lo scritto sull’empatia, soprattutto per la prima parte è testimoniata dalla lettera ad Ingarden del 27.4.1917 «Ero già consapevole che il primo capitolo non
valeva un gran che e probabilmente è stata una leggerezza pubblicarlo. Inoltre in Husserl si
trovano cose molto interessanti su tale argomento e non so se in seguito analizzerò più a
fondo questa tematica. So anch’io che il concetto di psiche non è ancora chiaro. Lo diventerà
Luisa Avitabile
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La figura di Edith Stein, assistente di Edmund Husserl, rappresenta una testimonianza diretta dell’intero lavoro fenomenologico7, svolto solo in parte con
solo quando sarà perfettamente elaborato il concetto di spirito…». Lettere a Roman Ingarden
1917-1938, Roma, 2001, p. 57.
7 La testimonianza diretta di Stein è dovuta soprattutto all’accesso alle carte di Husserl.
Infatti, già dal 1917 legge di prima mano gli scritti del maestro come si evince dal suo carteggio con Roman Ingarden. Lettere a Roman Ingarden, p. 57, p. 66. La questione della fenomenologia e del metodo ad essa sotteso è particolarmente complessa. Le prime diramazioni
della fenomenologia si ritrovano già nel rapporto tra Husserl e Heidegger che egli considera
il suo allievo migliore e che pubblica, con l’aiuto dei testi elaborati da Stein e degli appunti
husserliani, il saggio Per la coscienza interna del tempo. La voce ‘fenomenologia’ (E. HUSSERL
M. HEIDEGGER, Fenomenologia, Milano, 1999) curata da entrambi darà luogo ad un lungo dissidio a volte sotterraneo, altre volte manifesto, ma che evidenzierà la differenza tra due modi di intendere la riduzione fenomenologica che Heidegger definisce «quella componente
fondamentale del metodo fenomenologico che consiste nel ricondurre lo sguardo indagante
dall’ente, colto in maniera ingenua, all’essere ... Con questa espressione noi ci riallacciamo,
per quanto riguarda il vocabolo usato, ma non per quel che concerne la cosa in questione, ad
uno dei termini chiave della fenomenologia husserliana. Per Husserl la riduzione fenomenologica … è quel metodo che permette di ricondurre lo sguardo fenomenologico
dall’atteggiamento naturale, proprio dell’uomo che vive nel mondo delle cose e delle persone, alla vita trascendentale della coscienza ed ai suoi vissuti noetico-noematici, nei quali gli
oggetti si costituiscono come correlati della coscienza. Per noi la riduzione fenomenologica
consiste nel ricondurre lo sguardo fenomenologico dal coglimento dell’ente, quale che sia la
sua determinazione, alla comprensione dell’essere di questo ente (al progetto dell’essere nel
modo del duo disvelamento», M. HEIDEGGER, I problemi fondamentali della fenomenologia, Genova, 1988, p. 19. La questione della riduzione fenomenologica viene dibattuta anche da un
allievo di Husserl, L. Landgrebe, che cerca di dimostrare come la riduzione fenomenologica
del suo maestro ha un punto di appoggio nelle riflessioni heideggeriane, L. LANDGREBE, Itinerari della fenomenologia, Torino, 1974, p. 38 e ss.; infine è utile sottolineare come la radice
fenomenologica, rappresentata da Husserl, trovi un suo ulteriore sviluppo nell’analisi della
Sache di Edith Stein, Essere finito e essere eterno, p. 310 «La cosa … ha un significato determinato, trova riempimento solo in un determinato settore, e propriamente nel campo del reale,
e non ad opera di ogni reale, ma solo ad opera di un reale indipendente e particolare»; vd.
anche idem, p. 305. L’espressione condensa appunto la nuova corrente del metodo fenomenologico, vale a dire quello realistico che rappresenta per Stein l’essenza dell’essenza – problematica posta in modo radicale da H. Conrad-Martius. Vd. Il problema dell’empatia, Roma,
1985, pp. 67-68.
Percorsi di fenomenologia del diritto
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Reinach, realizzato anche attraverso le sollecitazioni del gruppo di allievi del
cosiddetto circolo fenomenologico8.
L’ambiente filosofico steiniano è intriso della cultura di fine Ottocento e inizi
del Novecento9. Il maestro dà vita a un gruppo di lavoro composto non solo da
studiosi quali Reinach e Heidegger, ma anche da alcune studiose, tra le quali
Cfr. H. SPIEGELBERG, The Phenomenological Movement, 2 voll., Nijhoff, 1960 (ed . ampl.
1982). Anche H. G. GADAMER, Il movimento fenomenologico, Roma-Bari, 1992, in cui la figura
di Stein viene completamente omessa; V. COSTA E. FRANZINI P. SPINICCI, La fenomenologia, Torino, 2002, pp. 55-56; E. TUGENDHAT, Der Wahrheitsbegriff bei Husserl und Heidegger, Berlin,
1970.
Tra i componenti del circolo di München: Hans Lipps (1882-1941), Dietrich Mahnke, Johannes Daubert (1877-1947), Roman Ingarden, Adolf Reinach (1883-1917), Moritz Geiger
(1880-1937), Edith Stein, Gerda Walther (1897-1977), Hedvig Conrad-Martius (1888-1966),
Dietrich von Hildebrand (1889-1977), Wilhelm Schapp, Fritz Kaufmann (1891-1959), Jean
Héring (1890-1966), Adolf Grimme, August Gallinger, Alexander Pfänder (1870-1941), Th.
Conrad (1881-1969). Si può dire che intorno a questo gruppo di base ruotava una costellazione minore come L. F. Clauss, J. Bender, M. Ortmann, A. Rosenblum, K. Ajdukiewicz, F.
Frankfurther, L. Langrebe, A. von Sybel, O. Becker, H. Plessner. Uno degli ultimi allievi di
Husserl fu J. Patoċka (1907-1977). Negli stessi anni in cui Husserl si occupa di fenomenologia in Europa, tra il ’10 e il ’12, negli USA WILLIAM JAMES (1842-1910) elabora a sua volta una
‘fenomenologia’, tra le sue opere principali Pragmatism. A New Name for Some old Ways of
Thinking, New York, 1907; The Principles of Psychology, 2 voll., New York, 1890. Per un ulteriore approfondimento vd. anche V. COSTA E. FRANZINI P. SPINICCI, La fenomenologia, pp. 1213. Anche in Giappone sorgeva una corrente fenomenologica, la scuola di Kyoto di Nishida
Kitaro, proseguita poi da Nishitani Keiji. Husserl e James ebbero modo di conoscersi e di
leggersi reciprocamente. Attualmente un’allieva di Ingarden, A.-T. Tymieniecka, di origine
polacca e residente negli USA, coltiva il versante realista della fenomenologia sviluppandola
in fenomenologia della vita, tra le sue opere Logos and Life. Introduction to the Phenomenology
of Life and the Human Condition, Dordrecht-Boston-London, in quattro volumi che vanno dal
1988 al 2000. Negli anni Settanta fonda il World Institute for Advanced Phenomenological
Research and Learning la cui intensa attività è documentata dagli Analecta Husserliana, per i
tipi di Kluwer. Vd. anche AA.VV., La fenomenologia e l’Europa, Atti del Convegno internazionale, Trieste 22-25 nov., 1995, Napoli, 1999. Cfr. anche D. MÜNCH, Il contesto della svolta trascendentale di Husserl, in AA. VV., Il realismo fenomenologico dei Circoli di Monaco e Gottinga,
Macerata, 2000.
9 Tra le letture più strettamente giuridiche di Stein si sottolineano C. F. GERBER, Juristische
Abhandlungen, Jena, 1878; E. BERNATZIK, Die juristische Personlichkeit der Behorden: zugleich ein
Beitrag zu theorie juristischen Personen, Freiburg i. B., 1890; R. KJELLÈN, Der Staat als Lebensform, Berlin, 1924; G. JELLINEK, Allgemeine Staatslehere, Berlin, 1929.
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Luisa Avitabile
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appunto la stessa Stein. Originariamente i componenti del gruppo sono allievi
di T. Lipps dal quale prendono successivamente le distanze a causa delle divergenze con Husserl10, la cui filosofia si allontana da un concetto di mondo
basato soprattutto sulle scienze della natura, dipanando e dando respiro al
concetto di intuizione con il significato specifico che «ad ogni tipo di oggetti
corrisponde, conformemente alla loro natura, il loro modo di essere “presente
in persona” per la nostra coscienza, a differenza della mera intenzione e della
coscienza riproduttiva più o meno oscura»11.
L’opera di Edith Stein, nella costruzione di un concetto fenomenologico di diritto, non è indifferente a questa atmosfera culturale, vissuta insieme agli studiosi a lei più vicini, permeata dalle dinamiche tra scienze della natura e scienze dello spirito con pretese di primato da parte delle prime. Proprio Husserl,
insieme ai suoi allievi, si pone come spartiacque in questa eredità del foro dei
saperi, sottolineando l’autonomia della ricerca filosofica intesa come percorso
fenomenologico al quale Stein attinge costantemente.
In questa atmosfera di ricerca matura la sua statura di studiosa impegnata a
interpretare, leggere, elaborare, annotare, tra gli altri, gli scritti di von Hildebrand, di Ingarden, di Heidegger, di H. Conrad-Martius, di Hering e di Reinach come emerge dal suo carteggio con R. Ingarden12.
Nel panorama filosofico del ‘900 può essere presentata dunque come un modello di fenomenologa del diritto – per la sua vicinanza a Reinach, per l’opera
specifica sul diritto Una ricerca sullo Stato, ma anche per il senso attribuito al
concetto di giuridicità – suscitando tuttavia meno attenzioni di altre figure co-
10«Lo sviluppo della fenomenologia di Husserl è connesso con la reazione al naturalismo
dominante la fine del secolo XIX», L. LANDGREBE, Itinerari della fenomenologia, p. 201.
E. Husserl (1859-1938) si forma sulla lettura di Brentano con il quale stringe una vera e
propria amicizia. Tra le sue opere: Filosofia dell’aritmetica (1891), Ricerche logiche (I 1900, II
1901), La filosofia come scienza rigorosa (1911), Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia
fenomenologica (1913), Logica formale e trascendentale (1929). La fenomenologia per Husserl non
va confusa né identificata con la psicologia, E. HUSSERL, Idee, p. 4
11 L. LANDGREBE, Itinerari della fenomenologia, p. 202.
12 Interessante sotto il profilo della ricostruzione della rete di rapporti scientifici il carteggio tra Edith Stein e Roman Ingarden che va dal 1917 al 1938, Lettere a Roman Ingarden
1917-1938.
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me Simone Weil e Hannah Arendt13, nonostante la proficua produzione scientifica. Per ragioni diverse e seguendo percorsi differenti la Weil e la Arendt hanno attirato l’attenzione sulla attività filosofica intrapresa suscitando così un interesse per la loro produzione. Al contrario, la figura di Edith Stein solo di recente ha conosciuto una fama legata prioritariamente alla sua vicenda spirituale, mentre è rimasta per lungo tempo inesplorata la mole delle sue opere in cui
ha saputo sapientemente coniugare il livello scientifico dei suoi studi, a volte
condizionati dalla sua incostanza, e la storia tragica del Novecento14.
2. La figura di Edith Stein
Una posizione, quella della studiosa, discussa, considerata frequentemente
solo per l’intenso profilo spirituale, ma sempre apprezzata per il metodo mai
banale adottato nelle opere scientifiche tra le quali la ricerca sullo Stato e sul
diritto.
Il lavoro di questo studio si colloca su un terreno specifico costretto a scontrarsi con il futuro avvento di uno Stato legalitario/legalista che afferma la dissoluzione di un passaggio così importante dal diritto puro al diritto positivo15;
13 I loro lavori sono stati tra l’altro oggetto di studio ampio ed approfondito da parte della filosofia del diritto cfr. A. CATTANEO, Simone Weil e la critica dell’idolatria sociale, Napoli,
2002; T. SERRA, Virtualità e realtà. Ermeneutica, diritto e politica in H. Arendt, Torino, 1997.
14 Tra gli studi filosofici di Edith Stein tradotti in italiano si ricordano Il problema
dell’empatia, Roma, 1985; La donna – Il suo compito secondo la natura e la grazia, Roma, 1987; Introduzione alla filosofia, Roma, 1998; Essere finito e Essere eterno, Roma, 1988; Una ricerca sullo
Stato, Roma, 1999; La struttura della persona umana, Roma, 2000. Mentre tra le opere non strettamente filosofiche: ‘Scientia crucis’. Studio su San Giovanni della Croce, Roma, 1996; Natura
persona mistica. Per una ricerca cristiana della verità, Roma, 1997; La vita come totalità. Scritti
sull’educazione religiosa, Roma, 1999.
15 «La scienza del diritto positivo verifica quale era od è il diritto valido per questo o per
quel popolo. L’ontologia del diritto – o, come abbiamo anche detto in contrasto con le scienze empiriche, la scienza apriorica del diritto – ricerca che cos’è il diritto in generale. La filosofia indaga quali forme di linguaggio si presentano nella lingua tedesca, francese, inglese e
così via, mentre la scienza comparata del linguaggio quali forme siano comuni, rifacendosi
all’esperienza, alle diverse lingue conosciute. L’ontologia del linguaggio, per contro, ricerca
che cos’è il linguaggio in generale, quali caratteristiche vi appartengono necessariamente,
universalmente ed insopprimibilmente. Questo è quanto si può dire in merito alla difformità
di direzione tra ricerca ontologica e scienza positiva». Introduzione alla filosofia, p. 39.
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la producibilità dei principi legali genera anche l’idea di un diritto puro sotto il
profilo formale destinato ad essere un prodotto transeunte e contingente – rifiutato criticamente da Stein – di una società che, trasformatasi in magma sociale, si lascia condizionare da istanze totalitarie, sino ad arrivare alla deriva
kelseniana16.
Tragica la scelta di passare dal popolo eletto al popolo cristiano, vissuto come
tradimento da parte del popolo ebraico; discutibili, per alcuni, le ragioni, il suo
è un percorso di dolore che la porta fatalmente e quasi inevitabilmente alle soglie del Carmelo di Echt17, sino ad un campo di concentramento, simbolo della
negazione dei diritti dell’uomo, della soggettività giuridica in nome di una purificazione della razza che ella stessa aveva analizzato e implicitamente criticato anni prima18.
Il diritto puro in H. KELSEN trova una sua concettualizzazione per es. in Lineamenti di
dottrina pura del diritto, Milano, 1999, pp. 54-55: «La dottrina pura del diritto, come specifica
scienza giuridica, non rivolge la sua attenzione alle norme giuridiche considerate come fatti
di coscienza, né alla volizione o alla rappresentazione di queste, ma la rivolge alle norme
giuridiche come strutture qualificative volute o rappresentate…»; id., p. 59 «Essa vuole rappresentare il diritto come è, senza legittimarlo come giusto o squalificarlo come ingiusto…»;
per una critica alla dottrina pura del diritto B. ROMANO, Filosofia del diritto, Roma-Bari, 2002,
pp. 38-41.
17«Il giorno di san Silvestro del 1938 era fuggita da Colonia per Echt nella speranza di
sottrarsi alla sorveglianza nazista. Quando ciononostante la morsa si fece stretta, tentò di
trovare rifugio per sé e sua sorella Rosa, attiva come assistente volontaria, nel carmelo svizzero di Le Pâquier, cosa che fu rinviata a lungo dalle autorità locali … Edith Stein pochi minuti prima della domenica 2 agosto 1942 fu presa dalla Gestapo … Un segno di lei proviene
ancora da una sosta, durante il trasporto verso l’est, nella stazione di Schifferstadt nel Palatinato, poi le tracce … si perdono nel buio, probabilmente in una camera a gas di Auschwitz
il 9 agosto 1942 o anche nel vicino lager di Birkenau dove venivano fatti esperimenti medici
di surraffreddamento», il trasferimento a Birkenau è supposto dal fatto che i forni crematori
nel 1942 non erano stati ancora costruiti. H.-B. GERL, Edith Stein, pp. 34-35.
Si ricorda che la conversione di Stein risale al 1922 mentre la sua entrata tra le carmelitane di Colonia al 1933; il 1933 è anche l’anno di esclusione dei non ariani dai pubblici uffici.
Quando il 21 aprile 1938 muore Husserl, Edith Stein decide di entrare tra le carmelitane in
modo perpetuo. La sua conversione – inizio del suo cammino verso il mondo delle carmelitane – è comunicata a Roman Ingarden in una lettera del 15/10/1921.
