DISPENSA SULLA GLOBALIZZAZIONE PRIMA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE: essa comporta la produzione su larga scala di merci, destinate soprattutto al mercato interno. Questa prima fase è caratterizzata anche dal fenomeno della CRESCITA DEMOGRAFICA esponenziale (nasce il cosiddetto PROLETARIATO) e dal fenomeno dell’ URBANIZZAZIONE. SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE: il mercato interno subisce una crisi perché si produce troppo rispetto alle possibilità economiche degli acquirenti, scarseggiano inoltre le materie prime. In aggiunta a questi problemi ci sono le proteste degli operai, che riuniti nelle prime associazioni sindacali, reclamano i loro diritti. Il capitalismo mondiale entra nella sua FASE IMPERIALISTICA e inizia un processo di COLONIZZAZIONE dei paesi più deboli economicamente che però forniscono materie prime e manodopera a basso costo. L’imperialismo fu una delle cause della prima guerra mondiale. Nel corso del Novecento si assiste ad un processo di DECOLONIZZAZIONE: le ex colonie tornano ad essere politicamente libere, ma la loro economia è fortemente impoverita dagli anni di colonizzazione; le economie straniere infatti avevano piegato le economie locali alle loro esigenze, facendo loro produrre solo i pochi prodotti richiesti nella madrepatria. Le ex colonie rimangono senza infrastrutture, senza industria pesante e senza un’adeguata rete produttiva. Per questo, pur acquistando la loro libertà, rimangono dipendenti economicamente dalla madrepatria; il fenomeno prende il nome di NEOCOLONIALISMO. Le due guerre mondiali e la crisi del ’29 impoveriscono ulteriormente le economie mondiali. Nel 1947 i paesi industrializzati sottoscrivono il GATT (Accordo generale sulle tariffe e sul commercio) che è considerato il primo documento del processo di globalizzazione. ANNI ’60: sono gli anni del BOOM ECONOMICO in Europa e negli Stati Uniti, mentre molti paesi rimangono fuori da tale processo. L’Italia riesce a risollevarsi nel dopo guerra grazie agli aiuti statunitensi del piano Marshall, inserendosi nella zona d’influenza capitalista. L’Europa è divisa in due zone di influenza economicamente ben distinte: il blocco comunista e il blocco capitalista. Per comunismo si intende un sistema economico in cui i mezzi di produzione (terre, impianti industriali, materie prime e capitali in genere) sono in mano allo stato, il quale decide cosa produrre e quali prezzi fissare. I lavoratori sono per la maggior parte dipendenti statali, che ricevono uno stipendio fisso dallo stato, senza particolari differenze tra un lavoro e l’altro. L’unica possibilità di libera associazione di privati è quella della piccola cooperativa. L’economia di questi stati si caratterizza per la produzione su larga scala di beni di prima necessità (energia, industria pesante, cereali…..) e per l’irrilevanza data a beni considerati superflui. Lo scopo di questi stati era infatti quello di dare beni primari e necessari a tutti (casa, istruzione, sanità, alimentari di base….) a costo di una povertà diffusa. Il capitalismo invece è un sistema economico in cui i mezzi di produzione sono in mano ai privati; le persone sono libere di intraprendere iniziative economiche private e il prezzo delle merci viene stabilito dalla legge della domanda e dell’offerta, cioè dalla concorrenza e dal libero mercato. I beni prodotti sono spesso destinati a un mercato di consumi anche del superfluo. 1 A questi due sistemi economici corrispondevano dopo la seconda guerra mondiale due sistemi politici: liberale e democratico negli stati capitalisti e totalitario con un partito solo al governo in quelli comunisti. Emblema di questa divisione è la costruzione del muro di Berlino eretto il 13 agosto del 1961. Il mondo è in GUERRA FREDDA. In economia si distingue un PRIMO MONDO (paesi capitalisti), un SECONDO MONDO (paesi ad economia comunista) e un TERZO MONDO (paesi poveri). Questa ultima definizione ora non è più corretta, ma si parla di PAESI IN VIA DI SVILUPPO. Il 9 novembre del 1989 crolla il muro di Berlino: fine dell’economia comunista. Diffusione del capitalismo in Europa. I paesi dell’ ex Unione Sovietica devono essere aiutati dai paesi europei capitalisti a risollevarsi e ad avviare un’economia di mercato. Tali paesi comprano in un primo memento il surplus prodotto dalle aziende ex sovietiche (per esempio patate e cereali) anche a costo di gettarlo. In un secondo momento si adotta la strategia di dare sovvenzioni finanziarie a fondo perduto o a tasso ridotto perché tali paesi potessero riqualificare da soli le loro aziende. Anni ’80: crisi economica derivata dall’aumento del costo del petrolio in seguito alle guerre nel Medio Oriente. Anni ’90: in