IL NOVECENTO – Paolo Viola la Grande Guerra Dall’estate del 1914 all’autunno del 1918 i paesi europei, gli Stati Uniti e il Giappone si facero al guerra più devastante che l’umanità avesse conosciuto fino ad allora. La causa occasionale del conflito fu una crisi fra l’Austria-Ungheria e la Serbia. Fu la fine del ruolo dirigente dell’Europa nel mondo e del modello politico delle monarchie per diritto divino, l’avvento di due nuovi modelli politici, nati dal fallimento del liberismo: il comunismo e il fascismo. Lo scoppio del conflitto Il 28 giugno 1914 a Sarajevo, capoluogo della Bosnia-Erzegovina, lo studente serbo Gravilo Princip sparò e uccise Francesco Ferdinando, nipote dell’imperatore e principe ereditario. L’Austria avviò un’inchiesta per scoprire eventuali rapporti internazionali che avevano reso possibile l’assassinio. L’Austria pose un ultimatum. La Serbia, forte della protezione russa, a sua volta alleata con la Francia, che a sua volta era alleata con l’Inghilterra (a guerra scoppiata fra questi tre paesi fu formalizzata la “triplice intesa” per fronteggiare gli imperi centrali) non permise la partecipazione della polizia austriaca all’inchiesta sul proprio territorio nazionale. Il 28 luglio 1914 l’Austria dichiarò guerra alla Serbia; il 1 agosto la Germania dichiarò guerra alla Russia e il 3 alla Francia. Il 4 agosto per aggirare le difese francesi le truppe tedesche entrarono in Belgio provocando l’intervento inglese. Nei mesi seguenti sarebbero entrati in guerra anche il Giappone contro la Germania, che aveva colonie nel pacifico, e la Tuchia a fianco degli imperi centrali contro l’antico nemico russo. Nel 1915 sarebbe stata la volta dell’Italia e due anni dopo quella degli Stati Uniti a fianco della Francia e dell’Inghilterra. La Guerra diventa mondiale anche perché le difese erano più potenti degli attacchi e i contendenti dovevano cercare altri alleati o oltri luoghi in cui schiacciare il nemico. Da questo punto di vista la Germania era svantaggiata: il campo avverso contava su riserve maggiori, aveva grandi imperi coloniali e disponeva della supremazia britannica dei mari. L’Italia, scelse l’”intesa” (Russia, Francia, Inghilterra) benché fosse legata alla Triplice Alleanza, e la guerra scoppiò nel maggio 1915 contro l’impero asburgico. Germania e Austria riuscirono a coinvolgere la Turchia e un anno dopo la Bulgaria. La Serbia si arrese nell’autunno del 1915 e fu interamente occupata. Con l’”intesa” si schierarono anche la Romania e la Grecia. La Romania fu subito sconfitta, mentre inglesi e francesi sbarcati a Salonicco aprirono un fronte balcanico in direzione della Serbia. Ma il fronte occidentale, quello francese, rimaneva immobile. Milioni di uomini si sterminarono a vicenda per anni, senza riuscire a modificare la situazione. La Germania si inimicò il mondo intero con la guerra sottomarina condotta contro navi mercantili indifese e alla fine provocò l’entrata in guerra degli Stati Uniti. L’apporto industriale e bellico degli USA costituì uno dei fattori decisivi del tracollo degli imperi centrali. L’opinione pubblica, la guerra e i governi Nessuna guerra può essere combattuta a lungo con prospettive di vittoria, senza un ampio sostegno popolare. Nella prima Guerra mondiale il sostegno ci fu e fu massiccio, almeno ella prima fase. Persino i socialisti, per vocazione internazionalisti e antimperialisti, finirono con lo schiarirsi con i rispettivi governi. La socialdemocrazia tedesca abilmente presentava la guerra come rivolta contro il regime dispotico zarista. In Russia fu proclamata quasi una guerra santa in difesa delle radici