18 «L’unità del Paese e l’unità del popolo non stanno l’una accanto senza essere in relazione. … il “carattere” di un Paese … è sotto l’influenza del carattere dei suoi abitanti. Si delinea in tal modo un tipo personale che possiamo indicare come “razza”. Se i rappresentanti
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Percorsi di fenomenologia del diritto
Nonostante le questioni fenomenologiche affrontate, il lavoro scientifico a
volte sotterraneo, a volte manifesto, le testimonianze dell’epoca indicano che
non sono molti gli ambienti culturali che riconoscono e si avvalgono formalmente del contributo di studiose; il filosofare sembra presentarsi al ‘maschile’,
eppure la partecipazione di donne alla ricerca di Husserl è costante e proficua
oltre ogni modo. L’attrazione è rappresentata dalla proposta di un nuovo metodo, quello fenomenologico – al quale saranno proprio le allieve a dare la
svolta realistica – diretto ad eliminare una sorta di condizione antagonista tra
psicologismo, logicismo e neokantismo per rifondare le scienze della natura e
dello spirito e del quale le allieve, ognuna a modo suo certo secondo un procedere mai semplificato, saranno le più profonde assertrici e critiche allo stesso
tempo19, in un momento intellettuale particolarmente fecondo come quello di
inizio secolo caratterizzato da una decisa reazione al positivismo.
Gli studi di Edith Stein sulla fenomenologia in generale, e sulla fenomenologia del diritto in particolare, sembrano quindi, nonostante l’intensità delle argomentazioni, passare inosservati in virtù, tra l’altro, di un certo superficiale
interesse per la cosiddetta filosofia al ‘femminile’, condizionato senza dubbio
dai pregiudizi del periodo sull’attività speculativa delle donne. I motivi di alcuni atteggiamenti di disinteresse da parte del mondo accademico nei confronti di Stein sono dovuti non solo alla sua condizione di donna, ma successiva-
di un tipo razziale vivono in comunità e se questa comunità è abbastanza ampia da attivare
una “personalità” culturale, allora abbiamo un popolo, che si costituisce sul suolo del Paese».
Una ricerca sullo Stato, p. 124; La struttura della persona umana, p. 203 ss. Ritorna nel periodo
storico in cui vive Stein un interesse intenso all’uomo sia da parte di pensatori come M.
Scheler che di altri come M. Buber. Intorno agli anni Dieci vi è una proliferazione di opere in
questa direzione.
19 In particolare Stein diverge nella sua posizione filosofica dal suo maestro nello studio
del rapporto tra filosofia e religione. Mentre Husserl considera le due dimensioni separate;
si può quindi dire che la sua posizione filosofica sia antropocentrica, quella di Stein è proiettata nel solco della philosophia perennis, l’opera più significativa in questo senso è Essere finito
e essere eterno. In questa prospettiva non bisogna sottovalutare l’influenza degli incontri con
Gilson e Maritain. Tra le opere tradotte in italiano si rocordano J. MARITAIN, Questioni di coscienza, Milano, 1980; Sulla filosofia cristiana, Milano, 1978; L’uomo e lo Stato, Milano, 1954;
Umanesimo integrale, Roma, 1946; e di E. GILSON, La società di massa e la sua cultura, Milano,
1988; Dio e la filosofia, Milano, 1984; La filosofia nel medio evo, Firenze, 1932.
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mente anche alla sua origine ebrea20. Testimone di questa superficialità, è proprio il misconoscimento della sua posizione di filosofa e fenomenologa. Al lettore profano sembra di trovarsi di fronte ad una sorta di epurazione o di rifiuto
della sua opera, della sua vita e degli interessi così fortemente legati a Husserl,
a Reinach, considerato appunto il filosofo del diritto all’interno del circolo dei
fenomenologi, e agli assistenti che si avvicendano intorno alla sua figura, dal
“piccolo Heidegger” alla “signorina Gothe”21, in realtà si tratta di una vera e
propria colpevole, discriminante, dimenticanza.
A differenza di altre filosofe – si pensi, come è stato ricordato, alle opere di
Simone Weil e di Hannah Arendt che hanno conquistato un loro spazio nella
discussione di questioni nell’ambito di un cosiddetto pensiero al femminile –
Edith Stein sembra essere stata costretta in una sorta di oblio anche per coloro
che si occupano della ricostruzione del pensiero femminile nella cultura filosofica del pensiero occidentale22.
Al di là delle posizioni pro/contro, non è infatti questo che si intende discutere, la sua opera rappresenta un tentativo, certo non secondario, di riduzione
fenomenologica applicata al diritto23; lo studio, ma anche la storia e la memo«Husserl non prende in considerazione in linea di principio la possibilità di abilitazione da parte delle donne… Con la non-accettazione dei suoi quattro tentativi di abilitazione
venne sprecata una possibilità storica unica nel suo genere, quella di una donna su una cattedra di filosofia negli anni Venti!». H.-B. GERL, Edith Stein, p. 22-23. È con profonda amarezza che Stein comunica in una lettera a Ingarden il fallimento per i tentativi di continuare nel
1933 la sua attività di docente.
21 Sono entrambe espressioni usate da Stein nel suo carteggio con R. Ingarden.
22Per un approfondimento sulla storia ‘al femminile’ cfr. tra l’altro M. BRUZZESE G. DE
MARTINO, Le filosofe. Le donne protagoniste nella storia del pensiero, Milano, 1994; Storia delle
donne in Occidente. Il Novecento, a cura di G. DUBY M. PERROT, Roma Bari, 2001; G. BOCK, Le
donne nella storia europea. Dal Medio Evo ai nostri giorni, Roma-Bari, 2006. È utile peraltro precisare che quest’opera, nel volume dedicato al Novecento, non dedica uno spazio adeguato
alla questione della donna così come trattata da Edith Stein si limita semplicemente a registrare che «Prima del femminismo, le poche donne filosofo non hanno affrontato il problema
dei sessi, né Jeanne Hersch, né Suzanne Langer o Gisèle Brelet, Jeanne Deelhomme o Simone
Weil o Edith Stein, e neppure Hannah Arendt…», p. 307.
23«La riduzione fenomenologica venne introdotta da Husserl come metodo della sospensione del giudizio, come epochè, che non ha semplicemente il significato di una sospensione
del giudizio sulla realtà dell’oggetto intenzionato nel singolo atto, ma di mettere in parentesi
la tesi generale dell’atteggiamento naturale, della crescita esistenziale, da cui deriva complessivamente il nostro essere-nel-mondo … Rimane, come in Cartesio, l’ego cogito,
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Percorsi di fenomenologia del diritto
ria, di un metodo, appunto quello fenomenologico24, viene coltivato insieme ad
altre studiose come Hedwig Conrad-Martius e Gerda Walther25, entrambe impegnate ad affermare il principio del volgersi alle cose stesse26.
l’autocertezza della mia coscienza con ciò che in essa è intenzionato così come in essa è intenzionato» ma è lo stesso Landgrebe a considerare la differenza tra Husserl e Cartesio:
«Cartesio trova questo ego cogito, l’unica stabile e indubitabile certezza, per così dire come
un punto, come l’insopprimibilità dell’io penso nel momento in cui penso. È un fatto isolato
che, con il restante contenuto della mia coscienza, non ha altro nesso che quello della successione con cui questi atti del cogito appaiono nella coscienza … La coscienza è quindi per lui
come una serie di singoli atti compresi nel tempo, che è presupposto in modo del tutto ovvio
come tempo oggettivo. A Cartesio sfugge che gli stessi singoli atti che compaiono nella coscienza sono uniti da un legame fenomenale … Cartesio non conosce le strutture delle implicazioni intenzionali e dei rimandi che appartengono ad ogni singolo atto», L. LANDGEBRE,
Itinerari della fenomenologia, pp. 118-120. M. SCHELER, L’eterno nell’uomo, Milano, 1972, p. 140 a
proposito del pentimento.
24 M. HEIDEGGER, L’idea della fenomenologia e il ritorno alla coscienza sta in E. HUSSERL M.
HEIDEGGER, Fenomenologia, p. 136 «Le varie modalità delle esperienze viventi rappresentano
l’ambito dove si mostra tutto ciò a cui noi ci rapportiamo: in esse tutto "appare". Le esperienze viventi sono perciò definite fenomeni. Rivolgere lo sguardo ad esse, farne esperienza
e definirle in quanto tali: tutto ciò rappresenta l’atteggiamento “fenomenologico”».
In realtà, vi sono tre fasi del pensiero husserliano: la prima fase rappresentata dalla Filosofia dell’aritmetica (1891) è diretta ad una sorta di fondazione della matematica; la seconda è
caratterizzata dagli studi delle Ricerche logiche (1900-1901) e da Idee per una fenomenologia pura
e una filosofia fenomenologica (1913); la terza fase è indicata in opere come Logica formale e trascendentale (1929), Meditazioni cartesiane (1931) e Crisi delle scienze europee (1936). Per
l’influenza del filosofo e logico Bolzano sull’opera di Husserl e soprattutto sulla svolta fenomenologica P. BUCCI, Husserl e Bolzano. Alle origini della fenomenologia, Milano, 2000. Per il
metodo fenomenologico applicato al diritto B. ROMANO, Filosofia del diritto, p. 149 e ss.
25 Edwig Conrad-Martius nasce a Berlino nel 1888 e muore a Monaco nel 1966. Nel 1912
sposa Theodor Conrad; particolare il suo trasferimento a Bergzabern nel 1919 dove coltiva
un frutteto. Nel 1949 diventa docente di Filosofia della natura presso l’Università di Monaco. Tra i suoi lavori:
Die erkenntnistheoretischen Grundlagen des Positivismus, si tratta di un’ed. privata, Bergzabern, 1920; Zur Ontologie und Erscheinungslehre der realen Aussenwelt, in “Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung, IV, Halle, 1916; Realontologie, in “Jahrbuch…”,
VI, 1923; Farben, in Festschrift für E. Husserl, Halle, 1929; Die Seele der Pflanze, Breslau, 1934;
Bios und Psyche, Hamburg, 1949; Die Zeit, München 1954; Der Raum, München, 1958; Edith
Stein, in E. STEIN, Briefe an Hedwig Conrad-Martius, München, 1960.
Luisa Avitabile
15
«Le nostre ricerche – testimonia Stein – coincidono con quelle di H. Conrad-Martius per
quanto concerne la materia e lo spirito intesi come generi distinti del reale che non si possono
far risalire l’uno all’altro. Quanto abbiamo sottolineato per gli esseri materiali – che in un
certo senso, dicevamo, sono “compiuti” – viene da lei preso in considerazione anche per lo
spirito: definisce il corpo e lo spirito “ente attuale”, la cui costituzione è perfetta. Invece
l’essere peculiare dei viventi è diverso perché questi devono dapprima entrare in possesso della propria
essenza. Il vivente si distingue dagli esseri materiali perché ha un “centro” del suo essere,
l’anima (o “principio vivificante”), se vogliamo conservare questo termine per l’anima personale, che si manifesta solo all’interno della totalità umana formata nell’io». Essere finito e essere eterno, p. 302. Una delle parti dell’opera Volontà e potenza è dedicata all’analisi dell’opera
della Martius, così come una parte di Essere finito e essere eterno. Cfr. anche H. C. MARTIUS,
Dialoghi metafisici, Lecce, 2006.
Gerda Walther nasce il 18 marzo 1897 a Nordrach e muore a Monaco nel 1977. Appartiene
alla schiera delle studiose fenomenologhe del metodo husserliano. Politicamente attiva soprattutto nei movimenti femministi, studiosa del materialismo marxiano. Importante nel
suo pensiero la dimensione mistica che costituisce un fenomeno fondamentale che cerca di
sondare attraverso il metodo fenomenologico del suo maestro Edmund Husserl. Tra i suoi
lavori:
Zur Ontologie der sozialen Gemeinschaften, in “Husserls Jahrbuch für Philosophie und Phänomenologische Forschung„ VI, 1923, p. 1-158; Zur Phänomenologie der Mystik, Olten, 1923;
Zur Psychologie der sogenannten ‘moral insanity’, in „Japanisch-deutsche Zeitschrift für Wissenschaft und Technik“ 5/III, 1925, S. 174-184; Zur innerpsychischen Struktur der Schizophrenie,
in “Zeitschrift für die gesamte Neurologie und Psychiatrie„ C VIII/1-3, 1927, pp. 56-85;
Ludwig Klages und sein Kampf gegen den Geist, in “Philosophischer Anzeiger„ III/i, 1928, p. 4890; Parapsychologie und Mystik, in “Zeitschrift für Parapsychologie„, 1928; On the Psychology of
Telepathy, in “Psychic Research„, Oktober 1931, p. 438-446; Die Bedeutung der phänomenologischen Methode Edmund Husserls für die Parapsychologie, in “Psychophysikalische Zeitschrift„
1/2 und 3, 1955, p. 22-29, 37-30 (Parapsychologie, 1966, p. 683-697); Zum anderen Ufer: Vom
Marxismus und Atheismus zum Christentum, 1960.
26 Potenza e atto, p. 168. Secondo i canoni del maestro si tratta di un «atteggiamento nuovo e
completamente diverso», E. HUSSERL, Idee, p. 5
Percorsi di fenomenologia del diritto
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3. Linee fenomenologiche husserliane e loro rilevanza per la questione giuridica
Proprio la questione di una rappresentazione del ‘giuridico’ nella fenomenologia27 è la sfida che si propone Edith Stein in alcune sue opere senza mai arrivare a presentarla in termini giusnaturalistici o giuspositivistici, ma nel modo
armonico ed equilibrato di osservare la Sache – diritto – facendola così parlare, non
certo come entità avvicinabile in modo cognitivo, ma in quanto senso. Questo
principio richiama il metodo fenomenologico applicato all’atto sociale
dell’empatia28 che costituisce la base per discutere del ‘giuridico’29: l’io ascolta
l’alterità nell’esercizio della sua libertà, misurata dalla responsabilità.
L’itinerario speculativo di Husserl parte dalla matematica, dal numero, con
un’indagine sulle attività dei soggetti che si differenziano in base alle discipline
prese in considerazione. Ma è bene sottolineare come, nell’ambito della discussione del circolo fenomenologico, anche la fenomenologia e la psicologia sono
legate in modo articolato. L’influenza della fenomenologia sulla psicopatologia
e sulla psicologia di Karl Jaspers è testimoniata dall’opera di Landgrabe; per
Husserl la fenomenologia è una continua ricerca sul movimento che porta il
soggetto a relazionarsi alla Sache – la cosa stessa –, è una filosofia della chiarifi-
Comunemente il significato del termine fenomenologia in filosofia viene fatto risalire a
Husserl: «Edmund Husserl (1859-1938) fu il primo ad applicare il termine di Phaenomenologie
a un’intera filosofia. Il suo uso in questo senso ha inoltre grandemente contribuito a definire
i significati che gli vengono comunemente attribuiti nel XX sec. ed a coniare nuove parole.
Nelle Logische Untersuchungen (1900-1901) Husserl diede tale nome alle ricerche ed alle teorie
che formano la maggior parte di quest’opera e dell’unico volume pubblicato della sua Philosophie der Arithmetik (1891). Si stabilì così quello che doveva rimanere il significato fondamentale del termine in tutti i suoi scritti posteriori. … Husserl intese sempre per “fenomenologia” una scienza del soggettivo e dei suoi oggetti intesi in quanto intenzionali; questo, che
era il nucleo centrale di tale significato, pervade lo sviluppo del suo concetto di fenomenologia come eidetica, trascendentale, costitutiva». D. D. RUNES, Dizionario di filosofia,
MCMLXIII, pp. 332-340. Vd. anche E. FINK, Studien zur Phänomenologie, Den Haag, 1966, p.
179 e ss. L. BINSWANGER, Sulla fenomenologia, in L. BISWANGER A. WARBURG, La guarigione infinita, 2005, p.266 e ss.
28 Il problema dell’empatia, p. 71 e ss.; vd. anche M. GEIGER, Sul problema dell’empatia di stati
d’animo, in Il realismo fenomenologico, p. 153 e ss.
29 M. SCHELER, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, Cinisello Balsamo, 1996, p.
635.
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cazione30. Psicologia e fenomenologia sono, quindi, dimensioni relazionate dagli elementi che l’una può apportare, proprio per un’ulteriore chiarificazione,
all’altra. Solo con il costante approfondimento della dimensione eidetica della
fenomenologia husserliana, Stein riesce a ricostruire la formazione dello Stato
di diritto31, in una posizione complementare, mai apertamente contrapposta, a
quella di Husserl che ha inteso soffermarsi sulla riduzione fenomenologica32 e
non sul fenomeno dello Stato di diritto e dunque della ‘giuridicità’.
