Contesto storico
Le prime popolazioni turche migrarono dall’Asia centrale all’Anatolia nell'undicesimo secolo.
Con le progressive conquiste dei territori bizantini, sorse prima l'impero dei turchi Selgiuchidi e
poi, nel 1299, quello dei turchi Ottomani, che durò fino alla Prima guerra mondiale. Nel
momento di massima espansione, sotto il Sultano Soleimano il Magnifico nel sedicesimo secolo
e poi fino al dicasettesimo secolo, l’impero ottomano si estendeva lungo le coste nordafricane,
attorno al Mar Rosso, nel Mediterraneo orientale, fino al Mar Caspio e al Golfo Persico, per poi
inglobare il Mar Nero e tutti i Balcani, fino quasi a Vienna.
Minato dall’incapacità di modernizzarsi, dall’emergere dei sentimenti nazionalistici nei suoi
enormi territori e dalle guerre perdute con imperi e stati rivali, l’impero ottomano perse potere
dal diciassettesimo secolo in poi, arrivando al primo conflitto mondiale con la definizione di
“grande malato d’Europa”, coniata dallo Zar russo Nicola I prima della guerra di Crimea nel
1853.
Alleato con la Germania e l’impero austro-ungarico durante la prima guerra mondiale, l’impero
ottomano andò incontro a un disastro politico e militare. All’inizio del conflitto, nell’aprile 1915,
una serie di rivolte separatiste degli armeni–sobillati dalla Russia–nell’est dell’impero portò alla
deportazione di oltre un milione di persone verso il sud-est dell’Anatolia. In due anni, tra
massacri e morti di stenti, persero la vita tra 500.000 e oltre un milione di armeni (Hamit
Bozarslan, 2006, La Turchia contemporanea, Bologna, Il Mulino).
Durante il conflitto contro la Gran Bretagna, la Francia e la Russia, dai ranghi dell’esercito
emerse la figura di Mustafa Kemal, un ufficiale appartenente al movimento rivoluzionario dei
“Giovani Turchi” che si distinse nella epica battaglia di Gallipoli (1915). Dopo la dissoluzione
dell’impero ottomano, smembrato nel 1918 dalle potenze vincitrici, Kemal guidò il movimento
nazionale turco attraverso una serie di conflitti (contro la Grecia, l'Armenia e la Francia) che
insieme costituirono la “guerra turca di indipendenza”, e portarono alla fondazione della
Repubblica di Turchia nel 1923.
L’ideologia di Kemal, che acquisì il nome onorifico Ataturk (padre dei turchi), si fondava su sei
pilastri: repubblica, stato, nazionalismo, populismo, secolarismo e rivoluzione. Il nuovo leader
intraprese così una serie di riforme che cambiarono il volto della società turca. Diede al paese
una nuova Costituzione e nuove leggi, ispirate a quelle europee; proclamò il suffragio
universale; abolì i poteri della dinastia imperiale e trasferì la capitale da Istanbul ad Ankara;
introdusse l’alfabeto latino al posto di quello arabo, nonché il calendario e le unità di misura
occidentali. L’idea alla base di tutto era che la Turchia doveva modernizzarsi e trovare una
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nuova coesione sociale e culturale, per non fare la fine dell’impero ottomano.
Dopo la Seconda guerra mondiale, nel corso della quale il paese rimase neutrale, la Turchia
entrò nella fase del multipartitismo. In precedenza il potere era detenuto dal “Partito
repubblicano del popolo” di Ataturk, che morì nel 1938 a 57 anni. Negli anni Cinquanta
arrivarono l’entrata nella Nato e la richiesta di accesso nella neonata Comunità Economica
Europea, ma iniziò un periodo di instabilità politica, con conseguenze negative anche sullo
sviluppo economico del paese. Tra il 1960 e la fine del secolo l’esercito, custode dei valori
kemalisti e dotato di grande potere, intervenne nella vita politica del paese con tre colpi di stato
“e mezzo” (quello che portò alla caduta del governo Erbakan nel 1997, con una perentoria
richiesta di dimissioni, fu definito un “golpe postmoderno”) (Hamit Bozarslan., 2006, La Turchia
contemporanea, Bologna, Il Mulino).
Nel 1974 l’esercito turco invase il nord di Cipro, portando alla divisione dell’isola in una parte
turca – ancora oggi non riconosciuta dalla comunità internazionale – e in una greca. Nella
seconda metà degli anni Settanta, il paese fu lacerato dalle violenze tra movimenti di estrema
destra e rivoluzionari di sinistra.
Nel 1999, l’Unione Europea concesse al paese lo status di candidato ufficiale. Sotto il governo
islamico moderato di Recep Tayyip Erdogan, nel 2005 la Turchia ha iniziato i negoziati per
l’accesso nell'Unione Europea.
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