slave e ortodosse che accomunavano russi e serbi. In Francia la mobilitazione fu ancora più forte, nel ricordo delle guerre rivoluzionarie, della libertà, uguaglianza e fraternità minacciate dai tedeschi. La guerra pose in tutti i paesi enormi problemi di gestione; milioni di uomini di tutte le classi sociali dovevano partire per i fronti e sguarnire l’apparato produttivo. Dovunque si fece ricorso alla manodopera femminile. Il mercato fu rigidamente controllato ovunque; la Germania istituì un “ufficio di guerra” competente per tutto quanto riguardava la fabbricazione di armi e munizioni, l’intero commercio estero, il controllo di tutti i prezzi. In tutti i paesi belligeranti il debito pubblicò aumentò enormemente. In questo il vantaggio dell’”intesa” era enorme perché disponeva dei crediti degli USA. L’interventismo italiano In Italia lo scoppio della I^ Guerra mondiale riportò a galla la distanza fra pacifisti e interventisti già manifestatasi dopo l’infausta avventura coloniale in Etiopia, conclusasi col disastro di Adua e la caduta di Crispi. Per gli interventisti l’entrata in Guerra dell’Italia offriva l’opportunità di riunire alla madrepatria terre italiane “irredente”. Capo del governo era ora Antonio Calandra, ministro degli esteri Sonnino. Giolitti, per una guerra da lui non condivisa, si era fatto da parte. L’interventismo, appoggiato dai circoli militari e dalla grande industria, spinse l’Italia ad entrare nella I^ Guerra mondiale. L’Italia in Guerra Calandra e Sonnino avviarono contatti diplomatici per negoziare l’entrata in guerra. Gli imperi centrali (Austria e Germania), in cambio della neutralità italiana, erano disposti a concedere tutti i territori di lingua italiana del Trentino e del Friuli, esclusa Gorizia, allora in maggioranza slovena, e Trieste che però avrebbe goduto di larga autonomia e una università di lingua italiana. Le avrebbero anche dato il protettorato sull’Albania. Inghilterra, Francia e Russia (la Triplice Intesa) offrivano di più se l’Italia fosse scesa in guerra al loro fianco: anche il Tirolo meridionale di lingua tedesca, fino al Brennero, tutta la Venezia Giulia e la Dalmazia, in maggioranza sloveno-croata. Sarebbe rimasta esclusa Fiume, perché non immaginando il disfacimento totale dell’impero Austro-Ungarico, vigeva allora il principio che ogni paese avesse diritto ad un accesso al mare che gli garantisse la libertà di commercio internazionale. L’ingresso in guerra dell’Italia doveva significare la promozione definitiva fra le potenze che contano nel dominio del mondo. Il 24 maggio 1915 l’Italia dichiarava guerra all’Austria (alla Germania un anno dopo) e il suo esercito attraversava il Piave e attaccava gli austriaci in direzione del Carso e di Trieste. Anche in Friuli, come in Francia, il fronte si stabilizzò e rimase fermo per un paio di anni, che costarono la vita a centinaia di migliaia di soldati. La guerra ebbe conseguenze di grande rilievo sulla struttura industriale italiana. L’industria bellica passò da centomila a quasi un milione di addetti, in quinto dei quali donne. Si sviluppò l’industria idroelettrica, quella chimica, la siderurgia, la meccanica La guerra di trincea. I costi umani. Data la grande prevalenza della difesa su u attacco che al momento decisivo non aveva altri mezi che l’assalto alla baionetta, la guerra fece molte più ittime di quanto era mai avvenuto nel passato. In tutto gli “imperi centrali” schierarono nel corso della guerra 23 milioni di soldati e l”intesa” 36: di questi 60 milioni, 10 morirono, 20 furono feriti e altri 8 fatti prigionieri o dispersi. Di questi solo un terzo ebbero