Nella prospettiva della fenomenologia giuridica di Stein, è possibile la distinzione tra diritto puro e diritto positivo che trascende la posizione radicale della
Conrad-Martius, a favore della descrizione dell’esistente, della persona che istituisce il diritto nell’ideale di una comunità possibile nel riconoscimento
dell’alterità, iniziato e selezionato dall’atto empatico33.
In questo lavoro non si ha la pretesa di discutere l’intera fenomenologia, ma
poiché quella di Husserl è sottesa all’esperienza steiniana, è utile quanto meno
distinguere l’atteggiamento fenomenologico da quello psicologico, o meglio
«… il fenomenologo non si comporta diversamente da qualunque altro studioso che si
muove sul piano eidetico, come per esempio il geometra». E. HUSSERL, Idee, p. 159.
«… la fenomenologia deve, per sua essenza, avanzare la pretesa di essere la filosofia “pri30
ma” e di fornire i mezzi a ogni critica della ragione che si voglia compiere; e che quindi essa
esige la più perfetta assenza di presupposti e, in rapporto a se stessa, una assoluta evidenza
riflessiva. La sua essenza consiste nel realizzare la massima chiarezza circa la sua stessa essenza e con ciò intorno ai principii del suo metodo», E. HUSSERL, Idee, p. 158.
31 Lo ‘Stato di diritto’ è quello Stato che «deve, per quanto possibile, realizzare valori oppure collaborare alla realizzazione di valori. In primo luogo attira la nostra attenzione un
valore, la cui realizzazione è affidata in particolare ad esso, cioè la giustizia. In questo senso
si richiede che il suo diritto sia un “diritto giusto”. Si tratta del valore di cui non è propriamente portatore lo Stato in quanto Stato, ma la comunità in esso compresa». Una ricerca sullo
Stato, p. 153.
32 «La riduzione fenomenologica … appartiene allo Husserl ancora oggi più o meno sconosciuto. Sebbene costituisca il centro della sua dottrina e il tema generale dei due ultimi
decenni della sua vita … essa tuttavia è il tema che è stato compreso di meno e che ha esercitato la minore efficacia. Con il progressivo dispiegamento della dottrina della riduzione fenomenologica è stato di fatto indicato il punto a partire dal quale la scuola fenomenologica
di Gottinga si rifiutò quasi del tutto di seguire Husserl …». L. LANDGREBE, Itinerari della fenomenologia, p. 36; E. FINK, Studien zur Phänomenologie 1930-1939, p. 10 e ss.
33 M. SCHELER, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, soprattutto p. 633; H. B.
SCHMID, Wir-Intentionalität. Kritik des ontologischen Individualismus und Rekonstruktion der Gemeinschaft, München, 2005, p. 49.
Percorsi di fenomenologia del diritto
18
psicologistico così come si è andato delineando anche nella disputa con Lipps,
infatti «nel primo, il nostro sguardo afferrante si dirige sull’oggetto appercepito,
attraversando per così dire l’apprensione che istituisce la trascendenza; nel secondo, si dirige invece riflessivamente sulla pura coscienza che opera
l’appercezione»34. Lungo queste coordinate del metodo fenomenologico, Husserl invita i suoi allievi a rivolgersi alle ‘cose stesse’, a farle parlare, a lasciarle
manifestarsi (fenomeno) per esprimere il loro significato più essenziale. Le
tracce del maestro vengono elaborate da Stein nella direzione dell’ascolto che
comporta la liberazione dal pre-giudizio, con il significato di porsi in un atteggiamento di attenzione verso la cosa, mettendo così tra parentesi i momenti
precedenti, senza per questo cancellarli, ma lasciandoli come in archivio, in attesa di essere ripresi35. Nella direzione fenomenologica, Sache può essere considerato un sostantivo generico e, proprio perché tale, l’invito di Husserl non è
diretto alla materialità, alla cosalità o all’oggettività nel senso più stretto o ancora alla specificità di una realtà oggettiva in particolare, anzi è destinato a
qualsiasi avvenimento senza trasferire su di questo un atteggiamento soggettivo36. Il procedimento husserliano non è strettamente logico, né intellettualistico
E. HUSSERL, Idee, p. 137.
«… esercito l’epoché “fenomenologica” [che mi vieta assolutamente ogni giudizio
sull’esistenza spazio-temporale]. Io metto quindi fuori circuito tutte le scienze che si riferiscono al
mondo naturale e, per quanto mi sembrino solide, per quanto le ammiri, per quanto io poco
pensi a obiettare alcunché, non faccio assolutamente nessun uso di ciò che esse considerano come
valido. Non mi approprio di nemmeno una delle loro proposizioni, anche se sono perfettamente evidenti, non ne assumo nessuna e da nessuna di esse ricavo alcun fondamento – beninteso, fin tanto
che esse vengono concepite, come avviene appunto in queste scienze, quali verità concernenti le realtà di questo mondo. Le posso assumere soltanto dopo aver loro applicato le parentesi,
ossia soltanto nella modificazione di coscienza della messa fuori circuito del giudizio, dunque non come quelle proposizioni che sono nella scienza, dove reclamano una validità che del resto io
stesso riconosco e utilizzo». E. HUSSERL, Idee, pp. 71-72.
36 Uno degli ultimi allievi di Husserl, Jonas – la notizia di Jonas come allievo di Husserl è
34
35
documentata dallo stesso in H. JONAS, Dalla fede antica all’uomo tecnologico, Bologna, 1991, p.
27. Utile ricordare qui i contatti di Jonas con Jaspers, id., p. 32 – scrive a proposito del soggetto (persona) delle nuove tecnologie: «Ciò che è sbagliato nella trasformazione di una persona in un soggetto da esperimento non è tanto il fatto che noi ne facciamo un mezzo (ciò che
ha luogo in qualunque contesto sociale), quanto il fatto che la trasformiamo in una cosa –
una cosa passiva, suscettibile soltanto di essere manipolata, e passiva non rispetto a
un’azione reale, ma rispetto a un’azione simbolica, di cui la persona stessa è l’oggetto simbo-
Luisa Avitabile
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ma è un metodo di completa apertura destinato a porre in primo piano
l’essenza37 della Sache che è rappresentata dall’essenza del diritto e dello Stato.
lico. Ciò è diverso persino dalle situazioni della vita sociale in cui la manipolazione è più
forte, situazioni reali e non simulate. In questi casi i soggetti, per quanto profondamente oltraggiati, rimangono agenti e, pertanto, “soggetti” nell’altro senso del termine. Il caso del
soldato è emblematico: soggetto a una disciplina unilaterale, costretto a rischiare la mutilazione e la morte, arruolato senza il suo consenso, e forse contro la sua volontà – egli è pur
sempre arruolato con le sue capacità di agire, di tener duro o cedere nelle diverse situazioni,
di rispondere a sfide reali per conquistare poste reali. Benché si un mero “numero” per lo
stato maggiore, egli non è un simbolo né una cosa». H. JONAS, Dalla fede antica all’uomo tecnologico, p. 176; cfr. id., Potenza o impotenza della soggettività?, Milano, 2006.
37Il concetto di coscienza induce Husserl ad affermare «la coscienza in se stessa ha un essere
proprio che non viene toccato nella sua propria assoluta essenza dalla fenomenologia messa fuori circuito. Essa quindi rimane come “residuo fenomenologico”, come una regione dell’essere per
principio peculiare, che può di fatto diventare il campo di una nuova scienza – della fenomenologia». E. HUSSERL, Idee, p. 76-77; M. SCHELER, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei
valori, pp. 672-673.
F. VARELA, Neurofenomenologia, in “Pluriverso, biblioteca delle idee per la civiltà planetaria”, 1997, n. 3, ha delineato un’interessante geografia della percezione della questione della
coscienza nel panorama Usa
funzionalisti
Chalmers, R. Jackendoff, B. Baars, Dennet, W.Calvin, G. Edelman
fenomenologi
O. Flanagan, G. Lakoff,
M. Johnson, Velmans,
F. Varela, G. Globus,
J. Searle
←
↑
coscienza
↓
→
riduzionisti
Churchland, Crick,Koch
rassegnati al mistero
C. McGinn, T. Nagel
Per il concetto di coscienza cfr. anche K. RICHARDSON, Che cos’è l’intelligenza, Milano, 1999, p.
205 e ss. J. R. SEARLE, Libertà e neurobiologia. Riflessioni sul libero arbitrio, il linguaggio e il potere
politico, Milano, 2005.
20
Percorsi di fenomenologia del diritto
Su questo punto specifico si sviluppa la costruzione e l’interpretazione fenomenologico-giuridica di Edith Stein destinata sia al diritto che allo Stato, secondo quella direzione che Roman Ingarden e Hedwig Conrad-Martius definiscono Realontologie.
Pensare il diritto nello Stato di diritto delineato dall’opera di Stein significa riflettere su uno Stato che si rende promotore di una serie di atti liberi; in questa
espressione si sente l’eco della filosofia tedesca del tempo, indubbiamente
Scheler e Husserl, ma anche von Hildebrand e Heidegger. Stein disapprova alcune direzioni intraprese dall’opera heideggeriana anche se ne apprezza le
questioni, mentre è tesa ed interessata alle questioni discusse da un altro contemporaneo come Karl Jaspers38. La sua critica è indice anche dell’applicazione
più netta e fedele, seppure in direzione diversa da quella di Husserl, del metodo fenomenologico39; costruisce una metodologia di lavoro selezionato e medi-
Per Stein l’essenza è definita da J. HERING in Bemerkungen über das Wesen, die Wesenheit und
die Idee, in “Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung„ vol. IV p. 495 e
ss. così come citato da Stein in Essere finito essere eterno, pp. 108-109 «Ogni oggetto (qualunque
sia il suo modo di essere) ha un’essenza e una sola, la quale, in quanto sua propria essenza,
forma la pienezza della specificità che lo costituisce. Vale anche il contrario – e questo dice qualcosa di nuovo – : Ogni essenza è, secondo la propria essenza, essenza di qualcosa e cioè essenza di
questo qualcosa e di nessun altro» fin qui la citazione di Stein di Hering per poi proseguire
«L’essenza è quindi “la specificità che costituisce l’oggetto”, possiede come propria caratteristica dei predicati essenziali».
38 L’eco della filosofia di Jaspers non si trovano solo direttamente nell’opera di E. Stein,
(vd. L’empatia, p.203) ma anche in quella della Conrad-Martius che cita il primo Jaspers. Di
K. JASPERS si ricorda Filosofia, Torino, 1978, ma anche Psicologia delle visioni del mondo, Milano,
1953, in part. p. 256 e ss.
39 «La fenomenologia è scienza della coscienza pura, che non è parte bensì correlato del
mondo ed è l’ambito nel quale si possono conseguire conoscenze assolute mediante una descrizione pura e fedele», Introduzione alla filosofia, p. 49. Stein molto chiaramente esprime in
cosa consista il suo metodo vale a dire il metodo di lavoro fenomenologico ripreso dalle Idee
di Husserl «… considerare le cose stesse. Non tener conto delle teorie sulle cose, escludere,
ove è possibile, tutto ciò che si ascolta, si legge o che si è costruito da soli, avvicinarsi ad esse
con uno sguardo privo di pregiudizi ed attingere ad una visione immediata. Se vogliamo
sapere cos’è l’essere umano dobbiamo porci nel modo più vivo possibile nella situazione in
cui facciamo esperienza del suo esserci, vale a dire di ciò che noi sperimentiamo in noi stessi
e di ciò che sperimentiamo nell’incontro con gli altri. Questo sembra suonare come empiri-
Luisa Avitabile
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tato, l’unico che le permette di arrivare, si ricordi lo studio sull’empatia,
all’essenza del diritto, come Sache, e all’alterità che costituisce il nucleo della
giuridicità e dello Stato di diritto.
L’empatia steiniana – intesa come un ri-trovarsi, riconoscere l’alterità – segnala un percorso intersoggettivo che non risiede in una premessa biologica, ma
nella scelta di un soggetto di ‘mettersi nei panni’ dell’altro, realizzando un tipo
di progetto che comincia proprio dalla relazione intersoggettiva. Se fosse consegnato nella mani della natura non avrebbe ragion d’essere la riduzione fenomenologica che, appunto, non si basa sulla natura, ma attraverso il metodo
fenomenologico è essa stessa oggetto di chiarimento, così come il mondo fisico,
quello psicofisico, gli uomini, gli animali. L’empatia indica e sottolinea
l’esperienza dell’altro40, nel rapporto con l’altro l’io diventa se stesso cogliendo
l’alterità in prima istanza come corpo41.
Lo strumento più adeguato per avvicinarsi al diritto è rappresentato proprio
dal metodo della riduzione fenomenologica di derivazione husserliana, le cui
coordinate sono però date anche da altri fenomenologi quali ad esempio Scheler42. È proprio Scheler che indica come a priori le «unità semantiche e quelle
smo, ma non lo è se con il termine “empiria” si intende solo la percezione e l’esperienza di
cose particolari. Il secondo principio recita: indirizzare lo sguardo all’essenziale. L’intuizione
non è solo la percezione sensibile di una certa singola cosa come essa è qui ed ora; vi è una
intuizione di ciò che essa è secondo la sua essenza e ciò può, a sua volta, significare ciò che
essa è secondo il suo essere proprio, e ciò che essa è secondo la sua essenza universale … L’atto
in cui l’essenza viene afferrata, è una visione spirituale che Husserl ha denominato intuizione.
Essa è nascosta in ogni singola esperienza come fattore indispensabile … ma può distaccarsi
da essa ed essere compiuta per se stessa», La struttura della persona umana, p. 66.
40 A. ALES BELLO, Empatia e amore nella prospettiva fenomenologica, in AA.VV., Amore ed empatia, Milano, 2003, p. 34.
41 «Il nostro corpo con i suoi organi è l’assoluto punto-zero, il centro dell’orientamento di
ogni esperienza, l’assoluto “qui” di ogni “là”». L. LANDGREBE, Itinerari della fenomenologia, p.
67. Sulla trasformazione del concetto di corporeità vd. A. PUNZI, L’ordine giuridico delle macchine, Torino, 2003, in part. p. 381 e ss.
42M. SCHELER, L’eterno nell’uomo, in part. p. 547 e ss. Quadro giuridico-politico e condizione
morale per la rinascita culturale dell’Europa.
«Gli esseri umani sono persone che hanno una peculiarità individuale e la concezione che
hanno l’uno dell’altro non è solo una questione di ragione, piuttosto è una relazione interiore più o meno profonda, presente, almeno come inizio, in ogni incontro vivo». Vd. anche La
struttura della persona umana, p. 69.
Percorsi di fenomenologia del diritto
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proposizioni ideali che si presentano quali autonome datità grazie al contenuto
di una intuizione immediata, a prescindere sia da ogni tipo di posizione dei soggetti che le pensano (e delle caratteristiche relative alla loro natura), sia da ogni
tipo di posizione di un oggetto cui siano riferibili»43; gli a priori, intorno ai quali
Stein costruisce la struttura fenomenologico-giuridica, sono le proposizioni ideali di cui argomenta Scheler e che vanno a confluire nella definizione di diritto puro44, distinto nettamente dal diritto puro di Kelsen45 in quanto innestato
nel rapporto umano. L’intuizione di cui discute Scheler è di natura eidetica,
detta intuizione fenomenologica, e il fenomeno, – contenuto di tale intuizione –
non coincide né con l’apparenza né con l’apparire di una realtà concreta. Attraverso l’esperienza fenomenologica si palesa infatti un quid che, mentre nel
caso dell’osservazione è graduale, qui è originario46.
In questa prospettiva, il diritto è considerato una contromisura, perché è un
diritto che compare nella sua rappresentazione di istituzione umana47: argoM. SCHELER, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, p. 74.
Ivi, p. 664.
45 La critica dei giuristi alla dottrina pura kelseniana si può riassumere con le parole di S.
SATTA, Soliloqui e colloqui di un giurista, Milano, Padova, 1968, p. 69 «La più risonante e quasi
popolare dottrina moderna del diritto, la c.d. teoria pura del diritto che fa capo a Kelsen,
giunge a mio avviso a conclusioni negative, quando riduce il diritto a un mero complesso di
norme … Il torto della dottrina … è di non essersi accorta che essa equivocava sul concetto
di valore al quale attribuiva il significato di valutazione … il valore … è intrinseco al dritto,
è proprio il suo essere diritto, e non può come tale risolversi nella mera validità formale di
una norma estrinsecamente posta»; B. ROMANO, Il riconoscimento come relazione giuridica fondamentale, Roma, 1983, p. 20 e ss.