seguito alla crisi economica inizia il fenomeno noto come DELOCALIZZAZIONE: alcune aziende europee vanno a produrre nei paesi più deboli economicamente (Cina, India, Taiwan, Pakistan, paesi dell’America latina e paesi dell’ex unione sovietica). Qui trovano manodopera a basso costo, materie prime a buon mercato e una deregolamentazione in materia di lavoro e di inquinamento (come ad esempio nelle zone economiche speciali in Cina) Nel 1995 il GATT si trasforma in WTO (World trade organisation); ad esso aderiscono 153 paesi. Esso ha lo scopo di regolare gli scambi economici internazionali attraverso la liberalizzazione dei commerci, l’apertura e lo sviluppo di aziende multinazionali nel mondo, l’informatizzazione dell’economia (spostare merci per via telematica), la quotazione in borsa delle aziende multinazionali. I paesi rimasti fuori dal WTO e quindi fuori dal processo di globalizzazione sono anche oggi ai margini dell’economia mondiale. GLOBALIZZAZIONE (definizione): crescita progressiva delle relazioni e degli scambi a livello mondiale il cui risultato è una progressiva standardizzazione economica e culturale tra i popoli e i luoghi del mondo. FENOMENI EMERGENTI I paesi in cui si è dislocato il lavoro e la produzione sono ancora per la maggior parte poveri, ma essi hanno monopolizzato la produzione globale in alcuni settori; per questo si è venuta a creare una piccola percentuale di ricchi (in India ad esempio sono il 20% e così in Cina), che però rappresenta un ampio numero di persone in paesi dove abitano miliardi di abitanti (come ad esempio la Cina). Questi nuovi ricchi a loro volta aprono aziende e tendono a dislocare il lavoro in paesi europei ricchi e negli USA. La Cina dopo la morte di Mao (1976), pur rimanendo formalmente un paese ad economia comunista, ha abbandonato l’economia pianificata (abolizione della proprietà privata, collettivizzazione delle terre e dei mezzi di produzione, prezzi imposti dallo Stato) per aprirsi ad economia di mercato, al commercio internazionale e agli investimenti esteri. Politicamente è ancora uno stato totalitario in cui non c’è libertà democratica. Qui vi sono 250 milioni di operai e 800 milioni di contadini al limite della sussistenza. Essi spesso tentano la via della migrazione in città o l’emigrazione in paesi stranieri. La grande borghesia è rappresentata da uomini legati al potere politico che investono in affari anche internazionali (come è successo durante le Olimpiadi). 2 La Cina rappresenta l’ 8% delle esportazioni mondiali di cui il 92% di manifattura e il 6,38% delle importazioni mondiali di cui il 73% di manifatture e il 20% di combustibili. Per tale motivo essa è definita la FABBRICA DEL MONDO In India ci sono più di un miliardo di abitanti con un PIL crescente. Ci sono poli industriali sparsi in tutto il paese (Mumbai, Calcutta, Delhi…) e poli tecnologici-informatici (Bangalore). In India il 60% della popolazione vive nelle campagne e pratica un’agricoltura di sussistenza. Nei poli industriali si produce soprattutto materiale high tech tanto che è stata ribattezzata l’UFFICIO DEL MONDO. L’Italia non è percepita come un paese in cui è appetibile investire a causa dell’elevato costo del lavoro (attenzione: questo non vuol dire stipendi elevati dei lavoratori!), una legislazione “rigida” sui contratti dei lavoratori (vedi Art. 18, diritti in genere) e sull’ecologia. A demotivare gli investimenti esteri sono però anche l’assenza di materie prime e una forte corruzione negli appalti (non scordiamoci che la mafia ormai gestisce in maniera illecita molti traffici economici). PROBLEMI GENERATI DALL’ECONOMIA GLOBALIZZATA Sfruttamento della manodopera (anche minorile in alcuni paesi) per abbassare continuamente i costi di produzione. Inquinamento sempre maggiore per l’ assenza di regole ecologiche sulla produzione in alcuni paesi. Progressiva disoccupazione nei paesi sviluppati (come l’Italia) a causa della delocalizzazione e della concorrenza dei paesi in cui è stata delocalizzata la produzione Perdita delle tradizioni locali Sudditanza delle politiche nazionali alla finanza internazionale (ciò vuol dire che i governi dei singoli paesi non sono sempre liberi di prendere decisioni politiche per i loro stati, soprattutto in materia economica e lavorativa, perché devono soggiacere alla volontà dell’alta finanza e alle “regole” del mercato globale). LA TRIADE ECONOMICA INTERNAZIONALE I colossi dell’economia mondiale sono oggi : USA, GIAPPONE, EUROPA. I paesi più industrializzati al mondo sono riuniti nel G8 (Usa, Giappone, Francia, Germania, Regno Unito, Italia, Russia, Canada) a cui si affianca il G20. In particolare gli USA sono leader nella: Industria aerospaziale Telecomunicazioni Informatica Elettronica Il suo sistema economico si basa sui grandi capitali privati e sulle multinazionali con sede in tutto il mondo Il Giappone è leader in: Elettronica Microelettronica Meccanica di precisione Biotecnologie Ricerca Il Giappone ha avuto il suo boom economico dopo la seconda guerra mondiale grazie al denaro mandato dagli Usa poiché il paese rappresentava il baluardo contro il comunismo in Oriente. 