la fortuna di tornare a casa illesi nel corpo ma segnati nello spirito. Il 1917. La grande stanchezza La lunga guerra di trincea cominciava a logorare i soldati. Ci furono unità decimate dai loro ufficiali perché si erano rifiutate di esporsi al fuoco. Ci furono fraternizzazioni con il nemico, automutilazioni per sfuggire alla vita di trincea. Oltre ai soldati, anche la società civile cominciava a dare segni di stanchezza e di sfiducia. In Italia le conseguenza militari furono molto gravi. Le difese furono sfondate a Caporetto alla fine di ottobre 1917. La stanchezza pesò gravemente sulla ritirata: intere unità si rifiutarono di combattere, in una sorta di protesta contro la cieca disciplina imposta dal Generale Luigi Cadorna. Il fronte arretrò dall’Isonzo al Tagliamento e al Piave. Sembrò per un momento che l’intero veneto fosse perso. Si formò un governo di unità nazionale e il comando militare passò al generale Armando Diaz che dopo la battaglia di Vittorio Veneto avanzò l’esercito fino a superare le linee precedenti la rotta di Caporetto. In realtà tutti gli eserciti in guerra erano esausti. La rivoluzione russa scoppiata nel frattempo era un esempio per tutti i popoli. In Germania nel 1918 si arrivò ad una vera e propria insurrezione. In alcuni casi soldati tedeschi e russi si rifiutarono di combattere scegliendo la fraternizzazione. L’esercito francese e più ancora queelo austro-ungarico vennero minati dal rifiuto di combattere e dalla diserzione. La guerra si avviava al suo termine. L’intervento degli Stati Uniti e la sconfitta degli imperi centrali. Le conferenze di pace Il continuo affondamento delle navi mercantili americane da parte dei tedeschi con i sottomarini, determinò l’entrata in guerra degli USA nell’aprile del 1917, anche se i realtà l’esercito americano ci mise un anno a mobilitarsi e schierarsi oltre l’atlantico e solo nella primavera del 1918 – in pratica, negli ultimi quattro-cinque mesi di battaglie -. Ai primi si settembre 1918, con il crollo delle sue linee arretrate, la Germania avviava le trattative per l’armistizio, che fu firmato nel novembre 1918. Il 4 novembre era stato siglato quello tra Italia e Austria. La Russia precedentemente, nel marzo 1918, sotto la spinta propagandistica rivoluzionaria bolscevica, firmò con i tedeschi la pace di Brest-Litovsk, che ratificava la sua sconfitta. Sotto molti aspetti gli Stati Uniti erano il vero vincitore del conflitto. I 14 punti di Wilson Già nel gennaio del 1918 il presidente degli USA aveva dichiarato i 14 punti che gli Stati Uniti intendevano difendere ad ogni costo. I 14 punti elencavano il principio di trasparenza delle diplomazie, la soppressione delle barriere alla navigazione e al commercio, il disarmo, il rispetto del principio di nazionalità e la creazione di una struttura internazionale di garanzia allo scopo di procurare a tutti gli stati, grandi e piccoli, mutue garanzie di indipendenza e integrità territoriale. I Trattati di pace I trattati di pace furono firmati in diverse sedi della periferia di Parigi nel 1919 e 1920. a quello di Versailles la Germania restituiva l’Alsazia-Lorena alla Francia mentre la zona mineraria del Saar veniva temporaneamente occupata dalla Francia (trascorsi 15 anni un plebiscito avrebbe determinato l’appartenenza della regione alla Germania). Gli imperi Austro-Ungarico, ottomano e russo avevano cessato di esistere. Nascevano nuovi Stati nazionali: la Finlandia, la Polonia, la Iugoslavia, oltre all’Austria e all’Ungheria. La Turchia perdeva tutta la penisola balcanica, tranne Instabul, l’Armenia, e tutto il mondo arabo, che veniva spartito