46 Da qui il compito della filosofia che, per Scheler «non può pertanto mai esaurirsi nel costruire i contenuti della intuizione a partire dalle “sensazioni”. La filosofia deve … purificare
il più possibile tali contenuti dalle sensazioni organiche concomitanti, individuandovi in tal
modo le “vere e proprie” sensazioni; al contempo, deve enucleare quelle determinazioni dei
contenuti intuitivi che non siano contenuti dell’intuizione “pura”, ma che siano tali solo in
quanto strettamente connessi alle sensazioni organiche ed abbiano pertanto acquisito un significato di “simboli” grazie ad un eventuale cambiamento dello stato corporeo», M. SCHELER, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, p. 87.
47 Una ricerca sullo Stato, p. 150; per la derivazione dell’istituire dal diritto romano vd. P.
LEGENDRE, Il giurista artista della ragione, Torino, 2000, p. 110 e ss. per un approfondimento
ulteriore nella direzione fenomenologica vd. M. SCHELER, L’eterno nell’uomo, p. 197 «… le
scienze che trattano con determinati tipi di valori, legati a settori di beni (arte, diritto, stato,
ecc.) richiedono un’applicazione ed esercitazione particolarmente settoriali delle funzioni
43
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mento di cui discute Stein nel differenziare il diritto dalla morale, o dall’etica, e
dalla religione; il diritto promana da uno Stato legislatore che si oppone a esempi di Stati totalitari come quello nazista.
Su questa base Stein costruisce anche una specifica difesa dei diritti delle
donne attraverso lo studio della condizione femminile – come dimostra estesamente nella raccolta di saggi titolata La donna – in direzione di una sua posizione all’interno della società che, a volte a causa di scelte volontarie, altre volte per costrizione, è sempre stata ridotta a un ruolo di ‘ascolto’ o comunque di
accoglimento, modellandosi grazie alla sua capacità intuitiva come madre,
moglie, assistente, pediatra, psicologa. Lasciar parlare le cose significa, in questa accezione, incontrare l’alterità che si presenta a seconda dei casi nel marito,
nel compagno, nei figli, nella famiglia d’origine. Lo spazio di ascolto è lo spazio dell’umanità, quindi anche delle donne che a volte per intrinseca formazione sociale e culturale, altre per un arcaico retaggio formativo, non hanno
avuto diritto alla parola.
4. Il diritto e il metodo fenomenologico (un avvio)
La direzione intrapresa dalla interpretazione della fenomenologia del diritto
nell’opera di Edith Stein sottintende, come non si è mancato di dire, l’eredità
del maestro avviandosi in una diversa direzione che, sulle orme di Hedwig
Conrad-Martius, si può chiamare – come si è anticipato – fenomenologia ‘realistica’ contrapposta ad una fenomenologia ‘idealistica’48. Queste due direzioni,
fondamentali per lo sviluppo del pensiero husserliano, ma soprattutto per
quello di Stein in riferimento alla riflessione sul diritto, hanno entrambe la stessa radice fenomenologica, però il procedere ‘realistico’ concentra l’attenzione
su alcuni versanti del metodo fenomenologico. I due stadi si dividono dal loro
ceppo originario nel momento in cui cominciano – ognuno nella sua accezione
– a chiarire il concetto di Wesen (essenza) o eidos49, poiché quando la posizione
emozionali, per esempio senso di qualità nell’arte, senso di giustizia e doverosità nella
scienza del diritto, con cui i valori di questo genere si manifestano alla coscienza».
48 Cfr. AA. VV., Il realismo fenomenologico. Sulla filosofia dei circoli di Monaco e Gottinga.
49 «“Essenza” indicò anzitutto ciò che si trova nell’essere proprio di un individuo come
suo quid. Ma ogni simile quid può essere “trasposto in idea”». E. HUSSERL, Idee, p. 16 e andando oltre «L’essenza (eidos) è un oggetto di nuova specie. Come ciò che è dato nell’intuizione di
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Percorsi di fenomenologia del diritto
di Husserl assume il carattere di originarietà, rispetto all’empirismo e
all’idealismo, lo scopo fenomenologico non rappresenta più l’oggettività, ma il
modo di imprimersi di essa nella coscienza, quindi in termini diversi il continuo movimento tra il fenomeno e il soggetto. Il trascendente, proprio per questa precisazione, si differenzia dal trascendente kantiano perché sottolinea le
modalità con le quali o mediante le quali l’oggetto si fenomenizza nell’Erlebnis.
La dimensione realistica si preoccupa della seconda parte del principio husserliano, vale a dire della Sache. Gli studi evolvono in una direzione precisa nel
1923 con il lavoro di H. Conrad-Martius dal titolo Realontologie, in cui l’accento
è posto sulla realtà del dato e sulla chiarificazione che esso sia reale, quindi
l’intera questione ruota intorno alla differenza tra reale e ideale: l’ontologia del
reale si pone come obiettivo il momento attuale-reale che la porta ad effettuare
la distinzione tra io puro – il soggetto filosofante – e individuo concreto. È utile
ricordare che solo due anni dopo Stein pubblicherà la sua ricerca sullo Stato
che riconduce al concetto di ontologia regionale definita da Husserl come «le
discipline filosofiche in cui vengono sviluppate le categorie di qualsivoglia regione»50; al di sopra dell’ontologia reale si pone l’ontologia formale che «studia
le condizioni a partire dalle quali qualcosa in generale può diventare oggetto di
pensiero»51.
Seguendo questa linea speculativa del metodo fenomenologico, l’attenzione
di Edith Stein è rivolta al diritto52. Da un punto di vista politico ha fiducia, in
qualcosa di individuale o intuizione empirica è un oggetto individuale, così ciò che è dato
nell’intuizione eidetica è un’essenza pura». Id., p. 17
50 L. LANDGREBE, Itinerari della fenomenologia, p. 204 «Tuttavia – aggiunge Landgrebe –
parlare di regione acquista senso a partire dal proposito husserliano di indicare il “campo”
della fenomenologia trascendentale (regione come campo di una possibile problematica
scientifica) e di distinguerlo dai campi delle scienze non filosofiche». Id., p. 208; E. HUSSERL,
Idee, p. 29.
51 E. HUSSERL, Idee, p. 205
52 Per opera completa di Stein si intende la nota ripartizione tra opere filosofiche, opere
religiose ed opere mistiche. L’opera completa è edita in Italia da Città Nuova a cura di A.
Ales Bello; si basa sull’opera omnia tedesca che è strutturata secondo il seguente piano di edizione:
Biographische Schriften: Aus dem Leben einer jüdischen Familie und weitere autobiographische
Beiträge, Selbstbildnis in Briefen I, Selbstbildnis in Briefen II, Selbstbildnis in Briefen III: Briefen an
Roman Ingarden.
Philosophische Schriften:
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effetti, in una formazione liberale, critica le forme democratiche, ma sempre
con prudenza e con avvedutezza pragmatica53 affermando costantemente la
condizione di autonomia e specificità del diritto. Per quel che riguarda la genesi del diritto disapprova sia la teoria contrattualistica che la dottrina giusnaturalistica. Si allontana, con argomentazioni rigorose e progressive, dalla prima
poiché non considera lo Stato solo come un semplice prodotto di atti con efficacia legale. Nel caso della seconda, avvicinare il soggetto – l’individuo – attraverso un’antropologia naturalistica è da ritenersi un’operazione ormai fallita,
mentre l’antropologia che poggia sulle scienze dello spirito, e che si allontana
dalle scienze della natura, avvicina la questione del soggetto nella sua interezza per la formazione dell’umanità ravvisabile nella comunità – persona collettiva54 – base per la costruzione dello Stato di diritto.
Frühe Phänomenologie (fino al 1925) Zum Problem der Einfühlung, Beiträge zur philosophische
Begründung der Psychologie und der Gesteswissenschaften, Eine Untersuchung über den Staat, Einführung in die Philosophie;
(1926-1936) Beiträge zu Phänomenologie und Ontologie, Potenz und Akt, Endliches und ewiges Sein
I, Endliches und ewiges Sein II ;
Schriften zu Antropologie und Pädagogik: Die Frau, Der Aufbau der menschlichen Person Theologische Anthropologie. Vorlesungen und Notizen, Bildung und Entfaltung der Individualität;
Schriften zu Mystik und Spiritualität:
Phänomenologie und Mystik Wege der Gotteserkenntnis, Kreuzewissenschaft. Studie über Johannes vom Kreuz;
Spiritualität und Meditation Geistliche Texte I, Geistliche Texte II;
Überzetzungen: J. H. Newman, Die Idee der Universität, J. H. Newman, Briefe und Texte zur ersten Lebenshälfte (1801-1846), Thomas von Aquin, De Veritate I, Thomas von Aquin, De Veritate 2
und weitere Übersetzungen. A proposito di questa ultima opera è utile ricordare di M. HEIDEGGER, Geschichte der Philosophie von Thomas von Aquin bis Kant, vol. 23, F. a. M., 2006, pp.
41-100, lezioni tenute nel semestre 1926/27 nell’università di Marburgo.
53 Il 30 novembre 1918 Stein scrive una lettera ad Ingarden comunicandogli il suo pieno
interesse per la politica e l’adesione al Partito Democratico Tedesco. Si occupa a tempo pieno
per convincere le donna a votare, infatti nel 1919 le donne ottengono il diritto al voto attivo
e passivo per l’Assemblea Nazionale. La noia per la politica è comunicata in una lettera successiva (27 dicembre 1918) sempre allo stesso Ingarden. Vd. anche H.-B. GERL, Edith Stein,
pp.61 e ss.
54 La struttura della persona umana, p. 61; M. SCHELER, L’eterno nell’uomo, p. 188, ma la posizione speculativa di Scheler riguardo alla struttura della comunità è molto chiara in Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, p. 649 quando discutendo del concetto di persona
sottolinea la definisce come «l’unità di persone singole, autonome, spirituali, individuali articolan-
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Percorsi di fenomenologia del diritto
Per delineare fenomenologicamente le teorie sullo Stato di diritto e la loro influenza sulle procedure deputate a realizzare l’istituzione giuridica e la struttura statale, adotta come avvio l’opera di Platone che esprime – a suo dire –
«l’esempio tipico di una dottrina dello Stato che vorrebbe esercitare
un’influenza sulla realtà attraverso una proposta ideale»55. Realtà e dimensione
ideale, sono questi fenomenologicamente gli spazi transitori steiniani. Nella discussione su un’ipotesi di struttura e compagine statale non tralascia di considerare la divisione platonica in classi anche se le sue argomentazioni risentono
della situazione germanica dell’epoca, influenzata dall’amministrazione prussiana56. Da Aristotele elabora, invece, la spinta autarchica che si armonizza con
la sfera economica e culturale.
Riprendendo le considerazioni critiche sulla teoria contrattualistica, Stein fa
riferimento alla sfera dei dominati e dei dominanti sostenendo che secondo
queste teorie lo Stato risulta da «un contratto fra dominanti e dominati»57. Già
la scelta terminologica prelude ad una critica che nella selezione delle parole fa
comparire il giudizio negativo nei confronti di un diritto inteso quale prodotto
di un compromesso. Lo stesso atteggiamento lo assume nei confronti della dottrina giusnaturalistica strettamente collegata alla teoria contrattualistica.
Nell’affermazione dello Stato come coacervo di individui isolati58, Stein introduce la teoria dei diritti dell’uomo e del cittadino fatti valere contro uno Stato
tesi “in” una persona collettiva, autonoma, spirituale, individuale …». Cfr. in antitesi la posizione
di D. HUME, Ricerca sui principi della morale, Roma-Bari, 1997. Per l’attualità della ricerca sulla
comunità cfr. anche J. L. NANCY, Essere singolare plurale, Torino, 2001.
55 Una ricerca sullo Stato, p. 131.
56 Nell’osservare i rapporti internazionali tra Inghilterra, Stati Uniti, Europa Centroorientale e Europa Meridionale ci si avvede che per la Prussia, per l’Austria e per altri Stati
tedeschi e in seguito per la Germania imperiale è particolarmente importante costruire e
formare una burocrazia efficiente, influente e rispettata. Infatti, le energie per giungere ad
un risultato in questa direzione vengono programmate ed investite prima della realizzazione dei processi di industrializzazione, parlamentarizzazione e democratizzazione. Se ne può
dedurre allora che l’efficiente macchina burocratica in Germania è un risultato degli investimenti del XVIII secolo, talmente solida da sopravvivere ai successivi mutamenti della società tedesca. J. KOCKA, Industrial Culture and Bourgeois Society: Business, Labor and Bureaucracy in Modern Germany, New York, 1999, p. 199.
57 Una ricerca sullo Stato, p. 131.
58 La struttura della persona umana, p. 189 ss.
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decadente che a grandi passi si avvicina – nella contingenza storica – alla tragedia dell’Olocausto59.
Proprio nella disamina del concetto di giuridicità, affronta le questioni sul significato di diritto per meglio esplicitare il ‘giuridico’ nelle sue diverse accezioni:
«Come possessore di beni ho il diritto di usarli a mio piacimento. Questo diritto, che mi
appartiene, non è né uno stato-di-cose in se stesso, come quei “diritti” i quali nella loro globalità costituiscono il contenuto del diritto puro, né è una disposizione vigente, del tipo di
quelle che fondano il diritto positivo».
Con il tentativo di definire il diritto afferma che, a proposito del senso del
termine ‘diritto’, oltre ai due significati di diritto puro e diritto positivo, vi è –
come è noto – una terza interpretazione, quella di diritto soggettivo, proprio
perché l’essenzialità di questo diritto è costituito dalla sua appartenenza ad un
soggetto, ed è inoltre strettamente collegato al diritto oggettivo
«cioè – continua Stein – a uno stato-di-cose del diritto puro o della disposizione di un diritto positivo e inoltre che appartiene a quelle oggettualità specifiche del diritto, costituenti il
materiale sia per stati puri del diritto che per disposizioni del diritto positivo. Si è parlato di
“diritti umani naturali”; questo può significare solo che è giusto a priori che l’essere umano
goda di determinati diritti soggettivi»60.
Da queste prime espressioni non si può omettere la lettura dell’opera di Reinach. Infatti, per quanto riguarda lo specifico dell’espressione diritto è rilevante sottolineare la sua influenza: la questione si innesta nel rapporto tra cosa e
proprietario, ma questa relazione non si può ancora definire in senso stretto diritto, per un ordine di argomenti che risiede semplicemente nel fatto che si tratta di una banale relazione tra un oggetto e un soggetto61. Infatti,
Per la letteratura specifica cfr. tra l’altro O. BARTOV, L’esercito di Hitler: soldati, nazisti e
guerra nel Terzo Reich, Milano, 1996; R. HILDBERG, La distruzione degli ebrei d’Europa, Torino,
1995; R. J. LIFTEN, I medici nazisti: lo sterminio sotto l’egida della medicina e la psicologia del genocidio, Milano, 1988.
60 Una ricerca sullo Stato, p. 76.
61 A. REINACH, Zur Phänomenologie des Rechts. Die apriorischen Grundlagen des bürgerlichen
Rechts, p. 91 «wir bezeichnen das Gewaltverhältnis, in dem eine Person zu einer Sache ste59
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Percorsi di fenomenologia del diritto
nell’espressione appena citata vi sono delle precisazioni: la distinzione tra diritto puro e diritto positivo e la qualificazione di diritto soggettivo.
L’espressione di Reinach prelude innanzitutto alla differenza tra un diritto e
una relazione di fatto che permette al diritto di esprimere proprio la sua dimensione controfattuale, tesa a negare il semplice possesso fattivo privo di rilevanza giuridica, con diramazioni nel diritto puro. Nella direzione di Stein,
stabilire a priori e tentare di precisare la soggettività giuridica, a prescindere dal
diritto vigente, significa che il soggetto è capace di atti, ma la differenza tra
quando questi atti appartengono alla sfera del diritto e quando non vi appartengono si manifesta in presenza di un diritto vigente; il soggetto è in diritto di
compiere gli atti che intende compiere nel rispetto dell’a priori posto nel diritto
puro. Ne deriva così che l’uomo, proprio nella sua qualità di soggetto di diritto, è titolare di diritti incondizionati; le forme storiche del diritto – diritto vigente – sono date dalla funzione della legalità, dalla produzione normativa (asse essenziale), in una parola, da ciò che nell’opera di Stein è definito ‘istituzione’. Quindi, la persona, o il soggetto giuridico, attraverso il diritto attualizza
una sua dignità, entrando di conseguenza nella dimensione oggettiva del diritto che le attribuisce una “realtà giuridica”.