3 L’Unione europea è leader in: Meccanica Tessile Trasporti Industria chimica compresa quella del farmaco Raffinerie Produzione di elettricità In queste aree che si sono sviluppate economicamente nel settore secondario già da tempo si è passati però a una fase POST-INDUSTRIALE, ovvero ad un momento storico in cui il settore terziario ( i servizi) ha superato il secondario. Per la precisione il settore terziario produce il 70% del PIL PIL (prodotto interno lordo): valore totale dei beni e dei servizi prodotti da un paese in un certo intervallo di tempo (un anno) e destinati al consumo, agli investimenti e alle esportazioni. Viene calcolato pro capite. Il terziario si divide in: terziario di base: Pubblica amministrazione (sanità istruzione uffici amministrativi) Trasporti commercio turismo terziario avanzato: informatica ricerca e sviluppo consulenza legale, fiscale e tecnica specializzata formazione marketing IL DEBITO PUBBLICO IL debito pubblico (pro capite) si genera quando le entrate sono minori delle uscite. L’Italia risulta un paese con un alto debito pubblico accumulato nel corso degli anni. Le principali entrate di un paese sono: le tasse le esportazioni i beni prodotti il turismo (in alcuni casi) Il debito pubblico si crea invece con: evasione fiscale troppe importazioni 4 prestiti da altri paesi spesa pubblica Per colmare il debito pubblico lo Stato taglia la spesa pubblica (sanità, istruzione….) o emette BOT (titoli di Stato) che i cittadini possono “comprare” investendo con lo stato il proprio denaro. Più gli interessi di questi bot sono alti più vuol dire che lo Stato ha un alto debito e deve invogliare i suoi cittadini a comprare i bot. Questo perché, con una parte degli interessi derivati dall’investimento del denaro che i cittadini danno allo Stato, esso copre una parte di debito. Es. Mario Rossi dà allo Stato 500 euro comprando dei bot. Lo stato li fa fruttare investendo la cifra in investimenti sicuri. Dopo 1 anno i 500 euro sono diventati 600; a Mario Rossi tornano indietro 550 euro (50 sono di interessi) lo stato si tiene gli altri 50 per andare a sanare il debito. La finanza internazionale e l’Unione europea tengono sotto controllo il tasso di interesse che gli Stati danno ai loro BOT (variamente chiamati nei vari stati) perché più esso è alto più vuol dire che uno stato ha un debito alto e quindi deve invogliare i suoi cittadini a comprare i bot per colmare il debito. La differenza tra i tassi di interesse pagati dallo Stato tedesco ai suoi Bot (detti BUND) e i tassi di interesse pagati dagli stati economicamente più deboli e con un debito alto si chiama SPREAD. LE MULTINAZIONALI ITALIANE Il tessuto industriale italiano prima della globalizzazione era costituito dalla piccola-media impresa, spesso a gestione familiare, che puntava su prodotti di qualità (il famoso made in Italy). Le multinazionali quindi presenti sul nostro territorio sono comunque piccole rispetto ai giganti statunitensi. Le multinazionali più grandi sono: LA FIAT (fabbrica italiana automobili Torino oggi trasformata in FCA). Essa è stata fondata nel 1899 a Torino da Giovanni Agnelli. Si occupa di produzione automobilistica e oggi ha comprato anche Alfa Romeo e Chrysler. Negli anni ’90 essa ha dislocato la sua produzione in Romania e Serbia. ENI: ente nazionale idrocarburi. Fondata dallo stato italiano e gestita da Enrico Mattei. Dal 1995 lo Stato ha venduto la ditta per snellire il debito pubblico ed essa è diventata una società a partecipazione statale cioè una società per azioni in cui lo Stato è uno degli azionisti. (una società per azioni è una società in cui il capitale è diviso in quote azionarie che sono quotate in borsa). L’Eni produce energia elettrica, petrolio, gas naturale e ha sedi in Belgio, Francia, Germania, Olanda, Lussemburgo. Estrae le materie prime in Siberia. FINMECCANICA: fondata a Roma nel 1948 dallo stato. E’ anch’essa ormai una società a partecipazione statale quotata in borsa. E’ leader nel settore aeronautico, aerospaziale, telecomunicazioni, difesa, energia, trasporti. Ha sedi negli USA e Gran Bretagna Stessa sorte di Eni e Finmeccanica hanno avuto le aziende statali SIP diventata Telecom, Ferrovie dello Stato diventata Trenitalia, società italiana autostrade diventata autostrade srl, Alitalia comprata dai privati. 5