tra Inghilterra e francia, sottoforma di protettorati: Siria, Palestina, Iraq, Arabia, Yemen, Transgiordania. L’Italia, rispetto ai patti di Londra, guadagnava meno del previsto. In Dalmazia otteneva solo Zara mentre Fiume, come Danzica, veniva dichiarata “città libera”. La Società delle Nazioni Fra i 14 punti di Wilson era inclusa la costituzione di un organismo internazionale incaricato di garantire la pace. Il nuovo organismo di chiamò “Società delle Nazioni” con sede a Ginevra. Gli Stai Uniti non vi aderirono. Negli anni seguenti anche Germania e Russia vi aderirono. Nel 1931 il Giappone aggredì la Cina occupando la Manciuria e abbandonò la Società. Anche l’Italia, con l’aggressione all’Etiopa nel 1935, abbandonò la Società. I Nazionalismi e gli imperialismi erano ancora irrisolti. Rivoluzione in Messico Dal 1876 il potere era nelle mani del presidente-dittatore Porfirio Diaz, molto vicino agli inglesi ma inviso dagli Stati Uniti che appoggiavano Francisco Madero. Il paese era in preda a gravi disordini causati dalle rivolte contadine. Le rivolte al nord erano capeggiate da Pancho Villa, al Sud da Emiliano Zapata. Nel 1911 l’insurrezione spinse alla fuga Diaz (ultraottantenne) e portò Madero alla presidenza. Madero fu abbattuto nel 1913 da un generale “porfirista” che a sua volta cadde nel 1914 sotto i colpi di Villa e Zapata. Individualista il primo (piccola proprietà), collettivista il secondo (comunità contadina) non riuscirono a coordinare gli sforzi comuni. Il potere passò quindi a politici e militari rivoluzionari che seppero garantire gli Stati Uniti sui capitali investiti. Villa e Zapata furono entrambi assassinati. Nel 1917 il Messico ebbe una costituzione che introduceva due novità che avrebbero caratterizzato i nazionalismi antimperialisti e socialisti: nazionalizzazione delle terre e delle ricchezze del sottosuolo, diritto di sciopero e organizzazione sindacale e un’avanzata legislazione del lavoro. La Cina Fin dai primi anni del secolo nel Sud della Cina cominciò ad operare un partito nazionalista: il Kuomintang che riassumeva il suo programma in tre principi: l’identità del popolo, i diritti del popolo, la sopravvivenza del popolo. Voleva uno Stato “appartenente a tutti, controllato da tutti, a vantaggio di tutti”. La forza del programma del Kuomintang era nella sua chiarezza e semplicità. Il potere imperiale era in crisi. Nel 1911 scoppiò l’insurrezione e nel 1912 fu proclamata la repubblica sotto la presidenza di Sun Yat Sen (fondatore del Kuomintang). La Cina pur essendo schierata fra i vincitori della guerra fu maltrattata dai trattati di Versailles. “Salvare la Patria” divenne lo slogan che mobilitò la generazione che aveva fatto la rivoluzione repubblicana. Il “movimento del 4 maggio” segnò la rinascita del nazionalismo rivoluzionario. Il Nord rimaneva nelle mani dei giapponesi e dei governi imperialisti. Nel 1921 Sun Yat Sen fu rieletto presidente e ricevette l’appoggio della Russia Bolscevica che rinunciò alle pretese sulla Manciuria. Nel 1925 Sun Yat Sen morì e del Kuomintang si impadronì Chiang kai Shek. Nel 1927 col suo esercito prendeva Shanghai e proseguiva la marcia verso nord. Rompeva l’alleanza con i comunisti ordinando il massacro dei quadri operai di Shanghai. La prima fase della rivoluzione era terminata, ma il governo di fatto si era messo sotto la protezione dei giapponesi. L’Irlanda Anche la Gran Bretagna dovette fronteggiare una rivoluzione nazionalista in Irlanda. L’Irlanda era una vera e propria colonia inglese sin dalla fine del 400, ma aveva saputo mantenere una propria identità culturale col suo attaccamento