Stein si interroga sulla struttura del detentore dei diritti soggettivi, cioè sul significato proprio di questa espressione; sono detentori singole persone o persone fisiche, associazioni di persone e rappresentanti62. La via per arrivare a
qualificare i soggetti detentori di un diritto positivo è data sia dalle riflessioni
sulla struttura della persona che, richiamando Reinach, dalla relazione con la
proprietà63; il diritto positivo tutela la relazione tra il soggetto e la cosa, non istituisce dunque la proprietà. Sembra che attraverso queste parole si possa
giungere ad una inversione rispetto ad una possibile giustificazione della realtà
attraverso gli strumenti giuridici, che richiama l’attenzione sulla produzione
delle norme; sono dati, non solo in questo modo, degli a priori del diritto che
orientano il diritto vigente.
A prescindere dall’istituto della rappresentanza dei diritti che viene, tra
l’altro, accuratamente analizzato, ciò che qui interessa è la detenzione reale di
hen kann … als Besitz» e, proseguendo, «dieser Besitz ist offenbar kein Recht, sondern ein
tatsächliches Verhältnis, wenn man will, eine Tatsache».
62 ID., p. 139 ss.
63 ID., id., p. 93 «es ist nicht so, wie allgemein behauptet: Daβ etwas Eigentum ist, weil
das positive Recht es schütz. Sondern das positive Recht schütz es, weil es Eigentum ist».
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un diritto positivo. Nel caso della rappresentanza dello Stato questa non può
andare al di là di atti che non siano di specifica pertinenza dello Stato, quindi
di atti che esulino dalla competenza statale. La casistica degli esempi è ampia,
ma quella del perdono è esemplare: perdonare un criminale in nome dello Stato è considerato di per sé da Stein un atto insensato, mentre nella sua versione
legale, cioè la concessione di amnistie, rappresenta in sé un atto ragionevole,
giuridico oltre che legale perché viene a collocarsi nell’ambito della ripresa
dell’identità del soggetto giuridico, nel quadro della struttura della persona
umana e del diritto puro. Peraltro a queste considerazioni sul perdono giuridico corrisponde l’altra faccia rappresentata dall’eventuale stato di pentimento
del soggetto64. Nella rappresentanza si palesa peraltro la questione della conformità o della difformità dell’atto rispetto al rappresentato, perché l’atto difforme non può considerarsi proveniente dal rappresentato stesso e quindi
strutturato secondo l’intenzione di questi.
In una sua lettera a Pio XI è riportato un passaggio sulla considerazione che
uno Stato, quello appunto nazista, abusi del concetto di sovranità statale, di
cristianità e di rappresentanza a fini propagandistici, con l’intento di programmare delitti contro l’umanità, raffigurando così un diritto, e di conseguenza uno Stato di diritto, che contrasta con gli a priori del diritto puro. Si
tratta di un documento storico che illumina, pur nella sua brevità, l’essenza fenomenologica del diritto e la responsabilità di chi si fa promotore di uno Stato
criminale. Secondo questa linea, lo Stato nazista – implicitamente ed esplicitamente denunciato da Stein – è uno Stato che va contro il diritto perché «priva le
persone della possibilità di svolgere attività economiche, della dignità di cittadini e della patria»65. La lettera, dopo le consuete clausole di apertura al Santo
Padre, denuncia esplicitamente ciò che di controgiuridico accade: «da settimane siamo spettatori, in Germania, di avvenimenti che comportano un totale disprezzo della giustizia e dell’umanità, per non parlare dell’amore del prossimo»66.
In questo caso, il disprezzo della giustizia è prodotto e realizzato da uno Stato
fine a se stesso, la finalità rappresenta, come precisa la stessa Stein, l’idolatria
M. SCHELER, L’eterno nell’uomo, p. 140.
Dalla lettera di E. Stein a Pio XI, in AA. VV., Edith Stein e il nazismo, Roma, 2005, p. 104.
Si tratta dell’enciclica Mit brennender Sorge (1937) di Pio XII.
66 Una ricerca sullo Stato, p. 104.
64
65
Percorsi di fenomenologia del diritto
30
della razza, quindi un’ideologia biologica, una riproducibilità genetica sulla
base di una selezione naturale che mira alla perfezione67.
5. La giuridicità: diritto puro e diritto positivo (Reinach e Stein: differenze e sintonie)
Nella costruzione della compagine dello Stato di diritto, che nell’opera di
Stein acquista progressivamente una sua morfologia, di fronte all’ipotesi del
diritto positivo, di conseguenza rispetto all’affermazione pratica del diritto puro, si ipotizza un’idea di diritto. Il diritto è posto innanzitutto davanti ad una
biforcazione discorsiva: si discute di diritto positivo – scrive Stein – nel momento in cui ci si trova di fronte a «“pure” relazioni di diritto», questo significa
che il diritto positivo necessita di una dimensione non posta, quindi ideale. Il
richiamo alla purezza delle relazioni giuridiche rievoca le questioni discusse ed
argomentate da Reinach attraverso il contenuto della promessa68, origine e genesi del diritto, ma anche ai successivi dibattiti sulla purezza del diritto in direzione kelseniana. Stein è legata speculativamente a Reinach proprio dalla
metafora contrattuale della promessa, come luogo della genesi del diritto. Accanto alla purezza del diritto, considerato una tipologia ideale, ve n’è un’altra
altrettanto rilevante indicata dalla normatività, dal diritto positivo69. Distinguere diritto puro e diritto vigente significa affermare che il diritto puro, l’ideale di
diritto, è tale presso ogni cultura, presso ogni popolo e in qualsiasi epoca. Le
A questo Stein contrappone la scienza dello spirito empirica poiché «quando non solo
le caratteristiche esteriori sono segni di appartenenza, quando un legame vivo lega un
membro alla totalità, allora si può parlare di comunità e così, di norma, ci si imbatte anche in
un atteggiamento valutativo degli individui nei confronti della totalità, della quale sanno di
essere membri». La struttura della persona umana, p. 61. Cfr. anche P. LEGENDRE, Le Crime du
caporal Lortie, Paris, 1989, passim.
68 M. SCHELER, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, p. 647 «Il dovere di mantenere gli impegni reciproci fissati nel contratto … non si fonda a sua volta sul contratto di attenersi ai contratti, ma sull’obbligazione solidale dei membri di una comunità a realizzare i
contenuti del dover essere». D. VON HILDEBRAND, Essenza dell’amore, Milano, 2004, p. 161; a
proposito dei caratteri della promessa vd. anche F. OST, Le temps du droit, Paris, 1999, p. 34
discusso da B. ROMANO, Scienza giuridica senza giurista, Torino, 2006, p. 61.
69 M. A. CATTANEO, Diritto puro e diritto positivo nel pensiero di Edith Stein, in “Critica del
diritto”, n. 1-2-3, 2004, p. 233 e ss.
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sue caratteristiche sono quelle dell’eternità e del suo essere imperituro. D’altro
canto, il diritto positivo ha una storia fattuale data dalla sua vigenza resa concreta mediante «atti arbitrari»70 che lo pongono (positum), quindi può essere variabile nel senso che può assumere molteplici espressioni. In entrambi i casi però – sia nel caso del diritto vigente che del diritto puro – si è soliti usare la stessa denominazione ‘diritto’. In un crescendo argomentativo, Stein se ne chiede
la motivazione, sino ad arrivare a precisare in modo espresso, procedendo anche per analogia che «la scienza del diritto positivo verifica quale era od è il diritto valido per questo o per quel popolo. L’ontologia del diritto – o, come abbiamo anche detto in contrasto con le scienze empiriche, la scienza apriorica
del diritto – ricerca che cosa è il diritto in generale». Ma questo non basta per
motivare la distinzione tra diritto puro (a priori del diritto) e diritto positivo
(praxis del diritto), non è sufficiente per discutere in modo appropriato le modalità e gli interrogativi del diritto puro come misura esistenziale, ratio del diritto positivo. Il lavoro fenomenologico che mette a confronto diritto puro e diritto vigente richiama metaforicamente anche la distinzione tra filosofia del
linguaggio e scienza comparata del linguaggio: «la filosofia indaga quali forme
di linguaggio si presentano nella lingua tedesca, francese, inglese e così via,
mentre la scienza comparata del linguaggio quali forme siano comuni, rifacendosi all’esperienza, alle diverse lingue conosciute»71; quindi per estensione la
prima è interessata alla particolarità, la seconda alla generalità, così, nel caso
della filosofia del diritto e della teoria generale del diritto. La prima interessata
al quid ius la seconda al quid iuris, dove lo ius è sostituto della legalità, del reale.
Nel caso del diritto puro, oggetto della filosofia del diritto72, e del diritto positivo tema della teoria generale del diritto, il primo indaga sulla possibilità di
forme comuni e sulle loro motivazioni, il secondo sulle forme generali ma non
sulla loro motivazione.
Per addentrarsi nella questione che vede contrapposte le due dimensioni del
diritto, vale a dire quella ideale e quella posita, l’indagine fenomenologica deve
innanzitutto accertarsi a chi appartiene la funzione di istituire il diritto positivo, cioè di produrre ed emanare le norme. La riflessione di Stein si muove colUna ricerca sullo Stato, p. 49.
Introduzione alla filosofia, p. 39; importante tutta la questione husserliana riguardante
l’ontologia formale: «Il compito di quella scienza che Husserl ha chiamato ontologia formale è
appunto di definire le forme dell’ente», Essere finito e essere eterno, p. 309.
72 Le differenze specifiche tra filosofia del diritto e teoria generale del diritto in B. ROMANO, Scienza giuridica senza giurista, p. 187 e ss.
70
71
Percorsi di fenomenologia del diritto
32
locando il diritto positivo in uno Stato strutturato secondo le forme della convivenza comunitaria73 che rappresentano una struttura a diversi livelli, basata
sui rapporti intersoggettivi mediati dall’atto empatico. Allo Stato appartiene
l’attività legislativa attraverso la quale rinnova, mette in scena ogni volta, la
differenza tra diritto puro e diritto positivo. Come è stato esplicitato, l’apparato
steiniano trova soprattutto in Reinach, oltre che in Scheler, un valido ispiratore
delle sue tesi, infatti le analisi sul diritto riprendono in modo più ampio e approfondito le argomentazioni sulla promessa. Secondo i due studiosi la promessa è fautrice – nell’ambito del diritto puro – di una pretesa e quindi di un
diritto da parte di chi la riceve a far valere proprio quella promessa74, è una
struttura che richiama la metafora contrattuale.
Nella prassi, la figura della promessa si presenta come strutturalmente complessa ed articolata. Affermare che la promessa è fonte di diritto presenta non
poche questioni di ordine teoretico. Reinach, soffermandosi sullo schema promissorio, esplicita che produce situazioni di pretesa ed obbligazione; detto in
altro modo la promessa produce delle situazioni, ma la sua definizione è qualcosa di più complesso rispetto a ciò che essa stessa produce e alla forma che
può assumere. La promessa, definita atto sociale75, impone di chiarire le defini-
Da sempre vi è un interesse dei filosofi del diritto per il concetto di comunità come
luogo di genesi del diritto vd. in part. F. M. DE SANCTIS, Enciclopedia del novecento, suppl. III,
2004, p.223 e ss. alla voce ‘comunità’; R. ESPOSITO, Communitas. Origine e destino della comunità, Milano, 2006.
74 L’influenza è chiaramente dovuta agli scritti di Reinach sul concetto di promessa e sulla critica che fa alle teorie di Hume e di Lipps; A. REINACH, id., p. 64 e ss. «Absolute Rechte
und Verbindlichkeiten können niemals aus Versprechungen entspringen, da allen durch diese
erzeugten rechtlichen Gebilden eine Relativität wesenhaft zukommt». A. REINACH, id., p.
112.
75 Secondo Scheler gli atti sociali possono definirsi tali solo in seno alla comunità. A. REINACH, id., p. 37 e ss. «Wir haben das Versprechen als sozialen Ak bestimmt und haben seine
ihm eigentümlichen Voraussetzungen und Wirkungen dargelegt», A. REINACH, id., p. 110.
Promessa e concessione, permesso e trasferimento, rinuncia e revoca, destinazione congiunta e singola, rappresentanza ed esecuzione individuale, condizionatezza ed incondizionatezza sono solo alcuni tra gli atti sociali, menzionati da Reinach; per gli atti sociali in Stein La
struttura della persona umana, p. 188 e ss. Vd. anche A. REINACH, Nichtsoziale und soziale Akte,
in Saemtliche Werke, Textkritische Ausgabe 1 Werke, München Hamden Wien, 1989, p. 355
e ss.
73
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33
zioni di promessa e di atto sociale. Nella tipologia degli atti sociali76 si può individuare, per la funzione che ricopre nella genesi del diritto, la struttura della
promessa che potrebbe essere considerata una dichiarazione di volontà (Willenserklärung) oppure la rappresentazione concreta, pratica dell’intenzione di
fare od omettere di fare un quid che è direzionato all’alterità che viene resa partecipe di questa intenzione77; d’altra parte però l’intenzione non può rappresentarsi come quella ragione sufficiente in grado di produrre qualcosa e non
può corrispondere alla realtà la questione della promessa che si riduce a una
pura manifestazione della volontà78; con lo schema promissorio si intende manifestare qualcosa che non può essere tale da non apparire, quindi tale da rimanere nascosto come atto interiore, anzi la promessa è esteriorizzazione di un
atto che diventa sociale all’interno della comunità. Fatte queste premesse, è utile anche sottolineare che nel nucleo della definizione di promessa si incentra la
discussione relativa agli atti sociali che rappresentano il cosiddetto nocciolo
duro del diritto; in effetti, è necessaria sì l’intenzionalità dell’io ma anche
un’attività dell’io da contrapporre ad una sua passività. La passività e l’attività
dell’io costituiscono la linea di demarcazione tra varie situazioni: l’io è passivo
quando vive in situazioni come la contentezza, la tristezza, l’entusiasmo,
l’indignazione, il desiderio, il proposito che sono definiti atti spontanei in
quanto è la spontaneità a puntare sull’attività interiore dell’io. Infatti, la caratteristica precipua di tali atti è la loro intenzionalità79, unita alla loro spontanei-
Cfr. G. CARCATERRA, Del potere giuridico, in Ontologia sociale, potere deontico e regole costitutive (a cura di P. Di Lucia), Macerata, 2004.
77 A. REINACH, id., p. 35 «Die gemeinübliche Antwort darauf lautet: Das Versprechen ist
eine Willenserklärung; spezieller, es ist die Äusserung oder Kundgabe der Absicht, im Interesse eines anderen, dem gegenüber die Äusserung geschieht, etwas zu tun oder zu unterlassen». M. SCHELER, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, p. 647: «Nel carattere di
obbligatorietà del „promettere“ inteso quale atto costitutivo del volere e quale dover-essere
ideale della „promessa“, il (primo) „dovere“ non si fonda a sua volta su altri atti del promettere (ad esempio, sulla promessa di mantenere le proprie promesse), ma sulla fedeltà morale
radicata in quanto tale sul principio normativo …». Promettere significa in questa accezione
riprendere il rapporto umano.
78 A. REINACH, id., p. 37«keineswegs ist das Versprechen nichts weiter als schlichte
Kundgabe eines Willensentschlusses».
79 «L’intenzionalità è ciò che caratterizza la coscienza in senso pregnante e consente nello
stesso tempo di indicare l’intera corrente dei vissuti come corrente di coscienza e come unità
di un’unica coscienza», E. HUSSERL, Idee, p. 209.
76
34
Percorsi di fenomenologia del diritto
tà. Ne deriva allora che il semplice fare dell’io può essere definito un atto spontaneo: la preferenza, il perdono, l’elogio, il biasimo, l’affermazione, la domanda, il comando sono atti spontanei. Anche nel caso del comando80 e della richiesta la caratteristica è la spontaneità dell’atto e la sua esternazione; essi infatti non trovano un loro riscontro reale se rimangono a livello interiore81, la loro peculiarità consiste nell’essere diretti ad un destinatario, altrimenti risulterebbero inefficaci, quindi la struttura del comando è tale che necessita di una
percezione diretta al destinatario82. In sintesi, gli atti spontanei per tradursi in
realtà devono essere percepiti, devono avere un ricevente, solo in tal caso possono essere definiti atti sociali: la socialità dell’atto dipende dunque dalla sua
ricezione e dal punto di vista fenomenologico dalla qualità della relazione che
li pone in essere. L’attività dell’atto spontaneo è legata al suo soggetto-autore e
al suo ricevente-destinatario. La struttura appena delineata appartiene anche
all’empatia, in quanto atto sociale sotteso alla nascita della comunità.