al cattolicesimo. In tutta la Gran Bretagna i cattolici avevano perso i diritti politici e in Irlanda la grande proprietà terriera veniva espropriata e distribuita ad una classe dirigente protestante, inglese o scozzese. Qualunque ascesa sociale per gli irlandesi doveva passare attraverso l’assimilazione alla religione, alla cultura, alla lingua degli inglesi. Circa a metà dell’ottocento milioni di irlandesi presero la via dell’immigrazione negli Stati Uniti. Il movimento nazionalista agli inizi del novecento diede vita ad un partito che prese il nome di “Noi soli” (Sinn Fein in lingua irlandese gaelica) che non escludeva la lotta armata. Il partito lottava per l’indipendenza totale. Il Sinn Fein divenne l’IRA (Irish Republican Army) e una “Dieta d’Irlanda” proclamò la repubblica presieduta da De Valera. La Gran Bretagna doveva difendere la propria immagine e attenersi al principio di autogoverno sancito nei 14 punti di Wilson. Né uscì con grande sapienza istituendo una comunità di stati indipendenti sotto la propria sovranità. Questa comunità comprendeva Canada, Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa e appunto l’Irlanda (cosiddetti dominions). Si chiamava “Commonwealth britannico delle nazioni”: Commonwealth, cioè patrimonio comune. L’Irlanda diventava uno “Stato libero”, non una repubblica autonoma. Perdeva inoltre l’Ulster a maggioranza protestante. In maggioranza gli irlandesi accettarono il compromesso ma non De Valera che riprese la guerra civile per altri cinque anni. Alla fine accettò anche lui l’accordo e fondò un nuovo partito, detto dei “soldati del destino” che divenne centro del sistema politico della repubblica d’Irlanda, dopo la seconda guerra mondiale, staccatasi dal Commonwealth. Ma l’IRA 50 anni dopo riprese la lotta armata per la liberazione dell’Ulster: un problema ancora non risolto. Turchia Nell’impero ottomano esistevano i millet, apparteneze religiose organizzate, che rappresentavano le comunità e garantivano forme di autogoverno. Sul finire dell’800 nacque un movimento nazionalistico, detto dei “Giovani turchi”. Il sultano si era avvalso del suo potere califfale (califfo=successore, o vicario del profeta) per contrastare il nazionalismo dei “Giovani turchi”. In Turchia il potere politico mobilitava le masse contadine in difesa dell’ortodossia religiosa. Negli anni ottanta dell’800 mentre in Russia si scatenavano i pogrom contro gli ebrei, nell’impero ottomano cominciarono i massacri degli armeni, che da poco avevano ottenuto il loro millet separato da quello ortodosso. Gli armeni erano un perfetto capro espiatorio cui addossare le colpe della crisi del regime e più di chiunque altro potevano passare per agenti del nemico russo: erano cristiani, la loro terra di origine – l’Armenia, a sud del Caucaso – era a cavallo del confine tra i due imperi, russo e turco. Durante la Grande guerra il governo dei militari nazionalisti turchi, che aveva preso il potere nel 1908, si macchiò di un vero e proprio genocidio nei confronti del popolo armeno, decretandone la deportazione (almeno 600 e forse 800 mila armeni furono massacrati). Emerse una figura di militare, Mustafa kemal, che nel 1908-909 marciò alla testa delle truppe dei Giovani Turchi da Salonicco ad Instambul. La Turchia di Kemal riuscì a sconfiggere i Greci e a ripristinare l’unità del paese in una forma repubblicana con capitale ad Ankara. Bemchè la repubblica turca fosse dotata di una costituzione democratica fin dal 1924, Mustafa kemal assunse i poteri di dittatore, prese il nome di Ataturk (padre dei turchi) e introdusse d’autorità una serie di riforme che riuscirono a modernizzare il paese, ma che non bastarono per assicurarne lo sviluppo. La rivoluzione di febbraio La rivoluzione scoppiò a Pietroburgo (ribattezzata Pietrogrado per abbandonare il toponimo tedesco) alla fine di febbraio 1917 (marzo per il calendario riformato occidentale). Scioperi e manifestazioni contro la guerra si susseguirono mentre, come nel 1905, rinasceva il Soviet, ossia il consiglio degli insorti. Il governo zarista crollò. Nacque un governo provvisorio di colazione fra “cadetti” (i costituzionali-democratici) e altri partiti borghesi e si instaurò un dualismo di potere tra la Duma e il suo governo da un lato, e il Soviet dall’altro. I Soviet volevano la pace e la riforma agraria; chiedevano condizioni di lavoro più umane, la fine immediata della guerra e la distribuzione delle terre ai contadini. Si dotarono anche di una milizia armata “la guardia rossa”. Il Soviet era costituito da tre forze politiche rivoluzionarie: i socialisti rivoluzionari, i menscevichi e i bolscevichi. I primi due partiti si caratterizzavano per un certo moderatismo auspicando una evoluzione naturale verso la democrazia. I Bolscevichi ritenevano che se non si fosse forzata la mano in direzione di una presa di potere da parte del potere operaio, si sarebbe perso tutto. Ai primi di aprile del 1917 Lenin tornò in Russia, grazie anche all’apporto dei tedeschi, i quali pensavano che far tornare in patria un sovversivo pericoloso avrebbe indebolito i russi e affrettato la loro capitolazione. Lenin appena arrivato divulgò le sue “tesi di aprile” per chiedere che tutto il potere passasse immediatamente ai soviet e che la guerra fosse subito trasformata in rivoluzione mondiale. Secondo lui non solo il proletariato russo, ma anche quello degli altri paesi europei, era ormai pronto per l’insurrezione. Lenin, Trockji e Stalin (inizialmente più moderato) decisero che era giunto il momento di prendere il potere con l’insurrezione. Fra il 6 e 7 novembre 1917 (fine ottobre per il calendario russo) il comitato militare del Soviet di Pietrogrado occupò la posta, le stazioni ferroviarie, le centrali elettriche; l’incrociatore Aurora sparò alcune cannonate contro il “Palazzo d’inverno”, sede del governo. La presa del Palazzo d’inverno diventò un simbolo, come la presa della Bastiglia nel 1789 per i francesi. Si costituì un nuovo governo presieduto da Lenin, con Trockji agli esteri e Stalin commissario “delle nazionalità”, cioè incaricato di tenere insieme l’immenso impero. Il governo bolscevico, che aveva promesso la pace subito, prendeva atto della sconfitta militare e nel marzo 1918 firmava la pace di Brest-Litovsk. La Russia perdeva la Polonia, i paesi baltici, la Finlandia, una parte dell’Ucraina. La capitale fu spostata da Pietrogrado a Mosca, le risorse del paese furono nazionalizzate e l’esercito divenne l’armata rossa. Il congresso del partito bolscevico, convocato nella primavera del 1918 decise di assumere il nome di “comunista”. I bianchi e i rossi Del regime zarista non rimaneva più niente. Tuttavia una parte dello stato maggiore, sotto la guida del generale Danikin, prese l’offensiva contro il potere sovietico. Mise in piedi un esercito “bianco” di circa 150mila uomini e con l’appoggio dei tedeschi occupò tra il 1918 e 1919 l’Ucraina e la Russia meridionale fino al Caucaso. Intanto i Giapponesi erano entrati a Vladivostok e si erano impadroniti di una parte della Siberia. L’armata rossa fu organizzata da Trockji che riuscì a mettere in piedi un esercito di 5 milioni di soldati, soprattutto contadini, facendo leva sulla paura della restaurazione della grande proprietà