Dopo aver chiarito cosa si intende per socialità degli atti, il passo successivo è
quello di isolare atti quali la richiesta e il comando; Reinach afferma che va fatta una differenza tra questi e gli altri atti sociali poiché è la stessa modalità espressa nella parola che può renderlo differente83. In particolare, il comando,
come atto sociale, ha caratteristiche ben definite: un fare del soggetto, la spontaneità, l’intenzionalità e la destinazione.
Le caratteristiche descritte appartengono per analogia anche alla promessa,
nella sua qualità di atto sociale. Essa è infatti un motivo che dà origine a una
pretesa ed a un’obbligazione84; la promessa produce i due effetti menzionati in
quanto atto sociale, ma proprio come atto sociale può imporsi in forme che
Reinach definisce confuse e inautentiche85; solo attraverso la percezione, vale a
80 «Ein Befehl ist weder eine rein äusserliche Hndlung, noch ist er ein rein innerliches Erlebnis, noch ist er die kundgebende Äusserung eines solche Erlebnisses… Vielmehr ist das
Befehlen ein Erlebnis eigener Art, ein Tun des Subjektes, dem neben siener Spontaneität, seiner Intentionalität und Fremdpersonalität die Vernehmungsbedürftigkeit wesentlich ist», A. REINACH, id., p. 40.
81 A. REINACH, id., p. 38«kann sich offenbar nicht rein innerlich vollziehen».
82 ID., p. 39 «der Befehl ist seinem Wesen vernehmungsbedürftig».
83 ID., pp. 42-43«dieselbe Worte können Ausdruck eines Befehl und einer Bitte sein; nur
in der Art des Sprechens, in Betonung, Schärfe und ähnlichen schwer fixierbaren Faktoren
prägt sich der Unterschied aus».
84 ID., p. 33 «ein “Grund”, der Anspruch und Verbindlichkeit erzeugen kann».
85 ID., p. 53.
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dire la manifestazione reale dell’atto del promettere, scaturisce sia la pretesa
che l’obbligazione86. Con un’argomentazione progressiva se ne deduce che il
diritto che scaturisce dalla promessa – secondo l’orientamento del diritto puro
– può essere fatto valere anche dal diritto positivo; la promessa garantisce che
il diritto puro venga codificato da quello positivo, quindi la promessa è garanzia che il diritto puro venga formalizzato attraverso il diritto positivo con contenuti ‘giusti’ da opporre a quelli ‘ingiusti’87. Come è noto la questione della
promessa come luogo della genesi dello Stato di diritto pone degli interrogativi
laddove può accadere che il diritto positivo (←promessa) si faccia garante di
diritti non condivisibili con il diritto puro; in parole diverse, che realizzi la legalità contrapponendola al concetto di ‘giusto’. È necessario allora utilizzare lo
strumentario fenomenologico di Stein che, per rafforzare il concetto di a priori
nella promessa, riporta come esempio la fattispecie normativa in cui è previsto
che un padre possa godere dei beni dei figli solo se lo preveda una legge: la
conclusione è che ogni diritto soggettivo presuppone un atto legale efficace,
mediante il quale è posto, infatti la scarna fattualità non è sufficiente per ritenerlo giusto. Come nel caso del padre che gode dei beni del figlio in quanto vi
è una legge che lo permette, così nella fattispecie promissoria l’atto presupposto è quello del promettere; per aversi una promessa è necessario che qualcuno
prometta a qualcun altro. La base della promessa è un’interazione tra più uomini che si promettono reciprocamente, guidati dall’atto empatico, nell’ambito
di una forma di convivenza che Stein ravvisa nella comunità e in direzione
dell’esclusione di contenuti ‘ingiusti’. Nella prospettiva fenomenologia
l’interazione ‘giuridica’ è garantita dalla comunità (Gemeinschaft) costruita attraverso l’atto sociale empatico, attraversato dal mondo dei valori a matrice
scheleriana.
Sulla base delle riflessioni proposte, la differenza tra diritto puro e diritto positivo non è una distinzione che permane in una divisione semplificata tra ideale e reale, ma costituisce una differenziazione fenomenologica che può dar luoID., p.60 «mit der Kenntinsnahme des Versprechen entstehen – streng gleichzeitig –
Anspruch und Verblindlichkeit».
87 Una ricerca sullo Stato, p. 153 «Lo Stato deve, per quanto è possibile, realizzare valori
oppure collaborare alla realizzazione di valori. In primo luogo attira la nostra attenzione un
valore, la cui realizzazione è affidata ad esso, cioè la giustizia. In questo senso si richiede che
il suo diritto sia un “diritto giusto”»; per un approfindimento del ‘giusto’ e dell’‘ingiusto’
nella direzione fenomenologica B. ROMANO, Il riconoscimento come relazione giuridica fondamentale, p. 21.
86
Percorsi di fenomenologia del diritto
36
go ad ambiguità ed equivoci, è direzionata all’oggetto – ossia al contenuto, che
non significa forma – delle fattispecie giuridiche (del diritto). Per apprendere il
senso giuridico bisogna allora comprendere la forma del diritto; la struttura del
diritto puro è analoga a quella del diritto positivo88, ma forma e contenuto possono anche divergere. Questo significa porre un a priori che rappresenta proprio la struttura giuridica che potrebbe determinare sia il contenuto del diritto
che il suo oggetto.
Nella struttura del diritto inteso come ordinamento giuridico, la validità del
diritto viene qualificata come il riconoscimento del diritto a creare norme di
condotta destinate alle persone, tale validità scinde il diritto puro dal diritto
positivo89. Infatti, il diritto positivo indica sempre uno spazio temporale, un inizio, una fine – in sintesi una durata – e il concetto di validità sotteso ad esso;
secondo Stein sia nel caso del diritto puro che nel caso del diritto positivo si discute di un’essenza, e in questo si pone la questione se i due siano da riferire
allo stesso oggetto-contenuto.
L’aspetto della realizzazione del diritto puro da parte del diritto vigente è necessario affinché il binomio pretesa-aspettativa sia realizzato, cioè che la pretesa venga «soddisfatta»90. Il significato di soddisfazione è intrinseco alla stessa
pretesa che, a sua volta, può essere anche in relazione ad un contenuto – diritto
puro, norme etiche. E questo a partire dalla struttura della realizzazione del diritto secondo lo schema pretesa→aspettativa→soddisfazione.
La questione del diritto vigente riconduce all’interrogativo sull’autore del diritto, la persona che – secondo il lessico steiniano – permette la realizzazione
delle norme. A partire da questa si articola la morfologia del diritto91. Le con-
La questione della forma è una delle tematiche legate al pensiero di Stein soprattutto a
partire dalle riflessioni di alcune opere «Questa priorità della forma sulla materia si manifesta nel fatto che la forma permane, nonostante il “mutamento di materia”. L’essere della forma
è la vita, e la vita è la struttura della materia nei tre gradi; trasformazione delle materie costitutive,
conservazione e riproduzione», Essere finito e essere eterno, p. 299.
89 M. SCHELER, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, p. 663.
90 Una ricerca sullo Stato, p. 49.
91 Fa parte della concezione della dottrina a priori del diritto infatti Reinach precisa che
«es doch innerhalb der apriorischen Rechtslehre gilt, dass nicht der Wille, sondern die Person Macht hat, und dass diese fernet ihre Macht nicht durch ihr Wollen, sondern durch soziale Akte realisiert, und dass schliesslich die in sozialen Akten sich realisiriende Macht der
Person keineswegs identisch ist mit ihrer Berechtigung, sondern nur einer gewissen Art von
Rechten – wie dem Recht auf Widerruf – immanent». A. REINACH, id., p. 111.
88
Luisa Avitabile
37
dizioni per la attuazione del diritto positivo sono due: un soggetto che abbia il
potere di renderlo vigente e una pluralità di persone alle quali il diritto sia destinato e che lo riconoscano per renderlo appunto positum, quindi da una parte
l’autore, dall’altra i destinatari delle norme. Si immette qui la questione relativa
a quali diritti debbano essere riconosciuti, tra questi ha una priorità assoluta il
diritto di legiferare, vale a dire di emanare le leggi che però è garanzia di giustizia solo nel momento in cui è connotato dalla terzietà92. Chi emana le leggi
deve essere dotato di autorità e di potere, quindi la persona destinata ad emanare leggi è «una potenza statale sovrana, e la sfera di autorità e la potenza statale che ella “governa” è uno Stato»93, rientrano in questa affermazione alcuni elementi che fungeranno da coordinate di questo lavoro.
92
93
Una ricerca sullo Stato, p. 139.
Una ricerca sullo Stato, p. 50.
Percorsi di fenomenologia del diritto
38
6. La struttura della persona, verso la costituzione dello Stato di diritto94
Riprendendo l’espressione steiniana del diritto incentrato sul concetto di persona95, ne deriva che la persona è fonte del diritto vigente, perché l’atto di
promulgare le leggi rinvia istituzionalmente al soggetto-legislatore in quanto
persona. La persona del legislatore concentra su di sé diritti e doveri che non
appartengono alla sua mera funzione ma alla terzietà di legiferare – alla statalità. La struttura dello Stato coinvolge il nucleo costituito dalla comunità di persone ed è impegnata anche a che non ci siano ragioni per venir meno alla promessa che i soggetti si sono scambiati tant’è che ad esempio la norma «l’alto
94
In questa fase dello studio può essere proposto il seguente schema riassuntivo:
a priori (Scheler) e mondo dei valori
↓↑
Comunità di popolo
rapporti intersoggettivi (empatia)
promessa
↓↑
io puro
soggetto concreto
↓
forma di governo
↓
Stato sovrano
legislatore-terzo
comandi
disposizioni
M. SCHELER, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, p. 637 «La persona collettiva o associativa non si compone unicamente di persone singole, come se la loro somma costituisse il presupposto; non è nemmeno la risultante d’un mero rapporto d’interazione tra
persone singole, né è, sul pano soggettivo e gnoseologico, il risultato d’una sintesi operata
grazie ad un’arbitraria raccolta. Essa è una realtà direttamente vissuta, non un’entità artificiosa, pur essendo un punto di riferimento per ogni tipo di entità artificiali». Vd. anche P. L.
LANDSBERG, Persona, verità e agire storico, in id., Scritti filosofici, Cinisello Balsamo, 2004, p. 387
e ss.
95
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39
tradimento è punito con la morte» risponde a una serie di interrogativi sulla
pura teoria di una simile affermazione, il che riguarda appunto le persone che
dovrebbero essere garanti del diritto. Si tratta in effetti di una formula in relazione non ad un fatto specifico; nel diritto vigente la giuridicità non è considerata in rapporto ad una prospettiva teorica, quindi il riconoscimento di una
norma non segnala la sua «approvazione teorica»96, perché riconoscere una
norma posta significa sottoporsi alla sua validità e quindi alla volontà del legislatore, non discutere se essa sia giusta, ingiusta, vera o falsa. Differenziare il
diritto positivo dal diritto puro implica allora anche la distinzione tra disposizione legale e sua motivazione teorica.
La persona97 – le persone – è la condizione imprescindibile per procedere da
un’idea di diritto ad una sua reale attuazione e realizzazione attraverso la codificazione dello ius positum.
Si può cominciare a chiarire la struttura della persona. Il concetto di persona
non è legato a ragioni di nascita quindi a semplici procedure di riproduzione,
ma per un rapporto considerato filiativo, infatti lo stesso vivere non si identifica con l’esistenza della persona; nella sua accezione di persona, l’uomo trascende la propria natura biologica e la propria animalità per proporsi diversamente nell’interpretazione e nell’elaborazione della storia, del capitale simbolico e nell’istituzione del diritto attraverso la costituzione della comunità. L’idea
della persona e della comunità nasce e viene coltivata nell’opera di Edith Stein
grazie alle sua frequentazioni con il circolo dei fenomenologi e in virtù di sollecitazioni speculativamente determinanti come quelle di Max Scheler98. Alla base dello sviluppo e dell’istituzione del diritto e della comunità vi è il rapporto
intersoggettivo specificato dal riconoscimento degli esseri tra di loro in qualità
di persone, il che significa emancipazione dal rapporto naturale biologico. Nel
momento in cui l’uomo elabora la dimensione della forza, evidenzia la sua intenzionalità che lo differenzia nel sue caratteristiche di soggetto. È noto che
l’individuazione specifica della persona viene fatta risalire a Boezio99. In questa
sede sembra inappropriato arrivare a definire una storia della persona, però
Una ricerca sullo Stato, p. 51.
Per un approfondimento sull’attualità del concetto di persona D. PARFIT, Ragioni e persone, Milano, 1989. Per il concetto di persona in E. Stein vd. C. BETTINELLI, Identità di genere e
cultura delle libertà in AA.VV., Vite attive. Simone Weil, Edith Stein, Hannah Arendt, Roma,
1997, p. 44 e ss.
98 M. SCHELER, L’eterno nell’uomo, p. 180
99 BOEZIO, La consolazione della filosofia, Milano, 1996, p. 324 ss.
96
97
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Percorsi di fenomenologia del diritto
appare utile ricordare ad esempio la direzione dell’opera di M. Buber – la differenza, certo non implicita, tra persona intesa come ‘tu’ e persona intesa come
‘esso’ o come si direbbe, al di fuori de Il principio dialogico, tra qualcosa e qualcuno100.
Per la questione del giuridico e, quindi, della rappresentazione di esso attraverso le norme e in linea con il metodo fenomenologico nasce la questione relativa alla fenomenologia della persona. Le riflessioni di Edith Stein portano a
considerare che l’uomo esercita i propri diritti proprio nella sua struttura di
persona: diventa questo l’assunto fondamentale per la genesi fenomenologica
della comunità intersoggettiva, empatica. Persona è dunque un concetto che
non viene usato da Stein in modo banale101, persona è ciò che presuppone una
relazione: essere persona non significa essere unici ed irripetibili da soli, ma essere tali in una ambito riconoscitivo reciproco, attraverso l’aspetto
dell’empatia. Nella dimensione empatica, riconoscere l’alterità significa considerarla in quanto soggettività e quindi in quanto persona. La persona, nella sua
struttura, ha tratti inequivocabili che si differenziano da quelli degli animali o
delle piante: l’uomo può anche scegliere di essere disumano, applicare la legge
delle stragi ad altri uomini ed in questo costituirsi come un esempio negativo
in nome di un’ideologia, di una biologia, di una politica di un calcolo ecc., allo
stesso tempo però solo l’uomo è in grado di attualizzare e realizzare la propria
disumanità, ma anche di colpirla e sanzionarla attraverso la produzione di
norme, nei confronti dei suoi simili. Percepire la negatività come ingiustizia
appartiene, infatti, solo all’uomo.
La fenomenologia della persona sottolinea allora che l’uomo non si identifica
con nessun altro fenomeno, così come nessun soggetto si identifica con ciò che
è o appare essere. Ogni uomo, come individuo, è una persona. ‘Persona’ è innanzitutto chi vive emancipandosi da una condizione naturalistica del nascere,
si tratta di quella persona che ha coscienza, aspira, vuole, sa, pretende, ha
un’attesa di senso. Questa è una possibilità definitoria che implica alcune distinzioni. Innanzitutto, la persona non è tale in quanto persona ma, secondo
l’idea della comunità ascrivibile a Stein, in quanto pluralità di persone, infatti
la relazione con l’altro è uno degli elementi costitutivi della persona stessa.
Nell’ambito della comunità l’uomo – in quanto persona – è parte di un tutto, di
100 La specificazione è di R. SPAEMANN, Persone, Roma-Bari, 2005, p. 31 e p. 40: «Persona è
qualcuno, non qualcosa, non la pura istantaneizzazione di un’essenza, indifferente a questa
sua istantaneizzazione».
101 Le sue letture di Heidegger la portano a ricordare che ‘l’uomo è formatore di mondo’.
Luisa Avitabile
41
un idem sentire (che equivale a dire: guardare nella stessa direzione) definito da
Edith Stein ‘comunità’ (Gemeinschaft), quindi è nella decisione dell’uomo in
quanto persona riconoscere o disconoscere i suoi simili.