terriera. In due anni l’Armata rossa sconfisse la controrivoluzione. Per reagire al pauroso tracollo agricolo e industriale, l’economia fu sottoposta ad un controllo centralizzato e totale, chiamato “comunismo di guerra”. Nel 1921 il “comunismo di guerra” fu abbandonato e sostituito dalla “nuova politica economica” (NEP), che ristabiliva in parte l’economia di mercato. La tassazione fu notevolmente ridotta; i contadini poterono vendere le eccedenze sul mercato libero, ed erano perciò incentivati ad aumentare la produzione. Il nuovo Stato si chiamava ora URSS (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) e la sua difesa diventava lo scopo fondamentale del movimento comunista internazionale. La Germania – la Repubblica di Weimar Con l’abdicazione del Kaiser nel 1918 si era costituita una repubblica governata dai socialisti. Nel febbraio del 1919 si riunì a Weimar un’assemblea costituente che produsse una costituzione democratica. Nell’agosto del 1919 fu promulgata la nuova costituzione. La Germania diventava una Repubblica federale. L’uomo forte del Governo socialista era Gustav Noske. L’estrema destra intanto organizzava corpi paramilitari , i “corpi franchi” per azioni di violenza contro gli operai in sciopero. E Noske lasciava fare. La minoranza di sinistra socialista era uscita dal partito e aveva fondato la lega di Spartaco, diretta da Rosa Luxemburg, il cui programma era la rivoluzione socialista più vicina ai menscevichi di sinistra (rivoluzione democratica). La Lega di Spartaco si trasformò in Partito comunista tedesco e capeggiò un tentativo di rivoluzione a Berlino nel gennaio 1919, durante il quale la Luxemburg e Liebknecht furono assassinati dai corpi franchi. L’Ungheria L’Ungheria era stata anch’essa colpita duramente dalla guerra. Aveva perso gran parte del proprio territorio, invaso dai serbi, dai rumeni e dai cecoslovacchi. Nel febbraio 1919 Il paese passò senza violenza rivoluzionaria ad un esperimento di repubblica “consiliare” su modello sovietico, diretto dal socialista Bela Kun passato nelle file comuniste. Tuttavia l’esperimento fallì e con l’appoggio dei paesi mobilitati contro la Russia bolscevica il governo di Bela Kun fu rovesciato. La Polonia Ricostituita dopo i trattati di pace, il potere sia civile che militare fu preso da un vecchio nazionalista di origine socialista: Jozef Pilsudski, il quale giudicando la Polonia in pericolo prese l’iniziativa bellica contro i Bolscevichi. I polacchi furono battuti dall’Armata rossa, ma a Varsavia nel 1920 riuscirono a fermare le truppe di Trockji. La vittoria dei polacchi sulla Vistola, dopo le sconfitte subite dalla rivoluzione di Berlino e Budapest, fermò per 25 anni l’espansione del comunismo russo. L’Italia Il governo italiano era profondamente deluso dai trattati di pace. Presidente del consiglio era Vittorio Emanuele Orlando. Le pretese avanzate dall’Italia ledevano il diritto, sancito nei 14 punti di Wilson, di autodeterminazione delle nazionalità. Nell’autunno del 1919 si tennero le elezioni, a suffragio universale maschile e col sistema proporzionale. Presidente del Consiglio era Francesco Saverio Nitti, succeduto nel giugno ad Orlando. Le elezioni diedero un grande successo ai socialisti (più del 30% dei voti), privi di una linea politica e in attesa della rivoluzione come in Russia. Segretario del partito era Costantino Lazzari. La vera novità delle elezioni era il Partito Popolare (il 20% dei voti). Si trattava di un partito cattolico con a capo un prete siciliano don Luigi Sturzo, sostenitore della politica sociale, della piccola proprietà contadina, dell’insegnamento