A sua volta il mondo della persona è costituito da istituzioni, situazioni, decisioni e atti come il diritto, la morale, l’empatia, il dolore, il ricordo, il perdono.
Nel caso del diritto solo nella persona l’ingiustizia può essere equiparata ad
una scelta, quindi commettere un atto ingiusto appartiene alla persona in
quanto capace di esteriorizzare la propria interiorità quindi fare esperienza di
sé, così come la stessa ingiustizia fa parte del vasto campo delle scelte. La persona ha una vita cosciente che si manifesta attraverso l’intenzionalità che rappresenta la qualità dell’esistenza102. Il ricordo inoltre costituisce la concretizzazione della temporalità, esso si riallaccia al passato e lo unisce al presente che
rappresenta nella sua dinamicità una delle possibilità dell’atto empatico e
quindi dell’eventuale stato di pentimento.
Ne deriva allora che solo l’uomo è capace di trascendenza, di riflessione e di
autoriflessione, di prendere posizione rispetto al suo ambiente e quindi di avere coscienza della propria morte, di trascendere il diritto positivo (legale) per
elevarsi ad una lotta per il giusto. Il che significa ancora una volta riflettere sulla questione della temporalità che diventa anche una dinamica tra dentro e
fuori, tra interiorità ed esteriorità. Il tempo per la persona non è un mero accadimento cronologico, rende storico il vissuto dell’uomo.
Trascendere significa che interessa direttamente la persona, la comunità, oltre
uno schematismo dato o scelto, creando sempre nuovi orizzonti di rinvio di
senso, base per la storia della comunità: la persona attraverso il metodo della
giustizia si emancipa continuamente dalla datità del legale.
Allora, dire della persona significa esprimersi sulla personalità, sulla libertà,
sulla responsabilità, sul diritto. Questo porta Stein a discutere nell’ambito della
fenomenologia della formazione dello Stato, di personalità dello Stato determinato da una struttura composita di persone. Le persone costituitesi in comunità rappresentano l’astrazione di una personalità in un determinato spazio e
tempo. Ciò che le persone hanno in comune non è solo il fatto di essere uomini,
ma quello di condividere uno spazio comune che diventa uno spazio reale e
E. HUSSERL, Idee, p. 205 e ss. «La corrente dei vissuti è un’unità infinita, e la forma della
corrente è una forma che necessariamente abbraccia tutti i vissuti di un io puro – una forma con
diversi sistemi di forme». In seguito enuncia la legge essenziale «secondo cui ogni vissuto fa
parte di una connessione di vissuti essenzialmente in sé conclusa, non soltanto dal punto di
vista della successione temporale, ma anche da quello della simultaneità».
102
Percorsi di fenomenologia del diritto
42
non generico. La realtà giuridica appartiene al modo di essere della persona
che esiste, esercita la sua libertà e che riconosce gli altri posti su un terreno comune che è quello della communicatio in quanto comunità. La personalità ha
pertanto una sua struttura che è principalmente una struttura di reciprocità nel
riconoscimento103 e nell’ascolto attraverso l’empatia con il significato di rinunciare a trattare l’altro come coralità; la comunità implica proprio questo abbandono e il riconoscimento dell’alterità come reale e non virtuale o come finzione
di una realtà rappresentata dall’altro.
Le relazioni intersoggettive, in quanto relazioni di riconoscimento, sono dirette a percepire l’altro come persona, uomo, soggetto, essere, quindi come portatore di diritti e di doveri, ed è proprio il riconoscimento come persone che costituisce la base per il reciproco riconoscimento universale ed incondizionato,
anche attraverso la costruzione della compagine costrittiva dell’ordinamento
giuridico.
7. Comunità e società
In virtù della riduzione fenomenologica, il concetto di soggetto, è incontrato
sospendendo il giudizio su di esso. Emerge così la natura del soggetto stesso104
che, in questo modo, fa apparire nella sua intensità il modo di rapportarsi
all’altro, esercitando la propria libertà secondo la responsabilità delle condotte
che sceglie di porre in atto; instaura così relazioni intersoggettive dirette a far
trapelare la totalità e, allontanandosi da una visione scientista, realizza nella
convivenza un modello che acquista una sua configurazione specifica a seconda che abbia la forma della società o della comunità:
In part. cfr. B. ROMANO, Riconoscimento e diritto. Interpretazione della filosofia dello spirito
senese (1805-1806) di Hegel, Roma, 1975.
104 A questo punto della trattazione è utile chiarire che la natura per i fenomenologico
non è la natura del fatto, ma la natura della cosa (Sache) si tratta di una naturalità assai differente da quella interpretata da coloro che vogliono il diritto come derivato del fatto.
A. BARATTA, Natura del fatto e giustizia materiale, Milano, 1968, p. 5; vd. anche p. 111 ss. Ricor103
da lo stesso Baratta che il concetto di natura del fatto si sviluppa nel decennio che va dal
1948 al 1958 ispirata dagli studi di Radbruch e Maihofer. Su questo cfr. F. VASSALLI, Formula
di Radbruch e diritto penale, Milano, 2001; B. ROMANO, Soggetto libertà e diritto, Roma, 1983.
Per uno studio approfondito sulla soggettività M. EPIS, Fenomenologia della soggettività. Saggio
su Edith Stein, Milano, 2003, in part. p. 115.
Luisa Avitabile
43
«quando accade che una persona si pone di fronte ad un’altra quale soggetto
ad oggetto, la esamina a la “tratta” secondo un piano stabilito sulla base della
conoscenza acquisita e trae da essa azioni mirate, in questo caso entrambi vivono in una società. Quando, al contrario, un soggetto accetta l’altro come soggetto e non gli sta di fronte, ma vive con lui e viene determinato dai suoi moti
vitali, in questo caso i due soggetti formano una comunità»105.
Vivere accanto ad un soggetto significa relazionarsi in modo empatico, infatti
l’espressione “vivere accanto” indica la comprensione in una dimensione di ascolto e la responsabilità in una diemnsione di esercizio della libertà106; la chiave di lettura di questa espressione sta nella convivenza intersoggettiva e nella
influenza reciproca, proprio in base a questa chiave interpretativa si possono
chiarire alcuni elementi: nel caso della società, i termini ‘piano stabilito’ e ‘conoscenza acquisita’ simboleggiano che in realtà il progetto non è in comune,
questo mostra che non è realizzato e discusso attraverso un itinerario comune.
Inoltre, l’espressione ‘trarre da una persona azioni mirate’ marca l’interesse in
comune, diretto a degli scopi; ma la speculazione steiniana è rivolta anche alla
profondità della relazione intersoggettiva per cui due o più persone che si trovano una di fronte all’altra entrano in empatia («vive con lui») e formano un
inizio di comunità, oppure sono destinati a formare altre situazioni di convivenza e di associazione diverse dalla comunità. Per descrivere la società Stein
usa la metafora107 della «monade che non ha finestre», intendendo con questo
un blocco unico senza uscita e ‘monade’ rappresenta il termine indiscutibilmente più appropriato, a differenza della composizione della comunità dove è
Psicologia e scienze dello spirito, p. 159-160.
M. SCHELER, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, p. 650 «… il singolo e la
persona collettiva sono autonomamente resonsabili (cioè responsabili di fronte a se stessi); al
contempo, ciascun singolo è però corresponsabile della persona collettiva (e di ciascun singolo “nella” persona collettiva, così come la persona collettiva è corresponsabile di ciscuno dei
suoi membri».
107 «Per la società … le cose sono tutte eguali e ognuna, o ogni quantità, significa soltanto
una certa quantità di lavoro per essa necessario», F. TÖNNIES, Comunità e società, p. 87. E ancora «La società, aggregato unito dalla convenzione e dal diritto naturale, viene quindi concepita come una massa di individui naturali e artificiali, le cui volontà e i cui settori stanno
in molteplici connessioni l’una rispetto all’altra e l’una con l’altra, e tuttavia rimangono tra
loro indipendenti e senza influenze interne», p. 95.
105
106
Percorsi di fenomenologia del diritto
44
sviluppato il concetto di solidarietà; in essa manca l’autoreferenzialità tipica
della monade-società (si potrebbe evocare la differenza concettuale tra communicatio e communicatio utilitatum). Le forme miste di convivenza, cioè forme sia
sociali che comunitarie, e la situazione relativa alla scelta di una forma come
quella comunitaria rappresentano situazioni specifiche: la comunità intesa come idem sentire che va al di là del mero interesse costruito attraverso le procedure di una società.
Non è reperibile nelle parole di Stein la priorità di una o di un’altra forma di
convivenza, anzi nelle forme miste non c’è una prevalenza ma una qualità addizionale. Stein afferma, infatti, che «la comunità senza società è anche possibile, mentre non lo è una società senza comunità»108. Si tratta di un’espressione
nota, discussa e ripetutamente citata ripresa dall’opera di Scheler che merita un
approfondimento congiunto ad altre affermazioni in direzione di una riflessione sulla struttura, l’organizzazione dello Stato di diritto e i suoi doveri in quanto struttura giuridica. Il motivo per cui l’affermazione acquista una sua autonomia va considerato nel contesto: la società ha alla sua base un coacervo di interessi utilitaristici esclusivi che il concetto di comunità non ammette.
«Se, sulla base della nostra esperienza, di fatto nessuno Stato si interessa della formazione
musicale dei cittadini, ciò non vuol dire che non ci possa essere uno Stato che istituisca questo insegnamento e dichiari obbligatoria la sua frequenza. Al contrario sarebbe senza senso
se questo Stato, seguendo la stessa modalità, volesse prescrivere agli individui di nascere
con una particolare predisposizione musicale. D’altra parte la constatazione storica, secondo
la quale gli Stati esistenti sono completamente condizionati da gruppi sociali che essi inglobano o con i quali sono in relazione, non dimostra che questi rapporti di dipendenza debbano
sussistere e che in linea di principio non sia pensabile uno Stato il quale dipenda per la sua
intera costituzione dalle sue proprie disposizioni»109.
Psicologia e scienze dello spirito, p. 161; M. SCHELER, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, pp. 646-647: «non esiste società senza comunità (mentre invece esiste a determinate condizioni comunità senza società»; F. TÖNNIES, Comunità e società, p. 87 «… la società
può venir pensata come se consistesse veramente di individui separati che agiscono in complesso per la società generale mentre sembrano agire per sé, e che agiscono per sé mentre
sembrano agire per la società».
109 Una ricerca sullo Stato, p. 111-112.
108
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Si palesa da qui l’interesse per una differenziazione fenomenologica110, vale a
dire di un’affermazione di principio per cui il gruppo sociale può senz’altro
spingere per una riqualificazione delle azioni dello Stato, ma non può influenzarlo sino a fare della figura dello Stato un guscio vuoto al servizio della lobbing dei gruppi più potenti.
Nella costruzione di uno Stato di diritto, la prima considerazione è relativa alla sua struttura a cui è sottesa una costituzione particolare; lo Stato è la forma
associativa per antonomasia, rappresentata dall’equivalenza Stato=forma di associazione111, allo stesso tempo però le forme associative sono forme di Gemeinschaft che, almeno in termini concettuali, si oppongono alla struttura della Gesellschaft. La concezione giuridico-filosofica di Stein – cioè lo Stato come forma
associativa – è determinata dalla presenza assidua, permanente degli individui
– le persone – che fanno parte dello Stato, anche se non tutti sono annoverabili
come suoi servitori. Si presenta una circostanza “ineliminabile”, relativa al fatto che gli individui (le persone), i soggetti vivono e svolgono le loro funzioni
all’interno dello Stato di cui fanno parte. Lo Stato assolve alle sue diverse funzioni: al suo interno si distinguono i suoi promotori da coloro che sono invece
indifferenti alle sue funzioni; nel caso di un ente collettivo se «tutte le azioni
dello Stato dipendano dalle deliberazioni di un organo, questo può valere come “governo dello Stato” e si può parlare di un momento culminante collegiale
dello Stato stesso»112, poiché si può avere una ripartizione delle funzioni
all’interno dei membri «dell’organo governativo»113 che deriva da un impulso e
quindi – secondo il lessico di Stein – da un fiat!. A prescindere dal fatto che ogni individuo inizi la sua compartecipazione e che essa sia attivata da questo
fiat!114, la derivata dell’azione deve avere anch’essa un suo incipit determinato
da un individuo. Il soggetto – l’individuo – costituisce sia il preludio che
l’‘epilogo’ all’intera costruzione dello Stato, poiché il soggetto è la base stessa
della concezione della comunità statale. Infatti, l’analisi di Stein prosegue sulla
base di un’indagine fenomenologica delle forme associative concretizzate dai
Il termine differenziazione fenomenologica è mutuato da B. ROMANO, Filosofia del diritto, ad es. pp. 66-68.
111 Una ricerca sullo Stato, p.19.
112 Una ricerca sullo Stato, p. 74.
113 Una ricerca sullo Stato, p. 74.
114 Più che di un impulso si può parlare di uno slancio discusso e approfondito da M.
SCHELER, L’eterno nell’uomo, p. 197; vd. anche A. PFÄNDER, Motivi e motivazione, in Il realismo
fenomenologico, p. 118 e ss.
110
Percorsi di fenomenologia del diritto
46
soggetti, infatti la procedura della forma associativa è un presupposto ineludibile per arrivare a discutere di genesi dello Stato di diritto e delle relative prassi
che concorrono a formarlo.
Nei suoi intenti fenomenologici vi è quindi la disamina approfondita di altre
forme associative, oltre alle associazioni meramente fattuali, alcune delle quali
sembrerebbero avere una minore intensità rispetto ad altre. Così è, per esempio, nel caso specifico della massa posta in una sorta di dialettica critica con altre forme di associazione quali la comunità e la società.
Le tre forme associative – massa, comunità e società – sono sempre riferite alla
possibile formazione dello Stato ed hanno come punto escatologico proprio la
sua costituzione, quindi nell’apportare le prove della genesi associativa dello
Stato attraverso una di queste forme, Stein passa all’esplicitazione netta – intesa sotto il profilo fenomenologico – delle tre forme associative.
Non esita a considerare le formazioni di massa come un «tipo di associazione
più basso»115 che presenta come sua singolarità il fatto che i soggetti che fanno
parte di essa non vivono «in modo comunitario»116. Gli effetti di una simile asserzione denunciano lo spirito con il quale la filosofa passa dall’osservazione delle
forme associative alla loro considerazione più diretta attraverso una critica radicale all’eventuale assenza di spiritualità che governa le singole forme. Nella
vita condotta in modo comunitario si radica l’efficacia della teoria sulla connessione tra Stato e diritto e sulla genesi del diritto. In effetti, essa stessa precisa in primo luogo che i singoli componenti di questo gruppo informe – non ancora istituzionalizzato – hanno un comportamento determinato dalla sua stessa
struttura117; i membri di una massa si comportano diversamente da coloro che
invece fanno parte di una comunità.
L’analisi fenomenologica dalla quale procedere in modo critico è strettamente
legato all’opera di Scheler e risiede nei luoghi di formazione della massa che al
suo interno non presenta un comportamento codificato, deontologizzato. La
base costitutiva della massa è configurata nello scambio che influenza i soggetti
Una ricerca sullo Stato, p. 20. Ciò che Scheler, in riferimento agli animali, definisce
“branco” Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, p. 641 «Essa viene denominata
“branco” in riferimento agli animali e “massa” in riferimento agli uomini. Anche la massa
ha, rispetto ai suoi membri, una realtà propria e segue nel proprio agire un tipo di legge caratteristico».
116 Una ricerca sullo Stato, p. 20.
117 S. SATTA, Il mistero del processo, Milano, 1994, p. 124.
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produttori di condotte dirette alla reciprocità nello scambio; d’altra parte, tale
influenza non è vissuta in modo consapevole da parte dei componenti medesimi e dà luogo ad una condotta non dettata da regole codificate. Tuttavia le
condotte realizzate dalla massa sono uniformi, nonostante un’atmosfera che
sembrerebbe prettamente utilitarista e individualista nell’informità della massa.
La realizzazione della vita della massa è possibile solo attraverso un contatto
che gli individui, parte della massa, intraprendono, ma appena il contatto interindividuale viene meno, si frammentarizza anche il concetto stesso di massa,
si può dire che si indebolisce la sua stessa radice. La massa vive perché inconsapevolmente è alla base dello scambio nella reciprocità delle condotte, ma
questo non porta alla sua durata temporale. Rientra, nelle analisi condotte in
quest’opera, la valutazione del concetto di temporalità così come espresso ed
elaborato da Husserl e Heidegger; infatti, la temporalità, oltre ad altri elementi,
è il carattere che distingue la massa da altre forme specifiche di associazione
quali la comunità o forme di associazione che si diversificano per finalità ed elementi costitutivi dalla massa.
A partire da queste analisi, sotto il profilo temporale la massa non può essere
il momento costitutivo dello Stato di diritto, sia perché è troppo debole la sua
forza di resistere, sia perché vi è una situazione contingente che non permette
di durare nel tempo a causa della sua momentaneità; la massa non ha coscienza di se stessa, non si piega neanche ad un’auto-osservazione, acquisisce, al
contrario, una semplice cognizione contingente che non prevede nessuna forma di spiritualità, ma una materialità immanente che non assume su di sé la
forza per procedere in direzione di una conformazione più adeguata. Rappresenta – secondo il lessico di Kojève – un sentimento semplice. Questo non elimina la circostanza che la massa possa essere una forma associativa all’interno
dello stesso Stato e trovare cioè uno spazio adeguato accanto ad altre forme di
associazione. D’altra parte, la povertà spirituale e costitutiva della massa è configurata proprio in una sorta di mancanza del concetto di temporalità che diventa, invece, elemento peculiare della comunità, destinata ad una permanenza nel tempo che esula da una concezione puramente contingente e congiunturale.
Nell’opera di Stein, come in quella di Scheler, la spiritualità della comunità
deriva dalla considerazione dello Stato, epilogo della comunità, come persona
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Percorsi di fenomenologia del diritto
e non come ente depersonificato e cosificato118. È questo uno dei punti in comune con Reinach nell’applicazione della riduzione fenomenologica al diritto;
il diritto puro ha una sua dimensione al di là del diritto positivo, trascende il
diritto positivo. Il primo a priori del diritto è la persona in quanto tale che si costituisce in comunità attraverso il processo empatico, la persona collettiva di
Scheler119. La persona è l’origine del diritto; ciò di cui deficita la massa è
l’elemento della spiritualità, oltre a quello della temporalità che diventa invece
un elemento fortificante e generatore di equilibri in seno alla comunità. Poiché
è solo nella comunità che gli individui ritengono di dover vivere insieme, di
coesistere120, nella consapevolezza di essere parte di un tutto in una permanenza progettante. La particolarità della comunità è quella di attribuire agli individui dei ruoli fissi intercambiabili, mentre nella massa ciò che vige è – al posto
della durata – la temporaneità. La comunità rappresenta il modello organizzativo più vicino alla forma statale.
Proprio in questa direzione, Stein ritiene che la disamina della massa e della
comunità – prima di esaminare la forma associativa e derivata dello Stato, esito
di qualunque procedura associativa – porta ad affermare anche, secondo un
metodo analogico, che a differenza che nella comunità, il soggetto societario
diventa un oggetto in un senso specifico e cioè un soggetto ‘obiettivato’121. Che
Stein consideri i soggetti della società come oggetti non significa che li svuoti
della loro soggettività, ma al contrario che la loro soggettività viene oggettivizzata, il che non vuole dire rendere cosa o cosificare la situazione statale o la res
publica, al contrario nasconde proprio quella tensione tra soggetto e oggetto che
fa da preludio alle successive affermazioni sul concetto più alto di Stato.
118 «Si può affermare allo stesso modo che lo Stato pensa, riflette, fa esperienza? E ancora
che prova rancore, è afflitto e così via? Chiaramente se si usano tali espressioni si tratta di un
semplice modo di dire, in contrasto con i casi prima ricordati. Acquisizioni di conoscenze e
prese di posizione sono necessariamente a fondamento degli atti che lo Stato compie. Ma
realizzarle concretamente spetta alle persone che appartengono al suo ambito. Lo Stato si
deve servire di loro a questo scopo, richiedendone in alcuni casi espressamente l’impegno,
ma sono esse che osservano, riflettono, sentono, prendono posizione in sua vece, non si può
dire che lo Stato stesso lo faccia per mezzo di loro», Una ricerca sullo Stato, p. 69.
119 M. SCHELER, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, p. 662.
120 Una ricerca sullo Stato, p. 21 «nella comunità gli individui vivono in senso rigoroso il
loro stare “gli uni con gli altri”».
121 Una ricerca sullo Stato, p. 21.
Luisa Avitabile
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La società diventa così un elemento più vicino alla comunità e più lontano
dalla massa, anzi Stein arriva ad affermare che la società è «una variante razionale della comunità»122. A differenza della comunità che ha ancora un retaggio
di inconsapevolezza, la società è istituita o fondata, quindi acquista in pieno il
carattere di consapevolezza attribuitole dai singoli soggetti, fondatori della società: «Le forme della comunità si costituiscono, quelle della società sono prodotte»123.
8. Riflessioni sul concetto di comunità di popolo e comunità statale
Come si è progressivamente chiarito Stein approfondisce la complessa struttura e l’apparato dello Stato in funzione di un articolato e dinamico concetto di
comunità che collega al ruolo svolto all’interno della dimensione dell’empatia;
ne differenzia la struttura da altre forme di convivenza, apportando contributi
originali per l’istituzione del diritto.
Le domande fenomenologiche sul diritto cominciano dunque a partire da una
genesi del diritto e dello Stato che rappresentano l’idem sentire della comunità
non necessariamente scissa – come si va precisando – dalla società. È lungo
questa traiettoria che si stabilizza la riflessione steiniana sul concetto di sovranità e sui rapporti tra Stato e diritto. Il motivo per cui avvia la sua riflessione
dal concetto di sovranità è dato dalla circostanza che proprio l’equivalenza tra
Stato e persona indica che la fonte del diritto e dello Stato non può essere che la
persona, intesa non in senso funzionale, ma come centro, fulcro dello sviluppo
e della realizzazione del diritto positivo. Per provare questo è necessario riprendere in modo approfondito il concetto della dinamica comunitaria e le sue
specificazioni all’interno di essa. La procedura – l’atto empatico come atto sociale – per arrivare alla costituzione di una comunità rientra tra gli impegni di
ogni individualità diretta all’istituzione di un idem sentire. Si rende necessaria
però la differenza tra due diversi tipi di comunità: comunità statale e comunità
di popolo.
Si potrebbe pensare che entrambe le comunità siano da considerare equivalenti, quindi connesse tra di loro per una imprescindibile necessità, addirittura
122 Una ricerca sullo Stato, p. 21. «La razionalità consiste nell’ordinare la materia in forme
generali e la conoscenza consiste nella penetrazione e nello scoprimento di questa struttura
mediante la ragione», Introduzione alla filosofia, p. 140.
123 Una ricerca sullo Stato, p. 21.
Percorsi di fenomenologia del diritto
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ci sarebbe – secondo alcuni – una neutra equivalenza e identità tra comunità
statale e comunità di popolo124. Sui due ordini di comunità vanno fatte però alcune considerazioni, perché la comunità di popolo può sussistere anche nel
momento in cui viene a mancare la dimensione della sovranità e quindi quella
dello Stato. Lo Stato può essere menomato senza per questo intaccare
l’integrità del popolo. Si pensi – suggerisce Stein – al popolo polacco che nel
momento in cui è incorso nella distruzione del suo Stato ha continuato a sussistere pur sempre nella sua formazione di comunità di popolo125. Ma, a parte
questo esempio, l’attenzione è diretta alla struttura del popolo inteso nella sua
essenza di comunità.
Quando si discute di comunità statale si può forse prescindere dal concetto di
comunità di popolo, o meglio, la comunità statale esiste anche nel momento in
cui viene a mancare la comunità di popolo? Questo interrogativo accompagna
la discussione sulla costituzione della base giuridica dello Stato, quindi sui
fondamenti del diritto che configurano contenuti ‘giusti’, vale a dire la negazione della violenza intesa come fatto escludente. La questione può essere posta anche in senso inverso, e cioè una comunità di popolo può sussistere nel
momento in cui viene a cadere la comunità statale? Questo significherebbe
l’esistenza di un apparato statale – appunto derivante dalla comunità – che non
si sostiene più sulle basi della comunità di popolo.
Proprio per la complessità della questione, Stein non omette di analizzare,
sempre sulla base dello strumentario fenomenologico, che la struttura della risposta deve costruirsi su due versanti senza prescindere dagli ulteriori interrogativi che la questione pone:
1. la struttura statale, per sua costituzione, comprende una pluralità di popoli?
Questa domanda implica una riflessione sul significato intrinseco di pluralità
di popoli, che non tralascia la pluralità di culture e di interessi.
2. La comunità di popolo, cioè l’elemento ‘popolo’, è necessario alla costituzione dello Stato o è un accessorio, vale a dire un epifenomeno facilmente sostituibile?
Per procedere con ordine è necessario organizzare una struttura concettuale
ruotante intorno alla definizione di Stato di diritto. Il primo interrogativo propone una questione di diritto internazionale, il secondo configura una problematica che investe il diritto statale. Sia l’uno che l’altro si alimentano a quello
124
125
La struttura della persona, p. 204.
La struttura della persona, p. 210.
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che Stein definisce diritto puro, al rapporto umano, in sintesi all’a priori della
promessa126. Sarebbe peraltro contraddittorio affermare che uno Stato si identifichi con un popolo, questo non significa che l’equivalenza uno Stato=un popolo non sia intrinsecamente significativa. Lo Stato latore di un unico popolo
rappresenta un’eccezione, non paradigma delle possibilità della costituzione
della struttura statale: rappresenta uno Stato ma non lo Stato.
La seconda tipologia interrogativa permette a Stein l’interpretazione e la lettura di Aristotele, in particolare del concetto di filia, infatti, proprio questa rappresenta il collante che tiene uniti gli Stati, mentre la giustizia che ne è priva
non riuscirebbe nell’opera di finalizzare lo Stato. Il concetto di filia aristotelica
viene interpretato da Stein come «coscienza della comunità»127, nell’affermare
la superiorità della comunità statale Stein cita l’Aristotele dell’Etica nicomachea,
V, 1134a in cui la comunità è vista come «…un insieme di persone legate in una
comunanza di vita, per formare un tutto autosufficiente…».
Ritiene peraltro di dover sottolineare ed approfondire, a questo proposito, il
carattere dell’autosufficienza (autarchia). Aristotele radicalizza con questa parola ciò che Stein riporta ad un’interpretazione avvicinabile con il concetto di
sovranità e terzietà dello Stato-legislatore. Lo Stato rappresenta a se stesso, come comunità, delle peculiarità che afferiscono ad una certa tipologia, il che non
significa che l’autopoiesi – concetto post moderno – fondi lo Stato ma che lo
Stato «deve essere padrone di se stesso»128. È significativo questo riferimento ad
Aristotele per designare e sottolineare in modo marcato il concetto di coscienza; la procedura seguita impone sempre all’attenzione del giurista la questione
delle persone che formano la comunità giuridica, legate in modo empatico per
quell’idem sentire che costituisce in modo convergente lo Stato. Proprio in questa direzione vanno alcune affermazioni principali di Stein:
«Non è muovendo dalla struttura dello stato, ma dalla struttura delle persone, intese in
senso spirituale, che si comprende … come un’entità statale concreta si costituisca sulla base
di una preesistente comunità e come, d’altra parte, racchiuda in una comunità le persone
S. SATTA, Soliloqui e colloqui di un giurista, p. 70 «Il rapporto umano è “diritto” … proprio per la sua intrinseca normatività. è diritto e più semplicemente si può dire è, perché il
diritto si risolve nell’essere del rapporto umano, onde procede poi il dover essere della norma».
127 Una ricerca sullo Stato, p. 33.
128 Una ricerca sullo Stato, p. 25.
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raccolte nel suo interno; e, inoltre, come questi rapporti comunitari siano necessari per garantire l’esistenza di uno Stato»129.
Da questa riflessione scaturiscono alcuni elementi prioritari: indubbiamente le
persone, in quanto tali, rappresentano la possibilità costitutiva della struttura
statale per cui il metodo fenomenologico applicato ha il suo incipit nelle persone e non in ciò che le persone tendono a costituire. Sulla base di questa osservazione ne scaturisce un’altra, vale a dire quella della pluralità di comunità –
l’attuale e quella preesistente – nella loro evoluzione temporale. Ne deriva allora che la comunità statale non necessariamente deve essere comunità di popolo, cioè le due forme non coincidono inevitabilmente.
Ogni comunità designa per se stessa un compito, quello del popolo consiste
nel «presentare un carattere etnico unitario», il che non significa una selezione
etnica, ma porta ad altre considerazioni: promanazione dal seno del popolo di
una cultura che rimandi alla spiritualità della comunità di popolo e quindi al
suo asse creativo. Dietro la cultura espressa da un popolo vi è secondo Stein la
creatività: il popolo si differenzia da altri microcosmi o cosmi di varia entità,
perché solo ad esso spetto il compito massimo di creare cultura «per essenza»130,
infatti solo nello scambio culturale la comunità trova la sua ragione. Questa
viene definita “autonomia culturale” ed è il riflesso della sovranità dello Stato.
Quindi, il popolo ha una sua personalità e una sensibilità strutturale, ha un
asse creativo al suo attivo, si fa portatore di un’organizzazione in modo da continuare a vivere in modo autonomo. La totalità di questa struttura è interamente coordinata: organizzazione, capacità creativa e autonomia. Sono elementi
che – come si nota – caratterizzano il diritto istituito dallo Stato che costruisce
le sue fondamenta sulla comunità di popolo. La struttura giuridica è una struttura altamente organizzata nella divisione dei poteri, nelle attribuzioni di funzioni pubbliche, nella interconnessione di ogni elemento con ogni altro, è inoltre una creazione così come quella dell’artista, in quanto presenta le caratteristiche dell’opera d’arte131 che riallinea gli elementi costitutivi di una ragione
Una ricerca sullo Stato, p. 33.
Una ricerca sullo Stato, p. 36.
131 La questione del diritto e dello Stato intese come opere d’arte è tuttora materiale di
dibattito tra giuristi cfr. in part. F. CARNELUTTI, Arte del diritto, Padova, 1949; B. BIONDI,
Scienza giuridica come arte del giusto, in Ius, 2, ott. 1950, pp.145-176; P. LEGENDRE, Il giurista artista della ragione, Torino, 2000; G. B. FERRI, Filippo Vassalli o il diritto civile come opera d’arte,
Padova, 2002.
129
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definita ‘giuridica’ e presenta una sua struttura autonoma e specifica che vede
nella terzietà il suo elemento peculiare.
La domanda iniziale dalla quale si avvia l’analisi steiniana trova la consolazione di una possibile risposta dalle premesse appena esplicitate; lo Stato presenta come base proprio la comunità di popolo nel momento in cui tenga presente alcuni a priori ineludibili. Lo Stato che manca di questi presupposti, infatti, secondo Stein non esiste, cioè in poche parole la comunità che si basa sul
concetto di lealtà vale a dire sulla comunità di diritti e doveri di fronte allo Stato non può essere a fondamento dello Stato stesso se non nel momento in cui
ha insito il presupposto creativo.
Da queste considerazioni ne deriva che la spiritualità e la cultura sono ipotesi
interpretative vincolate al mondo dei valori, che fondano la stessa totalità, dove per ‘totalità’ non deve intendersi il ‘totalitarismo’, termine ambiguo nella
sua chiarezza, ma «La totalità di cui parliamo consiste rispetto alla singola persona in una sensibilità per la gerarchia dei valori; non è necessario che ella coltivi tutte le disposizioni corrispondenti e a maggior ragione che sia creativa in
tutti gli ambiti culturali»132, questa affermazione è sussidiaria rispetto alla successiva: «In un cosmo culturale si può parlare, allora, di totalità, se tutti i settori
culturali sono rappresentati da qualche opera o da qualche “precipitato” spirituale avente valore oggettivo»133, quindi la totalità come immagine di un sistema multiculturale in cui ogni settore culturale – secondo il lessico di Stein –
deve essere rappresentato nel modo più appropriato e completo. Correlato al
concetto di spiritualità è il concetto di personalità che indica qualcosa di diverso dalla semplice collaborazione per la cultura; la formazione della cultura esige una sempre maggiore sviluppo di tutte le capacità in relazione alla differenziazione dei singoli gruppi di individui.
132
133
Una ricerca sullo Stato, p. 42.
Una ricerca sullo Stato, p. 42.
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Finito di stampare nel mese di dicembre 2006
dal Centro Stampa Nuova Cultura
p.le A. Moro, 5 00185 Roma
Copyright © 2006 Edizione Nuova Cultura - Roma
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