privato, ma soprattutto contrario alle spinte rivoluzionarie. Proprio questo motivo rese impossibile un’alleanza tra socialisti e popolari, né tanto meno ci riuscì Nitti a coinvolgerli per un rinnovamento democratico del paese. Ciò avvenne solo dopo la tragedia del fascismo e della II Guerra Mondiale. Gabriele d’Annunzio - Fiume Nel settembre del 1919, un gruppo di volontari al comando del poeta e militante nazionalista Gabriele d’Annunzio occupò la “città libera” di Fiume, a maggioranza italiana, che aveva optato inutilmente con plebiscito per l’annessione all’Italia. Alla fine del 1920 il governo riuscì a chiudere la crisi di Fiume sottoscrivendo il trattato di Rapallo con la Iugoslavia, non riconosciuto da d’Annunzio che sotto la minaccia di un bombardamento sistematico lasciò con i propri legionari Fiume, riconosciuta Stato libero e indipendente. Dopo alterne vicende la questione fu definitivamente sistemata con il patto di Roma del 27 gennaio 1924, con il quale la Iugoslavia riconosceva il passaggio di Fiume all’Italia, ricevendo però il Delta del fiume Eneo e Porto Baross (bacino portuale vicino Fiume). Il comunismo cinese e la “lunga marcia”-La repubblica Popolare Cinese Nel 1927 l’esercito di Chiang kai Shek aveva massacrato gli operai comunisti e distrutto l’organizzazione del partito. Tuttavia lontano dalle grandi città operaie l’esercito si riorganizzò sotto la direzione di un leader proveniente dal mondo contadino, si chiamava Mao Zedong. La prima idea di Mao era che in un paese povero e rurale, il comunismo dovesse essere fatto dai contadini e non dal proletariato urbano; la seconda idea era che la vittoria non si sarebbe mai raggiunta se non si fossero subito attuate la giustizia sociale, la ripartizione delle risorse, l’autogoverno popolare; la terza idea era che si doveva unire il popolo e non dividerlo. Ebbe inizio la “lunga marcia” di diecimila chilometri verso il Nord che l’esercito rosso intraprese per sottrarsi a Chiang e riprendere la guerriglia. Segue una tregua armata tra i nazionalisti del Kuomintang e i comunisti di Mao per far fronte comune all’avanzata giapponese. Dopo le bombe di Hiroshima e Nagasaki la rivoluzione cinese guidata da Mao in quattro anni travolse il governo nazionalista di Chiang che dovette rifugiarsi sotto protezione america nell’isola di Taiwan. Nell’ottobre del 1949 a Pechino fu proclamata la Repubblica Popolare Cinese. Eppure l’occidente continuava a riconoscere il governo di Taiwan. I comunisti di Mao si trovarono a governare il paese più popoloso del mondo e anche uno dei più poveri. Le campagne furono collettivizzate con cautela e vi fu una timida apertura al mercato. Nel 1957 però la Cina non usciva ancora dalla miseria. Le divergenze con L’URSS si acuirono. Dopo un fallito tentativo di ristrutturazione economica (il Grande balzo in avanti), Mao passa alla rivoluzione culturale. Sburocratizza l’apparato di partito con l’aiuto dei giovani. Uno delle prime frasi del famoso libretto rosso del Mao Zedog pensiero era: “se si vuole fare la rivoluzione ci deve essere un partito rivoluzionario. Non un partito di burocrati”. Per un paio d’anni la Cina fu attraversata da gravi disordini. Furono costituite le Comuni agricole: grandi insiemi di cooperative. Nel complesso il comunismo maoista rimaneva meno statalista di quello russo, anche più capace di dialogare con gli USA che riallacciarono con Pechino normali relazioni diplomatiche e commerciali con gli USA. Nel 1972 addirittura il presidente americano Nixon visitò la Cina e da allora l’economia di mercato lentamente tornò a riaffacciarsi nella società cinese.